LA CASA VIENNESE SERBOCROATA

Quella che segue è la traduzione di un articolo del linguista e traduttore Sinan Gudzevic. Si intitola "La Casa Viennese Serbocroata" con riferimento alle prime elaborazioni linguistiche comuni degli Slavi del Sud, che, dopo l'impegno di Vuk Karadžić degli anni 1815-1850 circa, culminarono proprio nell'"accordo di Vienna" con l'adozione generalizzata di una lingua comune per tutti i popoli di Croazia, Bosnia, Serbia, Montenegro. Vescovi, scrittori, professori di tutte le nazionalità contribuirono attivamente a questa impresa centrale nel progresso civile e culturale dell'area.

Certi "linguisti" nazionalisti, ed i loro mentori e colleghi accademici occidentali, vorrebbero oggi invertire quegli esiti, e cambiare davvero tutte le parole degli Slavi del Sud affinchè non parlino più la stessa lingua! Ma neanche mille anni basterebbero per questo!

I nazionalisti non sono capaci di mettersi in testa che è più facile uccidere uno Stato che una lingua. Non è neanche possibile dimostrare loro che è più facile creare un nuovo Stato piuttosto che una nuova lingua.



La Casa Viennese Serbocroata 

di Sinan Gudžević

Aim, Zagabria, 29.12.2000. 


(traduzione senza fini di lucro: Dragomir Kovacevic)

Questo articolo condivide il difetto di tutti quelli che, occupandosi degli inizi di qualcosa, non riescono a raccontare... dall'inizio. Si, perché l'inizio è sconosciuto, non si sa quando "l'inizio" ebbe il proprio "inizio". Siccome tutto iniziò in tempi remoti, forse nel dodicesimo secolo, quando probabilmente un Croato incontrò un Serbo per la prima volta [In effetti Serbi e Croati sono lo stesso popolo, diviso in due dallo scisma avvenuto nella chiesa cristiana proprio nel XII secolo, ndt]. Perciò questo articolo inizierà con un aneddoto, da metà. Anzi non con uno, ma con due aneddoti. Il primo è diffuso nella forma di barzelletta, mentre il secondo è qualcosa di più (sebbene una buona barzelletta non sia cosa futile!), perché riguarda le avventure celebri dell'antichità, e noi ormai sappiamo come l'invecchiamento sia precondizione per la bontà. 

Il primo aneddoto, dunque, a seconda della regione dove viene narrato ha per soggetto Luigi Quattordicesimo, Luigi Quindicesimo, oppure Bismarck, ma per me la versione montenegrina è la più convincente di tutte, perché si narra che le sue origini sarebbero da far risalire alla corte del Re Nikola di Montenegro verso la fine del secolo scorso. Un mattino, dunque, Re Nikola decise di verificare in che misura le sue guardie del corpo fossero adulatrici o ipocrite. Schierandoli in fila su di un prato, vicino alla sua reggia, il Re prese la pistola e sparò in alto, in direzione di un'aquila, che in quei tempi era un uccello molto presente in Montenegro. La pallottola non colpì l'aquila in volo, eppure alla domanda "L'ho colpita o no, mie guardie?", le guardie risposero all'unisono "L'ha colpita, padrone!", tutte tranne una, che disse: "Ehh, padrone, non si è mai vista un'aquila simile: morta, eppur vola ancora!" 

Il secondo aneddoto è più noto: quel mostro di Gorgone fermò in mare aperto la barca del vecchio marinaio greco. Alla domanda se il Re Alessandro fosse ancora vivo, il marinaio diede una risposta rimasta celebre: "E' vivo, ed è ancora re!" 
La motivazione di questo che vi ho appena raccontato segue due punti - il primo: è morto eppure vola; ed il secondo: è vivo, ed è ancora re. In mezzo a questi due punti oggi si colloca quel mostro linguistico (alcuni lo definiscono "drago", "spettro", un tale ha detto: "mostro centauro") nato al finire del diciannovesimo secolo sotto il nome di Lingua Serbocroata. Tre giorni prima della conclusione del secondo millennio, cercandole col lumicino, in tutto il mondo non si riuscirebbe a trovare più di un migliaio di persone non disposte a dire che tale creatura linguistica sarebbe morta. Quei mille (io personalmente ne conosco ottantatre) direbbero che questa creatura è ancora in vita. Alcuni di loro direbbero che è ancora re; e conosco perfino uno di loro che direbbe che questa creatura porta le ali, eccome!

Sarà ormai un decennio che svariati despoti sparano incessantemente contro questa lingua. E sono convinti d'averla uccisa. Si pone la domanda se questa lingua "scomparsa" sia effettivamente e letteralmente ed irrevocabilmente morta, oppure, come il Re Alessandro - spero il lettore non trovi il paragone troppo esagerato - se non sia ancora viva, e se non sia ancora re! L'intenzione di questo articolo non è quella di cercare la risposta per questa domanda. I nazionalisti non sono capaci di mettersi in testa che è più facile uccidere uno Stato che una lingua. Non è neanche possibile dimostrare loro che è più facile creare un nuovo Stato piuttosto che una nuova lingua. Tra l'altro, i nazionalisti sono bugiardi. Quando si accorgono che la realtà smaschera le loro bugie, essi creano nuove realtà più congrue alle loro bugie. Questo articolo non ha per scopo quello di metterli sulla strada giusta: tanto, loro, quando io per esempio dico "no", dicono "si", e quando io dico "si", loro dicono "no". Questo articolo ha per scopo quello di ricordarci di certe meravigliose persone jugoslave che edificarono le fondamenta della lingua comune di Serbi, Croati, Bosgnazzi e Montenegrini, fondamenta che non sono abbattibili facilmente. Non è facile determinare la data di inizio della costruzione di queste fondamenta. Però, una data è indiscutibile: 28 di marzo del 1850. A Vienna in quella data, molto probabilmente nell'appartamento di Vuk Karadžić, oppure nella celebre taverna di Gerlovic in Baumarkt, otto Jugoslavi (essi stessi si diedero tale nome) si riunirono e firmarono un manifesto con il quale invitavano gli Slavi del Sud ad accettare il cosiddetto dialetto meridionale come loro lingua letteraria. Questo dialetto meridionale è la variante ijekava del novoštokavo. In base a come lo descrissero i linguisti, il novoštokavo è quel dialetto diffuso in mezzo al territorio idiomatico tra i fiumi Sutla e Timok, tra il Mare Adriatico e Timisoara, tra Horgos e la montagna Šara. 

Questo dialetto comprende il maggior numero di fruitori (al presente sono più di diciotto milioni) in grado di capirsi tutti tra di loro. Questo dialetto, dunque, fu standardizzato e considerato come norma per la lingua letteraria di Serbi, Croati, Bosgnazzi e Montenegrini. Tale processo durò fino agli anni Novanta del secolo scorso ed ebbe il carattere di una vera battaglia e di una vera guerra. Negli anni '90 del XIX secolo, lo spazio linguistico serbocroato fu diviso politicamente tra due imperi e due Stati indipendenti. Questa lingua standardizzata, normata, comprensibile per tutti, questa lingua policentrica e letteraria, non ebbe mai un suo nome preciso. I Serbi lo chiamarono il "serbo", i Croati "croato", i Bosgnazzi "bosniaco", i Montenegrini "montenegrino", gli Jugoslavi "jugoslaveno", "jugoslavo", "nostrano", gli Illiri "illirico", e la popolazione dei musulmani jugoslavi presenti qua e la arrivarono a chiamarlo il "turco"! Il nome "serbocroato", secondo tutte le indicazioni, fu usato per la prima volta da Jakob Grimm nella prefazione per l'edizione tedesca della "Grammatica della lingua serba " del 1824 di Vuk Karadžić. Prima della creazione della Jugoslavia, questo nome lo usarono i grammatici Pero Budmani nel 1867 e, in italiano, Giovanni Androvich nel 1908, così come il celebre slavista August Leskien, autore della "Grammatik der serbo-kroatischen Sprache", Heidelberg, 1914. 

Torniamo al tema del gruppo degli otto viennesi. Cinque di loro erano croati. Dimitrija Demeter, Ivan Kukuljevic Sakcinski, Ivan Mažuranić, Vinko Pacel e Stjepan Pejaković. Due di loro erano serbi: Ðuro Daničić e Vuk Stefanović Karadžić. Uno era sloveno: Fran Miklošić. L'accordo letterario di Vienna, come questo "manifesto ai popoli jugoslavi" fu denominato in seguito, nacque nella forma di un documento a margine dei lavori sulla terminologia politica e giuridica per i popoli slavi dell'Impero Austriaco. Il lavoro della creazione di una terminologia fu finanziato dal ministero della Monarchia, ed il risultato doveva facilitare la comunicazione negli affari legali nel sud slavo dell'Impero. L'iniziatore del lavoro sulla terminologia a tutti gli effetti fu Miklošić, bibliotecario e deputato nel Reichstag dell'Impero. In base alla poca documentazione disponibile sull'Accordo letterario, si può dedurre che Miklošić fu l'autore dell'idea di un incontro concernente l'accordo per la lingua letteraria. Quello che a prima vista sembra strano, dimostra invece una sensibilità linguistica perfetta ed il notevole livello di preparazione dei firmatari. Quegli otto, al momento della firma dell'Accordo, erano tutti cittadini della Monarchia d'Austria, essendo nati sul territorio della monarchia, tutti tranne Karadžić, mentre come base della lingua letteraria suggerirono un dialetto che veniva prevalentemente parlato al di fuori del territorio della monarchia! Quando si ragiona su questa decisione, il lavoro pluriennale e l'impegno di Vuk Karadžić per l'introduzione dell'idioma meridionale come base della lingua letteraria non possono essere trascurati. Quando si legge, oggi, questo Accordo, esso per una metà sembra fallito, ma per la seconda metà è eccellente. I firmatari partirono da un presupposto che è distante, se non proprio inaccettabile, per i nazionalisti odierni e perfino per quelle persone lontane da qualsiasi nazionalismo: "i sottoscritti, considerato che un unico popolo dovrebbe possedere una letteratura unica, e biasimando la situazione odierna per cui la sfera delle Lettere è lacerata non soltanto in merito all'alfabeto, ma anche nella grammatica, si sono radunati in questi giorni per discutere su come accordarsi ed unirsi nel modo migliore sul tema della letteratura". Segue il testo dell'Accordo, diviso in cinque punti. I primi due punti iniziano con "Abbiamo riconosciuto unanimemente", il terzo punto inizia con "Abbiamo considerato opportuno e necessario", il quarto punto al suo inizio riporta "Abbiamo riconosciuto tutti", ed il quinto "Abbiamo accettato unanimemente". Per il tema che ci interessa, in questo momento è importante il secondo punto. Esso riporta le ragioni per cui quegli otto uomini suggerirono "che sarebbe più corretto ed è la migliore soluzione accettare l'idioma meridionale come lingua letteraria, ed in particolare, 
a) poiché la maggior parte della popolazione parla in questo modo, 
b) poiché sarebbe il più vicino all'antica lingua slava e perciò alle altre lingue slave, 
c) poiché tutta la poesia popolare è cantata in tale dialetto, 
d) poiché l'antica letteratura della Repubblica di Dubrovnik è scritta con tale idioma, 
e) poiché ormai la maggioranza dei letterati, di confessione orientale ed occidentale, scrivono in tale maniera (anche se non tutti stanno attenti alle regole)." 

L'organizzazione dell'incontro per la realizzazione dell'Accordo probabilmente fu opera di Miklošić. Il contenuto dell'Accordo, il suo secondo punto in particolare, rivela invece la mano del veterano Vuk Karadžić. Il celebre filologo Vatroslav Jagić, scrivendo nel 1864 sul tema della grammatica, affermò che gli accordi viennesi furono realizzati dai "figli migliori del nostro popolo, di cui la patria ancora oggi è fiera". In una annotazione, in questa sezione del suo scritto, aggiunge: "Mentre scriviamo, giunge la triste notizia che morte sgradita ha portato via il nostro anziano e venerando Vuk Karadžić. Ogni letterato si ricorderà, in occasione di una sua prossima opera, di tessergli una corona per i suoi attualissimi meriti". 

Oggigiorno, il secondo punto dell'Accordo si potrebbe definire integralmente veritiero, ed ancor più di centocinquanta anni fa. Invece, la frase introduttiva sarebbe da bocciare completamente. In questo consiste la forza e la saldezza della nostra casa linguistica viennese: fragile politicamente ma solida dal punto di vista linguistico. Il novoštokavo, normato e standardizzato, al presente è ancor più armonizzato; Serbi, Croati, Bosgnazzi e Montenegrini scoppierebbero di rabbia oggi per il fatto di capire tutti la stessa lingua. Per impedire che non sia così, essi inventano delle nuove realtà. Un esempio molto recente: Ladan, la "clava linguistica" croata, pochi giorni fa, mentre presentava uno dei suoi raffazzonati saggi linguistici a Rijeka/Fiume, ha dichiarato di essere cresciuto nell'ambiente multilinguistico della Bosnia! Non succede mai che un figlio di Fiume in tali occasioni non ponga la domanda: come mai la Bosnia sarebbe un ambiente multilinguistico? In verità, la Bosnia è l'ambiente linguistico štokavo più compatto di tutti! 

Difatti in Bosnia l'Accordo viennese è stato accettato ed applicato nel modo migliore, e più completamente che altrove. Le differenze linguistiche in Bosnia sono tali che la loro ricerca ed individuazione è molto difficile. Questo non è il caso di altre regioni della variante štokava. I leader nazionalistici ne sono bene al corrente, e perciò hanno avviato una guerra linguistica. O, per meglio dire, una guerra lessicale, una guerra dove la parola è il mezzo che combatte contro altre parole. Si è arrivati al punto che l'area linguistica serbocroata assomiglia all'allegoria rinascimentale "La guerra grammaticale". Il rappresentante migliore di questo genere letterario è Andrea Guarna da Napoli. Nel suo libro "Bellum grammaticale" egli descrisse un paese felice, chiamato Grammatica, in cui regnavano due re, in concordia ed a beneficio di tutti i cittadini: il re dei Verbi, ed il re dei Sostantivi. Nel corso di un banchetto, dopo avere tanto mangiato e bevuto, i due cominciarono a litigare su quali parole sarebbero state le più antiche e più importanti. Non arrivando ad un compromesso, decisero di risolvere la lite con la guerra. La mattina seguente partirono, l'uno contro l'altro, ciascuno con il proprio esercito. Sotto la bandiera del Re dei Verbi si schierarono tutti gli Avverbi e tutti i Verbi che ci sono: i verbi d'azione, quelli di ripetizione, gli incompleti, gli irregolari, e così via; mentre con il re dei Sostantivi si unirono i Sostantivi, i Pronomi, e tutte le Preposizioni. Il Participio, per sua natura, non poté decidere con quale re schierarsi, e cominciò ad inviare truppe ad ambedue le parti. Il campo di battaglia fu organizzato nell'area delle Congiunzioni. Un nubifragio fece interrompere la feroce battaglia. La battaglia rimase senza vincitore, e le perdite delle parti in guerra furono tremende: un verbo perse il figlio, un altro rimase senza tutti i suoi alleati, il terzo perse il futuro e fu costretto a comprarselo al mercato; molti dei Sostantivi cambiarono genere, alcuni furono castrati e passarono al neutro... ed in tutto ciò perirono tanti Singolari e Plurali. 

Se tutto questo potè accadere nel Rinascimento, allora perché mai, ad un mostro di nome Lingua Serbocroata, dopo centocinquant'anni non potrebbero crescere le ali, per alzarsi al di sopra della sua provincia Grammatica, nell'attesa che qualche vento schiarisca la nebbia sopra alle parole litigiose e mutilate, per curare le loro ferite e ricomporle, seppellendo le parole morte?

Sinan Gudžević