(fonte: B. Bellone)

Da: "stefano pol" 
Data: 14 febbraio 2007 13:36:30 CET
Oggetto: odg su dichiarazioni Napolitano

Cari compagni, allego l'ordine del giorno approvato all'unanimità alla conferenza d'organizzazione del circolo del PRC di Tavagnacco (Udine) martedì sera, in relazione alle gravi affermazioni fatte dal Presidente della repubblica Napolitano sul tema delle foibe durante la "giornata del ricordo".

 

Saluti comunisti,
Stefano Pol

Ordine del giorno sulle dichiarazioni del Presidente Napolitano

Primi firmatari: Patrick Del Negro e Gabriele Donato (Circolo di Tavagnacco, Fed. di Udine del PRC)

Il circolo di Tavagnacco del Partito della Rifondazione Comunista, riunito in conferenza d’organizzazione, esprime la propria contrarietà nei confronti della brutalità con la quale il presidente della Repubblica Napolitano ha insultato, il 10 febbraio, i partigiani jugoslavi che, al fianco di quelli italiani, lottarono negli anni della seconda guerra mondiale contro il nazi-fascismo. Le parole utilizzate dal Capo dello Stato in occasione della celebrazione al Quirinale della cosiddetta Giornata del Ricordo rappresentano l’ennesimo attacco, condotto con argomentazioni del tutto strumentali, portato al protagonismo dell’esercito partigiano jugoslavo nella lotta per la liberazione dei territori occupati dagli eserciti aggressori dell’Italia fascista e della Germania nazista .
Parlando di “una furia sanguinaria che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica”, Napolitano ha ribadito alcuni delle peggiori mistificazioni che la propaganda dell’estrema destra italiana ha sempre alimentato; Enzo Collotti, storico autorevole intervenuto il giorno successivo sulle pagine de “Il Manifesto”, ha parlato del “vittimismo nazionale” che parole del genere non possono che alimentare: accreditare l’idea di “terre ex italiane” offese dal “moto di odio” scatenato dal “disegno annessionistico slavo” significa stravolgere il significato di quegli avvenimenti storici secondo i criteri del più grossolano revisionismo. Nella lettura di quelle vicende proposta da Napolitano, ed entusiasticamente accolta da tutti gli esponenti della politica italiana, le popolazioni slovene e croate, le quali hanno pagato un costo elevatissimo a causa delle ambizioni imperialiste del fascismo, vengono trasformate da vittime principali a responsabili uniche della violenza di quegli anni di guerra. 
In un colpo solo il Capo dello Stato cancella le gravi responsabilità della politica di aggressione dell’Italia nei Balcani e il contributo eroico dato dai partigiani jugoslavi alla Resistenza europea, con lo scopo evidente di mettere in discussione la legittimità degli accordi di pace con i quali vennero risolti i contenziosi territoriali lasciati aperti dalla guerra. Da questo punto di vista, sono completamente condivisibili le riflessioni critiche di Collotti:  Sin quando si continuerà a voler parlare della Venezia Giulia, di una regione italiana, senza accettarne la realtà di un territorio abitato da diversi gruppi nazionali e trasformato in area di conflitto interetnico dai vincitori del 1918[l’Italia], incapaci di affrontare i problemi posti dalla compresenza di gruppi nazionali diversi, si continuerà a perpetuare la menzogna dell'italianità offesa e a occultare (e non solo a rimuovere) la realtà dell'italianità sopraffattrice”. 
Il circolo del PRC di Tavagnacco sente l’esigenza di respingere le menzogne diffuse dal nazionalismo italiano, e fatte proprie da Napolitano; per questa ragione considera altrettanto sbagliate le dichiarazioni di sostegno alla sua posizione espresse dalle altre autorità dello Stato, Fausto Bertinotti e Franco Marini. I due presidenti di Camera e Senato hanno dichiarato di condividere pienamente la verità e il giudizio storico” che le sue parole avrebbero contenuto: hanno contribuito, unendosi al coro dei postfascisti capeggiati da Fini, a dare forza ai contenuti della campagna anti-partigiana ed anti-jugoslava che Napolitano ha maldestramente deciso di rilanciare. Ancora una volta le parole dello storico già citato sono le più efficaci: “Da sempre nella lotta politica, soprattutto a Trieste e dintorni, il Movimento sociale (Msi) un tempo e i suoi eredi oggi usano e strumentalizzano il dramma delle foibe e dell'esodo per rinfocolare l'odio antislavo; rintuzzare questo approccio può sembrare oggi una battaglia di retroguardia, ma in realtà è l'unico modo serio per non fare retrocedere i modi e il linguaggio stesso della politica agli anni peggiori dello scontro nazionalistico e della guerra fredda”.
Per queste ragioni, il circolo del PRC di Tavagnacco ribadisce l’esigenza di contrastare l’insidiosa illusione che vi possa essere un’unità di tutti gli italiani nel ricordo delle tragedie evocate strumentalmente dal revisionismo: non esiste una “storia comune” ad oppressi ed oppressori, e non può esistere, pertanto, una memoria condivisa.  Con questa consapevolezza, il circolo chiede alla federazione provinciale del partito di farsi carico dell’esigenza di promuovere, in tempi rapidi e in accordo con le altre forze della sinistra interessate a respingere l’imperante retorica patriottarda, un grande convegno anti-fascista presso il capoluogo friulano, nel corso del quale dare voce alle ricercatrici e ai ricercatori che negli ultimi anni hanno rifiutato di conformarsi alla “vulgata” falsificatrice cui le celebrazioni della Giornata del Ricordo hanno conferito una pericolosa ufficialità. Dovranno essere invitate a promuovere l’appuntamento tutte le forze politiche e le realtà associative della sinistra croata e slovena: esso dovrà diventare l’occasione per rilanciare il senso fondamentale della fratellanza internazionalista che legò le popolazioni oppresse nella lotta contro il nazi-fascismo e che nessuna invettiva d’ispirazione nazionalista riuscirà ad estinguere.

Approvato all’unanimità.

Tavagnacco, 13 febbraio 2007

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Giù le mani dalle foibe

Enzo Collotti 

da il Manifesto del 11.1.07 p. 1

I fatti ci hanno dato ragione. I timori che avevamo espresso fin da quando fu istituito il giorno del ricordo si sono puntualmente avverati. Anche dalle più alte cariche dello Stato si è sentito il dovere di enfatizzare una retorica che non contribuisce ad alcuna lettura critica del nostro passato, l'unica che possa servire ad elevare il nostro senso civile, ma che alimenta ulteriormente il vittimismo nazionale. Per questo vogliamo ribadire quanto scrivevamo già due anni fa con la prima Giornata del Ricordo per onorare le vittime delle foibe. 
Non era difficile prevedere che collocare la celebrazione a due settimane dal Giorno della Memoria in ricordo della Shoah, avrebbe significato dare ai fascisti e ai postfascisti la possibilità di urlare la loro menzogna-verità per oscurare la risonanza dei crimini nazisti e fascisti e omologare in una indecente e impudica par condicio della storia tragedie incomparabili, che hanno l'unico denominatore comune di appartenere tutte all'esplosione sino allora inedita di violenze e sopraffazioni che hanno fatto del secondo conflitto mondiale un vero e proprio mattatoio della storia. Nella canea, soprattutto mediatica, suscitata intorno alla tragedia delle foibe dagli eredi di coloro che ne sono i massimi responsabili la cosa più sorprendente è l'incapacità dei politici della sinistra di dire con autorevolezza ed energia: giù le mani dalle foibe! Come purtroppo è già avvenuto in altre circostanze, l'incapacità di rileggere la propria storia, ammettendo responsabilità ed errori compiuti senza per questo confondersi di fatto con le ragioni degli avversari e degli accusatori di comodo, cadendo in un facile e ambiguo pentitismo, non contribuisce - come fa il discorso del presidente Napolitano - a fare chiarezza intorno a un nodo reale della nostra storia che viene brandito come manganello per relativizzare altri e più radicali crimini.
La vicenda delle foibe ha molte ascendenze, ma certamente la più rilevante è quella che ci riporta alle origini del fascismo nella Venezia Giulia. Sin quando si continuerà a voler parlare della Venezia Giulia, di una regione italiana, senza accettarne la realtà di un territorio abitato da diversi gruppi nazionali e trasformato in area di conflitto interetnico dai vincitori del 1918, incapaci di affrontare i problemi posti dalla compresenza di gruppi nazionali diversi, si continuerà a perpetuare la menzogna dell'italianità offesa e a occultare (e non solo a rimuovere) la realtà dell'italianità sopraffattrice. Non si tratta di evitare di parlare delle foibe, come ci sentiamo ripetere quando parliamo nelle scuole del giorno della memoria e della Shoah, ma di riportare il discorso alla radice della storia, alla cornice dei drammi che hanno lacerato l'Europa e il mondo e nei quali il fascismo ha trascinato, da protagonista non da vittima, il nostro paese.
Ma che cosa sa tuttora la maggioranza degli italiani sulla politica di sopraffazione del fascismo contro le minoranze slovena e croata (senza parlare dei sudtirolesi o dei francofoni della Valle d'Aosta) addirittura da prima dell'avvento al potere; della brutale snazionalizzazione (proibizione della propria lingua, chiusura di scuole e amministrazioni locali, boicottaggio del culto, imposizione di cognomi italianizzati, toponimi cambiati) come parte di un progetto di distruzione dell'identità nazionale e culturale delle minoranze e della distruzione della loro memoria storica?
I paladini del nuovo patriottismo fondato sul vittimismo delle foibe farebbero bene a rileggersi i fieri propositi dei loro padri tutelari, quelli che parlavano della superiorità della civiltà e della razza italica, che vedevano un nemico e un complottardo in ogni straniero, che volevano impedire lo sviluppo dei porti jugoslavi per conservare all'Italia il monopolio strategico ed economico dell'Adriatico. Che cosa sanno dell'occupazione e dello smembramento della Jugoslavia e della sciagurata annessione della provincia di Lubiana al regno d'Italia, con il seguito di rappresaglie e repressioni che poco hanno da invidiare ai crimini nazisti? Che cosa sanno degli ultranazionalisti italiani che nel loro odio antislavo fecero causa comune con i nazisti insediati nel Litorale adriatico, sullo sfondo della Risiera di S. Sabba e degli impiccati di via Ghega?
Ecco che cosa significa parlare delle foibe: chiamare in causa il complesso di situazioni cumulatesi nell'arco di un ventennio con l'esasperazione di violenza e di lacerazioni politiche, militari, sociali concentratesi in particolare nei cinque anni della fase più acuta della seconda guerra mondiale. È qui che nascono le radici dell'odio, delle foibe, dell'esodo dall'Istria.
Nella storia non vi sono scorciatoie per amputare frammenti di verità, mezze verità, estraendole da un complesso di eventi in cui si intrecciano le ragioni e le sofferenze di molti soggetti. Al singolo, vittima di eventi più grandi di lui, può anche non importare capire l'origine delle sue disgrazie; ma chi fa responsabilmente il mestiere di politico o anche più modestamente quello dell'educatore deve avere la consapevolezza dei messaggi che trasmette, deve sapere che cosa significa trasmettere un messaggio dimezzato, unilaterale. Da sempre nella lotta politica, soprattutto a Trieste e dintorni, il Movimento sociale (Msi) un tempo e i suoi eredi oggi usano e strumentalizzano il dramma delle foibe e dell'esodo per rinfocolare l'odio antislavo; rintuzzare questo approccio può sembrare oggi una battaglia di retroguardia, ma in realtà è l'unico modo serio per non fare retrocedere i modi e il linguaggio stesso della politica agli anni peggiori dello scontro nazionalistico e della guerra fredda.
I profughi dall'Istria hanno pagato per tutti la sconfitta dell'Italia (da qui bisogna partire ma anche da chi ne è stato responsabile), ma come ci ha esortato Guido Crainz (in un prezioso libretto: Il dolore e l'esilio. L'Istria e le memorie divise d'Europa, Donzelli, 2005) bisogna sapere guardare alle tragedie di casa nostra nel vissuto delle tragedie dell'Europa. Non esiste alcuna legge di compensazione di crimini e di ingiustizie, ma non possiamo indulgere neppure al privilegiamento di determinate categorie di vittime. Fu dura la sorte dei profughi dall'Istria, ma l'Italia del dopoguerra non fu sorda soltanto al loro dolore. Che cosa dovrebbero dire coloro che tornavano (i più fortunati) dai campi di concentramento - di sterminio, che rimasero per anni muti o i cui racconti non venivano ascoltati? E gli ex internati militari - centinaia di migliaia - che tornavano da una prigionia in Germania al limite della deportazione?
La storia della società italiana dopo il fascismo non è fatta soltanto del silenzio (vero o supposto) sulle foibe, è fatta di molti silenzi e di molte rimozioni. Soltanto uno sforzo di riflessione complessivo, mentre tutti si riempiono la bocca d'Europa, potrà farci uscire dal nostro nazionalismo e dal nostro esasperato provincialismo.