Sul furto del petrolio iracheno

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*** LINKS ***

Bottino di guerra, il petrolio iracheno alle multinazionali Usa
Stefano Chiarini - Il Manifesto
http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?
articleid=3833

La lotta kurda per il petrolio iracheno
Yo Takatsuki - BBC World Service
http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?
articleid=3914

I sindacati iracheni contro la privatizzazione del petrolio
United Press International
http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?
articleid=3692

Gli iracheni non accetteranno mai questa svendita alle multinazionali
petrolifere
Kamil Mahdi – Guardian
http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?
articleid=3884

Iraq's new oil law: not even a figleaf

By Deirdre Griswold - Workers World

http://www.workers.org/2007/world/iraq-oil-0201/


*** ARTICOLO ***

http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?
articleid=3884

Gli iracheni non accetteranno mai questa svendita alle multinazionali
petrolifere

Il governo iracheno controllato dagli Usa si sta preparando a
togliere al controllo nazionale la risorsa più preziosa del Paese

di Kamil Mahdi
Guardian, 16 gennaio 2007

http://www.guardian.co.uk/comment/story/0,,1991074,00.html


Oggi l'Iraq è ancora sotto occupazione, e il divario fra coloro che
affermano di governare e coloro che sono governati è pieno di sangue.
Il governo è obbligato verso le forze di occupazione che sono
responsabili di una catastrofe umanitaria e di una impasse politica.
Mentre i cittadini inermi vengono uccisi a piacimento, il governo
continua a essere impegnato a proteggere se stesso, raccogliere i
proventi del petrolio, dispensare favori, giustificare l'occupazione,
e presiedere al collasso della sicurezza, del benessere economico,
dei servizi essenziali, e della pubblica amministrazione.
Soprattutto, la legalità è quasi scomparsa, sostituita da
demarcazioni confessionali sotto una facciata parlamentare. Il
settarismo confessionale promosso dall'occupazione sta facendo a
pezzi la società civile, le comunità locali, e le istituzioni
pubbliche, e sta lasciando la gente alla mercé di leader comunitari
che si sono autonominati, senza alcuna protezione legale.

Il governo iracheno non sta assolvendo nel modo adeguato i suoi
doveri e le sue responsabilità. Sembra perciò incongruo che esso, con
l'aiuto di USAID, della Banca Mondiale, e delle Nazioni Unite, stia
forzando una legge petrolifera generale perché venga promulgata in
prossimità di una scadenza del Fondo Monetario Internazionale per la
fine dello scorso anno. Ancora una volta, un calendario imposto
dall'esterno ha la precedenza sugli interessi dell'Iraq. Prima di
imbarcarsi in misure controverse come questa legge, che favorisce le
società petrolifere straniere, il Parlamento e il governo iracheni
devono dimostrare di essere in grado di proteggere la sovranità del
Paese, e i diritti e gli interessi del popolo. Un governo che non sta
riuscendo a proteggere le vite dei suoi cittadini non deve imbarcarsi
in una legge controversa, che lega le mani ai futuri leader iracheni,
e che minaccia di sperperare la risorsa preziosa, finita, degli
iracheni in un orgia di sprechi, corruzione, e ruberie.

I funzionari governativi, fra cui il vice Prime Ministro, Barham
Salih, hanno annunciato che la bozza di legge è pronta per essere
presentata al Consiglio dei ministri per l'approvazione. Salih era
entusiasta dell'invasione dell'Iraq guidata dagli Usa, e
l'amministrazione guidata dalle milizie kurde che egli rappresenta ha
firmato accordi illegali sul petrolio che adesso sta cercando di
legalizzare. Dato che il parlamento non si sta riunendo regolarmente,
è probabile che la legge sarà approvata in fretta, dopo un accordo
raggiunto con una mediazione sotto gli auspici della occupazione Usa.

L'industria petrolifera irachena è in uno stato precario in
conseguenza delle sanzioni, delle guerre, e dell'occupazione. Il
governo, attraverso l'ispettore generale del ministero del Petrolio,
ha pubblicato rapporti schiaccianti di corruzione su vasta scala e
ruberie in tutto il settore petrolifero. Molti alti funzionari
tecnici competenti sono stati licenziati o degradati, e
l'organizzazione di stato per la commercializzazione del petrolio ha
avuto parecchi direttori. I ministeri e le organizzazioni pubbliche
stanno operando sempre più come feudi di partito, e prospettive
private, confessionali, ed etniche prevalgono sulla prospettiva
nazionale. Questo stato di cose ha risultati negativi per tutti,
tranne per quelli che sono corrotti e privi di scrupoli, e per le
voraci multinazionali petrolifere straniere. La versione ufficiale
della bozza di legge non è stata resa pubblica, ma non c'è dubbio che
essa sarà concepita per consegnare la maggior parte delle risorse
petrolifere alle multinazionali straniere in base ad accordi di
esplorazione a lungo termine e di produzione congiunta [production-
sharing agreements].

La legge petrolifera probabilmente aprirà la porta a queste
multinazionali in un momento in cui la capacità dell'Iraq di regolare
e controllare le loro attività sarà molto limitata. Essa perciò
metterebbe la responsabilità di proteggere l'interesse nazionale
vitale del Paese sulle spalle di pochi tecnocrati vulnerabili in un
ambiente in cui sangue e petrolio scorrono assieme in abbondanza. Il
senso comune, la giustizia, e l'interesse nazionale dell'Iraq
impongono che non sia consentita l'approvazione di questa bozza di
legge in questi tempi anomali, e che contratti a lungo termine di 10,
15, o 20 anni non debbano essere firmati prima che tornino pace e
stabilità, e prima che gli iracheni possano essere sicuri che i loro
interessi siano protetti.

Questa legge è stata discussa in segreto per gran parte dello scorso
anno. Bozze segrete sono state esaminate e commentate dal governo
Usa, ma non sono state diffuse al pubblico iracheno - e nemmeno a
tutti i membri del Parlamento. Se la legge verrà forzata in queste
circostanze, il processo politico ne sarà ulteriormente discreditato.
I discorsi su un fronte moderato che superi le divisioni
confessionali sembrano concepiti per facilitare l'approvazione della
legge e la svendita alle multinazionali petrolifere.

Gli Usa, il Fmi, e i loro alleati stanno utilizzando la paura per
portare avanti i loro piani di privatizzare e liquidare le risorse
petrolifere irachene. L'effetto di questa legge sarà quello di
marginalizzare l'industria petrolifera irachena e di erodere le
misure di nazionalizzazione intraprese fra il 1972 e il 1975. Essa è
concepita come un capovolgimento della Legge 80 del dicembre 1961 che
riprese la maggior parte del petrolio iracheno da un cartello
straniero. L'Iraq pagò caro per questa mossa coraggiosa: l'allora
Primo Ministro, il Generale Qasim, venne assassinato 13 mesi dopo, in
un colpo di stato a guida ba'athista che fu sostenuto da molti di
coloro che fanno parte della attuale alleanza di governo – compresi
gli Usa. Ciò nonostante, la politica petrolifera nazionale non fu
capovolta allora, e il suo capovolgimento sotto l'occupazione Usa non
sarà mai accettato dagli iracheni.


Kamil Mahdi è un accademico iracheno e senior lecturer di economia
del Medio Oriente all'Università di Exeter

(Traduzione di Ornella Sangiovanni)

Articolo originale:
http://www.guardian.co.uk/comment/story/0,,1991074,00.html


*** LA CAMPAGNA DI "UN PONTE PER..." ***

http://www.unponteper.it/informati/article.php?sid=1363


appelli e petizioni: Campagna Nazionale Contro I Profitti Di Guerra

Pubblicato 14 02 2007 da ufficio stampa

Un Ponte per... lancia la campagna nazionale contro la partecipazione
dell'ENI alla rapina del petrolio iracheno.

FIRMA LA LETTERA!

http://www.unponteper.it/sostienici/eni.php


Mentre la violenza sembra l’unica attrice sulla scena irachena,
dietro le porte blindate della Green Zone si va consumando un’altra
tragedia. Il parlamento iracheno sta per approvare la nuova legge che
regolamenterà il settore energetico e aprirà le porte ai cosiddetti
‘investimenti’ delle grandi multinazionali del petrolio, tra cui
l’italiana ENI.
La legge voluta dalla grandi multinazionali petrolifere, ENI inclusa,
prevede l’introduzione dei cosiddetti PSA – Production Sharing
Agreements – i quali consentiranno alle multinazionali enormi
profitti a scapito dell’erario iracheno.
Ma l’ ENI è anche nostra - il 32% delle azioni sono detenute del
Ministero dell’ Economia e Finanze – e questo ci impone di chiedere
con forza che la maggiore compagnia energetica italaina non firmi
accordi ‘immorali’ approfittando dell’ avventura militare, costata la
vita a centinaia di migliaia di civili innocenti.
Il petrolio iracheno non è ancora stato svenduto, la ‘Commissione
governativa sul petrolio’ mira all’approvazione della nuova legge
sugli idrocarburi per fine marzo: i sindacati del petrolio, la
società civile, la popolazione irachena non la vuole e chiedono il
nostro sostegno.
Qui sotto proponiamo la lettera che verrà inviata al Ministro
dell'Economia e Finanze Tommaso Padoa-Schioppa e al presidente
dell'ENI Roberto Poli.
FIRMA ANCHE TU LA LETTERA, così che il nostro messaggio di giustizia
e pace arrivi con forza sotto gli occhi di chi può fermare questa
truffa!!

http://www.unponteper.it/sostienici/eni.php

Per ulteriori informazioni:

Osservatorio Iraq
http://www.osservatorioiraq.it/search.php?query=petrolio
+psa&andor=AND&action=results&submit=Cerca

Carbonweb (inglese)
http://www.carbonweb.org/showitem.asp?article=4&parent=3

Truffa a Mano Armata (scarica il PDF)
http://www.unponteper.it/documenti/campagna petrolio/
crude_designs_italian.pdf

---

Alla Cortese Attenzione

Ministro dell’ Economia e Finanze, Tommaso Padoa Schioppa
Al Prresidente dell'ENI, dott. Roberto Poli

Gentile Ministro, Gentile Presidente,
ci rivolgiamo a voi, come cittadini italiani e, in quanto tali,
comproprietari dell’Eni, una società che vede una partecipazione
dello Stato, e quindi anche nostra, del 32%.

Mentre l’Iraq sprofonda giorno dopo giorno in una violenza senza
fine, il governo iracheno - sotto la pressione dell’amministrazione
statunitense e delle maggiori compagnie petrolifere - sta portando
davanti al parlamento iracheno una nuova legge che regolamenterà il
settore degli idrocarburi e conseguentemente anche i contratti con le
compagnie petrolifere internazionali.

E’ noto che, a seguito dell’occupazione del Paese, le condizioni che
il governo iracheno è disposto a concedere alle imprese estere
interessate a investire nello sfruttamento delle risorse petrolifere
e gasifere sono notevolmente migliorate a favore di tali imprese,
prefigurando la possibilità di una vera e propria rapina ai danni
della popolazione irachena, come è stato denunciato dal sindacato
iracheno dei lavoratori del petrolio, contrario alla svendita della
più importante risorsa del paese e che più volte ha chiesto che tale
legge venisse discussa con il coinvolgimento dei rappresentati del
settore. Evento che non si è mai verificato.

Siamo al corrente del fatto che l’Eni intende investire in Iraq e che
negoziati in tal senso erano già in essere prima della guerra
(accordo siglato con Saddam Hussein nel 1997), in particolare per lo
sfruttamento del giacimento di Nassiriya, proprio il luogo dove era
dislocata la missione militare italiana, e che anche dopo l’azienda
non ha mai smentito, anzi ha confermato, questo interesse.
L’interesse viene ulteriormente ribadito dalle dichiarazioni di Paolo
Scaroni – Amministratore Delegato dell’Eni – sull’inizio di test
sismici per conto della compagnia irachena da effettuarsi nel
Kurdistan iracheno e sull’interesse a fare affari nelle zone
dell’Iraq pacificato.

Noi non crediamo al caso, e in questi quattro anni abbiamo più volte
denunciato (ci sono state anche diverse interpellanze parlamentari)
che la partecipazione italiana alla guerra in Iraq poteva avere
importanti ricadute economiche per l’ENI e che la missione Antica
Babilonia era dislocata a Nassiriya per proteggere il petrolio
prenotato” dall’ENI.

Ci sembrerebbe immorale che, nel negoziare un possibile investimento
in Iraq, l’Eni approfitti di queste condizioni di miglior favore. Non
basta aver ritirato le nostre truppe dal Paese, e sarebbe un segnale
importante verso la popolazione irachena sostenerla nel mantenere il
controllo sulle sue risorse energetiche.

E’ stato calcolato, ad esempio, che in caso di applicazione delle
proposte delineate nel documento “Petroleum and Iraq's Future: Fiscal
Options and Challenger” - pubblicato nell’autunno 2004 dall’
International Tax and Investment Centre (ITIC) - di un ipotetico
Production Sharing Agreement (PSA) al giacimento di Nassiriya, l’Eni
potrebbe trovarsi a lucrare fino a 6 miliardi di euro in più rispetto
alle forme contrattuali utilizzate dall’Iraq prima della guerra.

La ITIC è, come sapete, una lobby volta a “consigliare i governi” in
merito a politiche fiscali ed economiche “responsabili”, come recita
il suo statuto. L’Eni ne fa parte insieme a Shell, Total, BP, Chevron
e dobbiamo credere che ne condivida le proposte e l’azione.

Non chiediamo che l’Eni non investa in Iraq. L’Iraq ha bisogno di
investimenti esteri e del know how di aziende come l’Eni per poter
rilanciare la produzione petrolifera, principale, se non unica,
risorsa su cui basare la ricostruzione del Paese, distrutto da 13
anni di sanzioni economiche e da tre guerre. Riteniamo però che
dovrebbe investire seguendo principi etici, e cioè non approfittando
di una guerra illegale che la maggioranza degli italiani non voleva.

Riteniamo che l’Eni dovrebbe perciò dichiarare la propria
disponibilità a negoziare sulla base delle condizioni che l’Iraq
proponeva prima della guerra, in ossequio ai Principi stabiliti nel
documento ‘Responsabilità d’impresa – Valori e
Comportamenti‘ ( http://www.eni.it/external/eniit/eni/servlet/view/
eni/upload/responsabilita_impresa/etica_del_business/
_2QMm_0_xoidcmWopk/Responsabilita_dimpresa.pdf?
lang=it&sessionId=12397014 ) che l’azienda ha adottato, in
particolare in merito a “Etica degli affari”, “Rispetto degli
stakeholders”, “Rispetto dei diritti umani”, “e “Cooperazione”.

L’Eni potrebbe intanto rendere esplicita tale volontà uscendo dalla
ITIC e prendendo le distanze dalle proposte che questa ha avanzato, e
che sembrano essere le idee guida della nuova legge sul petrolio.

Comprenderanno che sarebbe inaccettabile che l’Italia, da un lato
invii aiuti umanitari per qualche decina di milioni di euro, e
dall’altro, attraverso una azienda che è anche nostra, sottragga
all’erario iracheno miliardi di dollari.

Chiediamo inoltre un incontro per poter meglio illustrare la
situazione e ascoltare la posizione del Ministro e del governo.

Primi Firmatari:

Fabio Alberti - Un Ponte per...
Claudio Avvisati - Delegato RSU Eni Roma
Raffaella Bolini - ARCI
Edo Dominici - A Sud
Giulio Marcon – Lunaria
Alessandra Mecozzi – Responsabile Ufficio Internazionale FIOM-CGIL
Margherita Paolini - Direttore Responsabile di oltreillimes.net
Michele Paolini - Giornalista economico
Luigia Pasi – SdL Intercategoriale
Antonio Tricarico - Campagna per la Riforma della Banca Mondiale
Rosita Viola - ICS


http://www.unponteper.it/sostienici/eni.php