Picchiato a sangue da quattro agenti, davanti alla baracca dove viveva
Due giorni prima era stata picchiata sua figlia dodicenne, e lui aveva osato protestare
Spedizione punitiva della polizia contro un rom e la sua bambina
Laura Eduati
Un rumeno di etnia rom, Stelian Covaciu, è stato picchiato a sangue
da quattro agenti della polizia. E' accaduto nella tarda serata di
giovedì, accanto alla baracca dove vivono Stelian e la sua famiglia,
a pochi passi da piazza Tirana, Milano. Soltanto martedì scorso la
figlia di Stelian, Rebecca Covaciu, 12 anni, era stata aggredita da
due agenti in borghese che poi avevano spintonato il padre e dato
sberle al fratellino quattordicenne Jon urlando: «Zingari di merda,
se non ve ne andate vi ammazziamo e distruggiamo tutto». Dopo il
pestaggio di venerdì Stelian, 40 anni, missionario evangelico
pentecostale, è stato ricoverato all'ospedale San Paolo dove gli
hanno riscontrato un trauma cranico e segni di forti percosse. E'
stato dimesso ieri con una prognosi di sei giorni. La polizia lo ha
interrogato ma Stelian non ha voluto sporgere denuncia: teme di
venire espulso in quanto non ha ancora trovato una occupazione. Gli
agenti che l'hanno accompagnato in ospedale a bordo dell'ambulanza
gli hanno detto: «A noi puoi raccontare la verità». La verità esce
dalla bocca di Rebecca, la figlia dodicenne di Stelian. Rebecca è una
bimba prodigio. Dipinge su tela e illustra la sua vita nelle
baracche, tra topi e immondizia. I suoi disegni sono stati esposti e
poi acquisiti in permanenza dall'Archivio storico di Napoli per la
Giornata della Memoria del 2008. Per le sue doti artistiche, Rebecca
ha ricevuto il premio Unicef 2008. E venerdì sera da quelle due
volanti ha visto scendere anche uno dei due uomini che l'avevano
aggredita martedì.
Milano, pochi giorni prima avevano malmenato anche la figlia.
La Questura nega l'aggressione
«La polizia mi ha picchiato a sangue»
Un rom accusa quattro agenti
Un uomo sui 35 anni, con gli occhiali, che avrebbe chiesto alla madre
Gina: «Mi riconosci?». E lei, per paura, ha negato. Poi l'uomo si è
rivolto al capofamiglia Stelian: «Hai fatto un errore a parlare con i
giornalisti, un errore che non devi ripetere», poiché dopo
l'aggressione alla figlia, Stelian aveva immediatamente contattato
l'associazione di cui fa parte, la Everyone, che ha diramato un
comunicato urgente a tutti i mezzi di informazione. A quel punto i
quattro agenti si sarebbero infilati i guanti, e Rebecca quei guanti
li ha riconosciuti: erano gli stessi che i suoi aggressori avevano
indossato prima di perquisirla e picchiarla. Gina, 37 anni, ha visto
che il marito Stelian veniva trascinato dietro la baracca mentre
Rebecca e il fratellino Jon si erano rintanati dentro le mura di
cartone, terrorizzati. A quel punto gli agenti lo avrebbero picchiato
selvaggiamente. «Non raccontarlo a nessuno o per te saranno guai
ancora peggiori», hanno detto i poliziotti prima di andarsene. Quando
è arrivata l'ambulanza Stelian non riusciva a parlare, in evidente
stato di choc.
Gina è riuscita a prendere il numero di targa di una delle due
volanti. Eccolo: E5228. Poiché la baracca dei Covaciu sorge isolata
nei pressi della stazione San Cristoforo, nessuno al di fuori della
famiglia ha potuto assistere al pestaggio. Ma una ventina di rom che
si trovavano in piazza Tirana quella sera ricordano perfettamente di
aver visto due volanti della polizia dirigersi verso la dimora dei
Covaciu. La Questura di Milano nega che Stelian sia stato picchiato e
ricostruisce l'episodio dicendo che effettivamente nella serata di
venerdì degli agenti della Polizia Ferroviaria si sono diretti dai
Covaciu per allontanarli dalla baracca «vincendo le iniziali
resistenze dell'uomo» con metodi che però hanno evitato «conflitto e
tensioni». Non finisce qui: la Questura promette di accertare
eventuali ipotesi di reato. La Procura di Milano ha avviato una
indagine. La famiglia Covaciu ha lasciato la Romania due anni orsono.
La città di origine si chiama Arad. Si sono trasferiti a Milano,
andando ad occupare baracche abusive che via via le forze dell'ordine
facevano sgomberare. Pochi mesi fa avevano deciso di cambiare aria,
si sono stabiliti a Napoli, ma dopo il rogo del campo rom di
Ponticelli hanno avuto paura delle e sono tornati a Milano. Da poche
settimane il prefetto di Milano, Gian Valerio Lombardi, ha dato il
via alla schedatura dei rom e dei sinti presenti sul territorio
milanese nei campi regolari e abusivi. La schedatura avrà come
risultato la distinzione tra persone con i documenti in regola per il
soggiorno, e persone che non potranno rimanere in Italia e che per
questo verranno allontanate o espulse. Ciò sta accadendo anche a Roma
e Napoli, dove a bambini e adulti le forze dell'ordine stanno
prendendo le impronte digitali. Allo stesso tempo continuano gli
sgomberi delle baracche abusive. Non si contano, ormai, le
associazioni e gli organismi internazionali che denunciano il clima
di razzismo e xenofobia nei confronti degli stranieri e specialmente
nei confronti dei rom. Se dei poliziotti picchiano a sangue un rom
durante una operazione di sgombero, significa che si sta diffondendo
una sorta di impunità. Se un deputato leghista come Matteo Salvini
paragona gli zingari ai topi senza che nessuno muova un ciglio, non
sorprende che qualche poliziotto razzista si senta nel diritto di
agire in modo violento e crudele, anche nei confronti di una bambina
di appena dodici anni, perquisita in malomodo alla stazione San
Cristoforo di Milano e poi presa a schiaffi in una sala d'aspetto
mentre un capostazione, attirato dalla urla, cerca di interrompere la
perquisizione brutale. Non possiamo scaricare sull'intera Polizia la
responsabilità dell'episodio. Ecco perché chiediamo al capo della
polizia Giorgio Manganelli, al ministro dell'Interno Roberto Maroni e
al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano di fare luce su
quello che è accaduto a Stelian e Rebecca. Non si tratta soltanto di
fare giustizia e di condannare gli agenti implicati, ma anche di
scrollarci di dosso l'etichetta di Paese razzista. Un'etichetta che
ci fa orrore.
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From: "tommaso vitale"