Foibe: le responsabilità del fascismo

1) Le responsabilità del fascismo (G. Scotti)

2) Parziale dietrofront di Napolitano: tentata ricucitura con Slovenia e Croazia

3) Sull'irredentismo di Gianfranco Fini


SEGNALAZIONI VIDEO ONLINE:

# Contro l'imperante falsificazione della storia: contributi video in occasione della "giornata del ricordo"
10 febbraio 2009. Conversazione, in occasione della "giornata del ricordo", con Alessandra Kersevan, coordinatrice della collana Resistenza storica che ricostruisce le vicende del confine orientale, il nazionalismo italiano, il fascismo, il nazismo e le foibe. Un contributo importante contro l'imperante falsificazione della storia.
 
Foibe: no alla falsificazione della storia (Prima parte della conversazione)
Foibe: Fascisti e nazisti (Seconda parte della conversazione)
Foibe: tra storia e mito (Terza parte della conversazione)
 
# FOIBE, REVISIONISMO DI STATO E AMNESIE DELLA REPUBBLICA
Video intervista ad Alessandra Kersevan
Lo scorso 5 febbraio, in un clima teso da minacce fasciste e dal diniego della Biblioteca Comunale da parte della giunta PD del Comune di Pisa, si è svolta la presentazione del libro "FOIBE, REVISIONISMO DI STATO E AMNESIE DELLA REPUBBLICA - Atti del convegno foibe: la verità", con una articolata relazione della ricercatrice storica Alessandra Kersevan.
In quella giornata abbiamo intervistato Alessandra Kersevan sui temi toccati dal volume e dalla ricerca che da anni storici e ricercatori militanti come lei portano avanti con encomiabile determinazione, nonostante l'ostracismo bipartisan e le minacce di una destra reazionaria sempre piu' aggressiva.
Vi proponiamo questa breve intervista come contributo alla incessante lotta antirevisionista che comunisti, antifascisti e democratici conseguenti portano avanti da decenni nel nostro paese.
A cura della Rete dei Comunisti di Pisa


# UN CASO DI REVISIONISMO MEDIATICO
Nel 2005 la RAI manda in onda la fiction "Il cuore nel pozzo": un esempio chiarissimo di quello che abbiamo definito "revisionismo mediatico"...



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Il Manifesto 11.02.2009

COMMENTO   |   di Giacomo Scotti
FOIBE

Le responsabilità del fascismo

Sì, era necessario strappare all'oblio «le vittime delle foibe, dell'esodo giuliano e le vicende del confine orientale» come vuole la legge del marzo 2004 che istituì il Giorno del ricordo. Ma negli ultimi quattro anni quel giorno, il 10 febbraio, è diventato occasione per i nostalgici del fascismo di una massiccia operazione di revisionismo storico e di revanscismo, occasione di una poderosa campagna anti-slava e di manifestazione di un esasperato nazionalismo-irredentismo di frange politiche italiane, forti soprattutto a Trieste. Ha fatto bene dunque il presidente Napolitano, a denunciare ieri questi orientamenti. 
Ha fatto benissimo, soprattutto, a denunciare la «dura esperienza del fascismo», le «responsabilità storiche del regime fascista», le sue «avventure di aggressione e di guerra», le «sofferenze inflitte alla minoranza slovena negli anni del fascismo e della guerra». Avrebbe potuto aggiungere anche le sofferenze subite nel tristo ventennio e nella guerra dalle popolazioni croate dell'Istria e della regione guarnerina, dalle isole alla Liburnia. Senza dimenticare lo sterminio di oltre 350 mila sloveni, croati, serbi, montenegrini e jugoslavi nelle regioni occupate e/o annesse dal 3 aprile 1941 al settembre 1943 (Montenegro, Dalmazia, larghe fette di Croazia e di Slovenia) ed altre 35 mila vittime uccise da fame e malattie in oltre 60 campi di internamento per civili sparsi dal nord al sud d'Italia.
Anche quest'anno però assistiamo al ripetersi di regie consolidate negli anni passati quando, dalle celebrazioni del Giorno del ricordo, sono stati esclusi gli storici democratici ed obiettivi per essere egemonizzate da fanatici astiosi e rancorosi che speculano sul dolore dei familiari degli infoibati, sul dolore degli esuli; da politici dell'estrema destra neofascista, da forze che si richiamano alla medesima ideologia, che in nome della guerra allo slavo-comunismo e della civiltà romana contro la «barbarie», portò l'Italia ad aggredire la Jugoslavia, ad espandersi all'est. Il risultato fu la catastrofe, la sconfitta, la perdita dei territori orientali annessi dopo la grande guerra; furono le vendette delle vittime di quell'aggressione e di quella guerra, e dopo la firma del trattato di pace del febbraio 1947, un esodo di 200-240 mila istriani fiumani e zarattini che lasciarono quelle terre optando per l'Italia, per continuare ad essere italiani, o perché insofferenti del regime di Tito, o per motivi economici, familiari ed altro. Questi esuli furono le vittime principali della catastrofe. Ma in quegli anni (15 anni durò l'esodo, per concludersi a fine anni '50) abbandonati e ignorati dalla sinistra, quei disgraziati divennero serbatoio di voti per del Msi e della Dc, mentre oggi continuano ad essere strumentalizzati dai figli e nipoti ideologici di Almirante. 
Proprio in questi giorni un autorevolissimo «figlio di Almirante», Gianfranco Fini, ha inaspettatamente esaltato a La Spezia le imprese della divisione Decima Mas. È un modo indiretto per riabilitare i crimini di quei continuatori del fascismo che compirono i più orrendi delitti proprio nelle «terre del confine orientale», aggregati al terzo Reich come Adriatische Kunstenland litorale adriatico. Si tende così a riabilitare un regime che - dopo aver tentato di eliminare dalla Venezia Giulia le popolazioni slave con repressioni di ogni genere - dopo gli eccidi compiuti nella seconda guerra mondiale in quelle stesse e in altre regioni slave, dopo le foibe e l'esodo, sfruttano il Giorno del ricordo per seminare insofferenza e sospetti, verso gli italiani rimasti nelle terre istro-guarnerine e nuovo odio verso sloveni e croati. Stravolgendo la storia, usando nei loro testi e discorsi la medesima roboante e falsa terminologia mussoliniana.
Fino a quando il giorno del ricordo sarà il giorno del rancore e dell'odio verso croati e sloveni? Fino a quando l'Adriatico, nobilitato per secoli dall'osmosi di uomini e culture fino al tragico 900, potrà assorbire il veleno di quei predicatori? I quali dimenticano le tante Marzabotto chiamate kampor (isola di Arbe, 4000 morti in dieci mesi di lager), Pothum presso Fiume (100 fucilati in un solo giorno e 800 deportati), Gaiana presso Pola, Lipa presso Abbazia e tanti altri eccidi subiti da popolazioni «feroci» che dopo l'8 settembre vestirono, rifocillarono e nascosero ai tedeschi decine di migliaia di nostri soldati allo sbando. Certo, ci furono le foibe istriane del 9-30 settembre '43, ma c'erano state, non dimentichiamolo, decine di migliaia di vittime dell'occupazione italiana dal 1941 al 1943, e in quello stesso triste 1943, dal 4 ottobre in poi, ci furono le vendette dei fascisti. Che massacrarono 5000 civili e ne fecero deportare altri 17 mila, con le rappresaglie del reggimento «Istria» comandato da Italo Sauro e da Luigi Papo da Montona, della guardia nazionale repubblicana (poi milizia territoriale), della Decima Mas di Borghese operante con compagnie agli ordini di nazisti a Fiume, Pola, Laurana Brioni, Cherso, Portorose, della compagnia «mazza di ferro», comandata da Graziano Udovisi, della Brigata nera femminile «Norma Cossetto» presso Trieste, della VI brigata nera Asara e altri reparti. Si macchiarono di tali crimini che la loro ferocia fu denunciata persino dal Gauleiter Rainer, il quale chiese ufficialmente, con un telegramma al generale Wolff, il ritiro della Decima Mas dalla Venezia Giulia a fine gennaio 1945. Nel documento si parla di «una moltitudine di crimini, dal saccheggio allo stupro», dalle stragi di massa agli incendi di interi villaggi. 
Oggi quegli assassini vengono esaltati per aver «difeso fino all'ultimo le terre orientali d'Italia contro le orde slave». I loro morti, caduti in battaglia all'inizio del maggio 1945, vengono inclusi fra gli infoibati! Basta, voltiamo pagina, guardiamo al futuro. Che sia di pace e di convivenza per i nostri figli.


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Sulle dichiarazioni scandalose di Napolitano per il Giorno del Ricordo 2007, e sull'incidente diplomatico da quelle causato, si veda: 

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Il Manifesto 11.02.2009

APERTURA   |   di Andrea Fabozzi - ROMA

STORIA E MEMORIA - 10 FEBBRAIO Il «giorno del ricordo» voluto dalla destra nel 2004

Napolitano ricorda le foibe 
Ma non scorda il fascismo

Nel pieno dello scontro istituzionale con la maggioranza e il presidente del Consiglio, il capo dello stato per la prima volta da quando è in carica parla delle violenze della Jugoslavia di Tito senza dimenticare le responsabilità del regime italiano e mette uno stop a «revisionismo e nazionalismo». Ricucitura con Slovenia e Croazia

In una cerimonia ingessata come quella del giorno del ricordo - un'oretta scarsa di discorsi al Quirinale, autorità in prima fila, segue "caleidoscopio musicale" per viola - l'attesa è solo per le parole del capo dello stato. Tanto più se quelle parole che in Italia la destra aspetta al guado ogni anno (sono stati quelli di An a volere per legge questa giornata, recuperando nel 2004 l'abitudine missina di legare la memoria delle foibe al nazionalismo, all'anticomunismo e al revisionismo storico) arrivano quest'anno a seguito delle polemiche della maggioranza contro il capo dello stato per la mancata firma al decreto su Eluana Englaro e nel pieno dello scontro istituzionale. E proprio ieri, per la prima volta, Giorgio Napolitano ha usato parole molto chiare sulle responsabilità italiane e fasciste a monte della tragedia delle foibe istriane. Risultato: nessun Gasparri quest'anno ha festeggiato «l'ammissione delle colpe della sinistra» (così commentò il discorso presidenziale del 10 febbraio 2007). Ma nessuno della maggioranza e del governo ha nemmeno polemizzato perché già troppo alta è la tensione con il Quirinale. Per apprezzare i sentimenti di Alleanza nazionale si deve così registrare il commento di un'assessora regionale del Veneto: «Napolitano rappresenta la sua storia personale ma non quella del popolo italiano». Il senatore Gasparri di certo condivide eppure adesso tace.
Proprio da un accenno alla vicenda Englaro è partito ieri il capo dello stato, parlando di «momento di dolore e turbamento nazionale che può divenire anche di sensibile e consapevole riflessione comune». Ma il cuore del suo discorso è stato ovviamente la rievocazione storica, pronunciata «come presidente della Repubblica italiana risorta in quanto stato alla vita democratica anche grazie al coraggio e al sacrificio dei civili e dei militari che si impegnarono nella Resistenza fino alla vittoria sul nazifascimo». Secondo Napolitano il giorno del ricordo «non ha nulla a che vedere col revisionismo storico, col revanscismo e col nazionalismo». «Innanzitutto» secondo il presidente «la memoria che coltiviamo è quella della dura esperienza del fascismo e delle responsabilità storiche del regime fascista, delle sua avventure di aggressione e di guerra. E non c'è espressione più alta di questa nostra consapevolezza - ha proseguito Napolitano - di quella che è segnata nell'articolo 11 della nostra Costituzione là dove è sancito il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli».
Difficile che questa chiara presa di posizione non abbia nulla a che vedere con le polemiche degli ultimi giorni, con gli attacchi di Silvio Berlusconi tanto al Quirinale quanto alla Costituzione «ispirata dalla costituzione sovietica». Difficile soprattutto perché nei suoi due interventi precedenti (dal 2006, dopo un primo anno in sordina, il giorno del ricordo si celebra al Quirinale come voluto da Carlo Azeglio Ciampi) Napolitano non aveva fatto alcun cenno al fascismo. Aveva invece insistito sul «disegno annessionistico slavo» come origine dell'esodo istriano e fiumano e della strage delle foibe istriane. Tanto che prima il presidente croato Mesic poi quelli sloveno Turk si erano risentiti accusando l'Italia di razzismo. L'incidente diplomatico è stato ricomposto con difficoltà e solo di recente (i chiarimenti di Turk sono di dieci giorni fa) e nel suo discorso di ieri il presidente italiano ha fatto un cenno alla «giovane personalità del presidente sloveno che ho avuto modo di apprezzare». «Con gli stati di nuova democrazia e indipendenza sorti ai confini dell'Italia vogliamo vivere in pace e in collaborazione» ha detto Napolitano. Ma soprattutto ha aggiunto che l'Italia «non dimentica e non cancella nulla, nemmeno le sofferenze inflitte alla minoranza slovena negli anni del fascismo e della guerra». Discorso chiaro ma non certo quello che la maggioranza oggi al governo si aspettava quando cinque anni fa, in due mesi e con il consenso dell'attuale partito democratico, inventò la data del 10 febbraio.


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Sull'irredentismo di Gianfranco Fini


L'8 novembre 1992 Gianfranco Fini, segretario del partito neofascista MSI-DN, veniva ritratto al fianco di Roberto Menia (allora segretario della federazione MSI-DN di Trieste, noto per le spedizioni in Carso con i suoi camerati a demolire i monumenti ai partigiani a colpi di piccozza), al largo dell'Istria, nell'atto di lanciare in mare bottiglie tricolori recanti il seguente testo:

<< Istria, Fiume, Dalmazia: Italia!...
Un ingiusto confine separa l'Italia dall'Istria, da Fiume, dalla Dalmazia, terre romane, venete, italiche.
La Yugoslavia [con la Y, sic] muore dilaniata dalla guerra: gli ingiusti e vergognosi trattati di pace del 1947 e di Osimo del 1975 oggi non valgono piu'...
E' anche il nostro giuramento: "Istria, Fiume, Dalmazia: ritorneremo!" >>


Il 21 febbraio 2009 Gianfranco Fini, oramai Presidente della Camera dei Deputati, cioè terza carica dello Stato italiano, all'inaugurazione del monumento a Norma Cossetto affermava:

"Nostra intenzione è riportare in terra d'Istria non il tricolore di Stato, ma il dialetto, la memoria patria, la cultura, senza  spirito aggressivo (...) ricordando però che l'Istria è terra veneta, romana, dunque italiana."
"Occorre (...) combattere quelle piccole ma rumorose sacche di negazionismo o comunque di revisionismo che continuano a esserci, in uno spirito che deve essere quello della verità storica."

(fonte: il Piccolo del 22/02/2009, prima pagina, e ANSA)