"La giornata di una memoria". Da un articolo di Eugenio Curiel sul genocidio dei popoli slavi.
Un articolo di Eugenio Curiel del 1944 sul riscatto dei popoli jugoslavi, dopo il genocidio subito per opera degli italiani per ben 25 anni, mi da modo di tornare su un tema di scottante attualità politica, la cosiddetta "giornata della memoria".
Eugenio Curiel, scienziato e partigiano triestino morto a soli 32 anni nel febbraio 1945, aveva sempre dedicato molta attenzione, sin dall’adolescenza, al genocidio umano e culturale delle popolazioni slave inglobate a forza nel regno d’Italia dopo la prima guerra mondiale. Se ne occupò nuovamente nell'ottobre del '44, quando la vittoria contro i nazifascisti da parte dell'Esercito nazionale di liberazione jugoslavo (Belgrado fu liberata il 20 ottobre), determinò una situazione nuova di fondamentale importanza per la guerra a Hitler e soci in tutto il resto d’Europa. Con l’esigenza della lotta di liberazione, in Italia, di riaffermare la propria indipendenza, libertà e unità conculcate dal nazifascismo, la guerra aveva però posto anche il problema di quelle realtà nazionali violentemente menomate dalle mire di grandezza dello sciovinismo italiano, prima e dopo l’avvento del fascismo.
Come sappiamo, in tempi recenti, proprio gli accadimenti di questo periodo (1943-45), hanno suscitato l’attenzione del "nostro" mondo politico e culturale per le sorti degli italiani costretti alla fuga dalle terre occupate e soprattutto per quelli tragicamente finiti nelle “foibe”, un’esigenza ritenuta tanto forte da spingere le autorità governative a dedicargli una giornata commemorativa ufficiale. Senza voler entrare in dettaglio su questo argomento, sul quale del resto esiste una vastissima bibliografia, fa riflettere che nella gran parte dei casi la trattazione di questi fatti finisca per omettere o trascurare del tutto la durezza dell’occupazione italiana: i crimini compiuti negli anni del regime fascista a danno delle popolazioni slave, fino ai massacri compiuti con i rastrellamenti, le deportazioni, l’uso sistematico dei campi di concentramento prima e durante la guerra.
Su tutto ciò tornò invece Eugenio Curiel in un articolo, La nuova Jugoslavia, (pubblicato su «La Nostra Lotta», a. II, n.17, ottobre 1944), scritto proprio nella fase più calda di questa storia. Secondo il suo giudizio, con la fine della prima guerra mondiale, il regno jugoslavo fu il risultato di un compromesso deteriore tra le potenze occidentali interessate a spartirsi quanto più possibile i vecchi domini asburgici nei Balcani. Il piccolo regno, costruito attorno a Serbia e Montenegro, si vide privato di parte significativa del suo territorio a favore degli Stati confinanti, all’Italia venne assegnata la fetta più consistente di territorio. Per croati e sloveni iniziò da subito un periodo drammatico, ben più duro e disumano del già pesante dominio austriaco, segnato da violenze e prevaricazioni finalizzate a sradicare le tradizioni culturali slave dei territori appena assimilati.
L’italianizzazione forzata con l’avvento del fascismo si fece ancora più brutale, insieme alla proibizione dei partiti e la soppressione della loro vivacissima stampa, a croati e sloveni venne impedito l’utilizzo della loro lingua, nelle scuole come nei luoghi di culto. Alla massiccia occupazione militare e burocratica fascista si accompagnò la consapevole distruzione della struttura economico-sociale locale: annientato il «ricco patrimonio cooperativo», le casse artigianali e l’articolazione sociale e cultrale del mondo contadino, sulle regioni dell’Istria e della Carsia il capitale bancario italiano finì per stritolare ogni residuo di vivacità autonoma fino a fare di queste le regioni con il più alto debito ipotecario in Italia, queste le parole di Curiel in proposito:
"Chi non ricorda con orrore lo strazio che il fascismo ha fatto del popolo sloveno e del popolo croato, chi non ricorda la loro indomita volontà di liberazione che il regime di terrore non riusciva a fiaccare, chi non ricorda i martiri di Pola del 1929, i martiri di Basovizza del 1931 e tutti gli altri eroici caduti fino al compagno Tomasic e a tutti i fucilati di Trieste del 1941".
Distrutta l’economia contadina, basata sull’allevamento zootecnico, strangolato il suo sistema di credito tradizionale a queste regioni fu imposta una condizione di miseria e abbandono resa ancora più intollerabile dalle vessazioni di un’occupazione militare e culturale conforme alle pagine più buie della peggiore tradizione coloniale. Con lo scoppio della guerra e la fine del debole regno jugoslavo la brutalità dei fascisti italiani e dei nazisti tedeschi si fece assoluta, ciò nonostante dal basso si formò da subito, con le divisioni partigiane guidate da Tito, una fortissima resistenza armata popolare capace di sconfiggere truppe di occupazione e fiancheggiatori, ancora Curiel:
"A decine di migliaia gli arditi combattenti del popolo, a migliaia le coraggiose donne del popolo jugoslavo venivano massacrati e seppelliti nei campi di concentramento. Le truppe d’occupazione, ma anche le truppe dell’esercito fascista, italiani vesti dell’uniforme disonorante dell’aggressione e dell’infamia, distrussero villaggi, incendiarono case, decimarono intere regioni: ma per l’eroico popolo jugoslavo la brutalità, la barbarie scatenata furono la gran diana per la lotta di riscossa popolare".
In un contesto di guerra i torti si sommano ai torti e, per quanto possa essere più o meno condivisibile, prima o poi arriva il momento del "redde rationem". E' assolutamente corretto studiare storicamente e far conoscere politicamente quanto accaduto nelle Foibe, ma lo è altrettanto ricordare che prima quelle stesse Foibe furono utilizzate per le popolazioni slave: sottoposte (dal 1918 al 1943) a deportazioni di massa, cancellazione della propria specificità culturale, linguistica ed economica; soggette a operazioni di pulizia etnica di massa e su larga scala. Portare in rilievo solo il tragico epilogo di una brutta pagina storica, omettendo tutto quel che l'ha preceduta e, soprattutto, cancellando la responsabilità del nazionalismo italiano (affermatosi in quelle terre ben prima dell'avvento fascista), significa fare opera di mistificazione dei fatti. Si è sentito spesso dire negli ultimi anni che l'Italia ha necessità di una "memoria condivisa", tralasciando l'assurdità di una tale aspirazione (si può auspicare la condivisione del futuro e del presente ma la storia riguarda fatti già accaduti e vissuti, con relative scelte di parte, e condividerla significa riscriverla tendenziosamente), in realtà, anche in questo caso ciò che si vuole imporre non è una "memoria condivisa", bensì un punto di vista, parziale e unilaterale, quello italiano. Si sorvola con troppa disinvoltura sull'esistenza, ancora oggi, in quelle stesse regioni, di popolazioni slave oramai italianizzate ma che portano nel loro codice genetico le sofferenze, le violenze e le umiliazioni patite con l’accorpamento all’Italia. Sarebbe questa la “memoria condivisa” che si vuole offrire? Quale “giornata della memoria” sarebbe quella che mette sotto i riflettori della storia solo i “torti subiti dagli italiani” e cancella totalmente il “nostro” violento dominio sui popoli slavi?
Gianni Fresu
|
I crimini dell’Esercito italiano in Jugoslavia |
Storia e Memoria |
Scritto da Ivan Serra |
Giovedì 07 Febbraio 2013 14:48 |
A proposito del “giorno del ricordo”
I dieci anni passati dalla presentazione della legge per l'istituzione del giorno del ricordo, votata poi da tutto l'arco parlamentare con poche eccezioni, non hanno certo attenuato il carattere mistificatorio di questa ricorrenza. Già la scelta della data, così vicina a quella del 27 di gennaio, giorno dell'abbattimento nel 1945 dei cancelli di Auschwitz e commemorazione a livello internazionale delle vittime del nazismo, le tenderebbe a confondere e unificare.
In realtà il 10 febbraio 1947 il trattato di pace che fu firmato a Parigi con le potenze alleate vincitrici della guerra, considerava l'Italia sì cobelligerante contro la Germania dopo l'armistizio, ma pienamente corresponsabile della guerra di aggressione intrapresa e per questo punita. Lo stesso testo della legge dove si parla di tutte le "tormentate vicende del confine orientale", viene poi travisato nella realtà quando vengono solo ricordate foibe ed esodo, dimenticando proprio le guerre di aggressione a Russia, Grecia e Jugoslavia. Tra l'altro in questi ultimi territori i crimini italiani e fascisti non cominciarono neanche con la seconda guerra mondiale ma nel ventennio precedente al termine della prima, quando l'Istria, regione multietnica e multilingue, venne ceduta dall'Impero Asburgico all'Italia che impose la sua politica di snazionalizzazione fatta di persecuzioni, privazioni linguistiche e culturali verso sloveni e croati.
L’aggressione delle forze dell’asse il 6 aprile 1941 al regno di Jugoslavia a livello di vera e propria guerra non dichiarata portò alla smembramento dello stesso e all'annessione di parti del territorio occupato, abitato da popolazioni slave, con la creazione di nuove province e protettorati.
Complessivamente si stima che nei territori dei Balcani controllati dal regime fascista tra l'aprile del 1941 e il settembre 1943 almeno 350000 persone siano morte per cause connesse all'attività delle forze d'occupazione, nelle prigioni e nei campi di concentramento gestiti dagli italiani, vittime di rastrellamenti, fucilazioni e rappresaglie antipartigiane. Nei territori occupati 250000 furono le vittime jugoslave, mentre almeno 100000 le vittime greche non solo della repressione diretta ma anche di una tremenda carestia alimentare causata dalla disorganizzazione dell'amministrazione italiana. Queste cifre, fornite già nell'immediato dopoguerra dalla documentazione ufficiale jugoslava, sono confermate dai dossier della Commissione per i crimini di guerra delle Nazioni Unite, raccolti a suo tempo ma solo recentemente utilizzati per la prima volta per il documentario Fascist legacy. Realizzato nel 1989 per la Bbc e acquistato dalla Rai non fu poi mai messo in onda, almeno dalla tv pubblica (caso unico al mondo, secondo la Bbc stessa, di documentario comprato e subito archiviato).
La politica di Mussolini
Dopo la prima guerra mondiale i pregiudizi antislavi presenti nella classe dirigente italiana come elementi del nazionalismo e dell’irredentismo furono ben esemplificati da Mussolini che nel 1920 disse a Pola che bisognava “espellere questa razza barbara, inferiore slava da tutto l’Adriatico” . Una volta al potere il fascismo trasformò in legge tutto questo e gli oppositori alle politiche di snazionalizzazione e discriminazione fascista furono la maggioranza dei condannati del Tribunale Speciale (di 47 condanne a morte, 36 riguardavano sloveni e croati e 26 furono eseguite).
I programmi di “bonifica nazionale” del cosiddetto “fascismo di frontiera” degli anni venti e trenta trovarono attuazione già nel giugno 1940, quando il governatore della provincia dell’Istria propose d'istituire, tra Verona e Trento, campi di concentramento per gli slavi di quelle terre sospettati di sentimenti anti italiani. Il resto lo fecero, dopo l’occupazione dei territori jugoslavi nel 1941, le truppe del regio esercito comportandosi come veri e propri colonizzatori, portatori di una presunta superiore civiltà latina.
A questa civilizzazione forzata si opposero le popolazioni dei territori jugoslavi, arrivando a una rivolta che da insurrezione armata si trasformò poi in guerra di liberazione nazionale con un forte esercito partigiano. Le truppe italiane di occupazione, insieme con le altre forze dell’asse, applicarono misure da stato d’assedio giustificando distruzioni, deportazioni e fucilazioni al fatto di trovarsi di fronte a una popolazione che, non volendosi sottomettere o farsi assimilare, veniva considerata alla stregua di barbari da punire. In queste operazioni poi gli italiani si servirono anche di reparti di collaborazionisti come i fascisti croati ustascia o i cetnici nazionalisti serbi.
Nella provincia di Lubiana occupata e annessa dopo lo smembramento della Jugoslavia già nel settembre 1941 si applicava la pena di morte per il semplice possesso di materiale e pubblicazioni sovversive. Ogni azione partigiana prevedeva in risposta fucilazioni tra ostaggi civili. La famigerata circolare 3C del generale Mario Roatta, nella quale si leggeva che “il trattamento da fare ai ribelli non deve essere sintetizzato dalla formula dente per dente ma bensì testa per dente“ prevedeva le disposizioni su come effettuare rastrellamenti nelle zone rurali e rompere così l’appoggio popolare al movimento di liberazione. Il testo ordinava la fucilazione immediata di catturati in sospetto di essere partigiani, l’uccisione indiscriminata di ostaggi a discrezione dei comandanti impegnati nell’azione, l’internamento delle famiglie dei sospetti nei campi di concentramento, la distruzione totale delle abitazioni nelle zone interessate dalle operazioni con incendi attuati da reparti chimici, lanciafiamme, bombardamenti.
In Slovenia il totale dei villaggi distrutti dalle truppe italiane nel luglio 1942 era di 104 e nel complesso 60000 persone, il 18% degli abitanti della provincia di Lubiana furono deportati nei circa 200 campi di concentramento presenti su tutto il territorio italiano. Per risolvere il problema dell’italianizzazione di questa nuova provincia l’obiettivo finale era, per il generale Mario Robotti, il trasferimento e l’internamento di tutti gli sloveni, sostituendoli con italiani, facendo così coincidere le frontiere razziali con quelle politiche.
Italiani brava gente?
In totale oltre 100000 jugoslavi conobbero la durezza dei lager di Mussolini; in quello di Kampor sull’isola di Arbe/Rab la mortalità dei civili, in maggior parte donne, vecchi e bambini, superava la percentuale del campo nazista di Dachau. Si calcola che nei lager italiani circa 12000 furono le vittime jugoslave per denutrizione, stenti, maltrattamenti e malattie. La logica, secondo il generale Gastone Gambara, era quella che “campo di concentramento non significhi campo di ingrassamento. Individuo malato=individuo che sta tranquillo”.
Nel Montenegro occupato, formalmente monarchia alleata all’Italia ma praticamente un protettotato italiano, ci fu un'immediata insurrezione alla proclamazione del regno nel luglio 1941 che portò alla cattura da parte della popolazione di oltre 4000 occupanti. La risposta che venne, i primi stermini in massa di civili, fu opera del generale Alessandro Pirzio Biroli, che in precedenza aveva esortato “ho sentito dire che siete dei buoni padri di famiglia. Ciò va bene a casa vostra, non qui. Qui non sarete mai abbastanza ladri, assassini e stupratori.”
Per vincere la ribellione nessun mezzo era eccessivo e si garantiva l’impunità per ogni azione commessa, ordinando l’uccisione di 50 civili per ogni ufficiale italiano ucciso o ferito; la norma era diventata l’eliminazione di massa, l’incendio e la distruzione d'interi villaggi.
Anche nella Dalmazia occupata divenuta provincia italiana l’italianizzazione forzata non rifuggiva dalla prospettiva di espulsioni di massa mentre grandi rastrellamenti, massacri e fucilazioni erano all’ordine del giorno. All’interno dello Stato Indipendente Croato (regno con a capo, almeno formalmente, Ajmone di Savoia) serbi ed ebrei e rom furono le vittime di una feroce pulizia etnica attuata dagli ustascia sotto gli occhi dell’alleato italiano. I nazionalisti croati furono una creatura di Mussolini fin dal 1929, protetti e allevati in Italia in funzione del dissolvimento della Jugoslavia e alle mire imperialiste sui Balcani. Il rapporto con l’alleato ustascia nello stato fantoccio del duce croato Pavelic dall’inizio della guerra era variato dopo che l’influenza tedesca era aumentata a spese di quella italiana. I fascisti da grandi sponsor di Pavelic non riuscendo più a dominare la situazione giunsero anche a servirsi dei cetnici serbi nelle azioni contro i civili e le formazioni partigiane.
Il caso degli ebrei dalmati non consegnati dagli italiani agli ustascia e ai nazisti, o alla protezione di popolazione serba contro la furia fascista croata, utilizzato anche nelle trattative di pace nel dopoguerra come punto a favore per l’Italia fu invece strumentale ai rapporti con i cetnici e i nazisti. L’obiettivo dei fascisti croati di eliminare ebrei e serbi dal proprio territorio venne utilizzato politicamente dagli italiani, come sempre mascherando scontri etnici come opportunità per il proprio disegno di dominio (e comunque anche tra gli obiettivi dei fascisti come dei nazisti c’era l’espulsione totale degli ebrei dal proprio territorio nazionale, tra deportazione e sterminio la differenza era solo temporale).
Non ci fu in Italia un processo di Norimberga per i criminali di guerra italiani nonostante le Nazioni Unite, oltre che le singole nazioni aggredite, avessero raccolto materiale su centinaia di italiani, a partire dal 1935 e su tutte le guerre di aggressioni fasciste, dall’Etiopia alla campagna di Russia.
Capo del governo dopo la caduta del fascismo divenne nel 1943 Pietro Badoglio, uno dei nomi della lista per i crimini commessi in Etiopia; anche altri ufficiali si riciclarono nella nuova amministrazione e le mutate condizioni geopolitche del dopoguerra fecero slittare i processi, previsti anche dal Trattato di Pace, fino a una completa estinzione.
L’immunità che ha goduto il fascismo nel dopoguerra a livello di crimini commessi e di responsabilità personali, a differenza di quelli nazisti nei vari paesi europei, si è poi trasformato, grazie a varie complicità, in un certo revisonismo storico, in continuità col passato fascista arrivando infine al ribaltamento delle responsabillità per cui gli aggrediti diventano gli aggressori, le vittime i carnefici.
Il mito del “bono italiano” si dimostra, alla luce di tutto questo, quanto di più lontano dalla realtà storica; le politiche di occupazione fasciste nei Balcani infatti (o, tra le altre, le guerre coloniali in Africa) non si differenziarono più di tanto da quelle naziste.
La memoria selettiva di questo “giorno del ricordo” limitata alle sole foibe e all’esodo, avvallata non solo dalla destra nostalgica ma anche da forze fintamente progressiste, dimentica le vere cause che portarono a tutto questo, la barbarie compiute dal fascismo.
Leggi anche:
I campi di concentramento in Friuli: i crimini del fascismo contro i popoli jugoslavi di Alessandra Kersevan http://www.marxismo.net/content/view/610/156/La lotta partigiana presso il confine orientale: una rilettura necessaria di Gabriele Donatohttp://www.marxismo.net/content/view/610/156/-----------
Bibliografia
- Brunello Mantelli "Gli italiani nei Balcani 1941-1943: occupazione militare, politiche persecutorie e crimini di guerra" da Qualestoria N.ro 1 "L'Italia fascista potenza occupante: lo scacchiere balcanico" Giugno 2002
- AAVV "Revisionismo storico e terre di confine" Kappa Vu 2007
- Pero Morača "I crimini commessi da occupanti e collaborazionisti in Jugoslavia durante la seconda guerra mondiale" da AAVV "L'occupazione nazista in Europa" Editori Riuniti 1964
- Alessandra Kersevan "Lager italiani - Pulizia etnica e campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi 1941-1943" Nutrimenti 2008
- Report on italian crimes against Yugoslavia and its people Belgrade 1946
100 Foto a solo 1 € su Tiscali Photo
Offerta valida per un periodo limitato per i nuovi iscritti sui formati 10x.