Non solo a Mogadiscio, ma anche a Nassiriya gli italiani torturavano
Sulle torture inflitte dalle truppe di occupazione italiane in Somalia si veda ad esempio:
Somali torturati dagli italiani, le foto choc di un ex para' (Repubblica 6 giugno 1997)
La rabbia di Mogadiscio 'Italiani brutali e violenti' (Repubblica 13 giugno 1997)
Somalia, dalle torture allo stupro. Foto choc su una ragazza violentata (L'Unità 13 giugno 1997)
Nuovi orrori da Mogadiscio. Un testimone somalo: " Un bersagliere ha ucciso e stuprato un ragazzino " (CdS 22 giugno 1997)
Presentata la relazione della commissione Gallo… Violenze in Somalia, accuse ai comandi (Repubblica 27 maggio 1998)
Torture in Somalia, condannato Ercole (Repubblica 13 aprile 2000)
Ricordando la Somalia con rabbia (NoiDonne 1 Giugno 2005 )
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http://lanuovasardegna.gelocal.it/regione/2014/04/09/news/racconto-choc-di-due-militari-della-sassari-a-nassiriya-gli-italiani-torturavano-1.9013378
Racconto choc di due militari della Sassari: «A Nassiriya gli italiani torturavano»
Le rivelazioni alle “Iene” di un ex militare e di un effettivo: «La Brigata? No, mai. Lì agivano servizi segreti e uomini dei corpi speciali»
di Pier Giorgio Pinna
SASSARI. Choc, allarme e interrogativi. A più di 10 anni dalla strage di Nassiriya, rimbalzano in Sardegna testimonianze su avvenimenti inquietanti che potrebbe costringere a rivedere scenari sulla presenza italiana in Iraq. Le rivelazioni sono state raccolte dalle Iene Show. Riguardano una centrale per brutali interrogatori: accompagnati - ipotizzano gli intervistati - da sistematiche torture e umiliazioni su detenuti iracheni, con ogni probabilità membri della resistenza all’occupazione delle truppe straniere. La centrale sarebbe stata allestita in una zona periferica top secret di Nassiriya, a poca distanza dalla base fatta saltare in aria e dalla stessa sede dove si trovava il Comando della “Sassari” in quell’area.
I fatti noti. A parlare di atrocità finora attribuite solo a Cia e squadre speciali Usa ad Abu Ghraib (il carcere di Baghdad dove soldati statunitensi seviziarono prigionieri iracheni nel 2004) sono almeno due militari sardi. In tv alcuni figurano come ex appartenenti o effettivi della Brigata. E per questa sala degli orrori descritta come un “cubo di un centinaio di metri quadrati” loro stessi chiamano in causa non la “Sassari” ma uomini - dicono - del Sismi o di reparti scelti come il San Marco, il Col Moschin e incursori del Comsubin.
Puntate. Il programma televisivo ha mandato in onda le immagini e i servizi su questo caso rovente il 2 aprile scorso e in una precedente puntata di qualche tempo fa. Per stasera (9 aprile), sempre su Italia 1, è attesa un’altra serie di dichiarazioni da parte di un soldato che sostiene di essere della Brigata (vedere nella pagina a lato). L’uomo non compare nel video né dice come si chiama. Ma conferma l’esistenza di camere per le torture in Iraq.
Retroscena. Fin qui la sostanza degli avvenimenti svelati dalla trasmissione satirica e di denuncia delle reti Mediaset. Un servizio curato, oggi come in passato, dal presentatore-giornalista Luigi Pelazza. In queste rivelazioni l’aspetto più cupo (e destabilizzante rispetto ai compiti delle forze armate) è collegato alle affermazioni fatte davanti alle telecamere delle Iene mercoledì scorso dall’ex appartenente alla Brigata Leonardo Bitti, 40 anni sassarese con origini familiari tra Mara e Bonorva, l’unico che ha deciso di non trincerarsi dietro l’anonimato ma al contrario di raccontare con nome e cognome i fatti dei quali spiega d’essere stato testimone.
Immagini impressionanti. «Comunque né in quella centrale operativa né altrove ho mai visto in modo diretto italiani maltrattare prigionieri – ha spiegato anche alla “Nuova” l’ex militare – Ero arrivato in missione nel Paese di Saddam Hussein pochi giorni dopo la strage. All’inizio, come addetto ad alcune operazioni logistiche in quella parte di Nassiriya, ho notato dall’esterno che la zona era presidiata da nostri militari che non avevano le mostrine e a ogni modo non facevano certamente parte della Brigata Sassari. Alcuni avevano manganelli attaccati alle cinture. Poi, in altre giornate, per due mesi di seguito, sono potuto entrare in quell’edificio quando era vuoto. All’interno, diviso in tre ambienti, un odore disgustoso, tracce di sangue, urina, feci. All’esterno, vicino a tre tende, di volta in volta cinque o sei detenuti legati con fascette elettriche e incappucciati, alcuni nudi. Diversi avevano sulla schiena segni di manganellate».
Inchieste. In precedenza nello stesso video mostrato da Pelazza, insieme con sequenze di guerra, è stata rimandata in onda parte di un’intervista di quattro anni fa. Un giovane asseriva di essere un esperto d’interrogatori violenti. E sosteneva di lavorare per conto delle forze armate italiane durante missioni all’estero. Voce distorta, volto coperto, sembianze irriconoscibili, l’uomo ha parlato di come estorce le informazioni. E con quali metodi: «Schiaffi, pugni, elettrodi applicati sui genitali, stoffa imbevuta d’acqua e premuta sulla faccia per simulare l’annegamento». «Un bel lavoro, ben retribuito», ha dichiarato con impassibile cinismo l’“esecutore”, come lui stesso ha detto si chiamano in gergo quelli che conducono le torture sulle persone da interrogare. «Non posso rispondere», si è invece limitato a replicare alla domanda con la quale gli si chiedeva se avesse mai mutilato o ucciso qualcuno.
Accertamenti. «Dopo la messa in onda dei nostri servizi di qualche anno fa su questi fatti, la Procura di Roma ha aperto un’inchiesta – dice oggi Luigi Pelazza – Sono stato sentito 3-4 volte come persona informata, poi come indagato perché non li avevo convinti sulla ricostruzione delle modalità con le quali avevo stabilito certi contatti. Ma da allora non ne ho più saputo nulla». Leonardo Bitti spiega a sua volta di non essere stato ascoltato, per ora, dalla magistratura. «Sono comunque disponibile a raccontare quel che ho visto come ho fatto in trasmissione», sostiene.
9 aprile 2014