28 anni fa gli assalti della via Dobrovoljačka (Sarajevo) e della Brćanska Malta (Tuzla)
Il 3 maggio 1992 le milizie separatiste bosgnacche di Alija Izetbegović (presidente), Ejup Ganić (membro della Presidenza) e Jovan Divjak (comandante per la zona di operazioni di Sarajevo) assaltarono alle spalle la colonna dell'Armata Jugoslava (JNA), che percorrendo la Via Dobrovoljačka si ritirava pacificamente da Sarajevo verso la Serbia. La colonna era composta prevalentemente da giovanissime reclute, provenienti da diversi territori jugoslavi e non tutte "serbe". L'assalto proditorio causò una strage efferata: 42 morti, 73 feriti, 215 prigionieri.
La ritirata era stata concordata in base agli accordi che avrebbero dovuto consentire una composizione pacifica delle tensioni seguite alla illegittima secessione bosniaca. Mentre infatti la colonna della JNA veniva assaltata, i serbo-bosniaci liberavano Izetbegović, che avevano trattenuto dopo il suo ritorno dal Portogallo dove, su istigazione dell'ambasciatore USA Warren Zimmerman, aveva precedentemente sabotato il "piano Cutileiro". La strage della Via Dobrovoljačka fu una provocazione premeditata, mirata a gettare benzina sul fuoco della guerra civile incipiente, come dimostrato dal fatto che quel 3 maggio 1992 "l’Ambasciata statunitense a Sarajevo ha avvertito i propri concittadini di stare attenti e restare a casa, per via di eventuali incidenti e possibili episodi di violenza" (1).
Per quella strage e la concomitante violazione della Convenzione di Ginevra, nel febbraio 2010 su mandato Interpol spiccato in Serbia venne arrestato a Londra Ejup Ganić (2). Assieme a lui erano accusate e ricercate altre 17 persone. La responsabilità di Ganić è incontestabile non solo per il suo ruolo all'epoca (vice-presidente bosniaco de facto) ma anche perché il giornalista statunitense Jonathan Landay aveva sentito Ganić ordinare l'assalto contro la colonna JNA (3). Il crimine è stato ammesso anche dall'ex vice comandante di una unità speciale del Ministero degli Interni della Bosnia-Erzegovina, Zoran Cegar (4).
Dopo soli dieci giorni di arresto però Ganić fu rilasciato dietro cauzione di 300 mila sterline, versate da una miliardaria di origine bosniaca residente a Malibù in California (5).
Il 2 marzo 2011 venne arrestato anche Jovan Divjak, all'Aeroporto di Vienna mentre si recava in Italia per iniziative "pacifiste" promosse dalla lobby filobosgnacca (6) la quale si prodigò subito in una campagna per la sua incondizionata liberazione. Detto-fatto: dopo meno di una settimana anche Divjak fu scarcerato dietro pagamento di una cauzione di ben 500mila euro. A fine luglio seguì la scontata decisione della magistratura austriaca che, in osservanza alla vulgata NATO sulla guerra fratricida bosniaca, negò la sua estradizione. Ancora dopo il suo rilascio e fino ad oggi, gli amici italiani di Divjak si sono prodigati in sperticate lodi nei suoi confronti e in ricostruzioni pervicacemente unilaterali dei fatti specifici e della guerra civile bosniaca in generale (7).
Né Ganić né Divjak sono mai stati perseguiti dal tribunale "ad hoc" dell'Aja, che pure li ha indagati entrambi. Infatti per certi "tribunali" le responsabilità derivanti dall'essere a capo della "catena di comando" pesano solo se si è serbi.
Nel gennaio 2012 anche la Procura della Bosnia-Erzegovina ha deciso di interrompere l’inchiesta avviata localmente.
Per la strage insomma nessuno ha pagato, ed anche solo commemorarne le vittime sul posto è sempre stato e rimane difficile (8).
La strage della Via Dobrovoljačka peraltro non fu la prima né l'ultima carneficina ai danni dei militari del multietnico esercito jugoslavo di stanza in Bosnia.
Il giorno precedente, 2 maggio 1992, le milizie bosgnacche avevano attaccato la Casa della JNA a Sarajevo e diversi altri presidii militari, uccidendo 14 soldati jugoslavi.
Pochi giorni dopo a Tuzla, in un agguato a tradimento analogo a quello di Sarajevo, fu preso di mira il convoglio della 92ma brigata motorizzata della JNA: 92 morti e 33 feriti (9).
A crimini del genere non è stato dato alcuno spazio sui media occidentali.
a cura di Italo Slavo, 3 maggio 2020
Fonti e note:
Sulla "santificazione" di Dijak da parte di settori del "pacifismo" italiano si vedano anche, ad esempio:
"Jovan Divjak, mitico generale serbo della difesa di Sarajevo"
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Ginevra-infinita-speranza
Jovan Divjak incensato come autore di un libro su Sarajevo
http://www.balcanicaucaso.org/Libreria/Copertine/Sarajevo-mon-amour Paolo Rumiz faziosissimo a favore di Divjak:
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Jovan-Divjak-un-uomo-in-bilico-90163
Osservatorio Balcani Caucaso esulta per la liberazione di Divjak:
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Sarajovo-99632
2012: https://www.courrierdesbalkans.fr/sarajevo-serbes-et-bosniaques-s-opposent-lors-des-commemorations-de-l-attaque-de-la-rue-dobrovoljacka
"Jovan Divjak, mitico generale serbo della difesa di Sarajevo"
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Ginevra-infinita-speranza
Jovan Divjak incensato come autore di un libro su Sarajevo
http://www.balcanicaucaso.org/Libreria/Copertine/Sarajevo-mon-amour Paolo Rumiz faziosissimo a favore di Divjak:
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Jovan-Divjak-un-uomo-in-bilico-90163
Osservatorio Balcani Caucaso esulta per la liberazione di Divjak:
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Sarajovo-99632
La "canonizzazione" di Jovan Divjak in Italia continua ancora oggi; si veda il nostro comunicato di protesta nell'aprile 2019:
(8) Si vedano ad esempio:
2010: http://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Un-giorno-di-maggio-18-anni-fa-768502012: https://www.courrierdesbalkans.fr/sarajevo-serbes-et-bosniaques-s-opposent-lors-des-commemorations-de-l-attaque-de-la-rue-dobrovoljacka
(9) In merito riportiamo di seguito un articolo che in pratica contiene l'autodifesa dell'allora sindaco della città di Tuzla, ma che è pieno di incongruenze: ad esempio, il convoglio era "disarmato" ma da esso "hanno cominciato a sparare su dei civili di Tuzla" però la maggioranza delle vittime sarebbe stata causata dalla esplosione di "una cisterna piena d'olio" e di "esplosivi" nella colonna...
Anche sull'assalto della via Dobrovoljačka esistono ricostruzioni negazioniste ("6 morti"), si veda sempre il sito di Osservatorio Balcani Caucaso:http://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Un-giorno-di-maggio-18-anni-fa-76850
La guerra di Tuzla
08.01.2008
Ritorniamo sulla questione della cosiddetta “Brćanska Malta”, il sanguinoso scontro tra milizie territoriali e esercito jugoslavo avvenuto a Tuzla il 15 maggio 1992, con il racconto di Selim Bešlagić, ex sindaco della città accusato dalla Procura serba per quei fatti insieme ad altri 5 funzionari ed ufficiali. Da Slobodna Bosna
Di Mirha Dedić, per Slobodna Bosna, 22 novembre 2007
Traduzione di Nihad Hasanović per Le Courrier des Balkans, e di Carlo Dall’Asta per Osservatorio Balcani
All'inizio del novembre 2007, la Corte serba per i crimini di guerra ha incriminato Ilija Jurišić. E' accusato di «utilizzo di mezzi illeciti di combattimento nel corso dell’attacco ad una colonna di soldati dell’Esercito popolare jugoslavo (JNA), il 15 maggio 1992». Si tratta del primo atto d'accusa riguardante presunti crimini di guerra commessi contro membri della JNA sul territorio della Federazione di Bosnia-Erzegovina.
Secondo l’atto di accusa, Ilija Jurišić è accusato di aver ordinato, in qualità di membro delle truppe di polizia della riserva del ministero dell'Interno di Bosnia-Erzegovina e di ufficiale dei Servizi di sicurezza dello Stato, di aprire il fuoco sul convoglio della 92ma brigata motorizzata della JNA, dopo di che «dei cecchini hanno sparato uccidendo alcuni conducenti dei veicoli militari, bloccando loro il passaggio, per poi sparare su altri soldati». L’atto d’accusa sostiene che in quell'occasione almeno 92 soldati sono stati uccisi, mentre almeno 33 sono rimasti feriti.
La Corte serba per i crimini di guerra ha ricevuto questo dossier dalla Procura militare di Belgrado nel 2004. Lavora in cooperazione con la Procura della Bosnia-Erzegovina.
Ilija Jurišić, sospettato dalle autorità serbe del crimine commesso contro soldati della JNA, è stato arrestato l'11 maggio 2007 all'aeroporto di Belgrado. Malgrado l'offerta di una cauzione di 25.000 euro, la Corte serba ha rifiutato di rimetterlo in libertà. Il ministero della Giustizia della Bosnia-Erzegovina ha richiesto la sua estradizione, dato che Jurišić è cittadino bosniaco ed i crimini di cui è accusato sono stati commessi sul territorio della Bosnia-Erzegovina. Per di più la Procura della Bosnia-Erzegovina sta conducendo un'inchiesta sull'episodio, noto col nome di «colonna di Tuzla». Ciò nonostante, il Consiglio per i crimini di guerra del Tribunale dipartimentale di Belgrado respinge questa richiesta, perché la pena per un tale crimine potrebbe ammontare a dieci anni di prigione.
Come è stata attaccata la JNA?
Oltre a Ilija Jurišić, la Procura serba per i crimini di guerra ha incriminato altre cinque persone, considerate responsabili dell'attacco contro il convoglio della JNA. L’atto d’accusa menziona cinque alti funzionari della Tuzla dell'epoca: Selim Bešlagić, allora sindaco della città, Enver Delibegović, comandante di Stato maggiore dalla TO [Difesa territoriale della JNA] di Tuzla, Meho Bajrić, comandante del Posto di pubblica sicurezza di Tuzla, Budimir Nikolić, comandante del Centro servizi di sicurezza, e infine Muhamed Brkić, comandante del Dipartimento di polizia presso il Posto di pubblica sicurezza di Tuzla, recentemente deceduto.
Sono accusati di aver attaccato il convoglio disarmato della JNA che si stava ritirando, e di aver violato la Convenzione di Ginevra relativamente al comportamento verso i feriti. Dal mese di marzo 2007 figurano su un avviso di ricerca dell'Interpol. Su questa base, la Procura di Belgrado per i crimini di guerra ha domandato alla Corte di Bosnia-Erzegovina che queste persone siano arrestate e trasferite nella capitale serba. Ciò nonostante, dato che la Costituzione bosniaca non consente l'estradizione dei propri cittadini verso altri Paesi, sono stati interrogati di fronte alla Corte di Bosnia-Erzegovina, per poi essere rimessi in libertà.
Selim Bešlagić, a quell'epoca sindaco di Tuzla, spiega con precisione ciò che accadde il 15 maggio all'incrocio Brćanska Malta a Tuzla, chiarendo quali furono le responsabilità di Ilija Jurišić.
«Dal 15 al 19 maggio [1992], una unità della JNA si doveva ritirare da Tuzla. Tutte le [altre] unità si erano già ritirate prima del 15 maggio, salvo questa. Era composta da riservisti e da arruolati volontari. Non comprendeva che quattro soldati regolari della JNA. Noi comunque non lo sapevamo: per noi era solo una unità della JNA. Di mattino presto, il 15 maggio, si sono messi a requisire le armi della Difesa territoriale [TO]. Noi gli abbiamo detto: «Non potete portare via le armi della TO, perché queste armi appartengono agli abitanti di Tuzla». Dopo di che abbiamo mandato via il convoglio.
Poi inizia a prender forma un altro scenario: arriva il tenente colonnello Mile Dubajić che chiede una riunione urgente con i membri della Cellula di crisi di Tuzla. In questo incontro voleva riconsegnarci la sua caserma. Poiché tutti i membri della Cellula di crisi erano allora sul campo, io ho autorizzato Jasmin Imamović, allora segretario comunale di Tuzla, ed Enver Delibegović ad andare alla caserma per seguirne la riconsegna. Mile Dubajić li ha [invece] catturati. In seguito ha ordinato al convoglio di mettersi in marcia. È in quel momento che Meša Bajrić, all'epoca comandante del Posto di Pubblica sicurezza di Tuzla, mi ha chiamato dicendomi: «Partono alle sei. Cosa si fa?». Io gli ho risposto: «Lasciali passare, cos'altro si può fare?!». Ho dato quest'ordine perché un centinaio di convogli erano già passati da Tuzla e noi li avevamo tutti lasciati passare senza alcun problema. Tuttavia, oltre al fatto che avevano preso una parte delle armi della TO, avevano anche piazzato degli uomini su una scorta di esplosivi e mine. Noi non ne sapevamo niente. A parte questo, per essere sicuri di passare, hanno messo uno dei nostri uomini in testa, uno in mezzo e uno alla fine del convoglio. Arrivati all'incrocio della Brćanska Malta, hanno cominciato a sparare su dei civili di Tuzla.
La polizia era incaricata di accompagnare ogni convoglio e di assicurarne la sicurezza. Se uno di questi si metteva in strada in anticipo o senza annunciarlo, la nostra polizia aveva il compito di impedire dei possibili incidenti. Se si sparava dal convoglio e se dei cittadini erano in pericolo, la polizia doveva comportarsi secondo le sue regole e i suoi obblighi. Quindi, la polizia a più riprese ci ha chiesto cosa bisognava fare. Al momento dei fatti, il comandante del Servizio di pubblica sicurezza Bajrić, il comandante del Centro servizi di sicurezza Budimir Nikolić e l’impiegato Ilija Jurišić si trovavano nello Stato maggiore operativo di polizia di Tuzla. Meša Bajrić ha detto che si doveva rispondere al fuoco. Ilija Jurišić, che quel giorno era di servizio, ha trasmesso l'ordine di Bajrić.
Così abbiamo risposto al fuoco con il fuoco. A peggiorare le cose, una cisterna piena d'olio si è infiammata. Il fuoco ha invaso gli esplosivi e questo ha provocato l'esplosione di un camion dove c'erano dei soldati. 49 uomini hanno così trovato la morte, come anche alcuni cittadini di Tuzla. Alcuni abitanti della città sono usciti dalle loro case ed hanno aiutato i loro soldati. Sono loro che li hanno soccorsi prima che questi fossero portati all'ospedale. Gli inquirenti del Tribunale municipale e della Procura hanno immediatamente ispezionato la scena. Hanno interrogato tutti i feriti e tutti quelli che erano stati arrestati. L'indomani, aiutati dal colonnello Ugo Novković, abbiamo riorganizzato e riunito tutti i soldati con le loro armi. Abbiamo accompagnato circa trecento soldati agli autobus diretti verso la città di Bijeljina. Per concludere, noi non abbiamo trattenuto nessuno, non abbiamo messo nessuno né in prigione, né in un campo di prigionia. L’atto d’accusa denuncia anche il comportamento disumano che certi medici avrebbero avuto verso i feriti del convoglio. È scandaloso! A quell'epoca il capo del Dipartimento di chirurgia era Božidar Radević, che ora è il direttore del Programma nazionale dei trapianti in Serbia. Un atto d'accusa di questo tenore non può essere accettato!», sottolinea Selim Bešlagić.
Giudicare il crimine a Sarajevo o a Belgrado?
Il nostro interlocutore ci spiega come l’atto d’accusa contro i sei funzionari di Tuzla che parteciparono alla difesa della città sia stato predisposto a Belgrado.
Secondo le sue informazioni, nel 1994, la Procura militare della Repubblica federale jugoslava, su iniziativa del KOS (Servizio di informazioni), ha incriminato i comandanti della JNA che avevano condotto il convoglio attraverso Tuzla. L’esercito ha accusato il sotto-colonnello Mile Dubajić come anche i suoi superiori di non aver adeguatamente organizzato lo spostamento del convoglio. Eppure, a causa degli stretti rapporti tra la JNA e i quadri dell'esercito della Republika Srpska, questo caso è stato insabbiato al Tribunale militare di Belgrado, per poi trasformarlo in atto d'accusa contro le autorità civili di Tuzla. Dopo la fine della guerra in Bosnia-Erzegovina, l’atto d'accusa è stato trasmesso al Tribunale dell'Aja, che lo ha reinviato alla Procura bosniaca. A metà del 2002 anche le famiglie delle vittime del convoglio della JNA a Tuzla hanno sporto denuncia in Republika Srpska. Questo procedimento è ugualmente partito per l'Aja, da dove è stato reinviato agli organi competenti in Bosnia-Erzegovina. Nello stesso tempo a Belgrado, la Procura per i crimini di guerra ha ripresentato la denuncia che già era stata presentata alla Procura militare jugoslava. Questo atto d'accusa riguarda i sei cittadini di Tuzla.
I cittadini di Tuzla messi sotto accusa ritengono che l’attacco del convoglio della JNA avrebbe potuto essere stato sottoposto a giudizio, negli ultimi dodici anni, dalla Corte di Bosnia-Erzegovina. Essi ritengono il Procuratore di Bosnia-Erzegovina colpevole di non aver agito al momento opportuno.
«Il Tribunale dell'Aja ha detto che bisognava che questo caso venisse giudicato davanti alla Corte di Bosnia-Erzegovina. Dal 1995 al 2007, si sarebbe potuto facilmente giudicare questo caso. Dal 1995 io andavo ripetendo che era un processo che si doveva aprire, perché è difficile vivere per dodici anni col fardello di poter essere considerato come un assassino. Questo processo dev'essere condotto davanti alla Corte di Bosnia-Erzegovina. Se no, il dilemma persisterà e si crederà che noi abbiamo attaccato la colonna, che noi eravamo gli aggressori. Bisogna giudicare per sapere se noi ci stavamo difendendo o se invece attaccavamo. Quello che è certo è che in quell'occasione a Tuzla noi ci difendevamo», sottolinea Selim Bešlagić.
Nessuno degli accusati sapeva di figurare sull’avviso di ricerca dell'Interpol. È una mancanza delle istituzioni competenti di Bosnia-Erzegovina, che avrebbero dovuto saperlo.
«La stessa cosa può accadere alle persone che in Serbia saranno accusate del caso di via Dobrovoljačka. A causa del mandato, noi non possiamo viaggiare da nessuna parte perché ovunque, all'infuori del nostro Paese, potrebbero arrestarci per estradarci a Belgrado. Il ministero degli Affari esteri di Bosnia-Erzegovina deve inviare una lettera di protesta all'Interpol, precisando che gli individui ricercati si trovano in Bosnia-Erzegovina. Non è logico che l'Interpol ci ricerchi mentre noi in Bosnia-Erzegovina ci muoviamo tranquillamente, a disposizione dei tribunali bosniaci. Io potrei appoggiarmi alla mia immunità parlamentare, ma non voglio farlo. Voglio avere lo stesso trattamento degli altri accusati di Tuzla», dice Selim Bešlagić.
Oltre ai sei cittadini di Tuzla citati nel documento della Procura serba, quella di Bosnia-Erzegovina, nel corso della sua inchiesta preliminare concernente l’attacco contro il convoglio della JNA, ha citato il caso di quattro altri cittadini di Tuzla: Jasmin Imamović, all'epoca segretario comunale di Tuzla, Željko Knez, primo comandante del Secondo corpo dell'Esercito di Bosnia-Erzegovina, Mehmed Žilić, del Segretariato per la difesa popolare, Sead Avdić, presidente del Comitato esecutivo del Consiglio municipale di Tuzla, ed infine Faruk Prcić, che ha negoziato la partenza della JNA da Tuzla.
Il documento che apre l'inchiesta della Procura di Bosnia-Erzegovina, firmato dalla procuratrice Božidarka Dodik, menziona dei crimini molto più gravi di quelli riportati dal documento serbo. A titolo di esempio, certi individui sono incolpati di «aver messo del sale sulle ferite dei membri della JNA e di avergli colpito la testa con dei martelli, lungo il tragitto per l'ospedale».