Ancora su PRC/foibe


Sulla polemica seguita alla intitolazione della piazza di Marghera ai
"martiri delle foibe" ed alle dichiarazioni di Bertinotti su "foibe" e
"nonviolenza" vedi anche:

G. Pegolo: Ma si puo' costruire qualcosa da un cumulo di macerie?
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3156

La posizione di Bertinotti sulla violenza politica
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3095

Il commento di Claudia Cernigoi sulle dichiarazioni di Bertinotti
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3088

Foibe: dalla propaganda fascista al revisionismo storico. Un opuscolo
di controinformazione
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2951

Foibe e monumenti
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2855

Spunti di discussione
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2852

Luca Casarini ed i suoi squadristi
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2838

I "Centri Sociali del Nord Est" di nuovo in azione
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2830

---

(da "Liberazione", 10/2/2004)

Dell'intervento del compagno Bertinotti a Venezia ho un'opinione
decisamente negativa. Tanto per cominciare è stato un intervento già
preparato, le sue conclusioni erano pronte da prima del convegno e non
hanno tenuto nessun conto degli interventi del convegno stesso,
soprattutto dei due più interni all'argomento "foibe", quello di Joze
Pirivec e quello di Giacomo Scotti, che hanno, entrambi, detto cose
addirittura in antitesi con certi "assunti storici" dati per scontati
da Bertinotti. In secondo luogo, come tutto il convegno, era una cosa
da fare "prima" dell'intitolazione del piazzale di Mestre e non dopo,
quasi costretti dai fatti e obbligati a ripiegare in qualche modo sulle
posizioni dettate da "centrosocialisti" e diessini vari. In terzo luogo
ho dovuto rilevare la scarsezza di approfondimento storico
sull'argomento: dire che «il nostro storico Spazzali ha detto che a
Basovizza ci sono 600 morti perciò va bene così» (anche se non nel
corso del dibattito ma negli incontri di corridoio) è cosa
sconcertante; Spazzali non è "storico nostro", ma della destra, anche
se democratica e, soprattutto, non risulta aver mai detto
dell'esistenza dei 600 morti a Basovizza.

In quarto è stato politicamente intempestivo, perché andare a valutare
oggi, con conclusioni di quel tipo, le cose significa dare spazio ed
avallare le tesi della destra radicale: voglio vedere come farà
Bertinotti ed il partito a rifiutare la proposta della giornata della
memoria delle foibe istriane fatta da Fini, con tutti i falsi storici,
politici e morali e con l'automatica rivalutazione dei fascisti locali
che quella proposta comporta.

Ma ora scenderò nei dettagli, scusandomi per l'incompletezza della
trattazione, anche perché la cosa per essere fatta seriamente dovrebbe
avere più voci, ma soprattutto molto più tempo. Certo su questi
argomenti bisognerebbe fare molta, molta chiarezza.

Quando in un confronto una delle parti comincia col meschinizzare le
idee dell'altra il confronto comincia molto male, soprattutto se a
farlo è la parte "più forte", quella che è nelle posizioni più visibili
e più rappresentative. Però questa posizione "ridicolizzante" è anche
il segno che le convinzioni di chi discute sono deboli e poco
difendibili se non con metodi discutibili, in quanto la ragione le può
smontare e dimostrarne la pochezza, sia storica che politica. Quindi
spero che le posizioni che ora rileverò del nostro segretario siano
solo una caduta di stile e non la ricerca di questo metodo di
demonizzazione dell'"avversario", cosa che nel passato ha troppe volte
attraversato i partiti comunisti e, questa si, cosa sulla quale
bisognerebbe fare non tanto autocritica quanto autoriforma.

La differenza tra fascismo e antifascismo non è certo data solo dai
numeri dei morti, e nessuno ha mai osato sostenere una cosa del genere.
Però per capire (non giustificare) i fatti del passato si deve fare
ricerca storica e capire cosa è successo, scremandolo dai falsi della
propaganda, che in queste terre è stata purtroppo molto attiva sia
prima che dopo la guerra. Fare ricerca storica però significa anche
confrontarsi con i fatti, ed i fatti sono dati anche dai numeri.
Perché, nel rispetto di ogni vita umana, sapere se si tratta di un
omicidio, di 10 morti, di 100, mille o diecimila ha un valore molto
diverso, sia dal punto di vista storico che da quello giuridico
(omicidio, omicidio plurimo, strage, genocidio sono valori sia storici
che giuridici diversissimi). Liquidare la cosa dicendo che «ci sono
molti tra noi che su una questione così scottante e così drammatica
come quella delle foibe si azzuffano su una questione di numeri» o «la
manipolazione verso il basso (dei numeri dei morti, ndr) tende a
configurare l'idea che in quelle fosse ci fossero solo fascisti
colpevoli» è un modo rapido ma semplicistico di affrontare la
questione. Modo che è sbagliato e fuorviante per ogni possibile
analisi. Certo è buono per demonizzare chi vuole fare la ricerca
storica, soprattutto quando questa non collima con la scelte politiche
che si sono volute assumere anche contro i risultati della ricerca
stessa. Ma così facendo si fa un pessimo servizio alla storia ed uno
ancora peggiore alla politica. Altrettanto semplicistico è il discorso
sul "vuoto di potere" e sullo "scontro tra poteri" che hanno portato a
questi fatti. Certo, queste componenti ci furono, ma durante la
Resistenza vi fu anche contemporaneità di poteri. C'era la gerarchia
militare degli uni ma c'era anche il volontariato, il rispetto, la
collaborazione degli altri. Le repubbliche partigiane, le zone libere,
le aree controllate e tutelate, con le armi e con le battaglie furono
luogo di autogestione e palestre di gestione democratica, ancorché in
armi. Vi furono anche vendette, ma gli atti individuali agli individui
vanno ascritti. A Trieste e nell'Istria, soprattutto nel '45 furono
anche molto limitate nel numero reale. Tanto che, e questa è storia, vi
furono proteste da parte proletaria perché non si lasciava fare come
altrove in Italia, dove valeva il decreto luogotenenziale che
autorizzava all'uccisione di tutti i volontari delle truppe di Salò. E
scusate se è poco. Comunque il discorso del confronto tra "poteri"
diversi esiste continuamente. Anche oggi il dire "un altro mondo è
possibile" (slogan che andrebbe almeno specificato con un auspicio
concreto, perché anche il fascismo è possibile "altro" rispetto
all'attuale governo) significa scontro di poteri. Fare politica
significa scontro di poteri, tra quello che esiste con le sue regole
vigenti e quello auspicato, con le regole che si propongono. Dietro
questa spiegazione dei fenomeni esiste solo, scusate il bisticcio,
banale banalizzazione, che nel non spiegare nulla lascia liberi tutti
di dire ciò che si vuole. Certo permette di fare il successivo salto
logico dei "regimi contrapposti" che si sarebbero affrontati a Trieste,
cioè degli estremismi opposti, fascismo e movimento partigiano
comunista, che portano entrambi a lutti e distruzioni. Forse non era
questa la volontà di Bertinotti, ma è questa la sola lettura possibile
delle sue parole.

La critica dei crimini del fascismo non è mai servita, tra i compagni
seri, a giustificazione per non fare i conti con la nostra storia né
per darsi alla vendetta ed alla distruzione indiscriminati, dove fare
giustizia da parte delle autorità, con metodi anche criticabili, è e
deve rimanere altro dalla vendetta personale. Gli storici seri hanno
sempre cercato di collegare tra loro i fatti e di capire il perché del
succedersi degli avvenimenti. Dire che una cosa avvenuta è stata il
motore di cose successive non è giustificazionismo, è studio storico.
Nulla accade a partire da un punto, senza fatti precedenti. Così in
ogni rivolta, in ogni tensione sociale nei secoli, vi sono fenomeni che
hanno portato al punto di rottura, che lo hanno determinato e che
hanno, in parte, determinato il tipo di azione. Imporre, per il
fascismo, di dimenticarlo, pena rischiare di passare tra i
"giustificazionisti dei nostri errori" è antistorico, dire che questo
può portare ad aspetti negativi è chiudere la porta in faccia
all'analisi storica dei fatti e criminalizzare chi la fa. Certo sta
agli uomini, anche ai compagni, non crearsi miti intoccabili ma
ricordare sempre che tutti, noi come chi ci ha preceduto, siamo solo
umani con pregi e difetti. Ma detto questo, sulla resistenza, bisogna
sempre ricordare che vi fu chi combatté (magari per motivi personali
"buoni") dalla parte della sopraffazione fisica e morale, dalla parte
del "superuomo" con diritto di vita e di morte, dello sfruttamento del
lavoro schiavizzato, del diritto di eliminare intere etnie e gruppi
perché considerati inferiori e chi lottò (magari con motivazioni
personali abiette) contro tutto ciò, anche con le sue contraddizioni. E
questa è storia, non esaltazione. Comunque, se si vuole vedere il male
bisogna vederlo in ogni luogo in cui si annida. Ad esempio
bisognerebbe, cosa mai fatta, affrontare il tema della "doppia
resistenza", di chi partecipò per arrivare alla rivoluzione sociale,
con un mito (forse errato) di socialismo, e chi partecipò su posizioni
chiaramente reazionarie, di legame con la monarchia e con il
capitalismo, con il criminale di guerra Badoglio, contro il movimento
proletario. Dire che Sogno, la Franchi, la Osoppo erano gruppi
reazionari, favorevoli al cambio della guardia dirigente, non al
cambiamento della società, che a volte (molto spesso) trovavano linee
di accordo con i fascisti e con i capitalisti contro i partigiani
rossi, lasciandoli massacrare o isolandoli è dire fatti. Fu giusto
reagire e si reagì nella maniera giusta? Non spetta a noi giudicare.
Successe. Possiamo valutare i risultati, e dire che non furono positivi.

Sapere dove si poteva evitare di commettere abusi, e quali siano stati
commessi, è importante per evitare in futuro di commetterne. Ma se
proprio si voleva fare questa presa di coscienza perché non si sono
prese ad esempio altre situazioni, dove gli ordini precisi erano di
"fucilare" tutti i volontari della Rsi, senza distinzione? I partigiani
jugoslavi (serbi, croati, sloveni, italiani, tedeschi, ecc.) hanno,
invece, come riconosciuto da tutti, anche dagli storici di destra,
sempre operato con sistemi di Stato. Ogni arresto doveva avere delle
prove concrete per venir mantenuto. Ogni arrestato doveva risultare
accusato da almeno tre accusatori di crimini precisi. Che poi in alcuni
casi ci siano stati abusi di singole persone è cosa che riguarda loro e
va oltre quelle che erano le precise disposizioni dei vertici, che
chiaramente dicevano di colpire in base al fascismo e non in base
all'etnia e invitavano i comandanti a frenare l'eccessiva solerzia di
alcuni attivisti. Processi contro gli eccessi li fecero, e quanti, gli
stessi jugoslavi anche nel corso della guerra. Comunque non si può,
neppure in questo caso, colpevolizzare il movimento. A meno che non si
intenda sostenere che "italiano" è comunque più buono che "salvo" e che
era meglio essere fascisti ma italiani che jugoslavi e comunisti.

Il problema della violenza è stato, poi, affrontato molto
superficialmente e su fatti lontani. La non violenza è certamente un
fatto positivo. Se posso ottenere delle cose senza ricorrere a
coercizioni è bene. Ma a volte già solo per chiedere e farsi sentire si
deve gridare. E' violenza? Gli scioperi di questi giorni per certe
persone sono violenza: contro le regole, contro le persone, contro le
cose. E seguendo la logica in senso stretto si può concludere che è
vero. Lo sciopero è una forma di coartazione, di ricatto, di pressione:
quindi di violenza. Ma se noi conquistiamo dei successi
democraticamente, ad esempio il Cile di Allende, cosa dobbiamo poi
fare? Lo sciopero con sit-in per bloccare ogni movimento? Buona
ipotesi, ma resta ipotesi che non ha mai visto luce dei fatti. Certo,
fino a quando la via politica è praticabile e può dare dei risultati si
deve perseguire la via politica. Cedere al mito del "vietkong vince
perché spara" (oggi Zapatista con le armi) è stato deleterio in passato
e sarebbe ancor più deleterio oggi. Esiste oggi un fermento, al quale
dobbiamo garantire lo spazio di agibilità. Un fermento che non deve
percorrere la strada dell'estremismo, giustamente definita a suo tempo
"malattia infantile del comunismo". Un fermento che deve poter
crescere, deve poter svilupparsi nelle forme e nelle direzioni positive
che collettivamente saprà trovare e sviluppare. Con l'aiuto anche della
conoscenza degli errori del passato, che è il miglior modo per evitarne
la ripetizione. Cosa che significa sostanzialmente anche con la
conoscenza del passato, non con la sua demonizzazione. E con la
conoscenza del pensiero dei compagni che hanno fornito strumenti
teorici al movimento proletario. Essere "nuovi" non significa dover
ogni volta ripensare tutto di nuovo, ricostruire tutto ogni volta da
zero. I pensatori del passato costituiscono un trampolino per il
futuro. Significa passare il tempo a studiare e non fare? No, significa
non dichiarare ad ogni piè sospinto chiuse certe esperienze e sepolti
certi valori ed autori (Marx, Lenin, …), significa non esorcizzare come
mefitico un passato, quello delle lotte di liberazione di intere
società, solo perché gli esiti non sono stati quelli che oggi, a cose
fatte, noi avremmo desiderato.

Ma riprendiamo col convegno. Auschwitz e Hiroschima sono veramente
diverse come dice Bertinotti? No, strutturalmente no. Sono entrambe
frutto del capitalismo, delle sue necessità e delle sue volontà.
Esattamente come Dresda e Amburgo. Volontà di vincere la guerra, ma non
necessariamente con meno lutti. Anzi, con una quota di distruzione di
popolazione civile non combattente tale da terrorizzare chi avesse
intenzione di proseguire, per esempio, sulla via dell'espansione non
dell'Onu ma dell'Urss. Probabilmente questa espansione non avrebbe
avuto risultati positivi, viste le degenerazioni dei partiti, anche di
quelli comunisti, nell'Europa pre e post-bellica, ma noi possiamo
parlarne solo col "se". Certo è invece che il trionfo del capitalismo
ha portato enormi danni alle società umane. Lo stato agonico in cui
versa il sud America e, ancor più, tutta l'Africa (con decine di
milioni di morti per fame, malattie e guerre) da decenni è un esempio
evidente degli effetti devastanti del colonialismo prima e
dell'imperialismo poi messi in campo dal sistema capitalista.

Non si capisce perché noi si debba continuamente fare ammenda dei morti
dei gulag (morti che pesano, e come, anche sul nostro presente, ma dei
quali non abbiamo mai esaltato l'uccisione e che mai abbiamo
contribuito a far arrestare), mentre nessuno addossi mai, nemmeno tra i
compagni, quei morti africani, sudamericani ecc. al capitale, che si
guarda sempre molto bene dal riconoscerli come frutto necessario e non
eliminabile del suo sistema. E' questo un modo di dire "voi uccidete
più di noi"? No, si tratta solo di sapere che certe cose sono state
fatte cedendo, nella maggior parte dei casi, al frutto degli anatemi
settari e demonizzanti gruppi e movimenti interi, dobbiamo imparare,
volendo cambiare la società, a non ricadere in questi errori. Ma tenere
sempre presente che mentre noi soffriamo per quei morti il capitale
continua a farne ogni giorno migliaia senza mai soffrire per loro.

Nella lotta poi, è vero che oggi il fascismo non è più il nemico? Solo
se si considera il fascismo come un corpo a sé stante. Ma se si vede
nel fascismo solo una delle forme del capitale, come la guerra e come
il terrorismo, allora ci si rende conto che bisogna sì combattere il
sintomo più evidente e minaccioso del sistema (e che oggi questo è la
guerra più che il fascismo) ma che per vincere si deve combattere il
capitalismo e la sua iniqua ripartizione dei beni. Altrimenti sarebbe
come combattere con l'aspirina le sofferenze date da un cancro.

Peter Behrens