Iraq: forze di occupazione scatenate contro la popolazione civile


1. APPELLO DI EMERGENZA IN SOLIDARIETA' COL POPOLO IRACHENO (8 Aprile
2004, Eman Ahmed Khammas, Direttrice, International Occupation Watch
Center)

2. FERMIAMO IL MASSACRO DI FALLUJIA ; FALLUJA COME JENIN ? (Appelli di
"Un Ponte per..." ed altre associazioni)

3. NOTA DELLA SEGRETERIA NAZIONALE FIOM:
Via le truppe italiane dall'Iraq, ORA!

4. TESTIMONIANZE DA FALLUJA: CECCHINI USA E CLUSTER BOMB

5. "PERCHE' CI ODIANO": la denuncia di un soldato Usa e fonti locali di
PeaceReporter portano alla luce lo scandalo degli abusi sessuali dei
militari statunitensi contro le ragazzine irachene e del giro di
prostituzione minorile generato dai comandi americani in Iraq.

6. PRIVATIZZAZIONI DA COMBATTIMENTO: Le chiamano Pmc, "compagnie
militari private". Sono filiali di aziende quotate in borsa, e
ingaggiano mercenari. Da piu' di dieci anni sono attive anche nei
Balcani: Croazia, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Macedonia.


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CON RICHIESTA DI MASSIMA DIFFUSIONE

APPELLO DI EMERGENZA IN SOLIDARIETA' COL POPOLO IRACHENO
 
8 Aprile 2004
 
Eman Ahmed Khammas
Direttrice, International Occupation Watch Center
 
Baghdad Occupata
 
Ai popoli del mondo e ai loro rappresentanti presso le Nazioni Unite,
 
Il popolo iracheno fa appello alla solidarietà internazionale mentre
resiste agli attacchi delle forze di occupazione guidate dagli Usa. E'
chiaro che l'intenzione di questi attacchi è quella di terrorizzare
intere popolazioni delle città e dei quartieri dell'Iraq.
 
Secondo le notizie che arrivano, nella sola Falluja, oltre 300 iracheni
sono stati uccisi e altre centinaia feriti dall'inizio degli attacchi,
domenica 4 aprile. Si combatte a Baghdad, in particolare nei quartieri
di Sadr City, Adaamiya, Shula, Yarmok, e nelle città di Falluja,
Ramadi, Bassora, Nassiriya, Kerbala, Amara, Kut, Kufa, Najaf, Diwaniya,
Balad, e Baquba. Case, ospedali, moschee e ambulanze che cercano di
trasportare i feriti vengono bombardati e colpiti dai fucili e dai
carriarmati delle forze di occupazione.
 
Falluja e Adaamiya sono attualmente sotto assedio, circondate dalle
forze di occupazione, in violazione della Convenzione di Ginevra che
vieta di tenere sotto assedio comunità di civili. Gli ospedali non
hanno medicinali essenziali, forniture, attrezzature a sufficienza né
scorte di sangue.
A Falluja, gli ospedali sono stati circondati da soldati, costringendo
i medici ad allestire ospedali da campo in abitazioni private. Ai
donatori di sangue non è consentito l'accesso; di conseguenza le
moschee sia a Baghdad che a Falluja stanno raccogliendo sangue per i
feriti. Acqua ed elettricità sono state tagliate da giorni.

A Sadr City, elicotteri Usa hanno lanciato missili su aree
residenziali, distruggendo abitazioni. Anche se non è stato imposto
ufficialmente il coprifuoco, i soldati americani regolarmente sparano
dai carriarmati sulle automobili che circolano per le strade di notte.
Nella sola notte di martedì, almeno 6 persone sono state uccise in
questo modo. Le forze Usa continuano a occupare e a circondare tutte le
stazioni di polizia e gli uffici municipali di Sadr City.
 
Anche se questi attacchi hanno subito una forte escalation nella scorsa
settimana, non sono affatto un fenomeno nuovo nell'Iraq occupato.
L'uccisione indiscriminata di civili e il rifiuto di dare alla gente
sicurezza, elettricità e infrastrutture mediche decenti hanno
caratterizzato la "libertà" che le autorità di occupazione hanno
portato in Iraq.
 
Facciamo appello alla comunità internazionale, alla società civile e ai
movimenti contro la guerra e contro l'occupazione perché rispondano a
questa guerra del terrore guidata dagli Usa con dimostrazioni tangibili
di solidarietà e sostegno per il popolo iracheno che sta affrontando
questa orribile manifestazione dell'occupazione.
 
Per favore scendete in piazza per chiedere la fine dell'aggressione
guidata dagli Usa. Organizzate proteste di fronte alle ambasciate e ai
consolati Usa nel mondo e chiedete: la fine immediata di questo
massacro; la fine immediata dell'assedio delle città e dei quartieri
iracheni; l'accesso immediato alle organizzazioni mediche e umanitarie
che cercano di fornire assistenza alla popolazione irachena che vive
sotto attacco; e la fine dell'occupazione del nostro paese.
 
Fra le città in cui sono già state organizzate manifestazioni ci sono
Milano, Montreal, Parigi, Tokyo, Istanbul, Boston, San Francisco, Los
Angeles, Washington e New York. 
 
Per contattare l' International Occupation Watch Center a Baghdad: tel.
001 914 360-9079 o 001 914 360-9080.
O potete mandare una e-mail a: eman@...


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FERMIAMO IL MASSACRO DI FALLUJIA

470 morti
1200 feriti, di cui 243 donne e 200 bambini
Questa la prima stima al ribasso degli attacchi

10 Aprile 2004, da Baghdad occupata

Dall'inizio dell'escalation della violenza il popolo iracheno,
specialmente a Fallujia, sta vivendo un disastro umanitario. Le forze
di occupazione hanno messo sotto assedio la citta'. Piu' di 470 morti e
1200 feriti.

Fallujia e' stata bombardata con aerei da combattimento F-16 ed
elicotteri armati con bombe a grappolo e mortai.

Ambulanze sono state prese di mira dai cecchini americani. Molti aiuti
umanitari, destinati soprattutto agli ospedali, sono stati bloccati
dalle truppe di occupazione. Altre macchine cariche di medicinali hanno
dovuto aggirare i blocchi passando per strade secondarie. Una volta
entrati in Fallujia i volontari si sono trovati sotto il fuoco
incrociato.

Nessun corridoio umanitario e' stato concesso.

Un cessate il fuoco e' stato annunciato e la popolazione ha cominciato
ad abbandonare la citta', ma improvvisamente il fuoco e' ricominciato e
molti sono rimasti allo scoperto intrappolati nella citta'. Gli
sfollati - una colonna di 10 km con molte donne e bambini - si sono
visti chiuse le strade per raggiungere i villaggi vicini ed in
centinaia hanno passato la notte nel deserto.

Le migliaia di famiglie che sono rimaste intrappolate in Fallujia sono
alle prese con la mancanza d'acqua, cibo e medicinali. Gli operatori
sanitari continuano a lanciare appelli per avere accesso ad ossigeno,
anestetici, antibiotici e sangue.

La comunita' internazionale, le Nazioni Unite, la Comunita' Europea non
possono rimanere semplici spettatori del massacro di Fallujia e della
repressione che sta terrorizzando la popolazione irachena.

La comunita' internazionale deve prendere una posizione ferma e
chiedere con forza e determinazione di fermare il massacro in Fallujia
e di rispettare le convenzioni internazionali esigendo l'immediata
apertura di un corridoio
umanitario che permetta l'entrata dei soccorsi, l'evaquazione dei
feriti e la fuoriuscita della popolazione.

Un Ponte Per
Consorzio Italiano di Solidarita'
CCIPP Francia
Iraqi Solidarity Project - Canada
Focus on Global South - Filippine

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COMUNICATO STAMPA

IRAQ: FALLUJA COME JENIN?

Da due giorni l’esercito Usa ha cinto d'assedio la città di Falluja
lanciando quella che ha tutta l’aria di una punizione collettiva per i
fatti della scorsa settimana, quando quattro statunitensi furono
linciati dalla folla.

La città è stata isolata, tutte le via di accesso sono state chiuse già
da domenica e ai 300.000 abitanti è impedito di lasciare l'area. Anche
ai giornalisti è stato vietato l'accesso.

Una ingente forza militare, prima concentrata intorno alla città, ha
iniziato ad entrare trovando forti resistenze da parte della
popolazione e determinando forti combattimenti. Attacchi sono in corso
dal cielo, anche con missili, su zone abitate. Rastrellamenti sarebbero
in corso casa per casa e, dalle poche testimonianze, risulta che decine
di iracheni sono stati uccisi. L’unico ospedale della città non è in
grado di far fronte alla emergenza.

Facciamo appello ad un immediato intervento del Segretario Generale
dell'Onu perché cessi la carneficina e Falluja sia liberata
dall'assedio.

Invitiamo tutte le associazioni, i sindacati, i partiti a prendere
posizione e promuovere iniziative che favoriscano la mobilitazione
della comunità internazionale perché non si ripeta, proprio nei giorni
dell'anniversario, quanto è già successo a Jenin.


Lello Rienzi
responsabile comunicazione
tel. +39 06 44702906
cel +39.338 9110373
fax +39 06 44703172

"Un ponte per..."ONG - piazza Vittorio Emanuele II, 132 00185 ROMA  -
tel.0644702906 -  e-mail: posta@...  - web: www.unponteper.it
Per iscriverti alla mailing list dell'associazione scrivi un' e-mail
vuota all'indirizzo This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.


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NOTA DELLA SEGRETERIA NAZIONALE FIOM


Articolo 11 della Costituzione italiana:
"L'Italia ripudia la guerra"

Via le truppe italiane dall'Iraq, ORA!

La tragica escalation della guerra e dell'occupazione militare
dell'Iraq, con la repressione armata di manifestazioni popolari contro
l'occupazione, che ha già provocato numerose vittime civili, con
l'assedio alla città di Falluja, dove ci sono centinaia di morti,
richiede la massima assunzione di responsabilità nelle iniziative di
opposizione alla guerra.

Tale escalation ha coinvolto anche le truppe italiane, confermandone
con drammatica chiarezza la partecipazione alla occupazione e alle
attività belliche, ben lungi dal carattere pacifico e umanitario della
missione, che il governo italiano si ostina a ribadire oltre ogni
evidenza: per questo chiediamo in primo luogo il loro immediato ritiro,
sulla base della Costituzione italiana che prevede al suo articolo 11
il ripudio della guerra, e invitiamo tutte le nostre strutture alla più
forte mobilitazione in questo senso.

Non c'è pace né democrazia possibile attraverso le bombe, in un paese
occupato militarmente e spogliato economicamente, in cui le condizioni
di vita sono in un anno drammaticamente peggiorate, mancando il lavoro,
l'elettricità, l'acqua e le vittime civili continuano ad aumentare.
L'occupazione deve immediatamente cessare e gli eserciti occupanti
devono lasciare il paese, perché l'Onu possa garantire la transizione
nelle condizioni che consentano agli iracheni di decidere liberamente
del proprio futuro.

Denunciamo e respingiamo il tentativo, di cui il bombardamento della
moschea di Falluja è un esempio, di sprofondare l'Iraq e il mondo tutto
in uno scontro di civiltà. Per questo abbiamo partecipato alla
delegazione del Comitato "Fermiamo la guerra" che stamani si è recata
alla Moschea di Roma per un incontro con i rappresentanti del Centro
islamico e culturale, a cui è stata portata, insieme a una bandiera
della pace, la posizione e solidarietà del Comitato, la volontà di
continuare a costruire convivenza e dialogo nel nostro paese, dove c'è
una significativa presenza di migranti di religione musulmana.
Invitiamo a partecipare alle analoghe iniziative che verranno prese in
altre città italiane.

Per i motivi detti, sollecitiamo tutte le strutture a coinvolgere
nella mobilitazione lavoratori e lavoratrici, attraverso l'affissione
della locandina in tutti i luoghi di lavoro e l'assunzione nelle
fabbriche e nei territori di tutte le possibili iniziative di sostegno
alla campagna per l'immediato ritiro delle truppe italiane dall'Iraq.

Invitiamo altresì alla partecipazione alle iniziative che verranno
prese anche in questi giorni pasquali in diverse città e alla
manifestazione che si terrà a Brescia il 17 aprile, prevista
inizialmente contro la fiera delle armi leggere Exa 2004, che assumerà
anche il carattere di manifestazione per la pace e per il ritiro
immediato delle truppe italiane dall'Iraq; invitiamo alla
partecipazione alle manifestazioni del 25 aprile, promosse dall'Anpi,
caratterizzando la celebrazione della festa della Liberazione nazionale
dal fascismo e dal nazismo, anche come momento di manifestazione contro
la guerra e per l'immediato ritiro delle truppe italiane dall'Iraq,
secondo la Costituzione, che ha la sua origine proprio in quella data.

La Segreteria nazionale della Fiom-Cgil
Roma, 9 aprile 2004


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> ----- Original Message -----
> From: lellorienzi
> To: <This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.>;
> <This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.>;
> <This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.>; <This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.>
> Sent: Monday, April 12, 2004 11:21 PM
> Subject: [fori-sociali] Testimonianza da Falluja
>
>
> TESTIMONIANZE DA FALLUJA: CECCHINI USA E CLUSTER BOMB
>
>
> Fonti verificate hanno segnalato la presenza di tiratori scelti
> americani a Falluja. Da piu' giorni, i cecchini controllano gli
> ingressi della citta' e la strada principale.
> Secondo piu' fonti, tiratori scelti sono appostati anche di fronte
> agli ospedali e ai centri sanitari, mirando ai feriti e ai
> soccorritori che accedono alle strutture sanitarie.
> "Ci sono cecchini americani sui tetti - conferma Joe Wilding,
> giornalista indipendente, entrata a Falluja due giorni fa - In
> ospedale ho incontrato una donna che stava cercando di abbandonare la
> citta'. Viaggiava in macchina e sventolava un fazzoletto bianco per
> essere riconosciuta. Le hanno sparato.
> In ospedale teneva ancora stretto il fazzoletto".
>
> Sono stati inoltre riportati almeno due casi accertati di cecchini che
> hanno aperto il fuoco contro ambulanze. "Sono entrato a Falluja due
> giorni fa - spiega David Martinez, un videoperatore freelance - Ero a
> bordo di una ambulanza con altri colleghi internazionali. Stavamo
> andando a casa di una famiglia irachena. Dovevamo assicurare il
> trasporto fino all'ospedale a una donna incinta che stava per
> partorire. Ci hanno sparato, nonostante stessimo viaggiando su
> un'ambulanza".
> Oltre alla grave violazione delle convenzioni internazionali per la
> protezione delle vittime di guerra, la presenza di cecchini impedisce
> il soccorso e l'evacuazione dei feriti, rendendoli molto rischiosi.
>
> Sia Joe Wilding sia David Martinez hanno raccolto dalla strada il
> corpo di un uomo colpito alle spalle. "Era un anziano, stava
> camminando, non era armato e gli hanno sparato da dietro - spiegano
> Wilding e Martinez - La famiglia,
> terrorizzata, non ha potuto soccorrerlo, per paura di essere colpita".
> "Molti feriti muoiono per la strada perche' non vengono soccorsi in
> tempo", aggiunge David Martinez.
>
> Alcuni testimoni parlano anche di feriti da cluster bomb. L'uso di
> bombe a grappolo, vietato dalle convenzioni internazionali, e' stato
> riportato da piu' fonti presenti a Falluja e dal personale sanitario
> operativo nellacitta'.


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http://www.peacereporter.net/it

Perché ci odiano

Una foto scioccante, la denuncia anonima di un soldato Usa e fonti
locali di PeaceReporter portano alla luce lo scandalo degli abusi
sessuali dei militari statunitensi contro le ragazzine irachene e del
giro di prostituzione minorile generato dai comandi americani in Iraq


5 aprile 2004 ­ "Il caporale Boudreaux ha ucciso mio padre e ha
ingravidato mia sorella". Il bambino iracheno che tiene in mano il
cartello con questa scritta non ha idea del suo significato. Sorride.
Chissà cosa gli ha detto il caporale Boudreaux, che gli sta accanto con
l¹aria divertita di chi si può permettere di aggiungere al danno la
beffa.
Questa foto, che da qualche giorno gira su Internet, ha scatenato un
putiferio. Non solo sui blog americani
(http://www.peacereporter.net/it/canali/voci/dossier/040405blog), dove
l'ironia cinica e il cattivo gusto stanno superando ogni limite, ma
anche al Pentagono, che per l¹ennesima volta si vede scoperchiare in
faccia il pentolone bollente degli abusi dei soldati Usa contro i
civili iracheni, in
particolare delle violenze sessuali compiute dai militari americani ai
danni di donne e bambine.
La foto, di cui lo stesso Pentagono ha confermato l'autenticità (in un
primo momento messa in dubbio), è arrivata sulla scrivania di Nihad
Awad, direttore del Consiglio per le relazioni islamico-americane (Cair
(http://www.cair-net.org/)) con sede a Washington, che ha
immediatamente denunciato la cosa al Dipartimento della Difesa,
chiedendo di istruire un¹indagine.
"Se gli Stati Uniti hanno intenzione di conquistare i cuori e le menti
degli iracheni, beh, non è certo questo il modo", commenta Awad. "Il
Dipartimento deve prendere provvedimenti per far sapere ai militari Usa
che simili comportamenti danneggiano l¹immagine dell¹America e non
possono essere tollerati".
Awad ha riferito di aver ricevuto anche una lettera anonima da un
soldato appena rientrato dall¹Iraq che, facendo nome e cognome, accusa
un suo superiore non solo di aver abusato di ragazzine irachene, ma di
aver addirittura instaurato un sistema di ricatto verso i locali per
farsene fornire sempre di nuove. Gli anziani dovevano consegnare
ragazzine in età
premestruale se volevano che la loro comunità non diventasse oggetto
delle azioni militari Usa.
L'estensore di questa lettera l¹ha conclusa così: "Pensare a tutto
questo mi fa venire la nausea. E ho paura di denunciare la cosa
all¹esercito, perché non penso che crederanno a quello che dice un
soldato semplice su quanto commesso da un comandante di battaglione".
Fonti locali di PeaceReporter confermano inoltre che, almeno a Baghdad,
è evidente che all¹interno degli ambienti militari Usa si è sviluppato
un grosso giro di prostituzione minorile. "Tante ragazzine, e
ragazzini, bazzicano nelle sedi dei comandi militari e negli alberghi
in cui si trovano gli uffici dell¹Amministrazione provvisoria
statunitense. E¹ normale vedere due o tre bambine che stanno in
compagnia dei soldati americani in giro per la città, o ai checkpoint.
Questo avviene alla luce del giorno".

Enrico Piovesana


Lettera dal fronte

Questa è la lettera arrivata al Cair <http://www.cair-net.org>,
un'associazione che promuove lo sviluppo di relazioni tra la comunità
islamica negli Usa e gli statunitensi. E' la denuncia di un soldato che
ha prestato servizio in Iraq, e che accusa un suo superiore - di cui fa
nome e cognome, ma che PeaceReporter ha scelto di oscurare - di aver
imbastito un
giro di prostituzione infantile facendosi consegnare dalle comunità
locali bambine in cambio della protezione dei militari. Sollecitato dal
Cair, il Pentagono ha aperto un'inchiesta, come ha fatto per la foto
che PeaceReporter ha pubblicato ieri. Qui sotto pubblichiamo la lettera
tradotta

Council on American-Islamic Relations
Mr Nihad Awad
453 New Jersey Ave. S.E
Washington, DC 20003

Caro signor Awad,

le scrivo in forma anonima perché sono un soldato che non ha finito di
prestare servizio nell'esercito e ho paura delle ripercussioni che
potrei essere costretto a subire.
Sono un membro del XXXesimo reggimento paracadutisti, 82esima divisione
aerotrasportata. Sono ritornato recentemente dall'Iraq, dove ho visto
con i miei occhi tanta morte e tristezza. Ma quello che mi preoccupa di
più, riguardo il tempo trascorso laggiù, è la crudeltà e l'umiliazione
che
venivano inflitte a giovani ragazze irachene dal tenente colonnello
XXXXX XXXXXXXXX.
Egli comandava i soldati del XXXXX battaglione del XXXesimo reggimento
a Falluja in modo spietato, infliggendo grandi sofferenze
sull'innocente popolazione della città. Delle sue incredibili azioni,
le più disgustose erano quelle contro le giovani ragazze musulmane.
Il tenente colonnello XXXXXXXXX godeva della compagnia serale di
ragazze che non portavano il velo. Le chiamava "teste non ancora
mestruate" e diceva che il loro stato di fanciulle non sviluppate era
proprio quello che cercava.
Convinceva i leader locali a fornirgli ragazze in età pre-puberale in
cambio della nostra (i soldati nel suo battaglione) protezione.
Il pensiero di tutto questo mi fa venire male allo stomaco. Ho paura di
mostrare questa lettera a chiunque nell'esercito, perché ho i miei
dubbi sul fatto che crederebbero alla voce di un soldato contro quella
di un comandante di battaglione.
Se c'è qualcosa che lei può fare per investigare su questi atti
criminali, le chiederei di farla.

Firmato,
un paracadutista dell'X/XXX


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Il Manifesto - 6 aprile 2004

Privatizzazioni da combattimento

Dal cibo in scatola e dalle forniture sanitarie, alcune corporation
sono passate al mercato della guerra guerreggiata. Le chiamano Pmc,
"compagnie militari private". Sono filiali di aziende quotate in borsa,
e ingaggiano mercenari. Iracheni, nepalesi, o (costosi) britannici

MARCO D'ERAMO

I cadaveri amputati che la settimana scorsa oscillavano dalle travature
di un ponte metallico a Falluja hanno riproposto in tutta la sua orrida
oscenità il problema dei mercenari nella guerra moderna (vedi Oipaz del
21 gennaio 2003). Quei corpi appartenevano infatti a quattro dipendenti
della Blackwater Usa, una delle maggiori "compagnie militari private"
(Pmc) operanti in Iraq. Nessuno sa quanto sia il fatturato mondiale
complessivo delle Pmc, ma già prima dell'invasione dell'Iraq si stimava
che si aggirasse intorno ai 100 miliardi di euro. Non si tratta di un
mero ritorno al passato, ai capitani di ventura; non rivediamo semplici
versioni moderne di Giovanni dalle Bande Nere. I mercenari sono quelli
di sempre, ma sono assolutamente inediti sia il reclutamento, sia la
struttura in cui sono inquadrati. A operare sono infatti vere e proprie
corporations, identiche per dimensioni e funzionamento alle grandi
corporations tradizionali, solo che invece di operare nella sanità o
nel cibo in scatola, queste imprese operano nel mercato della guerra
(sul tema, la Cornell University Press ha pubblicato nel 2003 il libro
Corporate Warriors di Peter W. Singer). Tanto è vero che spesso queste
ditte sono filiali di multinazionali: così Mpri (Military Professional
Resources Increment) è stata comprata dall'industria militare L-3
Communication quotata a Wall Street, mentre Vinnel è una filiale del
gruppo Trw; Logicon è un dipartimento del gruppo di armamento Northrop
Grunman: a Logicon appartenevano tre civili americani tenuti in
ostaggio per più di un anno in Colombia, dove furono catturati mentre
erano in missione per cercare laboratori di cocaina.
La privatizzazione della guerra riguarda anche l'infrastruttura e la
logistica, compiti che una volta erano prerogativa dei genieri e oggi
invece sono appaltati. Così, Kellogg Brown & Root (Kbr) - società del
gruppo Halliburton (di cui il vicepresidente Dick Cheney è stato
amministratore delegato e presidente fino alla sua candidatura nel
2000) - ottenne nel 1999 un contratto quinquennale da 2,2 miliardi di
dollari nei Balcani: Kbr s'impegnava a fornire tra l'altro i servizi
logistici, i cessi portatili per il corpo di spedizione Usa, il
rinforzamento delle strade perché sopportino il passaggio dei mezzi
pesanti, la costruzione del quartiere generale della base americana di
Camp Abel Sentry (in Kossovo, un po' a sud della frontiera serba), la
lavanderia per le divise sporche dei soldati britannici, il catering
per 130.000 rifugiati kossovari. Nel 2002 la Kellogg Brow and Root ha
accettato di pagare una multa di 2 milioni di dollari per aver
"cucinato i conti" al governo americano. Questa ditta opera anche a
Cuba (leggi Guantanamo) e in Asia centrale (Afghanistan ed ex
repubbliche sovietiche). Altre mansioni una volta assolte dall'esercito
sono ora gestite dalla Bechtel (presieduta dall'ex segretario di stato
George Schultz).
Ma naturalmente l'aspetto che colpisce di più nelle Pmc è la
privatizzazione del combattimento, cioè i mercenari. In questo campo,
le ditte dalla tradizione più consolidata sono: sono l'ormai scomparsa
sudafricana Executive Outcomes (Eo), la britannica Sandline
International, la statunitense DynCorp e la belga International Defence
and Security (Idas), mentre l'inglese Defence Systems Limited (Dsl) e
l'americana Mpri non assumono mercenari impegnati in combattimento, ma
forniscono addestramento militare, raccolta d'informazioni, servizi di
comunicazioni militari, armi, e protezione ai clienti. Negli Stati
uniti, oltre a Blackwater, Vinel, Logicon, Mpri e Dyncorp, le Pmc più
importanti sono Saic e Ici of Oregon. La sola Dyn Corp fattura due
miliardi di dollari l'anno (l'anno scorso ha ottenuto l'appalto per la
protezione fisica del presidente dell'Afghanistan. Hamid Karzai).
Ma è a Baghdad che la privatizzazione della guerra avanza
irrefrenabile: sul terreno operano ormai 15.000 mercenari stranieri,
appartenenti a ditte americane, ma anche inglesi. L'emblema della
privatizzazione sta nel fatto che la stessa sicurezza personale del
proconsole americano, Paul Bremer III è assicurata dalla Blackwater:
fra un po' anche i generali saranno protetti da mercenari. Già ora il
palazzo di Bassora dove ha sede il comando meridionale della coalizione
è vigilato da mercenari delle isole Fiji dipendenti della Global Risk
Strategy, una ditta inglese di sicurezza con sede a Londra.
E l'Iraq sta favorendo la nascita e il rigoglio di nuove Pmc, come ha
raccontato l'Economist della scorsa settimana: fino all'invasione
dell'Afgahistan, Global Risks Strategies era costituita da due sole
persone, mentre ora dispone di oltre 1.000 guardie in Iraq ha
l'incarico di pattugliare le barricate della Coalition Provisional
Authority E l'anno scorso aveva vinto un appalto da 27 milioni di
dollari per distribuire la nuova valuta irachena. Un'altra ditta,
Control Risks, provvede scorte armate e ha 500 uomini che fanno da
guardie del corpo ai funzionari civili inglesi. "Gli organici di prima
linea delle compagnie militari private (Pmc) - mercenari in vecchie
parole - sono ora la terza forza militare in ordine di grandezza, dopo
gli Usa e la Gran Bretagna. Secondo David Claridge, direttore centrale
di Janusia, una ditta londinese di sicurezza, l'Iraq ha moltiplicato
gli introiti delle Pmc inglesi da 320 milioni di dollari di prima della
guerra a oltre 1,6 miliardi di dollari, facendo così della sicurezza la
più redditizia esportazione inglese in Iraq".
Secondo l'Economist, nel gergo del settore i mercenari delle Pmc si
suddividono in tre categorie, in iracheni, in "paesi terzi" (per
esempio fijini o gurkha nepalesi) e "internationali" (di solito bianchi
del primo mondo): gli iracheni ricevono 150 dollari al mese, i
dipendenti dei "paesi terzi" 10-20 volte tanto e gli "internazionali"
100 volte tanto. Control Risks ha soprattutto dipendenti occidentali,
mentre la rivale ArmorGroup ha ai suoi ordini 700 gurkha con cui
protegge i funzionari di Bechtel e di Kbr . Invece la ditta inglese
Erinys, che ha vinto un appalto da 100 milioni di dollari per
assicurare la protezione degli oleodotti, gestisce una forza di 14.000
iracheni. All'inizio il costo della vigilanza privata in Iraq era
stimato intorno al 7-10% dei 18,6 miliardi di dollari stanziati dagli
Usa per la ricostruzione irachena, ma ora, secondo Blackwater,
rappresenta il 25% del totale.
La seconda caratteristica innovativa delle nuove corporations della
guerra rispetto alle arcaiche compagnie di ventura è che i loro ranghi
direttivi presentano una densità assolutamente abnorme di ufficiali in
pensione. Blackwater è stata fondata nel 1988 da ex Navy Seals (le
truppe speciali della marina americana, anche se a noi il loro nome non
appare particolarmente bellicoso: seals vuol dire "foche"). Erinys è
stata fondata da Alistair Morrison, ex ufficiale in pensione dei
commandos inglesi di elite Sas (la cui reputazione è uno dei fattori
che hanno contribuito al successo delle Pmc britanniche).
Il caso più eclatante è quello della Mpri (fondata nel 1988): ha come
presidente il generale Carl E. Vuono, già capo di stato maggiore che
diresse la guerra del Golfo e l'invasione di Panama, come capo della
divisione internazionale, il generale Crosbie E. Saint, ex comandante
delle forze Usa in Europa, come portavoce il generale Harry E. Soyster,
già direttore della Defence Intelligence Agency (Dia), e come
supervisore in Macedonia il generale Ron Griffith, già vicecapo di
stato maggiore. Dalla sua sede di Alexandra (suburbio chic di
Washington D. C.), Mpri dirige 900 dipendenti, ma dispone di 10.000 ex
militari, comprese forze d'élite, pronti a partire su chiamata. I
generali che hanno fondato Mpri ci hanno fatto un sacco di soldi (che
si aggiungono alle loro pensioni) perché, pur continuando a dirigerla,
loro e altri 35 azionisti hanno venduto per 40 milioni di dollari la
Mpri a L-3 Communication.
E naturalmente quando questi ex Delta Force, ex Seals, ex Sas devono
assumere, ricorrono di preferenza ai propri commilitoni attratti dalle
altissime paghe. Secondo il New York Times, un BerrettoVerde o un Seal
con 20 anni di anzianità guadagna ora 50.000 dollari come paga base
(cui però vanno aggiunge varie indennità), e può andare in pensione con
23.000 dollari l'anno. Le ditte di sicurezza gli offrono dai 100 ai
200.000 dollari l'anno (che si aggiungono alla pensione militare che
comprende la copertura sanitaria). Oltre tutto, i contatti tra Pmc e
militari sono strutturali. Per esempio, il complesso della Blackwater
in North Carolina, comprende poligoni di tiro per armi ad alta potenza,
edifici per simulare la liberazione di ostaggi e, scrive il New York
Times, "è così moderna e ben equipaggiata che i Navy Seals stanziati
nella Little Creek Naval Amphibious Base di Norfolk (Virginia) la usano
abitualmente; come anche fanno le unità di polizia di tutta la nazione
che vengono da Blackwater per un addestramento specializzato".
Da qui l'emorragia e la richiesta di pensionamento anticipato. Sui 300
membri del Sas, 40 hanno chiesto la pensione anticipata l'anno scorso.
Lo stesso sta avvenendo tra le truppe speciali Usa. Tanto che i
dirigenti militari sono preoccupati perché lo stato finisce per pagare
due volte le Pmc, una volta con i soldi dei contratti, ma un'altra
volta con il denaro speso per addestrare le truppe d'élite. È stato
calcolato che formare un berretto verde richiede 18 mesi di
addestramento (e l'apprendimento di una lingua straniera) per un costo
di 257.000 dollari. Il comando delle operazioni speciali Usa ha oggi un
organico di 49.000 persone (tra combattenti, piloti, e addetti militari
e civili alla logistica, alle comunicazioni e all'infrastruttura), e la
fuga dei veterani avviene proprio quando la dottrina Rumsfeld (esercito
più leggero ma più professionale e più specializzato) prevede di
aumentare gli effettivi delle Operazioni Speciali di 3.900 unità.
Fino a ora la crescita delle Pmc e la privatizzazione della guerra non
hanno suscitato molte proteste. Anche perché i morti delle compagnie
private non vengono conteggiati come perdite militari, e quindi non
colpiscono l'opinione pubblica. Ma proprio il loro statuto privato, in
operazioni di guerra, le rende legalmente irresponsabili. Per ora non
sono infatti regolate da nessuna legge né sottoposte a nessun
controllo. Finiscono perciò per non differire molto dai bounty killers
del Far West, e anche questa loro immunità contribuisce alla guerra
civile quotidiana in Iraq.