NOVE MILIONI DI DOLLARI E NESSUN BLITZ


Riceviamo e giriamo:  

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Vi invito a leggere e diffondere il seguente articolo "NOVE MILIONI DI
DOLLARI E NESSUN BLITZ" http://www.peacereporter.net/,%c2%a0(il sito è stato
oggi oscurato!)  ché non è detto venga ripreso nei modi dovuti dagli
organi di informazione ufficiale.
Vi invito a diffondere questo messaggio, urgentemente, d'importanza
capitale per il futuro della libertà d'informazione in Italia.
 
Non abbiamo elementi per esprimerci sulla veridicità del contenuto, ma
tutta questa storia degli ostaggi e del blitz è piena di buchi, anzi,
di vere e proprie voragini. Se tra qualche giorno la natura di questo
evento si rivelasse quella di una grande messinscena a scopo
elettorale, non solo sarebbe una delle peggiori menzogne propinate
all'opinione pubblica dall'inizio di questa guerra, ma noi tutti ci
mangeremmo le mani per non essere stati in grado di contrastarla per
tempo. Anche perché la posta in gioco è molto alta. Quindi rischiamo,
diffondiamo, e che Dio (o chi ne fa le veci) la mandi buona a tutt* noi.
 
Nel frattempo, le ricostruzioni giornalistiche colgono in castagna
Ministri, Funzionari, Generali, ex-Ostaggi e Presidente del Consiglio
nel contraddirsi a vicenda sullo svolgimento dei fatti. Quel che conta
ora dire è che c'è puzza di bruciato. Ci sono troppe incongruenze nel
comportamento del governo. Sono troppe le contraddizioni tra la
ricostruzione del governo, questa rivendicazione che dovrebbe dirci che
l'assassinio era imminente e le testimonianze che è stato possibile
raccogliere. Come fa un qualsiasi documento ad essere pubblicato su un
sito oscurato quasi un mese fa?
Una considerazione su tutte: possibile che ben due bambini sapessero
che i loro cari sarebbero stati liberati l'8 giugno?
- la nipote di Umberto Cupertino aveva scritto sul calendario la parola
"Liberi" nel giorno di oggi: "La cosa ha del miracoloso", ha detto la
madre. Lo dico anche io;
- anche William, figlio di Salvatore Stefio, è stato miracolato: ieri
diceva a tutti "Domani papà torna con noi".
 
Qui per la ricostruzione più completa di fatti, circostanze e
dichiarazioni:
http://www.bloggers.it/progettomayhem/
index.cfm?blogaction=permalink&id=045DF603-AE9B-590E-C237F82D6EA84BB5
 
E poi qui:
http://www.repubblica.it/2004/f/sezioni/politica/ostliberi2/ostliberi2/
ostliberi2.html
 
E ancora qui:
http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=HP&TOPIC_TIPO=&topic_id=35209
 
E qui:
http://italy.indymedia.org/news/2004/06/567895.php
 
Segue articolo su testimoni oculari della "liberazione" degli ostaggi
 
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NOVE MILIONI DI DOLLARI E NESSUN BLITZ
by Enrico Piovesana from Peace Reporter
www.peacereporter.net

Per i tre ostaggi italiani pagati nove milioni di dollari
Una fonte di PeaceReporter rivela: "Gli ostaggi italiani sono stati
consegnati alle forze Usa, non c'è stato nessun blitz".

10 giugno 2004 - "Quella casa al numero 17 di Zaitun Street era
disabitata da almeno due mesi.
Fino a lunedì sera tardi (7 giugno, n.d.r.) quando, intorno alle 23, si
è sentito un gran trambusto. Io, che abito al 13, ho visto arrivare
alcune auto e fermarsi davanti a quella casa. Sono entrate un po' di
persone. Era buio, non abbiamo visto bene. Poco dopo se ne sono andati
via ed è tornata la calma".
"Il mattino seguente, intorno alle 9:30, sono arrivate cinque auto
militari americane, di colore verde oliva. Si sono fermate davanti a
quella casa. Ne sono scesi alcuni uomini vestiti in abiti civili e con
gli occhiali scuri. Erano sicuramente uomini del mukhabarat (servizio
segreto, n.d.r.) americano. Hanno aperto la porta dell'abitazione,
senza forzarla, come se fosse già aperta, e sono riusciti subito con
solo quattro uomini, che poi abbiamo saputo essere i tre ostaggi
italiani e un ostaggio polacco.
Li hanno caricati su un furgoncino bianco e se ne sono andati via. Il
tutto con la massima calma. Non è stato sparato un colpo. Nella casa, a
parte gli ostaggi, evidentemente non c'era più nessuno. Non è stato
assolutamente un blitz militare come è stato annunciato tre ore dopo.
Quelli sono tutta un'altra cosa. Lì si è trattato di una semplice presa
in consegna. Gli americani sono andati lì a colpo sicuro. Sapevano che
gli ostaggi erano stati portati lì, si erano messi d'accordo. Il vostro
governo ha pagato un riscatto: nove milioni di dollari. Qui ormai lo
sanno tutti. Adesso però basta parlare al telefono, non è sicuro".
A parlare, raggiunto al telefono da PeaceReporter, è un iracheno, il
signor Fahad, che assieme ad altri due suoi vicini, il signor Mohammed
e il signor Ibrahim, è stato testimone oculare della liberazione di
Agliana, Cupertino e Stefio. Fahad parla dalla sua casa, al 13 di
Zaitun Street, ad Abu Ghraib, il sobborgo occidentale di Baghdad
divenuto tristemente famoso per lo scandalo delle torture sui
prigionieri iracheni.
La sua versione dei fatti è confermata da un'altra fonte irachena
raggiunta da PeaceReporter, vicina al braccio politico della
guerriglia. Una fonte che ha voluto rimanere anonima, e che ha fornito
la sua versione di tutta la vicenda del sequestro, delle trattative e
della liberazione.
La fonte inizia facendo un nome, quello di Salih Mutlak. "Mutlak ­ dice
­ è un facoltoso commerciante iracheno arricchitosi con le speculazioni
e il contrabbando durante il periodo dell'embargo. Da molti è definito
semplicemente come un 'mafioso'. Lui è il personaggio chiave della
vicenda della liberazione dei tre ostaggi italiani, assieme al già noto
Abdel Salam Kubaysi (solo un omonimo di Jabbar al-Kubaysi), ulema
sunnita e docente all'università di Baghdad, salito all'onore delle
cronache televisive internazionali per il suo ruolo nella trattativa
per il rilascio - dietro pagamento di riscatto - degli ostaggi
giapponesi".
Secondo la fonte, con Mutlak e con Kubaysi il governo italiano avrebbe
trattato segretamente per settimane al fine di ottenere il rilascio di
Agliana, Cupertino e Stefio, rapiti il 12 aprile assieme a Quattrocchi,
ucciso il 14 aprile. Si scoprirà poi che aveva in tasca un porto d'armi
rilasciato dalle forze britanniche e un pass della Coalizione.
I contatti tra i nostri servizi segreti, il Sismi, e la coppia
Mutlak-Kubaysi sono iniziati subito dopo quei tragici giorni, e già il
20 aprile erano cominciate a trapelare notizie sull'accordo con il
governo italiano per il pagamento di un riscatto di 9 milioni di
dollari.
Il 22 era stato lo stesso governatore italiano di Nassiriya, Barbara
Contini, a lasciarsi scappare che non c'era nulla da stupirsi del fatto
che il governo pagasse un riscatto. "Si è sempre fatto così" aveva
detto. Subito dopo aveva smentito questa dichiarazione, e il ministro
degli Esteri, Franco Frattini, aveva detto che si trattava di "storie
prive di fondamento". Lo stesso giorno, una qualificata fonte dei
servizi segreti italiani rivelava all'agenzia Ansa: "La trattativa,
avviata da giorni, è già stata definita in tutti i suoi aspetti, sia
para-politici, sia economici. Quello che dovevamo fare l'abbiamo fatto".
Dopo questa burrasca il Sismi ha protestato per queste fughe di notizie
che rischiavano di far saltare le trattative in corso. A quel punto, il
governo ha deciso di imporre il silenzio stampa assoluto sulla vicenda.
"Le trattative - spiega la fonte - sono proseguite fino a quando,
all'inizio di maggio, Salih Mutlak è andato in aereo a Roma. Ragione
ufficiale del suo viaggio: affari. E' rimasto nella capitale italiana
per una ventina di giorni, tornando a Baghdad alla fine di maggio con
una valigetta piena di soldi. Cinque milioni di dollari, prima tranche
di un riscatto complessivo di nove milioni di dollari. Gli altri
quattro, questi erano gli accordi da lui presi, sarebbero stati
consegnati ai rapitori dopo la liberazione degli ostaggi".
Dopo il ritorno di Mutlak con i soldi, nei primi giorni di giugno si è
consumato un duro scontro all'interno delle fila dei guerriglieri
iracheni. Da una parte il braccio 'militare' dei guerriglieri, quelli
che detenevano materialmente gli ostaggi e che, tramite Mutlak e
Kubaysi, erano in contatto con il governo italiano: per loro
l'importante era solo incassare il malloppo. Dall'altra parte il
braccio 'politico' che non voleva fare la figura di una banda di
delinquenti che rapiscono per soldi e che quindi non volevano accettare
il riscatto.
"Noi ci siamo opposti a questo gioco sporco. Questa storia del riscatto
e della messa in scena della liberazione ­ sostiene la fonte ­ avrebbe
rovinato l'immagine della nostra causa, facendoci passare per dei
volgari banditi, e poi avrebbe giovato al governo italiano e quindi
prolungato l'occupazione militare dell'Iraq. Noi volevamo consegnare
gli ostaggi, senza alcun riscatto, nelle mani di rappresentanti del
mondo pacifista italiano, sia laico che cattolico, con cui eravamo già
in contatto da tempo e con i quali eravamo vicinissimi a una
conclusione".
Ancora domenica scorsa 6 giugno, i rappresentati della Santa Sede in
Iraq si dicevano infatti certi che la liberazione dei tre italiani
sarebbe stata questione di ore. Anche il governo italiano sentiva che
la questione era giunta a un punto decisivo: venerdì scorso, 4 giugno,
il ministro Frattini ha annullato una sua importante visita a Tokyo per
"motivi familiari". Forse quello è stato un giorno decisivo.
"Alla fine ­ prosegue la fonte, con tono infuriato ­ l'hanno spuntata i
'militari' senza scrupoli, che nei giorni scorsi, assieme a Mutlak,
hanno organizzato in gran segreto il trasferimento dei tre ostaggi
italiani dal loro luogo di detenzione, cioè Ramadi, un centinaio di
chilometri a ovest di Baghdad, fino alla periferia occidentale della
capitale, nel sobborgo di Abu-Ghraib. I tre sono stati lasciati in una
casa e poi la loro posizione è stata comunicata ai servizi italiani e a
quelli americani perché li venissero a prelevare. Il loro piano era di
far sembrare tutto come un blitz militare che si concludesse con
l'arresto dei sequestratori. Ma non è andata così".
E in effetti, fonti vicine ai servizi italiani hanno rivelato che i due
arrestati effettuati in connessione con il presunto blitz erano in
realtà solo due pastori iracheni, che nulla avevano a che fare con la
guerriglia e che erano stati pagati per farsi trovare lì.
Di certo, il fatto che a condurre l'operazione siano stati militari
americani, e non italiani, preclude alla magistratura una effettiva
indagine sui "liberatori".
In Iraq, al mercato nero delle armi, un kalashnikov costa tra i venti e
i trenta dollari. Con nove milioni di dollari se ne possono comprare
centinaia di migliaia.

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da il manifesto di oggi, 11/6:
 
INTERVISTA A GINO STRADA:
«9 milioni di dollari»

18 miliardi di lire consegnati ai rapitori di Agliana Stefio e
Cupertino ai rapitori dal «mafioso» Salim Mutlak e l'ulema Abdel Salam
al Kubaisi. Committente: il governo italiano. Un «contatto» racconta la
storia a Gino Strada di Emergency
SARA MENAFRA

«Nove milioni di dollari, offerti da alcuni mediatori che si sarebbero
detti in contatto con il governo italiano». A raccontare che i rapitori
avrebbero rilasciato gli italiani in cambio di un sostanzioso riscatto
è Gino Strada, il fondatore di Emergency, che in questi giorni ha
tentato più volte di ottenere la liberazione degli ostaggi. La conferma
della notizia circolata già nei giorni scorsi - secondo cui
l'ambasciata italiana avrebbe pagato la cifra richiesta - arriva dal
«contatto» che teneva i rapporti tra l'associazione e i rapitori.

Cominciamo dall'inizio. Del ruolo di Emergency in questa vicenda si è
parlato parecchio e in modi diversi. Ci racconti com'è andata?

Prima di tutto voglio dire che anche se potrebbe sembrare strano che
Emergency abbia deciso di provare a parlare con i rapitori, il nostro è
stato un atteggiamento coerente con l'idea di mettere le vite umane
davanti a qualunque valutazione politica. Tutto è partito con una
intervista fatta da Peacereporter a un membro dell'opposizione irachena
che dava una generica disponibilità a dialogare con esponenti
pacifisti. Noi ci siamo messi a disposizione, anche se fin dai primi
contatti ci è stato detto che contemporaneamente qualcuno stava
lavorando a risolvere la questione con il pagamento di un riscatto.
Abbiamo risposto che non erano fatti nostri. E per settimane siamo
stati in Iraq, dicendo a tutti quelli che conosciamo da quando
arrivammo nel `95: «Il nostro mestiere è dare una mano alle vittime
della guerra. Vi chiediamo un atto di solidarietà: rilasciateli».

Ma il contatto giusto? Si è parlato di servizi iracheni, di
fondamentalisti...

E' una situazione complicata: ci sono dei rapitori di cui non conosci
l'identità e non la saprai mai. Però con queste persone parla un
signore iracheno, il contatto con un collaboratore di Emergency. Non è
importante avere certezze su chi sia questo contatto. Diciamo che è
dell'opposizione a Saddam Hussein ma anche agli americani.

E' Jabbar al Kubaisi?

Assolutamente no, l'ho visto ad Amman, ma a Baghdad non l'ho più visto.

Vi hanno dato informazioni sugli ostaggi?

Ci è stato detto che gli ostaggi stavano bene, che c'era disponibilità
a rilasciarli ma che il rilascio avrebbe richiesto un po' di tempo. E
noi abbiamo deciso di tornare in Italia anche perché la presenza di
occidentali in una zona di guerra non passa inosservata per mesi. A
Baghdad ci sono più spie che venditori ambulanti.

Ma se erano in trattativa per un riscatto perché avrebbero dovuto darli
a voi gratis?

Perché quella che viene chiamata resistenza irachena e che io chiamo
opposizione al regime di occupazione militare era assolutamente
contraria persino a dialogare con il governo italiano o con la croce
rossa italiana che loro considerano strettamente legata al governo.

Eppure tramite mediazioni religiose sono stati rilasciati anche
cittadini appartenenti ad altri stati occupanti...

I gruppi non sono tutti uguali. C'è una galassia di formazioni.
Ciascuna ha i suoi leader politici o religiosi e segue strade diverse.
Sta di fatto che a noi l'opposizione irachena ha detto che non c'era
alcuna intenzione di dialogare con istituzioni degli occupanti.

Avevate capito dove tenessero gli ostaggi?

Nella zona a Ovest di Baghdad. I contatti sono proseguiti fino a lunedì
scorso. Quando Al Jazeera ha mandato in onda il filmato del 31 maggio
ci hanno detto di stare tranquilli e che gli ostaggi sarebbero stati
rilasciati a breve. Questo è il motivo per cui ho continuato a dirmi
ottimista.

E la trattativa per il riscatto?

Dieci giorni fa, i rapitori ci hanno contattati e ci hanno detto che si
erano presentati due iracheni che avevano offerto 9 milioni di dollari.
I nostri interlocutori volevano sapere se l'iniziativa fosse partita da
noi e noi abbiamo risposto di no.

Chi erano queste persone che si sono presentati ai rapitori?

A quel che ci hanno detto sarebbero Salik Mutlak, un businessman che
qualcuno definisce un mafioso e che ha fatto miliardi con l'embargo, e
Abdel Salam Kubaysi, ulema e docente all'università di Baghdad.

E i soldi da dove venivano?

Probabilmente dal governo italiano, con cui stavano trattando. Chi
altri potrebbe essere interessato? E' a questo punto che ci spiegano
come tra i sequestratori ci sia qualcuno che sostiene la tesi
«lasciarli andare per lasciarli andare almeno portiamo a casa nove
milioni di dollari». L'altro giorno, dopo la notizia della liberazione
abbiamo fatto una chiacchierata con il nostro contatto. Il quadro è
abbastanza coerente. Nella divisione tra posizioni diverse qualcuno ha
deciso di accettare il riscatto, pagato ovviamente in contanti, solo a
quel punto gli ostaggi sono stati trasferiti ad Abu Ghraib, a sud di
Baghdad. E qui sono stati lasciati in attesa degli americani.
Peacereporter ha parlato con l'uomo che abita vicino alla casa in cui
sono stati trovati, che ha raccontato di aver sentito arrivare i
rapitori la notte di lunedì e la mattina dopo, le automobili americane.

Repubblica ieri (2 giorni fa n.d.r.) scriveva che l'ultimo video
conteneva un messaggio rivolto a voi...

Non mi risulta, non sarebbe nel nostro stile.

Conclusione?

Siamo contenti anche perché il nostro primo obiettivo era quello di
salvare tre vite. Forse abbiamo contribuito a farlo.