(francais / italiano)

L'eroica resistenza del popolo iracheno

1. Najaf sotto il fuoco: “I soldati USA possono vincere alcune
battaglie, ma perdiamo la guerra”
(David Pestieau 18/08/2004 - anti-imperialism.net)
2. La Résistance irakienne contre l’occupation
(Subhi Toma 04/08/2004 - info_prc_paris)


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URL :
http://www.anti-imperialism.net/lai/
texte.phtml?section=BD&object_id=22936

Iraq

Najaf sotto il fuoco: “I soldati USA possono vincere alcune battaglie,
ma perdiamo la guerra”

David Pestieau 18-08-2004


Sostenuto dagli F-16 e dagli elicotteri da bombardamento, l’esercito
americano (coadiuvato da alcune centinaia di militari iracheni)
attacca da una settimana le città di Najaf, Baghdad (nei quartieri di
Sadr City, Shula e Sha’ab), Bassora, Nassiriya, Kut, al sud, Falluja,
Samara, Baquouba e Ramadi, all’ovest ed al nord. Centinaia di civili
sono stati uccisi, ma la resistenza è feroce.
Una resistenza ancor più feroce dal momento che il passaggio di potere
del 28 giugno non ha portato nessun miglioramento alla situazione del
popolo iracheno.
Un esempio: Durante questa estate irachena, dove le temperature
variano tra i 45° ed i 55°C, i tagli dell’elettricità sono costanti
(tra le 18 e le 20 ore al giorno). “Non c’è né elettricità né acqua
potabile. Noi abbiamo la corrente solo per sei ore”, raccontava Majid
Jabbar, 35 anni che guida un pick-up per guadagnarsi da vivere.
“Immaginate questa estate caldissima senza corrente! I nostri bambini
non possono dormire la notte, ed è impossibile lavorare decentemente”.
Conseguenze: La depurazione dell’acqua è interrotta, provocando la
propagazione di febbre tifica, dell’epatite e di altre malattie
contagiose; l’aria condizionata è stata tagliata, rendendo la vita
insopportabile per i bambini e per le persone anziane (pensate alla
canicola dello scorso anno nell’Europa occidentale ed immaginate le
conseguenze se avesse fatto tra i 10° ed i 20° in più).

Perché questo nuovo massiccio attacco dell'esercito americano?

Dal presunto passaggio di potere al governo Allawi, il 28 giugno, “la
realtà militare in Irak è che non c’è stata nessuna tregua
dell’insurrezione e che vaste parti del paese sembrano effettivamente
sotto il controllo di gruppi ostili al governo sostenuto dagli Stati
Uniti”, scrive Krugman.
Mentre in giugno prima del passaggio del potere i soldati americani
uccisi sono stati 42, a luglio sono stati 54 e la cifra rischia di
essere ben più elevata in agosto.
I corrispondenti del più accreditato giornale borsistico londinese, The
Financial Times, descrivono come segue la situazione surreale che
persiste a Ramadi (450.000 abitanti): “Nella capitale della più vasta
provincia dell’Irak, il cosiddetto ‘triangolo sunnita’, i ribelli
hanno cominciato ad annunciare il loro arrivo con gli altoparlanti.
‘Chiudete i vostri negozi e le botteghe prima delle 14. Non vogliamo
ferire nessuno. I combattimenti avranno inizio dopo le 14. Restate al
riparo’, annuncia il megafono fissato su un pick-up della Nissan
bianco che circola nel bel mezzo della via principale di Ramadi, alle
13. Alle 13 e 45, le strade sono vuote. Gli edifici del governatorato,
il commissariato di polizia ed i negozi chiudono. La polizia e la
Guardia nazionale irachena, che pattugliavano la città, spariscono
dalla circolazione. Quindici minuti più tardi, la resistenza spunta
dalle vie laterali per prendere possesso dell’arteria principale:
cinque grosse berline della Daewoo e quindici pick-up Nissan muniti di
lancia-granate e di Kalashnikov”.

Sette città irachene sfuggono al controllo americano

Ma ciò che accade a Ramadi non è un caso isolato. In realtà, oltre a
Ramadi, le città di Fallujah, Baquouba, Kut, Mahmoudiya, Hilla e
Samara non sono più sotto il controllo americano, poiché le truppe USA
sono rintanate nelle loro caserme.
Ecco allora che si comprende meglio la constatazione allarmata di
Krugman : “I nostri uomini sono sottoposti ad una severa tensione,
fabbrichiamo più terroristi (leggete resistenti, nda), di quanti ne
uccidiamo; la nostra reputazione, ivi compresa la nostra autorità
morale, è ridotta sempre più a brandelli ogni mese che passa”.
Il sostegno dei paesi alleati degli Stati Uniti si sgretola. Dopo la
Spagna, le Filippine hanno deciso di lasciare l’Irak. I governi di
Blair e Berlusconi sono indeboliti, mentre i paesi dell’est devono far
fanno fronte ad un’opposizione crescente della propria opinione
pubblica: tre polacchi su quattro si dichiarano per il ritorno
immediato delle proprie truppe.
Numerose aziende private hanno deciso di lasciare il paese e di non
servire più le forze di occupazione.
Inoltre, dopo cinque settimane del nuovo governo iracheno, gli
strateghi americani hanno deciso di ricorrere al terrore per tentare
di uscire da questo vicolo cieco. Se attaccano Moqtada Al-Sadr, è
perché reputano che questa fazione della resistenza è quella
militarmente meno forte (vedi “Moqtada Al-Sadr e l’esercito di al-Mahdi
una parte della resistenza”).

Il Primo ministro Allawi così come lo percepisce il popolo iracheno:
“il sindaco di tre vie di Baghdad”

Ma la battaglia di Najaf si sta rivelando già un disastro politico.
La più alta autorità sunnita del paese ha appena decretato una fatwa
(un’ingiunzione religiosa) che dichiara che è vietato a ogni musulmano
di portare un qualsiasi aiuto alle truppe di occupazione americane che
si battono contro i “loro fratelli musulmani”.
Alcuni elementi dell’esercito iracheno, supervisionati dagli
americani, si sono rifiutati di combattere a Najaf e fraternizzano con
la popolazione, cosa che è all’origine del cessate il fuoco di questo
venerdì.
Le contraddizioni si acuiscono anche in seno alle forze politiche
irachene protette dagli americani. La maggioranza del consiglio
provinciale di Najaf, instaurato da Washington, è dimissionaria.
Nello stesso tempo, il vice-governatore della provincia di Bassora ha
dichiarato che avrebbe rotto col governo provvisorio responsabile
delle violenze a Najaf. Il potere reale del governo iracheno si
riassume bene nel soprannome dato dalla popolazione al primo ministro
Allawi : “il sindaco di tre vie di Baghdad”.
L’aggressione contro Najaf sta radicalizzando ulteriormente la
popolazione in Irak ma anche in Iran, in Libano e nel resto del Medio
Oriente. Quindi, come afferma lo stratega francese Paul-Marie de la
Gorce : “La resistenza ha guadagnato il sostegno popolare ma non è
ancora unificata, cosa che resta la sua debolezza”.

Moqtada Al-Sadr e l’esercito di al-Mahdi, una parte della resistenza

Molti si interrogano su Moqtada Al-Sadr : è sostenuto dall’Iran? Vuole
instaurare una repubblica islamica?
Moqtada Al-Sadr ed i suoi sostenitori rappresentano una parte della
resistenza nel Sud dell’Irak ed a Baghdad. Il suo esercito di al-Mahdi
è poco addestrato ed è armato solo con armi leggere, cosa che lo rende
vulnerabile.
Dato che il suo movimento si è costituito solamente nell’aprile del
2003, è ancora poco strutturato.
Ma ha potuto godere di un certo finanziamento, delle armi, di un
sostegno logistico dei vecchi baathisti che formano oggi il cuore
della resistenza armata, come hanno confermato anche alcuni capi del
resistenza baathista in un’intervista del giugno scorso.
Il padre di Moqtada Al-Sadr che è stato ucciso nel 1999, aveva
ricevuto all’inizio degli anni ‘90 il sostegno del partito Baath
contro i movimenti islamici filo-iraniani (come il Dawa o il Consiglio
Supremo della Rivoluzione Islamica, che sono oggi nel governo
provvisorio).
Anche se si è evoluto in seguito in un’opposizione anti-Saddam
Hussein, questa fazione non aveva affatto la stessa natura dei
movimenti filo-iraniani.
Moqtada Al-Sadr si presenta innanzitutto come un nazionalista arabo,
un difensore dell’integrità dell’Irak, prima di sventolare la sua
ideologia islamica. In questo senso, è in opposizione coi movimenti
filo-iraniani che conrastano violentemente il nazionalismo arabo.

Insorti estremisti ed integralisti?

“L’arte dei media dominanti consiste nel presentare la resistenza
irachena come essenzialmente integralista e legata ad Al Qaeda”, mi
scriveva recentemente, e a giusto titolo, un amico. Non c’è niente di
più vero, come attestato dagli stessi esperti militari USA.
“Lo scopo: demonizzare la resistenza, fare passare il conflitto per un
combattimento tra il mondo cristiano civilizzato e la barbarie
integralista musulmana”, aggiungeva. “Viene nascosto sui media tutto
quello che potrebbe dimostrare che la reale posta in gioco è un’altra:
forze antimperialiste contro forza coloniale di occupazione”. Perché,
infatti, si insiste costantemente sulle forze islamiche della
resistenza, senza parlare mai dei partiti islamici (come il Dawa) che
partecipano al governo filo-americano? Il pericolo dell’Islam viene
agitato unicamente quando intralcia gli interessi degli Stati Uniti e
dei suoi alleati?
Persino degli ufficiali americani e degli esperti militari americani
danno tutta una altra immagine della realtà.
“Contrariamente a ciò che vorrebbe far credere il governo americano,
l’insurrezione in Irak è diretta da forze ben armate ed è molto più
estesa di quanto non si pensasse in principio, dichiarano dei
responsabile dell’esercito americano”, afferma un articolo
dell’Associated Press.
Questi responsabile hanno dichiarato all’AP che i guerriglieri sono in
grado di lanciare degli appelli ai propri sostenitori per gonfiare le
proprie forze e portarle almeno a 20.000 uomini e che godono di
talmente tanto sostegno popolare tra i nazionalisti iracheni scontenti
della presenza delle truppe americane che è impossibile venirne a capo.
“Non siamo all’alba di una jihad, qui”, ha dichiarato un ufficiale
dell’esercito americano a Baghdad.
Quest’ufficiale che ha percorso migliaia di chilometri in ogni
direzione attraverso l’Irak per incontrare i ribelli o i loro
rappresentanti, ha dichiarato che i capi della guerriglia venivano
dalle diverse sezioni del partito Baath di Saddam, e più in
particolare dal suo Ufficio militare. Hanno costituito decine di
cellule.
“La maggior parte degli insorti lottano per potere assumere un ruolo
più importante in seno ad una società laica, e non in uno Stato
islamico in stile talebano”, ha proseguito l’ufficiale. “Quasi tutti i
guerriglieri sono degli iracheni”.
“Gli analisti civili sono generalmente d’accordo nel dire che gli
Stati Uniti e le autorità irachene hanno esagerato  di molto  il ruolo
dei combattenti stranieri e degli estremisti musulmani”, conclude
l’AP.
“Una parte troppo importante dell’analisi americana si fissa su dei
termini come ‘jihadista’ e, allo stesso modo, cerca quasi
meccanicamente di legare ogni cosa ad Osama bin Laden”, ha dichiarato
Anthony Cordesman, uno specialista dell’Irak del Centro degli Studi
Strategici ed Internazionali. “Qualsiasi corrente di opinione pubblica
in Irak (…) sostiene il carattere nazionalista di ciò che accade
attualmente”.
“Bene, i guerriglieri sono motivati dall’Islam allo stesso modo in cui
la religione motiva i soldati americani, che hanno la stessa tendenza
a pregare quando sono in guerra”, ha dichiarato ancora un ufficiale
dell’esercito americano.
Ha aggiunto di avere anche incontrato quattro dirigenti tribali di
Ramadi che gli avevano spiegato “chiaramente” che non volevano uno
Stato islamico, anche se le moschee erano utilizzate come santuari
degli insorti e centri di finanziamento.
“Liberare l’Irak dalle truppe americane costituisce la motivazione
della maggior parte dei ribelli, e non la formazione di uno Stato
islamico” confermano gli analisti.
L’ufficiale USA ha dichiarato inoltre che gli insorti iracheni hanno
un grosso vantaggio rispetto ad ogni guerriglia in altre parti: molte
armi, del denaro, ed erano addestrati. “Hanno imparato molto durante
l’anno scorso, e con un incremento progressivo dei propri effettivi
rispetto alle forze americane, che ruotano, e alle forze di sicurezza
irachene”, prosegue Cordesman a proposito dei guerriglieri. “Hanno
imparato a reagire molto velocemente ed in un modo che i nostri piani
e le nostre tattiche abituali non sono efficaci”.


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Data: Fri, 20 Aug 2004 17:13:30 -0000
Da: "rifondazione_paris"
Oggetto: [info-prc-paris] La Résistance irakienne contre
l’occupation- de S. Toma

Nous publions cet article de Subhi Toma sur la resistence irakienne
_____

La Résistance irakienne contre l'occupation exprime la volonté d'un
peuple victime d'agression et de spoliation

LES CRIMES

Les crimes commis par l'administration Bush en Irak ont causé
plusieurs dizaines de milliers de morts parmi la population civile
(37 000, selon le journal émirati The Gulf Today du 4 août 2004),
sans compter les prisonniers, les torturés, les villes détruites, et
les sites culturels pillés depuis l'invasion.

Outre une main mise sur l'industrie pétrolifère de l'Irak,
l'administration Bush vise également à implanter durablement les
entreprises américaines dans le pays. La destruction massive des
infrastructures et la libéralisation de l'économie, qui ont permis
de brader l'industrie nationale, ont donc constitué la première
étape d'une reconstruction de l'économie dépendant désormais de la
seule volonté américaine (Décret 39 du Conseil provisoire mis en
place par l'administrateur P.Bremer).

Ce projet de domination de type colonialiste devait pour aboutir
provoquer des conflits entre communautés afin d'empêcher l'union des
forces s'opposant à l'occupation. Mais l'émergence de la résistance,
qui dénonce les visées criminelles des actes dirigés contre les
diverses communautés, renforce l'unité du peuple, et met
l'administration américaine dans l'incapacité d'atteindre ses
objectifs. L'échec de la reconstruction du pays par les entreprises
liées à la famille Bush en est la démonstration.

Plus de 16 mois après la fin de la guerre la plupart des
infrastructures endommagées sont encore en ruine, seuls 50% des
foyers irakiens sont alimentés en eau potable, les coupures de
courant atteignent un niveau record, l'approvisionnement en essence
est sévèrement rationné et le système de santé est en pleine
déliquescence.

Confrontée à la guérilla et incapable de relancer l'activité dans un
pays où le taux de chômage a dépassé les 50% parmi la population en
âge de travailler (Le Monde du 29 juin 2004), l'administration Bush
est donc en passe de subir un échec cuisant, non seulement sur le
plan militaire mais aussi sur le plan économique et commercial.

De plus, la recherche d'un profit maximal dans un pays exsangue a
rapidement suscité le rejet par la population de la politique
d'exploitation exercée par les entreprises américaines, lesquelles,
au lieu de recruter parmi les chômeurs irakiens qualifiés, préfèrent
l'emploi d'une main d'œuvre immigrée bon marché. Selon le quotidien
Al Bayan du 1er août 2004, 5000 immigrés indiens sont ainsi soumis à
des conditions de travail inhumaines sur les bases et chantiers
américains en Irak.

Face à cette politique de spoliation, les Irakiens n'ont d'autre
choix que de s'opposer à l'occupation par tous les moyens.
L'opposition mobilise aujourd'hui autant les jeunes privés d'avenir,
les chômeurs, les anciens militaires, que les nouveaux exclus
(l'ancienne élite irakienne écartée car soupçonnée d'allégeance à
l'ancien régime et tous ceux ne répondant pas aux critères de
formation anglo-saxonne).

La destruction de 80% des Instituts d'études supérieures et la
fermeture de 134 sections d'enseignement universitaire faute de
financement (déclaration du nouveau ministre de l'Enseignement
supérieur au journal Al Charq Al Awsat du 1er août 2004) augmentent
le taux de chômage parmi les jeunes et viennent nourrir le mouvement
de lutte contre l'occupation.

Les pillages

Sous l'occupation, les revenus de l'Irak, censés contribuer au bien-
être de la population, ont été estimés à 20 milliards de dollars et
se composent comme suit : les revenus pétroliers, les sommes
accordées par les pays donateurs, ainsi que les fonds irakiens
libérés par les différents pays en vue de financer la reconstruction.
86% des contrats de reconstruction ont été confiés aux entreprises
américaines et une grande partie des fonds alloués a été dilapidée
frauduleusement. Selon le journal saoudien Al Charq Al Awsat du 5
août, les bénéfices de l'entreprise Haliberton pour une année
d'activité en Irak s'élèvent à 3,6 milliards de dollars, dont une
partie a été réalisée en majorant de 50% le prix du carburant acheté
au Koweït pour le compte de l'autorité d'occupation.

M. Al-Aulum, membre de l'ancien Conseil provisoire installé par
l'administration Bush, a accusé publiquement le gouverneur civil M.
Bremer de malversations, de détournements de fonds, et
d'attributions illégales de contrats. Il a indiqué également qu'une
grande quantité de mercure irakien a été acheminée clandestinement
vers les Etats-Unis (Al-Watan, journal saoudien du 16 juillet 2004).

Un rapport officiel, publié dans le Los Angeles Times du 29 juillet
2004, fait état de dizaines de cas de détournements commis par
l'autorité d'occupation (achat de matériels fictifs, paiement de
travaux non effectués.). L'inspecteur général de cette autorité a
déclaré à la chaîne d'information américaine CNN, le 30 juillet
2004, qu'il n'était pas en mesure de justifier des dépenses portant
sur un milliard de dollars.
Un membre du cabinet du Ministère du commerce, placé sous la tutelle
de M. Bremer, a été condamné pour complicité de vol de 24 millions
de dollars.
La juge irakienne Madame Ismaël Haqui vient de demander l'ouverture
d'une enquête sur les millions de dollars détournés par Robert
Cross, ancien conseiller du même P.Bremer au Ministère des Affaires
sociales en Irak (journal Al-Arab du 15 juillet 2004).

Le rejet massif de ces crimes et pillages organisés constitue donc
les vrais motifs d'une résistance qui a acculé M. Bush à recourir à
un transfert précipité de l'autorité à des Irakiens qui ne sont
guère que des supplétifs locaux.

Le transfert du pouvoir.

Par le transfert de l'autorité au tandem Negroponte-Allaoui,
l'administration Bush cherche à alimenter la peur en provoquant une
guerre entre Irakiens.

Du reste, le président américain ne cache pas ses intentions en
répétant à l'envi qu'il n'envisage aucun changement de politique.

La désignation de J. Negroponte en qualité d'ambassadeur à Bagdad
confirme cette volonté. Ce nouvel homme fort de l'Irak s'est, en
effet, rendu célèbre en organisant les escadrons de la mort en
Amérique centrale dans les années 80.

Il en va de même pour le nouveau premier ministre irakien M.
Allaoui, recruté par la CIA dans les années 90 pour déstabiliser le
régime de Saddam, en fomentant des attentats à la voiture piégée
(New York Times du 9 juin 2004).

M. Allaoui, en signe de fermeté face à la résistance, a procédé
personnellement le 27 juin 2004 à l'exécution de six prisonniers
dans un commissariat de Bagdad (selon le journal australien Sydney
Morning Herald du 17 juillet 2004).

Dès sa nomination au poste de chef du gouvernement le 28 juin 2004,
M. Allaoui a décrété la loi martiale, le rétablissement de la peine
de mort, la censure et légitimé le bombardement des villes jugées
rebelles.

Pour asseoir son autorité par la terreur, le gouvernement
transitoire, appuyé par l'armée américaine, organise des attaques
sanglantes en bombardant des villes. A ce jour, le bilan de ces
actions se chiffre à des centaines de morts et des milliers de
blessés.

Ces massacres sont perpétrés avec le concours de la plus grande
agence d'espionnage américaine à l'étranger. Les 500 officiers de la
CIA installés en Irak sont chargés de conseiller les nouveaux
responsables et de créer un service de renseignement capable de
manipuler les groupes politiques (cf. les déclarations de l'ancien
membre du Conseil provisoire, Ahmad Chalabi, au journal saoudien Al
Hayat du 23 juillet 2004).

En procédant à un « transfert » de pouvoir, l'administration Bush
cherche certes à minimiser les pertes américaines à la veille des
élections américaines de novembre, mais aussi à élargir le soutien
international nécessaire à leur maintien dans le pays.
Les néo-conservateurs s'imaginaient coloniser l'Irak avec
l'assentiment des populations. Après avoir essuyé leur premier échec
face à la résistance, ils espèrent encore parvenir à leur fin avec
l'aide de l'ONU.

Devant la détermination des Irakiens qui luttent pour la libération
de leur pays, il sera difficile de légitimer un pouvoir pro-
américain en Irak et d'assurer la victoire de Bush., et ce quelque
soit le moyen utilisé : aide de l'OTAN ou parodie d'élections sur
des bases ethniques et confessionnelles.

Par la seule volonté d'un peuple face à une armée d'occupation de
200 000 soldats et de dizaines de milliers de mercenaires, des
villes irakiennes comme Falouja et Sammara ont été libérées ; les
batailles quotidiennes à Bagdad, Mossoul, Najaf, et Bassorah,
témoignent d'un vaste mouvement de révolte et condamnent le
gouvernement provisoire à un isolement sans équivoque.

Dans ces conditions, et pour contribuer efficacement au règlement de
la question irakienne, la communauté internationale, au lieu de se
fourvoyer dans un éventuel soutien à M. Bush, doit agir pour faire
respecter les droits des peuples à disposer d'eux-mêmes, exiger la
décolonisation et le départ rapide des troupes étrangères.

S.TOMA
04/08/2004

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