Quelli che vogliono squartare la Russia (4)

1. Reazioni e commenti in Russia dopo la tragedia di Beslan (di Mauro
Gemma / resistenze.org)

2. Gli ostaggi della scuola in Russia: chi è il responsabile di tante
morti? (di Peter Franssen / www.anti-imperialism.net)

3. Il terrore al servizio della NATO (con i complimenti di Brzezinski)
(di Jef Bossuyt / ptb.be / resistenze.org)

4. Il grande gioco dietro la strage (di Manlio Dinucci / il manifesto)


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http://www.resistenze.org/sito/te/po/ru/poru4i18.htm

www.resistenze.org - popoli resistenti - russia - 18-09-04

Reazioni e commenti in Russia dopo la tragedia di Beslan

di Mauro Gemma

Come hanno reagito gli opinionisti russi di fronte agli sviluppi della
tragica vicenda del massacro di Beslan?
Quello che balza immediatamente agli occhi è la singolare sintonia,
che sembra indicare una comune regia, con cui si sono mossi gli organi
di stampa più direttamente legati ai grandi oligarchi, oggi in rotta di
collisione con l’amministrazione presidenziale, a cui si sono associati
alcuni ambienti “radicali” (tale viene considerato il giornale “Novaja
Gazeta”, in realtà finanziato anch’esso dai magnati e in cui  scrivono
alcuni dei principali responsabili della catastrofe della Russia,
ruderi dell’era di Eltsin, di cui hanno esaltato il massacro del
Parlamento avvenuto nel 1993 (1)) e una parte della “sinistra estrema”.

Costoro non hanno esitato a riprendere l’intero armamentario
propagandistico in merito alle questioni della politica russa in uso in
Occidente, il quale sembra proporsi come obiettivo prioritario quello
di mettere in difficoltà l’attuale presidente Vladimir Putin, oggi
impegnato, con una determinazione che non può non essergli
riconosciuta, a districarsi tra gli ostacoli e le contraddizioni che
incontra il suo tentativo di affermare, dopo i disastri provocati dal
decennio eltsiniano seguito alla vittoria controrivoluzionaria del 1991
e che hanno largamente influenzato anche un lungo periodo dei suoi
mandati, un ruolo di primo piano della Russia e la ricostruzione di
quelle fondamentali basi economiche e politiche necessarie al suo
risanamento.

Tra le priorità c’è sicuramente la salvaguardia dell’unità e della
coesione del grande stato eurasiatico, la cui disgregazione e
destabilizzazione rappresenta fin dai primi anni ’90 dello scorso
secolo, senza ombra di dubbio, uno dei principali obiettivi strategici
dei concorrenti imperialisti della grande potenza nucleare, i quali
sono saldamente installati ai suoi confini e dispongono di un micidiale
meccanismo di alleanze politico-militari forse già in questo momento in
grado di intervenire in qualsiasi situazione di crisi che si manifesti
ai margini e all’interno stesso della Federazione Russa.

Ecco allora che non stupisce il fatto che, immediatamente dopo la
presa degli ostaggi da parte del manipolo di terroristi ceceni, siano
apparsi in molti “media” (ricordiamo, che in misura  ragguardevole sono
tuttora controllati dai grandi gruppi oligarchici nazionali colpiti
dalle ultime iniziative di Putin e dai “network” delle comunicazioni
internazionali), pur nel contesto di una scontata esecrazione della
tragedia avvenuta nell’Ossezia settentrionale, una serie di
significativi “distinguo” rispetto al giudizio da dare in merito al
comportamento tenuto dalle strutture federali. Tali esternazioni
sembravano proporsi lo scopo di attribuire le principali responsabilità
della tragedia alle caratteristiche “tecniche” della reazione russa
all’attacco terroristico e ad un’attitudine “cinica” dello stesso
Vladimir Putin, che non avrebbe tenuto nella giusta considerazione gli
aspetti umanitari della vicenda.

Sono state prevalentemente queste interpretazioni di alcuni tra i
principali organi “liberal” russi, ispirati dai loro finanziatori, ad
offrire il pretesto per le “richieste di chiarimento” partite da
governi dell’Occidente ed esponenti dell’establishment americano ed
europeo (a cui si sono immediatamente associati, con trasporto e senza
fermarsi a riflettere un attimo, settori significativi della cosiddetta
“sinistra antagonista” che sembrano aver abbracciato la causa di un
movimento separatista caucasico che, a nostro avviso, ha storicamente
meno ragioni di quelle che potrebbe addurre un eventuale “movimento per
l’indipendenza della nazione indiana” nel West nordamericano o un
movimento irredentista del Sud-Tirolo incorporato nello stato italiano
solo 86 anni fa! (2) ), tese con ogni evidenza a mettere in imbarazzo
nei confronti dell’opinione pubblica russa e internazionale e, in
qualche modo, a “ricattare” un Vladimir Putin alle prese con uno dei
più difficili momenti della propria carriera politica e ancora troppo
condizionato dallo scenario “geopolitico” emerso dalla disgregazione
dell’URSS, dalle pressioni che le potenze imperialiste e i grandi
gruppi economici internazionali sono in grado di esercitare su una
Russia indebolita e costretta ad un ruolo “di più basso profilo” nel
contesto planetario e dalle stridenti contraddizioni che caratterizzano
l’apparato statale e lo schieramento politico-sociale che lo hanno
sostenuto fino ad oggi.

I “distinguo” si sono poi trasformati in un attacco pesantissimo
quando, ad esempio nel caso del commento apparso nel sito internet
“Gazeta.ru”, anch’esso notoriamente finanziato dagli oligarchi, si
invocava la necessità di convocare un tavolo di trattative con i
mandanti del massacro, mettendo così in atto la linea tracciata dal
principale ispiratore della politica americana verso la Russia,
l’autorevole consigliere di vari presidenti USA Zbignew Brzezinski e
dagli esponenti “neoconservatori” che hanno dato vita, insieme agli
uomini di Maskhadov e Zakaev, a un “Comitato Americano per la Pace in
Cecenia” (a cui sicuramente fa riferimento quella campagna dei radicali
italiani a sostegno della “resistenza cecena”, che oggi potrebbe
trovare inaspettate sponde anche in una “sinistra antagonista” pronta
ad “abboccare all’amo”, come già avvenne nel caso della Jugoslavia),
che si propone di fare pressione sulla Russia perché negozi il
definitivo sganciamento della Cecenia dal corpo dello stato federale
russo, preparando così le condizioni per la rivendicazione di nuove
“indipendenze”.

Tutto ciò sta ad indicare con chiarezza la straordinaria sintonia
esistente tra gli sviluppi della situazione cecena e le mosse politiche
delle cordate dei magnati e dei loro protettori occidentali, i cui
interessi oggi vengono messi ancora più in discussione dalla prepotente
riaffermazione della necessità di forme efficaci di controllo statale
sulle risorse strategiche del paese. Nell’articolo di “Gazeta.ru” dal
titolo “Una politica esplosiva”, il suo autore afferma in modo
esplicito che “il detonatore principale  dei terroristi è rappresentato
da Putin e dalla sua crudele politica” e  si fa portavoce delle “elites
estromesse dal potere”, affermando che esse intendono rientrare in
gioco anche  esternando la loro disponibilità ad  intavolare un dialogo
con i terroristi a tutto campo e “non solo sulle questioni che fanno
comodo a Putin” (3).

Un altro coro di violente critiche all’operato del presidente è venuto
poi da alcuni settori dell’estrema sinistra, con l’attribuzione
all’attuale amministrazione di presunte caratteristiche “zariste”,
proponendo in alcuni casi la discutibile tesi dell’esistenza di un
aggressivo “imperialismo russo”, a cui si opporrebbe la “resistenza
cecena”, e sottovalutando, o addirittura rimuovendo del tutto, il ruolo
che l’imperialismo e i suoi alleati nella regione stanno svolgendo, con
frenetico attivismo (4).

Una sottovalutazione del contesto internazionale, in cui si è
consumata la tragedia di Beslan, a onor del vero e a dispetto delle
valutazioni che questo partito aveva esplicitato almeno fino a non
molto tempo fa, caratterizza oggi, a nostro parere, anche le posizioni
del “Partito Comunista della Federazione Russa” (o almeno quella metà
circa del gruppo dirigente del PCFR che non ha seguito la scissione
dello scorso luglio che ha dato vita in questi giorni al “Partito
Comunista Russo del Futuro”), il quale, nella sua ormai radicata e per
certi aspetti pregiudiziale opposizione a quello che definisce il
“regime di Putin”, sembra dimenticare che il Presidente russo, nella
sua strenua difesa del carattere unitario della Federazione, non è poi
così distante dalle tesi che, a più riprese, i comunisti hanno espresso
in merito alle implicazioni geostrategiche della “questione cecena” e
che sono apparse in documenti ufficiali e negli interventi dello stesso
Ghennadij Zjuganov (5).

Della  vera natura dell’attacco propagandistico dei “media” dimostra
invece di avere piena consapevolezza l’intellettuale marxista Dmitrij
Jakushev che, nel sito di “Levaja Rossija” (Russia di sinistra), di cui
è redattore, ha pubblicato un tagliente articolo (6), in risposta ai
critici di Putin di ogni colore.
Jakushev, che non da oggi lamenta l’assenza in Russia di una forza
autenticamente “antimperialista” capace di condizionare pesantemente
“da sinistra” Putin (che pur sempre rimane il rappresentante della
“borghesia nazionale”, di cui incarna le aspirazioni e i limiti), entra
in durissima polemica con le tesi dei “radicali” e dei “sinistri”
sostenitori della “resistenza cecena” (indicando esplicitamente
Politkovskaja e Kagarlitskij), mettendo direttamente in relazione la
campagna scatenatasi in Russia e in Occidente con le dinamiche (7)
dell’attacco terroristico, che su tale campagna evidentemente intendeva
fare affidamento.

Scrive Jakushev: “Si può affermare che il piano dell’attacco
terroristico di Beslan era il seguente: sequestrare una grande quantità
di bambini, allo scopo di rendere impossibile un assalto, e allo stesso
tempo ottenere la pressione dell’ “opinione pubblica democratica
mondiale” per costringere le autorità russe a sedersi al tavolo delle
trattative con i leader dei banditi, che nelle persone di Zakaev e
Maskhadov avevano già cercato di presentarsi come garanti degli
ostaggi. Naturalmente le trattative sarebbero potute cominciare solo
con la mediazione delle istituzioni dell’imperialismo. Tutto ciò non
rappresenta che il logico proseguimento della politica condotta
dall’imperialismo nella regione e in rapporto alla Russia”. Ma gli
avvenimenti non si sono svolti secondo le intenzioni dei mandanti
dell’attacco per ragioni puramente dovute al caso, quando l’esplosione
accidentale di un ordigno nella palestra della scuola di Beslan, ha
fatto precipitare la situazione, determinando le condizioni del
sanguinoso epilogo della tragedia, che certamente ha messo in rilievo
anche lo stato comatoso in cui versano le strutture della sicurezza
russa devastate dalle “riforme” postsovietiche.

A Jakushev non sfugge l’elemento di novità rappresentato dalla
reazione di Putin in questa occasione, rispetto alle precedenti, quando
nelle dichiarazioni degli “ambienti ufficiali” russi ci si è sempre
attenuti esclusivamente al tradizionale “cliché” del “terrorismo
internazionale” e del richiamo alla sola matrice di “Al Qaeda”. Questa
volta, afferma ancora Jakushev, “si è manifestato un evento
straordinario e completamente nuovo…Mai in precedenza Putin aveva
indicato così chiaramente  i veri ispiratori del terrorismo”. Nel suo
messaggio alla nazione – fa osservare Jakushev – il presidente afferma,
con toni autocritici, che “bisogna riconoscere che non abbiamo mostrato
comprensione della complessità e della pericolosità dei processi che
avevano luogo nel nostro proprio paese e nel mondo intero. Quantomeno
non abbiamo saputo reagire adeguatamente. Abbiamo mostrato debolezza. E
ai deboli gliele suonano. Alcuni vogliono strapparci un pezzo più
grasso, altri li aiutano. Li aiutano pensando che la Russia, una delle
più grandi potenze nucleari, continui a rappresentare per loro una
minaccia. Dunque, la minaccia va eliminata. Il terrorismo,
indubbiamente, è solo uno strumento per raggiungere questi scopi” (8).

Ora – è la conclusione di Jakushev -, “non si possono più nutrire
dubbi sul fatto che dietro ai banditi, che terrorizzano la popolazione
della Russia, ci siano i servizi speciali dell’imperialismo” e che “il
vero obiettivo di coloro che oggi sconvolgono il Caucaso settentrionale
non sia la libertà della Cecenia, ma l’attuale potere russo e la stessa
Russia”.


Note

(1) Incredibile appare l’esaltazione che il giornale “Liberazione”
(“Anna Politkovskaya, la giornalista che fa paura al Cremlino, 9
settembre 2004) fadel ruolo dei personaggi che gravitano attorno ai
vari comitati e fondazioni “per i diritti umani” (che, oltre alla causa
dei ceceni, stanno seguendo con trepidazione la “persecuzione” del
magnate truffatore ed evasore Khodorkovskij), dirette emanazioni delle
lobby statunitensi che intendono spartirsi la Russia. Tali organismi,
di cui sono noti i legami con gli attivisti radicali italiani 
filo-NATO, che da tempo conducono un’isterica campagna antirussa nel
nostro paese, hanno il compito, esattamente come è avvenuto nella ex
Jugoslavia, di preparare le condizioni per ogni genere di interferenza
occidentale negli affari interni della Russia, proponendo uno scenario
da “emergenza umanitaria”, ingigantendo i numeri delle vittime e delle
distruzioni  che sarebbero provocate dalla presenza militare russa,
giustificando di fatto la bestiale ondata terroristica (questa si ad
aver provocato ormai migliaia e migliaia di vittime in diverse località
della Russia, in particolare tra gli appartenenti ad etnie caucasiche,
musulmani e cristiani ortodossi), dimenticando che molti osservatori
internazionali sono pronti a riconoscere che le consultazioni condotte
dall’amministrazione russa circa la proposta di autonomia alla Cecenia
in ambito federale non possono essere considerate una farsa.

Non è privo di significato, poi, che gli stessi personaggi (a
cominciare dalla Politkovskaya), così ostinatamente schierati a fianco
del micronazionalismo dei banditi ceceni (solo perché così piace ai
loro amici americani), non esitino a scagliarsi contro le autonomie
presenti all’interno della confinante Georgia ( occorrerebbe ricordare
che in Abkhazia - dove Sabina Morandi, senza preoccuparsi della
coerenza delle proprie affermazioni, non ha alcuna esitazione ad
accreditare la tesi di Politkovskaya e soci su presunte  “pulizie
etniche” da parte dei russi - l’80% della popolazione ha tuttora il
passaporto della Federazione Russa!), in predicato di entrare nella
NATO, frequentata dalle truppe americane e retroterra del terrorismo
ceceno, avamposto dell’accerchiamento in atto della Federazione
Russa.   

A proposito dell’attività delle organizzazioni “informali”  sembrano
appropriate le riflessioni che lo stesso presidente russo Vladimir
Putin ha fatto il 26 maggio scorso, in occasione del suo messaggio
all’Assemblea Federale: “Certo non tutti nel mondo hanno intenzione di
confrontarsi con una Russia indipendente, forte e fiduciosa in sé
stessa. Oggi nella concorrenziale lotta globale vengono attivamente
utilizzati strumenti di pressione politica, economica e informativa. Il
rafforzamento del nostro senso dello stato a volte viene spacciato per
autoritarismo... Alcune parole sulle organizzazioni sociali non
politiche. Nel nostro paese esistono e lavorano costruttivamente
migliaia di istituzioni e unioni civili. Ma non tutte sembrano
orientate alla difesa dei reali interessi delle persone. Per una parte
di queste organizzazioni il compito prioritario è diventato la
riscossione di finanziamenti da parte di influenti fondazioni
straniere. Per altre il mettersi al servizio di gruppi discutibili e di
interessi commerciali. Perciò i problemi più acuti del paese e dei suoi
cittadini non vengono presi in considerazione. Si deve dire che, quando
il discorso verte sulle violazioni dei diritti fondamentali dell’uomo,
della limitazione degli interessi reali delle persone, a volte la voce
di simili organizzazioni neppure si leva. E ciò non stupisce:
semplicemente non possono “mordere la mano” da cui ricevono il
cibo(...). Sul messaggio di Putin all’Assemblea Federale è disponibile
una rassegna stampa nel n. 81 di  “Nuove Resistenti”,
http://www.resistenze.org

Per capire la complessa rete che sta dietro alla campagna
internazionale di discredito del presidente russo, torna utile leggere
l’articolo apparso nelle pagine dell’autorevole giornale britannico
“The Guardian” (8 settembre 2004), firmato da John Laughland,
fiduciario del “British Helsinki Human Rights Group”:

“... Le cosiddette “crescenti critiche” sono di fatto dirette da uno
specifico gruppo dello spettro politico russo e dei suoi sostenitori
americani. Gli esponenti che dirigono le critiche russe al modo come
Putin ha gestito la crisi di Beslan sono i politici filo-USA Boris
Nemtsov e Vladimir Rizhkov – uomini associati alle riforme del mercato
neo-liberale più spinto che hanno avuto effetti tanto devastanti sotto
Boris Eltsin così amato dall’Occidente – e il Carnegie Endowment’s
Moscow Centre. Fondato dal quartier generale di Washington, questa
influente fondazione – che opera in coppia con la militare-politica
Rand Corporation, allo scopo di produrre documenti sul ruolo della
Russia nel sostegno agli USA a ristrutturare il “Più grande Medio
Oriente” – ha ripetutamente biasimato Putin per le atrocità in
Cecenia... Costoro tengono essenzialmente la stessa linea che è stata
espressa dai leader ceceni, come Ahmed Zakaev, in esilio a Londra...
La durezza nei confronti di Putin si spiega forse con il fatto che,
negli USA, il gruppo che  si impegna per la causa cecena è
rappresentato dal “comitato Americano per la Pace in Cecenia” (ACPC).
La lista degli “americani in vista” che sono suoi membri è una rassegna
dei più rappresentativi neoconservatori sostenitori entusiasti della
“guerra al terrore”. Essa include Richard Perle, noto consigliere del
Pentagono; Elliot Abrams con la fama di Iran-Contra; Kenneth Adelman,
ex ambasciatore USA all’ONU che aveva incitato all’invasione dell’Iraq,
pronosticando che sarebbe stata “una passeggiata”; Midge Decter,
biografo di Donald Rumsfeld e direttore della Heritage Foundation di
destra; Frank Gaffney del militarista Centre for Security Police; Bruce
Jackson, ex ufficiale dell’intelligence militare USA e una volta
vice-presidente della Loockeed Martin, ora presidente del Comitato USA
sulla NATO; Michael Ledeen dell’American Enterprise Institute,
ammiratore del fascismo italiano e ora fautore di un cambiamento di
regime in Iran; e R. James Woolsey, ex direttore CIA, che è uno dei
principali sostenitori dei piani di George Bush di rimodellare il mondo
musulmano in base alle direttive USA.
L’ACPC diffonde energicamente l’idea che la ribellione cecena mette in
evidenza la natura non democratica della Russia di Putin, e ricerca
sostegni per la causa cecena, enfatizzando la serietà delle violazioni
dei diritti umani nella minuscola repubblica caucasica. Il comitato
paragona la crisi cecena alle altre cause “musulmane” alla moda, Bosnia
e Kosovo, giungendo alla conclusione che  solo un intervento
internazionale nel Caucaso è in grado di stabilizzare la situazione...
Provenendo da entrambi i partiti politici, i membri dell’ACPC
rappresentano la spina dorsale della politica estera dell’establishment
USA, e le loro opinioni sono di fatto quelle dell’amministrazione USA”

John Laughland, “The Cechens’ American friends”,
The Guardian, September 8 2004
http://www.guardian.co.uk/comment/story/0,1299318,00.html

(2) Non ritorniamo sulle caratteristiche della “questione caucasica”,
che sono state da noi esaminate in precedenti lavori pubblicati, a più
riprese, da L’ERNESTO.

(3) “Una politica esplosiva”
http://www.gazeta.ru/comments/2004/09/02_a_162210.shtml
 
(4) Esemplare è il lungo commento che il gruppo trotskista russo
“Resistenza socialista” dedica agli avvenimenti di Beslan, in cui,
invece di interrogarsi sul fatto che, nella situazione attuale di
grande debolezza dell’insieme delle forze comuniste e di tutto il
movimento di classe del paese, l’unica realistica alternativa a Putin e
al suo blocco sociale diretto dalla “borghesia nazionale” potrebbe
essere rappresentata dalla rivincita della “borghesia compradora” e dal
definitivo assoggettamento della Russia alle logiche dell’imperialismo,
si ipotizzano fantapolitici sbocchi rivoluzionari, e si discetta in
modo delirante addirittura sulla possibilità di sottrarre l’egemonia
sulla “resistenza cecena” alle mafie locali. “Beslan. L’inizio della
fine di Putin”. http://www.socialism.ru/analyses/russia/2004/beslan.html

(5) Interventi di Zjuganov e di altri esponenti comunisti russi sulla
questione cecena e, più in generale, su quella “delle nazionalità”,
sono apparsi in L’ERNESTO e in http://www.resistenze.org

(6) Dmitrij Jakushev, “Chi dà ordini al terrore?”
http://www.left.ru/2004/12/yakushev_terror111.html

(7) Sulla “regia occulta” del massacro di Beslan rimandiamo anche alla
lucida analisi di Manlio Dinucci apparsa con il titolo “Il grande gioco
dietro la strage” in “Il Manifesto”, 10 settembre 2004. [vedi piu'
sotto]

(8) La traduzione, a cura di Mark Bernardini, del “Messaggio alla
Nazione” di Vladimir Putin è reperibile nel n. 87 della rassegna “Nuove
Resistenti” in http://www.resistenze.org


=== 2 ===

Tratto da www.anti-imperialism.net

Gli ostaggi della scuola in Russia: chi è il responsabile di tante
morti?

Peter Franssen

Durante gli ultimi 25 anni, gli Stati Uniti hanno utilizzato alcuni
fondamentalisti religiosi in parecchie guerre sporche.
L’uomo alla base di questa strategia è Zbigniew Brzezinski. Nel luglio
del 1979 è l’allora consigliare nazionale alla sicurezza e persuade il
presidente Jimmy Carter ad incastrare l’Unione Sovietica nella trappola
di una guerra di lunga durata. Il governo afgano avrebbe sicuramente
fatto appello all’Unione Sovietica se si fosse scontrato con una forte
opposizione militare interna, ritiene Brzezinski. E’ per questo che gli
USA organizzano questa opposizione, la addestrano e la dotano di un
armamento moderno. E quello che Brzezinski aveva previsto si avverò.
L’Unione Sovietica invia decine di migliaia di soldati in Afghanistan,
per poi ritirarsi dieci anni più tardi, indebolita e demoralizzata.

Gli americani hanno applicato questa strategia una seconda volta in
Bosnia negli anni ‘90. Un rapporto del Parlamento americano ha
affermato quanto segue: “Gli Stati Uniti hanno trasformato la Bosnia in
una base islamica militante dove vengono addestrati migliaia di
Mujaheddin.” Lo scopo ed il risultato, in questo caso, è la distruzione
della Jugoslavia.

Dal 1991, gli americani seguono la stessa strategia in Cecenia. Qui, la
strategia deve condurre all’esplosione del Caucaso ed all’indebolimento
della Russia.
Zbigniew Brzezinski, attualmente, è co-presidente del Comitato
americano per la pace in Cecenia, un comitato che dice di lottare per
la pace in Cecenia, ma che, in realtà, determina la strategia di guerra
degli USA nel Caucaso. L’altro co-presidente è Alexander Haig, un
generale di estrema destra. Brzezinski è anche, e non è un caso, un
consigliere lautamente pagato della società petrolifera BP-Amoco. La
Cecenia si trova nel cuore del Caucaso, una regione ricca di petrolio e
di gas. È attraversata dalle condotte di gas e di petrolio che
collegano il Mare Caspio al Mare Nero.
La Cecenia è importante a causa del petrolio, ma anche per la sua
posizione strategica. Nel passato, l’Europa occidentale ha considerato
la regione come una testa di ponte per fare esplodere la Russia da sud.
Dopo la rivoluzione comunista del 1917, è di là che le truppe francesi
e britanniche si sono dirette verso Mosca. Nel 1942, la Germania
nazista ha occupato una parte della Cecenia per aprire da lì un secondo
fronte. Se gli Stati Uniti arrivassero a staccare la Cecenia dalla
madre-patria, sarebbe un duro colpo per la Russia che ha perso già
l’Estonia, la Lettonia e la Lituania nel nord, l’Ucraina, la
Bielorussia e la Moldavia ad ovest, la Georgia e l’Azerbaigian a
sud-ovest, e le cinque repubbliche dell’Asia centrale.

Un massacratore “coraggioso e degno di elogi”

L'uomo che ha organizzato la presa di ostaggi nella scuola di Beslan la
settimana scorsa è Chamil Bassaïev. Nel 1991, con un mitra ed alcune
granate in mano, lo troviamo al fianco del futuro presidente della
Russia, Boris Eltsin, all’epoca del colpo di stato condotto da
quest’ultimo, che porterà alla frantumazione dell’Unione Sovietica. Più
tardi, la CIA (i servizi segreti americani) fa passare Bassaïev per i
suoi campi di addestramento in Afghanistan ed in Pakistan. L’uomo qui
riceve la visita del ministro della Difesa pakistano, Aftab Shahban
Mirani, del ministro degli Interni Naserullah Babar e del capo dei
servizi segreti pakistani, Javed Ashraf. Tre generali che collaborano
strettamente con la CIA e che sono gli organizzatori del sostegno
fondamentalista alla ribellione cecena.
Chamil Bassaïev è in Cecenia dal 1995. È l’autore di parecchi orribili
atti di terrore, come il raid contro la città di Budennovsk. Qui prende
1.500 malati in ostaggio, in un ospedale. 147 di essi perderanno la
vita. Il maggiore americano Raymond Finch descrive questo crimine nella
rivista ufficiale dell’esercito USA, il Military Review del giugno
1997, e ne trae questa conclusione: “I metodi utilizzati da Bassaïev
sono crudeli e violano le leggi della guerra. Ma se consideriamo queste
azioni alla luce del lotta cecena per l’indipendenza, allora appaiono
come coraggiose e degne di elogi.” Quello stesso uomo coraggioso e
degno di elogi ha di nuovo sulla coscienza la morte di centinaia di
bambini. La citazione del maggiore non è un lapsus di un militare
isolato. All’inizio di agosto di quest’anno, Brzezinski stesso fa
sapere che gli Stati Uniti accorderanno l’asilo ad Ilyas Akhmadov.
Quest’uomo è complice di crimini di guerra. È uno dei collaboratori più
importanti del dirigente separatista ceceno Aslan Maskhadov. In luglio,
Maskhadov promette un aumento degli attentati. Promette di assassinare
chi vincerà le elezioni presidenziali di fine agosto. Cosa che non
impedisce gli americani di accordare l’asilo al suo collaboratore (come
suo “ministro degli esteri”, ndt) Akhmadov. Non solo, questo
personaggio è assunto con un buono stipendio alla National Endowment
for Democracy, un’organizzazione diretta da Paul Wolfowitz
(vice-ministro della Difesa), Frank Carlucci (ex-direttore della CIA) e
dal generale Wesley Clark (ex-comandante in capo della NATO). Gli
americani dimostrano così ancora una volta che sostengono il terrorismo
contro la Russia ed i Russi, uomini, donne e bambini.

La mancanza di volontà di Putin

All’epoca sovietica, si poteva passeggiare la sera senza paura nelle
grandi città. Uno o due volte all’anno, si sentiva uno sparo. Oggi, al
centro di Mosca e di Leningrado, dei colpi d’arma da fuoco echeggiano
50 volte al giorno. Fino al 1991, prima della restaurazione del
capitalismo nella vecchia Unione
Sovietica, non c’erano frontiere interne. Nel Caucaso vivevano in
amicizia popoli russi e non russi. Nessuno si chiedeva dove era
esattamente la frontiera, per esempio, tra la Georgia e la provincia
russa della Cecenia. Non c’erano guardie alla frontiera, né degli
incidenti di frontiera. La sicurezza e la pace sono scomparse. La
restaurazione del capitalismo ha portato guerra e terrore. I genitori
russi si chiedono con ansia: il mio bambino oggi tornerà da scuola sano
e salvo?
Nel 1945, alcuni politici e delle bande di mafiosi hanno provato a
separare l’Ucraina dall’Unione Sovietica. Ma gli operai ed i contadini
ucraini hanno organizzato dei gruppi di difesa e di propaganda
politica, dei comitati di quartiere, hanno rafforzato il Partito
comunista... Dopo cinque anni, quei banditi sono stati battuti. Ed ora?
Invece di fare la guerra ai terroristi, Putin ed i suoi predecessori
sono stati trascinati nella guerra contro il popolo della Cecenia. È la
ragione per cui i separatisti possono rimanere in sella per così tanto
tempo. Il presidente ed il governo, complici della restaurazione del
capitalismo, non vogliono mobilitare il popolo, perché questo
significherebbe la fine dei terroristi, ma anche la loro. In Russia non
c’è altra soluzione che il socialismo. Solo il popolo in prima persona
può eliminare il problema del terrorismo e del separatismo.


=== 3 ===

http://www.resistenze.org/sito/te/po/ru/poru4i03.htm
www.resistenze.org - popoli resistenti - russia - 03-09-04

da PTB - Parti du Travail de Belgique - www.ptb.be

Il terrore al servizio della NATO (con i complimenti di Brzezinski)

di Jef Bossuyt

Per comprendere le cause della terribile tragedia di Beslan, riteniamo
utile riprendere alcuni brevi ed efficaci stralci del contributo di Jef
Bossuyt, apparso tempo fa nel sito internet del Partito del Lavoro del
Belgio, dopo l’assalto terrorista ceceno al Teatro Dubrovka di Mosca.

Nel 1995, il terrorista ceceno Shamil Basajev penetrava in Russia con
due camion di esplosivo e 150 uomini armati. L’obiettivo: un’azione
terroristica a Mosca, con lo scopo di obbligare i russi a negoziare.
Veniva tuttavia bloccato nella piccola città di Budionnovsk, dove
prendeva in ostaggio 1.500 pazienti di un ospedale, dei quali più di
100 moriranno nel corso dell’assalto degli inseguitori. A tal
proposito, il maggiore americano Raymond C. Finch dichiarava: “I metodi
utilizzati da Basajev sono crudeli e violano le leggi di guerra. Ma se
noi giudichiamo queste azioni alla luce della lotta indipendentista
cecena, esse si rivelano coraggiose e degne di elogio” (Military
Review, Giugno 1997).
Il 7 ottobre 1999, in una lettera indirizzata al segretario generale
della NATO George Robertson, il presidente ceceno Maskhadov gli
chiedeva “di intervenire in Cecenia nel quadro del nuovo ordine
mondiale stabilito dalla NATO” (...)

L’autorità di Maskhadov deriva dai suoi committenti stranieri, in
primo luogo da Zbigniew Brzezinski, ex consigliere di Reagan e di Bush
padre. Costui è presidente del Comitato americano per la democrazia in
Cecenia ed esige che Putin negozi una “soluzione politica” con il
presidente Maskhadov. Il 16 agosto 2002 (poco tempo prima dell’assalto
di Mosca, nota del traduttore), il Comitato si riuniva nel
Liechtenstein. Erano presenti, oltre ai fondatori americani, i ceceni
Khasbulatov e Aslakhanov, insieme al rappresentante del presidente
Maskhadov, il suo “plenipotenziario” (che ha trovato in seguito rifugio
in Occidente) Akhmed Zavkajev. Si è discusso un piano mirante a
conferire alla Cecenia uno statuto speciale sotto la sorveglianza
internazionale dell’OSCE (l’Organizzazione per la Sicurezza e la
Collaborazione in Europa) (Sanobar Chermatova, in “Moskovskye Novosti”
del 27 agosto 2002)

Nella sua opera “La grande scacchiera”, Brzezinski consigliava di
continuare ad indebolire la Russia e di scinderla in una
“confederazione russa più aperta, composta da una Russia europea, da
una repubblica della Siberia e da una repubblica dell’Estremo Oriente”.
(...)        

Traduzione a cura del Centro di Documentazione e Cultura Popolare


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da "Il Manifesto" del 10 settembre 2004
BESLAN

Il grande gioco dietro la strage

Interessi. Un intreccio geopolitico e affaristico che provoca vittime
innocenti

MANLIO DINUCCI

L'attacco alla scuola di Beslan non è stato solo un atto terroristico
di kamikaze ceceni ma una complessa azione militare professionalmente
preparata. Come confermano anche gli inviati del New YorkTimes, mesi
prima era stato nascosto sotto il parquet della biblioteca un grosso
deposito di armi e munizioni e i membri del commando, dotati di tute
mimetiche in uso nella Nato e maschere antigas, conoscevano
perfettamente la pianta della scuola. Tale azione non può essere stata
organizzata da un singolo gruppo, senza una rete diappoggi sia
all'interno che all'esterno della Russia. Dietro la nuova strage degli
innocenti vi è quindi non solo l'aspirazione all'indipendenza, che
anima il popolo ceceno sin dall'epoca zarista, e il rifiuto russo di
concederla. Vi è il «grande gioco» interno e internazionale attorno a
una posta di enorme importanza strategica: il controllo dell'ex Unione
sovietica e, in particolare, delle sue ricchezze energetiche.
All'interno della Federazione russa è in corso lo scontro tra grossi
esponenti dell'oligarchia economica e Vladimir Putin che,
contrariamente a quanto essi si aspettavano, ha accentrato il potere, e
con esso i profitti della vendita del petrolio e del gas naturale,
nelle mani degli uomini fidati della sua amministrazione. Il
miliardario Mikhail Khodorkovskij, padrone della compagnia petrolifera
Jukos, aveva tentato la scalata al potere politico con l'appoggio della
statunitense ExxonMobil cui stava per vendere un terzo della Jukos, ma
è stato imprigionato per aver evaso le tasse. Il banchiere Boris
Berezovskoj, rifugiatosi a Londra, da tempo sostiene e finanzia il
gruppo ceceno di Shamil Bassaev, indicato come organizzatore
dell'attacco di Bessan. Il fine politico di tale azione era quello di
colpire il prestigio di Putin, presentatosi come uomo forte in grado di
risolvere la questione cecena e garantire la sicurezza della Russia.

Lo ha ben capito Putin che, nel discorso televisivo di sabato sera
(sottovalutato dai media), sottolinea: «Alcuni vogliono strappare via
un grosso pezzo del nostro paese. Altri li aiutano a farlo. Li aiutano
perché pensano che la Russia, una delle più grandi potenze nucleari del
mondo, costituisce ancora una minaccia e che tale minaccia deve essere
eliminata. Il terrorismo è solo uno strumento per conseguire tali
scopi» (The New York Times, 5 settembre). Il messaggio è chiaro ed è
chiaro a chi è diretto.

Gli Stati uniti, disgregatasi l'Unione sovietica, proclamano
esplicitamente nel 1994 che la regione del Caspio rientra nella loro
«sfera d'interessi». Nello stesso anno, l'anglo-statunitense Bp-Amoco
si assicura in Azerbaigian (membro con la Russia della Comunità di
stati indipendenti) una prima concessione petrolifera. Nello stesso
anno scoppia la guerra in Cecenia (repubblica della Federazione russa),
i cui capi ribelli, arricchitisi dal 1991 con i proventi petroliferi,
sono sostenuti dai servizi segreti turchi (longa manus della Cia).
Quando, dopo gli accordi di pace del 1996, la Russia inaugura nel 1999
l'oleodotto tra il porto azero di Baku sul Caspio e quello russo di
Novorossiisk sul Mar Nero, esso viene sabotato nel tratto in territorio
ceceno. I russi realizzano allora un bypass attraverso il Daghestan, ma
in agosto un commando ceceno di Bassaev lo rende inagibile. In
settembre, Mosca effettua il secondo intervento armato in Cecenia.
Nello stesso anno, per iniziativa di Washington, viene aperto un altro
oleodotto che collega Baku al porto georgiano di Supsa sul Mar Nero,
mettendo fine all'egemomia russa sull'esportazione del petrolio del
Caspio. Nello stesso anno, sempre su iniziativa statunitense, Turchia,
Azerbaigian, Georgia e Kazakistan decidono di costruire un oleodotto
che collega Baku al porto turco di Ceyhan sul Mediterraneo, sottraendo
alla Russia il controllo sull'esportazione della maggior parte del
petrolio del Caspio.

Contemporaneamente gli Stati uniti si muovono per distaccare da Mosca
le repubbliche ex sovietiche dell'Asia centrale, portandole nella
propria sfera d'influenza. Dopo l'11 settembre Washington dà la
spallata decisiva, installando basi e forze militari, oltre che in
Afghanistan, in Uzbekistan, Tagikistan, Kirghizistan, Kazakistan e
Georgia. L'area è dienorme importanza, sia per la sua posizione
geostrategica rispetto a Russia, Cina e India, sia per le grosse
riserve di petrolio e gas naturale del Caspio (su cui si affacciano
Kazakistan e Turkmenistan), sia per la sua vicinanza alle riserve
petrolifere del Golfo, dove con l'occupazione dell'Iraq gli Usa hanno
rafforzato la loro presenza militare. In compenso però Bush ha espresso
il suo dolore per le vite innocenti sacrificate a Beslan, assicurando
di «essere con il popolo russo, cui dedichiamo le nostre preghiere».