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il manifesto - 21 Settembre 2004

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INTERVISTA

Memoria cancellata del misfatto coloniale

Parla lo storico Angelo Del Boca: «La Libia non può dimenticare la sua
storia»
Il vicepremier italiano Fini è favorevole a togliere le sanzioni a
Tripoli, a patto che i libici cancellino la celebrazione della
sconfitta delle truppe italiane. «Un popolo sovrano - dice Del Boca -
non azzera la propria lotta per l'indipendenza»
TOMMASO DI FRANCESCO

E'di fatto la notizia di queste ore: la Commissione europea ha deciso
di togliere l'embargo, compreso quello delle armi, alla Libia
sostenendo la richiesta italiana legata però al rigido controllo
dell'immigrazione clandestina; su questo Bruxelles è pronta a inviare a
Tripoli una «commissione tecnica». E anche gli Stati uniti tolgono le
sanzioni, dopo i danni pagati per gli attentati di Lockerbie e Berlino
e soprattutto dopo l'accettazione libica della sua «rinuncia» ai
progetti - cartacei - di dotarsi di armi di distruzione di massa.
Nessuno però, finora, aveva addotto, tra le condizioni occidentali, la
richiesta alla Libia di rinunciare alla storia della sua lotta per
l'indipendenza. L'ha fatto in questi giorni l'«avanguardista»
vice-premier italiano Granfranco Fini, quello che si è scagliato contro
il «pacifismo pilatesco». «Ha ragione Pisanu quando dice che è giusto
togliere l'embargo alla Libia - ha dichiarato - ma allora dobbiamo
chiedere alla Libia di togliere dal suo calendario il giorno della
vendetta contro gli italiani» - parlava della celebrazione libica del
24 ottobre 1911, quando le truppe d'occupazione italiane vennero
sconfitte a Sciara Sciat. Di questo «revisionismo di governo» abbiamo
parlato con lo storico del colonialismo italiano Angelo Del Boca, del
quale in questi giorni l'editore Mondadori ha pubblicato un prezioso
libro di storia dell'imprese militari italiane in Libia, «La disfatta
di Gasr Bu Hàdi», un altro rovescio, il più grave, del colonialismo
italiano in Libia. «Ma come può - ci dice subito Del Boca - un popolo
sovrano dimenticare la lotta per la sua indipendenza?».

Con quale diritto e legittimità il vice-premier Fini sembra voler porre
le sue condizioni?

La battuta di Fini ha una sola spiegazione. Il vicepremier ignora del
tutto la storia dei rapporti italo-libici, dimentica i 30 durissimi
anni dell'occupazione italiana della Libia durante i quali per
difendere la propria patria 100.000 libici hanno perso la vita. A
quell'epoca la Libia contava 800mila abitanti, il che significa che un
libico su otto è stato ucciso in combattimento o è stato condannato
all'impiccagione, oppure è morto nei 13 tremendi lager creati dal
generale Graziani nella Sirtica. Si può chiedere ai libici di
dimenticare una strage di quelle proporzioni, cancellando le origini
della loro nazione?

Fini è il rappresentante di questo revisionismo storico di governo che
cancella i crimini di guerra italiani per promuovere una memoria a
senso unico - già lo ha fatto per le foibe. Ma come può azzerare anche
le promesse mai mantenute per le riparazioni dei danni di guerra?

Da decenni i libici si attendevano dal governo italiano non soltanto
riparazioni materiali per le vittime dell'occupazione italiana, ma
anche - e direi soprattutto - una esplicita ammissione della colpa
coloniale. Va detto però che nessun governo della repubblica ebbe in
passato il coraggio di sciogliere questo debito morale. Il che provocò
diffidenze, risentimenti, e persino la proclamazione in Libia, appunto,
di una giornata della vendetta. Bisognerà attendere il primo dicembre
del 1999 per assistere ad una svolta significativa nei rapporti
italo-libici. Il coraggio di pronunciare una chiara condanna del
colonialismo l'ha infatti avuto il presidente D'Alema appena arrivato
in visita a Tripoli. Al premier libico Mohammed Ahmed El Mangus,
D'Alema dichiarava: «I rapporti tra i nostri due paesi hanno avuto
nella loro storia momenti diversi come quello molto negativo del
colonialismo, ma oggi è possibile costruire un rapporto su una base
nuova di amicizia, collaborazione, rispetto reciproco».Qualche ora
dopo, rendendo omaggio ai martiri di Sciara Sciat e di Henni, le prime
vittime della repressione italiana del 23-'24 ottobre 1911, D'Alema
esprimeva una condanna del colonialismo ancora più netta: «Qui gli eroi
nazionali sono stati giustiziati dagli italiani». Queste chiare
ammissioni di colpa avrebbero però avuto una maggiore rilevanza se
fossero state seguite da gesti concreti, come ad esempio la bonifica
dei campi minati della Cirenaica, che ogni anno mietono decine di
vittime, la costruzione di un ospedale d'avanguardia a Tripoli - tante
volte promesso da Giulio Andreotti - la riconsegna alla Libia della
Venere di Cirene, trafugata da Italo Balbo e donata al gerarca nazista
Herman Goering. L'elenco delle promesse italiane alla Libia è lungo a
non finire ma nessuna promessa è mai stata mantenuta. Berlusconi,
riprendendo la vecchia offerta di Andreotti vuol chiudere il
contenzioso coloniale donando «un centro medico all'avanguardia» del
costo stimato 62milioni di euro. Forse, dieci anni fa, questo dono
sarebbe stato accolto con favore. Oggi non più. Oggi Gheddafi pretende
un'autostrada. Per l'esattezza la costruzione di una litoranea dalla
Tunisia al confine con l'Egitto, del costo 20 volte superiore a quello
dell'ospedale offerto da Berlusconi. E' lo scotto che si paga
rimandando di decennio in decennio una soluzione.

Ora si parla di «accordi» tra Italia e Libia, con la promessa di una
missione di polizia italiana per «controllare le coste» e fermare così
l'immigrazione africana. Dimenticando che non è questione di poche
centinaiaia di poliziotti - in una operazione tutta di facciata come il
manifesto ha denunciato - né di coste: la Libia ha la frontiera interna
aperta sulla grande crisi dell'Africa nera. Cosa pensi di questi
accordi annunciati?

Sull'accordo italo-libico per fronteggiare gli sbarchi di clandestini
ci sono alcuni punti oscuri. Sta bene l'invio a Gheddafi di mezzi, di
elicotteri, di aeroplani per sorvegliare le migliaia di chilometri di
frontiere. Ma io ho qualche dubbio che la Libia, che vive un momento di
ipernazionalismo sotto la guida di Gheddafi sia disposta ad accettare
«l'intrusione» di superpoliziotti italiani senza che questo venga
interpretato come messa in discussione della sovranità del paese. Ma la
questione più incredibile è quella dei centri di accoglienza in Libia.
Il governo italiano alimenta questa possibilità nonostante il ministro
libico che si occupa degli affari interni e dell'immigrazione, Nasser
El-Mabruk, abbia finora risposto il contrario, dichiarando: «Sono
proprio contrario all'idea di centri di accoglienza come fossero delle
riserve umane». Che significato hanno questi centri di assistenza, che
che rischiano di diventare una specie di lager, di campi
concentramento. Il mio dovere di storico è ricordare che lì, con il
generale Graziani, ne abbiamo già fatti 13 di campi di concentramento.
Vogliamo proprio fare altri campi di concentramento? Il ministro libico
Nasser El-Mabruk proponeva, in alternativa, forme di residenza, luoghi
dove vengano rispettati i diritti umani, la salute, il welfare:
insomma, per impedire davvero che gli immigrati arrivino sulle coste
libiche per poi venire in Europa, bosogna creare possibilità di vita
civile in Africa, nei paesi di partenza.

Com'è possibile che l'autorevolel Corriere della Sera in questi giorni,
abbia deciso di offrire ai suoi lettori davvero un incredibile
"servizio storico": raccontare la cronologia dell'avventura italiana in
Libia con sole due date, il 1911 e il 1970?

Sì, è incredibile. A parte le inesattezze raccontate: non sono turche
le truppe che infliggono la dura sconfitta agli italiani a Sciara
Sciat, erano soprattutto i libici, che avevano fatto comunella con i
turchi, cosa che gli italiani non si aspettavano, perché il console
Galli aveva detto purtroppo che i 100.000 italiani che sbarcavano col
generale Caneva sarebbero stati accolti con i tappeti rossi. Ma il
fatto più grave è che così si dimentica la resistenza libica.
Praticamente ci si ferma alla presenza italiana in Libia, allo sbarco,
ma si cancella poi quello che è stato il periodo più drammatico e
sanguinoso, che va dal 1919-1921 al 1932, con la riconquista della
Libia fatta con i metodi di Badoglio e di Graziani. Fini dimentica
completamente che è proprio in base a questi crimini che i libici hanno
creato la giornata della vendetta, perché sono soprattutto memorie che
loro non possono cancellare. Cè un palazzetto a Tripoli, il Palazzetto
del Mutilato, dove ci sono le schede di tutti le 100.000 vittime
dell'occupazione militare italiana, ogni morto, quando è possibile, ha
vicino una foto con la descrizione dei motivi della sua morte: se in
combattimento, o fucilato, o impiccato.

Il giorno della vendetta è il 24 ottobre 1911, quello della battaglia
di Sciara Sciat?

Sì. Lo ricordano perché, dopo l'uccisione di alcune centinaia di
soldati italiani, ci fu la reazione terrificante di Giolitti. Ci sono
telegrammi che lui invia al generale Caneva veramente terribili, come
quelli che Mussolini inviava a Badoglio e a Graziani durante la guerra
del `35-'36 in Etiopia dicendo: «Usate i gas». Non solo. Ci sono stati
circa un migliaio di morti in rappresaglie e poi, la cosa più grave,
4000 libici sono stati deportati in Italia. Anche su questi deportati -
sono 5000 tra l'11 e il `40 - i libici chiedono notizie. Anche su
questo abbiamo promesso e mai mantenuto. Come non abbiamo mai visto in
Italia il film su Omar el Mukhtar, l'eroe nazionale libico. Impiccato
nel 1932 dagli italiani.

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Disfatte, non solo Sciara Sciat

E' in libreria da alcune settimane il nuovo libro dello storico del
colonialismo, Angelo Del Boca, «La disfatta di Gasr Bu Hàdi», con un
sottotitolo illuminante «1915: il colonnello Miani e il più grande
disastro dell'Italia coloniale», edito da Mondadori (pp. 149, 14 euro).
Il libro descrive una sconfitta italiana peggiore di quella di Sciara
Sciat nella Libia del 1911, oggetto in questi giorni della richiesta
del vicepremier Gianfranco Fini che si rivolge a Tripoli perché
cancelli quella data dalle celebrazioni nazionali libiche. Si parla del
1915, subito dopo l'abbandono fatto dagli italiani del Fezzan, la
regione interna della Libia, che gli italiani avevano appena occupato.
E' una storia «grande» che si avvale della narrazione di una storia
«minima», quella di una figura militare: il colonnello Miani, che aveva
guidato una spedizione straordinaria, conquistando con 1200 uomini e 10
cannoni la vastissima regione interna del Fezzan, grande come l'Italia.
Poi però, non avendo ricevuto aiuti e rinforzi per consolidare
l'occupazione dal ministro delle colonie Ferdinando Martini, fu
costretto a soccombere di fronte alle nuove rivolte della popolazione
libica. La disfatta di Gasr Bu Hàdi peserà molto sul successivo
sviluppo del colonialismo italiano.

E' un libro molto accurato. Contiene una novità straordinaria: 87
fotografie scattate dallo stesso colonnello Miami, finora inedite, mai
viste sulla più che documentata conquista italiana della Libia del
1914-1915 e veramente stroardinarie.

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Dal 1911 al 1970, cronologia dell'avventura militare, e non solo, degli
italiani in Libia

3 ottobre 1911 - I centomila soldati agli ordini del generale Caneva
sbarcano sulle coste di Tripolitania e Cirenaica, dopo l'ultimatum
italiano respinto dalla Turchia.
23 ottobre 1911 - Le truppe turche sostenute da partigiani libici
attaccano gli italiani a Sciara Sciat e ne fanno scempio. Giolitti
ordina a Caneva la repressione più dura. E' la caccia all'arabo, 4 mila
libici vengono deportati in Italia.
18 ottobre 1912 - Con la pace di Ouchy, l'Italia entra in possesso
della Libia e delle isole del Dodecaneso. Ma al momento del cessate il
fuoco occupa solo le coste.
12 agosto 1914 - Con l'occupazione di Ghat, il colonnello Antonio Miani
completa la conquista del Fezzan.
28 novembre 1914 - Comincia, con la decimazione della guarnigione di
Sebha, la grande rivolta araba. Gli italiani ritirano tutti i presidi.
29 aprile 1915 - Il colonnello Miani viene battuto a Gasr bu Hadi. Il
ministro delle Colonie Ferdinando Martini confida agli intimi: «Peggio
di Adua!».
1922-1932 - La riconquista della Libia, già avviata con i governi
liberaldemocratici, viene completata da Mussolini, il quale non
risparmia ai libici le peggiori atrocità: si distingue il generale
Rodolfo Graziani, soprannominato «macellaio degli arabi».
16 settembre 1931 - Nel campo di concentramento di Soluch viene
impiccato l'anziano leader della resistenza Omar el-Mukhtar.
22 gennaio 1943 - Gli inglesi occupano Tripoli, dopo aver battuto ad
El-Alamein le forze italo-tedesche. Con la perdita della Libia finisce
l'impero coloniale italiano.
1 settembre 1969 - Con un colpo di stato incruento, il giovanissimo
Gheddafi si impadronisce del potere.
21 luglio 1970 - Gheddafi promulga tre leggi per la confisca dei beni
degli italiani e degli ebrei e l'espulsione di tutti i membri delle due
comunità.