Putin come Mussolini ?

Zbigniew Brzezinski come Marco Pannella, Massimo D'Alema, Antonio
Moscato, Fausto Bertinotti, ...


L’UNITA’ on line - 27.09.2004

PUTIN COME MUSSOLINI
di Zbigniew Brzezinski

Sei così misera,/povera e addolorata,/ ma anche piena di grandi
tesori,/sei potente e forte,
Russia, madre mia!

Citando queste commoventi versi del poeta Nekrasov, il 12 marzo del
1918 Vladimir Ilich Lenin spiegò pubblicamente perché aveva deciso di
spostare la sede del governo russo da San Pietroburgo a Mosca.
In mezzo al caos, alla confusione e alla violenza di quelle giornate
rivoluzionarie, Lenin - che era arrivato al Cremlino solo cinque giorni
prima - affermava: «La Russia diventerà potente e prospera solo
abbandonando la sua debolezza e tutte le parole vane, e solo se,
stringendo i denti, chiamerà a raccolta tutte le sue forze e tenderà
ogni nervo e ogni muscolo per raggiungere i suoi scopi… se lavorerà con
lena per stabilire la disciplina, rafforzando ovunque l'organizzazione,
l'ordine, l'efficienza e la cooperazione armoniosa del popolo,
introducendo un controllo sulla produzione e la distribuzione. Solo
così sarà possibile costruire una potenza militare e socialista».
Fu così che Mosca tornò ad essere l'epicentro della Russia.
Alcuni secoli prima era stata la capitale di Ivan il terribile, ma era
retrocessa a città di provincia quando Pietro il Grande aveva deciso di
aprire una finestra sull'Europa costruendo San Pietroburgo e
scegliendola come nuova capitale. Mosca è capitale ancora oggi: gli
slogan di Lenin sono una stupefacente premonizione dei discorsi che
Putin ha fatto in questi ultimi tempi per giustificare la
centralizzazione del potere.
È importante sottolineare che per i russi il Cremlino è ben più della
sede del governo: rappresenta la lunga tradizione di accentramento dei
poteri dell'autocrazia, contraria a ogni sorta di autonomia regionale e
a ogni decentramento, favorevole invece ad alimentare la paranoia
sciovinista secondo cui il pluralismo politico porterà inevitabilmente
al crollo della Russia. Una mentalità del genere si adattava
perfettamente all'idea stalinista di pianificazione centralizzata, e
oggi si adatta anche alla mentalità burocratica del Kgb, con un'etica
fondata sul sospetto e sulla disciplina gerarchica. Per degli uomini
provenienti dal Kgb come Putin non ci sono dubbi: per essere «potente e
forte» la Russia deve essere governata dall'alto.
Sono due le conseguenze di quanto detto: la prima è che Mosca è la sede
di un'élite politica parassita che identifica gli interessi della
Russia con i suoi stessi interessi. Subordinare un paese enorme con
undici fusi orari diversi alle decisioni prese dai governanti moscoviti
è una formula che incontra il favore istintivo della burocrazia
parassita. Il monopolio dell'élite di Mosca soffoca l'iniziativa locale
e impedisce alle regioni russe di sfruttare le proprie risorse e
capacità. Non è un caso che sotto Stalin Mosca sia stata la
beneficiaria privilegiata della modernizzazione e dello sviluppo -
d'altronde, lo è ancora oggi. Rispetto a Mosca le altre città russe
sono stagnanti, e la campagna continua a ricordare molto da vicino
quella descritta da Tolstoj. Ancora oggi quasi tutti gli investimenti
esteri sono fagocitati da Mosca (o riciclati all'estero) mentre in
molte altre città, come ad esempio Vladivostok, anche i servizi di base
- alloggi e sanità - sono a uno stadio quasi primitivo.
In secondo luogo, la mentalità parassita e autoreferenziale dell'élite
politica moscovita rallenta il processo di democratizzazione politica.
Putin è apprezzato dai burocrati perché favorisce gli interessi diffusi
di un gruppo al potere che ha nostalgia della Russia come grande
potenza imperialistica e che identifica il proprio benessere non solo
con il dominio di tutto il paese, ma persino degli ex stati dell'Unione
sovietica. Per l'élite al potere l'indipendenza dell'Ucraina, della
Georgia o dell'Uzbekistan è un'offesa storica; la resistenza dei ceceni
contro la dominazione russa è un crimine “terrorista”; l'autonomia di
venti milioni di cittadini di etnia non russa è una sfida contro i loro
privilegi.
La tendenza a un centralismo di stampo stalinista del regime di Putin
non va confusa con il ritorno a una certa forma di totalitarismo
comunista: ormai i governanti hanno capito che il comunismo equivale
alla stagnazione, e l'élite sa che tornare al regime comunista vorrebbe
anche dire rinunciare ad alcuni privilegi. Perciò il capitalismo di
stato, soggetto a un controllo del centro, oltre ai vantaggi della
ricchezza e ai viaggi all'estero rappresenta la formula migliore per
ricevere gratificazioni e vedere realizzate le aspirazioni
nazionalistiche.
Il regime di Putin per molti versi è simile al fascismo di Mussolini.
Il Duce riuscì a far funzionare i treni in orario; centralizzò il
potere politico in nome del nazionalismo; prese il controllo
dell'economia senza nazionalizzarla o eliminare gli oligarchi e le loro
mafie. Il regime fascista parlava della grandezza della nazione
italiana e della disciplina, esaltando il mito di un passato pieno di
gloria. Anche Putin sta cercando di unire le tradizioni della Cheka (la
gestapo di Lenin, dove suo nonno ha cominciato la sua carriera), la
leadership di Stalin, le rivendicazioni dell'ortodossia russa di una
Terza Roma e i sogni slavofili di un unico grande stato guidato dal
Cremlino.
È una combinazione che può attirare il consenso della gente per un po'
di tempo, ma alla fine - probabilmente nel giro di una decina di anni -
non funzionerà più. La generazione di russi più giovane, con
un'educazione migliore e una mentalità più aperta, entrerà gradualmente
a far parte dell'élite al potere. A questa generazione non andrà bene
vivere in uno stato fascista fondato sul petrolio in cui è solo il
Cremlino a brillare, mentre il resto del paese rimane più indietro, non
solo rispetto all'Europa, ma anche alla Cina. I più giovani sono
consapevoli del fatto che la decentralizzazione è la chiave di una
società moderna. Questa realtà non potrà essere nascosta per sempre
dagli slogan sul terrorismo usati per giustificare l'imposizione di una
soffocante politica di accentramento.
Già oggi la vicina Ucraina, con i suoi circa cinquanta milioni di
abitanti, sta cominciando a mostrare delle differenze in due ambiti: il
suo progresso economico è diversificato ed evidente in molte città, e
non solo nella capitale; la sua politica (seppure vulnerabile alle
manipolazioni) ha dato origine a due elezioni presidenziali reali.
Ancora oggi nessuno può dare per scontato l'esito delle elezioni in
Ucraina previste per la fine di ottobre, in netto contrasto con le
“elezioni” russe dove si è candidato Putin.
Purtroppo negli ultimi anni la Casa Bianca ha appoggiato il culto di
Putin, danneggiando i democratici russi, già molto isolati. Ma la loro
causa ha bisogno di essere appoggiata. Ci sono stati dei russi che
hanno avuto il coraggio di farsi sentire e di opporsi al progressivo
silenzio imposto ai mezzi di comunicazione liberi del paese,che hanno
espresso la loro preoccupazione per la democrazia in Russia e hanno
protestato contro i massacri disumani e il genocidio dei ceceni.
Nessuno di loro ha ricevuto mai appoggio dalla leadership del paese,
che pure una volta teneva alto lo stendardo dei diritti umani contro la
tirannia comunista.
Inoltre, l'amministrazione Bush dovrebbe rendersi conto una volta per
tutte del fatto che quello che accade in Russia ha delle conseguenze
anche su quanto succede nello spazio dell'ex Unione Sovietica. Oggi,
sono in molti negli stati postsovietici ad aver paura che, nel nome di
una guerra contro il terrorismo, gli Stati Uniti decidano di ignorare
gli sforzi di Putin per manipolare le elezioni in Ucraina, per
promuovere il separatismo in Georgia (mentre si oppone duramente ai
ceceni che lo vogliono) e per isolare l'Asia centrale dall'economia
internazionale.
Il fatto è che le prospettive della democrazia russa sono strettamente
legate all'esistenza del pluralismo nazionale nello spazio della ex
Unione sovietica e alla diffusione del pluralismo politico all'interno
della Russia stessa.
Possiamo trarre una lezione da tutto questo: perché la democrazia si
rafforzi in Russia, i paesi vicini devono sentirsi davvero sicuri, i
diritti delle minoranze non russe devono essere protetti, e i
democratici del paese devono essere appoggiati.

traduzione di Sara Bani

(ringraziamo Mauro Gemma per la segnalazione)