L'articolo che segue e' apparso sul mensile triestino
"La Nuova Alabarda" (n.187, novembre 2004)

Un Autunno Nazionalista

È dall’inizio del 2004, con la motivazione che si tratta del
cinquantesimo anniversario del ritorno dell’Italia a Trieste (noi
preferiamo usare questa definizione, che ci pare più appropriata,
piuttosto di quella corrente, cioè “ritorno di Trieste all’Italia”,
dato che Trieste è sempre rimasta dov’era e in realtà è l’Italia che ha
spostato i confini), che stiamo assistendo ad un continuo profluvio di
tricolori, patriottismo esagerato che sconfina spesso e volentieri nel
nazionalismo (per non dire irredentismo), ed, infine, ad una
progressiva riscrittura della storia di queste terre, tendente a
dimostrare che l’unica Resistenza accettabile oggi come oggi è quella
del CLN filoitaliano e non invece quella dei partigiani comunisti,
dell’OF, dell’Esercito di Liberazione jugoslavo
A questo proposito si sono susseguite manifestazioni, conferenze ed
interventi sulla stampa che hanno ribadito che la “vera” insurrezione è
stata quella del 30 aprile, che è stato il CLN italiano a liberare
Trieste dai nazisti (interessante è che non dicono “nazifascisti”), che
quando sono “scese” le “truppe di Tito” la città era già stata liberata
e quindi queste non ebbero altro da fare che reprimere gli italiani e
gli “antifascisti non filojugoslavi”; che coloro che combatterono con
il Fronte di Liberazione e con Unità Operaia e con i GAP assieme
all’Esercito jugoslavo non devono essere considerati come “partigiani”,
ma come “traditori” che gettarono Trieste nelle “grinfie di Tito”.
Ed infine che i “40 giorni” in cui Trieste rimase sotto amministrazione
(generalmente si dice però “occupazione” jugoslava, ma vorremmo
ricordare che la Jugoslavia era alleata degli angloamericani e di
conseguenza anche del regno d’Italia, cioè del governo legittimo del
Paese) furono “di gran lunga” peggiori degli anni in cui Trieste fu
sotto occupazione nazista. Dove ci piacerebbe che chi sostiene un tanto
avesse presente quante esecuzioni di massa (ricordiamo soltanto gli
eccidi per rappresaglia di Opicina, sia del marzo ‘44 che dell’aprile
‘45, e di via Ghega, e le migliaia di uccisioni commesse in Risiera)
avvennero in città, senza parlare dei villaggi bruciati del
circondario. Altro che i 500 arrestati e non rientrati del maggio ‘45!
Questa riscrittura della storia, condita da tutto il contorno di
nazionalismo che abbiamo evidenziato prima, non è, secondo noi, fine a
se stessa, ma preparatoria a quanto dovrà avvenire l’anno prossimo,
anno in cui cadrà il sessantesimo anniversario della Liberazione di
tutta Europa dal nazifascismo, anniversario che nelle nostre terre
(vogliamo scommettere?) sarà trasformato, grazie appunto a questa
propaganda battente che dura da diversi mesi, nel sessantesimo
anniversario non tanto della liberazione di Trieste, quanto delle
“foibe” e dell’“occupazione titina” di Trieste, Gorizia e dell’Istria e
di Fiume.
Un’occasione, quindi, per ribadire, come sta accadendo negli interventi
che si susseguono sulla stampa ed in pubblico, anche i “diritti
naturali” dell’Italia sui “territori ceduti”, così come era “naturale”
il diritto dell’Italia a riavere Trieste. Motivo per il quale furono
eroi meritevoli di medaglia d’oro alla memoria i cinque uccisi dalla
Polizia civile nel ‘53, definita molto arditamente “forza
d’occupazione” (“dimenticando” che il GMA era espressione delle potenze
alleate), definizione che comporta di conseguenza la giustificazione e
l’elogio di tutte le azioni contro di essa commesse, senza considerare
che la Polizia in Italia, negli stessi periodi, usò mano ancora più
forte per sedare le sommosse. Aspettiamo quindi anche la proposta di
medaglie d’oro alla memoria per i morti di Avola, di Battipaglia,
quelli del luglio ’60, fino ad arrivare a Carlo Giuliani, luglio 2001.
Ma lasciando a parte queste polemiche sul diritto alla rivolta ed allo
scontro armato in piazza, torniamo all’argomento iniziale: cioè
l’escalation nazionalista cui stiamo assistendo.
Abbiamo già detto dei tricolori che stanno pavesando tutta la città,
spesso anche a sproposito (usando la bandiera nazionale sempre comunque
e dovunque, se ne sviliscono il senso ed il significato), e delle
parate militari, dei discorsi dei politici e dei pubblici
amministratori.
Politici di alto rango, a cominciare dal Presidente della Repubblica,
hanno deciso di venire a Trieste per rendere quanto più solenni le
celebrazioni di questo anniversario; ma abbiamo anche visto la
manifestazione nazionale organizzata da Azione Giovani per rivendicare
il fatto che Trieste è sì tornata italiana, ma in cambio sono state
perse Istria, Fiume e Dalmazia, gli stessi concetti sono poi stati
espressi dall’Unione degli Istriani e dalla Lega Nazionale ed infine
anche dal Gruppo Unione Difesa (GUD), cioè uno dei nomi con cui operano
Forza Nuova e altri neofascisti par loro quando non vogliono firmarsi
con le proprie sigle. Il GUD ha sfilato il 30 ottobre a Trieste in un
profluvio di bandiere della RSI, della X Mas, di saluti romani, di
vecchie canzoni squadriste e di insulti rivolti in un perfetto clima da
par condicio sia ad Illy che a Fini (chissà se ci saranno conseguenze
penali per qualcuno di questi reati commessi nelle vie del centro di
fronte ad un pubblico per lo più scioccato all’idea che certe cose
esistano ancora?).
Abbiamo poi sentito esponenti del Partito dei Comunisti italiani
esprimere la propria preoccupazione per “la possibilità che alla
vigilia della visita del Capo dello Stato vengano messe in atto
provocazioni in grado di aumentare la tensione in città e turbare i
rapporti di buon vicinato”. Dunque la situazione non è per niente
tranquilla, né serena In questa città, dove spuntano come funghi (forse
per il clima caldo umido che ha caratterizzato questo autunno anomalo?)
iniziative di ogni tipo (mostre, conferenze, convegni, manifestazioni
varie) dedicate tutte, in variegati modi, all’italianità di Trieste ed
all’orgoglio nazionale dei politici che hanno combattuto per essa.
Iniziative che non sono soltanto appannaggio di associazioni ed
esponenti di estrema destra, ma coinvolgono anche una parte di
centrosinistra (o considerato tale).
Quindi non parliamo soltanto delle mostre organizzate dal Comune e
dalla Provincia di Trieste (che sono notoriamente gestite dalla
destra), né della disgraziata iniziativa del “kit tricolore” con il
flop della bandiera umana da Guinness dei primati, o della
presentazione dell’ultimo libro autobiografico di Giorgio Galazzi, dove
abbiamo sentito degli interventi che ci hanno fatto accapponare la
pelle, come la risposta di Galazzi a Vasco Guardiani (esponente del CLN
triestino, ma anche inserito nell’elenco “ufficiale” dei “gladiatori”
della nostra Regione). Infatti il dottor Galazzi, dopo avere elogiato
la Guardia civica nella quale si era arruolato per “servire la Patria”
(tralasciando il fatto che il giuramento che i militi facevano era di
fedeltà al Reich ed al Führer), all’osservazione di Guardiani che
“nella Guardia civica c’erano anche quelli che avevano la stella
rossa”, ha risposto “i traditori ci sono dappertutto”. I traditori
dunque, per Galazzi, erano i partigiani comunisti, non coloro che
collaboravano con la Germania, paese occupante, e combattevano contro
il governo legittimo italiano, quello di Bonomi.
Ma dicevamo che non di questo intendiamo parlare, ma piuttosto di
quanto è emerso nel corso di un convegno organizzato dalla UIL
triestina, con la partecipazione di storici (Arduino Agnelli e Roberto
Spazzali) politici (Stelio Spadaro) e di testimoni dell’epoca (Fabio
Forti, Oliviero Fragiacomo).
Il segretario Luca Visintini ha spiegato nell’introduzione come il
sindacato UIL sia il legittimo erede di quei Sindacati giuliani nati
dal CLN triestino di don Marzari ed Ercole Miani, che si erano
costituiti in alternativa ai Sindacati unici, i quali avevano invece un
atteggiamento anticapitalistico e quindi estraneo alla Camera del
Lavoro che negoziava i diritti, ma non solo: i Sindacati unici
indicevano scioperi per Trieste jugoslava e quindi facevano politica e
non sindacato. Visintini ha però poi rivendicato il fatto che la UIL,
quando iniziarono le manifestazioni per Trieste italiana, nel 1952
diede la copertura con l’indizione di uno sciopero generale ad una
manifestazione che aveva visto un morto, e addirittura indisse quella
del 1953, quando ci furono diversi morti. Ma non è forse anche questo
fare politica e non sindacato?
Inoltre Visintini ha liquidato l’episodio delle indagini sulla Loggia
P2 (nelle quali fu coinvolto anche il segretario UIL triestino Carlo
Fabricci, anche se Visintini non lo ha citato nel corso della
conferenza) come “errori politici in buona fede”. Infatti, ha spiegato,
nel dopoguerra si accettarono all’interno del sindacato ex fascisti in
funzione antijugoslava, in quanto i partigiani democratici venivano
perseguitati dagli esponenti della comunità slovena verso la quale vi
fu da parte della UIL una chiusura non etnica ma politica.
Antonio Di Turo, che fu il braccio destro di Fabricci, ha spiegato che
i sindacati giuliani furono fondati nel maggio ‘45 dagli esponenti del
CLN Carra, Tironi, Spaccini e Bartoli in base a valori di “libertà e
democrazia” per impedire ai “comunisti slavi l’annessione di Trieste
alla Jugoslavia”. Ed il successivo intervento di Oliviero Fragiacomo
(già membro repubblicano del CLN triestino) ha specificato meglio il
concetto: “il sindacato giuliano ha salvato Trieste dalle grinfie di
Tito”
Che i Sindacati giuliani nacquero in clandestinità è stato detto, con
una punta di orgoglio anche da Rodolfo Carmi, ma quello che è
soprattutto da rilevare è l’intervento di Fabio Forti, che ha asserito
che il loro CLN è stato l’unico in Italia che rimase in clandestinità
fino al 1954, anzi “nel nostro spirito”, ha aggiunto Forti, “siamo
ancora oggi in clandestinità”. Infatti
Un’affermazione che ci sembra decisamente grave, in quanto fatta nel
corso di un convegno politico pubblico, quasi a sottendere che chi
sostiene questa idea non rispetta (quantomeno nel “proprio spirito”) le
istituzioni dello Stato (democratico) nel quale vive. Un’affermazione
che a noi è parsa eversiva, non rispettosa della Costituzione. e
Forti ha detto anche che solo il CLN italiano aveva rappresentato
l’Italia, “gli altri combattevano con il IX Korpus”, che il loro scopo
era quello di dimostrare, nel corso dell’insurrezione, che Trieste era
italiana ponendo il tricolore su Municipio e Prefettura. Brigate
partigiane a Trieste non sono mai esistite, perché loro sono “sempre
stati clandestini, anche oggi”. Ed ha poi aggiunto, riguardo alla
composizione del CVL, che saltarono fuori di colpo 350 giovani di
diciassette/diciott’anni che furono “sacrificati” dai loro dirigenti
all’arrivo della IV Armata jugoslava, infatti, sostiene Forti, 30
volontari furono “infoibati”, ma ne mancano 200 all’appello, e che “per
la Risiera” sono passati tanti di loro “quanti nelle foibe”. Da dove
Forti abbia tratto questi numeri non è dato sapere: ma non
corrispondono a nessuna documentazione in nostro possesso o comunque
disponibile sull’argomento.
Il grosso problema posto da Forti in conclusione del suo intervento è
che “non esistono più” né la Venezia Giulia né l’Istria, che sono stati
cancellati come nomi dalle carte geografiche. Mentre questi nomi,
sempre secondo Forti, deriverebbero dalla “Decima Regio”
dell’imperatore Augusto, e la loro cancellazione significherebbe la
“cancellazione di tutta la nostra cultura”.
Infine va riportato l’intervento di Stelio Spadaro che ritiene che
negli anni passati hanno operato “due entità nazionaliste” (quella
italiana di matrice di destra e quella slovena di matrice di sinistra)
che hanno cercato di cancellare l’esistenza della “resistenza urbana”
compiuta dal CLN triestino, come quella portata avanti da Vasco
Guardiani; e che in questo contesto viene tacciato di “revisionismo”
chi decide di far emergere la realtà storica rompendo questi “accordi
taciti” tra le due ideologie, che avevano lo stesso obiettivo:
cancellare questa storia.
Noi non sappiamo quale sia stata esattamente l’attività portata avanti
da Vasco Guardiani; sappiamo soltanto, perché l’abbiamo letto in alcuni
documenti, che aveva fatto attività (non meglio specificata) nei
Cantieri, e che (da una testimonianza di Ferdi Häring conservata presso
l’Archivio di Stato di Lubiana) era stato il “commissario politico”
della Brigata Frausin che avrebbe dato “ordine diretto” di “fregiare
della stella rossa e della falce e martello” l’ex caserma dei
Carabinieri di via dell’Istria, dove si erano insediate le Brigate Nere
e che era stata scelta dalla Brigata Frausin come sede per il momento
dell’insurrezione. Perché mai Guardiani, che era un partigiano
anticomunista e che poi risultò negli elenchi della Gladio, avrebbe
dato un ordine simile se non per intorbidare le acque al momento
dell’insurrezione?
Ma quello che vorremmo infine evidenziare e chiarire una volta per
tutte, è la mistificazione di fondo che sta purtroppo prendendo piede
anche negli ambienti storici, sul fatto che il PCI triestino scelse di
uscire dal CLN italiano, per allearsi con i “titini”, e “tradendo” in
tal modo la propria patria. In realtà, e per verificare questo
basterebbe andare a leggere qualche libro di storia oppure i semplici
documenti ufficiali, nell’estate del ‘44 il Comitato di Liberazione
Nazionale Alta Italia (CLNAI, ) ebbe degli incontri a Milano con
rappresentanti dell’Osvoboldilna Fronta. Nel corso di queste riunioni,
i due comitati si accordarono per un’alleanza in funzione
antinazifascista. Però il CLN triestino (quello di don Marzari, Fonda
Savio ed Ercole Miani) rifiutò questa alleanza con l’OF, in quanto non
voleva “collaborare con gli slavi”. Fu questo il motivo per cui il PCI
triestino decise di uscire dal CLN: per rispettare le direttive del
CLNAI (che istituzionalmente rappresentava, a livello internazionale,
qualcosa di più del CLN triestino) in merito all’alleanza con
l’Esercito di liberazione jugoslavo. Quindi, se vogliamo parlare di chi
si fosse trovato “fuori linea” o comunque non in regola con le
direttive alleate, questo era il CLN triestino, che aveva preferito
cercare accordi con le formazioni collaborazioniste triestine (la
Guardia civica prima di tutte) perché il loro scopo principale non era
stato quello di abbattere il nazifascismo (essi davano per scontata la
sconfitta di Hitler, quindi ritenevano relativa la resistenza ad esso),
ma piuttosto di preparare il terreno per il ritorno di
un’amministrazione italiana, apprestando nel contempo la resistenza
armata, questa volta sì, nei confronti dell’Esercito jugoslavo che
sarebbe entrato a Trieste, visto non come liberatore dal nazifascismo,
ma come nuovo occupatore, perché non italiano.

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