Source: " J.P. Maher: Le mensonge de Dubrovnik "
http://www.anti-imperialism.net/lai/index.php?section=BB&language_id=1
oppure JUGOINFO Mar 3 Ago 2004 13:31:28
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Risposta di Peter Maher all’articolo “Distruzione di Dubrovnik” del
Pittsburgh Post-Gazette


Oggetto: al Pittsburgh Post-Gazette sull’articolo “Dubrovnik
Distruzione & Risanamento”

Di : John Peter Maher 28 maggio 2004

Egregio Sig. Thomas,

le sue righe danno di primo acchito l’impressione di un uomo gentile e
di larghe vedute. Ma il suo articolo su Dubrovnik (12 maggio 2004)
ripercorre un copione che è falso dall’inizio alla fine.

Sono stato a Dubrovnik, non spinto dalla propaganda di guerra o sotto
la spinta dei media. Ho preso un operatore, un fotocronista
professionale. Ciò è accaduto appena tre mesi dopo la “distruzione”. La
Città Vecchia era del tutto integra e indenne. Il suo articolo perpetua
e diffonde un inganno.

Lei ha segnalato la propria incredulità circa i resoconti che parlavano
di distruzione in modo leggero, dato che non poteva discernere tracce
di danneggiamenti com’era accaduto nella Germania post-bellica del
secondo conflitto mondiale, ma ha tuttavia recitato le lezioni mendaci
che ha “imparato” dai suoi manipolatori.

Fra me e lei ci sono pochi anni di differenza. Ho compiuto dodici anni
proprio un paio di settimane prima del D Day. Ho ottenuto un Master in
Greco e Latino all’Università Cattolica Americana [Washington DC] ho
insegnato inglese, francese e latino nel 1956-57. Nel 1957 mi sono
arruolato nell’esercito USA, assegnato al CIC; sono stato volontario
per studiare serbo-croato alla Scuola di Lingue dell’esercito USA al
Presidio di Monterey. Poi sono partito per due anni di “ferma” militare
allo sportello iugoslavo di un’ufficio del nord Italia. E’stato un
periodo bellissimo della mia vita. Nei circa quarant’anni che seguirono
ho continuato con l’esercitare la conoscenza delle lingue, ho insegnato
e fatto ricerca negli USA, Inghilterra, Irlanda, Germania, Italia,
Svizzera, Cecoslovacchia, Bulgaria e Iugoslavia. Ora sono in pensione,
e sono impegnato a seguire le guerre iugoslave, con una particolare
attenzione per la propaganda di guerra.

Ho viaggiato attraverso la Slovenia, Serbia, Kosovo compreso, Croazia,
Bosnia, Erzegovina, Slavonia e Dalmazia. (Gli zii dei miei figli hanno
prestato servizio negli eserciti USA e tedesco; il loro nonno materno
ha prestato servizio nell’esercito austro-ungarico in entrambe i
conflitti mondiali).

Ed ora a Dubrovnik. Lei sarà certo al corrente che la vecchia Ragusa fu
una città-stato per 750 anni, sino a quando Napoleone la cedette
all’Austria. Gli austriaci non annetterono mai Dubrovnik alla Croazia.
Quella stretta regione attorno a Zagreb faceva parte del regno
ungherese. Soltanto nel 1939, un grande anno per Hitler, Dobrovnik fu
accorpata alla Croazia che era a sua volta stata concepita, adattata
per ragioni politiche, violando strutture e modelli di insediamento
etnico, e in assenza del consenso dei governati, dal Regno di
Iugoslavia, all’epoca timoroso dei progetti tedeschi sull’Adriatico.

Nel 1945 Tito portò a termine l’annessione della vecchia Repubblica di
Dubrovnik all’interno della Grande. Nel 1991 tornarono i tedeschi e i
loro mandatari, i fascisti croati. I Croati non fascisti, i serbi ed
altri furono estromessi dalla “Perla dell’Adriatico”. Ciò ebbe luogo il
1 ottobre 1991, l’esodo celato sotto la cortina di fumo della
propaganda di guerra al quale Lei contribuisce. Veniamo adesso a
Dubrovnik e me. Nell’estate 1990 incontrai inaspettatamente a Chicago
una mia studentessa croato-ungherese, che un anno prima mi aveva
espresso raggiante di felicità la propria aspettativa, previsione di
tornare alla sua città natale in Serbia, Iugoslavia come insegnante di
inglese a Subotica, sul confine ungherese. La città ha una grande
popolazione, sia croata che ungherese. La Serbia è l’unico stato
multietnico lasciato in eredità dalla Iugoslavia.

I suoi piani sono ora ridotti in cenere: “…I miei genitori sono appena
tornati da una vacanza vicino a Dubrovnik, e mi hanno detto che non
sarei dovuta ritornare a Dubrovnik….” Poi continuò: “I croati fascisti
hanno devastato auto con targhe serbe, le hanno perfino spinte in mare.”

Nella primavera 1990, più di un anno prima che la guerra iniziasse,
avevo letto su giornali iugoslavi, mentre mi trovavo in Slovenia, che
militanti croati appiccavano il fuoco alle case per le vacanze, situate
sull’Adriatico che appartenevano a serbi e sloveni.

L’estate successiva, nel 1991, gli unici “turisti” che si trovavano a
Dubrovnik erano soldati croati di un esercito irregolare che
trasportavano armi tedesche fornite illegalmente dalla Germania.
Controlli i registri degli hotels per la documentazione ufficiale sui
turisti. Nell’agosto 1991, irregolari croati attaccarono una base
dell’esercito iugoslavo all’ingresso della baia di Kotor, circa
ventiquattro miglia a sud di Dubrovnik. I croati assassinarono reclute
disarmate dell’Esercito dei popoli jugoslavi, un esercito multietnico.
Quello era l’esercito legale di uno stato regolare. Si trattava di una
forza multietnica, non serba e nemmeno da questi ultimi dominata.
C’erano sloveni, albanesi, macedoni, cechi, slovacchi, serbi
provenienti da tutte le terre serbe, e croati. Molti di loro furono
uccisi. Il comandante in capo era un croato, non Slobodan Milosevic. Un
funzionario dell’intelligence marittima mi ha svelato che questa azione
militare fu filmata dall’inizio alla fine, dal servizio di
controspionaggio dell’Esercito delle Genti Iugoslave (YNA). Stavano là
a guardare. Gli ordini sono ordini.

Dall’ottobre al dicembre 1991, militanti croati si diedero a ripetute
scorrerie dalla Città Vecchia recintata da mura per sferrare attacchi
alle forze JNA, che risposero al loro fuoco. Ecco i suoi “150 morti
croati”. Nell’autunno 1991 i giornali croati (li legga, se può) erano
pieni di necrologi per i loro caduti. Un eroe caduto in battaglia era
elencato in lista come un membro del “Plotone del Terzo genocidio”. Può
trovare tali notizie sul quotidiano di Zagreb Globus. Desidera una
fotocopia del suo necrologio?

Tutti ora sanno che la storia, che ci è stata ficcata in testa a forza
di ribattere, sulle Armi di Distruzione di Massa di Saddam Hussein era
fittizia, falsa, così come la crisi del golfo del Tonchino di L.
Johnson.

Allo stesso modo erano fasulle le “atrocità serbe”di Bill Clinton.

L’azienda di pubbliche relazioni Ruder and Finn di Washington ha
orchestrato una campagna che includeva un progetto “Compra una
Mattonella”. Il settimanale croato-americano “Zajednicar” ha pubblicato
fotografie che dicevano di mostrare Dubrovnik “prima” e “dopo” la
“distruzione”. Quando feci vedere il giornale a Pippa Smith, lei
commentò: “sono due città diverse. Guarda le linee, i contorni dei
tetti. Ho studiato architettura…”.

La frottola passatale dalla storica dell’arte K. Bagoje, sulle
distruzioni delle opere d’arte è smentita dalla bibliotecaria d’arte
Lejla Miletic-Vejvozic in un articolo di “Special
Libraries”(Biblioteche Speciali). Ella prova che i containers
impermeabili furono procurati dalla Germania. I tesori furono
trasportati oltremare proprio per via marittima, prima di tutto verso
il confine italiano. Dove si trovano ora i tesori? Includevano anche le
icone serbo-ortodosse?

L’unico edificio che venne distrutto della città vecchia di Dubrovnik,
sventrato al suo interno dal fuoco, ospitava una collezione di icone
serbo-ortodosse. La beffa di “Dubrovnik Distrutta e Risanata” è stata
smascherata dal capitano Michael Shuttleworth (all’epoca delegato
europeo per il Regno Unito in Iugoslavia), dal giornalista Stephen
Kinzer (New York Times), da Michael Steiner (National Review), da Bruno
Beloff, dallo scrittore austriaco Peter Handke come anche da me stesso.
Invierò a lei e al Pittsburgh Post Gazette una cronologia di tale
raggiro. Si senta libero di richiedermi ulteriori informazioni.

La sua reputazione e quella del suo giornale sono in pericolo se non
ritratterà la truffa pubblicando la realtà dei fatti.

Cordiali saluti,
John Peter Maher Ph. D. (Professore Emerito)
Chicago


Clarke Thomas: La lezione di Dubrovnik

L’opinione internazionale costituisca una forza quando le nazioni
commettono oltraggi

12 maggio 2004, Pittsburgh Post-Gazette

DUBROVNIK, Croazia – Una dozzina di anni fa l’attacco a questa
pittoresca città circondata da mura medievali e situata sulla sponda
adriatica di fronte all’Italia scosse le coscienze del mondo intero,
facendola accostare a nomi di città del passato come Guernica, Coventry
e Hiroshima.

Sono venuto a conoscenza della storia in maniera dettagliata nel mese
scorso, durante un viaggio -studio in un ostello per anziani, sulla
costa dalmata dell’ex-Iugoslavia. Credo che essa susciterà uno speciale
interesse a Pittsburgh, con i suoi solidi gruppi etnici croati, serbi e
sloveni. Durante la visita osservammo dall’alto il panorama dalle
alture di Dubrovnik, dalle quali, fra il 1991 e il 1992, per sette
mesi, bombardarono alcuni fra i monumenti più belli d’Europa, durante
la cosidetta Guerra Patria. A dire il vero, all’inizio risultava
difficoltoso comprendere l’estensione dell’assalto sino a quando non ci
si accorgeva della quadrettatura a mosaico formata dalle tegole sulle
case, che alternavano riquadri e rattoppi di tegole recenti
all’impercettibile patina rossa delle originali. Senza dubbio, ciò non
era in alcun modo paragonabile alle città sfasciate che avevo visto da
soldato nella II guerra mondiale.

Ma man mano che i relatori forniti dall’ostello per anziani rivelavano
la storia, il resoconto dell’assedio di Dubrovnik e il conseguente
impatto sull’opinione mondiale divennero maggiormente chiari. Esso
assume un significato particolare in un’epoca nella quale alcuni
leaders americani che vanno avanti da soli hanno scherrnito l’idea di
una “comunità mondiale” e di una “opinione internazionale”.

L’esperta d’arte Kate Bagoje ha messo in rilievo le spietate
statistiche riguardo quel che lei stessa ha reputato un attacco
“inaspettato”, al quale questa importante città turistica del
Mediterraneo era “totalmente impreparata”. Ella ha citato un totale di
824 edifici danneggiati, dei quali 563 direttamente bombardati, e nove
palazzi bruciati, quantificando un totale di 30 milioni di dollari in
danni. Nei bombardamenti persero la vita più di 150 persone, e 1000
furono ferite. Dopo l’accaduto, Bagoje ricevette l’incarico di
responsabile del restauro dei tesori architettonici di Dubrovnik, nome
moderno di Ragusa, città tanto fiorente fra i secoli XIV e XVI da
competere con Venezia nei rapporti commerciali dell’area mediterranea.

Quel che ha suscitato la collera della comunità internazionale è stato
il fatto che le forze serbe sembravano scegliere, distinguere simboli
specifici della cultura croata/dalmata, in una città in cui
l’Organizzazione Didattica, Scientifica e Culturale delle Nazioni Unite
aveva, nel 1979 posto la propria lista di Eredità Mondiale (Patrimonio
dell’Umanità). Ad esempio, vi furono 51 colpi messi a segno solamente
sul monastero francescano, considerato punto di riferimento.



Cuore della storia del XX secolo, Dubrovnik ha provocato la reazione
del mondo all’attacco serbo. In primo luogo vi fu una solidarietà in
denaro e ausilio tecnico proveniente da ogni parte del mondo per
risanare la città. Arrivarono sovvenzioni governative da rappresentanze
ed enti delle Nazioni Unite, da America, Gran Bretagna, Germania e
Giappone; da croati che vivevano all’estero, da enti pubblici, grandi
ditte e fondazioni private. Il denaro dell’UNESCO fu impiegato per
riparare l’enorme cinta muraria che conferisce a Dubrovnik la sua fama
e peculiarità. La Francia inviò tegole per rimpiazzare quelle
danneggiate. Il denaro statunitense servì alla riparazione della
pavimentazione stradale, del selciato e la “Scalinata spagnola”, così
chiamata per l’esistenza della famosa controparte a Roma. Arrivò
un’équipe di Dusseldorf a restaurare una fontana dal valore
inestimabile. Bagoje ha affermato in maniera contrariata che,
effettivamente, si era portato a termine un lavoro talmente buono che
la gente non si rende conto di quanto fosse stato il danno inflitto.

Il secondo risultato di grande importanza è stato l’impatto sulle
politiche mondiali.

Qualunque sia la situazione esatta della guerra – sia i croati che i
serbi commisero atrocità – l’assedio contribuì a rivoltare l’opinione
mondiale contro i serbi.

Quando la guerra si diffuse in Bosnia e Kosovo, l’esito inappellabile
fu il bombardamento di Belgrado e di altri centri serbi da parte degli
USA e condotto dalla NATO. Vjekoslav Vierda , direttore dell’Istituto
per la Ricostruzione di Dubrovnik, spiegò al nostro gruppo dell’ostello
per anziani: “…Tutti pensavano di risolvere i vecchi problemi
uccidendosi a vicenda...” Le difficoltà risalgono a secoli or sono, ai
rapporti tesi, logorati fra serbi cristiani ortodossi, croati cattolici
romani e musulmani bosniaci, esacerbatisi poi nel corso della II guerra
mondiale, quando i croati del movimento Ustacia appoggiarono i
nazifascisti tedeschi, opponendosi ai serbi Cetnici e ai partigiani
comunisti di Tito, che fu poi il vincitore finale.

Dopo la morte di Tito, avvenuta nel 1980, la disgregazione della
Iugoslavia coincise, una decade più tardi, con il fallimento del
comunismo in Europa. Per un po’ di tempo, la Serbia ebbe al suo attivo
la migliore carta fra tutti, l’esercito iugoslavo, allora al terzo
posto in Europa per grandezza. I croati (nel 1991) riuscirono a
costruire il loro esercito attraverso mercanti di armi clandestine, in
special modo con armi provenienti dall’ex Germania dell’est – per
iniziare a riconquistare territori dai serbi. Vierda fornì la
scoraggiante tesi che quei mercanti di armi possiedono ora l’80 % della
ricchezza in Croazia – industrie, hotels, ecc.

La comunità internazionale è in definitiva riuscita a modellare gli
Accordi di Dayton del 1995. E’ deplorevole affermare che la democrazia
non ha guadagnato un solo appiglio, un punto d’appoggio, finché, in
Croazia, il suo leader autocratico, il despota Franjo Tudjman, morì nel
1999.

La situazione in Serbia è tuttora critica e incerta, benché Slobodan
Milosevic, leader del paese in tempo di guerra, si trovi ora sotto
processo per crimini di guerra al tribunale dell’Aia. Una fortunata
eccezione felice è costituita dalla Slovenia, i cui affari vanno così
bene da aver fatto il proprio ingresso nell’Unione Europea il I maggio.
In ogni caso, è chiaro che la comunità internazionale è stata la chiave
di volta per la pace e il progresso nei Balcani, sin dall’assedio di
Dubrovnik.


Clarke Thomas è un redattore capo anziano della Post-Gazette


(Traduzione di Enrico Vigna, dal sito: www.resistenze.org)