Un articolo del Prof. Angelo Floramo che comparirà domani sul settimanale
friulano "Il Nuovo FVG" ( http://www.nuovofriuli.com/ ). Contiene:

- commento introduttivo
- intervista a Claudia Cernigoi, autrice del libro: Operazione foibe: tra
storia e mito
- intervista a Gabriella Gabrielli, del gruppo Zuf de Zur sull'ultimo album:
Partigiani!

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Il 10 febbraio si è celebrato il giorno del ricordo. No, non quello della
memoria (anche se i due lemmi potrebbero sembrare, ai più sprovveduti tra i
lettori, comuni sinonimi); quello c'era già. Ma è una memoria che appartiene
agli altri. Tutti gli altri: gli ebrei, gli zingari, gli omosessuali, i
comunisti, i preti rossi, i partigiani.. Un giorno che ogni 27 gennaio
ritorna con il suo corredo dejavu di filo spinato, stivali, vagoni piombati,
divise a strisce e numeri tatuati sul braccio. Suggestioni belle e pronte,
già divenute immaginario collettivo, tanto da agevolare migliaia di
chilometri di pellicole, documentari, drammi con effetti speciali alla
Steven Spielberg. Senza contare poi che quella giornata la si celebra in
virtù dell'Armata Rossa, che come tutti ben sanno fu il braccio militare
dell'Impero del Male. Furono i ragazzi del generale Zukov infatti ad aprire
i cancelli dei campi. No. Si sentiva proprio il bisogno di qualcosa di
diverso, di "italiano". Di esclusivamente italiano, di "nostro", insomma,
qualcosa da contrapporre alla memoria degli altri. In fondo Auschwitz. non è
un monumento che ci appartiene. Non del tutto, almeno. Come non ci
appartiene San Sabba, quel bubbone così politicamente scorretto che deturpa
nel cuore della Trieste riguadagnata all'Italia il mito degli "italiani
brava gente". Meglio dunque seguire il consiglio del poeta Carolus Cernigoy,
che rivolgendo il pensiero proprio alla Risera chiedeva ironico ai
triestini: " Su femo i bravi. / In fondo xe un brusar / ebrei e sciavi. Gli
altri, appunto. Coloro che ben prima delle leggi razziali varate nel 1938 si
videro negare i diritti più elementari di uomini e cittadini. Chissà se
pensieri simili a questi hanno mosso il ministro Maurizio Gasparri quando ha
patrocinato, voluto, richiesto l'istituzione di una "giornata del ricordo",
ispirato dalla "ferma volontà" di un deputato di Alleanza Nazionale, l'italianissimo
e triestinissimo Roberto Menia, "un autentico patriota che ha voluto con
forza questo gesto di riparazione che il Parlamento ha condiviso e che
finalmente ricolloca nella memoria collettiva pagine di storia a lungo
rimosse", come lo stesso onorevole ha recentemente sottolineato sulle
colonne del "Secolo d'Italia". Il ricordo delle foibe, dell'esodo di
migliaia di istriani, fiumani e dalmati ha perfettamente soddisfatto alla
bisogna. Era già pronto. Quale altra pagina di storia avrebbe mai potuto
coniugare meglio tante ossessioni così care alla Destra come il comunismo, l'orda
slava, l'amor di Patria che si spinge fino all'eroico martirio, il
sacrificio dell'italianità e la subliminale (?) convinzione che in fondo in
fondo il Fascismo ha pur sempre rappresentato (pur con i suoi errori e le
sue manchevolezze) la luce dell'italica virtù contro la barbarie dello
straniero, e dello straniero slavo e comunista in particolare ! Lo sosteneva
anche l'irredentista Ruggero Timeus Fauro, in anni non sospetti (tra il 1911
e il 1915), spiegando che "la lotta nazionale è una fatalità che non può
avere il suo compimento se non nella sparizione completa di una delle due
razze che si combattono.Se una volta avremo la fortuna che il governo sia
quello della patria italiana, faremo presto a sbarazzarci di tutti questi
bifolchi sloveni e croati"! E la fortuna l'hanno avuta. Esercitandola per
più di vent'anni. Comunque ora l'occasione è finalmente arrivata. Anche noi
italiani abbiamo la nostra giornata del ricordo, guadagnandoci finalmente il
posto tra le vittime degli eccidi. Peccato che sia un ricordo senza memoria.
Se di ricordo si deve parlare infatti, perché non ricodare tutto, fino in
fondo, senza paura ? Davanti ai "martiri delle foibe", in cui la follia
nazionalista fece cadere molti innocenti, si rievochi anche l'incendio del
Narodni Dom di Trieste, nel 1920, o la strage di Strunjan-Strugnano, del
1921, quando i fascisti, tra Isola e Pirano, spararono da un treno in corsa
su di un gruppo di bambini intenti a giocare, uccidendone due, ferendone
gravemente altri cinque. Si ricordi l'allontanamento forzato dagli uffici
pubblici di tutti i dipendenti di etnia slovena e croata in virtù delle
leggi speciali per la difesa dello Stato, varate nel 1926. Non si
dimentichino le umiliazioni subite da coloro che dovettero cambiare nome,
che non poterono più parlare la loro lingua, che videro violentata l'identita
dei loro paesi, in nome dello svettante tricolore. Ricordiamo anche le
deportazioni di massa di civili nei campi fascisti di Rab-Arbe in Dalmazia o
di Gonars, nella pianura friulana. Furono in tanti a non tornare più a casa.
Sull'orlo delle foibe dovremmo avere il coraggio di chiamare per nome, uno
ad uno, tutti gli 11606 internati croati e sloveni, tra cui moltissime donne
e bambini, morti nei lager italiani tra il 1941 e il 1943. La verità, tutta
la verità, soltanto la verità potrà onorare la Storia. Ma forse il problema
è un altro, e ben lontana dalla verità è la motivazione che sta alla base di
questa "giornata". Perché in fondo tutti questi non sono i "nostri" morti.
Sono i morti degli "altri" e la loro memoria non ci appartiene. Il 10
febbraio, da ieri, è un'esclusiva squisitamente italiana. Parola di
Gasparri. E con parere quasi unanime di tutto il Parlamento italiano. A chi
dunque il ricordo ? A noi !



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Claudia Cernigoi è nata a Trieste nel 1959. Giornalista pubblicista dal
1981, ha collaborato alle prime radio libere triestine e oggi dirige il
periodico "la Nuova Alabarda" Ha iniziato ad occuparsi di storia della
seconda guerra mondiale nel 1996, e nel 1997 ha pubblicato per la Kappa Vu
il suo primo studio sulle foibe, Operazione foibe a Trieste. In seguito ha
curato una serie di dossier (pubblicati come supplemento alla "Nuova
Alabarda") su argomenti storici riguardanti la seconda guerra mondiale e
sulla strategia della tensione. Nel 2002, assieme al veneziano Mario
Coglitore, ha pubblicato La memoria tradita, sull'evoluzione del fascismo
nel dopoguerra (ed. Zeroincondotta di Milano). Esce proprio in questi giorni
"Operazione Foibe. Tra storia e mito", edito dalla Kappa Vu dell'editrice
Alessandra Kersevan. La monografia, ricchissima di documentazione, è stata
presentata a Trieste lo scorso 7 febbraio.



La memoria lottizzata. In epoca di revisionismi, riletture,
decontestualizzazioni, sembra proprio che il dibattito gridato diventi l'unica
possibilità di intervento. Ma chi di storia si occupa lascia che siano i
documenti a parlare, tacitando gli umori e gli isterismi di ogni colore.
"Operazione Foibe", con i suoi ricchi apparati documentari, si prefigge
questo scopo. E'una ricerca che l'ha impegnata per oltre sette anni, sette
anni di meticolose indagini seguite a una prima edizione, già di per sé
estremamente ricca e stimolante. Qual è stata la motivazione che l'ha spinta
(ogni storico ne ha una!) e cosa ne è emerso ?



Chi non vive a Trieste non può conoscere il clima che si respira in questa
città che il poeta (triestino) Umberto Saba definì "la più fascista d'Italia".
Quindi devo spiegare che da noi le campagne stampa o campagne politiche
sulla "questione foibe" sono più o meno cicliche. Tanto per fare un paio di
esempi: una campagna si sviluppò a metà anni Settanta, per fare da
contraltare all'istruttoria e poi al processo in corso per i crimini della
Risiera di San Sabba. In altri periodi per contrastare le mobilitazioni per
la legge di tutela degli Sloveni in Italia. Otto anni fa, quando per la
prima volta ho iniziato ad occuparmi seriamente di "foibe", era il momento
in cui era iniziata una nuova campagna, questa volta in parte come
"risposta" di destra al processo Priebke ed in parte, a mio parere, perché
dopo lo sfascio della Jugoslavia c'era chi aveva interesse in Italia a
destabilizzare ulteriormente Slovenia e Croazia che non vivevano una
situazione proprio tranquilla, a scopo neoirredentista. Il fato nuovo, all'epoca,
fu che da polemiche politiche si era passati ad un più alto livello di
scontro, se mi si passa l'espressione: cioè era iniziata un'inchiesta
giudiziaria per i cosiddetti "crimini delle foibe", e questa inchiesta stava
coinvolgendo ex partigiani che avevano ormai raggiunto una certa età, ed a
questo punto decisi che era il caso di fissare dei paletti in merito ai
presunti "crimini delle foibe", dato che non mi sembrava giusto che quelli
che all'epoca, non conoscendoli, mi venne da definire "poveri vecchietti" (e
voglio subito dire che i "poveri vecchietti" che ho conosciuto in seguito a
queste mie ricerche erano tutti anziani sì, logicamente, ma pieni di energie
e di voglia di fare) dovessero venire messi sotto giudizio sulla base di
inesistenti prove storiografiche, come i libri di Marco Pirina e di Luigi
Papo. Così presi in mano sia i libri di Pirina, sia gli studi sugli
"scomparsi da Trieste per mano titina" (sia chiaro che certe terminologie
non mi appartengono, ma le riporto perché questa, purtroppo, è la vulgata
vigente), per cercare di capire l'entità reale del fenomeno "foibe". In base
a questo è nato il primo "Operazione foibe", che aveva come scopo
essenzialmente spiegare che gli "infoibati" non erano migliaia, né molte
centinaia, nonostante quello che si diceva da cinquant'anni. Per esempio, da
Trieste nel periodo di amministrazione jugoslava (maggio 1945), scomparvero
perché arrestati dalle autorità, o perché morti nei campi di internamento
per militari, o ancora per vendette personali, circa 500 persone, e non le
1458 indicate da Pirina, che aveva inserito tra gli "infoibati" anche
persone ancora viventi oppure partigiani uccisi dai nazifascisti.



"Tra storia e mito". E' il significativo sottotitolo del suo libro. A
sessant'anni di distanza sembra ancora molto difficile separare le due cose,
o perlomeno impedire che si influenzino a vicenda. E' facile per chiunque
voglia stravolgere i fatti vestire la storia con i panni del mito. Il
recente dibattito stimolato dal discusso film in uscita per Rai Fiction: "Il
cuore nel pozzo", ne è la più evidente dimostrazione. E proprio questa
incerta lettura intorbida la memoria e agevola ogni possibile
strumentalizzazione politica. Accade ancora per Porzus, accade per le foibe
e per molte altre tragedie del Novecento. Perché ? E' forse colpa della
controversa realtà di confine? O qui da noi la storia indugia, stenta a
passare...e quindi diventa facile occasione di attualizzazione, veicolandola
nei labirinti del dibattito politico?



Sulla questione delle foibe non è mai stata fatta veramente ricerca storica.
Altrimenti, come prima cosa, non si parlerebbe di una "questione foibe",
perché le persone che veramente sono morte per essere state gettate nelle
foibe istriane o carsiche sono pochissime, rispetto non solo alle migliaia
di morti (sempre per parlare del territorio della cosiddetta "Venezia
Giulia", cioè le vecchie province di Trieste, Gorizia, l'Istria e Fiume) di
quella enorme carneficina che fu la seconda guerra mondiale, ma degli stessi
morti per mano partigiana. Voglio ricordare che la maggioranza di questi
fatti si riferiscono a cose accadute in periodo di guerra: ad esempio i
circa 400 "infoibati" che furono uccisi nell'Istria del dopo armistizio
(settembre '43), non possono che essere inseriti in un contesto di guerra.
Però è da rilevare che mentre tutti (storici e mass media, oltre a
politicanti e propagandisti) si sconvolgono all'idea di questi 400 morti,
non battono ciglio di fronte alla notizia storicamente dimostrata che il
ripristinato "ordine nazifascista" in Istria nell'ottobre '43 causò migliaia
di morti, deportati nei lager, paesi bruciati e rasi al suolo e violenze di
ogni tipo. È come se ci fossero, secondo certa storiografia, istriani di
serie A e istriani di serie B, cioè rispettivamente quelli di etnia
italiana, la cui morte deve destare orrore e scandalo, mentre per gli altri,
quelli di etnia croata o slovena, sembra essere stata una cosa "normale" che
siano stati colpiti dalla repressione nazifascista.



Al contrario uno dei pregi della sua ricerca è proprio la
"contestualizzazione dei fatti", dalla quale è impensabile prescindere per
tentare almeno di capire il fenomeno nella sua complessità. Come vanno
contestualizzate le foibe? Qual è la chiave per comprenderne i significati
storici, sociali..forse anche antropologici?



Ho già accennato al fatto che le foibe sono diventate appunto un "mito", in
quanto il fenomeno in realtà è un "non fenomeno" che è diventato tale a suon
di propaganda. Che questa propaganda sia stata sviluppata esclusivamente su
fatti concernenti il confine orientale (ricordiamo che in Francia, dopo la
liberazione, ci furono delle vendette contro gli italiani, già occupatori,
che erano stati fatti prigionieri, però nessuno in Italia ha mai detto
niente su questi episodi) ha secondo me diversi significati. Il primo è che
i vari governi italiani succedutisi negli anni (dalle guerre di indipendenza
del Risorgimento, per intenderci) hanno sempre tentato l'espansione ad est,
quindi il fatto di avere perso, dopo la fine della guerra, un bel pezzo di
territorio orientale ha significato una grossa frustrazione per i
nazionalisti. Inoltre ha pesato il fatto che qui i vincitori erano non un
esercito considerato regolare e di una potenza come potevano essere Gran
Bretagna o Stati Uniti, ma si trattava di un esercito popolare, partigiano,
comunista, e composto da popoli "slavi", considerati "inferiori" dal
nazionalfascismo italiano. Quindi nella frustrazione per la perdita della
guerra vanno qui inserite anche le componenti anticomuniste ed antislave.
Grave mi è sembrato però leggere l'Unità (non il Secolo d'Italia o Libero!)
che (cito) parla di "odio degli slavi verso gli italiani", generalizzando un
concetto inesistente con connotazioni oserei dire razziste. Come si può
attaccare la destra xenofoba quando se la prende con gli immigrati e poi
esprimersi in questi termini?

Quanto alla "contestualizzazione", vorrei dire che è impossibile fare un'analisi
unica di un fenomeno che non è un fenomeno. Parliamo degli scomparsi da
Trieste? Un centinaio di essi sono stati condotti a Lubiana e probabilmente
fucilati dopo essere stati processati come criminali di guerra;
centocinquanta o duecento sono forse i morti nei campi di internamento per
militari; una cinquantina le vittime recuperate da varie foibe e per le
quali si ricostruì che erano state uccise in regolamenti di conti e
vendette. Però diciotto di questi "infoibati" erano stati uccisi da un
gruppo di criminali comuni che si erano infiltrati tra i partigiani. Come si
può contestualizzare una simile varietà di cause di morte? Ecco perché
secondo me non si può parlare di "fenomeno" foibe. Quanto ad un'altra
vulgata che va attualmente per la maggiore, cioè che si trattò di
repressione politica contro chi poteva creare dei problemi all'instaurazione
di un nuovo stato comunista, secondo il mio parere se fosse stato questo il
motivo delle eliminazioni, non sarebbero state uccise così poche persone.
Forse posso sembrare cinica mentre lo dico, voglio chiarire che la mia è
solo un'analisi storico-politica, non intendo mancare di rispetto a nessuno.
Ma teniamo presente che a Trieste gli squadristi della prima ora, quelli che
avevano la qualifica di "sciarpa littoria" e veterani della marcia su Roma
erano più di 400; 600 membri contava l'Ispettorato speciale di PS (una
struttura antiguerriglia che lavorava come squadrone della morte in funzione
repressiva antipartigiana), e non contiamo poi le Brigate Nere, la Polizia
non politica, la Milizia territoriale. i funzionari del Fascio che rimasero
al proprio posto. Se si fosse voluto fare un "repulisti" politico, gli
uccisi sarebbero stati dieci volte tanto, ritengo.



Su questa tragedia c'è stato un colpevole silenzio della sinistra che
dev'essere rimosso". Sono le parole dell'onorevole WalterVeltroni, sindaco
di Roma, pronunciate durante la sua recente visita alla foiba di Basovizza.
Come le interpreta ? Tenendo anche conto del fatto che tale silenzio (che
non ha riguardato la solo sinistra, in verità) ha anche permesso alle destre
di classificare ideologicamente tutti i partigiani sloveni e croati (e non
solo loro) come infoibatori, permettendo anche di rimuovere dalle coscienze
degli italiani il clima politico e culturale che per vent'anni il regime
fascista ha imposto a quelle terre, perpetrando violenze fisiche e
psicologiche di estrema gravità !



Io sono dell'opinione che, ammesso e non concesso che di foibe non si sia
mai parlato prima (cosa che non è vera, visto che di libri - non solo di
propaganda disinformativi, ma anche seri come il primo studio di Roberto
Spazzali, "Foibe un dibattito ancora aperto", uscito nel 1992 - ne sono
usciti molti), questo fatto non può giustificare in alcun modo che adesso se
ne parli senza cognizione di causa, ma solo riprendendo le vecchie notizie
della propaganda nazifascista, senza un minimo di senso critico. Quanto ai
crimini commessi dall'Italia fascista, coloniale e imperialista, in Africa
come nei Balcani, fino a Grecia ed Albania durante la guerra, su di essi sì
è calato un pesante silenzio, una censura totale, al punto che il buon
documentario di Michael Palumbo, "Fascist legacy" sui crimini di guerra
italiani (e su come i criminali se la sono cavata senza problemi) è stato
"infoibato" dalla RAI che non ha la minima intenzione di mandarlo in onda,
dopo averlo acquisito. Però la RAI finanzia sceneggiati televisivi di
disinformazione sulle foibe: questo dovrebbe essere un motivo di scandalo,
non tanto che Gasparri promuova il filmato che lui stesso ha ispirato un
paio di anni fa.



Restiamo in tema. Quando l'onorevole Veltroni ha deposto la rituale corona d'alloro
anche ai piedi del monumento che ricorda la fucilazione di cinque sloveni
fucilati per ordine del Tribunale Speciale Fascista, ha suscitato lo sdegno
di Roberto Menia il quale ha affermato che "mentre non vi e' nulla da dire
per cio' che riguarda le tappe di Veltroni alla Foiba di Basovizza e alla
Risiera, anche se fatte con qualche decennio di ritardo, e' evidente che non
possono essere eletti a martiri di una italianita' cattiva nel 1930, coloro
che erano dei terroristi macchiatisi di reati di sangue e di omicidi. Questi
non possono essere contrabbandati per martiri ed e' evidente che Veltroni
sbaglia ed e' sbagliata questa ricostruzione che e' la ricostruzione che
vuol fare la sinistra". Una ulteriore dimostrazione di quanto abbiamo detto
fin'ora ?



È un dato di fatto che i martiri di Basovizza siano stati fucilati dopo una
sentenza di un Tribunale speciale di uno stato non democratico. Quindi prima
di accettare acriticamente la sentenza di questo Tribunale che li definiva
"terroristi", io quantomeno pretenderei, in democrazia, un nuovo processo,
per determinare quali fossero effettivamente le loro responsabilità
concrete. Ma a prescindere da questo, resta il fatto che la loro lotta era
contro un regime dittatoriale che, spero, nessun democratico di oggi intende
avallare come legittimo. Quindi che loro fossero o no "terroristi", secondo
me non ha la minima importanza da un punto di vista storico. Erano degli
antifascisti che lottavano contro la dittatura: tutto qui. In Germania
nessuno avrebbe il coraggio di chiamare "terroristi" gli attivisti della
Rosa bianca o Canaris che attentò, senza successo a Hitler. In altri tempi,
il tirannicidio era cosa considerata corretta, in fin dei conti.



Alessandra Kersevan, il suo editore, ha affermato di essere consapevole che
i risultati della ricerca non basteranno a tacitare la propaganda
antipartigiana che continua con toni sempre più violenti, anche da parte di
alcuni autori ritenuti fino a qualche tempo fa vicini alle tematiche della
Resistenza. L'auspicio è tuttavia che serva acciocchè si affrontino tali
tematiche con il dovuto rispetto storiografico, tenendo conto della
documentazione presentata . E' in fondo questo il valore civile della
Storia, non le pare?



***



Operazione "Partigiani !" A sessant'anni dalla Liberazione, in epoca di
"memorie deboli" e di revisionismo convinto, esce un disco che raccoglie i
canti della Resistenza. E per di più sono voci che vengono da terre in cui
più feroce, aspro e doloroso fu lo scontro. Le terre del confine, quelle del
carso goriziano, dove partigiani italiani, friulani e sloveni combatterono
assieme contro i nazifascisti. Gabriela Gabrielli, degli 'Zuf de Zur, è la
voce di questa epica corale, che idealmente si allarga a tutti i luoghi in
cui la scelta difficile e sempre dolorosa di combattere ha privilegiato l'opzione
per la Libertà contro ogni forma di tirannia dell'Uomo sull'Uomo. Ma come
nasce il progetto, cosa vi ha animato ?



Questo Cd nasce da un spettacolo musicale intitolato "Le vie dell'Eresia",
messo in scena due anni fa. Si trattava di uno spettacolo che raccoglieva
una serie di testimonianze ai confini fra poesia e musica che raccontavano
la storia della Lotta di Liberazione della nostra città, Gorizia. Un
percorso di giustizia sociale che, partendo dalle memorie di chi aveva
combattuto la guerra di Liberazione nelle formazioni partigiane o che
comunque aveva scelto di "resistere", voleva riproporre l'attualità di un
messaggio che è innanzitutto insofferenza per l'oppressione e amore per la
libertà.

Da qui l'idea di farne un CD, soprattutto oggi che queste tracce assumono
maggior valore, da un parte inutili, sterili polemiche, dall'altra
indifferenza rispetto alle passate ed alle nuove sofferenze.



Il vostro lavoro risulta essere anche una fonte documentaria di notevole
pregio, sia per il recupero dei testi e delle musiche che per la
contestualizzazione dei fatti. Non è solo un'operazione filologica e
storica, ma civile. E' una risposta a quanto oggi propongono letture
"inedite" della Resistenza ?



Siamo felici che tu dia un giudizio così buono sul lavoro che abbiamo fatto,
nato perlopiù da spinte dettate dal cuore senza velleità filologiche
particolari.Ci è costato due anni di fatica, con persone che ci
sconsigliavano di farlo, ritenendola un'operazione musicale e culturale
anacronistica e fuori luogo. Per noi non è stato e non è così, soprattutto
oggi nel clima politico e culturale di basso profilo in cui viviamo. Se
questo nostro lavoro può essere una risposta a tutto questo e in special
modo ad una lettura revisionista della Storia (cosa che da più parti si sta
cercando di fare) non può che farci piacere.



Quello che colpisce maggiormente dall'ascolto e dalla lettura del vostro
album sono proprio i profili intensi delle donne e degli uomini che hanno
combattuto. Oltre ogni possibile retorica ne emergono i tratti, forti e
struggenti, profondamente umani: Friderich Sirok, Goriziano, arrestato a
sedici anni per aver inciso col temperino una falce e martello e mai più
tornato a casa; il comandante "Lauro", che dopo un'azione afferma: "si può
essere in gamba anche senza sparare". Enrichetta, la partigiana "zingara"
morta nell'eccidio di Temnica, sul Carso Triestino..ma dove sono le belve
assetate di strage ? O gli ancor più prosaici rubagalline travestiti da
eroi?



Le figure che compaiono nelle pagine del libretto e di cui si sente l'eco
delle canzoni sono figure che fanno parte della storia di Gorizia e della
storia personale di Mauro Punteri (autore del gruppo): il comandante Lauro
era suo padre, Friderick Sirok, suo zio da parte materna, l'idea era proprio
quella di parlare di persone "normali", uguali a noi, persone normali che ad
un certo punto della loro vita, trovandosi in una situazione di guerra, di
mancanza di diritti, hanno dovuto fare delle scelte. Cosa faremmo noi se ci
trovassimo in una situazione analoga? E' una domanda che non ci sfiora
nemmeno.. e spesso non ci rendiamo conto che in questo stesso momento ci
sono decine e decine di situazioni di guerra nel mondo, e che persone come
noi le stanno provando sulla loro pelle. e non occorre andare tanto lontano.
non dimentichiamo che solo dieci anni fa, a sette ore di macchina, c'era l'assedio
di Sarajevo .



Il disco è introdotto dalle parole di Giovanni Padoan: "Oggi, rivivere i
fatti della resistenza vuol dire attualizzarli, vivere di memoria non serve".
Sono davvero emblematiche, quasi una risposta al dibattito di questi giorni,
così polemico, così acceso, così poco civile da contrapporre i morti e
rileggere le "memorie" in chiave puramente ideologica. Le canzoni che voi
raccogliete sono la voce di quelle memorie. Sono passati sessant'anni. Cosa
va gridando ancora, quella voce ?



Il significato di questo lavoro sta in due citazioni, che si ritrovano nel
Cd , la prima la si può leggere nella prefazione a Canti clandestini di
Carolus Cergolj "oggi i cieli sono puliti, ma non bisogna dimenticare come
certi vorrebbero le lacrime ed il sangue versato per renderli puliti" e
questo è il valore della memoria, che è importante, importantissimo, perché
almeno teoricamente dovrebbe impedirci di ripetere errori del passato.Ma la
memoria da sola non basta, deve essere utilizzata in qualche modo,
altrimenti diventa sterile commemorazione. e qui entrano le parole del
comandante Vanni (Giovanni Padoan sue sono le parole che aprono il cd)
"vivere solo di memoria non serve. essere partigiani oggi vuol dire
difendere i diritti, i diritti dell'uomo, i diritto del cittadino, i nostri
come quelli, già calpestati, di tutte quelle persone che vengono da noi
sperando di trovare un futuro migliore. Difenderli con gli strumenti che la
democrazia ci mette a disposizione.". I musicisti lo possono fare con la
musica.