Un commento a "Il mercato chiede foibe, Repubblica risponde"
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Un Natale in Istria, Ricordando


Era la prima volta dal 1947 che passavo il Natale in Istria nelle due
vecchie case dei nonni nel mio paese vicino a Pisino.
A sessanta cinque anni, ero ritornata a casa. Cittadina americana, docente
universitario, vedova di marito americano, con una figlia a New York, qui
ero rimasta la figlia di Pepi. Mi conoscevano tutti. Dovetti fare molte
visite. La moglie di mio cugino--la chiamero' Loredana-- mi disse, "Mio
nonno fu ucciso dai tedeschi." In visita ai suoi genitori--gente della mia
eta'--chiesi a sua mamma: "Suo padre era partigiano?" "Si, e pure mio zio."
"Cosa successe?" "Qui a Galignana, arrivo' la notizia che mio padre era
stato ucciso e che dovevamo scappare. Andammo in bosco--mia madre, io, i
miei fratelli, i nonni, gli zii--tutta la famiglia. Bruciarono la casa. E
non solo la nostra. Molte qui in paese." "E come avete fatto senza casa?"
"Quando se ne andarono i tedeschi e quelli che ci avevano fatto la spia--i
collaboratori fascisti--mia mamma riusci' a salvare poche cose dall'incendio
ed andammo a vivere nel bosco."

Il giorno di Natale, passo a salutare un amico, lo chiamero' Ive.
Ha dieci anni piu' di me e ricorda il fascismo. Parla a mala pena l'italiano
e ricorda la snazionalizzazione sotto il regime di Mussolini. E' un uomo
buono Ive, come si dice da queste parti.
Non beve, coltiva i campi, cura le sue mucche, e' religioso.
Gli chiedo, "Impiccarono un tale alla stazione." Annui'. "Come accadde?"
"Era un giovane partigiano, non di queste parti, dicisettenne. I tedeschi lo
torturano nella casa di Paolo [lo stradino]. E poi fecero marciare il paese
nella stazione e ci fecero guardare mentre lo issarono sul palo della
rifornitura dell' acqua." "Allora e' vero il mio ricordo." "Si, c'eri pure
tu. C'eravamo tutti." "Era vivo?" "No. Poi lo lasciarono appeso per tre
giorni. Volevano che ne sentissimo la puzza."

Dico a Ive, "Mia mamma ricordava un giorno di Pasqua del '44 o '45. Andava
gli otto chilometri a piedi al castello di Pisino con una signora del paese.
Non ricordo il nome. Andavano tutte e due a vedere se i loro uomini, presi
in una rappresaglia tedesca a retata giorni prima, erano ancora vivi. Quando
girarono la curva, sotto la stazione, videro il primo impiccato. L'amica di
mia mamma grido' il nome del marito e abbraccio' l'albero dal quale lui
pendeva."
"Si, era uno del paese. Ne impiccarono diciasette. Lungo il viale di Pisino.
Uno, quello che tua mamma ricordava, era del nostro paese. Portava viveri in
montagna. Ai partigiani."

Mia zia ha ottanta tre anni. A capodanno, le chiedo, "Una volta, dovemmo
scappare a Pagobize. Ricordo che mettemmo materassi, viveri, e coperte su
dei carri trainati dai buoi. Andammo di notte." "Si, era l'otto ottobre del
1943. Erano arrivati i tedeschi. Fummo avvertiti che avrebbero bruciato il
paese. Pensavamo che rifugiandoci per i paesi delle colline avremmo potuto
salvarci.
La gente ci dette rifugio. Pero' quella stessa notte ci fu una grande luce.
Ci cercavano con dei grandi riflettori. Vennero a perquisire casa per casa.
Noi della nostra famiglia eravamo tutti ammucchiati in una stanza." "Pure i
nostri padri?" "Si, pure i padri. Apri' la porta un ufficiale tedesco. Fece
cenno di starcene zitti. Ci rassicuro'. Poi se ne ando'." Pure questo era
stato veramente vissuto, mi dico--questo incubo che mi perseguito' per
decenni.
Nel sogno, mi trovavo in una specie di paese fortificato. Poi cadevano le
mura, e mi trovavo i tedeschi di fronte.

Vengo alla questione delle foibe. Dico a mia zia, "Il nonno, il padre di mia
mamma, era fascista?" Ebbe un fuggevole sorriso, come di scusa. Non voleva
ferirmi. Dissi, "Dimmi la verita'. Cosa dicono in paese?" "Dicono che era
forte fascista. Lo presero l'otto settembre. Non si seppe mai nulla di
preciso, pero' senza dubbio fu infoibato." "Tu, cosa ne pensi?" "Furono
tempi terribili. La gente si vendico'." "I partigiani, tu li temevi?"
"No. Avevamo solo paura dei tedeschi." Questo coincide con il mio ricordo.

A mia cugina Beatrice, ricordo, "Ci avevamo mandate a portare la colazione
alla gente che lavorava nei campi. Al ritorno, sulla strada ci si
avvento'adosso, a picchio un aereo tedesco che si mise a mitragliarci. Tu
eri piu' piccola di me. Ricordi? Qualcuno corse dai campi, ci trascino' nel
tombino sotto la strada. E quella notte bombardarono Pisino. Noi passammo la
notte in cantina. In silenzio eccetto per il gocciolio dell'acqua da un
rubinetto che nessuno badava a tappare. C'era pure la bisnonna e il prozio
Martino."
Disse lei, "Si, bombardarono Pisino perche' i partigiani avevano dato
l'assalto ad un treno che portava soldati italiani arrestati a Pola in
prigionia in Germania e li avevano liberati."

Sento il bisogno di ricordare perche' leggo che La Repubblica sta
caratterizzando i partigiani del "confine slavo" come dei consapevoli
terroristi. Oh, non usano questo termine, pero' lo intendono. Io voglio dire
che se una donna di sessanta cinque anni, allora bambina, ha questi ricordi
e li conferma nel suo paese, chi era il fautore del terrore? Mi sembra che
si stia rovesciando la realta', dicendo che i partigiani fossero gli agenti
del terrore. E non e' vero. Chiunque si prenda il disturbo di andare in
Istria ad intervistare i superstiti, trovera' che il bilancio del terrore si
verte di una maniera strarompente da una sola parte: la parte nazifascista.
Ho voluto testimoniare a questo favore. Solamente questo. Mi si permetta.

Luciana Opassi Bohne
Edinboro University
Edinboro, Pennsylvania