----- Original Message -----
From: Alessandro Di Meo
Sent: Wednesday, March 23, 2005 5:05 PM
Subject: 25 Marzo 2005

24 marzo 1999 - 24 marzo 2005, sei anni dalla guerra alla Jugoslavia: neppure un dubbio!
E' davvero inquietante il fatto che proprio in questi giorni, in cui cade il sesto anniversario della guerra "umanitaria", la prima nel suo genere, della Nato alla Jugoslavia, molti di quei politici che hanno sulla coscienza il dramma che decine e decine di migliaia di rifugiati serbi (ma anche di altre etnie) vivono ininterrottamente da quei giorni, abbiano ripreso voce per riaffermare la giustezza, bontà loro non sempre, degli interventi armati.
E' inquietante che questi politici, alla vigilia di elezioni importanti, quasi a farne campagna elettorale contro il governo guerrafondaio della destra, riprovino a mostrare all'eterno alleato statunitense, nel 1999 sotto l’ombrello Nato, il loro volto più affidabile. Peccato che sia macchiato di sangue.
Per noi che, in questi anni, abbiamo conosciuto la tragedia degli sfollati dal Kosovo e ci siamo battuti per portare loro solidarietà concreta attraverso numerose iniziative realizzate, quelle parole pesano come macigni. Non un dubbio è affiorato nelle coscienze di costoro, non una parola è mai uscita dalle loro bocche per tutte quelle famiglie e per tutti quei ragazzini, vittime innocenti di scelte infami. Gente che ha perduto tutto e che, dopo sei anni, non sa neppure cosa l'aspetta nel futuro perché pure questo diritto gli è negato. Come è negato, per i famigliari degli oltre mille scomparsi nel dopo guerra, il diritto di sapere che fine hanno fatto i loro cari, vittime, a "processo democratico" già avvenuto, della violenza di una banda armata, l'UCK, che in tempo di "guerra al terrorismo", è stata fatta passare per "esercito di liberazione" e riciclata nella forza di polizia del “Kosovo liberato”. Un Kosovo, oggi, base Nato più grande d’Europa e, soprattutto, crocevia di traffici illeciti dei quali, però, non si parla.
Dire che con questi politici dovremo stare attenti, è davvero poco.
Il nostro impegno, a sei anni da quelle bombe “umanitarie”, è ancora quello di testimoniare una situazione drammatica, per nulla risolta. Migliaia di famiglie vivono in condizioni precarie in centri di accoglienza che da temporanei sono divenuti definitivi. Il diritto al rientro in Kosovo è una chimera, sbandierata da politiche opportunistiche una volta del governo, una volta dell’opposizione, una volta della comunità europea. Non ci credono più neppure loro. Gente che ha perduto tutto e che avrebbe diritto almeno al risarcimento di ciò che gli è stato confiscato, distrutto, bruciato.
Porteremmo volentieri questi politici “privi di dubbi” nelle nostre missioni.
Per farli incontrare con le decine di famiglie di sfollati sostenute a distanza e che sono costrette a fare conto su di noi e sulla nostra capacità di sensibilizzare e testimoniare la loro situazione;
per farli partecipare alle iniziative con bambini, sfollati e non, che vivono le difficoltà di un dopo guerra che ha solo creato tanti nuovi poveri, come se al mondo non ce ne fossero già abbastanza;
oppure, per portarli a visitare le donne sfollate che, fra mille difficoltà e fatiche, ancora sanno ricamare a mano e cercano, col nostro aiuto, di vendere qualcuno di quei lavori, straordinari, per farne salario;
oppure, potremmo fargli vedere come operano i medici negli ospedali, ancora costretti ad “arrangiarsi” con mezzi che, alla sola vista, ci farebbero allontanare disgustati.
Ma, più semplicemente, potremmo far loro conoscere un ragazzino che da due anni e mezzo è qui da noi, in Italia, a Roma, per curare l’Anemia Aplastica, terribile malattia del midollo. Magari, incontrandolo, potrebbero essere assaliti dal dubbio che le migliaia di tonnellate di uranio impoverito distribuito generosamente su quella che ora si chiama “ex Jugoslavia”, non fanno male solo a qualche nostro soldato ma pure a tanti bambini, colpiti da leucemie varie, che non potranno mai curare.
E’ per tutti loro che non riusciamo a dimenticare.
E’ per tutti loro che continuiamo a testimoniare e a denunciare.
E’ per tutti loro, che abbiamo il dovere di farlo.
Ed è per loro, che restiamo in attesa che almeno un dubbio possa fiorire nelle certezze dei colpevoli di allora.

Un Ponte per... (campagna per Belgrado)


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