"Foibe" e rivendicazioni revansciste italiane - segue ...

1. FOIBE: LA MEMORIA NEL POZZO
di Marco Santopadre, per "La Rinascita della Sinistra"

2. La verità nel pozzo, ovvero come si costruisce il senso comune
fascista
di Gino Candreva

3. L'irredentista triestino Menia contro Giacomo Scotti per le sue
dichiarazioni sulla campagna revanscista e revisionista italiana

4. Perchè tutto questo? CROAZIA: UNIONE ISTRIANI RILANCIA RESTITUZIONE
DEI BENI (ANSA 25 MARZO)


ALTRI LINK:

Conseguenze sui rapporti Italia-Slovenia-Croazia
della operazione revisionista-revanscista
"Giornata del Ricordo + Il cuore nel pozzo"
JUGOINFO Lun 14 marzo 2005
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4315
(VEDI ANCHE TUTTI I LINK IVI SEGNALATI)

Battibecchi su "Il cuore nel pozzo" su Osservatorio Balcani: "Buon
senso in fondo al pozzo"
http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3886/1/67/

La memoria delle foibe in Istria: intervista a Giacomo Scotti
http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3884/1/51/
oppure
JUGOINFO Mer 16 Feb 2005
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4259

Una esule istriana ci scrive
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4239
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4255
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4345

A PROPOSITO DEL FILMATO IL CUORE NEL POZZO IN PROGRAMMAZIONE RAI
Comitato contro le falsificazioni storiche (Trieste)
https://www.cnj.it/PARTIGIANI/altri.htm#falsificazioni

Iniziativa dell'Associazione Promemoria su "Il cuore nel pozzo" /
Promemoria - Društvo za zašcito vrednot protifašizma in protinacizma
https://www.cnj.it/PARTIGIANI/altri.htm#promemoria

IN MERITO AL FILM “IL CUORE NEL POZZO”
PRODOTTO DA ANGELO RIZZOLI PER RAI FICTION
redazione de "La Nuova Alabarda" (Trieste)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3793


=== 1 ===

articolo pubblicato dal settimanale La rinascita della sinistra del 18
marzo 2005

FOIBE: LA MEMORIA NEL POZZO

Di Marco Santopadre

Mentre Rai 1 trasmetteva la sua fiction revisionista, a Trieste la
Kappa Vu presentava la 2a edizione del libro “Operazione Foibe. Tra
mito e realtà” di Claudia Cernigoi, un tentativo di inserire quelle
vicende, strumentalizzate dalla destra italiana con l’accondiscendenza
di una parte del centrosinistra, nel giusto contesto storico.

«Quando ho deciso di fare questa nuova versione non pensavo che ci
saremmo trovati nel mezzo di una operazione di revisione storica così
aggressiva. Le cose che i mass media riportano hanno dell’incredibile,
spesso si tratta di episodi inventati oppure di stragi realmente
compiute dai nazisti ma ora attribuite ai partigiani.» Un’ondata di
odio antislavo e antipartigiano senza precedenti. «Non si può prendere
a calci la storia così, piegarla ai propri meschini interessi politici.
Senza contare le ripercussioni negative sulla precaria convivenza in
queste regioni di frontiera tra le varie comunità etniche e
linguistiche.»

Intanto si allunga la lista degli “esuli” italiani che pretendono un
risarcimento economico da Croazia e Slovenia, già 14.000. «In teoria
era l’Italia che avrebbe dovuto indennizzare gli italiani che
abbandonarono la Jugoslavia. In base ad un patto siglato con Belgrado
l’Italia, invece di pagare gli ingentissimi danni di guerra per le
distruzioni prodotte dal suo esercito, avrebbe versato risarcimenti
agli italiani per i beni abbandonati.»

La sensazione, aggiunge l’autrice triestina, è che dietro tutto ciò «ci
sia una manovra oscura di dimensioni europee, rivelata dai collegamenti
che si stanno sviluppando coi cosiddetti “esuli” tedeschi dei Sudeti e
della Polonia.»

Il revisionismo ha due aspetti: la falsificazione della realtà, che
porta ad aumentare senza nessuna prova il numero delle vittime delle
foibe, arrivando a decuplicarle, e un altro aspetto di
decontestualizzazione degli eventi. La tesi alla base della Giornata
del Ricordo è che, alla fine della Seconda guerra mondiale, sconfitti
gli eserciti repubblichino e nazista che occupavano le regioni di
frontiera tra Italia e Jugoslavia, i partigiani jugoslavi operarono una
scientifica pulizia etnica anti-italiana. Migliaia di cittadini di
lingua e cultura italiana, per il solo fatto di essere tali, sarebbero
stati buttati nelle foibe oppure espulsi dalle loro terre. «I territori
liberati dall’esercito jugoslavo nel 1945 non erano abitati solo da
italiani. In molti casi gli italiani uccisi erano o rappresentanti
diretti del governo e dell’esercito occupante, oppure funzionari delle
amministrazioni fasciste, oppure possidenti e imprenditori a volte
arrivati da altre regioni e utilizzati dal fascismo come elementi di
italianizzazione. Erano elementi riconducibili al potere fascista e
all’occupazione militare e coloniale italiana.» Non si può quindi
parlare di pulizia etnica ai danni degli italiani in quanto categoria
etnica, linguistica o nazionale. Che ci siano stati casi di vendette
private è indubbio, cosa inevitabile in un’area sconvolta dalla guerra.

«Anche prima di diventare fascista, l’Italia uscita vincitrice dalla
Prima guerra mondiale impose nei territori slavi recentemente acquisiti
- Istria e parte della Slovenia continentale – un processo di
nazionalizzazione forzata che arrivò al punto di vietare i nomi slavi e
di proibire l’uso delle lingue slave in pubblico: le persone, le città
e le vie furono italianizzati a forza, furono chiuse le scuole locali.»
La stessa politica operata da Roma anche nei territori di lingua
tedesca.

«All’inizio della Seconda Guerra mondiale l’esercito italiano occupò la
Slovenia fino a Lubiana, operando eccidi e deportazioni di massa,
bruciando i villaggi e compiendo una lunga serie di crimini di guerra,
aiutati dai collaborazionisti slavi Ustascia e Domobrani.»

E’ in questo contesto che va inserita la vicenda delle foibe. Non una
vendetta etnica quindi, ma il tragico risultato di decenni di
repressione contro gli slavi e contro gli oppositori del fascismo.
«Molti italiani furono giustiziati in quei giorni, per la maggior parte
esponenti del regime e dell’esercito occupante regolarmente processati
e condannati dai tribunali partigiani. Molti criminali fascisti si
salvarono solo perché le autorità italiane del dopoguerra si
rifiutarono di punirli adeguatamente o di estradarli in Jugoslavia.»

Se si trattava di una enorme pulizia etnica come sostiene la nuova
versione revisionista, come si spiega che i tanti cittadini di lingua e
cultura italiana che decisero di rimanere nell’Istria jugoslava dopo il
’45 godettero di diritti assai maggiori di quelli garantiti dall’Italia
ai propri cittadini di lingua slovena?


=== 2 ===

http://www.geocities.com/prcschio/documentiworld/laveritanelpozzo.rtf

La verità nel pozzo, ovvero come si costruisce il senso comune fascista

“a Pola xe l’Arena/ la Foiba xe a Pisin
che i buta zo in quel fondo/ chi ga certi morbin”
(Canzoncina fascista antislava)

Una volta la formazione della “coscienza nazionale” era affidata ai
grandi romanzi storici, Ettore Fieramosca o Marco Visconti, senza voler
scomodare I promessi sposi, o a poeti come Foscolo e Alfieri, le cui
ossa fremevano amor di patria. Quando a chiamare l’Italia “patria”
erano in maggioranza. Ora bisogna accontentarci di Alberto Negrin e Leo
Gullotta, artisti (ci dicono) di sinistra, prestati (speriamo
temporaneamente) alla destra, e del loro Cuore nel pozzo, una “fiction”
storica, che però non è un romanzone storico, che parla di foibe ed
esodi e vanta la consulenza di Giovanni Sabbatucci, ma è un “racconto
di sentimenti” senza pretese storiche, come dice il suo regista. Questa
sfilza di affermazioni che si contraddicono dovrebbero evitare allo
sceneggiato una critica storica e una critica estetica. Non si può
criticare sul piano scrupolosità storica una storia di sentimenti, e
come si può dare un giudizio estetico a una tragedia così struggente,
senza cadere nella prosaicità e nell’insensibilità?
In realtà il senso del Cuore nel pozzo è un’operazione politica tesa
alla costruzione di un senso comune nazionalista anticomunista,
utilizzando il capro espiatorio della “violenza slava” contro i poveri
italiani, progettata a tavolino dal ministro neofascista della Cultura
popolare Gasparri, già dal 2002. In un’intervista alla Stampa, il 18
aprile 2002, Gasparri dichiarava: “Penso che sarebbe più efficace una
fiction che raccontasse la storia di una di quelle povere famiglie.
Sono grandi tragedie. Come quella dell'Olocausto o di Anna Frank.” E la
Rai ha servilmente ubbidito alle direttive del Goebbelsino di casa
nostra. Una Rai che non ha mai mandato in onda Fascist Legacy,
documentario della Bbc sui crimini italiani in Jugoslavia, Libia e
Etiopia, acquistato già dal nel 1989. In un paese nel quale in pratica
si vieta la proiezione del Leone del deserto, film sulla resistenza
araba all’occupazione italiana della Libia.
Che si tratti di un’operazione politica è dimostrato anche dalla
proiezione dell’anteprima alla vigilia e nella stessa sede, il Palazzo
dei Congressi all’Eur di Roma, della conferenza di celebrazione dei 10
anni di Alleanza Nazionale, ovvero dalla vestizione in doppiopetto del
partito neofascista che, è bene ricordarlo, mantiene ancora nello
stemma il catafalco di Mussolini. E dal sito di An si accede
direttamente, tramite un link, a quello dello sceneggiato. “Fiction”
servita, dunque. Che si tratti di una strumentalizzazione orchestrata a
tavolino se ne deve essere accorto lo stesso Leo Gullotta, che a un
certo punto ha abbandonato la sala dell’anteprima.
Una fiction che fa scempio della verità storica, anch’essa finita nel
pozzo, infoibata con i corpi di tanti innocenti, slavi e italiani, la
cui fine è da addebitare a una guerra, voluta dai nazifascisti, di
aggressione alle popolazioni Jugoslave. E non al sadismo di qualche
capo partigiano jugoslavo come Novak.
Già a partire dai titoli di testa lo sceneggiato prende per buone le
cifre delle “migliaia e migliaia” di infoibati. Cifra diffusa
dall’estrema destra, già a partire dalla riconquista italotedesca del
1943, poi rafforzata nel dopoguerra da “storici” come Luigi Papo e
altri. Dopo la breve parentesi del potere popolare nel 1943, il ritorno
dei nazifascisti è stata accompagnata da esecuzioni di massa di
partigiani e civili, antifascisti jugoslavi e soldati italiani che non
volevano combattere nelle file della Rsi. A giustificare queste
rappresaglie venne costruita la menzogna delle migliaia di infoibati
italiani. Le denunce di scomparsi, dopo il 1943 e dopo il 1945, in
totale sono di circa 10.500, tra vittime degli scontri e della guerra
di liberazione, morti in combattimento o nei campi di concentramento,
tra italiani e jugoslavi. Gran parte di questi erano collaborazionisti
e fascisti, tantissimi gli slavi e gli antifascisti infoibati durante
il ventennio o tra il ’43 e il ‘45. Giacomo Scotti, nel suo “Le foibe
fasciste che nessuno ricorda”, riporta che su 400 vittime nelle foibe
istriane del 1943 oltre la metà avevano cognomi slavi italianizzati. Lo
stesso Scotti, citando fonti triestine, tra cui lo storico Galliano
Fogar o l’ex sindaco di Trieste, riporta le vittime degli infoibamenti
ad alcune centinaia.
Eppure la sola federazione fascista di Trieste, già nel 1921, conta
circa 14.000 iscritti. E’ la più importante d’Italia. Mentre decine di
migliaia di italiani, fascisti o semplicemente opportunisti, avevano
partecipato alla cacciata degli slavi dalle loro terre, alla
spoliazione delle loro proprietà. La politica di snazionalizzazione di
Mussolini venne perseguita tramite l’espulsione di croati e sloveni e
l’incoraggiamento agli italiani perché occupassero le terre
abbandonate. La canzoncina riportata in testa (riferita da un
intervento di Giacomo Scotti) minaccia di infoibamento chiunque si
opponga all’italianizzazione delle terre slave di confine. Nonostante
questo, non si sviluppò tra le popolazioni slave un odio antitaliano,
in quanto tale. E contrariamente a quello che racconta l’alpino
Fiorello nello sceneggiato, i titini salvarono migliaia e migliaia di
soldati italiani. Alcuni si unirono all’Esercito di liberazione
jugoslavo, come la divisione “Garibaldi” in Montenegro, diretta da
ufficiali badogliani, che combatterono fianco a fianco degli jugoslavi
contro i nazifascisti; altri vennero rifocillati e fatti tornare a
casa; altri ancora ospitati dalla popolazione serba, croata o slovena
fino al termine della guerra. Scotti ricorda ancora l’episodio dei
3000 marinai di leva che vennero imbarcati su un treno diretto in
Germania per essere deportati, scortati da qualche centinaio di
tedeschi, che li avevano ricevuti in consegna dai “patrioti” della
Repubblica di Salò. Bene, i partigiani jugoslavi fermarono il treno e
liberarono i marinai italiani, che così, aiutati dalle popolazioni
locali, riuscirono a raggiungere l’Italia. Alcune decine si unirono ai
partigiani nella loro lotta di liberazione. Come racconta Tomislav
Ravnic,[segretario delll’Unione soldati antifascisti della Croazia],
gli antifascisti croati sono sconvolti dal fatto che i media italiani
scrivano che i partigiani uccidevano gli Italiani solo in quanto
Italiani. "Questa è una menzogna – dichiara Ravnic – quando nel 1943
abbiamo catturato 15.800 soldati italiani, non gli è successo nulla.
Avevamo un rapporto umano nei confronti dei prigionieri italiani. E'
per questo che io dico a Berlusconi, a Fini e alla compagnia che
dovrebbero inchinarsi di fronte ai nostri soldati che hanno salvato
migliaia di persone. I partigiani non hanno ucciso gli Italiani, ma i
fascisti che sono stati condannati dai Tribunali nazionali." (riportato
dal sito Osservatorio sui Balcani, 7 febbraio 2005)
Quindi la “confessione” di Ettore-Fiorello al Don Bruno-Gullotta è
priva di ogni fondamento.
In realtà la fiction confonde volutamente due periodi storici,
riportando episodi del 1943 al 1945. Ma forse al momento Sabbatucci era
distratto. Lo scopo è una mistificazione ideologica ben precisa. Si
vuol dare infatti l’idea del soldato italiano sbandato, che appartiene
a dopo l’armistizio del 1943. Ma la vicenda si svolge nel 1945, dopo il
ritiro tedesco. Anche allora c’erano “soldati” italiani, ma erano
quelli che avevano scelto, volontariamente, di combattere nelle file
della Rsi. Altro che soldati pacifisti. Sul piano della ricostruzione
regge poco l’escamotage che Ettore-Fiorello è un reduce dell’Armir,
soprattutto quando si rimprovera d’aver abbandonato il fucile. Oggi
sappiamo che oltre 600.000 militari italiani rifiutarono di combattere
per il Duce dopo l’8 settembre e per questo furono deportati in campi
di concentramento in Germania. Coloro che continuarono la guerra erano
volontari della morte, torturatori, aguzzini. Ebbene, un gruppo di
questi volontari di Salò, guidati da Ettore-Fiorello, a un certo punto
si trovano di fronte il sadico partigiano Novak e la sua banda, li
disarmano e… li lasciano andare incolumi, senza un graffio. Qual è il
messaggio? Gli italiani tutti buoni, anche i torturatori fascisti; gli
slavi tutti sadici, assassini, “slavocomunisti”. Lo stesso Novak, come
ci informa il sito dello sceneggiato, vuole rapire il figlio “per
eliminarlo” ( – sintesi). Dunque, un partigiano slavocomunista che
ammazza la madre di suo figlio oltre a qualche decina di altri poveri
disgraziati, che insegue per mezza Istria un gruppo di bambini condotti
da un sacerdote e un repubblichino pacifista, solo per rapire il figlio
allo scopo di eliminarlo. Nel frattempo distrugge qualche villaggio e
incendia qualche asilo, giusto per non stare con le mani in mano. E’ la
moderna favola dei comunisti che mangiano i bambini, solo che gli
slavocomunisti sono più raffinati: prima li arrostiscono. Il tutto
condito dai consigli per gli acquisti di sottilette, shampoo
antiforfora o cioccolatini vari.
Leo Gullotta spiega che “è un'occasione innanzitutto per accendere una
fiammella sul totale silenzio dopo 60 anni”. E’ il solito ritornello.
Ogni volta si “scopre” la storia dall’inizio. Nessuno che dica “non
sapevo nulla nonostante la copiosa pubblicistica”. Eppure sono almeno
quaranta anni che si parla delle vicende belliche al confine orientale,
incluse le foibe, come il libro di Mario Pacor Confine orientale, ed.
Feltrinelli, 1964. Da allora si sono succedute centinaia di
pubblicazioni più o meno scientifiche sull’argomento. Mentre però la
ricerca storiografica ha segnato dei progressi importanti, anche se di
valore disomogeneo, con studi più recenti, da Raoul Pupo a Tone Ferenc,
a Giacomo Scotti a Claudia Cernigoi, a numerosi altri, l’estrema destra
oggi al governo ripropone tesi e personaggi legati alla Repubblica
sociale italiana e al fascismo, come Luigi Papo di Montona (Paolo de
Franceschi), ex ufficiale della Guardia nazionale repubblicana
fascista, responsabile della “Zona di operazioni litorale adriatico”,
tra i più prolifici difensori della tesi del “genocidio nazionale” e
della minaccia “slavocomunista”, i cui testi sono copiosamente
acquistati con denaro pubblico e regalati con non richiesta generosità
dalle Amministrazioni locali di destra a scuole e biblioteche.
Di parlare se ne è parlato e si continua a parlare; che non se ne parli
come vorrebbero i neofascisti al governo è un’altra faccenda.
Ed è il senso dell’operazione Il cuore nel pozzo. Fabbricare un
immaginario collettivo nazionalista attorno al programma politico di
Alleanza Nazionale. Ma non si tratta solo di un’operazione di basso
profilo elettorale. Costituisce il tentativo di rileggere la storia
d’Italia come storia della continuità della legittimità delle classi
dominanti, da quella liberale alla fascista a quella attuale. In questo
contesto tutti i crimini dell’imperialismo vengono sottaciuti, perché
commessi nell’interesse nazionale, dal massacro delle popolazioni
etiopi e jugoslave, ai bombardamenti sulla Serbia, all’intervento in
Irak. Questo consenso nazionalista è veramente “bipartisan”, unendo
nello stesso abbraccio Violante e Fini, D’Alema e donna Almirante.
Da qui la mitologia della “morte dello Stato” dopo l’8 settembre,
rappresentata dalla sconfitta di Ettore-Fiorello, la costruzione
dell’eterno nemico slavo che preme alle porte orientali (come dice
Papo) rappresentato dal sadico Novak, la celebrazione
dell’identificazione nazionale col clericofascismo, rappresentato dai
buoni soldati italiani e da Don Bruno-Gullotta. E’, detto in termini
gramsciani, un’operazione di egemonia culturale finalizzata al dominio
politico. Quando An parla di “memoria condivisa” a proposito delle
foibe, in realtà intende questo consenso nazionalista antislavo e, più
in generale, sulla condivisione degli interessi del capitalismo
nazionale italiano. Il cuore nel pozzo è stato accolto con entusiasmo
nei circoli più estremi del fascismo triestino; la platea
dell’anteprima a Roma era composta solo da esponenti di Alleanza
Nazionale. D’altro canto in Slovenia e Croazia lo sceneggiato è stato
accolto con comprensibile timore e preoccupazione. Invece di chiedere
scusa per gli oltre 300.000 jugoslavi uccisi dai nazifascisti, li si
tratta da assassini e sadici torturatori. Un revanscismo antislavo che
sembrerebbe anacronistico oggi che la Slovenia e la Croazia stanno per
essere ammessa nell’Ue. Eppure ha un suo motivo profondo.
L’imperialismo italiano ha contribuito in maniera decisiva alla
dissoluzione dell’ex Jugoslavia, sostenendo economicamente,
politicamente e militarmente i nazionalisti che precipitavano la
Federazione nella carneficina. E oggi cerca di rinfocolare gli odi
etnici per sgretolare gli staterelli sloveno e croato, inglobando
nell’Italia le regioni di confine, in particolare l’Istria e la
Dalmazia, che non ha mai cessato di considerare parte del “mare
nostro”. E’ la vecchia aspirazione di Mussolini espressa in un discorso
del 20 settembre 1920 a Pola: “per realizzare il sogno mediterraneo
bisogna che l’Adriatico, che è un nostro golfo ,,, sia in mani nostre;
di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara”. Da qui il
giorno del ricordo, il 10 febbraio, votato alla quasi unanimità dal
Parlamento. Il 10 febbraio, giorno dei trattati di pace del 1947, o,
come si dice dalla parte dei fascisti, del Diktat imposto all’Italia.
Ma questa è un’altra storia, sulla quale cercheremo di tornare.

Gino Candreva

10 febbraio 2005


=== 3 ===

[ Per le dichiarazioni di Giacomo Scotti vedi:
La memoria delle foibe in Istria: intervista a Giacomo Scotti
http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3884/1/51/
oppure
JUGOINFO Mer 16 Feb 2005
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4259 ]

http://www.ilmanifesto.it

Da "Il Manifesto" del 23/2/2005, a pagina 8

Ha raccontato la vera storia delle foibe. An chiede al governo di
togliergli la pensione

Menia «interroga»

Il deputato fascista triestino, con tipico stile intimidatorio, chiede
a cinque ministri di indagare sullo storico dalla doppia cittadinanza

MATTEO MODER
TRIESTE

«Sono i soliti fascisti». E' afflitto e preoccupato Giacomo Scotti,
collaboratore del Manifesto dalla Croazia, scrittore, storico,
esponente di spicco dell'Unione italiana, fatto oggetto da quello che
lui definisce un atto «intimidatorio e persecutorio» da parte del
deputato triestino di An, Roberto Menia, che ha presentato
un'interrogazione a 5 ministri sul fatto che Scotti, con altri
cittadini sloveni e croati, di nazionalità italiana, percepisce la
pensione sociale dall'Italia. «Ci sono cittadini sloveni e croati che
hanno una falsa residenza a Trieste per godere dei servizi
pensionistici e sanitari italiani» scrive Menia, prendendo Scotti come
capro espiatorio e riproponendo a distanza di qualche anno la polemica
innescata dai fascisti sugli «infoibatori slavocomunisti» che
prendevano la pensione dall'Inps per aver servito sotto l'Italia. Il
deputato di An chiede ai ministri un'indagine sulle doppie residenze e
di verificare eventuali abusi «di tipo previdenziale e elettorale»,
magari con l'apertura di un'indagine della magistratura.

«Non è la prima volta che Menia sfoga il suo livore contro di me -
spiega Scotti - anche il 9 febbraio a Trieste ha ripetuto che Giacomo
Scotti, "che lasciò l'Italia per rifugiarsi nel paradiso comunista
jugoslavo, risulta residente a Trieste e perciò ho interrogato il
Governo per sapere se magari questo signore prende la pensione
dall'Italia per fare un lavoro sporco, così come c'è qualcuno che
infoibava eppure prende la pensione dell'Inps"...». «Menia non lo dice
- afferma lo storico - ma gli dà fastidio la mia attività nell'Unione
italiana di cui sono vicepresidente e contro la quale ha presentato
un'altra interrogazione contro il presidente Maurizio Tremul:
un'offensiva pianificata e mirata - continua - che coinvolge anche
altri connazionali con doppia residenza e doppia cittadinanza, come lo
consente agli esponenti della minoranza italiana una legge italiana del
1991».

«Sono decenni che faccio la spola tra le due sponde dell'Adriatico a
"intessere ponti"- continua Scotti - e Menia finge di ignorare che io
nel cosiddetto paradiso comunista ho sofferto l'inferno. Solo che non
speculo su questo. Come scrittore, storico, pubblicista - precisa -
penso di aver contribuito al risveglio culturale della minoranza
italiana in Istria e nel Quarnero pubblicando 120 volumi, centinaia e
centinaia di articoli e saggi, in cui ho difeso e difendo la lingua e
la cultura italiana in Istria, Fiume e Dalmazia. Ho denunciato i
crimini del regime jugoslavo nel mio citatissimo Goli Otok. Il Gulag di
Tito. Dire che l'autore di queste opere prende la pensione italiana per
fare "un lavoro sporco" è terribile. Si sputa - spiega - addosso a un
italiano solo perché è un uomo di sinistra, lo si tratta da nemico da
distruggere e privarlo anche del pane se possibile».

Scotti percepisce in Italia la pensione, ma quella di povertà o assegno
sociale di 500 euro al mese. A Fiume ha un domicilio, la residenza a
Trieste, da circa 7 anni. «Ho la pensione sociale italiana da quando
raggiunsi i 65 anni di età - oggi ne ho 76 - perché essendo spessissimo
disoccupato per motivi politici e avendo conosciuto due volte la galera
in quel regime, ho fatto lavori precari, traduzioni dall'italiano e
dallo jugoslavo, ma anche il facchino. Dopo l'ultimo definitivo
licenziamento che mi colpì nel 1981 (una recensione non gradita al
regime), in Jugoslavia avevo accumulato troppi pochi anni di lavoro per
poter usufruire di una pensione minima. Con la vecchiaia e avendo la
residenza in Italia ho chiesto e ottenuto la pensione sociale quella
che ora Menia vorrebbe portarmi via assieme alla carta sanitaria. Ho
due cittadinanze, e amo due terre, può l'onorevole Menia proibirmi di
essere quello che sono?».

All'interrogazione-provocazione di Menia avranno certo contribuito i
rigorosi servizi di Scotti sulle foibe istriane pubblicati dal
Manifesto e anche che Claudio Magris nel suo importante editoriale
sulle foibe sul Corriere della Sera si sia direttamente rifatto a lui.

«Per motivi elettorali - prosegue - a ondate, Menia e i suoi parlano
sempre con lo stesso linguaggio dei giornali fascisti del 1943:
slavo-comunisti, infoibatori, nemici della patria - rileva - loro che
la patria l'han tradita in mille modi. Dicono che hanno combattuto per
conservare l'Istria. Ma la Decima Mas, i repubblichini, erano al
servizio della Gestapo e delle SS e hanno bruciato 500 villaggi in
Istria, vendicandosi così dei cosiddetti infoibatori. Per 230 infoibati
in Istria nell'insurrezione del settembre `43 , e io rispetto davvero
queste vittime, ne hanno ammazzati oltre 5.000 dal 4 ottobre fino a
dicembre 1943, deportandone 17mila nei lager nazisti. Hanno una memoria
parziale - sottolinea - ricordano solo quello che fa comodo a loro. Non
si parla del genocidio fascista, né di collaborazionismo, né delle
decine e decine di lager fatti durante l'occupazione italiana di
Slovenia, Dalmazia e Montenegro». «Perché questo accanimento? Perché
sono i soliti fascisti...».


=== 4 ===

CROAZIA: UNIONE ISTRIANI RILANCIA RESTITUZIONE DEI BENI

(ANSA) - TRIESTE, 25 MAR - Una serie di iniziative volte a porre l'
accento sulla questione della restituzione agli esuli istriani,
giuliani e dalmati dei beni abbandonati, quale condizione per l'
adesione della Croazia all' Unione europea saranno avviate dalla
prossima settimana dall' Unione degli Istriani. Critiche sono state
rivolte ai massimi rappresentanti del governo italiano dal presidente
dell' associazione Massimiliano Lacota, che denuncia in una nota quella
che definisce ''la chiara volonta' di questo governo di rinunciare
definitivamente alla restituzione dei beni agli esuli''. Prendendo
atto, infine, della diversita' di vedute registrate tra le stesse
associazioni di esuli, Lacota ha richiamato a ritrovare, almeno su
questa questione, una unita' di intenti.(ANSA). CNT
25/03/2005 17:21