www.resistenze.org - popoli resistenti - giappone - 05-05-05

Dietro al revisionismo storico un nuovo asse guerrafondaio e
militarista USA-Giappone


di Marcello Graziosi

Esiste un proverbio che recita "tutto il mondo è paese",
particolarmente azzeccato se lo si rapporta all'immane ed ignobile
ondata di revisionismo storico che continua ad attraversare l'intero
pianeta. Con un obiettivo tanto evidente quanto esplicito: superare
gli equilibri internazionali raggiunti al termine del secondo
conflitto mondiale, che hanno reso possibile, pur tra mille limiti e
difetti, la costituzione dell'ONU e la lotta di interi popoli e
continenti contro il colonialismo e l'imperialismo.

Oggi, a quasi quindici anni dalla disgregazione dell'URSS, diviene
sempre più evidente il tentativo da parte degli Stati Uniti (dal
multilateralismo aggressivo di Clinton alla guerra preventiva di Bush)
di costruire un nuovo ordine internazionale funzionale ai propri
piani di egemonia, sostituendo al diritto una logica unilaterale,
destabilizzatrice e militarista. Con il nascente imperialismo europeo,
troppo debole forse per smarcarsi con decisione dall'abbraccio mortale
di Washington (l'Iraq insegna), deciso a permanere nel solco tracciato
negli anni della Guerra Fredda. Con maggiore o minore dignità (la
teoria delle "due gambe" di Prodi e del centro-sinistra – modello
Jugoslavia 1999 - o la subalternità totale di Berlusconi), la nuova
NATO e le relazioni transatlantiche non si toccano.

Per questo la gigantesca ondata revisionista colpisce al cuore la
stessa Europa, tanto che alle celebrazioni ufficiali del 60°
anniversario dello sbarco in Normandia non viene nemmeno invitata la
Russia, nonostante i 25 milioni di caduti sovietici nella lotta contro
il nazifascismo. Così come nel maggio 2004, nel contesto
dell'allargamento della UE a 25 paesi, le istituzioni europee fingono
di non accorgersi del fatto che due nuovi stati membri, Lettonia ed
Estonia, non solamente impediscono le celebrazioni della vittoria sul
nazifascismo, ma consentono nell'anniversario dell'indipendenza
dall'URSS i cortei delle "Waffen SS".

Per non parlare dell'Italia dove, nell'indifferenza di tanti, prima
siamo stati costretti a riflettere sulle ragioni dei "ragazzi di Salò"
ed oggi il Parlamento si accinge ad approvare un disegno di legge che
prevede per essi lo status di "belligeranti", equiparandoli in questo
modo agli eserciti tedesco ed alleato ed alle forze partigiane. Non
collaborazionisti del nemico ed autori di stragi ignobili contro la
popolazione civile, ma "belligeranti". Per non parlare della vera e
propria manomissione in atto della Costituzione Repubblicana, uno dei
frutti migliori della Resistenza, processo iniziato da anni ma che
oggi raggiunge un livello mai visto prima.

Difficile immaginare che l'ondata di revisionismo, fondamentale per un
progetto di nuovo ordine mondiale funzionale agli interessi
dell'imperialismo, potesse risparmiare l'Estremo Oriente, con
particolare riferimento al Giappone, da anni impegnato a "rivedere" le
proprie responsabilità di potenza occupante ed alleata dei nazisti nel
corso del secondo conflitto mondiale, rispolverando i vecchi toni
della propaganda imperiale e revanscista.

I nuovi libri di storia, il governo Koizumi e l'asse con Washington

Esiste, in Giappone, dal 1997 una "Società Giapponese per la Riforma
dei Libri di Storia", che annovera tra le proprie fila diversi
esponenti del mondo politico e uomini d'affari e gode dei
finanziamenti di importanti corporations quali Mitsubishi ed Isuzu,
con l'obiettivo dichiarato di incoraggiare il nazionalismo, tramutando
letteralmente quella che è stata una guerra di aggressione in una
guerra di "autodifesa e sopravvivenza". Così e semplicemente. Una
"sopravvivenza" che ha portato i giapponesi, al prezzo molte volte di
indicibili massacri, a Formosa (Taiwan) nel 1895, in Corea nel 1910 ed
in Manciuria nel 1931, mentre Ciang-Kai-Shek si preoccupava di
attaccare l'URSS. Successivamente, dopo l'incidente del Ponte di Marco
Polo, l' "autodifesa" ha spinto i giapponesi a conquistare in un primo
tempo Pechino e Nanchino (1937) e, dopo Pearl Harbour, ad invadere le
Filippine e l'Indonesia, il Sud-Est asiatico, Singapore e la Birmania,
alleandosi poi con la Thailandia.

I nuovi libri di testo attribuiscono, inoltre, ai paesi invasi le
responsabilità dell'accaduto, a partire dagli avvenimenti del luglio
1937 in Cina (300.000 morti), omettendo nel contempo tutte le atrocità
commesse dall'esercito di occupazione giapponese, incluso lo
sfruttamento di quasi 200.000 schiave del sesso cinesi e coreane.

L'elemento che ha scatenato proteste in tutto l'Estremo Oriente, con
dure contestazioni di piazza in Cina, è stata la disponibilità del
governo Koizumi di consentire lo studio di questi libri di testo nelle
scuole giapponesi. La provocazione di un fanatico? Niente affatto, un
lucido disegno, volto a giustificare le ormai imminenti modifiche alla
Costituzione del 1947, che impedirebbe oggi al Giappone qualsiasi
missione militare all'estero, dal momento che consentono il
mantenimento di un apparato militare solamente a scopo difensivo.

"Dopo più di un decennio di stagnazione economica – scrive John Chan
sul World Socialist Web Site – la disoccupazione in Giappone ha
raggiunto livelli record, la garanzia di un'occupazione stabile sta
scomparendo e le disuguaglianze sociali invece stanno crescendo.
Questi mutamenti hanno prodotto maggiori tensioni sociali ed un
maggiore distacco tra la popolazione e la classe politica, che si
riflette in una sempre minore partecipazione al voto. Koizumi sta
cercando di ricostruire una base sociale per il Partito Liberal
Democratico promuovendo una riedizione del nazionalismo e militarismo
giapponesi.
Contemporaneamente, Koizumi ha tentato di aggirare la cosiddetta
clausola pacifista nella Costituzione giapponese successiva alla
Seconda Guerra Mondiale che limita il ruolo dell'esercito
all'immediata difesa del paese. Il fattore chiave che ha consentito a
Koizumi questa operazione è stato il sostegno dell'amministrazione
Bush, che ha incoraggiato il Giappone a modificare la propria carta
costituzionale, rafforzare il proprio apparato militare ed assumere un
ruolo più "attivo" nel Nord Est asiatico – contro la Cina in
particolare"[i].

In questa maniera, inoltre, il Giappone potrebbe esportare quella
tecnologia militare utile al completamento dello "scudo stellare"
statunitense, con Washington che otterrebbe la partecipazione di Tokyo
al proprio programma di difesa missilistica, assai costoso.
Argomento tanto interessante quanto complesso ed articolato, quello
delle relazioni nippo-statunitensi successivamente ad Hiroshima e
Nagasaki. Nonostante la clausola "pacifista" imposta nella
Costituzione del 1947, il successivo contesto determinato dalla Guerra
Fredda, dalla vittoria della Rivoluzione in Cina e dal conflitto in
Corea pone il tema del "riarmo" giapponese al centro degli interessi
statunitensi. Dopo i Trattati di Pace e Sicurezza sottoscritti a San
Francisco nel settembre 1951, che consentono al Giappone la
costituzione di una Forza per la Sicurezza Nazionale con funzione
squisitamente difensiva, l'asse si salda con il nuovo Trattato del
gennaio 1960, aprendo prepotentemente il dibattito relativo a
possibili modifiche costituzionali[ii].

Una prima, sostanziale accelerazione del processo di riarmo giapponese
si verifica a partire dal 1991, con la disgregazione del blocco
sovietico e gli Stati Uniti decisi a far valere la propria egemonia ed
il proprio sistema di alleanze. Se in Europa questo processo ridisegna
in senso offensivo le funzioni della Nato, in prepotente espansione
verso Est (ex URSS, ex Jugoslavia, Medio Oriente, Afghanistan), in
Estremo Oriente esso passa attraverso un'alleanza con il Giappone,
trasformato in potenza regionale in grado di sostenere i piani
militari di Washington. Tokyo finanzia in parte la Guerra del Golfo e,
dopo aver approvato nel giugno 1992, non senza un dibattito lacerante,
una legge sulla cooperazione per la pace internazionale, partecipa
alle missioni di "peace keeping" in Cambogia, Timor Est, Repubblica
Democratica del Congo, Mozambico e Golan.

Tra la crisi di Okinawa (1995) e l'ingresso al governo dei liberali di
Ozawa a fianco dei liberaldemocratici (gennaio 1999), il 23 settembre
1997 vengono adottate le nuove linee guida di cooperazione
nippo-statunitense, che assegnano alle forze di autodifesa di Tokyo
"compiti mai avuti dalla seconda guerra mondiale nello scacchiere
dell'Asia orientale": dalla garanzia di supporto logistico alle truppe
di Washington allo sminamento delle rotte marittime e perquisizione di
navi[iii]. Concetti ribaditi in un documento congiunto dell'ottobre
2000, ispirato dal Vice-segretario alla Difesa Wolfowitz, tra i più
stretti collaboratori del presidente Bush[iv].

A seguito dell'avanzata delle opposizioni democratica e comunista
(elezioni del luglio 1998)[v], all'interno del Partito Liberal
Democratico emerge gradualmente una nuova classe dirigente, con al
centro l'attuale primo ministro Koizumi, caratterizzata da un'immagine
esterna di innovazione, efficientismo e populismo ma segnata, assai
più della classe politica precedente, dal nazionalismo e dal
militarismo. Una sorta di Berlusconi del Sol Levante, insomma, legato
ai settori più aggressivi dell'imperialismo nipponico, che non ha
esitato a visitare, subito dopo il proprio insediamento, il Santuario
scintoista di Yasakuni, dove sono sepolti alcuni noti criminali di
guerra. Senza suscitare, purtroppo, un'ondata di proteste simile a
quella che ha colpito nel 1985 l'allora primo ministro Nakasone,
elemento che da allora aveva dissuaso altri dal tentare una simile
impresa.

Nonostante il permanere delle difficoltà economiche e finanziarie,
aggravatesi a partire dalla seconda metà degli anni `90[vi], Koizumi
individua abilmente nella "lotta al terrorismo" uno strumento
essenziale per poter realizzare il proprio progetto di modifica
costituzionale e riarmo. Dopo aver sostenuto la guerra in Afghanistan
attraverso l'appoggio navale, il primo ministro giapponese licenzia
l'allora ministro degli Esteri, Makiko Tanaka, la più influente tra le
cinque donne presenti nell'esecutivo, favorevole ad una maggiore
autonomia del Giappone nello scacchiere asiatico. Non contento,
Koizumi, per la prima volta dal dopoguerra e nonostante l'opposizione
di larga parte dell'opinione pubblica, dispiega proprie truppe in un
teatro di guerra sostenendo l'aggressione unilaterale di Stati Uniti e
Gran Bretagna contro l'Iraq.

Se dalla società giapponese tornano gradualmente ad emergere segnali
di critica radicale alle politiche guerrafondaie e revansciste del
governo, i rapporti di forza all'interno del quadro politico sono
peggiorati, con i Democratici ed i buddisti del Komeito che,
contrariamente a quanto accaduto alla fine degli anni '90, tendono ad
allinearsi ai progetti di revisione costituzionale proposti da
liberali e liberaldemoicratici, mentre solo socialdemocratici
(scottati dall'esperienza disastrosa di governo insieme al PLD tra il
1994 ed il 1996) e comunisti si oppongono con fermezza e decisione,
tentando di costruire un movimento di massa in grado di opporsi al
disegno militarista di Koizumi[vii].

Interessante, per concludere su questo punto, quanto scrive Philippe
Pons, inviato di "Le Monde", all'indomani della nomina di Koizumi a
capo del governo, come riportato da Mario Pirani su "La Repubblica":

"Oltre alle irrisolte questioni economiche se ne pongono altre
sull'orientamento generale del paese e sui suoi rapporti con i vicini.
La pubblicazione dei nuovi libri di testo dove si negano fatti
storici… hanno suscitato una seria tensione con i governi di Seul e
Pechino… Koizumi però fa orecchie da mercante visto che il suo
ministro dell'Educazione ha cauzionato il punto di vista degli storici
e politici revisionisti… Infine, mettendo sul tappeto la questione
della revisione della Costituzione, compresa l'elezione diretta del
premier, egli può sperare di eludere quelle riforme economiche che
implicano misure impopolari"[viii].

Se sul piano militare e geo-strategico potrebbe davvero determinarsi
un ipotetico asse nippo-statunitense, in funzione essenzialmente
anticinese – pur se da essi strumentalmente giustificato con la
crescente pericolosità della Corea del Nord -, in parte diversa si
profila la situazione sul terreno delle politiche economiche e
commerciali, a partire dal fatto che "l'Europa, e in misura minore il
Giappone, si sono trovati quasi da soli a pagare il prezzo della
caduta del dollaro", finalizzata a sostenere le esportazioni Usa e
l'acquisto di azioni di Buoni del Tesoro, svalutando nel contempo
l'attuale debito estero, stimato in circa 3.000 miliardi di dollari[ix].

Al di là delle contraddizioni emerse nei primi anni '90, agli Stati
Uniti interessa oggi rafforzare da ogni punto di vista il Giappone.
Emblematico quanto sostenuto alla fine degli anni '90 da Luttwak:

"All'inizio degli anni Novanta, gli americani avevano paura dei
giapponesi. Temevano la potenza dell'economia nipponica, la sua
capacità di espansione. Tokyo era agli occhi degli americani una
macchina da guerra economica capace di comprare il mondo utilizzando i
surplus delle esportazioni… Gli americani vivevano nel terrore di
essere comprati dai giapponesi, classificati loro malgrado come
«nemico principale» (almeno in senso economico) degli Stati Uniti,
anche perché la fine dell'Urss ci aveva privati del Nemico assoluto…
Oggi la situazione è completamente cambiata. L'unica preoccupazione di
Washington è che Tokyo esca al più presto possibile dalla crisi
economica e riacquisti il suo ruolo di fattore di stabilità e
sicurezza nell'Asia del Nord-Est. Giacchè il Giappone soffre oggi una
vera e propria depressione, anche se gli analisti esitano ad usare
questo termine. E le radici di questa mala pianta sono molto profonde"[x].

L'Estremo Oriente in subbuglio, tensioni crescenti tra Tokyo e
Pechino. Storico incontro tra Hu e Lien

Contro la decisione del governo giapponese di autorizzare la
diffusione nelle scuole dei libri di testo "revisionati" dalla Società
sono stati diversi i governi che hanno protestato, a partire da Cina e
Corea del Sud. Nel più grande paese asiatico, poi, dove l'occupazione
giapponese è stata particolarmente dura, diverse migliaia di persone,
soprattutto studenti, sono scesi in piazza a protestare per giorni a
Pechino, Shenzhen, Shenyang, Hong Kong. Nel corso delle proteste sono
stati presi di mira ambasciate e consolati, creando un clima di forte
tensione con il governo di Tokyo, sostenuto apertamente dagli Stati Uniti.

Con i massimi dirigenti del partito liberaldemocratico (proprio loro!)
e diversi organi di stampa in Italia che hanno accusato le autorità
cinesi di fomentare un'ondata di nazionalismo per distogliere
l'attenzione dalle crescenti contraddizioni aperte dal rapido ed
impetuoso sviluppo dell'economia cinese. Non una giusta ed indignata
reazione ad una spudorata politica revisionista e di potenza, ma uno
scontro tra diversi nazionalismi, tutti sullo stesso piano e
censurabili. Con i media statunitensi pronti a vaticinare ed auspicare
una graduale trasformazione delle manifestazioni antinipponiche in
moti anticomunisti ed antigovernativi, sulla scia di quanto accaduto
nel maggio 1919 ed evocando una nuova Tien an Men o l'ennesima
"rivoluzione di velluto" sul modello recente di Georgia ed Ucraina.
Somma delusione, con il governo cinese determinato a non subire
pressioni sul piano esterno ed a lavorare affinché le manifestazioni
non degenerassero in gratuiti atti di violenza.

E' del tutto evidente che questa crisi si inserisce in un contesto
assai delicato e potenzialmente esplosivo, con il Giappone impegnato a
rivendicare un peso maggiore nel contesto della riforma dell'ONU,
sostenendo nel contempo le aspirazioni indipendentiste del Presidente
taiwanese Chen Shui-bian e predisponendo trivellazioni in una zona
contesa del Mar Cinese Orientale.
"Soltanto un paese che rispetta la storia e si assume le proprie
responsabilità ottenendo la fiducia dei popoli dell'Asia e del mondo
può assumersi maggiori responsabilità all'interno della comunità
internazionale", ha commentato il Primo Ministro cinese Wen Jabao.

Solamente un incontro al vertice tra il Presidente cinese Hu Jintao e
Koizumi, avvenuto il 23 aprile a Jakarta al margine della Conferenza
dei paesi di Asia ed Africa, ha impedito un ulteriore aumento delle
tensioni, anche se la fase rimane del tutto interlocutoria. Se tra il
1976 ed il 1987 il Giappone spendeva al massimo l'1% del PIL per
programmi di difesa, oggi Tokyo investe il doppio rispetto a Pechino,
individuato come antagonista strategico dal "National Defence Program
Outline" adottato dal governo di Tokyo nel dicembre 2004. Mentre uno
dei nodi principali sul tappeto rimane Taiwan.

Nonostante i continui tentativi di destabilizzazione da parte degli
Stati Uniti a sostegno del progetto indipendentista dell'attuale
presidente Chen, la situazione a Taipei è oggi meno esplosiva rispetto
al 2000. Alle presidenziali del 21 marzo 2004 Chen ha vinto di misura,
e non senza proteste di piazza brutalmente represse, contro il
candidato del Kuo-Min Tang, Lien Chan (50,1% contro 49,9). Nonostante
le minacce di Chen di organizzare un referendum per sancire
l'indipendenza di Taiwan dalla Cina, elemento che scatenerebbe una
durissima reazione militare cinese, il 23 agosto il Parlamento ha
modificato alcune norme per impedire modifiche costituzionali, mentre
alle elezioni parlamentari dell'11 dicembre Chen ha subito una cocente
sconfitta, che gli ha di fatto impedito l'acquisto di armi dagli USA
per 19.600 milioni di dollari [xi]. Per tutta risposta nel febbraio
2005 si sono incontrati i ministri degli esteri di Stati Uniti e
Giappone, definendo Taiwan un fattore di reciproca sicurezza e
legittimando in questo modo eventuali e funeste provocazioni da parte
dell'attuale presidente Chen, in evidente difficoltà.

Assai importanti risultano, in questo momento delicato, le visite in
Cina dei due esponenti dell'opposizione taiwanese usciti vittoriosi
alle elezioni, il Presidente del Kuo-Min Tang, Lien Chan, a Pechino in
questi giorni, e del Segretario del Primo Partito del Popolo, James
Soong, che visiterà "il continente" dal 5 al 12 maggio. Obiettivo
della visita di Lien è, di fatto, chiudere una fase storica,
caratterizzata dalla guerra civile, per aprire un nuovo capitolo nelle
relazioni tra i due partiti, al fine di favorire la stabilità
dell'area ed accrescere la collaborazione economica tra Pechino e
Taipei. Un evento che, senza alcuna enfasi, potrebbe essere definito
"epocale", almeno per questa parte del mondo[xii].

Importante, da questo punto di vista ed in prospettiva, risulta la
visita a metà aprile di una delegazione cinese, guidata dal
Vicepresidente dell'Assemblea Nazionale del Popolo Lu Yongxiang, a
Tokyo, dove ha incontrato i vertici del Partito Comunista Giapponese,
a partire dal Presidente del Comitato Esecutivo, Shii Kazuo.
Dall'incontro emerge chiaramente la necessità di migliorare
ulteriormente le relazioni tra i due partiti, rafforzatesi
ulteriormente in questi ultimi anni, lavorando per mantenere le
relazioni economiche tra i due paesi e tentando di isolare i progetti
irredentisti del governo giapponese, evitando la degenerazione
violenta delle manifestazioni in Cina, elemento che potrebbe
condizionare in negativo l'opinione pubblica giapponese, anche quella
contraria alle modifiche costituzionali[xiii].

L'attuale atteggiamento del governo giapponese non preoccupa, però,
solamente Pechino. Nel settembre 2004 Tokyo rivendica con prepotenza
la sovranità sulle Isole Curili, suscitando un'aspra reazione da parte
di Putin. Successivamente, la Prefettura di Shimane istituisce il
"Giorno di Takeshima", rivendicando in questo modo le Isole Dokdo
(Takeshima in giapponese), appartenenti alla Corea del Sud, suscitando
violenti moti di piazza a Seul, che si sono ripetuti anche in
occasione dell'attuale crisi relativa ai libri di testo revisionisti.

"Se nel 1930 il Giappone era pesantemente dipendente dall'importazione
di materie prime, particolarmente il petrolio, per sostenere il
proprio poderoso appartato industriale manifatturiero, oggi, dopo
quindici anni di recessione e crisi economica, alcuni settori
dell'elite al governo sostengono una strategia più aggressiva ed
espansionista, con l'obiettivo di assicurarsi l'accesso a prodotti
fondamentali a basso prezzo, a forza lavoro e mercati. Non a caso i
conflitti territoriali con Cina, Russia e Corea del Sud coinvolgono
tutti aree nei mari circostanti che costituiscono potenziali fonti di
approvvigionamento di petrolio e gas. Per sostenere le proprie
ambizioni, il Giappone deve essere in grado di esercitare la propria
forza militare"[xiv]. Si accontenterà il Giappone, una volta
sdoganato, della propria funzione di potenza regionale?

Se questo è il quadro, gli Stati Uniti stanno di nuovo giocando col
fuoco, utilizzando ogni strumento possibile per impedire l'ascesa
sulla scena mondiale di paesi come Cina ed India, che, non a caso,
hanno consolidato proprio in questi giorni una politica di alleanza
sulla base del reciproco interesse. Fino a quando, poi, il quadro
geopolitico complessivo nell'Estremo Oriente rimarrà contraddittorio
ma stabile è davvero difficile a dirsi. E la Cina non è più quella del
1919 o del 1937.



[i] John Chan, "Japan stokes tensions with China"; in World Socialist
Web Sites (www.wsws.org), 16 aprile 2005.

[ii] Su questo, N. Puerto, "Per Tokyo l'esercito non è più tabù"; in
"Limes", n. 1/1999. Interessante la citazione della teoria dei "due
ordinamenti" elaborata dal professor Hasegawa Masayasu, vicino al
Partito Comunista, secondo la quale in Giappone coesisterebbero in
realtà due ordinamenti giuridici, quello costituzionale e quello
relativo al "sistema San Francisco".


[iii] N. Puerto, art.cit. Nel settembre 1995 una ragazza undicenne è
morta dopo essere stata violentata da tre marines, suscitando aspre
manifestazioni popolari, tanto che il governatore dell'isola si è
trovato costretto a rifiutare il rinnovo dei contratti per le basi
Usa. L'allora primo ministro Hashimoto è intervenuto obbligando il
governatore a recedere ed intavolando trattative con Washington per la
restituzione della base aerea di Futnma.

Interessante quanto dichiarato dal Ministro della Difesa Hosei Norota
(governo Hashimoto) nel 1999: "E' possibile attaccare basi straniere
anche prima che un danno sia stato inflitto al nostro paese, nel
rispetto dei principi legali basati sul diritto all'autodifesa". Una
sorta di guerra preventiva ante-litteram, una riedizione teorica di
Pearl Harbour (le dichiarazioni sono contenute in "Strappo del
Giappone «Ci riprendiamo il diritto di attaccare»"; in "L'Unità", 5
marzo 1999).


[iv] P. Symonds, "Washingotn fuels Japanese militarism"; in World
Socialist Web Sites, 25 aprile 2005. L'articolo, pur contenendo alcuni
giudizi sommari sulle ragioni alla base delle proteste in Cina, è
molto interessante sul piano dell'analisi complessiva delle relazioni
nippo-statunitensi.


[v] E' la fase di ascesa dell'Ulivo giapponese e della sconfitta della
"Balena Gialla" liberaldemocratica, dell'asse Prodi – Naoto Kan.


[vi] Sono diverse le fonti consultabili sulle difficoltà strutturali e
di contesto dell'economia giapponese (a partire, almeno, dal 1998),
coincidenti con l'affermazione del capitalismo globale e con
l'irrompere sulla scena mondiale di alcuni paesi in via di sviluppo, a
partire da India e Cina. Per un confronto, anche di prospettiva, tra i
sistemi economici statunitense, europeo (in costruzione) e giapponese,
dagli anni '70 alla fine degli anni '90, si segnala R. Tartufi / L.
Vasapollo, EuroBang. La sfida del polo europeo nella competizione
globale: inchiesta su lavoro e capitale; Media Print Edizioni, Napoli
2000. Inoltre, R. Ferraro, "I Samurai dell'export: «E' ora di
cambiare»"; in "Corriere della Sera", 15 aprile 1998. Successivamente,
sono interessanti alcuni articoli di approfondimento usciti su "La
Repubblica" a cura di Federico Rampini ("Tokyo, decadenza e debiti
«Siamo vicini al fallimento»", 9 marzo 2001 e "Tokyo, la decadenza del
potere centralizzato", 17 marzo 2001).


[vii] Su questo argomento si sono incentrati i lavori della Terza
Sessione Plenaria del CC del Partito Comunista Giapponese (Tokyo, 6 e
7 aprile 2005), a partire dalla relazione del Presidente del Comitato
Esecutivo, Shii Kazuo. Una sintesi della discussione e degli impegni
assunti è reperibile sul sito del partito – versione inglese -
www.jcp.or.jp

Riguardo il dibattito politico relativo alle modifiche costituzionali,
il punto maggiormente critico riguarda la "difesa collettiva",
centrale per gli Usa, con sostenitori, oppositori e fautori di un
emendamento più prudente rispetto a quanto proposto dal governo,
elemento destinato a complicare i piani di Koizumi.


[viii] M. Pirani, "Il Cavaliere del Sol Levante"; in "La Repubblica",
4 giugno 2001.


[ix] Su questo I. Warde, "La sorte del dollaro si gioca a Pechino"; in
"Le Monde Diplomatique / Il Manifesto", n. 3, anno XII, marzo 2005.
Questo articolo contiene informazioni interessanti sulla voragine
apertasi nel sistema economico statunitense con la crescita
esponenziale dei "deficit gemelli" (di bilancio e commerciale) e su
alcuni, conseguenti, scenari futuri a livello globale di importanza
rilevante.


[x] E. Luttwak, "USA – Giappone – Cina, la strana geometria"; in
"Limes", n. 1/1999.


[xi] Il Partito Progressista Democratico di Chen ha ottenuto il 38% ed
89 seggi (101 complessivamente come coalizione), contro i 113 della
coalizione di opposizione formata dal Kuo-Min Tang (partito
nazionalista, che ha governato la Cina dal 1911 al 1949, anno della
vittoria della rivoluzione, e Yaiwan dal 1949 al 2000), 34,9% e 79
seggi, e Primo Partito del Popolo, 14,8% e 34 seggi.


[xii] Sull'atteggiamento dei comunisti e del governo cinesi rispetto a
Taiwan si rimanda alla traduzione del documento finale dei lavori
della Quarta Sessione Plenaria del 16° Comitato Centrale, pubblicato
sul n. 91 di Resistenze, che ha completato il passaggio dei poteri da
Jiang ad Hu.


[xiii] Un resoconto completo dell'incontro in Akahata, quotidiano del
PC Giapponese, 16 aprile 2005.


[xiv] Symonds, art.cit.