LE VITTIME DI NASSIRIYA MORTE PER IL PETROLIO DELL'ENI

1. Rapporto Eures: 2 italiani su tre vogliono il ritiro dall'Iraq
2. Per il ritiro immediato delle truppe italiane (C. Grassi, area
Essere Comunisti del PRC)

3. IRAQ: LE VITTIME DI NASSIRIYA MORTE PER IL PETROLIO DELL'ENI
- Comunicato di "Un ponte per"
- La missione "Antica Babilonia"e il petrolio di Nassiriya
- IRAQ: PISA E DEIANA, E' L'ORA DELLA CHIAREZZA SU PETROLIO (ANSA)
- Iraq/ Gli italiani? In missione per il petrolio (affariitaliani.it)
- L'Eni in Iraq, affari sporchi di sangue (da Liberazione)

4. «Premete sugli Usa per avere di più» (da Il Manifesto)

ALTRI LINK:

Italy sent troops to Iraq to secure oil deal: report
(Khaleej Times Online)

Italian troops were sent to Iraq to secure oil deals worth 300 billion
dollars, and not just for post-war humanitarian purposes, an Italian
television report by RAI claimed on Friday. The 20-minute report,
broadcast by RAI News 24, the all-news channel of the Italian
state-owned network, is based on interviews and official government
documents...

http://www.uruknet.info/?s1=1&p=11724&s2=14

NASSIRIYA. L'affaire Contini
(Giuliana Sgrena, Il manifesto)

«Dove sono finiti i soldi per la ricostruzione di Nassiriya?» E' la
domanda rivolta al presidente del consiglio Silvio Berlusconi con una
interrogazione parlamentare presentata ieri alla camera dal presidente
dei verdi Alfonso Pecoraro Scanio. L'interrogativo nasce da una
intervista al governatore di Nassiriya, Mohammed Sabri Hamid al
Rumayad, trasmessa martedì sera durante la trasmissione Ballarò e già
anticipata dal Corriere della sera il 13 dicembre scorso. Il
governatore di Nassiriya solleva gravi sospetti sulla destinazione dei
15 milioni di dollari a disposizione della ex governatrice Barbara
Contini...

http://uruknet.info?s1=1&p=8384&s2=24


=== 1 ===

Rapporto Eures: 2 italiani su tre vogliono il ritiro dall'Iraq

Una conferma..................nascosta e sottaciuta!

Solo il Messaggero di sabato 28 maggio ha dato conto di una indagine
dell'Eures( Istituto di ricerche economiche e sociali) che ha
riconfermato il dato secondo cui il 70% circa degli italiani sono per
il ritiro dei militari dall'Iraq.

Preoccupa la situazione internazionale e 2 italiani su 3 chiedono il
ritiro del contingente italiano. L'opinione è condivisa in tutte le
fasce di età ma i consensi crescono in corrispondenza dei livelli di
scolarizzazione più alti (68,5% tra i laureati) e tra coloro che
appartengono al campione di centrosinistra (87,3%). C'è da giurare che
la percentuale di cittadini favorevoli al ritiro sia ulteriormente
aumentata con la morte dei 4 soldati italiani sull'elicottero "caduto"
a Nassyriya.
Prodi,Fassino,Rutelli continuano ad ignorare questo dato dimostrando
una sempre maggiore subalternità alla politica guerrafondaia degli
Stati Uniti.
Si conferma l'irresponsabilità delle elites politiche e la distanza
sempre maggiore che li separa dai cittadini e dal corpo elettorale.

Comitato nazionale per il ritiro dei militari italiani dall'Iraq

(Fonte: www.contropiano.org )


=== 2 ===

Partito della Rifondazione Comunista

"Essere Comunisti" - Coordinatore nazionale Claudio GRASSI

COMUNICATO STAMPA

Dichiarazione di Claudio GRASSI

La morte dialtri 4 soldati italiani in Iraq rende inderogabile la
decisione del ritiro immediato del contingente italiano.

La guerra in Iraq, al di là delle dichiarazioni di Bush, Blair e
Berlusconi non è mai finita.

Sono centinaia di migliaia i civili iracheni morti a causa di una
sporca guerra fatta per il petrolio; infatti le armi di distruzioni di
massa non sono mai state trovate.

Il governo Berlusconi porta per intero la responsabilità di questi 4
soldati uccisi.

Il centrosinistra (Margherita, maggioranza DS) ha sbagliato nei mesi
scorsi a non lavorare assieme al movimento per la pace e la sinistra
dialternativa per far rientrare urgentemente i militari italiani
dall'Iraq.

Vista la tragicità degli ultimi avvenimenti, l'Unione dica una parola
chiara chiedendo il ritiro immediato e, come ha fatto Zapatero,
siimpegni a realizzarlo quale primo atto in caso di vittoria elettorale.

Roma, 31 maggio 2005

Tel. 06-44182220 – 335-6118446 e.mail: uffstampa_ prc ernesto@...


=== 3 ===

IRAQ: LE VITTIME DI NASSIRIYA MORTE PER IL PETROLIO DELL'ENI

L'ENI e il Governo si scusino con le famiglie dei soldati italiani e
degli iracheni e con il popolo italiano

Quanto sosteniamo da tempo, sempre smentiti dal Governo e dall'ENI, si
è rivelato vero: le truppe italiane sono a Nassiriya per proteggere il
contratto firmato dall'ENI
-
http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?page=1&articleid=1035
-
con Saddam Hussein, per lo sfruttamento dell'omonimo campo
petrolifero. Ecco perché, e per chi, sono morti i militari italiani.
Tutte le frottole sulla "operazione umanitaria" e sul "portare la
democrazia" si sgonfiano come quelle sulle armi di distruzione di
massa: già sei mesi prima delle guerra, mentre gli ispettori dell'Onu
erano in Iraq, il Consiglio di Sicurezza discuteva, il Governo stava
già studiando dove mandare le proprie truppe.
Già a suo tempo avevamo denunciato che, prima dell'arrivo dei
militari, nel giugno 2003, erano volati a Nassiriya, su un aereo
militare, esponenti dell'ENI, ora si apprende che questa non è una
coincidenza.
Ci chiediamo se ora l'ENI assumerà la responsabilità che le compete
nei confronti delle famiglie che hanno perso un congiunto per
sorvegliare i suoi barili di petrolio e nei confronti dei civili
iracheni rimasti vittime nella "battaglia dei ponti".
Ci chiediamo se il Governo ammetterà di aver mentito agli italiani
sugli obiettivi della presenza a Nassiriya e sul fatto che la
discussione sull'invio delle truppe era una pura copertura di
decisioni già prese.
Mai tanto vero si è rivelato lo slogan del movimento pacifista
americano: No blood for Oil.
Oggi torniamo a chiedere con maggior forza il ritiro immediato delle
truppe italiane e l'avvio di una nuova fase che sia finalizzata con
atti politici, diplomatici ed economici a sostenere un processo di
dialogo tra le diverse componenti irachene, che sia autonomo dalle
forze occupanti e che favorisca la riconquista della sovranità e
sconfigga il terrorismo.
Invitiamo tutto il popolo della pace a mettere in atto una diffusa
campagna di denuncia e di boicottaggio non-violento dell'ENI, come sta
facendo da tempo il movimento pacifista statunitense con le
multinazionali Bechtel e Halliburton.

Un ponte per aveva denunciato il vero motivo della presenza italiana a
Nassiriya all'indomani dell'attentato nel novembre 2003, lo aveva
scritto sul "Il Manifesto" il 16 gennaio 2004
-
http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1033
- e ripetuto il 18 marzo 2004 nel convegno "La ricostruzione in Iraq.
Un gioco di interessi" - http://www.unponteper.it/article.php?sid=247

Un ponte per.

news in continuo aggiornamento:
http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/cerca.php?stringa=petrolioitalia

"Un ponte per..."Associazione Non Governativa di Volontariato per la
Solidarietà Internazionale
ONG - piazza Vittorio Emanuele II, 132 00185 ROMA
tel.0644702906 mail to: stampa @unponte per. it

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Peacekeeping e business: un'inchiesta di Rai News 24
va alle origini della missione italiana in Iraq

La missione "Antica Babilonia"e il petrolio di Nassiriya

In un dossier del governo scritto sei mesi prima della guerra
si indicava la provincia irachena come località strategica per l'Italia

Siamo in Iraq per il petrolio. Certo anche per scopi umanitari e di
salvaguardia dell'immenso patrimonio archeologico di quel paese - non
a caso la missione si chiama "Antica Babilonia" - ma l'oro nero
c'entra e come.
L'inchiesta di Sigfrido Ranucci, in onda oggi su Rai News 24,
documenti alla mano, prova a dimostrarlo. E non sarebbe nemmeno un
caso che i nostri militari siano stati dislocati a Nassirya e non
altrove, perché il capoluogo della provincia sciita di Dhi Qar era
proprio il posto in cui volevamo essere mandati. Perché? Perché
sapevamo quanto ricca di petrolio fosse quella zona. In gran parte
desertica, ma letteralmente galleggiante su un mare di quel
preziosissimo liquido che muove il mondo.
Un vecchio accordo tra Saddam e l'Eni, che risale a metà degli anni
Novanta, per lo sfruttamento di un consistente giacimento (2,5-3
miliardi di barili) nella zona di Nassiriya induce quantomeno a
sospettarlo. Così come qualche dubbio lo insinua lo studio
commissionato dal ministero per le Attività produttive, ben sei mesi
prima dello scoppio della guerra, al professor Giuseppe Cassano,
docente di statistica economica all'università di Teramo. Un dossier
nel quale si conferma che non dobbiamo lasciarci scappare l'occasione
in caso di guerra di basarci a Nassiriya, "se non vogliamo perdere -
scrive Cassano - un affare di 300 miliardi di dollari".
Qual è il problema?, si chiederanno molti. In fondo che male c'è se
dopo aver preso parte a una missione così onerosa e rischiosa, alla
fine ce ne viene qualcosa? Salvaguardare "anche" il buon andamento dei
nostri affari petroliferi, suggerisce il sottosegretario alle Attività
Produttive Cosimo Ventucci, intervistato da Ranucci, è una scelta
"intelligente".
Certo, bastava ammetterlo - questa la tesi di Ranucci - e rispondere
alle interrogazioni parlamentari in materia senza nascondersi dietro
formule di circostanza. Ammettere che in realtà la ragione petrolio
era tanto più importante di quella umanitaria: "Ho cercato di
occuparmi di progetti di ricostruzione - denuncia Marco Calamai, che
ha lavorato con il governatore di Nassiriya per un periodo - ma la
ricostruzione non è mai veramente partita. L'America esporta la
democrazia a parole, in effetti ne ha impedito la crescita dal basso".
I nostri carabinieri hanno pertanto scortato barili di petrolio e
sorvegliato oleodotti. E la strage di Nassiriya, come ha scritto il
corrispondente del Sole24 Ore Claudio Gatti all'indomani
dell'attentato, non era diretta contro il nostro contingente militare,
ma contro l'Eni.
D'altronde, l'Iraq è la vera cassaforte petrolifera del pianeta. Con
scorte che secondo Benito Livigni, ex manager dell'americana Gulf Oil
Company e successivamente dell'Eni, sarebbero superiori a quelle
dell'Arabia Saudita: "Secondo una stima le riserve dell'Iraq
ammonterebbero a 400 miliardi di barili di petrolio, e non i 116 dei
quali si è sempre parlato. Nel Paese ci sono vaste zone desertiche non
sfruttate".

(fonte: www.contropiano.org, 13 maggio 2005)

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IRAQ: PISA E DEIANA, E' L'ORA DELLA CHIAREZZA SU PETROLIO

QUALI VANTAGGI PERSEGUIVA LA PRESENZA A NASSIRIYA?

(ANSA) - ROMA, 13 MAG - Elettra Deiana, del Prc, e Silvana Pisa, dei
Ds, commentano l'inchiesta di Rai News 24 sugli interessi italiani
legati al petrolio nella zona di Nassiriya chiedendo al governo di
dire ''quale sia stato il tornaconto dell'Italia e quali i vantaggi
realizzati dall'avventura bellica in cui l'attuale maggioranza ha
fatto sprofondare il nostro paese''. Le due parlamentari annunciano
anche un'interrogazione.
''Oltre a perdere la faccia per aver assecondato, legittimato e
militarmente sostenuto una così inaudita violazione diogni regola di
diritto internazionale, che cosa - comandano le due parlamentari di
opposizione - ha veramente guadagnato il nostro paese? Quali sono i
calcoli che hanno fatto scegliere di stanziare il nostro contingente
in quel di Nassiriya?''.
Le due parlamentari affermano che dal servizio emerge ''che questa
scelta ha avuto precisi interesse affaristici gia' discussi e messi a
punto in ambienti governativi ben prima dell'inizio dei
bombardamenti''. ''Forse - proseguono - l'altra verita' non si puo'
dire perche' la missione deve continuare a essere raccontata come
missione di pace oppure di esportazione della democrazia, come e'
diventato di moda dire in sempre piu' numerosi ambienti politici
nostrani''.
''Ma - concludono Silvana Pisa ed Elettra Deiana - e' ora che
finalmente si discuta con chiarezza di tutto quello che sta dietro la
guerra in Iraq e di quali debbano invece essere gli orientamenti di
politica internazionale fedeli alla Costituzione' e che l'opposizione
''chieda conto con determinazione di tutte le scelte del governo sulla
partecipazione all'avventura bellica irachena''. (ANSA). COM-GRZ
13-MAG-05 15:29 NNNN

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www.affaritaliani.it

Iraq/ Gli italiani? In missione per il petrolio

Clamoroso scoop di Rai News 24: gli italiani sono anche in Iraq a
scopo umanitario e difesa del patrimonio archeologico di quel Paese (e
per questo la missione si chiama "Antica Babilonia"), ma soprattutto
per il petrolio. Non è un caso se le truppe tricolore sono state
schierate a Nassirya, dal momento che proprio quella zona è ricca di
giacimenti. Lo sostiene l'inchiesta condotta da Sigfrido Ranucci, che
documenti alla mano prova a dimostrarlo.
Un vecchio accordo tra il dittatore Saddam Hussein e l'Eni, della metà
Anni '90, per lo sfruttamento di un giacimento nella zona di Nassirya
è il primo indizio che porta a sospettare; e i sospetti aumentano se
si guarda allo studio commissionato sei mesi prima della guerra dal
ministero per le Attività produttive a Giuseppe Cassano, docente di
statistica economica all'università di Terano. Il documento conferma
che l'Italia non deve lasciarsi scappare l'occasione di schierare le
proprie forze a Nassirya, "se non vogliamo perdere un affare da 300
miliardi di dollari".

Ranuccia questo punto intervista il sottosegretario alle Attività
produttive Cosimo Ventucci, che sembra suggerire che difendere "anche"
il buon andamento dei nostri affari petriliferi è una scelta
"intelligente": il giornalista di RaiNews prosegue chiedendosi se non
sarebbe stato meglio ammettere tutto questo e rispondere alle
interrogazioni parlamentari in materia senza nascondersi dietro
formule di circostanza, ammettendo la preminenza del petrolio su
tutto: "Ho cercato di occuparmi di progetti di ricostruzione -
denuncia Marco Calamai, che ha lavorato per un periodo con il
governatore di Nassiriya - ma la ricostruzione non è mai veramente
partita. L'America esporta la democrazia a parole, in effetti ne ha
impedito la crescita dal basso". Pare così che i nostri carabinieri,
insomma, abbiano scortato barili e sorvegliato oleodotti, così come la
strage di Nassiriya sarebbe statadiretta non contro la base militare
italiana, ma contro l'ENI.

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http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=3929

L'Eni in Iraq, affari sporchi di sangue

di Gigi Malabarba
su Liberazione del 15/05/2005

Mozione di Rifondazione comunista al Senato: ritirare le truppe e no
all'archiviazione del caso Calipari


Con ogni probabilità l'Iraq è in assoluto il primo paese al mondo per
riserve petrolifere, accrescendo gli appetiti di sempre dei paesi
industrializzati. L'italiana Eni, che nel 1998 ha avviato un accordo
con il regime di Saddam Hussein per lo sfruttamento dei giacimenti di
Nassiriya e Halsaya, ha tentato in seguito un riposizionamento per
concordare con il governatore Usa Bremer il perfezionamento di
quell'accordo, dopo l'occupazione militare anglo-americana e grazie
all'invio delle truppe italiane guardacaso proprio a Nassiriya.
Ma dei sette contratti formalizzati per la gestione del settore
petrolifero, come risulta da un documento del ministero delle Attività
produttive del 5 aprile 2004, cinque sono andati agli americani e due
ai britannici. Senza contare che la pacificazione della provincia
irachena amministrata dall'Italia, è lungi dall'essere realizzata,
nonostante che, dopo la battaglia dei ponti in cui, con un'azione di
guerra esplicita, i carabinieri hanno ammazzato decine di iracheni
innocenti, una tregua sia stata concordata con gli uomini di Moqtada
Al Sadr.

L'esercito americano, infatti, interviene militarmente nella zona dove
sventola il tricolore, incurante degli equilibri ricercate dai comandi
italiani, e la messa in funzione degli impianti è ostacolata da
ragioni di sicurezza. Alle numerose interpellanze di Rifondazione
comunista lo scorso anno, contemporanee alla data dei documenti oggi
scoperti, il governo rispose con delle volgari menzogne, negando
persino qualsiasi interesse dell'Eni in zona e qualunque relazione tra
la scelta di Nassiriya per lo stanziamento dei carabinieri e i
giacimenti lì esistenti.

Il servizio di Sigfrido Ranucci per RaiNews24, frutto del lavoro di
mesi per recuperare materiali e testimonianze di cui eravamo a
conoscenza, ma di cui era difficile entrare in possesso, restituisce
la verità sulle ragioni dell'impiego dei militari italiani in Iraq. E
le successive smentite del governo non convincono giustamente nessuno.

Ciò aggiunge ancora più ragioni alla richiesta di ritiro immediato del
nostro contingente militare dall'Iraq, ma non assolve affatto chi
pensa - magari con un altro governo - ad "affari puliti", partecipando
al saccheggio economico di quel paese senza avere direttamente le mani
sporche di sangue. Quelle risorse energetiche, sarà bene ricordarlo,
appartengono al popolo iracheno, così come le decisioni sul modello
economico da instaurare: l'esatto contrario di ciò che la
"progressista" amministrazione di Barbara Contini ha realizzato nella
provincia di Nassiriya, con la privatizzazione delle aziende pubbliche
per garantirne l'acquisizione a multinazionali straniere.

Un serio lavoro parlamentare e di inchiesta diretta sul terreno è oggi
in condizione di disvelare anche altre bugie connesse alla guerra. La
battaglia dei ponti è stata tutt'altro che "difensiva", ma un'azione
di attacco vero e proprio e chi ha ammazzato quei civili deve essere
condannato come criminale di guerra.

Le munizioni all'uranio impoverito sono presenti nel nostro territorio
e prendono quotidianamente la strada per Nassiriya, causando disastri
tra la popolazione civile e vittime tra gli stessi militari: il
ministro Martino può essere sbugiardato.

Le testate atomiche sono presenti nei nostri porti e aeroporti sotto
stretto controllo americano, mentre le basi, come Sigonella, vengono
potenziate senza contrasto; è giunta l'ora di farla finita con
trattati atlantici più o meno segreti, che impediscono di esercitare
un minimo di sovranità nazionale.

L'assassinio di Nicola Calipari non può essere archiviato, come
decretato dagli Usa; ma, per evitarlo, bisogna risalire al contrasto
tra la linea della trattativa, obbligatoria per l'Italia, e linea
della fermezza, imposta in Iraq dall'ambasciatore John Negroponte:
solo così la magistratura italiana potrà tentare di sollevare la
pietra tombale con cui il governo Berlusconi ha voluto seppellire,
oltre all'agente del Sismi, anche la verità. Questo è, in nuce, anche
un programma di azione per il movimento che si riunisce oggi in
assemblea a Roma e un avvertimento per chi si candida a governare
questo paese in futuro.

Su questi temi, il Prc al Senato ha presentato una mozione,
sottoscritta anche da altre forze della sinistra, cercando di rompere
il tentativo del governo di bloccare qualsiasi voto parlamentare sulla
guerra, sulle basi e sull'inchiesta Calipari.


=== 4 ===

http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=3923

«Premete sugli Usa per avere di più»

di Sara Menafra
su Il Manifesto del 14/05/2005

Nel secondo rapporto sul valore economico della guerra all'Iraq, dopo
quello del 2003, la raccomandazione a partecipare «all'intero processo
di ricostruzione e ammodernamento, che vale almeno 200 miliardi di
dollari in circa dieci anni» e l'illustrazione dei «vantaggi della
presenza in loco»

Non è l'unico rapporto sulla convenienza economica della permanenza in
Iraq, quello reso pubblico ieri da Rai news 24 e datato 22 febbraio
2003 (il 20 marzo cominceranno i bombardamenti) che dimostra come la
difesa del giacimento di Nassiriya fosse la prima preoccupazione
italiana. Anzi, con molta probabilità il governo ha continuato a
valutare mese dopo mese quanto e come partecipare al conflitto sulla
base delle valutazioni economiche del momento. Di certo, più di un
anno dopo l'inizio dei bombardamenti, il 5 aprile 2004, il presidente
del consiglio aveva sul tavolo un altro documento, firmato dallo
stesso docente universitario che nel 2003 aveva valutato quanto
avrebbe potuto fruttare all'Italia mandare i propri soldati a
Nassiriya. Sta volta però la valutazione di Giuseppe Cassano (docente
di Statistica economica a Teramo) è negativa e l'invito al consiglio
dei ministri è di premere di più: «E' essenziale che il governo
italiano metta in essere una strategia politica di forte pressione sul
governo degli Stati uniti, pressione che fin ora non sembra essere
stata così intensa come forse sarebbe stato opportuno», scrive il
consulente a pagina 49 del documento. E nella pagina successiva:
«L'obiettivo, è stato più volte sottolineato nel presente Rapporto, è
di partecipare all'intero processo di ricostruzione e ammodernamento,
che vale almeno 200 miliardi di dollari in circa dieci anni e
partecipare alla crescita del mercato interno iracheno, che potrà
offrire prospettive anche migliori».

La storia delle valutazioni mano al portafoglio parte il 22 febbraio
2003, con il rapporto mostrato da Sigfrido Ranucci, nell'inchiesta per
Rainews 24. Il professor Cassano, prevedendo «una elevata possibilità
che entro la metà dell'anno venga rovesciato da una azione militare
guidata dagli Usa, il regime di Saddam Hussein», consiglia in un
documento del Ministero delle attività produttive di impegnarsi nel
conflitto nonostante ci sia già un accordo con Saddam per lo
sfruttamento dei giacimenti di Nassiriya e Halfaya: «la contromossa
americana sembra consista nel garantire il mantenimento degli accordi
sottoscritti, anche nel caso di un "dopo Saddam". Con tale sistema la
"polizza" cambierebbe beneficiario [...]. Forse anche l'Italia
potrebbe giocare la stessa carta per le iniziative dell'Eni circa i
giacimenti di Halfaya e Nassiriya». Il riferimento, dicevamo, è agli
accordi sottoscritti da Eni-Agip nel 1998, riportati in una tabella
che il docente allega. A guerra iniziata l'Italia ottiene dagli Usa di
andare a presidiare proprio la zona di Nassiriya. L'estrazione, però,
fanno sapere oggi fonti Eni non è mai cominciata perché la zona è
troppo pericolosa.

Di certo, però, il giacimento è la ragione della presenza italiana in
zona. La pensavano così anche gli attentatori iracheni che il 12
novembre 2003, attaccarono la base dei Carabinieri di Nassiriya,
almeno secondo quanto riferiva il 13 l'inviato del Sole 24 ore a New
York Roberto Gatti citando «fonti dei servizi americani». «Colpendo i
carabinieri si è per esempio mandato, indirettamente, un messaggio
anche all'Eni», scrive il giornalista aggiungendo che a giugno i
tecnici dell'azienda avevano già fatto una ricognizione aerea sulla
zona (denunciata anche da Un ponte per...). Sul giacimento di
Nassiriya hanno interesse anche gli spagnoli. E una carta in più: il
14 marzo 2004, tre giorni dopo le bombe a Madrid, la Repsol ha
ricominciato ad esportare greggio dall'Iraq, come scriverà in seguito
il consulente del governo.

A più di un anno di distanza dal primo documento, infatti, c'è un
nuovo testo. E' datato 5 aprile del 2004. Qualche giorno dopo il
governo italiano incontrerà il viceministro della difesa Usa Paul
Wolfowitz insieme all'ambasciatore a Roma Mel Sembler. Il nuovo
rapporto è soprattutto la cronaca di un fallimento economico, di un
investimento, quello della presa di Nassiriya, andato maluccio. «I
sette contratti di gestione (per il settore petrolifero ndr) sono
stati appena assegnati a gruppi americani e a due britannici», si
legge a pagina 45 e «la partecipazione italiana non è stata
quantitativamente molto forte» nei contratti «finanziati dai "grants"
americani» (pag. 48). Insomma, niente di che. Al punto che il rapporto
dedica un paragrafo a «Le ragioni di un non esaltante raccolto». Ma
invita a non mollare la presa, soprattutto sulla presenza in loco: «Si
apre per gli imprenditori italiani una grande opportunità: quella di
partecipare sia allo sviluppo del paese, sia alla sua ricostruzione
"dall'interno", con tutti i vantaggi che normalmentevengono
riconosciute alle società locali»(pg. 50). Un'altra fetta interessante
saranno le privatizzazioni delle società pubbliche «che ben gestite e
con l'ampio mercato che il nuovo Iraq potrà costruire, esse potranno
portare agli antichi successi. E' questa una importante opportunità
addizionale per gli imprenditori del nostro Paese». Di tutti questi
interessi e di quanto abbiano fruttato e a quale prezzo il governo non
ha mai parlato.