I colonizzatori

1. Il tirocinio di Ho Chi Minh fra gli Yankees
(di Domenico Losurdo - da Belfagor)

2. Macabro scambio di immagini in Rete: un sito erotico propone a
soldati Usa l'accesso gratuito in cambio di scatti in zone di guerra
(La Repubblica online)


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BELFAGOR anno LX n. 4 - 31 luglio 2005 (n. 358)

http://www.olschki.it/riviste/belfagor/inlibr.htm

Il tirocinio di Ho Chi Minh fra gli Yankees

di Domenico Losurdo

1. Ormai non è più lecito avere dubbi. Lo scatenamento dell'ultima
guerra contro l'Irak potrebbe anche essere stato inopportuno. E' vero,
il casus belli addotto per giustificarla si è rivelato inconsistente:
nel paese per anni sorvegliato e spiato dal cielo, dal mare e dalla
terra, e quindi sistematicamente bombardato, occupato e setacciato,
non c'è traccia di quelle armi di distruzione di massa, la cui
esistenza era stata «dimostrata» dall'allora segretario di Stato Colin
Powell all'ONU e che, a detta di Tony Blair, il regime ora rovesciato
era pronto a impiegare, con furore genocida, «nell'arco di 45 minuti».
Sì, un intero castello di menzogne si è come sbriciolato. E, tuttavia,
le recriminazioni non hanno più senso dinanzi al compito urgente che
si impone all'Occidente di fronteggiare la terribile minaccia
rappresentata dai «tagliatori di teste» islamici.
A lanciare l'allarme non è solo Oriana Fallaci. Anche giornalisti e
quotidiani solitamente lontani dall'islamofobia si sono preoccupati di
fare appello al senso di responsabilità che dovrebbe essere proprio di
ogni occidentale e di ogni persona civile: nello scontro, che oggi in
Irak contrappone marines da un lato e tagliatori di teste ovvero
tagliagole dall'altro, non si può non prendere posizione per i primi.
Balza subito agli occhi il carattere arbitrariamente selettivo della
configurazione del conflitto; altri potrebbero descriverlo come lo
scontro tra i torturatori di Abu Ghraib e le loro vittime, ovvero come
la disperata insurrezione di un popolo già condannato per lunghi anni
all'inedia con un pretesto menzognero e ora sottoposto all'umiliante
occupazione militare di una variegata legione straniera.
Ma non è questo il punto più importante. Assieme alla geopolitica e
alla geoeconomia, l'odierna Crociata in difesa della Civiltà rimuove
anche la memoria storica. Siamo in presenza di un'accusa che prende di
mira i popoli di volta in volta bollati in quanto estranei alla
civiltà. Nel visitare nel 1836 la Spagna, in quel momento immersa in
una sanguinosa guerra civile, piuttosto che prendere posizione per una
delle parti, Richard Cobden giunge ad una conclusione di carattere
generale, in relazioni ai «barbari al di là del golfo di Biscaglia»:
si tratta di «una nazione di bigotti, accattoni e tagliagole, con un
governo di puttane e canaglie».
Ovviamente, il bersaglio privilegiato di questa accusa è costituito
dai popoli coloniali o di origine coloniale. Chi più ricorda che la
decimazione e l'annientamento dei pellerossa nord-americani sono stati
promossi in nome della lotta contro un popolo di tagliateste e
tagliagole? Tra i crimini che la Dichiarazione di indipendenza
addebita a Giorgio III è quello di aver aizzato contro i coloni
ribelli gli «spietati selvaggi indiani». Sì – precisa Thomas Paine
sempre nel 1776 – la monarchia inglese «ha incitato i negri e gli
indiani a distruggerci» ovvero a «tagliare la gola degli uomini liberi
in America».
E' un'accusa confermata da Marx. Il capitale descrive in che modo il
governo di Londra fronteggia la minaccia dei coloni ribelli: «Per
istigazione inglese e al soldo inglese essi furono tomahawked [uccisi
a colpi di tomahawk, la scure di guerra dei pellerossa]. Il parlamento
britannico dichiarò che i cani feroci e lo scalping erano "mezzi che
Dio e la natura avevano posto in sua mano"». Epperò, dopo la vittoria
della rivoluzione americana, il quadro cambia sensibilmente. Già nel
1783 un comandante inglese mette in guardia: imbaldanziti dalla
vittoria, i coloni «si preparano a tagliare la gola agli indiani»; il
comportamento dei vincitori – aggiunge un altro ufficiale – è
«umanamente scioccante». Inizia in effetti il periodo più tragico
della storia dei pellerossa. Andrew Jackson, presidente degli Stati
Uniti negli anni in cui Tocqueville analizza sul campo e celebra la
«democrazia in America», ascende alla più alta magistratura del paese
dopo essersi distinto nella caccia agli indiani, da lui assimilati a
«cani selvaggi». Su questo punto diamo la parola ad uno storico
statunitense dei giorni nostri:
«Vantandosi di "aver sempre conservato lo scalpo di quelli che aveva
uccisi", lo stesso Andrew Jackson […] aveva sovrinteso alla
mutilazione di circa ottocento cadaveri di indiani creek – i corpi di
uomini, donne e bambini che lui e i suoi uomini avevano massacrato –
amputando loro il naso per contarli e conservare una testimonianza
della loro morte, e tagliando lunghe strisce di pelle per conciarle e
trasformarle in briglie».
Nel procedere in occasione della rivoluzione americana allo scambio di
accuse già visto, le due frazioni in cui si è lacerato il partito
liberale della comunità bianca osservano entrambe un rigoroso silenzio
sulla sorte riservata dall'Impero britannico nel suo complesso ai
nativi investiti dall'espansione coloniale. Per saperne qualcosa siamo
di nuovo costretti a far ricorso all'analisi marxiana
dell'«accumulazione originaria»:
«Quei sobri virtuosi che sono i puritani della Nuova Inghilterra
misero nel 1703, con risoluzioni della loro assembly, un premio di 40
sterline su ogni scalp d'indiano e per ogni pellerossa prigioniero;
nel 1720 misero un premio di 100 sterline per ogni scalp, nel 1744,
dopo che Massachusetts-Bay ebbe dichiarata ribelle una certa tribù, i
premi seguenti: per uno scalp di maschio dai dodici anni in su, 100
sterline di valuta nuova, per prigionieri maschi 105 sterline, per
donne e bambini prigionieri 55 sterline, per scalps di donne e bambini
50 sterline!».
Il silenzio su questo capitolo di storia svolge un'importante funzione
ideologica. George Washington può tranquillamente assimilare i
«selvaggi» pellerossa a «bestie selvagge della foresta» (Wild Beasts
of the Forest). E, a quasi un secolo di distanza, nella California
strappata al Messico, «la degradazione e l'annientamento degli
indiani» diventano, per dirla con un altro storico statunintense, «una
sorta di sport popolare».
Se i pellerossa, in quanto ingombrante zavorra, sono destinati ad
essere cancellati dalla faccia della terra, i neri, utili quali
strumenti di lavoro e bestiame umano, subiscono la morte solo allorché
recalcitrano alla loro condizione di schiavi e si ribellano contro i
loro padroni. In tal caso l'esecuzione dei colpevoli deve assumere un
carattere esemplare e pedagogico. Come dimostra, nella Louisiana del
1811, la repressione di una rivolta di schiavi neri: le teste dei
colpevoli sono piantate su paletti e messe in mostra sul luogo del
misfatto.

2. E' una pratica cui l'Occidente fa ricorso forse con particolare
frequenza nell'ambito del suo rapporto coi popoli arabi e islamici,
oggi accusati di essere i tagliatori di teste per eccellenza. Nel
corso della sua spedizione in Egitto, dinanzi al rifiuto di un
notabile egiziano di cedere agli invasori una parte consistente del
suo ricco patrimonio, «Bonaparte ordinò che gli fosse mozzato il capo
e che lo si portasse in giro per tutte le vie del Cairo con il
cartello: "Così saranno puniti tutti i traditori e gli spergiuri"». E,
tuttavia, il tentativo di terrorizzare la popolazione non consegue il
suo obbiettivo. Qua e là scoppiano rivolte. Ebbene – prosegue lo
storico sovietico qui citato – Bonaparte
«inviò sul luogo il suo aiutante Crouazier perché assediasse la
popolazione ribelle, sterminasse tutti gli abitanti di sesso maschile
senza eccezione e portasse al Cairo le donne e i bambini, dando alle
fiamme il villaggio. L'ordine fu eseguito alla lettera. Molte donne e
bambini perirono durante la lunga marcia fino al Cairo. Alcune ore
dopo la spedizione punitiva, la piazza principale del Cairo mostrava
lo strano spettacolo di lunghe file di asini carichi di sacchi: i
sacchi furono aperti e sulla piazza rotolavano le teste degli uomini
della tribù insorta, giustiziati».
La pratica del mozzamento delle teste dei colpevoli e della loro
esibizione a fini pedagico-terroristici non cessa con la sconfitta di
Napoleone. Nel corso del suo viaggio in Algeria – siamo negli anni
della Francia liberale della monarchia di luglio – a Philippeville,
Tocqueville è ospite a pranzo di un colonnello dell'esercito di
occupazione, il quale traccia un quadro eloquente della situazione:
«Signori, solo con la forza e il terrore si può riuscire a trattare
con questa gente […] L'altro giorno sulla strada è stato commesso un
assassinio. Mi è stato condotto un arabo che era sospettato. L'ho
interrogato e poi gli ho fatto tagliare la testa. Vedrete la sua testa
alla porta di Costantina».
Tocqueville non prende le distanze da questo comportamento, che ai
suoi occhi sembra rientrare tra le «necessità spiacevoli» di cui
occorre farsi carico allorché ci si impegna in una «guerra agli
arabi». Nella lotta contro di essi, è necessario «distruggere tutto
ciò che rassomiglia ad un'aggregazione permanente di popolazione o, in
altre parole, ad una città»; è «della più alta importanza non lasciar
sussistere o sorgere alcuna città nelle regioni controllate da
Abd-el-Kader», il leader della resistenza. Non bisogna lasciarsi
inceppare dagli scrupoli morali:
«Ho spesso udito in Francia uomini che rispetto ma che non appoggio
considerare riprovevole il fatto che si brucino i raccolti, che si
svuotino i silos e che infine ci si impadronisca degli uomini
disarmati, delle donne e dei bambini.
Si tratta, secondo me, di necessità spiacevoli, ma alle quali sarà
costretto a sottomettersi ogni popolo che vorrà fare la guerra agli
arabi».
Quando si ha a che fare con gli islamici, la pratica del mozzamento
della testa può infierire persino su cadaveri ormai putrefatti. Nel
1898, con la battaglia di Omdurman, la Gran Bretagna riesce a
riassoggettare il Sudan, che in precedenza aveva sconfitto gli inglesi
e conquistato l'indipendenza. Ora i bianchi superuomini avvertono il
bisogno di riscattare l'umiliazione subita: non si limitano a finire i
nemici orribilmente feriti dalle pallottole dum-dum. Devastano la
tomba del Mahdi, l'ispiratore e protagonista della resistenza
anticoloniale: il suo cadavere è decapitato; mentre il resto del corpo
è gettato nel Nilo, la testa viene portata in giro come trofeo.

3. Esibite a scopo pedagogico-terroristico, le teste mozzate si
configurano talvolta come una sorta di trofeo di caccia. Nel 1890
Joseph Conrad compie il suo viaggio in Africa e nel Congo,
raccogliendo le informazioni e suggestioni che poi confluiscono in
Cuore di tenebra e nella descrizione qui contenuta degli orrori
dell'espansione e del dominio coloniali: si pensi alle «teste [dei
ribelli] lasciate a seccare sui paletti sotto le finestre del signor
Kurtz», lo schiavista che è il personaggio-chiave del romanzo.
Può infine accadere che il trofeo di caccia si trasformi in souvenir.
Abbiamo visto Jackson infierire sul corpo degli indiani uccisi e
scotennati. Questo non gli impedisce di coltivare pensieri in qualche
modo gentili: egli amava verificare di persona «che i souvenirs
provenienti dai cadaveri fossero distribuiti "alle signore del
Tennessee"».
A un trattamento analogo sono sottoposti, nel sud degli Stati Uniti, i
neri che osano mettere in discussione il regime di white supremacy.
Vediamo in che modo si conclude un linciaggio nell'Arkansas del 1921.
Una folla di cinquecento persone, fra cui non poche donne, si gode il
prolungato spettacolo di un nero che i suoi carnefici mettono a
bruciare a fuoco lento e che invano cerca di affrettare la propria
morte. Quando questa finalmente arriva, ecco intervenire la gara per
contendersi «quali souvenirs» le ossa della vittima.
Tre anni dopo, un giovane indocinese (Nguyen Sinh Cung), approdato
negli Stati Uniti in cerca di lavoro, assiste inorridito ad un linciaggio:
«Il nero viene messo a cuocere, è abbrustolito, bruciato. Ma egli
merita di morire due volte piuttosto che una sola volta. Pertanto egli
viene impiccato, più esattamente è sottoposto a impiccagione ciò che
resta del suo cadavere… Quando tutti sono sazi, il cadavere viene
tirato giù».
Di nuovo interviene il momento giulivo dell'acquisizione dei
souvenirs. Gli spettatori e le spettatrici più fini o più modesti si
accontentano di un pezzo della corda utilizzata nel corso del
supplizio. «A terra, circonfusa da un puzzo di grasso e di fumo, una
testa nera, mutilata, arrostita, deformata, fa una smorfia orribile e
sembra chiedere al sole che tramonta. "E' questa la civiltà?"».
L'infausta tradizione qui sommariamente evocata si fa sentire ancora
nel corso della seconda guerra mondiale. Mentre da un lato, nel
desiderio anche di scimmiottare la bianca e occidentale razza dei
signori, si macchiano dei crimini più orrendi in primo luogo contro i
cinesi e i popoli dell'Asia orientale, i giapponesi sono a loro volta
assimilati a barbari ed anzi a veri e propri animali, ad opera dei
loro nemici che pretendono di incarnare l'Occidente autentico: «Che
male c'era, allora, se alcuni pulivano, lustravano e mandavano a casa
i loro teschi di animali come souvenir?» Ritornano in auge le pratiche
che già conosciamo:
«Una comune istantanea raffigura un soldato o un marine che esibisce
orgogliosamnte un cranio giapponese ben lustrato, mentre una poesia di
quel periodo, di Winfiled Townley Scott, riflette, senza alcun
commento morale, su The U. S. Sailor with the Japanese Skull (Il
marinaio statunitense con il teschio giapponese): " … il nostro/
Marinaio, cioè, ventenne, vagabondava in agosto/ Tra i piccoli corpi
sulla sabbia e andava in caccia / Di ricordi: denti, piastrine, diari,
stivali; ma ancor più ardito / Tagliava una testa e la scuoiava sotto
un albero di ginkgo biloba". Poi il marinaio la trascina per molti
giorni dietro la nave e finalmente la netta accuratamente con la
lisciva e ottiene così un perfetto ricordino».
A guerra appena finita, nel febbraio 1946 l'Atlantic Monthly riconosce:
«Sparammo ai prigionieri a sangue freddo, distruggemmo gli ospedali,
mitragliammo a bassa quota le scialuppe di salvataggio, uccidemmo e
maltrattammo i civili nemici, finimmo i feriti, gettammo i moribondi
in una fossa con i morti, e nel Pacifico bollimmo i teschi dei nemici
per eliminare la carne intorno e farne soprammobili per le fidanzate o
intagliammo le ossa fino a ottenere dei tagliacarte».

4. Possiamo almeno considerare conclusa con la seconda guerra mondiale
l'infausta tradizione di cui qui si tratta? Torniamo a Nguyen Sinh
Cung, al giovane indocinese già incontrato. Egli denuncia l'infamia
del regime di supremazia bianca e del Ku Klux Klan, da lui paragonato
al fascismo, su Correspondance Internationale (la versione francese
dell'organo dell'Internazionale Comunista). Dieci anni dopo egli fa
ritorno in patria e assume il nome, col quale ancora più tardi
diventerà noto in tutto il mondo, di Ho Chi Minh. C'è un nesso tra
l'orrore da lui provato per la sorte nella democratica America
riservata agli infelici neri e la determinazione con cui egli guida la
lotta di liberazione nazionale prima contro la Francia e poi contro
gli Stati Uniti? Certo è che anche in Indocina, a decenni di distanza
dal crollo del Terzo Reich, la razza dei signori conserva le sue
abitudini. Il protagonista del romanzo di Conrad, il signor Kurtz
sembra ancora fare scuola, a giudicare almeno da quello che riferisce
un docente americano su una rivista americana, a proposito di un
agente della Cia, che visse nel Laos «in una casa decorata con una
corona di orecchie strappate dalle teste di comunisti [indocinesi]
morti». Neppure dopo la morte meritano rispetto la testa e il corpo
dei barbari. E' di questi giorni la notizia, proveniente da Baghdad,
di un video «che mostra una pattuglia [statunitense] mentre ride e
scherza con il corpo di un irakeno freddato all'interno del suo
camioncino». Tutto lascia presumere che la vittima abbia perso la vita
per errore. Ma ciò non incrina il buon umore delle truppe di
occupazione. Come chiarisce la didascalia apposta alle foto pubblicate
dal Corriere della Sera, «il peggio deve ancora cominciare. Un soldato
Usa si avvicina al corpo, lo scuote. "Fagli fare ciao con la manina"
gli dice un compagno. E lui prende la mano del morto per l'ultimo
oltraggio». Ma questo oltraggio e gli altri consumati ad Abu Ghraib e
che continuano a consumarsi quotidianamente in Irak non impediscono ai
colpevoli di bollare come «tagliateste» e «tagliagole» i nemici che
l'Impero e la razza dei signori via via incontrano sulla loro strada.


Testi citati

Oriana Fallaci intervista Oriana Fallaci, Corriere della Sera, Milano,
2004 (p. 126); Wendy HINDE, Richard Cobden. A Victorian Outsider, New
Haven and London, Yale University Press, 1987 (pp. 25-6); Thomas
PAINE, Collected Writings, a cura di Eric Foner, New York, The Library
of America, 1995 (pp. 35 e 137); Karl MARX, Das Kapital (1867-1894),
tr. it., di Delio Cantimori, Il capitale, Torino, Einaudi (vol. I, p.
925, cap. 25); Colin G. CALLOWAY, The American Revolution in Indian
Country. Crisis and Diversity in Native American Communities,
Cambridge, University Press, 1995 (pp. 278 e 272, per quanto riguarda
il comportamento dei coloni vittoriosi); David E. STANNARD, American
Holocaust. The Conquest of the New World (1992), tr. it., di Carla
Malerba, Olocausto americano. La conquista del Nuovo Mondo, Torino,
Bollati Boringhieri, 2001 (pp. 202-3, per Jackson e p. 252, per le
modalità della guerra tra Stati Uniti e Giappone); Richard Maxwell
BROWN, Strain of Violence. Historical Studies of American Violence and
Vigilantism, Oxford University Press, New York-Oxford, 1975 (p. 193,
per la Louisiana del 1811); E. V. TARLE, Napoleone (1942), tr. it. di
G. Benco e G. Garritano, Editori Riuniti, IV ed., 1975 (pp. 73-4);
Byron FARWELL, Prisoners of the Mahdi (1967), New York-London, Norton
Company, 1989 (pp. 303 sgg.) e Wladimir G. TRUCHANOWSKI, Winston
Churchill. Eine politische Biographie (1968), tr. ted. dal russo di
Gisela Lehmann e Eberhard Wolfgramm, Köln, Pahl-Rugenstein, 1987 (pp.
46-8, per quanto riguarda il Sudan); Joseph CONRAD, Heart of Darkness
(1899), tr. it., di Ettore Capriolo, Cuore di tenebra, Milano,
Feltrinelli, Universale Economica, II ed., 1996 (p. 85); Paul FUSSEL,
Wartime (1989); tr. it., di Mario Spinella, Tempo di guerra, Milano,
Mondadori, 1991 (pp. 178 e 152-3, per le modalità della guerra tra
Stati Uniti e Giappone); Thomas F. GOSSET, Race. The History of an
Idea in America (1963), New York, Schocken Books, 1965 (p. 270, per
l'efferatezza dei linciaggi); Wyn Craig WADE, The Fiery Cross. The Ku
Klux Klan in America, New York-Oxford, Oxford University Press, 1997
(pp. 203-4, per Ho Chi Minh); Domenico LOSURDO, Controstoria del
liberalismo, Roma-Bari, Laterza, in libreria a partire dal settembre
2005 (cap. 1, § 5, per Washington e gli indiani; cap. 9, § 2, per lo
«sport popolare» in California e cap. 7. § 6, per Tocqueville e
l'Algeria); Daniel WIKLER, The Dalai Lama and the Cia, in The New York
Review of Books, 23 settembre 1999, (p. 81, per la «corona di
orecchie»); Fabrizia SARZANINI, Il dossier italiano: manomesse le
prove, in Corriere della Sera del 1 maggio 2005, p. 6,

(pubblicato in «Belfagor. Rassegna di varia umanità», 31 luglio 2005)

http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=5086


=== 2 ===

http://www.repubblica.it/2005/h/sezioni/esteri/iraq64/fotohorror/fotohorror.html

Macabro scambio di immagini in Rete: un sito erotico propone
a soldati Usa l'accesso gratuito in cambio di scatti in zone di guerra

Iraq, foto agghiaccianti in cambio di materiale porno

Il sito degli orrori segnalato da un blogger italiano


MILANO - Foto pornografiche in cambio di terrificanti immagini di
cadaveri. Il macabro scambio avviene su Internet tra un sito ad alto
tasso erotico e i soldati statunitensi in Afghanistan e in Iraq. I
militari vengono invitati a spedire i loro terribili scatti di corpi
mutilati, carbonizzati, smembrati dalle esplosioni, promettendo in
cambio l'accesso gratuito a diverse sezioni "proibite". Il risultato è
una galleria degli orrori, segnalato da un blogger italiano, il cui
nickname è Staib, che ne ha parlato diffusamente sul suo blog e su
diversi portali di controinformazione.

Lo rivela l'Ansa, che riporta l'annuncio che appare sulla homepage del
sito: "Se sei un soldato americano di stanza in Iraq, Afghanistan, o
un altro teatro di guerra e vorresti accesso libero al sito, puoi
pubblicare le foto che tu e i tuoi compagni avete fatto durante il
vostro servizio".

Il sito, prettamente pornografico, è strutturato come un forum, dove
gli utenti scambiano materiale amatoriale, non coperto da copyright,
che va dal "voyeur" alle foto e ai video hard di presunte fidanzate e
mogli. Due le chiavi per accedere ai contenuti porno: i frequentatori
possono pagare, oppure inviare del materiale "interessante". E qui
scatta la "riduzione per i militari".

In due sezioni apposite, i soldati possono guadagnarsi l'accesso
gratuito alle immagini più piccanti pubblicando foto e video
realizzati durante il loro servizio. Una parte ha un tema generale,
con foto di militari, anche improntate a un certo umorismo bellico,
mentre l'altra sezione si presenta come un vero e proprio museo degli
orrori, con foto per lo più di iracheni morti e cadaveri smembrati.
Infatti, appena vi si entra, si viene avvisati che "questa sezione è
tra quelle più cruente, quindi le persone che non vogliono vedere
questo tipo di materiale non dovrebbero accedervi".

A scorrere gli allegati inviati sembra di entrare in un girone
infernale: ogni messaggio contiene infatti immagini raccapriccianti,
in una escalation di barbarie e crudezza, accentuata dai messaggi
lasciati dai frequentatori del sito. Messaggi esaltati, non certo
inorriditi, alla vista di quelle terribili istantanee prese sul teatro
di guerra. Si vedono corpi carbonizzati, senza testa, senza arti, una
faccia in una scodella, i resti di un kamikaze, un braccio, gambe,
accompagnati da commenti disumani, prossimi all'esultanza per quegli
scempi.

All'orrore di membra riverse tra la polvere e teste spappolate, si
aggiungono sottolineature come "l'unico iracheno buono è l'iracheno
morto" o riferimenti ironici come "poveraccio, immaginatevi se le 72
vergini che lo aspettano sono tutte delle ciccione".

Stupiscono, per il loro cinismo, persino i titoli dei vari post: i
pragmatici "qualche foto in cambio dell'accesso" o "uomini morti per
ingresso", ma anche il barbaro quiz "date un nome a questa parte del
corpo umano", che prelude alla visione di un brandello di carne
insanguinata, carbonizzata e spappolata. Tra le immagini, nella
sezione più generale, anche alcune foto di militari americani feriti,
che loro stessi hanno inviato.

(21 agosto 2005)