(english / italiano)

RATLINES: Il Vaticano nascose gli ustascia

In ordine cronologico inverso:

1. Il Vaticano nascose gli ustasha Pavelic e i suoi ospitati nelle chiese
"Haaretz" pubblica la testimonianza al processo di San Francisco
(La Repubblica, 16/1/2006)

2. Old Balkan hatreds play out in court case
A class-action lawsuit charges the Vatican Bank with a role in the
flight of pro-Nazi henchmen and loot from Europe after World War II
(Chicago Tribune, July 6, 2005)

3. OLOCAUSTO: CROAZIA, CORTE APPELLO USA RIAPRE CAUSA CONTRO VATICANO
(ANSA, aprile 2005)

4.«Stragi naziste, una rete aiuta le Ss a evitare i processi»
(Corriere della Sera, 26 agosto 2004)

5. ARGENTINA: DOPO L'APERTURA DEGLI ARCHIVI SUI NAZISTI
Quei 47 dossier mancanti
(Panorama, 29/8/2003)


### LINKS sullo stesso argomento ###

RATLINES - La guerra della Chiesa contro il comunismo

https://www.cnj.it/documentazione/ratlines.htm

THE PAVELIC PAPERS

http://www.pavelicpapers.com/

Article from NY Times on US governement relationship with Nazis during
the Cold War

http://jasenovac.org/libraries/viewdocument.asp?DocumentID=155

Argentina/Croazia:
- Prosciolti i trafficanti di armi amici degli ustascia
- FLASHBACK: Argentina: vecchi camerati arruolano mercenari per la Croazia

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2760

Vatican Bank Claims

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/193

A SAN PIETRO L'ORO DI PAVELIC

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/82

Un Giubileo etnicamente pulito (20/01/2000)

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/17


=== 1 ===

La Repubblica, 16/1/2006
Pagina 15 - Esteri
IL CASO

Un ex agente segreto Usa accusa: il futuro papa Paolo VI aiutò i
criminali di guerra croati

Il Vaticano nascose gli ustasha Pavelic e i suoi ospitati nelle chiese

"Haaretz" pubblica la testimonianza al processo di San Francisco

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
Alberto Stabile

GERUSALEMME - Negli anni del grande disordine seguito alla Seconda
guerra mondiale, i più famigerati criminali di guerra croati, i
cosiddetti ustasha, poterono sfuggire alla giustizia internazionale,
trovare rifugio in America Latina e sfruttare l´immenso tesoro
raccolto depredando le vittime del loro regime sanguinario, grazie
alla protezione ricevuta in Vaticano dall´allora vice segretario di
Stato, Giovanni Battista Montini, più tardi asceso al soglio di Pietro
con il nome di Paolo VI.
È stato l´agente del controspionaggio americano, William Gowen a
evocare il ruolo di Montini in una testimonianza resa il mese scorso
davanti alla Corte federale di San Francisco, chiamata a giudicare su
una serie di istanze di risarcimento presentate da ebrei, serbi,
ucraini, russi e rom sopravvissuti alla macchina di sterminio messa su
da Ante Pavelic e dai suoi seguaci in nome e per conto dei nazisti.
Copia di quella testimonianza è venuta in possesso del giornale
Haaretz, che ne ha anticipato il contenuto.
Bisogna partire dal movimento nazionalista croato fondato nel 1929 da
Ante Pavelic e da Gustav Percec per combattere la monarchia jugoslava
e fondare uno stato croato indipendente. L´obiettivo politico sarebbe
stato raggiunto solo con l´occupazione nazi-fascista della Jugoslavia
e la creazione di uno stato-fantoccio alla testa del quale venne posto
come leader massimo, "poglovnik", Pavelic. Il disegno di Pavelic, che
mostrò la sua gratitudine al padrone germanico inviando alcune unità
di ustasha a combattere contro i sovietici, a Stalingrado, e,
temerariamente, si unì alle potenze dell´Asse nel dichiarare guerra
agli Stati Uniti, fu essenzialmente un disegno razzista basato sulla
supremazia dei croati, anche in quanto cattolici, rispetto ai serbi,
greco - ortodossi, attuato attraverso una gigantesca operazione di
pulizia etnica ante litteram.
La crudeltà dispiegata dalle milizie ustasha contro chiunque non fosse
croato e cattolico fu così agghiacciante che persino il comandante
dell´esercito tedesco in Yugoslavia si sentì in dovere di levare una
(tardiva) protesta. In conseguenza degli ordini impartiti da Pavelic e
dal suo braccio destro, Andrja Artukov, soprannominato "l´Himmler dei
Balcani", ottocentomila persone furono sterminate, centomila solo nei
campi di Jasenovac. Dopo la guerra Pavelic e gli altri capi ustasha
volarono in Austria e da qui, con l´aiuto dell´intelligence britannica
e di certi amici ben piazzati in Vaticano, passarono in Italia,
trovando rifugio nella penombra delle basiliche romane e nel silenzio
dei monasteri.
In base ad alcuni documenti segreti svelati al processo di San
Francisco, l´intelligence inglese permise a Pavelic di fuggire in
Italia con dieci camion che contenevano il tesoro rubato alle vittime
del massacro jugoslavo: oro, danaro, gioielli, opere d´arte. Il prezzo
del tradimento, perché nel frattempo, inglesi e americani avevano
deciso di utilizzare gli ustasha per contrastare l´ascesa del
comunismo in Jugoslavia e, in generale, nell´Europa dell´est.
Giunto a Roma, il tesoro venne consegnato nelle mani, fidatissime, del
monsignor, professor Krunoslav Draganovic, ambasciatore croato in
Vaticano, il quale provvide a nascondere Pavelic e gli altri ustasha
in covi protetti dall´immunità diplomatica. Il danaro affidato a
Draganovic sarebbe inoltre servito a costituire la rete che più tardi
avrebbe permesso l´espatrio clandestino in Sud America dei gerarchi
croati, e non solo, attraverso quella che è stata chiamata «la rotta
dei topi».
Qui entra in campo Gowen. L´agente americano, probabilmente
all´insaputa di un altro ramo dei servizi, quell´Oss che sarebbe più
tardi diventato la Cia, aveva avuto l´ordine di individuare il covo di
Pavelic e di arrestarlo. Ma improvvisamente, arriva il contrordine:
«Mollare la preda. Non se ne fa niente». Poco dopo Pavelic sarebbe
"emigrato" in Argentina alla corte di Juan Peron. «Ho indagato
personalmente su Draganovic - ha detto Gowen ai giudici americani - il
quale mi ha detto che informava monsignor Montini». Anzi, a un certo
punto, secondo l´agente, Montini avrebbe saputo dal capo della
stazione dell´Oss a Roma, James Angleton, delle indagini intraprese da
Gowen su Pavelic. Il vice segretario di Stato avrebbe allora
protestato con i superiori dell´agente accusando Gowen d´aver violato
la sovranità territoriale del Vaticano penetrando nel collegio croato,
ospitato nel convento di San Girolamo, per condurvi una perquisizione.
Il tesoro degli ustasha sarebbe stato riciclato dalla Banca vaticana.


=== 2 ===

http://www.chicagotribune.com/news/nationworld/chi-0507060219jul06,1,1654456.story

Old Balkan hatreds play out in court case

A class-action lawsuit charges the Vatican Bank with a role in the
flight of pro-Nazi henchmen and loot from Europe after World War II

By Ron Grossman
Tribune staff reporter
Published July 6, 2005

Like any new pope, Benedict XVI inherits some problems from his
predecessor, among them sexual abuse scandals and a Catholic Church
deeply divided between progressives and traditionalists.

Then there are William Dorich's accusations.

Dorich, a Los Angeles book publisher, is the force behind a
class-action lawsuit against the Vatican Bank and the Franciscan Order.

Filed in a federal court in California, the suit alleges that
immediately after World War II the bank--the financial arm of the
Roman Catholic Church--helped fleeing members of a brutal, pro-Nazi
regime in Croatia hide and launder millions of dollars worth of loot,
including gold and jewelry taken from concentration camp prisoners.

According to Dorich and his lawyers, those riches were used to help
the pro-Nazi henchmen slip out of Europe and escape to South America
in 1945 and after.

Dorich, the son of a Serbian immigrant, recalled that dozens of his
relatives were massacred by the Ustashe, a Croatian puppet government
installed by the Nazis when they conquered the Balkans in the 1940s.

U.S. government documents of the period show that some Ustashe leaders
and many of their financial resources made it to Rome during the chaos
of the war's final months.

Alleged missing link

But Dorich and other plaintiffs take the chain one crucial step
further: Their suit alleges that the missing link between the money's
arrival in Rome and its apparent transfer to South America was the
Vatican itself.

"From money stolen from the gold teeth of my relatives, the Vatican
enabled Nazis to escape to Argentina," Dorich said.

In 2003, a federal judge dismissed the case, saying U.S. courts lacked
jurisdiction. But this spring, that decision was reversed by the 9th
U.S. Circuit Court of Appeals.

"Deciding this sort of controversy is exactly what courts do," a panel
of the appellate court said in a 2-1 ruling.

The judges noted that the issues "ultimately boil down to whether the
Vatican Bank is wrongfully holding assets."

It could be years before the case goes to trial or is settled. The
defendants are considering appealing to the U.S. Supreme Court. And
even if the plaintiffs proved the Vatican Bank played a role, that
would not--of itself--settle the issue of who at the Vatican was
involved or knew what was taking place.

Still, as the Vatican struggles with the role the church and its
leading clergy played during World War II, the case sheds renewed
light on the tangled ethnic and religious landscape of Eastern
Europe--and the way in which ancient feuds and hatreds played out
during the horrors of a modern war.

The events recalled in the case took place against the background of
religious antagonisms that were still sparking violence and bloodshed
in recent years, especially when Yugoslavia broke apart in the 1990s.

Serbs are predominantly Orthodox Christians and Croats are
predominantly Catholics. Despite their longstanding antipathies, Serbs
and Croats were linked together in the creation of Yugoslavia after
World War I.

Settling old scores

Yugoslavia was dominated by Serbs, so when Yugoslavia was defeated
early in World War II, Croatian nationalists saw the Germans not as
conquerors but liberators. Ustashe military detachments fought
alongside Nazi armies while settling old scores.

During the Ustashe regime, Orthodox Christians were subject to forced
conversions to Catholicism. Serbian churches were looted and burned,
sometimes with their congregations locked inside. In one such
massacre, at a church in the village of Vojnic, 99 people were burned
alive on April 17, 1942.
"Seventeen of the victims were my relatives," said Dorich, who visited
the site.

According to Jonathan Levy, one of the plaintiffs' attorneys, the
Franciscans were named as defendants because the political extremism
of the period was fueled by religious hatred.

"Not everybody who collaborated with the Germans committed
atrocities," Levy said. "But in the Ustashe movement, religiosity was
wrapped up with fascism."

The lawsuit alleges that members of the Franciscan Order were allied
with the Ustashe and participated in attacks on Serbs.

"Our official position is that there is nothing to the allegations,"
said Ronald Mallen, attorney for the Franciscan Order. "The other side
ignores the fact that `Brother Devil' was excommunicated."

That was the nickname given to Brother Miroslav Filipovic-Majstorovic
by inmates of the notorious Jasenovac concentration camp, where tens
of thousands of Serbs, Jews and Gypsies perished. A Franciscan brother
before becoming the camp's commandant, Filipovic-Majstorovic was tried
and hanged as a war criminal after World War II.

Other Ustashe leaders got away. When Germany's defeat became imminent
in late 1944 and early 1945, high-ranking members of the Croatian
government fled, some passing through Rome en route to escaping from
Europe.

The military and political situation in Italy was chaotic. From day to
day, it would be hard to say who was in charge. German troops were
fleeing northward. Italian partisans led popular uprisings. Arriving
Allied forces struggled to establish some sort of order.

Ante Pavelic, the head of the Ustashe government, and 1,500 of his
followers made their way through Austria to Italy. They carried with
them gold--estimates of its value vary widely from a few hundred
thousand dollars to many millions, according to U.S. military reports
at the time.

The route of the Ustashe leaders and treasure can roughly be traced
through memos written by U.S. Army intelligence officers.

One 1946 memo on the Ustashe treasury said that "approximately 200
million Swiss Francs (about $47 million) were originally held in the
Vatican for safe-keeping" before being moved to Spain and Argentina.
Like other documents of the time, that one is tantalizingly silent
about whether "Vatican" meant the Vatican Bank or the papal
city-state, a political enclave within Rome.

Author's detective work

A 1947 intelligence report noted: "Many of the more prominent Ustashe
war criminals and Quislings are living in Rome illegally, many under
false names. ... All this activity seems to stem from the Vatican."

Long classified and buried in military archives, those memos first
came to light through the detective work of author John Loftus.

Once a Justice Department lawyer assigned to track wanted war
criminals, Loftus had come upon documents suggesting that Catholic
clergy had a role in the so-called Rat Line, an underground railroad
that helped Nazis and their allies escape to Latin America.

Pavelic went to Argentina, he found. There the ex-strongman was
supported by proceeds from the Ustashe treasury, which traveled the
same route, according to a 1998 State Department investigation of
assets stolen by Germans and their collaborators during World War II.

"From the character of the Ustashe regime and the nature of its
wartime activities," that report said, "this sum almost certainly
included some quantity of victim gold."

The State Department's investigation was belatedly instigated under
congressional pressure, after parallel cases of looting of Holocaust
victims' assets became a hot issue in the 1990s.

"The State Department knew about those documents for 50 years and did
nothing," said Loftus, who later wrote of his discoveries in the 1992
book "Unholy Trinity."

He attributes the government's long reluctance to investigate the
affair to the fact that the American hands weren't clean, either. As
World War II segued into the Cold War, U.S. and British officials were
eager to recruit former Axis agents and willing to overlook their
wartime records.William Gowen, an Army intelligence officer stationed
in Rome at the war's end, was the author of some of the newly surfaced
memos. He was then barely out of his teens, but because he was fluent
in Italian he found himself in the thick of an investigation of the
Rat Line. He discovered that a Croatian Catholic monastery in Rome was
sheltering a group of armed men, presumably former Ustashe operatives.

"We found out about the Ustashe treasury and knew it had been brought
to Rome," Gowen said in an interview. "But where in Rome?"

Gowen said Ustashe funds eventually were transferred to Swiss banks,
and then presumably to Latin America.

"The Swiss banks are famous for their secrecy. Once you have an
account there you can send money anywhere, no questions asked," Gowen
said. "But you couldn't just drive truckloads of gold, jewelry and
other valuables across the Swiss border."

Money laundering charged

Accordingly, Ustashe loot had to be converted into currency that could
not be traced, then transferred to Switzerland. The lawsuit alleges
that the Vatican Bank was the perfect agent to perform that money
laundering. Should the suit go forward, plaintiffs' attorneys will
press the Vatican to open its archives in hopes of finding documents
to cement their thesis.

Jeffrey Lena, an attorney for the Vatican Bank, declined to comment.

The Serbs' lawyers hope to mobilize public opinion, noting that there
has been a pattern to similar suits on behalf of Holocaust victims and
World War II slave laborers: After first denying the allegations and
resisting the lawsuits, Swiss banks and German industries felt enough
pressure to make an out-of-court settlement.

Attorneys for the defendants petitioned the full appellate court to
overturn the finding of the three-judge panel, but their request was
turned down in June. The Franciscans' attorney said that decision, in
turn, will be appealed to the Supreme Court; the Vatican Bank's
attorney said a Supreme Court appeal is under consideration.

Both defendants contend that the dispute doesn't belong in court but
should be resolved by diplomacy, since the Vatican is not just a
religious body but a sovereign state.

Mallen, the Franciscans' attorney, noted that under the law, his
client can argue that the affair belongs to the world of diplomacy
without conceding there is anything for diplomats to
negotiate--without, that is, admitting wrongdoing.

Others, though, wonder if that argument might be too subtle for the
court of public opinion.

"It's not exactly a plea of innocence, is it?" Loftus said.


rgrossman @ tribune.com


=== 3 ===

OLOCAUSTO: CROAZIA, CORTE APPELLO USA RIAPRE CAUSA CONTRO VATICANO

(ANSA) - NEW YORK, 19 APR [2005] - Una Corte federale d'appello a San
Francisco ha riaperto una causa legale avviata da superstiti
dell'Olocausto che hanno citato in giudizio la Banca Vaticana con
l'accusa di aver riciclato beni sottratti a ebrei in Croazia durante
la seconda Guerra mondiale.
La decisione ribalta una sentenza di una Corte minore che aveva
respinto l'azione legale sostenendo che le affermazioni legate alla
storia andrebbero affrontate a livello di politica estera, non di
azioni legali.
La Corte d'appello ha ridotto il raggio d'azione entro il quale si
potra' muovere la causa, ma ha riconosciuto il diritto dei superstiti
dell'Olocausto di portarla avanti.
La denuncia era stata presentata la prima volta nel 1999 contro la
Banca Vaticana e l'Ordine dei Francescani ed era legata alle vicende
del regime filonazista degli ustascia nel 1941-45. (ANSA).


=== 4 ===

http://archivio.corriere.it/

Corriere della Sera
giovedì, 26 agosto, 2004
NAZISMO - Pag. 14

«Stragi naziste, una rete aiuta le Ss a evitare i processi»

I sospetti di depistaggi nell' inchiesta di La Spezia. Identificati
altri dieci massacratori di Marzabotto

Quelli che non si sono mai arresi. E che in segreto forse hanno
continuato a sognare la rivincita. «Lupi mannari», li chiamavano prima
che le loro associazioni divenissero legali: ex soldati delle Waffen
SS, i reparti da combattimento creati da Himmler. Tedeschi i
comandanti, di tutte le nazionalità europee gli altri reduci: dall'
Italia all' Ucraina, dalla Bosnia [SIC] alla Norvegia. Alla fine degli
anni Quaranta si sono riuniti in un gruppo di «mutua assistenza»
chiamato Hiag, con lo scopo di difendersi dalle accuse sui crimini
nazisti. «Noi eravamo militari al fronte - era la loro linea - non
massacratori dei lager, con l' Olocausto non c' entriamo». Ma -
secondo i tribunali di mezza Europa - hanno avuto un ruolo chiave
negli episodi più feroci della guerra partigiana, nelle rappresaglie
contro la popolazione civile. E adesso la «fratellanza» dei camerati
continuerebbe a tenerli uniti, per ingannare le ultime inchieste della
magistratura. Gli investigatori della procura militare di La Spezia
sono convinti che la principale associazione di reduci delle Waffen SS
- chiamata Hiag - avrebbe «monitorato» le istruttorie sui massacri
compiuti in Toscana ed Emilia Romagna: questa attività informativa
avrebbe permesso ai sospettati di concordare gli alibi e mantenere
compatte le versioni. Non solo, la Hiag avrebbe tessuto un' alleanza
con altri club composti da giovani neonazisti, che avrebbero fornito
la «manovalanza» per queste missioni - che potrebbero venire
considerate come un vero depistaggio. Già in Alto Adige si è indagato
su un' associazione simile alla Hiag: la «Stille Hilfe» (aiuto
silenzioso), operante tra Bolzano e la Germania, promossa anche dalla
figlia di Himmler. La relazione fornita alla procura dai consulenti
storici ai pm spezzini ora evidenzia anche il ruolo dei volumi redatti
dai reduci della 16.a Divisione Panzergrenadier-Reichsführer,
protagonista degli eccidi durante la «ritirata del terrore» del 1944.
In particolare un libro in tedesco - intitolato «Allo stesso passo di
marcia» - conterrebbe la descrizione dei movimenti della divisione a
Marzabotto, San Cesario sul Panaro, Sant' Anna di Stazzema: solo le
memorie di vecchi nostalgici o il tentativo di uniformare le versioni
di fronte alla riapertura dell' istruttoria? Altri naziskin tedeschi
sarebbero stati notati negli anni passati proprio nei paesi devastati
dalle rappresaglie, segno di un macabro turismo o di una volontà
intimidatoria? Perché le indagini non sono chiuse. E da quando Berlino
ha aumentato la collaborazione, altri nomi vanno a completare il
quadro di quelle pagine nere: almeno una decine di ex Ss che presero
parte al massacro di Marzabotto sono state identificate dai magistrati
di La Spezia. Sono ancora vive. E tutte speravano che la vicenda fosse
stata chiusa con la condanna di Walter Reder, il maggiore che guidò il
terribile rastrellamento costato la vita a 1830 civili. La Hiag
creata dai reduci hitleriani per una mutua assistenza contro le indagini


=== 5 ===

http://www.panorama.it/mondo/americhe/articolo/ix1-A020001020528

ARGENTINA: DOPO L'APERTURA DEGLI ARCHIVI SUI NAZISTI

Quei 47 dossier mancanti

di Alvaro Ranzoni
29/8/2003

Molte delle carte sui gerarchi di Hitler accolti e protetti da Peron
non si trovano più. Lo rivela il centro Wiesenthal, mentre un libro
accusa apertamente la Santa sede.


Aspetteranno ancora per un po', poi quelli del centro Simon
Wiesenthal, specializzato nella caccia ai criminali nazisti (2.500
nomi rivelati in 17 anni), torneranno alla carica con il presidente
argentino Néstor Kirchner. Non è possibile infatti che dai meandri del
vecchio Hotel de Inmigrantes, che custodisce gli archivi dell'autorità
argentina per l'immigrazione, siano saltati fuori solo due dei 49
fascicoli richiesti, con la storia di soli 17 criminali di guerra sui
68 segnalati. Troppo poco, se si considera che di questi 17 ben 16,
tutti ùstascia croati, sono contenuti in un unico faldone, mentre
l'altro dossier venuto alla luce è quello di un criminale belga,
Jan-Jules Lecomte, il borgomastro-boia di Chimay.

I primi torturarono e uccisero migliaia di serbi ed ebrei, il secondo
si divertiva a scovare i bambini ebrei rifugiati nei monasteri per
avviarli ai campi di sterminio. Non stelle di prima grandezza nella
classifica dell'orrore, insomma. Non sono stati trovati finora i
dossier che spiegherebbero come fecero ad arrivare in Argentina e da
chi furono aiutati criminali del calibro di Josef Mengele, il medico
che sperimentò le sue folli teorie su migliaia di vittime; Adolf
Eichmann, il pianificatore dello sterminio degli ebrei, poi
giustiziato in Israele; Klaus Barbie, il «boia di Lione»; Erich
Priebke, responsabile dell'eccidio delle Fosse Ardeatine, l'unico
ancora vivo (novantenne, sconta l'ergastolo agli arresti domiciliari a
Roma).

«Il nuovo presidente argentino ha promesso piena trasparenza» spiega a
Panorama Sergio Widder, direttore della sezione di Buenos Aires del
centro Wiesenthal, «e noi non abbiamo motivo di dubitarne. Ma certo
non ci accontenteremo di spiegazioni a mezza bocca su dossier smarriti
o bruciati non si sa perché e non si sa da chi» aggiunge.
Quello che è emerso è comunque abbastanza sconcertante.

Subito dopo la guerra il dittatore Juan Domingo Peron, che vagheggiava
una sorta di «Quarto Reich», aveva creato una rete perfetta per
portare in Argentina i criminali nazisti ricercati dalle forze alleate.
Dal 1947 ai primi anni Cinquanta il terminale europeo di questa «rotta
dei topi» fu Genova dove c'era uno speciale ufficio retto da un ex
capitano delle Ss, Carlos Fuldner, amico di Peron.

Il terminale italiano era gestito in gran parte da religiosi. «A
Genova operava, tra gli altri, un monsignore croato, Karlo Petranovic,
dipendente dalla locale curia e protetto dall'arcivescovo Giuseppe
Siri (ma la Curia genovese smentisce, ndr).
A Roma un altro prete, Stefan Draganovic, fondatore della
confraternita di San Gerolamo, avviava i criminali nazisti verso il
capoluogo ligure con l'attiva collaborazione del vescovo Aloys Hudal,
rettore del Collegio tedesco di S. Maria dell'Anima, e sotto la
protezione del Vaticano.

A Buenos Aires agivano i cardinali Antonio Caggiano e Santiago
Copello. Tutto giustificato con la lotta al comunismo» spiega lo
scrittore argentino Uki Goñi, autore del libro L'autentica Odessa,
frutto di sei anni di ricerche, di cui Garzanti pubblicherà a febbraio
l'edizione italiana.
Mai erano emerse tanto chiare le accuse al regime peronista e alla
Santa sede (più volte ricorre il nome di Giovanni Battista Montini,
poi Papa Paolo VI). È di Goñi la prima bozza dell'elenco che il centro
Wiesenthal ha presentato al governo argentino.

Lo scrittore ha trascorso un anno negli archivi dell'Hotel de
Inmigrantes, l'edificio che ospitò per i primi giorni molti dei 5
milioni di emigranti in Argentina e che oggi l'Associazione
Italia-Argentina vorrebbe restaurare come sede delle aziende italiane
a Buenos Aires. Ha rovistato tra centinaia di migliaia di cartoline di
sbarco e su quelle dei personaggi più significativi ha trovato i
numeri dei relativi dossier. Che però nessuno sa dove siano finiti.