ABOLITA LA NONVIOLENZA, ADESSO ABOLISCONO LA "PACE"


(NB. La "Tavola della Pace" è quella organizzazione che nel 1999
invitava Massimo D'Alema - primo responsabile della partecipazione 
italiana al bombardamento del petrolchimico di Pancevo e della piazza
del mercato di Nis - a partecipare alla marcia Perugia-Assisi)


Confronto sul senso della parola

Un movimento senza pace

Sara Milanese

La Tavola della Pace ha deciso di abolire il termine “pace” dalla sigla
della prossima edizione della marcia Perugia-Assisi. Per far riflettere
sui significati concreti di quel termine, la spiegazione. “In realtà è
una svolta sinistra”, per Euli. «Un modo per togliere dall’imbarazzo
tanti politici», per Zanotelli.

La Tavola della Pace ha deciso di rompere con le tradizioni. Aldo
Capitini è ormai superato: i tempi sono cambiati, e sono abbastanza
maturi per affrontare il primo “sciopero della parola pace”, come l’ha
definito Flavio Lotti, coordinatore della Tavola.

Uno sciopero necessario, perché pace è una parola troppo abusata,
bistrattata, politicizzata. Uno sciopero che vuole “ricercare il
significato vero e profondo” della pace. Cioè gli aspetti pratici e
concreti: i diritti umani. La prossima marcia Perugia –Assisi, non più
per la pace, vuole sottolineare proprio questo aspetto, lo slogan
infatti è “tutti i diritti umani per tutti”.

Uno sciopero, però, che non cancella definitivamente la parola pace dalle
attività della Tavola: la marcia sarà preceduta dalla “Settimana della
pace”: 7 giorni di iniziative, incontri, assemblee, giornate a tema.
Inoltre, in parallelo alle attività italiane, si svolgerà a Nairobi
l’ottava edizione della Marcia della Pace (il 15 settembre), e, sempre a
Nairobi, una conferenza internazionale sui conflitti africani aperta a
giornalisti e ad esponenti politici chiave (dal 29 novembre al 1
dicembre).

Era proprio necessario dunque “mutilare” la storica marcia? O forse la
meditata riflessione è nata in seguito alle polemiche dell’edizione
2006, quando la Tavola della Pace decise di appoggiare l’invio di caschi
blu in Libano approvato dal governo Prodi?

«Una svolta sinistra» l’ha definita Enrico Euli, docente di peacekeeping
e gestione dei conflitti a Cagliari, ed esponente dei movimenti
nonviolenti. Una decisione, quella di abolire la “pace”, «coerente con
il percorso che la Tavola sta portando avanti da anni». Secondo Euli c’è
ormai una differenza abissale tra il pacifismo della prima marcia nel
’61, antimilitarista e non violento, e quello generico di oggi; «una
degradazione che è in corso da più di un decennio».
Pace come parola è ormai inutilizzabile, «si dovrebbe andare verso
visioni più radicali e più definite» per capire di cosa si intende. Ma
la scelta di sostituirla con la cultura del diritto «ancora più morta,
fallita e ambigua della parola pace, non solo non è una soluzione, ma è
proprio la matrice stessa del problema». La crisi del pacifismo sarebbe
determinata quindi dalla sua riduzione al solo aspetto giuridico. «Il
pacifismo è morto proprio perché lo si è fatto diventare solo pacifismo
giuridico, e non ha invece sviluppato tutti i percorsi tipici della
nonviolenza».

«Per pace intendiamo la costruzione di un sistema di giustizia
internazionale, vogliamo porre l’accento sul cosa permette di costruire
la pace», questo, secondo Lisa Clark di Beati i costruttori di pace, il
vero motivo che sta dietro la decisione della Tavola. Costruire la pace
presuppone il garantire diritti, il soddisfare bisogni. «In questo modo
non si appiattisce il significato della pace, ma lo si esalta. Si esalta
tutto il lavoro che c’è dietro la sua costruzione».

«Tanti politici alla marcia per la pace non si potevano accettare. In
questo modo li si toglie dall’imbarazzo», il primo commento di padre
Alex Zanotelli. Che prosegue: «Il valore della pace è sempre stato molto
a cuore a tanti, togliere il nome pace dalla marcia vuol dire toglierle
il cuore. Proprio quest’anno, per la prima volta noi ci presentiamo con
un governo amico che ha una pagella sulla pace estremamente pesante». In
finanziaria sono aumentate le spese militari, le esportazioni di armi
del 2006 hanno battuto il record di vendite degli ultimi 20 anni. «Ora
come non mai c’è bisogno di porre l’attenzione sulla parola pace, invece
che abolirla».
D’altra parte, l’Italia è ancora presente coi suoi militari in
Afghanistan; il nostro sottosegretario alla Difesa ha firmato accordi
con Washington per la costruzione di oltre 4000 F35; il nostro ministro
Parisi ha già firmato, assieme alla Polonia, l’accordo con gli Stati
Uniti sullo scudo spaziale. In coerenza, quindi, «nessuno di questi
ministri, sottosegretari, esponenti di partiti di governo, potrebbe
partecipare ad una marcia della pace». Ma alla marcia per i diritti
umani non potranno mancare.