Quelli che esportano i "diritti umani" all'estero / 2


PRIMO FLASHBACK:

DOPO 25 ANNI ROMPE IL SILENZIO SALVATORE GENOVA, 
UNO DEI LIBERATORI DEL GENERALE JAMES LEE DOZIER

«Nella polizia sono sempre esistite le squadre di tortura»


SECONDO FLASHBACK:

TRENTA ANNI DOPO L'ASSASSINIO DI GIORGIANA MASI

I video - il testo sulla lapide - la manifestazione del 12/5/2007 - scheda e ricostruzione storica



=== PRIMO FLASHBACK ===

«Nella polizia sono sempre esistite le squadre di tortura»

DOPO 25 ANNI ROMPE IL SILENZIO SALVATORE GENOVA, 
UNO DEI LIBERATORI DEL GENERALE JAMES LEE DOZIER

I concetti di Stato di diritto, di Stato democratico, postulano che anche
la lotta contro il terrorismo sia fatta con le armi della legalità:
proprio con l'uso di tali armi lo Stato si pone in antitesi con il suo
nemico. Fu questo il paradigma alla radice del processo ai liberatori del
generale James Lee Dozier, accusati di avere seviziato i brigatisti
catturati nel covo-prigione di via Pindemonte la mattina del 28 gennaio
1982. Alcuni uomini del Nocs, il neonato nucleo operativo centrale di
sicurezza, se da un lato inflissero alle Brigate Rosse la più importante
sconfitta militare sul campo, dall'altro si macchiarono di un delitto
intollerabile per la democrazia, sottoponendo gli arrestati a violenze
morali e fisiche mentre erano temporaneamente custoditi nella caserma
"Ilardi" di via Acquapendente, sede del Reparto Celere.

Oggi, a distanza di un quarto di secolo, rompe il silenzio Salvatore
Genova, ora dirigente della Polfer ma all'epoca commissario agli ordini
del quale agì la "squadretta punitiva". Genova era in servizio anche nei
giorni del G8 nel capoluogo ligure, «dove i superiori ci hanno lasciato in
cinquanta davanti a ventimila». In un'intervista rilasciata ad un
quotidiano genovese ha dichiarato che «fin dai tempi delle Br sono
esistiti nella polizia corpi speciali che hanno esercitato torture e
sevizie sugli arrestati». Erano soprannominati "i vendicatori della notte"
piuttosto che "i cinque dell'Ave Maria". E, guarda la coincidenza, ha
detto di avere più volte denunciato ai suoi superiori questi «mali
profondi della polizia».

Un tuffo nel passato. Alla sbarra per le torture ai brigatisti finirono,
oltre a Salvatore Genova, il maresciallo Danilo Amore, gli agenti Carmelo
Di Janni e Fabio Laurenzi, nonchè il tenente Giancarlo Aralla, in servizio
al reparto, cui era stato demandato il compito di vigilare sulle guardie
preposte alla custodia dei detenuti. Parte civile nel processo, dentro la
gabbia, l'"irriducibile" Cesare Di Lenardo, codroipese, che sta scontando
l'ergastolo. Di Lenardo fu tenuto bendato, ammanettato, a piedi nudi. Fu
sottoposto all'"algerina". «Mi portarono nelle docce. Sono stato disteso
su un tavolo di legno, legato mani e braccia, la testa penzoloni. Mi
riempirono la bocca di sale grosso e mentre uno mi teneva il naso tappato
facendo pressione sulle guance, cominciarono a versarmi acqua in bocca con
getti violenti, colpendomi con pugni allo stomaco in modo da costringermi
ad inspirare». Il brigatista tossiva per non soffocare. Un colpo di tosse
più forte degli altri gli provocò una lesione permanente al timpano. Non
solo. Lo infilarono nel bagagliaio di una Giulia e lo portarono fuori
dalla caserma. Fu il commissario Genova a dare l'ordine. A guidarli per le
vie della città c'era il tenente Aralla. Lo portarono in mezzo ad un
campo. Lo tirarono fuori dal bagagliaio. «Adesso ti spariamo», gli
dissero. E spararono per davvero. Una pistolettata in aria. Alle medesime
sevizie, appena più blande, furono sottoposti anche gli altri brigatisti
della colonna veneta comandata da Antonio Savasta. «Adesso t'ammazzo, mi
dicevano, e mi infilavano la canna della pistola in bocca. Perdevo
continuamente conoscenza. Ho ceduto quasi subito. Mi pareva di sentire
piangere Savasta...», fu la deposizione di Giovanni Ciucci. «Mi hanno
spogliata, tirato giù le mutande, strappato i peli del pube, torto i
capezzoli. Mi hanno spinta contro un tavolo minacciando di violentarmi con
un bastone. Ho risposto ad una domanda. E hanno smesso», dichiarò Emanuela
Frascella, la "vivandiera". Avrebbero parlato lo stesso. Savasta si era
"pentito" subito, appena steso sul pianerottolo della "prigione del
popolo".

Tutti colpevoli, sia pure con l'attenuante di avere agito per motivi di
"particolare valore morale e sociale". Condannati ad un anno di
reclusione, saranno poi amnistiati in Cassazione. Escluso Salvatore
Genova, nei confronti del quale il processo venne sospeso per essere stato
nel frattempo eletto deputato al Parlamento nelle file del Psdi. Proprio
colui che impartì gli ordini non fu mai processato.

Gabriele Coltro



=== SECONDO FLASHBACK ===

12 maggio 1977 - 12 maggio 2007

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IL VIDEO: 1977, L'UCCISIONE DI GIORGIANA MASI A ROMA


I FUNERALI DI GIORGIANA MASI


GIORGIANA MASI


12 MAGGIO 1977 - la polizia uccide Giorgiana Masi 




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Le foto della manifestazione per il 12 maggio


DISCORSO DI ORESTE SCALZONE PER GIORGIANA MASI


UN FIORE PER GIORGIANA MASI. 12 maggio 2007



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Se la rivoluzione d'ottobre

Fosse stata di maggio

Se tu vivessi ancora

Se io non fossi impotente di fronte al tuo assassinio

Se la mia penna fosse un'arma vincente

Se la mia paura esplodesse nelle piazze

Coraggio nato dalla rabbia strozzata in gola

Se l'averti conosciuta diventasse la nostra forza

Se i fiori che abbiamo regalato

Alla tua coraggiosa vita nella nostra morte

Almeno diventassero ghirlande

Della lotta di noi tutte donne

Se?.

 Non sarebbero le parole a cercare di affermare la vita

Ma la vita stessa, senza aggiungere altro

 
A Giorgiana Masi uccisa il 12 maggio 1977 dalla violenza del regime


Lapide sul luogo dell'uccisione a Ponte Garibaldi (Giovanna Sicari)



Se la rivoluzione d'ottobre

ritornasse ad ottobre ........


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12/05/2007

Giorgiana Masi

Scheda a cura di Paola Staccioli

Il 12 maggio 1977, nell'anniversario della vittoria referendaria sul divorzio, i radicali decidono di tenere un sit-in in piazza Navona, nonostante l'assoluto divieto di manifestare in vigore a Roma dopo la morte, il 21 aprile, dell'agente Passamonti nel corso di scontri di piazza. Il movimento e i gruppi della nuova sinistra aderiscono all'iniziativa, per protestare contro il restringimento degli spazi di agibilità politica e il pesante clima repressivo, favorito dall'appoggio esterno del PCI al cosiddetto "governo delle astensioni", il monocolore democristiano guidato da Andreotti. Per far rispettare, a qualsiasi costo, il divieto, il Ministro dell'Interno Francesco Cossiga schiera migliaia di poliziotti e carabinieri in assetto di guerra, affiancati da agenti in borghese delle squadre speciali, in alcuni casi travestiti da "autonomi". Fin dal primo pomeriggio la tensione è molto alta. A quanti difendono il diritto di manifestare con brevi cortei e fortunose barricate, le forze di polizia rispondono sparando candelotti lacrimogeni e colpi di arma da fuoco. Anche numerosi fotografi, giornalisti, passanti e il deputato Mimmo Pinto sono picchiati e maltrattati. Con il passare delle ore la resistenza della piazza si fa più decisa, e vengono lanciate le prime molotov. Mentre nelle strade sono in corso gli scontri, i parlamentari radicali protestano alla Camera contro le aggressioni e le violenze della polizia, fra gli insulti di quasi tutte le forze politiche. Mancano pochi minuti alle 20 quando, durante una carica, due ragazze sono raggiunte da proiettili sparati da Ponte Garibaldi, dove erano attestati poliziotti e carabinieri. Elena Ascione rimane ferita a una gamba. Giorgiana Masi, 19 anni, studentessa del liceo Pasteur, viene centrata alla schiena. Muore durante il trasporto in ospedale.
Le chiare responsabilità emerse a carico di polizia, questore, Ministro dell'Interno, porteranno il governo a intessere una fitta trama di omertà e menzogne. Cossiga, dopo aver elogiato il 13 maggio in Parlamento "il grande senso di prudenza e moderazione" delle forze dell'ordine, modificherà più volte la propria versione dei fatti. Costretto dall'evidenza ad ammettere la presenza delle squadre speciali - tra gli uomini in borghese armati furono riconosciuti il commissario Gianni Carnevale e l'agente della squadra mobile Giovanni Santone - continuerà però a negare che la polizia abbia sparato, pur se smentito da vari testimoni e dalle inequivocabili immagini di foto e filmati. L'inchiesta per l'omicidio si concluse nel 1981 con una sentenza di archiviazione del giudice istruttore Claudio D'Angelo "per essere rimasti ignoti i responsabili del reato". Successive indagini hanno tentato, senza risultati significativi, di individuare gli autori dello sparo mortale in un "autonomo" deceduto da tempo, oppure nel latitante Andrea Ghira, uno dei tre fascisti condannati per il massacro del Circeo.

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www.lestintorecheamleto.net

Manifestazione per gli 8 referendum radicali: a piazza Navona il palco per la manifestazione è pronto (ore 13), poco dopo su di esso si abbatte la furia delle forze dell'ordine e alle 13,30 si ha la protesta in Parlamento di Pannella: alle 13,40 la protesta di Balzamo e alle 13,45 quella della triplice sindacale. Alle 13,55 Cossiga si rifiuta di incontrarsi con una delegazione di parlamentari PSI, DP e PR in merito al divieto della manifestazione. 

Alle 14 Polizia e Carabinieri intensificano il blocco alle strade di accesso a Piazza Navona; alle 14,15 Cossiga afferma che piazza Navona non gode di alcuna forma di extraterritorialità che impedisca la presenza di forze dell'ordine. Il blocco è totale alle 14,15.

Alle 15 davanti palazzo Madama un primo pestaggio ha come vittime un gruppo di giovani radicali che portavano un tavolo per la raccolta delle firme; fra i picchiati il deputato Mimmo Pinto di LC. Poi la prima carica condotta da una trentina di carabinieri armati di fucile. Tre giovani sono duramente picchiati, ammanettati, caricati su un cellulare e condotti via. Vengono spintonati e picchiati anche giornalisti e fotografi: a questi ultimi si impone di consegnare i rullini impressionati.

Alle 15,30 Pannella giunge davanti a Palazzo Madama, poi telefona a Ingrao (presidente della Camera).

Alle 15,45 un funzionario di P.S. avvicina un gruppo di dimostranti (in corso Vittorio), dopo uno scambio di improperi ordina il primo lancio di candelotti. La gente fugge. Il cronista del Messaggero scrive: "Contro giovani che sostano sotto un arco avanza un altro reparto di P.S. partono slogans e il solito grido di "scemi, scemi,". La polizia risponde con sette-otto candelotti sparati ad altezza d'uomo. I manifestanti si ritirano, poi torneranno indietro e la scena si ripeterà. Fino a questo momento nella zona dei disordini non si sono visti "sampietrini" ne molotov". 

Ore 16: vengono notati (piazza della Cancelleria) per la prima volta uomini in borghese armati di pistola o pistola mitragliatrice, apparentemente in buoni rapporti con i poliziotti. Vengono sparati lacrimogeni a decine. La polizia ora carica di nuovo, violentemente: una quindicina di persone, tra cui molte ragazze e una donna anziana vengono travolte, cadono. Gli agenti circondano i caduti e colpiscono indiscriminatamente tutti con calci e manganellate. Viene colpita anche una donna anziana. Alcuni candelotti vengono sparati ad altezza d'uomo, altri contro le finestre e la gente che vi si affaccia: due centrano due finestre, in via dei Baulari e in vicolo dell'Aquila. Un candelotto sparato ad altezza d'uomo ha colpito (ore 18,30) la vetrina di un bar in Corso Vittorio, 248, ho chiesto al proprietario: "chi ha sparato? " "La polizia" mi è stato risposto. All'angolo di via dei Baulari c'è un giovane che sta camminando: dall'ultima camionetta parte un candelotto che lo colpisce in pieno, alle spalle, e lo fa finire tramortito a terra. Cinque agenti scendono, infuriano a calci sul giovane, poi risalgono sulla camionetta. In piazza della Cancelleria la polizia lancia una serie di cariche: è in questa occasione che si sentono i primi colpi di pistola (vedi film sul 12 maggio). Un agente sferra una manganellata alla nuca al fotografo Rino Barillari, de "II Tempo". Barillari cade, viene portato in ospedale: guarirà in dieci giorni. Un altro fotografo, Sandro Mannelli, del "Messaggero", viene colpito da un sasso alla nuca; sei giorni di prognosi.

Ore 16,20: in via Sant'Agostino un reparto di carabinieri risponde al grido di "scemi, scemi" con un lancio di candelotti ad altezza d'uomo. Un giovane viene colpito e rimane atterra.

Ore 16,30: Largo Argentina viene coinvolta nella "guerriglia"; l'aria è irrespirabile per il fumo dei candelotti: dieci persone a bordo di un autobus della linea 87 vengono colte da malore; vengono trasportate all'ospedale, gli si diagnostica un'intossicazione.

Ore 17: dimostranti cominciano ad affluire in Viale Trastevere (caricati a Piazza Navona e Campo dei Fiori).

Ore 17-17,30: nella zona di Piazza Navona e adiacenze ancora lancio di candelotti e blocco degli accessi in dette zone.

Ore 17,45: in Piazza della Cancelleria "ci sono agenti in borghese, sparano ad altezza d'uomo". In quattro o cinque portano via un ragazzo ferito a una mano. Un giovane riceve un candelotto in pieno viso, sull'occhio sinistro. Un altro ancora è ferito a una gamba. Fra gli agenti di Ps che aprono il fuoco viene ritratto in una foto Giovanni Santone, in forza alla squadra mobile.

Ore 18,15: compaiono le prime molotov (zona di Piazza Navona): due o tre al massimo. Ma sono in molti che urlano: "fermi siete pazzi". La situazione si fa sempre più tesa.

Ore 18,50: divergenze fra i dimostranti sui metodi con cui proseguire la "manifestazione". in realtà mai iniziata.

Ore 19,00: la violenza degli .scontri sembra diminuire. Poi verso le 19 l'allievo sottufficiale carabiniere Francesco Ruggieri, di 25 anni, viene ferito (ponte Garibaldi, lato  via Arenula) a un polso: la natura della ferita non è affatto chiara. Il fotografo di "Panorama". Rudy Frei, viene malmenato dalla polizia, che lo costringe a consegnare il rullino impressionato.

Ore 19,10: primi interventi in Parlamento: Pannella (PR), Corvisieri (DP), Ligheri (DC) Pinto (DP), Costa, Giovanardi, Magnani Noya Maria. In questa occasione Pinto denuncia l'aggressione subita e Pannella sferra un violento attacco al governo (latitante) .

Ore 19,45: due grosse motociclette dei vigili urbani arrivano sul lungotevere degli Anguillara, all'angolo con piazza Belli. Le montano tre vigili in divisa e un uomo in borghese, un vigile scende, impugna la pistola e spara ad altezza d'uomo, in direzione dei dimostranti in piazza Belli.

Ore 19,55: Parte, improvviso e preceduta da un fitto lancio di lacrimogeni, una carica da parte dei carabinieri e poliziotti attestati su via Arenula. Giorgiana Masi ed Elena Ascione vengono colpite quasi contemporaneamente, la Masi (accanto a cui era il suo ragazzo, Gianfranco Rapini) al centro di piazza Belli, la Ascione mentre fuggiva verso piazza Sonnino. Le testimonianze sono concordi: i colpi sono stati sparati da ponte Garibaldi, dove in quel momento, al centro, si trovavano carabinieri e poliziotti appoggiati ad una o due autoblindo. Le vittime vengono accompagnate all'ospedale: Giorgiana arriva già morta. Il bilancio finale della giornata: da parte civile si hanno un morto (Giorgiana Masi), 10 feriti da arma da fuoco e varie decine da corpi contundenti vari; da parte militare si ha un carabiniere (Francesco Ruggieri) ferito (non si sa da che cosa) ad un polso. Nei giorni seguenti viene arrestato Raul Tavani, condannato poi a circa 2 anni e 4 mesi per detenzione di materiale esplosivo.

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Storia di un processo mai svolto 

Millenovecentosettantasette


Riappropriarsi della storia, una storia vissuta in prima persona, è un modo per documentare stati d’animo e pensieri, per informare le generazioni future di un possibile verità su un periodo della nostra giovinezza vissuta con tanto ardore ed entusiasmo soffocati da eventi forse più grandi di noi.

Di fronte a tale obiettivo non dobbiamo lasciarci prendere da sentimentalismi o ricordi fini a se stessi, ma prendere atto con scientifica crudezza ciò che veramente sono stati gli anni cosiddetti  di “piombo”, in particolar modo l’anno 1977.

Le istituzioni 

In quell’anno ci furono grossi mutamenti in atto nello stato e nei partiti “statalizzati”. La politica era gestita da un governo delle astensioni, cioè il monocolore democristiano a guida Andreotti , sorretto dall’astensione di tutti i partiti di quello che allora si definiva l’arco costituzionale. Un governo nato dalle elezioni del 20 giugno 1976, il primo governo dopo il 1948, con il PCI non all’opposizione. 

Un sistema di democrazia “conflittuale” controllata, dovuta proprio all’ingresso del PCI nel governo. Cosicché i dirigenti e i singoli militanti del PCI si sono distinti per la difesa di ogni istituzione statale, per la volontà di repressione di molte lotte, per la asfissiante sollecitazione ai “sacrifici” rivolta ai lavoratori.

Il culmine del processo involutivo del PCI sarebbe stato rappresentato dalla legislazione di emergenza che nel ’77 diventa la base dell’accordo fra i partiti dell’arco costituzionale ed è stata la condizione per la cooptazione del PCI nell’area democratica e di governo: per la prima volta nella sua storia il PCI si è dichiarato favorevole a un massiccio restringimento delle libertà e delle garanzie costituzionali e si è impegnato in campagne ideologiche – ultima quella del referendum sulla legge Reale – dirette ad alimentare consenso popolare nei confronti del processo di restaurazione autoritaria.

ANDREOTTI G .         Presidente del Consiglio 

COSSIGA F .              Ministro degli Interni 

FANFANI A .             Presidente del Senato 

INGRAO P.                 Presidente della Camera 

MALFATTI                 Ministro Pubblica Istruzione 

L’appoggio comunista alla politica del  governo fa si che il conflitto si concentra verso il PCI oltre che verso la DC e lo stato. Tale scontro, nella sua applicazione concreta, ha prodotto centinaia di morti e feriti e nella stragrande maggioranza dei casi decisamente innocenti. E’ chiaro che si da alle forze di polizia l’impressione dell’impunità, si legittima l’uso dispiegato delle armi.

La gestione dell’ordine pubblico si fa pressante ed univoco verso la repressione di ogni contrapposizione al sistema. La legge Reale (1975) è la prima legge eccezionale per la tutela dell’ordine pubblico, chiamandola ordine pubblico costituzionale. Ciò significa ordine gerarchico di una società pacificata nelle sue contraddizioni di classe, attraverso militarizzazione e repressione feroce, portando di fatto alla trasformazione dello stato di diritto in stato di polizia.

Per i poliziotti e carabinieri che uccidono non solo immunità della pena, ma addirittura immunità dal processo. 

Ci sono grosse restrizioni contro chi manifesta il dissenso a tale sistema, ad esempio: 

articolo 5 riguardante i manifestanti 

Legge Reale  firmata da Leone , Moro, Gui.

Nel febbraio del ’76 viene nominato ministro dell’interno Cossiga  dal governo presieduto da Andreotti . A Roma il 2 febbraio ’77 vi è la prima apparizione dei poliziotti in borghese delle squadre speciali di Cossiga . 

Il quadro politico istituzionale si complica per effetto di un importante elemento di scontro fra stato e studenti: alla camera la commissione pubblica istruzione impegna Malfatti  a sospendere a tempi indeterminato la circolare sui piani di studio. La circolare vietava agli studenti di fare più esami nella stessa materia, e smantellava di fatto la liberalizzazione dei piani di studio in vigore dal ’68. Il progetto prevedeva l’introduzione di due livelli di laurea; la suddivisione dei docenti in due ruoli distinti (ordinari e associati); la creazione di una gerarchia piramidali di organi di gestione, dove ai professori ordinari era garantita la maggioranza; il controllo rigido sui piani di studio da parte dei docenti, l’abolizione degli appelli mensili e il raggruppamento degli esami in due sessioni estiva e autunnale; l’aumento delle tasse di frequenza, restando inalterato il fondo per gli assegni di studio. 

5 febbraio ’77 primo divieto di manifestare.

15 aprile ’77 il progetto di riforma Malfatti  viene approvato dal consiglio dei ministri. 

La vita politica e soprattutto sociale si configurava per opposte fazioni le quali necessariamente dovevano entrare in conflitto e quindi non vi era possibilità di crescita se non ad un caro prezzo. 

La Piazza 

La contestazione studentesca inizia sostanzialmente con il ferimento di Guido Bellachioma , studente del collettivo di Lettere dell’università di Roma, durante un’incursione nella città universitaria da parte dei fascisti del Fuan. A Lettere si discuteva della circolare Malfatti  e delle iniziative da intraprendere fra le quali l’abrogazione della stessa , l’autogestione dei seminari, garanzie per il no intervento della polizia nell’Università e creazione di un servizio d’ordine contro le provocazioni. 

Intanto si alza il livello di scontro ed aumentano le aggressioni in varie parti della città, vi sono le prime avvisaglie della copertura delle forze dell’ordine in fatti delittuosi da parte dei fascisti.

Un pomeriggio si tiene un presidio antifascista davanti all’istituto Fermi, contro il comizio di Almirante a Monte Mario. Alcuni fascisti della sezione del MSI di via Assarotti sparano contro i militanti di sinistra sotto gli occhi della polizia che presidia la sede missina. Verso le 17,30 alcune centinaia di giovani assaltano la sede del MSI. La polizia spara ed alcuni giovani e dei passanti vengono feriti. Sul posto vengono  ritrovati 200 bossoli di pistola.

Intanto la protesta contro la circolare Malfatti  si estende alle scuole medie e molti istituti vengono occupati dagli studenti che praticano l’autogestione. Le autogestioni impongono una presenza costante negli istituti e ciò favorisce la vulnerabilità degli occupanti di fronte alle incursioni dei fascisti. 

Si registrano i primi assalti alle scuole; davanti al Mamiani due giovani vengono feriti dai colpi di pistola di un commando fascista, uno in modo grave; al liceo Augusto un gruppo di missini della vicina sezione di via Noto aggredisce gli studenti con una fitta sassaiola. 

Gli studenti di sinistra sono bersaglio continuo da parte dei fascisti anche lontano dalle sedi scolastiche. Infatti a Roma, il 29 marzo, una squadra di fascisti delle sezioni missine di via Ottaviano e Balduina, va all’assalto di un ristorante frequentato da militanti si sinistra, all’arrivo della polizia i fascisti si coprono la fuga sparando raffiche di mitra, provocando il ferimento di un agente e di un giovane di passaggio. Altri intanto trovano riparo in una chiesa di via della Conciliazione, dal tetto sparano raffiche di mitra contro le volanti della polizia. Vengono arrestati undici fascisti, tra cui il figlio del giudice Alibrandi , che saranno rilasciati dopo pochi giorni. 

Nel frattempo il ministro dell’interno Cossiga  inasprisce i provvedimenti sull’ordine pubblico fino a vietare a Roma le manifestazioni per tutto il mese di maggio. 

Il 12 maggio, nella ricorrenza della vittoria referendaria sul divorzio, i radicali indicono una festa a piazza Navona a cui aderisce anche l’assemblea dell’università e i gruppi della nuova sinistra. Scoppiano gravi incidenti tra i partecipanti e la polizia, rinforzata nell’occasione da squadre “speciali” di poliziotti camuffate da manifestanti. La manifestazione viene attaccata a piazza Navona e a Campo di Fiori. A ponte Garibaldi le squadre speciali cossighiane uccidono Giorgiana Masi , studentessa di 19 anni del liceo Pasteur di Monte Mario. Gli scontri durano fino a tarda notte, almeno quattro manifestanti e un carabiniere vengono feriti da colpi di arma da fuoco. 

Il 16 maggio Cossiga  rivendica la legittimità delle squadre speciali e nega che i poliziotti abbiano fatto usa delle armi, viene smentito vergognosamente dalle foto e dai filmati che testimoniano l’uso massiccio delle armi da parte sia dei poliziotti in divisa che da quelli in borghese, quest’ultimi significativamente abbigliati come i manifestanti; il questore stesso conferma la presenza di almeno trenta agenti in borghese durante gli scontri.