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Estratto della Dichiarazione alla Conferenza Regionale (sezione europea) del Consiglio Mondiale della Pace (WPC)

 

Zivadin Jovanovic, Presidente Forum Belgrado per un Mondo di Eguali, Bruxelles, 14 giugno 2007

 

Signor Presidente, eminenti delegati, compagni, amici cari,

 

mi sia prima di tutto concesso di portarvi i più sentiti complimenti da parte dei membri del Forum per un Mondo di Eguali di Belgrado e i sinceri ringraziamenti per l’invito a partecipare alla Conferenza Regionale (sezione europea) del Consiglio Mondiale della Pace, cosi come all’incontro del Segretariato.

 

Allo stesso modo vorrei congratularmi con la dirigenza del WPC, in particolare con l’Onorevole Thanassis Pafilis, Segretario generale del WPC e i membri del Parlamento europeo, con Iraklis Tsavdaridis, Segretario esecutivo, insieme con il sig. Rui Namorado Rosa, Presidente della Conferenza, per l’eccellente organizzazione di quest’importante evento.

 

E’ importante che questo tipo di conferenze siano tenute al Parlamento europeo: coloro i quali hanno idee giuste riguardo a pace, cooperazione e progresso per l’intera umanità, devono essere ascoltati da quelli che devono prendere le decisioni.

 

Ora, col vostro permesso, vorrei esporre due questioni: prima, le conseguenze a otto anni dall’aggressione NATO a guida USA contro la Serbia (RFY); la seconda, il futuro status della provincia serba del Kosovo e Metohija.

 

L’aggressione NATO fu scatenata senza alcuna giustificazione e senza l’approvazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Quindi, l’uso della forza militare era privo di ogni legittimità. Durante i 78 giorni dell’aggressione, furono uccise tra le 3500 e 4000 persone, la maggior parte civili, inclusi bambini e disabili. Gli aggressori hanno usato armamenti proibiti come missili all’uranio impoverito, cluster bombs, bombe alla grafite, con conseguenze estremamente pericolose che dureranno decenni, secoli e alcune anche migliaia di anni. Il danno economico alla Serbia ammontava a oltre 100 miliardi di dollari USA. Quindi, l’aggressione NATO è stato un crimine contro l’umanità e la pace. Sfortunatamente, non è stato sanzionato come tale perché la magistratura internazionale non è indipendente, né imparziale.

 

L’aggressione NATO contro la Serbia (RFY), sebbene indirizzata duramente sulla Serbia e i cittadini serbi, nella sua essenza era una guerra contro l’Europa, alla quale l’Europa stessa stranamente partecipò. Era sul suolo europeo, ha distrutto persone e beni europei, ha avvelenato l’ambiente europeo lasciando destabilizzazione. In generale l’aggressione NATO del 1999 ha fatto regredire lo sviluppo e l’integrazione europea, inclusi gli accordi costituzionali.

 

L’aggressione è stata condotta in un’alleanza senza precedenti tra la NATO e un’organizzazione terroristica conosciuta come KLA (Kosovo Liberation Army o UCK, n.d.t.). Al tempo della costruzione dell’alleanza tra NATO e KLA, intorno alla fine del 1998, nessuno poteva supporre ciò che sarebbe accaduto l’11 settembre 2001, né gli attentati di Londra e Madrid e di altre città.

 

Così, una delle conseguenze dell’aggressione NATO è stata la radicalizzazione dell’elemento islamico, con una crescita della minaccia terroristica in Europa sud orientale e in tutto il continente. Ciò è in diretta correlazione con la diffusione del crimine organizzato internazionale, attraverso il traffico di droga, armi, esseri umani, ecc.

 

Nello stesso periodo siamo stati testimoni del potenziamento dei movimenti separatisti, cosa che ha condotto ad un’ulteriore frammentazione degli stati e alla proliferazione di quelli fantoccio. Dopo la distruzione della Repubblica Federale Serba di Yugoslavia (SFR) negli anni novanta, la stessa Repubblica Federale di Yugoslavia è stata divisa in due stati distinti, Serbia e Montenegro. Ora i paesi dell’occidente, in particolar modo USA, Gran Bretagna e Germania, sono impegnati nella divisione della Serbia tentando di imporre l’indipendenza del Kosovo e Metohija. L’ambasciatore tedesco a Belgrado ha pubblicamente minacciato: se il governo serbo rifiuta di accettare l’indipendenza del Kosovo e Metohija, l’Ungheria potrebbe reclamare la separazione della Vojvodina, i musulmani bosniaci la regione di Raska (Sangiaccato), gli albanesi tre distretti nel sud, e così via. E’ chiaro che gli stati fantoccio non possono essere sostenibili economicamente, né indipendenti, ma può risultare estremamente facile manipolarli. Questo, sicuramente, va contro gli interessi dei popoli della regione, contro la stabilizzazione ed è contrario al processo di integrazione in Europa.

 

La proliferazione degli stati fantoccio è stata accompagnata dalla moltiplicazione del numero di basi militari USA e NATO nell’Europa sud-orientale. Dopo l’aggressione NATO, nella regione ne sono state installate circa 15, inclusa la base “Bondsteel” in Kosovo e Metohija, considerata la più grande base americana del mondo. I governi di Bulgaria e Romania hanno accettato quattro basi NATO ciascuna. Considerate quelle in Grecia e Turchia, la regione dei Balcani risulta essere quella a più alta densità di basi militari straniere al mondo. Dopo la caduta del muro di Berlino, la NATO ha iniziato a trasferire parte delle forze militari dall’Europa centrale all’Europa sud-orientale. E’ quello di cui oggi ha bisogno questa regione? L’aggressione contro la Serbia del 1999 è soltanto una scusa per “correggere l’erronea decisione del generale Eisenhower durante la seconda Guerra Mondiale e collocare truppe americane (nei Balcani) con obiettivi strategici” (Willy Wimmer, lettera al cancelliere Gerhard Schroeder del 2 maggio 2000)?

 

Le basi NATO e USA nei Balcani sono parte integrante di una rete di basi in Europa (Germania, Ungheria). I piani per costruire le basi antimissili in Polonia e in Repubblica Ceca, le chiare intenzioni di avere basi NATO (USA) in Ucraina e Georgia, rientrano nel progetto strategico di creare una “linea di sicurezza” dal Mar Baltico all’Anatolia. Non è comunque chiaro quali pericoli stiano oggi fronteggiando USA ed Europa, da est e sud-est, che giustifichino la creazione di una tale vasta rete di basi senza precedenti, anche rispetto all’epoca della guerra fredda. La prevenzione del terrorismo internazionale non può essere la ragione, come il terrorismo non può essere combattuto, tanto meno sradicato, da un fronte di basi che va da nord-est a sud-est, né da sistemi missilistici intercontinentali. L’interpretazione più verosimile è che questa rete abbia a che fare con la strategia di accerchiamento della Russia, la regione del Mar Caspio, l’Asia centrale e il medio oriente. Capire il perché non dovrebbe essere difficile.

 

Dovrebbe essere notato che la diffusione di basi militari straniere coincide con la transizione, o processo di democratizzazione dei precedenti paesi socialisti basata sul modello di Washington. Questo modello, come insegna l’esperienza, include il generale l’indebolimento degli eserciti nazionali e il rafforzamento delle forze di polizia. È questo il “sistema di difesa comune”?

 

La Serbia è il paese con il più alto numero di rifugiati e trasferiti d’Europa. Più di 500.000 di loro non hanno possibilità di un libero e sicuro ritorno alle loro case in Croazia, Bosnia, o Kosovo e Metohija. Tutto quello che la Serbia ha ottenuto negli anni trascorsi sono state promesse, piani e programmi. Non molto più di questo. Per esempio, nel giugno 1999, quando l’UNMIK e la KFOR vennero per assicurare la sicurezza nella provincia, c’erano a Pristina circa 40.000 residenti serbi. Oggi, otto anni dopo, sono rimasti circa una centinaio di loro, quasi tutti anziani. Questa situazione è simile in quasi tutte le più grandi città.

 

All’epoca della preparazione dell’aggressione contro la Serbia (RFY), gli USA ottennero il sopporto e la partecipazione degli alleati europei lasciando intendere che questa sarebbe stata un’eccezione in cui la NATO avrebbe agito senza l’approvazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e fuori della zona d’influenza NATO, definita dall’atto fondativo dell’aprile 1949. Quasi immediatamente dopo l’aggressione gli USA rivendicavano, “ E’ chiaro che rappresenti un precedente che può essere invocato ogni volta, e sarà invocato”. Questo ha condotto all’invasione dei “volenterosi” in Iraq, anch’essa senza l’approvazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. L’Iran ed altri stati sono sotto minaccia delle stesse modalità di attacco. È meritevole registrare queste tattiche, perché USA e Gran Bretagna stanno oggi rivendicando il fatto che l’indipendenza della provincia serba del Kosovo e Metohija sarebbe un’eccezione, un “caso unico”, e non un precedente. Cosa in realtà stanno cercando di fare è di ammorbidire il rifiuto e i dubbi di molti stati che ragionevolmente temono che il “caso dell’indipendenza del Kosovo” possa aprire il vaso di Pandora e trascinarsi dietro le pulsioni separatiste per tutta Europa e nel mondo.

 

Venendo ora al problema della provincia del Kosovo e Metohija dovrebbe essere notato che esso rappresenta un vecchio e profondamente radicato problema. La capitale medievale di stato serba era Prizren, la sede della Chiesa serba era a Pec. La grande maggioranza della popolazione era serba fino alla fine del XIX secolo. E’ vero, comunque, che dopo la conquista della Vecchia Serbia da parte dell’impero Ottomano, c’è stato un continuo processo di spinta dei serbi dal Kosovo e Metohija verso nord, e di insediamento degli albanesi. Questo processo è stato anche accelerato dall’Austria-Ungheria, dall’Italia fascista di Mussolini e dalla Germania nazista di Hitler. Ancora a cavallo tra il XIX e il XX secolo, i serbi rappresentavano metà della popolazione della provincia. Per non menzionare il fatto che tutta la topografia è rimasta, da allora fino ad oggi, in lingua serba, i più antichi monumenti culturali appartengono alla cultura serba, ecc. Notare questo, è necessario perché l’opinione pubblica in Europa e nel mondo ha acquisito l’erronea convinzione che i problemi nel Kosovo e Metohija siano sorti perché apparentemente Slobodan Milosevic abolì l’autonomia della provincia, praticò una massiccia violazione dei diritti umani degli albanesi, ecc. Tribunali in Germania, per esempio, non accettarono questa interpretazione.

 

Dopo che la provincia passò sotto il mandato dell’ONU, nel giugno 1999, il terrorismo e la pulizia etnica dei non-albanesi continuò. Approssimativamente 300.000 fra serbi e non-albanesi sono stati cacciati, 150 monasteri serbi medievali e chiese sono state distrutte, e circa 2500 persone assassinate, o scomparse. Nessuno è stato riconosciuto colpevole e imprigionato per chiari crimini terroristici. Oggi, otto anni dopo, la rimanente comunità serba nella provincia vive sotto la costante paura per la loro vita, senza libertà di movimento e senza gli altri diritti umani fondamentali. Molti di loro vivono in enclavi circondate da reti di filo spinato. I profughi, vittime della pulizia etnica, non possono fare ritorno alle loro case perché nessuno garantisce loro la sicurezza.

 

La maggior parte degli impegni della comunità internazionale sotto la risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, gli standard di sicurezza, la legalità, i diritti umani, il libero e sicuro ritorno dei rifugiati e deportati, non sono stati attuati. La decisione dell’ONU che prevede il ritorno di un numero contenuto di esercito e polizia serbi nella provincia è attualmente ignorato, nonostante sia in logica relazione con le garanzie ONU sulla sovranità e integrità territoriale serba.

 

Sotto il mandato dell’ONU, con la sua presenza militare come KFOR e UNMIK come civile, la provincia è diventata un “paradiso sicuro” per ogni tipo di criminali e un trampolino per il terrorismo dell’estremismo islamico attraverso l’Europa. E’ inoltre diventata il luogo di maggiore concentrazione di armamenti illegali in Europa e forse nel mondo. Solo questo, tralasciando altri problemi, rappresenta una seria minaccia alla pace e alla stabilità. Nonostante ciò è ignorato.Il governo provvisorio è guidato da Agim Ceku, uno dei dirigenti del KLA, primo comandante d’artiglieria durante gli attacchi del 1995 in Croazia contro la popolazione civile serba, presente nelle liste Interpol dei ricercati per gravi crimini contro l’umanità. Ha rimpiazzato Ramus Haradinaj, altro leader del KLA, nel ruolo di provvisorio primo ministro, attualmente sotto processo al tribunale dell’Aja per le uccisioni di massa dei serbi e di altri civili nella provincia. Entrambi sono stati insediati da UNMIK e KFOR.

 

Per farla breve, la missione ONU, UNMIK e KFOR, a guida NATO, ha molto poco per essere accreditata e molto di più invece per essere considerata un fiasco.

 

Oggi, il problema del futuro status del Kosovo e Metohija è diventato uno dei temi scottanti nell’agenda delle più influenti organizzazioni e meeting internazionali: Consiglio di Sicurezza dell’ONU, Summit dei G8, Summit Russia-USA, UE e OSCE.

 

L’aggressione NATO del 1999 è stata fermata dopo che tre importanti documenti sono stati negoziati in numerosi incontri con trattative molto complicate e finalmente adottati. Questi sono: il Documento di Belgrado Milosevic-Ahtisaari-Chernomyrdin del 3 giugno; l’Accordo di Kumanovo del 9 giugno; la risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU del 10 giugno 1999. In tutti la comunità internazionale, inclusi i membri permanenti del CS dell’ONU, UE, NATO, OSCE, G8, avevano da un lato, oltre agli altri provvedimenti, unanimemente garantito il pieno e durevole rispetto dell’integrità territoriale e della sovranità della Serbia (RFY), e dall’altro l’essenziale autonomia per lo status del Kosovo e Metohija.

 

Gli USA e la Gran Bretagna stanno tentando di omettere e anche di nascondere questi documenti e garanzie, nonostante essi fossero il perno della fine della guerra contro la Serbia (RFY) nel giugno 1999. Non dovrebbe essere tardi per mattere in risalto che questi accordi, approvati dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, rimangono la base per la pace e la stabilità nella regione, oggi e in futuro. Queste potenze stanno provando oggi, in “ambito democratico” di ottenere, con manipolazioni e doppi giochi, più di quello che hanno conseguito otto anni fa attraverso un’aggressione militare senza precedenti. Contrari alle garanzie di sovranità e integrità territoriale della Serbia date al governo di Slobodan Milosevic, oggi sostengono che Milosevic aveva perso la provincia e che le attuali autorità “democratiche” in Serbia non hanno responsabilità per questo, e ci si aspetta solo che riconoscano formalmente questo fatto! O, almeno, che non si oppongano alla sottrazione forzosa del 15 percento del territorio della stato. Ancora, le stesse potenze hanno iniziato le negoziazioni di Vienna sul futuro status della provincia con Marti Ahtisaari come interlocutore delle Nazioni Unite. I colloqui sono durati circa un anno ma Marti Ahtisaari e il suo deputato austriaco Albert Rohan hanno speso molte energie in diversi problemi tranne che sul più importante, il futuro status della provincia. Ciononostante, hanno presentato al Consiglio di Sicurezza dell’ONU la proposta che il Kosovo e Metohija dovrebbe essere uno stato indipendente. Supervisionato ma indipendente!

 

I colloqui di Vienna sono stati concepiti come parte della tecnica di giustificazione mediatica del progetto di indipendenza. Questi colloqui sono stati progettati e diretti dal duo Ahtisaari-Rohan per mostrare all’opinione pubblica che le parti non concordano e per camuffare il modo di imporre la secessione del 15 percento del territorio dello stato serbo. In sostanza, i colloqui di Vienna sono stati la ripetizione, o la seconda parte, dei cosiddetti colloqui di Rambouillet all’inizio del 1999, che erano stati studiati per aprire la strada all’aggressione NATO, aggressione incominciata il 10 marzo 1999. E’ evidente che gli americani avevano promesso alla dirigenza del KLA l’indipendenza della provincia già nel 1988, e sulla base di questa promessa le forze del KLA hanno agito come corpo terrestre della NATO durante l’aggressione. Come altre rivelazioni nel frattempo confermate, tutto questo è stato parte del piano per far cadere il presidente Slobodan Milosevic, ritenuto un ostacolo alla strategia USA e NATO nella regione.

 

E’ divenuto chiaro che la destabilizzazione di Milosevic ed il cambio di potere in Serbia nell’ottobre del 2000 non ha mutato in meglio la politica anglo-americana verso la Serbia. Anzi l’opposto. Non accettano di confermare neanche con la “amichevole e democratica” dirigenza gli accordi presi con il nemico Milosevic, alla fine dell’aggressione del 1999. Un discreto numero di politici americani va ripetendo apertamente che è negli interessi americani creare uno “stato musulmano moderato (Kosovo) nel cuore dell’Europa”, cercando così di provare che gli USA sono amici dei musulmani nel mondo. Allo stesso modo, gli americani stanno lavorando sodo per rivedere gli Accordi di pace di Dayton-Parigi sulla Bosnia e imporre uno stato dominato dai musulmani. Praticamente la Serbia è trattata dagli USA come moneta di scambio per riconciliarsi col mondo musulmano. La Serbia rifiuta con indignazione questo trattamento. L’Europa è felice riguardo alla politica americana di installare un nuovo “stato musulmano moderato nel cuore dell’Europa”?

 

Nel portare avanti questo piano, gli anglo-americani comunque incontrano alcune difficoltà inaspettate, se non ostacoli insuperabili. La prima è la politica e il consenso nazionale dei serbi a rigettare qualsiasi proposta che porti alla divisione del territorio dello stato, al cambiamento dei confini internazionali, a ogni forma di indipendenza della provincia. Questa posizione è diventata parte integrante della Costituzione adottata con referendum nazionale. La seconda è il fermo atteggiamento della Russia in opposizione ad ogni proposta che non sia in accordo con i principi universali del diritto internazionale, con le decisioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, e con le istanze di entrambe le parti, Belgrado e Pristina. I paesi della regione e oltre, benché sotto la tremenda pressione di Washington per allinearsi, temono che supportando, o riconoscendo l’indipendenza della provincia contro il volere della Serbia, potrebbe realizzarsi un vero e proprio precedente per molti altri paesi che affrontano movimenti separatisti di minoranze. Tali movimenti sono attivi non solo nei Balcani e nelle cosiddette regioni post-sovietiche, ma anche in alcuni paesi membri dell’UE. Questo spiega perché sarebbe molto difficile assicurare il consenso all’interno dell’UE sull’imposizione della separazione della provincia dalla Serbia. Così lo status del Kosovo e Metohija potrebbe divenire un tema sensibile non solo nelle relazioni atlantiche, ma anche all’interno dell’UE stessa. Arricchire la discussione su sicurezza comune e politica estera!

 

Per neutralizzare le ovvie riserve e i rifiuti all’idea di un Kosovo e Metohija indipendente, i rappresentanti americani, incluso recentemente il presidente George Bush, stanno affermando che “il caso del Kosovo (indipendenza) è unico” e di conseguenza non può essere un precedente. Questo, comunque, difficilmente può convincere qualcuno. Ci sono così tanti casi “unici”. In aggiunta, tutti ricordano che l’amministrazione Clinton aveva già promesso ai suoi alleati europei che l’aggressione della NATO contro la Serbia (RFY) sarebbe stata “unica”, non un precedente, ma subito dopo lo divenne per l’aggressione contro l’Iraq. E’ anche usata per fermare il programma nucleare iraniano. Durante la sua recente visita in Albania e a Sofia, il presidente Bush, in tipico stile americano, ha pubblicamente offerto un accordo a Belgrado: accettazione dell’indipendenza del Kosovo in cambio dell’appoggio USA all’ingresso della Serbia nell’UE!

 

Quali dovrebbero essere gli elementi per una proposta ragionevole?

 

Primo, la proposta di Ahtisaari non è frutto di negoziati ma dettata da una posizione di forza. Viola i principi di base del diritto internazionale, i principi della Carta dell’ONU e il documento finale di Helsinki (OSCE) e la risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (1999). Questa proposta comunque è stata rigettata da Serbia, Russia, Cina e altri paesi. Non può avere l’approvazione e il supporto del Gruppo di contatto, Consiglio di Sicurezza dell’ONU, OSCE, UE, Movimento dei Paesi non-allineati e altre organizzazioni. Perciò dovrebbe essere abbandonata. Reali e significative negoziazioni dovrebbero aprirsi tra il governo della Serbia e le istituzioni provvisorie nella provincia, sotto gli auspici dell’ONU, con l’obiettivo di ricercare una soluzione di compromesso, senza pregiudizi e limiti temporali artificiali.

 

Secondo, il rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale della Serbia è fuori da ogni discussione e accordo. La struttura del futuro status della provincia consiste nell’autonomia e nell’autogoverno all’interno della Serbia, come previsto dalla risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Quanto a forma, sostanza e garanzie dell’autonomia, gli esempi e standard europei dovrebbero essere seriamente esaminati traendone il meglio per entrambe le parti, regolati e applicati (esempio del Sud Tirolo, Isole Aland, e altri). La provincia deve essere smilitarizzata.

 

Terzo, parallelamente con i negoziati, passi concreti devono essere fatti nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU per il ritorno libero e sicuro alle loro case dei circa 250.000 rifugiati. Ricostruzione delle case, monasteri e chiese distrutte, in cooperazione con le organizzazioni internazionali competenti ed eroganti.

 

Quarto, piena realizzazione della risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (1999), incluso il ritorno di un numero limitato di esercito e polizia serbe nella provincia; questa risoluzione fu adottata sulla base di negoziazioni e riconosciuta della Serbia (FRY), quindi non può essere abolita, rimpiazzata né cambiata senza il consenso della Serbia.

 

Quinto, solo le decisioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU basate su negoziati saranno considerate legali, valide e vincolanti per tutti. Ogni decisione o passo, sia unilaterale che multilaterale, che contravvenga ai principi di base del diritto internazionale, o alle concrete decisioni delle Nazioni Unite, come la risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, saranno considerate nulle e non valide.

 

In chiusura, vorrei sottolineare che la soluzione sul futuro status del Kosovo e Metohija avrà sicuramente un impatto non solo sulla stabilità della Serbia e dei Balcani, ma sull’intera Europa e anche sul futuro delle relazioni globali. Vorrei che quest’impatto fosse positivo, in favore della pace, stabilità e progresso per tutti i popoli. Sarà così se la legge e la giustizia prevarranno sull’arroganza e l’imposizione. Vi ringrazio.

 

Traduzione dall’inglese per www.resistenze.org a cura del Forum Belgrado Italia