– D’Orsi risponde a Orsi “Mentre in economia la moneta buona scaccia la cattiva, nell’ambito della ricerca storica sta accadendo il contrario, e la menzogna sta vincendo” (Noi Restiamo)
La norma è passata con 234 sì, 8 astenuti e 3 no. Ora il testo approda alla Camera. Plauso dalla Comunità ebraica. Gattegna (UCEI): "Pagina importante della storia del nostro Paese"...
Il "responsabile" (parola grossa...) di CasaPound Torino, in questa intervista dichiara che le foibe sono delle "rocce caucasiche"...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=zbHNYx0SkoI
Quando nel 2004 venne istituito il “Giorno del ricordo” per commemorare le vittime delle foibe e l’esodo giuliano-dalmata l’Italia della “seconda repubblica” stava confusamente cimentandosi, attraverso una convergenza bipartisan, nella riscrittura della storia nazionale per legge.
La narrazione del passato aveva da sempre rappresentato un terreno di scontro politico tra i partiti e l’uso pubblico della storia in chiave revisionista aveva segnato non solo la crisi del paradigma fondativo della democrazia, l’antifascismo, ma soprattutto la piena legittimazione di una “dualità memoriale”, quella dei vinti equiparata a quella dei vincitori, nella quale le ragioni e i torti delle parti in conflitto venivano portate a sintesi da una semplificazione di linguaggi, gesti simbolici ed elementi di fatto che lambivano la parificazione di vittime e carnefici.
L’istituzione del “Giorno del ricordo”, impropriamente indicato nella ricorrenza della firma del Trattato di Pace di Parigi del 1947 visto che le violenze delle foibe si verificarono nel settembre ’43 e poi nel maggio ’45, si collocò come fattore di “riequilibrio” memoriale tra la sinistra e la destra come se la storia fosse una coperta con cui avvolgere la propria legittimità politica anziché faticosa verifica di fatti e processi complessi.
La riscrittura “condivisa” delle vicende storiche italiane comportò l’oblio su questioni centrali della nostra identità nazionale come il consenso al fascismo, le leggi razziali o i crimini di guerra compiuti dalle truppe del regio esercito, e rimasti impuniti, in Jugoslavia, Grecia, Albania, Urss e nelle colonie africane.
Le ragioni politiche di quello sciagurato “patto sulla memoria” coincisero con le esigenze dei partiti della seconda repubblica che riaffermarono su quel terreno la rispettiva legittimità a guidare il paese nella democrazia dell’alternanza.
Tutto ciò all’alba della nascente “terza repubblica”, quella senza Senato elettivo e imperniata sul Cancellierato forte, potrebbe apparire addirittura superato. Il fattore storico-memoriale sembra aver perduto da un lato la centralità valoriale della legittimità democratica, rappresentata dall’alterità fascismo-dittatura; antifascismo-libertà, e dall’altro quel significato generale di lettura e senso del rapporto tra passato e presente in grado di connettere tra loro vissuti e vicende generazionali tanto distanti a settant’anni dalla Liberazione.
In questo quadro, con la crisi della rappresentanza acuita da quella economica, il conflitto sulla memoria cambia forma e tende a risolversi in un complesso unificante quanto identitariamente indefinito che forse meglio di ogni altra cosa si identifica con la nozione del “partito della nazione”. L’oblio sui crimini di guerra italiani piuttosto che le strumentalizzazioni politiche delle drammatiche vicende del confine orientale e delle foibe sembrano perdere la loro stessa alterità, inglobate da una narrazione a-conflittuale, e tendenzialmente vittimaria, che tutto tiene insieme e dunque tutto equipara in modo indolore.
Così, aperto il settennato con la visita alle Fosse Ardeatine, il neo Presidente della Repubblica celebra pochi giorni dopo il “Giorno del ricordo” e l’immagine complessiva appare sempre più sfocata in un quadro della rappresentazione della storia patria che abbandonando la rielaborazione critica del passato si concentra sulla centralità di un presente senza storia.
* storico - da http://ilmanifesto.info
CLAUDIA CERNIGOI (nella registrazione a 14'15'') ha elencato casi precisi di falsificazione, nomi, cognomi e date da ricordare; FEDERICO TENCA MONTINI (nella registrazione a 45') ha fatto un ottimo excursus attraverso più di un ventennio di involuzione culturale e civile del nostro paese, per la quale la propaganda su "foibe ed esodo" rappresenta un perfetto collante bipartisan ("Ricordare la tragedia delle #Foibe è un dovere per chiunque creda nella memoria come fondamento della #Nazione": queste le parole inequivocabili di Mariastella Gelmini lo stesso giorno); ANGELO D'ORSI (nella registrazione a 70'15'') ha efficacemente smontato la... storiografia modello "Porta a Porta" invalsa da troppi anni, che alla conoscenza (episteme) preferisce la opinione (doxa) e che solo apparentemente equipara tutte le "opinioni" possibili, in realtà invertendo vittime e carnefici, aggrediti e aggressori. "Per noi il fascista era e rimane il vero straniero", ha concluso D'Orsi.
Ne è seguito un breve ma interessante DIBATTITO (nella registrazione a 101').
In merito ai contenuti espressi nell'iniziativa, ovviamente, nessuno spazio è stato concesso sui media: "Repubblica" ha dato voce al solo Preside di Economia, Renzo Orsi. Censura accademica e censura mediatica vanno a braccetto e si potenziano l'una con l'altra.
Il collettivo "Noi restiamo" occupa lo spazio e accusa: "Attacco grave". La replica: "Nessuna censura, ma non accettiamo attività di parte"
di ILARIA VENTURI
"E allora le Foibe? Revisionismo di Stato e bombardamento mediatico", il titolo del manifesto firmato dal collettivo - con le sigle Partito comunista d'Italia, Rete dei comunisti, Sinistra, classe e rivoluzione, l'associazione "Il manifesto in rete" e Sempre in lotta" - che in Facebook ha gridato alla censura. "Parlare in chiave storica e contestualizzare momenti sensibili della nostra storia viene vietato, si chiude la bocca a chi si oppone al revisionismo. E' un attacco grave".
Intervista di Jacopo Venier alla giornalista e storica Claudia Cernigoi (10/2/2015)
Fonte: pagina FB "FalceMartello", 10/2/2015
https://www.facebook.com/falcemartello/posts/927098453977066
Bologna e giornata del ricordo delle foibe: l’Università nega un’assemblea antirevisionista!
La “giornata del ricordo” è stata istituita nel 2004 per ricordare le foibe, e da allora la campagna di revisionismo e nazionalismo è dilagato nelle Tv, nelle scuole e nelle università, con tanto di pennivendoli chini alla causa del recupero della “memoria”. Non è passato neanche un mese dall’attento a Charlie Hebdo che ha fatto dire a tutti di essere dei difensori della libertà d’espressione e ci troviamo di fronte all’ipocrisia dell’Università di Bologna.
Per il 10 febbraio Sinistra Classe Rivoluzione e Sempre in Lotta, insieme al Cordinamento Nazionale per la Jugoslavia e altre realtà di sinistra di Bologna, hanno promosso un’iniziativa da tenersi nell’università, tra i relatori c’erano anche gli storici Claudia Cernigoi e Angelo D’Orsi. L’intento era chiaramente quello di mettere in luce la questione delle foibe e i crimini del fascismo nei Balcani, volutamente taciuti nelle commemorazioni ufficiali.
Questa mattina il preside della facoltà di economia ha deciso di negare lo spazio perché l’iniziativa era “politica”. E’ stata una chiara presa di posizione con l’intento di negare la parola a chi nel clima di unità nazionale che si è creato in questi anni non si riconosce. L’assemblea è stata fatta comunque nell’aula prenotata grazie all’occupazione nella mattina di quello spazio e l’assemblea è riuscita.
Questa è la dimostrazione che la storia è storia di lotte di classe, come scrivono Marx ed Engels nel Manifesto del Partito Comunista, e che la storia ufficiale è quella della classe dominante e scritta per difendere i suoi interessi. Sinistra Classe Rivoluzione e Sempre in Lotta continueranno a lottare per invertire i rapporti di forza che ci porteranno a gettare nella spazzatura decenni di marciume revisionista.
Aggiornamento - Intorno alle 13.30 l'aula 3 della facoltà di Economia dell’Alma Mater di Bologna è stata occupata da studenti e attivisti della Campagna Noi Restiamo. Mentre scriviamo una decina di attivisti delle diverse realtà promotrici dell'iniziativa stanno presidiando l’aula in attesa dell'arrivo dei relatori per poi proseguire con il dibattito come previsto prima della revoca dell'autorizzazione da parte del preside di Economia.
Il quale questa mattina si è fatto vivo con gli organizzatori ribadendo quanto comunicato alcune ore prima: “Si tratta di una iniziativa di tipo politico per la quale non intendo concedere un’aula universitaria”. Ed è proprio in questa frase che si rende esplicita la complicità dell’Università con il suo asservimento all’ideologia dominante, economicamente e culturalmente, e nega quindi il suo ruolo di istituzione pubblica e di formazione indipendente. “E’ questa la 'libertà d’espressione' a cui esattamente un mese fa il premier Renzi faceva appello nella sua visita a Bologna dal palco dell’Aula Magna di Santa Lucia, richiamandosi ai valori di un occidente pronto alla guerra su tutti i fronti”, scrive Noi Restiamo in un comunicato.
Di base, il suo regolamento prevede la concessione di aule universitarie al fine di “valorizzare l’immagine dell’Alma Mater”, ma quanto accade oggi è la dimostrazione che così non è, quando si tratta di mettere in discussione la celebrazione e la base ideologica della cosiddetta "Giornata del ricordo", istituita nel 2004 per cancellare dalla memoria storica l’espansione imperialista che l’allora Regno d’Italia compiva sul suo confine Nord-Orientale ai danni della popolazione slava.
ore 12.00 - Era prevista per oggi pomeriggio l’iniziativa “E allora le foibe”, all’interno di un’aula della Facoltà di Economia dell’Alma Mater bolognese. Un incontro dibattito organizzato da varie realtà sia locali che nazionali come il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia, Noi Restiamo, PCL, Rete dei Comunisti, Ass. Il manifesto, Sinistra classe rivoluzione e Sempre in Lotta.
Un’iniziativa diretta a contrastare l’ondata di revisionismo mediatico e istituzionale sulla questione delle foibe, di cui ricorre oggi il memoriale, e che il comune di Bologna affronterà venerdì con un approccio unilaterale e antistorico utilizzando uno spettacolo di Simone Cristicchi, da qualche anno improvvisatosi menestrello di una versione ufficiale che fa acqua da tutte le parti e che è frutto di un inaccettabile compromesso propedeutico allo sdoganamento politico dei fascisti.
Un’iniziativa, quella prevista per oggi pomeriggio, che avrebbe visto storici e scrittori - tra cui Claudia Cernigoi (giornalista e ricercatrice storica), Angelo d’Orsi (storico dell’Università di Torino) e Federico Tenca Montini (autore del libro "Fenomenologia di un martirologio mediatico") – fornire una ricostruzione storica, documentata e contestualizzata di ciò che avvenne al confine orientale italiano a partire dall’occupazione fascista dei territori slavi.
Questa mattina invece, l’Unibo ha improvvisamente revocato la prenotazione dell’aula, creando tra i promotori dell’iniziativa il sospetto che l’istituzione universitaria agisca in maniera subalterna rispetto a input politici e diktat provenienti dalla sfera politica, in barba alla ricerca storica e all’indipendenza intellettuale.
A metà mattinata, appena ricevuta l’incredibile notizia, i promotori dell’iniziativa di oggi pomeriggio hanno dato vita ad un presidio in Piazza Scaravilli, davanti alla facoltà di Economia, per denunciare l’inaccettabile voltafaccia dell’Università e chiedere con forza che l’Ateneo torni ad essere un luogo di confronto, di dibattito e di conoscenza e non feudo di diktat revisionisti.
Di seguito il comunicato di Noi Restiamo:
"Oggi, 10 febbraio: giorno del ricordo, ovvero del revisionismo storico di matrice razzista e fascista, l’università di Bologna chiude la bocca a chi cerca di portare informazione e cultura in mezzo a questa colossale operazione di revisionismo storico.
Gli studenti della campagna Noi Restiamo occupano l’aula 3 di Piazza Scaravilli per permettere lo svolgimento di un’iniziativa di approfondimento storico regolarmente prevista nel pomeriggio.
Questa mattina il preside Orsi della Scuola di Economia ha deciso infatti di vietare l’iniziativa. E’ questa la "partecipazione studentesca" immaginata dal preside Orsi e dal rettore Dionigi, paladini di Renzi e dell’UniPD.
E’ questa la "libertà d’espressione" a cui esattamente un mese fa il premier Renzi faceva appello nella sua visita a Bologna dal palco dell’Aula Magna di Santa Lucia, richiamandosi ai valori di un occidente pronto alla guerra su tutti i fronti.
Un attacco grave che cade come una tagliola sopra le bocche di chi vuole portare analisi e informazione nel vivo del dibattito partecipato e democratico delle proprie città, con un metodo spaventosamente simile a quello utilizzato tre settimane fa dal prefetto di Milano per ostacolare un’assemblea degli/delle attivist* No Expo.
Oggi 10 febbraio, giorno che da qualche anno le istituzioni hanno deciso di dedicare al revisionismo storico sui fatti intorno all’espansione imperialista che l’allora Regno d’Italia compiva sul suo confine Nord-Orientale ai danni della popolazione slava, il professore Renzo Orsi, preside della Scuola di Economia, Management e Statistica dell’Università di Bologna ha pensato bene di iniziare la giornata affermando di voler negare la concessione di un’aula della Scuola da lui presieduta, nella quale è regolarmente prevista un’iniziativa di approfondimento storico, di informazione e dibattito proprio su queste tematiche. Un momento di studio extracurricolare al quale contribuiranno docenti universitari, giornalisti e scrittori con le loro relazioni, invitati da programma dagli organizzatori della onlus Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia, e alla cui realizzazione la campagna giovanile e studentesca Noi Restiamo ha dato il suo contributo insieme a tante altre realtà. Negarne lo svolgimento con una presa di posizione autoritaria come quella portata avanti dalle istituzioni universitarie questa mattina è un atto in piena coerenza con le politiche dell’Unibo, ormai UniPD. In coerenza col rettorato di Dionigi (impegnato a creare un sistema di polizia dentro la zona universitaria e a rendere effettiva la Riforma Gelmini), con la presidenza di Orsi (la Scuola di Economia sta facendo da apripista nel taglio degli appelli a sfavore degli studenti in difficoltà e dei lavoratori precari) e di tutto il sistema ateneo, volto a creare un clima culturale e politico atto a favorire il ricatto ai lavoratori precari dell’Università, la competizione tra i giovani precari, la speculazione edilizia e la compatibilità con quel modello di memoria condivisa che non è altro che l’ideologia dei governi delle larghe intese e dell’estremismo di centro che da anni governano l’Unione Europea dell’austerità, della lotta di classe verso il basso e delle aggressioni militari.
Accorriamo numerosi all'Aula 3 di Piazza Scaravilli".
Grave la decisione dell’Università di Bologna di revocare l’autorizzazione per il Convegno sulle Foibe previsto per oggi pomeriggio.
Si vuole, e purtroppo non è un caso isolato in Italia, censurare ed ostacolare ogni voce non omologata alla versione revisionista che è diventata l’unica versione ammessa dalle istituzioni.
Particolarmente grave i fatti di oggi vedano come protagonista di questo ennesimo episodio di censura un Preside dell’Università di Bologna, che avrà ritenuto a suo modo non politicamente corretto e opportuno ospitare una iniziativa di approfondimento non conforme alle veline istituzionali. Una dimostrazione lampante di come la tanto sbandierata libertà di opinione va bene solo se funzionale ai valori e agli interessi dei potenti di turno, dal PD di Renzi all’Unione Europea.
Esprimiamo solidarietà a tutti i partecipanti e organizzatori dell’evento a partire dal Coordinamento nazionale per la Jugoslavia.
Rete dei Comunisti Bologna
Dopo l’articolo di ieri in cui Repubblica Bologna riportava un’intervista al prof. Orsi (il quale in giornata aveva tentato di vietare lo svolgimento di un’iniziativa in Università), riportiamo la nostra posizione e le parole che ci ha rilasciato il prof. D’Orsi (che di quell’iniziativa è stato magistrale relatore)
Ci rincresce profondamente constatare che il prof. Orsi, preside della Scuola di Economia, Management e Statistica, abbia frainteso la nostra volontà di creare un dibattito serio e storicamente puntuale su quanto accaduto lungo il confine italo-jugoslavo durante la guerra di Liberazione, scambiando il convegno per una sterile celebrazione del “Giorno del Ricordo”. Ovviamente non era questo il nostro intento, e di certo non volevamo raggirarlo; infatti siamo rimasti stupiti quando ci è stata revocata la concessione dell’aula in cui tenere il suddetto convegno, per di più poiché trattavisi di un approfondimento storico proprio sul merito delle questioni che durante questa data vengono affrontate.
Tale revoca è avvenuta perché “si tratta di una iniziativa di tipo politico per la quale non intendo concedere un’aula universitaria”, come ci ha comunicato il preside della facoltà, lamentando inoltre la mancanza del famigerato contraddittorio, strumento sempre utile per tappare la bocca a chi chiede di avere voce e per screditare convegni ed iniziative (e non ci è stato affatto richiesto di “aprirci almeno al confronto”, cosa che sarebbe comunque avvenuta dopo la revoca).
Guarda caso però, se ne fa uso sempre e soltanto quando qualcuno pretende di andare oltre le versioni ufficiali e le mistificazioni, cercando quella verità che dovrebbe essere ciò a cui ogni ricercatore, studioso o intellettuale di sorta dovrebbe tendere. Mentre Orsi non perde comunque un secondo a ribadire con pericolosa leggerezza che in questi anni la ricerca storica ha “sufficientemente chiarito questi fatti”: cioè? D’altra parte, volendo essere l’iniziativa aperta (per questo la scelta di un’aula universitaria) anche il preside sarebbe potuto venire ad assistere e “a fare il contraddittorio”, anche se gli accademici storici che hanno tenuto l’incontro gli avrebbero spiegato che non bastano certo quattordici anni a completare una ricerca storica, e che certamente questa non può essere conclusa con una legge.
A tal proposito il prof. D’Orsi ci tiene a specificare che “forse sarebbe meglio se gli economisti facessero gli economisti e lasciassero agli storici lo spazio che compete loro, per un reciproco rispetto della deontologia che dovrebbe caratterizzare entrambe le accademie”. E aggiunge: “questa moda di intendere il dibattito storico come tribuna in cui prevedere un contraddittorio, una serata di Porta a Porta in cui a Cernigoi [giornalista e ricercatrice storica, ndr] si opponga magari Parietti, è una visione distorta contro cui gli storici seri si battono da anni. La ricerca storica prevede una sua metodologia, non è il regno della doxa ma dell’episteme, tramite la quale tentare di raggiungere la verità per ciò che è stata”. Più specificatamente “sui fatti intorno alla questione delle foibe non è stato dimostrato assolutamente nulla di nuovo. Si sta solo operando un rovesciamento della verità, una raccolta di fandonie e senso mistificatorio senza fatti concreti che sostengano qualcosa di diverso da ciò che già era noto. Purtroppo mentre in economia, come il prof. Orsi sa bene, la moneta buona scaccia la moneta cattiva, negli ambiti culturali e della ricostruzione storica sta avvenendo il contrario, la moneta cattiva sta cacciando quella buona, e la menzogna sta vincendo sulla realtà”.
Fa specie quindi che sia proprio l’istituzione universitaria a tentare di impedire lo svolgimento di quello che è stato un convegno storico e di approfondimento sulla questione foibe e sull’istituzione del Giorno del Ricordo.
Fa specie che a negare lo spazio per un dibattito pubblico sia quella stessa Università da cui il nostro premier Matteo Renzi ha inaugurato l’anno accademico inneggiando alla libertà d’espressione e ricordando i morti di Charlie Hebdo.
Fa specie che questo avvenga a poca distanza dalla decisione spaventosamente simile assunta alcune settimane fa dal prefetto di Milano, quando il tentativo di boicottaggio e criminalizzazione ha colpito la convocazione di un’assemblea pubblica delle/gli attivist* No Expo.
Sulla giornata del ricordo e sulle foibe si è parlato molto, troppo anzi; e troppo spesso a sproposito, in modo dozzinale ed ideologico, senza documenti, senza portare alla discussione fatti ma solo congetture, ipotesi, opinioni, assurte a verità di stato con la legge n.92 del 30 marzo 2004, quando venne istituita questa ignobile ricorrenza che dimentica colpevolmente i venticinque anni di occupazione italiana e fascista prima, e tedesca e nazista poi, di quelle zone, che dimentica l’italianizzazione forzata, la chiusura delle scuole, il razzismo esplicito verso gli slavi, le violenze, gli abusi, i campi di concentramento, le fucilazioni di massa e le torture.
Si ricordano solo gli italiani. Non importa se fossero gerarchi fascisti, collaborazionisti delle SS, o criminali di guerra.
E quindi ci viene propinata la “memoria condivisa”, ci viene detto che repubblichini e partigiani erano in fondo uguali, che i morti italiani sono morti di tutti, e quindi sono patrioti, anche se erano torturatori di partigiani o stupratori, anche se incendiavano case o fucilavano civili disarmati.
Ebbene, noi ieri abbiamo voluto rivendicare il diritto al dissenso, il diritto a non accettare supinamente una “realtà di stato” che ricostruisce una storia artefatta ed ideologica in cui gli italiani sono sempre “brava gente”, indipendentemente da chi fossero realmente. Non ci piegheremo alla logica della memoria condivisa che mette sullo stesso piano vittime e carnefici, torturati e torturatori, oppressi ed oppressori. Non lo facciamo quando si guarda al passato, e continueremo a non farlo nel rispetto di quei tragici avvenimenti del presente in cui purtroppo la cultura istituzionale persevera nel mantenere un approccio distorto, ipocritamente equidistante e interessato in maniera neanche troppo celata, come nei confronti dell’occupazione dei territori palestinesi e dell’aggressione alla popolazione del Donbass.
Questa logica ha portato allo sdoganamento dei neofascisti di Casapound e Forza Nuova, che sono da anni liberi di organizzare eventi e convegni dai temi più beceri, o possono impunemente propagandare la loro ideologia nelle piazze di Bologna, mandare in coma un compagno a Cremona, ammazzare due senegalesi a Firenze, pestare a morte un ragazzo a Verona, accoltellare, sprangare e compiere ogni sorta di nefandezza. Tanto poi verrà sempre fatto passare (e quindi immagazzinato nella testa delle persone) come “rissa da bar”, “gesto di un folle”. E questo porta a sviare la realtà dei fatti, così come si è riusciti a sviare la realtà storica sulla vicenda delle foibe: non ci sono oppressi ed oppressori ma solo gli “italiani brava gente”.
Per questo la nostra coerenza, stanti l’ipocrisia e la mistificazione attualmente dominanti in ogni faziosità propinata come “super partes” dalle istituzioni, ci obbliga a scegliere una strada partigiana, in direzione contraria a quella di un potere costituito che riesce sempre più a superare a destra le posizioni dei fascisti che tanto bene sguazzano nell’Unione Europea dell’austerità e della lotta di classe dall’alto, e che riesce al contempo a dare loro nuova linfa e nuova legittimità. Con questa stessa determinata posizione continuiamo a contrastare fascismi vecchi e nuovi al fianco di quella parte sana di società che vi si oppone aldilà delle retoriche, e proseguiremo sulla via intrapresa finora, la quale segnerà la sua prossima tappa per le strade di Roma sabato 28 febbraio, quando la calata dei Lanzichenecchi capeggiati da Salvini sarà contrastata da una mobilitazione popolare e di massa nel solco dei migliori valori della resistenza partigiana.
E la Rete si ribella e chiede le dimissioni di Tiziano Rosati, ma lui replica: «Le vittime vanno onorate tutte, ma occorre combattere chi cerca di semplificare e stigmatizzare la realtà»
ARTICOLO | MAR, 10/02/2015 - 18:21 | DI STEFANIA TOMBA
In un passaggio significativo il testo recita: «Con la giornata del 10 febbraio si istituzionalizza la mitologia di una popolazione italiana cacciata dalla sua terra, quando in realtà i territori dell’Istria e della Dalmazia, che con la Prima Guerra Mondiale l’Italia aveva occupato militarmente, non erano mai stati abitati da popolazioni italiane, se non in minima parte».
Nella giornata del Ricordo è immediata la reazione della rete contro il consigliere comunale del quale si arrivano a chiedere le dimissioni.
Sdegno e vergogna sono espresse da Fratelli d'Italia, Azione giovani, Scelta Civica tramite singoli rappresentanti che condanno in coro la presa di posizione definita unanimente «inaccettabile».
Agli attacchi Rosati così risponde: «E' dovere civico di ognuno di noi, oggi e tutti i giorni dell'anno, tenere viva la memoria di quanto accadde, onorando le vittime della barbarie umana che, nel nome della patria, spinse l'Europa a guerre sanguinarie per tutto il corso del novecento: la tragedia delle foibe e degli esuli del confine orientale deve essere parte integrante della nostra memoria storica.
Credo che sia però altrettanto doveroso - scrive Rosati - combattere chi cerca di semplificare e stigmatizzare la realtà al solo fine di nascondere e far passare in secondo piano le vicende storiche che determinarono quegli atroci fatti. Le responsabilità dell'Italia e del regime fascista nella gestione di quella che fu una vera e propria pulizia etnica ai danni del popolo slavo, non può essere taciuta e deve diventare anch'essa parte della nostra memoria, se vogliamo davvero rendere giustizia ai morti di cui oggi tutti si riempiono la bocca».
L'Huffington Post
Pubblicato: 10/02/2015
A chi gli ha domandato se le tragedie delle Foibe e della Shoah siano paragonabili, il consigliere democratico ha risposto: "Assolutamente no, con la Shoah siamo in presenza di un genocidio che per caratteristiche e per quantità ha rappresentato e rappresenta un fatto che non ha paragoni nella storia e dall'altra parte siamo in presenza di fatti cruentissimi legati alla guerra e al periodo immediatamente successivo, che come tali vanno considerati". La polemica poi si trasferisce su twitter: "Renzi, devi prendere pubblicamente le distanze da tal Onorio Rosati", gli chiede un utente. Un altro: "Qualche buonista come Onorio Rosati non ricorda. Pd complimenti"; e così via, tanti altri attacchi diretti al consigliere del Partito democratico.
Foibe, La Deriva replica alle critiche di Finco
Avendo l’incontro da noi organizzato sollevato polemiche e discussioni, pensiamo sia utile esprimere alla città il nostro punto di vista in merito a tutto questo polverone. Ci interessa sopratutto riprendere le affermazioni che il consigliere regionale leghista Finco si è preso la libertà di esprimere, pur non avendo partecipato alla serata. Evidentemente abbiamo qualcosa da dire a proposito delle “foibe”, dato che da anni interveniamo sul tema con assemblee ed incontri con ricercatori, storici, giornalisti ed esperti, come molti altri gruppi in Italia. Di questa complessità non si fa certo carico il sig. Finco che, a testa bassa, carica lo storico e ricercatore da noi invitato per l’occasione, da lui arbitrariamente apostrofato come “scrittore negazionista non desiderato in città”.
Ricordiamo al consigliere che, qualsiasi sia la sua opinione in merito, Sandi Volk non è uno scrittore ma uno storico, che da anni si occupa della storia del confine orientale durante la II guerra mondiale. Il suo intervento a Bassano ha inquadrato il “fenomeno foibe” su un piano di lungo periodo, avvalendosi di un lavoro meticoloso e ampiamente documentato. È questo modo di procedere che opponiamo alle semplificazioni ideologiche espresse dal consigliere negli ultimi giorni. Inoltre nel comunicato il consigliere regionale arriva a minacciare persecuzioni contro chiunque interpreti il “Giorno del ricordo delle foibe e dell’esodo” in modo diverso da quello di cui si fa promotore. Questo atteggiamento denigratorio e persecutorio non è certo una novità, caso mai ci sorprende un po’ che un esponente leghista si affidi così ciecamente alle norme dello stato italiano.
Vorremmo peraltro ricordargli che la legge venne promulgata “al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”; non il semplice “ricordo delle sue vittime” come afferma Finco. Gli ricordiamo che la stessa legge afferma che in occasione della Giornata del Ricordo “è altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende”.
Proprio delle vittime si è parlato, con una analisi riguardo alle persone alla cui memoria lo stato italiano concede il riconoscimento in questa giornata. Dai dati finora disponibili si tratta di 267 persone, purtroppo (ma preferiamo per fortuna) molto lontane dalle decine di migliaia vagheggiate dal consigliere Finco. Si è parlato delle modalità – alquanto discutibili – di attribuzione dei riconoscimenti con alla mano i dati biografici di coloro alla cui memoria vengono attribuiti. Se avesse partecipato all’incontro il consigliere avrebbe potuto sentire un’analisi della vicenda dell’esodo fuori dagli stereotipi prodotti dalla persistente strumentalizzazione politica, di cui evidentemente anche lui è promotore. Non c’è stata nessuna negazione, ma il tentativo di capire, fuori da luoghi comuni e semplificazioni, cosa sia accaduto.
La narrazione delle foibe è stata recuperata dal primo governo Berlusconi (precisamente da Alleanza Nazionale) nell’ambito di un vasto progetto culturale volto a ridefinire la percezione del fascismo e della Guerra di Liberazione, così da legittimare gli eredi politici dell’esperienza di Salò, svalutando la Resistenza. L’apice di questo progetto viene raggiunto nel 2004 con l’istituzione del “Giorno del ricordo delle foibe e dell’esodo”, due settimane dopo la ricorrenza della “Giornata della memoria”, nel tentativo di elevare questi fatti poco conosciuti in ambito nazionale ad una dignità pari a quella degli stermini perpetrati dai fascisti e dai nazisti. Accostare lo sterminio nazista ad altri fenomeni di uccisione di massa avvenuti con differenti modalità, tecniche ed in altri contesti è uno dei principali metodi utilizzati dal negazionismo, quello vero, per sminuire i crimini nazifascisti.
Resta da precisare che questa ricorrenza ha avuto ripercussioni significative sui rapporti con Croazia e Slovenia, tanto da generare una grave crisi diplomatica con quei paesi, che spinse il presidente Napolitano, in occasione della ricorrenza del 2009, a precisare: “questo riconoscimento umano e istituzionale non ha nulla a che vedere col revisionismo storico, col revanscismo e col nazionalismo […] la memoria che coltiviamo innanzitutto è quella della dura esperienza del fascismo e delle responsabilità storiche del regime fascista, delle sue avventure di aggressione e di guerra”. Infine, per quanto riguarda i comunicati emessi in questi giorni da un paio di componenti della destra neofascista, preferiamo non entrare nemmeno nel merito. Sarebbe tempo perso.
Assemblea Antifascista Bassanese – Spazio Sociale La Deriva