Onorificenze e altre cronache dell'Italia fascista


0) Iniziative a ORVIETO (TR), 27-28 marzo 2015

1) Caso Mori: Lettera alla Gazzetta di Parma (G. Caggiati)
2) La vicenda di Dario Pitacco nelle onorificenze agli infoibati (C. Cernigoi)
3) Foibe, 300 fascisti di Salò ricevono la medaglia per il Giorno del Ricordo (A. Fulloni)
4) Vandalizzata a Roma la lapide a Ugo Forno (G. Calisti)
5)  Perchè Porzus sì e Malga Silvagno no? (U. De Grandis)
6) Albano, cittadini rinviati a giudizio per manifestazione contro Priebke (ANPI)
7) La cittadinanza onoraria a Cristicchi per Magazzino 18 a Trieste? Anche no... (M. Barone)
 

Sul caso di Paride Mori si vedano anche:

Sulle onorificenze ai fascisti repubblichini e criminali di guerra italiani si vedano anche:

Sulla propaganda attorno ai fattti di Porzûs si vedano anche:

Su Simone Cristicchi e "Magazzino 18" si vedano anche:


=== 0: INIZIATIVE SEGNALATE ===

ORVIETO (TR)

...e questo è il fiore del Partigiano, morto per la Libertà!
Nell'Anniversario dell'Eccidio di Camorena, 29 marzo 1944 – 29 marzo 2015

VENERDI 27 MARZO 2015
alle ore 10:30 nel Palazzo dei Sette – Sala del Governatore
iniziativa riservata agli studenti
DRUG GOJKO

SABATO 28 MARZO 2015
alle ore 17:00 nel Palazzo dei Sette – Sala del Governatore
QUESTIONE ORIENTALE. Verità e mistificazione mediatica sulle foibe
Conferenza di ALESSANDRA KERSEVAN – storica


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Lettera alla Gazzetta di Parma sul caso Mori

Egregio Direttore,

meraviglia non poco che famigliari e amici di Paride Mori, fascista combattente convinto e riconosciuto tale da loro stessi, insistano nel rivendicare per Mori una medaglia da parte della Repubblica italiana nata dalla Resistenza antifascista, che si prepara a celebrare il 70esimo anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La contraddizione è stridente.

Famigliari e amici di Mori usano allora l’argomento dell’amor patrio profuso e dimostrato da Mori nel difendere l’Italia dalle “orde barbariche criminali dei partigiani comunisti slavi di Tito”. Ma nemmeno questo argomento regge.

Paride Mori fu combattente volontario, non più giovanissimo, col grado di capitano del Battaglione bersaglieri volontari «Mussolini» della R.S.I., la Repubblica Sociale Italiana di Salò guidata da Mussolini nata dopo l’8 settembre 1943 per iniziativa della Germania nazista e da questa sostenuta. I militari della RSI nelle zone del confine nordorientale con la Jugoslavia erano sotto il comando diretto dei Tedeschi. Non si può certo dire che combattere al servizio della Germania nazista sia una bella dimostrazione di amor patrio per l’Italia!

Gli jugoslavi di Tito, da parte loro, avevano tutte le ragioni per combattere contro l’Italia fascista che nell’aprile ’41 aveva aggredito e invaso, pochi giorni dopo la Germania nazista, la Jugoslavia senza che la stessa Jugoslavia avesse fatto alcun male all’Italia! Italia fascista che poi tenne occupati diversi territori della Jugoslavia e in modo feroce e crudele (p.e. Lubiana, città gemellata dal ’64 con la nostra Parma, dove nessuno parlava l’italiano, allora fu fatta provincia d’Italia e con uccisioni, massacri, campi di concentramento per tanti civili sloveni). Mentre la Resistenza jugoslava guidata da Tito divenne il più grande esercito popolare partigiano d’Europa, considerato e riconosciuto a livello internazionale innanzitutto dagli alleati inglesi, americani, sovietici, ecc.

“Italianità” e amor patrio per l’Italia, per l’Italia democratica antifascista che poi a guerra terminata scelse la Repubblica e scrisse la Costituzione del ’48, una delle più belle del mondo, semmai hanno dimostrato i quarantamila soldati italiani sul fronte jugoslavo che l’indomani dell’8 settembre ’43 decisero di combattere contro il nazifascismo come partigiani  italiani, col tricolore italiano, al fianco dell’Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo, così riscattando l’Italia dall’onta in cui il fascismo l’aveva gettata. Semmai a questi italiani, della “Divisione Italiana Partigiana Garibaldi” ecc., dovrebbero andare il ricordo e la riconoscenza della Repubblica nata dalla Resistenza. 

Giovanni Caggiati
21/3/2015


=== 2 ===

https://www.facebook.com/LaNuovaAlabarda/posts/221785531325354

Pagina FB de La Nuova Alabarda, 14/3/2015

Come NON si scrive la storia. La vicenda di Dario Pitacco nelle onorificenze agli infoibati

Nel 2009 fu conferita alla sorella di Dario Pitacco l’onorificenza prevista dalla legge sul Giorno del ricordo, con questa motivazione: "sorpreso dai titini nel maggio del ’45, mentre cercava di issare il tricolore sulla torre del Municipio, dopo la liberazione della città da parte del CLN, fu imprigionato e non si ebbero più notizie" (sul Piccolo del 11/2/09, episodio che si trasforma così, sul Piccolo del 17/12/08: “il ragazzo ucciso dalle truppe slovene il 1° maggio 1945 per avere issato la bandiera italiana”).
Partendo quindi dal presupposto che non si sa se il giovane Pitacco sia stato ucciso sul posto o deportato, andiamo a leggere, nel diario del tenente colonnello Antonio Fonda Savio (che era il comandante di piazza del CVL durante l'insurrezione di Trieste e dovrebbe quindi essere considerato fonte attendibile, quantomeno non tacciabile di "filo-slavocomunismo) la descrizione di quanto avvenne tra il 30 aprile ed il 2 maggio al Municipio di Trieste.
<... incontro (pomeriggio del 30 aprile, n.d.r.) il maggiore Juraga della Guardia civica che con un piccolo reparto rientra dal Municipio. Egli mi riferisce che al palazzo municipale si erano presentate delle “stelle rosse” con l'intenzione di prenderne possesso, che egli ha discusso con loro e che dopo una breve permanenza esse se ne sono andate, ma che per evitare eventuali conflitti egli ha ritirato i suoi, lasciando a presidiare il Comune soltanto una decina di Vigili urbani. Poiché ritengo che il Municipio, per ragioni morali e materiali, debba essere tenuto più saldamente, ordino al maggiore Juraga di rioccupare il Municipio. Al caso le stelle rosse ritornassero, esse dovranno essere accolte cameratescamente quali collaboratori nella cacciata del tedesco. L’ordine viene eseguito immediatamente ed il reparto di patrioti assieme alle stelle rosse più tardi sopraggiunti, terrà fermamente il palazzo municipale fino alla sera del 2 maggio, difendendolo dai tedeschi e rispondendo fieramente al fuoco dei pontoni armati che dalle rive di piazza Unità lo bersagliano intensamente, arrecandovi non pochi danni>
(In A. Fonda Savio, "La resistenza italiana a Trieste e nella Venezia Giulia", a cura di R. Spazzali, Del Bianco 2006).
Sembra logico supporre che se un ragazzo del CVL fosse stato ucciso dai "titini" in quell'occasione, il comandante di piazza lo avrebbe annotato nel suo Diario. Non è forse più probabile che il giovane Pitacco sia stato ucciso dall'artiglieria tedesca che bersagliava il Municipio?


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http://www.corriere.it/cronache/15_marzo_19/foibe-criminali-guerra-fascisti-300-combattenti-rsi-medaglie-ricevute-il-giorno-ricordo-49b164a6-ce59-11e4-b573-56a67cdde4d3.shtml

Foibe, 300 fascisti di Salò ricevono la medaglia per il Giorno del Ricordo 

Le onorificenze concesse dal governo per celebrare le vittime delle Foibe. Tra i commemorati decine di repubblichini, di cui 5 accusati di uccisioni, torture e saccheggi 

di Alessandro Fulloni

Medaglie di onorificenza «in riconoscimento del sacrificio offerto alla Patria» per circa 300 combattenti di Salò (tra cui almeno 5 criminali di guerra accusati di avere torturato e ucciso a sangue freddo). Partiamo dall’inizio. Le decorazioni sono state concesse dai governi a partire dal 2004 in memoria delle vittime delle foibe come previsto dalla legge istitutiva del Giorno del Ricordo. La promosse l’esecutivo Berlusconi su proposta di un gruppo di parlamentari: in prevalenza Fi e An, ma non mancavano esponenti Udc e del centrosinistra. Oltre alla conservazione della memoria, il testo disciplina la consegna delle medaglie ai familiari delle vittime sino al sesto grado. Onorificenze estese a chiunque, tra Friuli e Slovenia, sia stato ucciso «per cause riconducibili a infoibamenti». Ovvero, nel periodo che va dall’8 settembre a metà del 1947, a seguito di «torture, annegamenti, fucilazione, massacri, attentati in qualsiasi modo perpetrati». Con queste «maglie» assai larghe, tra i commemorati sono stati inseriti profili controversi. Stando almeno a carte provenienti dall Jugoslavia ma anche dall’Italia.

Le carte dall’Italia e dalla Jugoslavia

Nell’elenco di coloro che hanno ricevuto quello stemma «in vile metallo» - così lo definisce il provvedimento che alla Camera venne approvato con soli 15 voti contrari e all’unanimità al Senato - compaiono cinque nominativi che secondo i documenti conservati a Belgrado, presso «l’Archivio di Jugoslavia», sono «criminali di guerra». Gente che - anche prima dell’8 settembre, raccontano quelle carte - a seconda dei casi ha ucciso e torturato civili italiani e jugoslavi, ammazzato a sangue freddo, incendiato case, saccheggiato, ordinato fucilazioni di partigiani e segnalato gente da spedire nei lager in Germania. Si tratta del carabiniere Giacomo Bergognini, del finanziere Luigi Cucè, dell’agente di polizia Bruno Luciani, dei militi Romeo Stefanutti e Iginio Privileggi e del prefetto Vincenzo Serrentino (il cui nome è citato anche nel relazione della commissione d’inchiesta parlamentare «sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti»). I primi tre, raccontano fonti diverse, sia italiane sia slave, «scomparsi» o «dispersi» a partire dai primi giorni del maggio 1945, verosimilmente gettati nelle foibe. Il quarto «ucciso da slavi». Il quinto «infoibato». Il sesto, prefetto a Zara (occupazione nazista, amministrazione Rsi) catturato dai partigiani di Tito e fucilato nel 1947 dopo essere stato condannato da un tribunale jugoslavo.

Una vicenda emersa per caso

Uno scenario, questo dei combattenti Rsi ricordati dalle medaglie, emerso per caso dopo che lo scorso 10 febbraio al capitano dei bersaglieri Rsi Paride Mori - ucciso il 18 febbraio 1944 «in un agguato organizzato dai partigiani titini [ http://www.corriere.it/cronache/15_marzo_16/bersagliere-rsi-che-combatteva-titini-governo-potrebbe-revocare-medaglia-giorno-ricordo-c70cfe9e-cc18-11e4-990c-2fbc94e76fc2.shtml, quelli con cui stava combattendo aspramente da mesi» per stare alle parole del figlio Renato - per mano ] del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio è stata dedicata la medaglia del Giorno del Ricordo. All’Anpi e in altre associazioni antifasciste si sono accorti però che Mori era sì un bersagliere. Ma repubblichino (il neologismo coniato da Radio Londra [ http://www.corriere.it/cronache/15_marzo_19/foibe-criminali-guerra-fascisti-300-combattenti-rsi-medaglie-ricevute-il-giorno-ricordo-49b164a6-ce59-11e4-b573-56a67cdde4d3.shtml). Circostanza di cui si appreso solo dopo che dal comune di Traversetolo, nel Parmense, dove il soldato era nato, il sindaco ha deciso di revocare ] la dedica di una strada al bersagliere di Salò inizialmente passata nell’indifferenza. 

Lunedì 23 la commissione decide sul dossier Mori

Da qui in poi, polemiche a non finire. A seguito delle quali è arrivato il mezzo ripensamento di Delrio che in un tweet ha chiarito che «se la commissione che ha vagliato centinaia di domande ha valutato erroneamente, il riconoscimento dovrà essere revocato». Appunto: una decisione che potrebbe essere presa già lunedì 23, quando il gruppo di esperti (10 in tutto: tra cui rappresentanti degli studi storici della Difesa, degli Interni e della Presidenza del consiglio e da storici delle foibe) prenderà in mano il dossier Mori. 

I 300 militi della Rsi

Che però potrebbe rivelarsi il meno problematico. L’elenco aggiornato dei medagliati per il Ricordo comprende più di 1.000 persone. Molti di questi sono civili spariti nelle Foibe perché vittime di rappresaglie titine. E altri - i casi eventualmente da riconsiderare, una cifra che oscilla tra i 270 e i 300 a seconda delle fonti - militari inquadrati nelle formazioni di Salò. Carabinieri dell’esercito regio confluiti nella Rsi. Al pari di poliziotti e finanzieri. Militi, volontari nella Guardia Nazionale Repubblicana. Fascisti «idealisti e patrioti» come il capitano Mori che - è il ricordo del figlio - risulta «essersi opposto ai rastrellamenti ordinati dai tedeschi: lui combatteva i titini, non gli italiani». 

I 5 criminali di guerra

Ma nella lista ci sono almeno 5 criminali di guerra, secondo quanto stabilito dalla giustizia jugoslava. Il carabiniere Bergognini - era l’8 agosto 1942 - partecipò a un raid nell’abitato di Ustje, in Slovenia. Case incendiate, famiglie radunate nel cimitero, picchiate. Sino a che 8 uomini «vennero presi, torturati di fronte a tutti e uccisi con il coltello o con il fucile». Il finanziere Cucè spedì nei lager e fece fucilare «diversi patrioti antifascisti» torturando gente così come fecero l’agente Luciani e i militi Privileggi e Stefanutti. Testimonianze (che sono riferite ai loro reparti) raccontano di «occhi cavati, orecchie tagliate, corpi martoriati, saccheggi nelle case». Serrentino, tenente nella Grande guerra, fiumano con D’Annunzio, fece fucilare decine di persone nella città di Zara, di cui era prefetto. Vicende, queste delle efferatezze commesse dai fascisti medagliati, ricostruite da due storici in lavori diversi: Milovan Pisarri (italiano che vive a Belgrado) e Sandi Volk (sloveno residente a Trieste). 

«A Belgrado i documenti dell’esercito regio»

Pisarri - lavori sulla Shoah e uno in uscita sul Porrajmos, l’Olocausto dei nomadi - ha raccolto i dossier sui criminali di guerra italiani studiando documenti a Belgrado, all’Archivio Jugoslavo. Scuote la testa, ora: per le mani si è ritrovato non solo le accuse basate sulle testimonianze delle vittime. Ma anche« fascicoli in italiano, ordini e disposizioni provenienti soprattutto dall’esercito regio in rotta nei Balcani». Materiale «ancora da studiare, importantissimo». Volk (che è componente della commissione consultiva del Comune di Trieste per il Civico Museo della Risiera di San Sabba-Monumento nazionale) si è invece occupato del conteggio dei repubblichini commemorati nel Giorno del Ricordo. «Con quelli di quest’anno si arriva a 300. Il 90 per cento apparteneva a formazioni armate al servizio dei nazisti dato che il Friuli dopo l’8 settembre era divenuto “Zona d’Operazioni Litorale adriatico”, amministrata direttamente dai tedeschi e non facente parte della Rsi». Le formazioni fasciste «non potevano avere nemmeno le denominazioni che avevano a Salò ed erano alle dirette dipendenze dell’apparato nazista». 

Il carabiniere che rifiuta di consegnare le armi

L’elenco asciutto delle motivazioni racconta tanto: anche di scelte devastanti, meditate, che legano caso, ideali ed eroismo. Quella del carabiniere Bruno Domenico, ad esempio. Che l’8 settembre (il giorno dell’armistizio, dunque Salò deve ancora nascere) nella stazione dell’Arma di Rovigno, in Istria, «rifiuta di consegnare le armi ai partigiani comunisti italo croati». Lo incarcerano assieme ad altre 16 persone: e di lui non si sa più nulla. Almeno 56 sono i finanzieri di Salò medagliati per il Ricordo. I loro nomi compaiono sul sito delle Fiamme Gialle: tutti dispersi, verosimilmente uccisi da «partigiani titini» o «bande ribelli» [ http://newgdf.gdf.gov.it/chi-siamo/museo-storico/giorno-del-ricordo/conferimenti-onorificenza ]. Spiccano le storie del maresciallo Giuseppe D’Arrigo: viene a sapere che la brigata che comanda è stata interamente catturata. Al che indossa la divisa e raggiunge i titini, per stare vicino ai suoi uomini trattandone magari la liberazione. Ma viene fucilato il 3 maggio 1945. La stessa sorte toccata a Giuseppe D’Arrigo che si unisce ai partigiani jugoslavi intenzionato a combattere i tedeschi: ma pure lui viene passato per le armi. Ennio Andreotti viene catturato dai tedeschi dopo l’8 settembre. In qualche modo si libera il 1° settembre 1944. Da questo giorno risulta disperso. «Fu presumibilmente catturato dai partigiani titini e soppresso». 

@alefulloni
23 marzo 2015


=== 4 ===

Vandalizzata a Roma la lapide a Ugo Forno

È' stata trovata una svastica, subito cancellata, ad imbrattare la lapide in memoria di Ugo Forno, il dodicenne romano, che a Roma il 5 giugno del 1944 attaccava, assieme ad altri partigiani, un gruppo di guastatori tedeschi  mentre erano nell'intento di far saltare un ponte sull'Aniene,mettendoli in fuga; moriva eroicamente, assieme al ventunenne Francesco Guidi, a causa di un colpo di mortaio sparato dai nazisti in ritirata. 
La stampa e le Istituzioni parlano giustamente di 'sfregio' alla memoria, di 'offesa' alla città.
Ora chiedo polemicamente, a tutti gli antifascisti 'da cerimonia' , ma specialmente ai rappresentati delle Istituzioni, che si scandalizzano per questi fatti: chi cancellerà lo sfregio, l'offesa, rivolta a tutti i Partigiani Italiani, rappresentata dalle decine di riconoscimenti concessi dallo Stato a fascisti repubblichini comprovati e morti in guerra, ed in certi casi anche già condannati per crimini di guerra?

Giuliano Calisti
Vicepresidente CP ANPI Viterbo

http://www.ugoforno.it/storia.html



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https://resistenzatradita.wordpress.com/2015/03/20/perche-porzus-si-e-malga-silvagno-no/


“Per Porzus hanno fatto un processo fiume; di questo fatto, non meno grave, la giustizia non si è mai occupata, nemmeno per dare un esempio, per dimostrare che la strada della lotta armata è irta di difficoltà, può subire torbidi rigurgiti che non erano certo previsti dai programmi e dagli ideali di coloro che la intrapresero.
Mi si dirà: e tu perché non hai parlato? Sì, ho parlato prima e dopo la liberazione, in alto loco. Mi hanno solo risposto: scrivi. Ho scritto. La prima e lunga relazione l’ho stesa subito dopo i fatti, con Aramin. Morì sepolta”.


Così Amerigo Clocchiatti “Carlo” si espresse sulla mancata inchiesta giudiziaria per i fatti di Malga Silvagno. Per Giuseppe Crestani “Bepi”, Ferruccio Roiatti “Spartaco”, Tomaso Pontarollo “Masetti” e “Zorzi” (partigiano veneziano non identificato) non c’è stata giustizia. Ugo De Grandis, nel libro che ha dedicato a questa vicenda “maledetta” e ignorata per anni, ha descritto così le vere motivazioni di questo voluto oblio:

Non ci vuol molto ad individuare i motivi che bloccarono la prosecuzione dell’inchiesta nella nuova linea politica inaugurata da Togliatti già al suo rientro in Italia, nel marzo 1944, dopo un esilio durato quasi vent’anni. Con il cambio di prospettiva politica, passato alla storia come “svolta di Salerno”, il leader comunista decretò la necessità dell’unificazione delle forze antifasciste per superare il drammatico frangente della guerra civile, abbandonando la pregiudiziale antimonarchica per poter entrare nel governo Badoglio. Con questa concessione il PCI riuscì a scavalcare i repubblicani, che sulla questione monarchia/repubblica non erano, al contrario, inclini ad alcun compromesso.
La “svolta” segnò il passaggio dalla fase rivoluzionaria a quella legalitaria del PCI che aspirava, grazie al suo contributo fondamentale all’abbattimento del fascismo, a diventare un partito di governo. Prevalse, quindi, la volontà di fornire un’immagine compatta della Resistenza, esente da contrasti e divisioni interne, un movimento corale dal quale sarebbero usciti i quadri dirigenti della nuova società italiana che stava sorgendo dalle ceneri del fascismo. La volontà di non rimanere esclusi dalla vita politica nazionale giunse ad imporre scelte non condivisibili dalla maggioranza dei militanti, se non impopolari, quali la mano tesa ai “fascisti rossi”, ai “compagni in camicia nera”, in altre parole ai reduci che avevano abbracciato la RSI attirati dal suo programma di riforme sociali: un serbatoio di voti che anche gli altri partiti tentarono di accaparrarsi.
Poco più di un anno dopo la Liberazione, il 22 giugno 1946, mentre in tutta Europa le Corti d’Assise condannavano a pene severe, molto spesso capitali, gli accusati di collaborazionismo con i nazisti e pareggiavano in un bagno di sangue i conti col passato, l’allora Ministro di Grazia e Giustizia Togliatti emanò il provvedimento di amnistia che, aprendo le porte delle celle a migliaia di esponenti del passato regime in nome della pacificazione nazionale, contribuì di fatto a restaurare la magistratura e i corpi di polizia dell’ancien regime.
Il risultato tangibile fu l’avvio di un’offensiva antipartigiana che condusse in carcere migliaia di ex combattenti della libertà, mentre altri cercarono rifugio alla persecuzione e alla negazione di un meritato posto di lavoro in una lunga e travagliata emigrazione in paesi lontani.
La volontà di gettare alle ortiche anche gli ultimi ardori rivoluzionari motivò, infine, il voto favorevole dei comunisti all’Articolo 7 della Costituzione, che ribadiva l’indipendenza tra Stato e Chiesa già sancita dai fascistissimi Patti Lateranensi del febbraio 1929. Una decisione che spiazzò gli stessi democristiani. La parola d’ordine allora era: pacificazione, non solo tra fascisti ed antifascisti, ma anche e soprattutto tra le diverse forze politiche che avevano partecipato alla sconfitta del fascismo. Il dissidio durato in Italia ben 23 anni, gli ultimi due dei quali di vera e propria guerra civile, doveva essere quanto prima accantonato per ricostruire insieme la martoriata nazione. Sarebbe stato mai possibile, in un clima politico siffatto, portare in un’aula di tribunale un fatto di sangue tra partigiani?
Questo non fu, tuttavia, l’unico motivo del silenzio: da parte dei comunisti si registrò un invalicabile imbarazzo nel trattare un episodio che aveva rivelato profonde crepe nell’organizzazione del primo periodo di lotta partigiana. L’eccidio di Malga Silvagno era la cartina al tornasole di una concezione ingenua della guerriglia, rivelava l’impreparazione e la superficialità di chi aveva abbandonato a se stessi quattro militanti comunisti in mezzo ad un gruppo di una ventina di resistenti apolitici, manovrati da elementi di dubbia fede antifascista e con i quali si erano manifestate sin dall’inizio profonde incomprensioni che avrebbero dovuto far prevedere, prima o poi, il tragico epilogo.

Tutte le foto e il testo sono tratti da “Malga Silvagno – Il giorno nero della Resistenza vicentina” di Ugo De Grandis



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http://www.anpiroma.org/2015/03/comunicato-stampa-albano-cittadini.html

Comunicato Stampa - Albano, cittadini rinviati a giudizio per manifestazione contro Priebke. "Segnali inquietanti, le istituzioni correggano una palese ingiustizia"

3/17/2015 02:37:00 PM  Anpi Roma   

Comunicato Stampa

Ad Albano cittadini rinviati a giudizio per aver manifestato contro Priebke.
Anpi Roma: "Segnali inquietanti, fidiamo nel buon senso delle istituzioni per correggere una palese ingiustizia"

“L'Anpi Provinciale di Roma è fortemente preoccupata per ciò che sta accadendo ad Albano, dove cittadini antifascisti sono indagati dalla Polizia per aver manifestato il 15 ottobre scorso contro l'apertura di una sede di Forza Nuova e contro qualsiasi commemorazione di Priebke in città – ha dichiarato Ernesto Nassi, presidente dell’Anpi Provinciale di Roma - Dopo il mandato di comparizione per 23 antifascisti avvenuto nelle settimane scorse, altre 5 persone, tra le quali un militante dell'Anpi, sono rinviate a giudizio per aver partecipato alla manifestazione di protesta contro la presenza della salma del criminale nazista ad Albano nel 2013.”
 
“Le incriminazioni le riteniamo ingiuste perché in Italia esiste la Costituzione che vieta la ricostituzione sotto qualsiasi forma del partito fascista e due leggi che proibiscono l'apologia di fascismo, le leggi Scelba e Mancino. Nonostante ciò sono gli antifascisti ad essere perseguitati, facendoci tornare in mente un clima di tensione politica che pensavamo superato.”
 
“L’Anpi di Roma esprime tutta la solidarietà possibile ai cittadini antifascisti coinvolti in atti giudiziari, sperando che quanto accaduto non appartenga ad un disegno politico. Vi sono infatti altri inquietanti segnali che sembrano andare in una direzione pericolosa. Il Sindaco di Affile, Ercole Viri, responsabile della vergognosa vicenda del mausoleo intitolato a Graziani, è stato insignito in Campidoglio di una medaglia (Premio Duelli – Gallitto) per il suo impegno sulla memoria. E pochi giorni fa il Governo ha consegnato una medaglia alla memoria del fascista repubblichino Paride Mori, per il ‘suo sacrificio verso la Patria’.”
 
Quanto a Priebke – conclude Ernesto Nassi- ricordo che Albano ha avuto il partigiano ebreo Marco Moscati assassinato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944. Credo sia chiaro quale possa essere il giusto risentimento dei cittadini di quella città. Fidiamo nel buon senso delle istituzioni, per correggere una palese ingiustizia.”
Ernesto Nassi, presidente ANPI Provinciale di Roma
Roma, 17 marzo 2015

ANPI Roma - via S. Francesco di Sales 5 - 00165 ROMA – www.anpiroma.org


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http://xcolpevolex.blogspot.it/2015/03/la-cittadinanza-onoraria-cristicchi-per.html

La cittadinanza onoraria a Cristicchi per Magazzino 18 a Trieste? Anche no

22/03/15

Quanti sono i film che sono stati girati a Trieste? E finanziati anche dalla Regione? Ma si potrebbe parlare anche di musica, anche di letteratura, e così via discorrendo. Quanti artisti, storici, intellettuali frequentano Trieste? Hanno dichiarato di voler vivere a Trieste o di essere rimasti incantati dalla nostra Trieste? D'altronde è difficile non essere travolti dalla meraviglia che è questa città. Ma qui non è né di meraviglia, né di arte, né di bellezza che stiamo parlando. E' più che evidente che la richiesta di cittadinanza onoraria per Cristicchi a Trieste è una chiara operazione nazionalistica e politica. Certo, è vero che la mozione come presentata è incentrata molto sul ruolo rivestito da Trieste, poi a dirla tutta minimale, nel noto spettacolo Magazzino 18, diventato contenitore di oggetti abbandonati, o meglio masserizie, ma abbandonate. 
E' vero che lo spettacolo che porta il nome di quel magazzino è una produzione del Teatro Stabile del FVG, ma, come scritto in premessa, certamente sono ben altri, se questo è l'intento, che poi non è, con il quale si vuole riconoscere la cittadinanza onoraria a Cristicchi, che meriterebbero tale importante riconoscimento. Ma, il punto è che Cristicchi è diventato il megafono di una storia, una storia ben nota e conosciuta, ma spettacolarizzata e raccontata così come  lo volevano e desideravano i soliti noti, quelli che da anni si prodigano per fare emergere mistificazioni storiche e faziosità che non rispondono alla verità, a quella verità che nuoce gravemente al nazionalismo nostrano.  
D'altronde basta vedere quello che è accaduto durante questa ultima ricorrenza per il giorno del ricordo, foto di partigiani fucilati o civili, e fatti passare per italiani fucilati dai partigiani jugoslavi, si è addirittura detto che in Istria venivano perseguitati perché cristiani o perché le maestre si rifiutavano di indottrinare i propri figli al comunismo, per comprende il quadro della situazione.
Magazzino 18 è uno spettacolo di parte e come tale non può meritare certamente il suo autore una cittadinanza onoraria, perché la cittadinanza onoraria deve rappresentare tutti i triestini e non solo una parte di essi. Poi, se proprio proprio la si deve conferire, visto che pare essere rinato il periodo del compromesso storico e vista la chiara matrice politica e nazionalistica di tale riconoscimento, allora la si deve altresì richiedere e riconoscere ad esempio per gli storici che si battono contro il revisionismo storico, e contro le strumentalizzazioni a cui sono stati soggetti migliaia di esuli. Anche loro hanno parlato di Trieste, anche loro hanno reso alto il nome di Trieste, anche loro e forse solamente loro hanno cercato di dare dignità a Trieste contrastando ogni menzogna e mistificazione storica, ogni calunnia e falsità che ha avuto un solo scopo, demonizzare chi al prezzo della propria vita ha liberato questa città dall'occupazione nazifascista, la cui unica colpa era quella di essere comunista e jugoslavo ma se fosse stato italiano ed anticomunista sicuramente tutta la storia del confine orientale per come ci è stata raccontata in questi decenni sarebbe sicuramente diversa ed anche le "foibe" probabilmente sarebbero state ricondotte alla loro reale consistenza e portata. 
Ma così non è stato in una città che non ha neanche una via dedicata al primo maggio.
Dunque la cittadinanza onoraria a Cristicchi in Trieste? Anche no.
E forse è il caso che si inizi a prendere posizione su ciò, prima che il tutto passi sommessamente o sotto silenzio.
Per una rilettura di Magazzino 18 suggerisco questo link commenti inclusi: