Missili terra-aria italiani al confine siriano
1) I MISSILI TERRA-ARIA ITALIANI AL CONFINE SIRIANO (di Gianandrea Gaiani)
2) L’ITALIA ALLA GUERRA IN SIRIA A FIANCO DI ERDOGAN (di Antonio Mazzeo)
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EDITORIALE
I MISSILI TERRA-ARIA ITALIANI AL CONFINE SIRIANO
di Gianandrea Gaiani
13 giugno 2016, pubblicato in Editoriale
L’Esercito italiano ha schierato una batteria di missili terra aria SAMP/T in Turchia, nell’ambito dell’impegno assunto dalla Nato per rispondere alla richiesta di aiuto di Ankara per la protezione del suo spazio aereo dal rischio di sconfinamenti provenienti dalla Siria.
La notizia era attesa da tempo ed era stata anticipata il mese scorso da Analisi Difesa. In realtà la missione degli uomini e dei missili MBDA Aster 30 era nell’aria già da tempo e negli ultimi tre anni sono state inviate nel sud della Turchia batterie di missili Patriot statunitensi, tedeschi, olandesi e spagnoli.
Il 18 maggio scorso, in un articolo dedicato al rinnovo delle missioni italiane oltremare, evidenziammo l’imminente partenza della batteria missilistica del 4° reggimento artiglieria contraerea “Peschiera”, non ancora annunciata ma deducibile dallo stanziamento di 7 milioni di euro per la partecipazione italiana all’operazione NATO “Active Fence”.
Le conferme dell’arrivo in Turchia dei militari e dei mezzi dell’Esercito Italiano sono state fornite dalla stampa turca e dall’agenzia di Stato Anadolu che il 7 giugno hanno pubblicato le foto della colonna militare (una decina di autocarri) sbarcata nel porto di Iskenderun e diretta nella zona di Kahramanras nei pressi del confine siriano.
Il giornale Daily Sabah ha riferito del dispiegamento del “sistema di difesa aerea avanzato italiano per combattere lo Stato Islamico” che però notoriamente non dispone né di velivoli né di missili balistici. Lo stesso giornale riportò inoltre la presenza di 25 militari italiani, numero che appare molto limitato ma che indicherebbe come logistica e sicurezza del contingente siano garantiti dalle forze turche.
Come ha sottolineato Guido Olimpio sul Corriere della Sera “per i media locali l’Italia ha inviato un apparato che può contrastare aerei, missili da crociera e tattici. Una minaccia potenziale che può arrivare da russi o siriani”.
La nuova missione militare italiana, oltre alle implicazioni legate al conflitto siriano, non può non venire contestualizzata nella crescenti tensioni tra NATO e Russia.
La batteria missilistica è infatti schierata a due passi da un’area conflittuale complessa dove le truppe turche colpiscono in Siria le milizie dello Stato Islamico e quelle curde, sostengono altre milizie islamiste come quelle di al-Qaeda (Fronte al-Nusra) e combattono sul territorio turco e in Iraq le forze curde del PKK.
Lo stesso territorio turco viene colpito da attentati e attacchi condotti dall’Isis e dal PKK mentre nei cieli lungo il confine operano gli aerei statunitensi, della Coalizione e quelli delle forze siriane e russe: queste ultime inoltre schierano a Latakya batterie di missili terra–aria a lungo raggio S-400 che di fatto inibiscono le operazioni dei caccia di Ankara nello spazio aereo di frontiera.
Anche alla luce di queste valutazioni stupisce l’assenza di un dibattito politico in Italia circa l’opportunità o meno di inviare nostre truppe e mezzi in quell’area con un compito che rischia di coinvolgerci nel confronto in atto tra Ankara e l’asse Damasco/Mosca, specie dopo l’abbattimento da parte di un F-16 turco di un Sukhoi 24 russo del 24 novembre scorso, episodio che rappresenta il più eclatante tentativo della Turchia di coinvolgere la Nato nel conflitto siriano e nel braccio di ferro con Mosca.
Il governo italiano ha mantenuto un basso profilo anche su questa missione senza annunciare la partenza della batteria missilistica fino al 7 giugno, quando i ministri Roberta Pinotti (nella foto a sinistra) e Paolo Gentiloni hanno comunicato la partecipazione delle forze italiane all’operazione “Active Fence” alle commissioni Esteri e Difesa, senza che nessun domanda o richiesta di chiarimenti sia stata posta dai (pochi) parlamentari presenti.
Eppure le perplessità su questa missione non mancano di certo. La missione Nato di supporto al controllo dello spazio aereo turco ai confini siriani include anche la presenza di velivoli radar Awacs ma, come sottolinea Gianluca De Feo su Repubblica, “le regole di ingaggio per l’impiego dei missili italiani sono top secret”.
Come è normale che siano: la catena di comando e controllo di “Active Fence” è Nato ma non è chiaro chi deciderebbe un eventuale lancio di missili italiani contro aerei siriani o russi che dovessero sconfinare in Turchia, né se Roma abbia posto “caveat” nazionali che condizionino il comando alleato nell’impiego dei missili italiani.
Difficile non notare che dopo l’abbattimento del bombardiere russo tutti i partner NATO hanno ritirato le loro batterie di missili terra-aria (presenti dal 2013) dal sud della Turchia mentre gli italiani si schierano in quella polveriera nel momento più critico col rischio di coinvolgimento diretto in uno scontro con la Russia in un momento in cui diversi alleati (statunitensi in testa) sembrano voler soffiare sul fuoco di una nuova guerra fredda.
Quali contropartite ha chiesto (ammesso che ne abbia chieste) e ottenuto l’Italia per schierare truppe e mezzi lungo il confine più caldo del pianeta?
In fondo è la stessa domanda che ci ponemmo poche settimane or sono in occasione dello schieramento (anch’esso poco pubblicizzato) dei primi bersaglieri del contingente del 6° reggimento presso la Diga di Mosul, in Iraq, a pochi chilometri dalle linee dello Stato Islamico.
Sul piano strategico varrebbe la pena discutere il senso di una missione a tutela della Turchia, nominalmente nostro alleato nella NATO ma la cui politica interventista nel conflitto siriano ha danneggiato l’Italia e l’Europa favorendo le forze jihadiste e speculando brutalmente sui flussi di profughi e immigrati clandestini.
Insomma, siamo davvero convinti che i turchi siano nostri “amici” e russi e siriani “nemici” oppure questa missione rappresenta l’ennesimo obolo pagato agli statunitensi?
Resta invece fuori discussione l’importanza operativa e industriale di schierare per la prima volta in un contesto reale il SAMP/T realizzato dal consorzio italo-francese Eurosam (MBDA e Thales), sia in termini di esperienza del personale militare e di valutazione sul campo del sistema sia per favorirne l’export anche in vista dello sviluppo della versione aggiornata Block 1NT (Nuova Tecnologia) con spiccate capacità contro i missili balistici a medio raggio.
Proprio i turchi sembravano voler acquisire il sistema SAMP/T nell’ambito del programma T-Loramids poi cancellato perché Ankara preferisce cercare partner internazionali per sviluppare un sistema nazionale antimissile.
Foto: MBDA, NATO, US DoD, Difesa.it e Corriere.it
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L’Italia alla guerra in Siria a fianco di Erdogan
Operazione top secret dell’Esercito italiano al confine turco-siriano. Il 6 giugno, una batteria di missili terra-aria SAMP/T e una trentina di militari italiani sono stati schierati nella zona di Kahramanras, a nord di Gaziantep (Turchia meridionale), nell’ambito dell’impegno assunto dalla NATO a protezione dello spazio aereo turco dal “rischio di sconfinamenti provenienti dalla Siria”. La notizia è stata pubblicata dai maggiori quotidiani turchi e dall’agenzia di Stato “Anadolu”. I mezzi militari italiani sono sbarcati nel porto di Iskenderun per dirigersi poi nella zona di Kahramanras, nei pressi del confine siriano. Sempre secondo i media turchi, il sistema missilistico messo a disposizione dal nostro paese “avrà esclusivamente il compito di contrastare aerei, missili da crociera e tattici e non sarà impiegato nell’imposizione di una no-fly zone”.
La batteria SAMP/T sostituirà il sistema “Patriot” che le forze armate della Germania avevano schierato a sud della Turchia circa tre anni fa. La decisione del cambio negli assetti missilistici NATO a “protezione” delle forze armate di Erdogan che operano al confine e in territorio siriano è stata assunta all’ultimo vertice dei ministri degli esteri dei paesi del’Alleanza tenutosi a Bruxelles. Oltre alla batteria dei SAMP/T italiani, a luglio la NATO fornirà alla Turchia il supporto di un altro velivolo radar AWACS (Airborne Warning and Control System).
Il sistema antiaereo e antimissile a medio raggio SAMP/T è stato sviluppato dal consorzio europeo “Eurosam” formato dalle aziende MBDA Italia (gruppo Leonardo-Finmeccanica) e Thales (Francia). Basato sul missile intercettore “Aster 30” con un raggio sino a 100 km e una velocità massima di 1.400 m/s, il nuovo sistema sarebbe in grado di intercettare e abbattere anche in maniera del tutta automatica aerei, elicotteri, droni, missili di crociera, missili teleguidati, ecc.. Ogni batteria SAMP/T è costituita da lanciatori con un numero variabile di missili da 8 a 48 che possono ingaggiare fino a 10 bersagli contemporaneamente. Il costo del sistema è elevatissimo: nel 2008 l’Esercito italiano, dopo i test effettuati in Francia e nel poligono di Salto di Quirra in Sardegna ha deciso di acquistare 6 batterie di lanciatori con una prima tranche di spesa di 246,1 milioni di euro.
Il trasferimento in Turchia di una batteria missilistica SAMP/T del 4° reggimento artiglieria contraerea “Peschiera” era stato anticipato il 18 maggio scorso da un articolo di Analisi Difesache analizzava il decreto di rifinanziamento delle missioni militari italiane all’estero. In esso, infatti, era stato previsto uno stanziamento di 7 milioni di euro per la partecipazione all’operazione NATO “Active Fence” al confine turco-siriano. La missione italiana nell’ambito di “Acrive Fence” era stata confermata il 7 giugno in Parlamento dai ministri Roberta Pinotti e Paolo Gentiloni, ma senza che ne fossero specificate le modalità o i tempi.
“La nuova missione militare, oltre alle implicazioni legate al conflitto siriano, non può non venire contestualizzata nella crescenti tensioni tra NATO e Russia”, scrive l’analista Gianandrea Gaiani. “La batteria missilistica è infatti schierata a due passi da un’area conflittuale complessa dove le truppe turche colpiscono in Siria le milizie dello Stato Islamico e quelle curde, sostengono altre milizie islamiste come quelle di al-Qaeda (Fronte al-Nusra) e combattono sul territorio turco e in Iraq le forze curde del PKK”.
“Alla luce di queste valutazioni stupisce l’assenza di un dibattito politico in Italia circa l’opportunità o meno di inviare nostre truppe e mezzi in quell’area con un compito che rischia di coinvolgerci nel confronto in atto tra Ankara e l’asse Damasco/Mosca”, aggiunge Gaiani. “Difficile non notare che dopo l’abbattimento da parte di un F-16 turco di un bombardiere russo il 24 novembre scorso, tutti i partner NATO hanno ritirato le loro batterie di missili terra-aria dal sud della Turchia mentre gli italiani si schierano in quella polveriera nel momento in cui diversi alleati (statunitensi in testa) sembrano voler soffiare sul fuoco di una nuova guerra fredda”. Ma, si sa, Renzi, Pinotti e Gentioni non brillano certamente per lungimiranza politica e militare…