22. studenoga 2019. / SRP
Prenosimo pismo podrške koje su do sada potpisala 54 sindikata.
<< Podrška prosvjetnim radnicima u štrajku!
Mi, dolje potpisani sindikati i sindikalne središnjice, podržavamo štrajk prosvjetnih radnika te izražavamo radničku solidarnost. U obrazovanje treba ulagati jer nam se obrazovanjem višestruko vraća sve što smo u njega uložili. Javni obrazovni sektor treba biti jedan od prioriteta ove države te ne pristajemo na daljnju diskriminaciju prosvjetnih radnika.
Smatramo da je pritisak koji se radi na profesore, učitelje i nastavnike neopravdan s obzirom na ozbiljnost njihove društvene funkcije učitelja i odgojitelja naše djece.
Pozivamo Vladu RH da pristupi pregovorima sa sindikatima u štrajku do postizanja obostrano prihvatljivog rješenja. U trenucima krize i mjera štednje prosvjetni sektor našao se među onima koji su najviše stegnuli remen.
Obećano je da će se sve oduzeto vratiti kada ekonomska situacija u zemlji bude bolja. Ovim putem podsjećamo Vladu na to obećanje te poručujemo prosvjetnim radnicima da nisu sami i da smo spremni i na sindikalne akcije podrške i štrajk solidarnosti. Zajedno smo jači. Do ispunjenja zahtjeva!
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Dal 10 ottobre i dipendenti di oltre mille scuole primarie e secondarie della Croazia sono in sciopero. A guidare la protesta i due sindacati del settore, l’Unione degli insegnanti croati (SHU) e il Sindacato indipendente dei lavoratori dell’istruzione secondaria della Croazia (NSZSSH). La determinazione dei sindacati e la grande partecipazione del corpo docente stanno infiammando la campagna elettorale per le prossime presidenziali previste a fine dicembre.
Le richieste dei sindacati
La rivendicazione principale dei sindacati riguarda l’adeguamento del cosiddetto “indice di complessità del lavoro”, un indicatore che contribuisce a formare lo stipendio complessivo. I salari nel settore pubblico croato sono infatti composti da tre parti: la retribuzione base, l’indice di complessità del lavoro e un ulteriore 0,5% per ogni anno di servizio. Intervistata da East Journal, Ana Tuškan, segretaria generale dell’SHU, ha sottolineato come questo indicatore sia “tra i più bassi di tutto il settore pubblico” e che la loro richiesta è di aumentarlo del 6,11%.
Per il sindacato non è una questione meramente economica ma si tratta di una “lotta per la dignità che riguarda tutti i dipendenti delle scuole”. Tra i motivi dello sciopero rientrano infatti anche questioni relative al lavoro delle addette alle pulizie degli istituti, il cui salario medio dopo 30 anni di attività sarebbe pari a circa 480 euro. Secondo uno studio interno condotto dal sindacato stesso, il 48,8% delle lavoratrici è costretta a lavorare il doppio di quanto previsto dai contratti senza vedersi riconosciuto il diritto agli straordinari. Sempre secondo lo studio citato dal sindacato, le principali fonti di insoddisfazione dei lavoratori e delle lavoratrici delle scuole riguarda la poca considerazione delle loro opinioni e le scarse risorse materiali come gesso, penne, carta, e la connessione a internet.
La mobilitazione
Il 5 settembre c’era stato un primo incontro tra sindacati e governo che si era detto pronto a soddisfare le richieste sindacali. A distanza di un mese non era però stato compiuto nessun concreto passo avanti e questo ha spinto i sindacati a convocare lo sciopero a partire dal 10 ottobre.
Le modalità di astensione dal lavoro prevedono la convocazione di scioperi “circolari” che coinvolgono le singole regioni in giorni differenti. Secondo i dati forniti quotidianamente dall’SHU la partecipazione degli insegnanti è pressoché totale.
Il 23 ottobre si è svolta a Zagabria una manifestazione cui ha fatto seguito, il giorno successivo, uno sciopero di solidarietà da parte del mondo universitario convocato dall’Unione indipendente delle Scienze e dell’Istruzione superiore (NSZ) per chiedere aumenti salariali per il personale non docente, i docenti e gli assistenti artistici. Il 6 novembre una manifestazione, lanciata con lo slogan “6.11 per 6.11%”, ha visto la partecipazione di circa 5 mila persone (2 mila per i media) nella piazza di San Marco a Zagabria.
L’atteggiamento del governo
Sin dall’inizio, il primo ministro Andrej Plenković ha considerato lo sciopero “assurdo e non necessario”. Di parere opposto invece il sindaco di Zagabria, Milan Bandić, leader del Partito del lavoro e della solidarietà (BM365) che sostiene la maggioranza di governo. Per Bandić il governo dovrebbe “aumentare i salari degli insegnanti o rischia di non esistere più”. Posizione condivisa inizialmente dall’altro partner di governo, il Partito popolare croato (HNS), che il 10 ottobre si era addirittura detto pronto a non votare la legge di bilancio, poi approvata dalla maggioranza lo scorso 14 novembre, se l’indice di complessità del lavoro degli insegnanti non fosse stato aumentato del 4,3%..
Una settimana dopo l’avvio dello sciopero, Plenković ha proposto un aumento del 6,12% dello stipendio base per tutti i dipendenti pubblici. Questa soluzione è stata fortemente osteggiata dai sindacati per due motivi. Il primo è che, come dichiarato dalla Tuškan ad East Journal, l’aumento della retribuzione di base ha l’effetto contrario “aumentando la differenza con il resto del settore pubblico”. Il secondo riguarda il metodo adottato dall’esecutivo. Secondo l’SHU il governo ha violato “il principio di buona fede e di negoziazione” dato che questa idea è stata presentata direttamente in parlamento senza prima consultare i rappresentanti sindacali.
L’ultima proposta del governo prevede un aumento salariale tra 1.300 e 1.600 kune (tra 174 e 215 euro) per gli insegnanti della scuola primaria e secondaria. Il governo si impegnava anche a coprire i pagamenti per le giornate di sciopero fino al 15 novembre in cambio della fine immediata della protesta. Anche questa offerta, presentata come definitiva da parte del governo, è stata però ritenuta insufficiente dai sindacati che hanno deciso di continuare la mobilitazione.
Sostegno allo sciopero è arrivato anche dal principale partito di opposizione, il Partito Socialdemocratico Croato (SDP).. I socialdemocratici pongono l’accento sulle disponibilità economiche del bilancio statale che permetterebbero di aumentare i salari dei docenti e il reddito non imponibile evitando così di mettere a rischio una riforma complessiva dell’istruzione.
Anche se una soluzione non è stata ancora trovata, l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali previste per il 22 dicembre potrebbe spingere la coalizione di governo a trovare un’intesa con sindacati anche grazie ai relativi margini di spesa a disposizione. Nel frattempo lo sciopero continua.