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Il Watson Institute of International and Public Affairs della Brown University (USA) ha recentemente condotto uno studio in cui vengono svelate le conseguenze di tutte le guerre che sono state combattute dopo gli attacchi dell'11 settembre 2001, in particolare in Medio Oriente e in Asia.
“La missione delle guerre dopo l'11 settembre, come inizialmente definito, era quella di difendere gli Stati Uniti dalle future minacce terroristiche di Al Qaeda e delle organizzazioni affiliate. Dal 2001, le guerre si sono estese dai combattimenti in Afghanistan alle guerre e ad altre operazioni in altri luoghi, in oltre 80 paesi", si legge nello studio.
Secondo i dati forniti dal rapporto, i conflitti intrapresi da Washington hanno causato la morte di oltre 801.000 morti - direttamente coinvolti in operazioni militari - tra cui oltre 335.000 civili, e hanno causato lo sfollamento di circa 21 milioni di persone a causa della violenza.
Il documento stima inoltre il costo di tali guerre per un totale di 6,4trilioni di dollari, di cui almeno 1 è stato utilizzato per coprire i costi delle cure successive e tutti i tipi di trattamenti medici per le forze armate statunitensi.
Secondo gli autori del rapporto, il bilancio delle vittime nelle guerre sarebbe molto più alto se si aggiungessero le persone che non ricevono adeguata assistenza medica a causa della distruzione delle infrastrutture civili causate dalla guerra, come è evidente nel caso del popolo yemenita , che per quattro anni ha subito una campagna di aggressione da parte dell'Arabia Saudita, sostenuta dagli Stati Uniti.
Notizia del: 26/11/2019
MEDIA CONTACT: Jill Kimball This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.
Two reports released by the Costs of War project, based at Brown, provide a comprehensive estimate of the financial and human cost of America’s post-9/11 wars..
PROVIDENCE, R.I. [Brown University] — Nearly two decades after New York’s Twin Towers fell on 9/11, the estimated cost of America’s counterterrorism efforts stands at $6.4 trillion.
That’s according to a Nov. 13 report released by the Costs of War project based at the Watson Institute for International and Public Affairs at Brown University.
According to the report, since late 2001, the United States has appropriated and is obligated to spend $6.4 trillion on counterterrorism efforts through the end of 2020. An estimated $5.4 trillion of that total has funded, and will continue to fund, counterterrorism wars and smaller operations in more than 80 countries; an additional minimum of $1 trillion will provide care for veterans of those wars through the next several decades.
“The numbers continue to accelerate, not only because many wars continue to be waged, but also because wars don’t end when soldiers come home,” said Catherine Lutz, co-director of Costs of War and a Brown professor of international and public affairs and anthropology. “These reports provide a reminder that even if fewer soldiers are dying and the U.S. is spending a little less on the immediate costs of war today, the financial impact is still as bad as, or worse than, it was 10 years ago. We will still be paying the bill for these wars on terror into the 22nd century.”
In a separate report released on the same day, Lutz and Neta Crawford, another Costs of War co-director and a professor of political science at Boston University, estimate that between 770,000 and 801,000 people have died in post-9/11 wars. The total estimate includes civilian deaths — some 312,000 or more — as well as deaths of opposition fighters (more than 250,000), members of the U.S. military (7,014) and journalists and humanitarian workers (1,343).
The Costs of War project, a joint effort between Brown’s Watson Institute and Boston University’s Frederick S. Pardee Center for the Study of the Longer-Range Future, was launched in 2011 with the goal of comprehensively documenting the costs of the United States’ counterterrorism wars in the wake of the Sept. 11, 2001, terrorist attacks. Unlike accounts of war costs released by the Pentagon, Costs of War financial reports take into account not only Department of Defense (DOD) spending but also spending by the departments of state, veterans affairs and homeland security, as well as the cost of interest paid on borrowed funds. The Costs of War death toll is calculated based on casualty reports released by the DOD and Department of Labor, figures provided by the United Nations, and obituaries and other news stories.
“If you count all parts of the federal budget that are military related — including the nuclear weapons budget, the budget for fuel for military vehicles and aircraft, funds for veteran care — it makes up two thirds of the federal budget, and it’s inching toward three quarters,” Lutz said. “I don’t think most people realize that, but it’s important to know. Policymakers are concerned that the Pentagon’s increased spending is crowding out other national purposes that aren’t war.”
This month’s new reports are among the first to be published in the Costs of War project’s “20 Years of War” series, which recognizes the anniversary of the beginning of the global war on terror with new research and updates to existing papers. The research series launched thanks to a $450,000 grant from the Carnegie Corporation of New York, along with support from the Watson Institute and the Pardee Center.
All three of the Costs of War co-directors — Lutz, Crawford and Watson Institute Senior Research Associate Stephanie Savell— kicked off the “20 Years of War” series with a visit to Washington, D.C.., on Wednesday, Nov. 13, where they presented their latest findings to the U.S. Senate Committee on Armed Services and an international pool of journalists.
“We have already seen that when we go to Washington and circulate our briefings, they get used in the policymaking process,” Lutz said.. “People cite our data in speeches on the Senate floor, in proposals for legislation. The numbers have made their way into calls to put an end to the joint resolution to authorize the use of military force. They have real impact.”
I droni Nato teleguidati da Sigonella, in grado di volare per 16.000 km a 18.000 m di altezza, trasmetteranno alla base i dati raccolti. Questi, dopo essere stati analizzati dagli operatori di oltre 20 postazioni, verranno immessi nella rete criptata che fa capo al Comandante Supremo Alleato in Europa, sempre un generale Usa nominato dal presidente degli Stati uniti.
Il sistema Ags, che diverrà operativo nella prima metà del 2020, sarà integrato con l’Hub di Direzione Strategica per il Sud: il centro di intelligence che, nel quartier generale Nato di Lago Patria sotto comando Usa, ha il compito di raccogliere e analizzare informazioni funzionali alle operazioni militari soprattutto in Africa e Medioriente..
Principale base di lancio di tali operazioni, effettuate per la maggior parte segretamente con droni da attacco e forze speciali, è quella di Sigonella, dove sono dislocati droni Usa Reaper armati di missili e bombe a guida laser e satellitare. I droni da attacco e le forze speciali, mentre sono in azione, sono collegati, attraverso la stazione Muos di Niscemi (Caltanissetta), al sistema di comunicazioni satellitari militari ad altissima frequenza che permette al Pentagono di controllare, attraverso la sua rete di comando e comunicazioni, droni e cacciabombardieri, sottomarini e navi da guerra, veicoli militari e reparti terrestri, mentre sono in movimento in qualsiasi parte del mondo si trovino.
Nello stesso quadro operano i 15 Predator e Reaper e gli altri droni dell’Aeronautica italiana, teleguidati dalla base di Amendola in Puglia. Anche i Reaper italiani possono essere armati di missili e bombe a guida laser per missioni di attacco.
Il sistema Ags, che potenzia il ruolo dell’Italia nella «guerra dei droni», viene realizzato con «significativi contributi» di 15 Alleati: Stati uniti, Italia, Germania, Norvegia, Danimarca, Lussemburgo, Polonia, Romania, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Slovacchia, Slovenia. Principale contrattista del sistema è la statunitense Northrop Grumman. L’italiana Leonardo fornisce due stazioni terrestri trasportabili.
Il «contributo» italiano al sistema Ags consiste, oltre che nella messa a disposizione della principale base operativa, nella compartecipazione alle spese inizialmente con oltre 210 milioni di euro. Altri 240 milioni di euro sono stati spesi per l’acquisto dei droni Predator e Reaper. Compresi gli altri già acquistati e quelli di cui si prevede l’acquisto, la spesa italiana per i droni militari sale a circa un miliardo e mezzo di euro, cui si aggiungono i costi operativi. Pagati con denaro pubblico, nel quadro di una spesa militare che sta per passare dalla media attuale di circa 70 milioni di euro al giorno a una di circa 87 milioni di euro al giorno.
I crescenti investimenti italiani nei droni militari comportano conseguenze che vanno al di là di quelle economiche. L’uso dei droni da guerra per operazioni segrete sotto comando Usa/Nato svuota ancor più il parlamento di qualsiasi reale potere decisionale sulla politica militare e di riflesso sulla politica estera. Il recente abbattimento di un Reaper italiano (costato 20 milioni di euro), in volo sulla Libia, conferma che l’Italia è impegnata in operazioni belliche segrete in violazione dell’Art.11 della nostra Costituzione.