“Insomma l’incidente è riuscito a dimostrare – malgrado non ce ne fosse alcun bisogno – che la X Ms non è una cosa seria, che essa è un’accozzaglia di uomini reclutati con ogni mezzo e da ogni luogo, privi del minimo senso di disciplina, mal guidati e peggio istruiti, destinati a servire i capricci i capricci di un uomo smoderatamente ambizioso, sommariamente infido, politicamente ingenuo, che essendo incapace di porsi un qualsiasi programma concreto, se non di pensiero almeno di azione, conduce un gioco tanto ambiguo quanto inconsistente”.
È l’estratto di una lettera di Fernando Mezzasoma, ministro della Cultura Popolare della Repubblica Sociale Italiana, indirizzata a Benito Mussolini e datata 19 febbraio 1945. La citazione apre l’ultimo libro di Luciano Patat ‘La X Mas al confine orientale’, presentato il 16 gennaio nell’ex caserma Osoppo ad Udine. Data non casuale visto che sabato 20 gennaio, una delegazione dell’associazione che raduna reduci e parenti dei combattenti della ‘flottiglia Decima Mas’ verrà ricevuta ufficialmente, per quella che sta diventando una commemorazione ‘tradizionale’, nel municipio di Gorizia dai rappresentanti del comune, sindaco Rodolfo Ziberna compreso. Il libro di Patat, presentato nella serata organizzata dall’Anpi dall’autore assieme Dario Mattiussi con le letture di Lucia Toros e l’accompagnamento musicale del duo No-bel, ripercorre tutte le tappe più significative della storia della formazione militare. Con un ricco corredo fotografico ed attingendo a fonti d’archivio, Patat ricostruisce quindi l’efferatezza della formazione guidata da Junio Valerio Borghese impiegata soprattutto in rastrellamenti e torture in funzione antipartigiana. Ma anche l’impreparazione militare, tale da rendere la X Mas invisa sia alle autorità tedesche sia a quelle della Repubblica sociale di Salò, come emerge dalla citazione in apertura. Oltre al carattere del reclutamento che avvenne esclusivamente su base volontaria. Nonostante le amnistie del dopoguerra (tanto che Borghese tentò il famoso colpo di Stato fra il 7 e l’8 dicembre del 1970), questo rende i combattenti, secondo Patat, “tutti ugualmente corresponsabili dei crimini perpetrati”.
L’autore ricostruisce la presenza della X Mas nelle nostre zone attraverso i documenti della Repubblica sociale italiana e quelli degli occupanti tedeschi, conservati negli archivi di stato e in quelli della marina e dell’esercito. Documenti integrati dalle sentenze dei processi celebrati nel dopoguerra. E’ un libro importante perché anche nel caso delle azioni della X Mas così come per altre pagine del nostro Novecento, una memoria parziale, legata al nazionalismo italiano, l’ideologia dominante tra gli effettivi di questa formazione militare, ha preso il posto che spetterebbe alla ricostruzione storica.
Documenti fascisti e nazisti rivelano che i militi che arrivano al Confine Orientale non sono i guastatori addestrati a compiere colpi di mano nei porti nemici che avevano suscitato l’ammirazione degli alleati come dei tedeschi. Sono invece volontari arrivati spesso da reparti della RSI da cui hanno disertato, attratti da una paga molto superiore e da una serie di privilegi concordati direttamente con i tedeschi dal principe Borghese.
Militarmente impreparati al confronto con le truppe alleate finiscono con il venire utilizzati in funzione antipartigiana rendendosi colpevoli di crimini efferati contro i partigiani e la popolazione civile anche nel pordenonese e nel trevigiano.
Nel nostro territorio sono paradossalmente i tedeschi a frenarne la violenza per calcolo politico ma ugualmente si lasciano alle spalle una lunga serie di ruberie e violenze gratuite soprattutto ai danni della popolazione di lingua slovena. Nella lotta contro le formazioni partigiane evidenziano la propria insufficiente preparazione militare e vengono duramente sconfitti.
Politicamente scomoda per il costante conflitto con i collaborazionisti sloveni e militarmente inadeguata, la milizia privata del principe Borghese viene presto allontanata dal Litorale Adriatico dalle stesse autorità tedesche. Rimangono i “peggiori”, i torturatori e gli assassini di Palmanova e altre piccole bande a cui si affidano i compiti più “sporchi”. I processi del dopoguerra vedono gli imputati, quasi tutti riconosciuti colpevoli di omicidi e torture, scontare realmente solo pochi anni di carcere. Il lavoro di Luciano Patat ha quindi anche il significato di un riconoscimento morale, parziale quanto tardivo, alle vittime e ai loro famigliari ma soprattutto è un libro che vuole costringere a riflettere e contribuire ad impedire che una pagina di storia dolorosa venga nascosta o falsificata.
Gino Furlan, nella sua testimonianza contenuta nel DVD “Frammenti di memoria – testimonianze di tre partigiani aquileiesi” - realizzato nel 2017 dalla Sezione dell’ANPI di Aquileia e dalla Fondazione “Valmi Puntin” - riferisce che tra i giovani aquileiesi convocati a Udine col miraggio di essere destinati alla Milizia territoriale, tutti fuggiti, in varie fasi, per raggiungere le bande partigiane operanti nel Collio Friulano e Sloveno, c’era anche il giovane aquileiese Valmi Puntin, nato il 25.4.1925 (nome di battaglia Angelo).
Valmi proviene da una famiglia contadina (coltivatore diretto) di ispirazione antifascista. Suoi genitori sono Angelo e Eufemia Tumburus.
Gastone Andrian precisa nella pubblicazione “Volti, strumenti e documenti di una memoria (DIABASIS, 2004) – vol. II, pag. 31” che Valmi Puntin era inquadrato nel Battaglione d’Assalto Mazzini, di cui fu anche comandante di compagnia.
Valmi prese parte ai combattimenti, nei mesi che precedettero la sua uccisione, a Selva di Tarnova dove i nazisti tedeschi nel dicembre 1944 avevano deciso di sferrare un colpo mortale ai partigiani sloveni del IX Corpus ed alle formazioni dei partigiani garibaldini mediante “l’Operazione Aquila”.
In quell’area i nazisti schierarono il Battaglione Fulmine (spietati volontari italiani della X MAS), le formazioni spagnole (Divisione Azzurra), i Domobranci e Cetnici Yugoslavi, oltre a reparti tedeschi. Le informazioni che ci giungono affermano che Valmi è stato ferito durante gli scontri, fatto prigioniero e quindi ucciso.
L’atto di morte steso il 26.7.1945 dal Corpo Volontari della Libertà, Raggruppamento Divisioni Garibaldine del Friuli, Comando Divisione d’Assalto Garibaldi – Natisone, dichiara che Valmi Puntin, è morto in combattimento a Tarnova il 7.2.1945.
La firma dell’atto è del Commissario politico Vincenzo Marini (Banfi) e del Comandante Mario Fantini (Sasso). Il Cappellano militare don Giulio (Luigi Piccini) attesta il decesso e che la salma è sepolta in località Tarnova. Successivamente i cognati Miro Lepre e Giusto Fogar (membro del CLN di Aquileia) prelevarono il corpo che fu trasferito nel cimitero comunale di Aquileia.
Dalla documentazione raccolta nel 2014 dal pronipote Alessio, e dalle testimonianze avute durante conversazioni con la bisnonna Vilma, sorella di Valmi, emerge che i funerali hanno avuto luogo lunedì 14 maggio 1945, alle ore 17.00, muovendo dalle porte di Aquileia.
Dopo il 25 aprile 1945 la sezione dell’ANPI di Aquileia propone al Comune di intestare una strada a Valmi Puntin (attualmente vicolo Valmi Puntin, che incrocia via Giovanni Minut). Col 1^ gennaio 2008, il patrimonio ideale e materiale proveniente dal PCI di Aquileia confluisce nell’Istituto Civico Aquileiese denominato “Fondazione Valmi Puntin –Casa del popolo” e la scelta del nome di per sè sottolinea il carattere antifascista dell’organizzazione. Nella Bassa friulana orientale e ad Aquileia durante l’occupazione tedesca si diffonde in particolare la cattiva fama del volontario della X Mas, il triestino Remigio Rebez, in forza nella famigerata Caserma Piave di Palmanova, personaggio tristemente noto per la sua brutale crudeltà.
Rebez tortura civili e partigiani nel centro repressivo di Palmanova e partecipa attivamente a rastrellamenti e azioni repressive contro le famiglie dei partigiani nel territorio della Bassa Friulana, in particolare in seguito alle spiate dei collaborazionisti. La sua presenza, assieme alla banda Ruggero pure operante alla Caserma Piave, è segnalata nello scontro con caduti avuto nei casolari contadini della frazione Ronchi oggi in Comune di Terzo di Aquileia. I crimini compiuti dal sergente Rebez e degli altri repressori e torturatori nei territori della Bassa Friulana e all’interno della caserma Piave di Palmanova, emergono con forza nelle testimonianze dei partigiani e nel ricordo degli abitanti più anziani. Ora che le testimonianze dirette per ragioni temporali sono sempre meno numerose, per le istituzioni, per le associazioni, per le scuole, per i centri di ricerca rimane il compito di far conoscere a chi ha avuto la fortuna di nascere in una stagione di pace, la tragica storia avvenuta nel nostro territorio nel corso dei primi 50 anni del ‘900. La Fondazione “Valmi Puntin” lieta del lavoro di ricerca del Centro “Leopoldo Gasparini” di Gradisca d’Isonzo, ha deciso convintamente di sostenere lo sforzo editoriale per la pubblicazione del volume La X MAS AL CONFINE ORIENTALE, autore Luciano Patat, ove nella prefazione e nel libro compare la figura del giovane partigiano aquileiese Valmi Puntin.
su Il Manifesto del 19.01.2020
L’Anpi aveva denunciato per apologia del fascismo la manifestazione tenuta dalla X Mas, nel 2018, ospite del Comune di Gorizia. Due giorni fa il gip del Tribunale ha provveduto ad archiviare tutto con motivazioni che la Segreteria Nazionale dell’Anpi ha definito «inconcepibili».
Secondo il gip di Gorizia «L’inno della X Mas non contiene alcun riferimento al movimento fascista o a ideologie razziste o totalitarie» e, ancora: «La commemorazione dei caduti della X Mas non può certo essere ritenuta una manifestazione fascista, nel senso inteso dalla legge Scelba, trattandosi di una riunione autorizzata, finalizzata unicamente a rendere omaggio a dei soldati morti in battaglia oltre settant’anni fa».
Il riferimento è a quella battaglia di Tarnova di fine gennaio 1945 che, nella retorica neofascista, viene raccontata come un fatto epico: diversi battaglioni della X Mas avrebbero fermato “le orde slavo-comuniste” che volevano occupare Gorizia. Ma è solo uno dei più eclatanti esempi di revisionismo storico.
La X Mas, al comando di Junio Valerio Borghese, era arrivata sul confine orientale alla fine del 1944 per affiancare l’occupatore tedesco contro la forte resistenza partigiana (meglio: per obbedire ai nazisti, alla faccia della sbandierata italianità, visto che si era nell’Adriatisches Küstenland). A seguito di un rastrellamento, i partigiani erano stati costretti a trovare rifugio nella inaccessibile selva di Tarnova, zona ben protetta dall’esterno ma con condizioni climatiche proibitive, soprattutto in quel gelido inverno di inizio ’45: senza rifornimenti, avevano tentato di aprirsi un corridoio di collegamento con la valle del Vipacco e decisero di sfondare proprio in uno dei punti di presidio della X Mas, nel paesino di Tarnova, dove travolsero il battaglione “Fulmine” e quanti, tedeschi e domobranci (sloveni filonazisti), erano arrivati in soccorso. Ai partigiani, allora, non passava proprio nella mente di buttarsi tra le braccia dei tedeschi a Gorizia: la battaglia di Tarnova fu un esempio di goffaggine e velleitarismo scontratosi con reparti partigiani in cerca di una via di uscita.
«La X Mas, responsabile di indicibili crimini» scrive l’Anpi «combatté a fianco e a sostegno dei nazisti, assieme ad altre formazioni fasciste, contro i partigiani sloveni e italiani che lottavano per la liberazione di quel territorio dall’occupazione militare tedesca. Fu il caso italiano più eclatante e spregevole di collaborazionismo con Hitler». Secondo l’Anpi, dunque, la motivazione della sentenza di archiviazione del gip goriziano appare quanto meno pretestuosa.
La X Mas, in queste terre, è ben ricordata per la crudeltà, per le torture perpetrate su partigiani ma anche su persone inermi, per la Caserma Piave, a Palmanova, sede di sevizie indicibili contro i rastrellati della zona e, comunque, anche per la vanagloria con cui riuscì a inimicarsi persino l’alleato tedesco che, proprio dopo la battaglia di Tarnova, la fece addirittura allontanare dal territorio.
Ciò non toglie che ieri, di nuovo, la X Mas si è ripresentata a Gorizia, accolta ufficialmente da un assessore nel palazzo settecentesco – blindatissimo per l’occasione – che ospita il Municipio: il labaro blu con il teschio è entrato scortato da altri tricolori con aquile e fasci littori per una cerimonia che, sembra, sia stata questa volta silenziosa, senza inni e saluti romani (che comunque il gip goriziano ha appena dichiarato «gesti folcloristici»). E a fine cerimonia, tutti dentro la sede di CasaPound a pochi metri dal Comune, per un brindisi collettivo.
«Siamo rimasti sconcertati nell’apprendere che in una sala pubblica, in una città medaglia d’oro della Resistenza, si possano cantare inni della X Mas» dichiara Anna Di Gianantonio, ricercatrice storica e Presidente dell’Anpi di Gorizia «ma questo ha rafforzato la nostra decisione di scendere in piazza per manifestare contro questa celebrazione». E infatti ieri a Gorizia c’erano tantissimi antifascisti, musica e bandiere, amarezza e determinazione. Dai muri della città sono spariti tutti quei manifesti che, per giorni, li avevano sfregiati con la scritta «Gorizia grida: mai più antifascismo». «Morte al fascismo – Libertà ai popoli» ha risposto la piazza con quello che è stato il grido dei partigiani del confine orientale.
“Inconcepibile l'archiviazione dell'apologia di fascismo commessa nel municipio di Gorizia"
17 Gennaio 2020
Comunicato della Segreteria nazionale ANPI a seguito dell'archiviazione, da parte del Gip, del procedimento scaturito dalla denuncia contro una commemorazione, nel municipio di Gorizia, in cui sono stati esposti stendardi e simboli della X Mas e contro i saluti romani di un consigliere comunale
Il Gip presso il Tribunale di Gorizia ha archiviato il procedimento scaturito dalla denuncia contro una commemorazione - tenutasi presso il Municipio di Gorizia nel gennaio 2018 - in cui venivano esposti stendardi e simboli della X Mas e diffuso l'inno, e contro i reiterati saluti romani da parte del consigliere comunale Fabio Gentile.
La commemorazione riguardava i deportati dipendenti del Comune di Gorizia e non i militi della X Mas. Per questo è palesemente errato il testo della motivazione ove si afferma, a proposito di tale commemorazione, che si trattava di una riunione autorizzata “finalizzata unicamente a rendere omaggio a dei soldati morti oltre settant'anni fa”.
Le motivazioni: l'inno della X Mas “non contiene alcun riferimento al movimento fascista o a ideologie razziste o totalitarie”. La X Mas - responsabile di indicibili crimini - combatté a fianco e a sostegno dei nazisti assieme ad altre formazioni fasciste contro i partigiani sloveni e i partigiani italiani, che lottavano per la liberazione di quel territorio dall'occupazione militare tedesca. Fu il caso italiano più eclatante e spregevole di collaborazionismo con Hitler. La motivazione dell'archiviazione appare perciò pretestuosa.
Il giudizio, poi, in base al quale il “saluto romano con cui il consigliere Gentile è solito rispondere all'appello in consiglio comunale” rivestirebbe “il carattere di un gesto folcloristico” contrasta con l'evidenza dei fatti, che confermano una sbandierata propaganda del fascismo attraverso atti simbolici illegali: ricordiamo che la sentenza 21409 del maggio 2019 della Cassazione ha confermato che è reato ostentare il saluto romano.
Il provvedimento del Gip di Gorizia è perciò davvero inconcepibile. Occorre viceversa stigmatizzare, isolare e perseguire a termini di legge i responsabili di comportamenti apologetici per tutelare i principi basilari del nostro vivere democratico.
LA SEGRETERIA NAZIONALE ANPI
17/01/2020