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In memoria di Domenico Losurdo

0) Il nostro ricordo e altri collegamenti
1) Introduzione di Domenico Losurdo alla Autodifesa di Slobodan Milošević di fronte al “Tribunale ad hoc” dell’Aia
2) Knjiga Domenika Losurda "Historijski revizionizam. Problemi i mitovi" / Velika kontrarevolucija (Srečko Pulig (Pubblicata la traduzione croatoserba del "Revisionismo storico" di Domenico Losurdo)


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Lo scorso 28 giugno, all’età di 77 anni, a seguito di una breve inesorabile malattia è morto Domenico Losurdo, insigne storico del pensiero filosofico, marxista, grande conoscitore di Hegel.
La notizia riguarda anche noi e ci colpisce direttamente in virtù non solo della ampia condivisione di punti di vista sulle questioni della contemporaneità – esemplificata dal grande numero di testi di Losurdo che abbiamo contribuito a far conoscere negli anni, si veda: https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/search/messages?query=Losurdo – ma anche in quanto Losurdo è stato socio ed era tuttora membro del Comitato Scientifico-Artistico della nostra Onlus, avendoci sostenuto anche concretamente nelle campagne avviate a seguito della aggressione NATO contro la Jugoslavia nel 1999.
Non sarebbe possibile, né corretto, entrare qui nel merito dei contenuti del suo pensiero politico-filosofico, sia per nostra inadeguatezza sia per l'impossibilità di rendere contro in maniera sintetica dei grandi temi che Losurdo ha trattato promuovendo importanti controversie, facendosi quasi esempio vivente della applicazione del metodo dialettico: pacifismo/nonviolenza ; marxismo occidentale/orientale ; guerre umanitarie, neocolonialismo e razzismo "liberale"... Su altri temi non meno rilevanti e controversi (es. sovranismo, questione nazionale, europeismo, globalizzazione ; materialismo storico/dialettico e dialettica hegeliana/engelsiana) la sintesi è di là da venire, e il contributo di "Mimmo" Losurdo ci mancherà fortemente. Ci limitiamo nel seguito a segnalare alcuni primi testi di cordoglio pervenuti, che abbozzano un suo profilo intellettuale, e proponiamo: 
(1) la sua durissima introduzione alla Autodifesa di Milošević, in cui paragonava il "Tribunale ad hoc" dell'Aia alle corti-fantoccio del Ku Klux Klan: uno scritto che sembra premonitore della eliminazione fisica dell'imputato da parte dello stesso "Tribunale", occorsa pochi mesi dopo; 
(2) la segnalazione e una recensione della recentissima edizione in lingua croatoserba del saggio di Losurdo sul revisionismo storico, tradotto e curato dalla "nostra" indimenticabile Jasna Tkalec e da Luka Bogdanić.
(a cura di A. Martocchia per Jugocoord Onlus)

--- Siehe auch /Si vedano anche:

Ein Brocken im Vorgarten (Von Arnold Schölzel, 30.6.2018)
Für die Einheit des menschlichen Geschlechts: Ein Nachruf auf den marxistischen Historiker Domenico Losurdo
https://www.jungewelt.de/artikel/335204.ein-brocken-im-vorgarten.html

In memoria di Domenico Losurdo (Marco Paciotti e Paola Bubici, 30/06/2018)
... storico della filosofia da anni impegnato in una vasta e profonda opera di rilettura della storia e del pensiero universali in chiave hegelo-marxista, scomparso ... i due pilastri del programma teorico losurdiano: l’uscita del marxismo da ogni dimensione utopistico-mitologica per il suo ingresso in una dimensione scientifica (ovvero nel solco della Wissenschaft hegeliana, della scienza della totalità) e la riscoperta della questione nazionale come sola garanzia per un internazionalismo che sia espressione di universalismo concreto...
https://www.lacittafutura.it/cultura/in-memoria-di-domenico-losurdo

L’Accademia marxista cinese ricorda Domenico Losurdo (Deng Chundong / Accademia cinese del Marxismo CASS, 30 Giugno 2018)

La scomparsa del compagno Domenico Losurdo (Ruggero Giacomini, PCI / Mauro Gemma e la redazione di Marx21.it, 28 Giugno 2018)

Blog ideato e curato da Stefano G. Azzarà


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Dal libro "IN DIFESA DELLA JUGOSLAVIA. Il j’accuse di Slobodan Milošević di fronte al “Tribunale ad hoc” dell’Aia" 
N.B. di questo libro è in preparazione una nuova edizione con importanti integrazioni)

Domenico Losurdo

Introduzione 

Tra le idiozie e le infamie messe in circolazione dall’ideologia che ha accompagnato la guerra contro la Jugoslavia, una spicca in modo particolare: il processo all’Aia contro Milosevic si collocherebbe su una linea di continuità coi processi di Norimberga e Tokyo, che suggellano la fine del secondo conflitto mondiale. In realtà, i responsabili del Terzo Reich e dell’Impero del Sol Levante sono condannati in primo luogo per aver scatenato una guerra d’aggressione. L’atto d’accusa del processo di Norimberga contesta agli imputati di aver commesso «crimini contro la pace» e di aver violato le «convenzioni per la regolamentazione pacifica dei conflitti internazionali». Il 24 novembre 1948, nel confermare le sette condanne a morte emesse dal tribunale di Tokyo, il generale statunitense MacArthur esclama: «Che la Provvidenza Onnipotente faccia uso di questa tragica espiazione come simbolo per ammonire tutte le persone di buona volontà a rendersi conto della totale futilità della guerra - il flagello più terribile e il peccato più grande dell'umanità - con la finale rinuncia ad essa da parte di tutte le nazioni». E’ appena il caso di dire che, a voler tener conto oggi di questo monito e di questi precedenti, sul banco degli imputati dovrebbero essere inchiodati Clinton, i suoi  alleati e i suoi complici.
Ben diversa e persino contrapposta è la storia che agisce alle spalle del processo contro Milosevic. E’ la tradizione delle guerre coloniali. Coloro che osano opporre resistenza alle grandi potenze depositarie della Civiltà sono per ciò stesso «briganti» o «ribelli», da sottoporre a processo ed eventualmente da passare per le armi. Malamente camuffata da «giustizia», la vendetta colonialista si accanisce anche dopo la morte. Nel 1898, con la battaglia di Omdurman, la Gran Bretagna riesce a riassoggettare il Sudan, che in precedenza aveva sconfitto gli inglesi e conquistato l’indipendenza. Ora i bianchi superuomini avvertono il bisogno di riscattare l’umiliazione subita: non si limitano a finire i nemici orribilmente feriti dalle pallottole dum-dum. Devastano la tomba del Mahdi, l’ispiratore e protagonista della resistenza anticoloniale: dopo una sorta di processo, il suo cadavere è decapitato; mentre il resto del corpo è gettato nel Nilo, la testa viene portata in giro come trofeo. Le regole che valgono per gli Stati civili non hanno senso nel rapporto coi barbari, che per definizione sono un’orda barbarica e non già uno Stato e, dunque, non dispongono in senso stretto né di capi di Stato né di capi di governo.
Pur caratterizzati da forti limiti politici e da evidenti forzature giuridiche, i processi di Norimberga e di Tokyo hanno comunque il merito di rompere con questa infame tradizione colonialista. L’atto di accusa di Norimberga contesta ai gerarchi nazisti di aver teorizzato e praticato la «dottrina del popolo dei signori» ovvero della «razza dei signori», abilitati al dominio sui popoli considerati inferiori. E, ancora una volta, dovrebbe essere chiaro a tutti chi si colloca su una linea di continuità coi caporioni del Terzo Reich. Nel discorso che inaugura il suo primo mandato presidenziale, Clinton dichiara: l’America «deve continuare a guidare il mondo»; «la nostra missione è senza tempo». A sua volta, George W. Bush è giunto al potere nel 2000 proclamando un vero e proprio dogma: «La nostra nazione è eletta da Dio e ha il mandato della storia per essere un modello per il mondo». A mettere in scena e a portare avanti la farsa del processo a Milosevic sono due personaggi che, con linguaggio appena più levigato, non si vergognano di riesumare la «dottrina del popolo dei signori» ovvero della «razza dei signori», per definizione superiori non solo agli altri popoli, ma anche agli statuti e alle risoluzioni dell’ONU.
Se Norimberga e Tokyo erano la rottura con la tradizione coloniale, l’odierno processo all’Aia è la rottura con Norimberga e la ripresa della tradizione coloniale. Di nuovo c’è solo un piccolo aggiornamento linguistico. I colpevoli di aver opposto resistenza al «popolo dei signori» sono condannati non più in quanto «briganti» o «ribelli», bensì in quanto «criminali di guerra». A pronunciare tale requisitoria è in primo luogo un paese che, ancora nel secondo dopoguerra, non è indietreggiato dinanzi ad alcuna infamia nel tentativo (fallito) di assogettare i popoli dell’Indocina: qui, ancora ai giorni nostri, innumerevoli bambini, donne e uomini continuano a portare nel loro corpo martoriato i segni dell’indscriminata guerra chimica condotta dagli aspiranti padroni del pianeta. D’altro canto, per ironia della storia, la farsa giudiziaria contro Milosevic va avanti mentre, nonostante la censura, trapelano particolari agghiaccianti su Guantanamo e Abu Ghraib.
Tra Otto e Novecento, i «processi» e le esecuzioni inflitti ai «briganti» e ai «ribelli» delle colonie andavano di pari passo coi «processi» e con le esecuzioni cui erano sottoposti coloro che osavano sfidare la «supremazia bianca» e occidentale già nel cuore della metropoli. Sugli afroamericani, che avevano l’ardire di difendere o rivendicare la propria dignità umana, la «giustizia» del Ku Klux Klan si accaniva con un sadismo raccapricciante. Ma qui è di un altro aspetto che voglio occuparmi. I linciaggi dei neri erano annunciato con anticipo sulla stampa locale. Ad assistere e a divertirsi erano spesso migliaia di persone compresi donne e bambini: carrozze supplementari erano aggiunte ai treni per spettatori provenienti anche da località a chilometri di distanza; i bambini delle scuole potevano avere un giorno libero. Ecco, l’umiliazione, la degradazione e la lenta agonia del ribelle si configuravano come uno spettacolo pedagogico di massa: il popolo dei signori era chiamato a godere della sua supremazia, mentre i neri dovevano introiettare sino in fondo la lezione della necessità della rassegnazione.
Analoghe finalità pedagogiche erano state assegnate al processo contro Milosevic, ma già delle prime sedute tutti, assistendo direttamente o tramite la televisione, hanno potuto rendersi conto della netta superiorità politica e morale dell’imputato rispetto ai suoi accusatori e ai loro burattinai. A questo punto, ha cominciato a rivelarsi controproducente l’enorme apparato multimediale approntato per completare sul piano propagandistico la vittoria conseguita a livello militare. Ora, pur di portare a termine il rito dell’ineluttabilità della Giustizia del Ku Klux Klan internazionale diretto da Washington, si è pronti a mettere da parte o a ridimensionare drasticamente lo spettacolo pedagogico di massa. L’importante è che subisca una condanna esemplare e definitiva il «ribelle», il «brigante», il «criminale di guerra» che ha osato disobbedire agli ordini del popolo dei signori statunitense e occidentale.
 
Domenico Losurdo
16 settembre 2005

 
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Domenico Losurdo

Historijski revizionizam. Problemi i mitovi

Srpsko kulturno društvo Prosvjeta, 2017. 

prevoditelji: Jasna Tkalec i Luka Bogdanić
urednik: Rade Dragojević
232 str. ; 22 cm. ISBN: 9789533560021



Velika kontrarevolucija

Domenico Losurdo, Historijski revizionizam; Problemi i mitovi (s talijanskoga preveli Luka Bogdanić i Jasna Tkalec, Prosvjeta, Zagreb 2017.): Povijest historijskog revizionizma nemoguće je razumjeti izvan konteksta barem 200 godina buržoaskih i socijalističkih revolucija, čije je naličje doba kolonijalizma. Čuvari tekovina tako uređenog svijeta, iz kojega još nismo izašli, imaju dobre razloge da blate Francusku i Oktobarsku revoluciju

piše Srečko Pulig, 25. travnja 2018.

Knjiga talijanskog filozofa historije Domenica Losurda ‘Historijski revizionizam; Problemi i mitovi’ (Prosvjeta, Zagreb 2017.) dobrodošlo je osvježenje u našoj javnosti, koja pred zlom revizionizma, kojemu smo u barem dva vala ovdje izloženi, stoji uglavnom teorijski razoružana. A ne bismo takvima trebali biti. Jer problem revizionizama, u širem i užem smislu, kako ih razvrstava Losurdo, nije nov. Podsjetimo na domaći kontekst. ‘Revizionizam’ i ‘pravovjerje’ bili su opsesija u svim povijesnim socijalizmima, a donekle specifično i u našem. Mi smo naime, kao što je poznato, za ortodoksiju tzv. realnog socijalizma, koja je imala svoje sljedbenike i na Zapadu, barem od 1948. bili ‘revizionistima’. Zemljom koja je napustila učenje marksizma-lenjinizma i dala se u potragu za jednim autentičnim – ni istočnim ni zapadnim – humanističkim marksizmom. Danas i spram tog naslijeđa možemo biti kritičnima. A ta kritika i postoji. Jedna je ona dominantna, desničarskog revizionizma u užem smislu, koji odbacuje sve socijalističke pokrete, a posebno jugoslavenski, kao nešto strano našem ‘nacionalnom tijelu’. Tone ispisane profašističke literature, u publicisti i novinarstvu, ali i znanosti u ‘tranzicijskoj Hrvatskoj’, izvor su šund literature za ‘razvlačenje pameti’ u svakodnevnim borbama oko ono malo vlasti što je samoskrivljenim novim ‘urođenicima’ ovih krajeva, od silne priče o neovisnosti, ostala. Takvi danas, ne slučajno, na svojim nemasovnim paradama uz lokalne postfašističke nose i američku zastavu, nadajući se da će ih svjetska sila broj jedan prepoznati i priznati kao svoje. No u tom računu su se prevarili. Ne zato što je danas američka država vođa ‘slobodnog svijeta’ imunog na fašistoidne tendencije, nego zato što njoj oni trenutno ne trebaju. A ne trebaju ni Njemačkoj, koja se bori protiv svog novootkrivenog postfašizma, jer spram njega djeluju kao utvare iz predmodernih vremena.
Gledamo li s druge strane u povijest odnosa marksizma i sada široko shvaćenog revizionizma ovdje, dovoljno je usporediti dva po jednom bitnom tekstu slična, no po kontekstu bitno različita izdanja. Naime, dvije knjige, ‘Marksizam i revizionizam’ (Naprijed, Zagreb 1958.) i ‘Revizionizam’ (Globus, Zagreb 1981.), sadrže isti bitan tekst. Onaj Eduarda Bernsteina‘Pretpostavke socijalizma i zadaci socijalne demokracije’, napisan na prijelazu iz 19. u 20. stoljeće. I dok u prvom izdanju Bernsteina kao revizionista još uvijek, usprkos razlazu sa  SSSR -om, i u nas poriču LenjinPlehanovRosa Luxemburg i August Bebel, u drugom izdanju, koje je izabrao i predgovorio politolog Ivan Prpić, nalazimo uz isti još dva Bernsteinova teksta protiv ‘boljševičke varijante socijalizma’. Ali i tekstove Georgesa SorelaJeanaJauresaSaverija MerlinaIvanoa Bonomija i Petera von Struvea. Ono što je bitnije od izbora tekstova stav je priređivača, koji je sad naklonjeniji strani koja se još uvijek zove ‘revizionističkom’, no sada već u pozitivnom smislu. To je primjer kako je s prljavom vodom obračuna sa staljinizmom u Jugoslaviji 1980-ih bačeno i dijete. Naime Oktobar, bez inspiracije kojim ne bi bilo ni  NOB -a, a onda vjerojatno ni šanse da sve to s liberalnih pozicija bude negirano. Jer bi cijelo vrijeme vladao mrak pravog desničarskog revizionizma, u užem smislu.
Kada je zavladao novi ciklus povijesnog revizionizma, posebno onaj u Njemačkoj 1970-ih i 1980-ih, predvođen novom popularnošću teza Ernsta Noltea, mi smo imali barem jednog povjesničara – našeg porijekla, ali veći dio života u Njemačkoj – koji se njemu i dužoj tradiciji iz koje proističe suprotstavio. Bio je to Eduard Čalić. Sada to izgleda čudno, ali govori o vremenu koje je bilo potrebno čak i tuđmanizmu da zavlada, no on je uspio u nas 1990-ih objaviti ‘Evropsku trilogiju; Marseille i Drugi svjetski rat’ (Zagreb 1993.) i ‘Europu gledanu s Balkana; Kritiku koncepcije globalističkog revizionizma’ (Zagreb 2000.). U tim knjigama mi još sudjelujemo u svjetskoj diskusiji, dok se danas samo reaktivno trzamo na u međuvremenu od vlasti razrađenu revizionističku ideologiju o ‘dva totalitarizma’, onom fašističkom i onom komunističkom. Ili na očite falsifikate obiteljaša, čije je doktrinarno porijeklo u američkom vjerskom ekstremizmu, a posljedice su po društvo na drugi način pogubne od onih iz 1990-ih.
Prva u nas prevedena Losurdova knjiga kreće se oko nekoliko bitnih koncepata, čiji je zajednički nazivnik da je povijest historijskog revizionizma nemoguće razumjeti izvan konteksta barem 200 godina buržoaskih i socijalističkih revolucija, čije je naličje doba kolonijalizma. Ili u drugoj tradiciji rečeno – imperijalizma. Čuvari tekovina tako uređenog svijeta, iz kojega još nismo izašli, imaju dobre razloge da blate Francusku i Oktobarsku revoluciju, kao i cijelo naslijeđe emancipatornih pokreta 20., ali i njemu prethodnog 19. stoljeća, da ih falsificiraju i prerađuju po svojoj mjeri svjetskih gospodara. A to je uloga od koje, vidimo, ne namjeravaju tako lako odustati. Pozivajući se na komparativni pristup, koji možda i prečesto završava u analogijama, Losurdo analizira probleme i mitove historijskog revizionizma prvenstveno u Velikoj Britaniji,  SAD -u i Francuskoj, a tek izvedeno i u Njemačkoj, koja ih, uostalom, u mnogo čemu slijedi. Nacizam nije u prvom planu namjerno, ne zato što to svojom izuzetnošću ne bi zaslužio, već zato da se obasja i one koji ostaju u sjeni kada se sva krivnja za krvavu povijest 20. stoljeća strovali na Njemačku, a onda uzročno-posljedično i na Sovjetski Savez. On govori o međunarodnom građanskom ratu, koji se može razlučiti na onaj imperijalistički i onaj revolucionarni. Oba navodno imaju elemente ideološkog križarskog pohoda i svetog rata ‘koji u svom teleološkom bijesu protiv heretika ne priznaje razlike između boraca i civilnog stanovništva’. No Losurdo uvjerljivo na bezbroj primjera dokazuje da to puno više vrijedi za prvi slučaj. Kako bi to potkrijepio, uvodi razlikovanje između dva oblika ‘despecifikacije’, kako zove postupak u kojemu se neprijatelja u totalnom sukobu izopćava iz civiliziranog društva ili čak iz ljudskog roda. Prvi, opakiji oblik takvog fanatizma je naturalističkadespecifikacija, pomoću koje se određene etničke, društvene ili političke skupine naprosto isključuju iz ljudske vrste. To proturevolucionarni pokreti, kolonijalizam i imperijalizam, stalno čine. Protivnici Francuske revolucije govore o pobunjenicima, građanima, radnicima i seljacima, kao o Hunima, barbarima, sablastima Vandala i Gota, barbarskoj klasi robova, antropofagima. Revolucionari, od francuskih do sovjetskih i drugih, razvijaju pak despecifikaciju neprijatelja na političko-moralnoj osnovi. Iako Staljin govori o kulacima kao o najbestijalnijim eksploatatorima, krvopijama koji su se obogatili na bijedi naroda, vampirima i sl., bitno je uvidjeti razliku da to nisu vječna i rasno pripisana svojstva, što je pravilo u imperijalista.
Općenito govoreći, revizionistička historiografija potiskuje u drugi plan kolonijalno i nacionalno pitanje u svjetskim razmjerima, a baš o tome se radi u tri ogromna sukoba koji stoje u središtu posljednja dva stoljeća. Svaki od njih traje po nekoliko desetaka godina, a osim vojno-političkog, svi oni imaju i ideološki aspekt. Prvi počinje Francuskom revolucijom i završava restauracijom. Drugi obuhvaća razdoblje dva svjetska rata, koje Losurdo naziva i ‘Drugi tridesetogodišnji rat’. Treći ogroman sukob započinje Oktobarskom revolucijom, da bi preko razdoblja hladnog rata završio nestankom  SSSR -a. Slijedi zaključak kako je jedini ideološko-politički entitet koji je iz sva ta tri sukoba izašao kao pobjednik anglosaksonski svijet. Pisan ovako, bez navodnika, termin vuče na poznatu teoriju o kulturnim krugovima britanskog filozofa povijesti Arnolda Toynbeea, koju je ljevica svojedobno kritizirala.



E’ finita l’era dell’imperialismo umanitario

1) Neocolonialismo e «crisi dei migranti» (M. Dinucci 26.06.2018)
2) Circuito di morte nel «Mediterraneo allargato» (M. Dinucci 19.06.2018)
3) E’ finita l’era dell’”imperialismo umanitario”, quindi guerra alle Ong (A. Avvisato, 18 giugno 2018)


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Neocolonialismo e «crisi dei migranti»

In un paese in cui circa la metà della popolazione vive in povertà, è aumentata la massa di coloro che cercano di entrare negli Stati uniti. Da qui il Muro lungo il confine col Messico, iniziato dal presidente democratico Bill Clinton quando nel 1994 è entrato in vigore il Nafta, proseguito dal repubblicano George W. Bush, rafforzato dal democratico Obama, lo stesso che il repubblicano Trump vorrebbe ora completare su tutti i 3000 km di confine

di Manlio Dinucci 

su Il Manifesto del 26.06.2018

Dagli Stati uniti all’Europa, la «crisi dei migranti» suscita accese polemiche interne e internazionali sulle politiche da adottare riguardo ai flussi migratori. Ovunque però essi vengono rappresentati secondo un cliché che capovolge la realtà: quello dei «paesi ricchi» che sarebbero costretti a subire la crescente pressione migratoria dai «paesi poveri».

Si nasconde la causa di fondo: il sistema economico che nel mondo permette a una ristretta minoranza di accumulare ricchezza a spese della crescente maggioranza, impoverendola e provocando così l’emigrazione forzata.  Riguardo ai flussi migratori verso gli Stati uniti, è attualissimo ed emblematico il caso del Messico.

La sua produzione agricola è crollata quando, con il Nafta (l’accordo nordamericano di «libero» commercio), Usa e Canada hanno inondato il mercato messicano con prodotti agricoli a basso prezzo grazie alle proprie sovvenzioni statali.

Milioni di contadini sono rimasti senza lavoro, ingrossando il bacino di manodopera reclutata nelle maquiladoras: migliaia di stabilimenti industriali lungo la linea di confine in territorio messicano, posseduti o controllati per lo più da società statunitensi, nei quali i salari sono molto bassi e i diritti sindacali inesistenti.

In un paese in cui circa la metà della popolazione vive in povertà, è aumentata la massa di coloro che cercano di entrare negli Stati uniti. Da qui il Muro lungo il confine col Messico, iniziato dal presidente democratico Bill Clinton quando nel 1994 è entrato in vigore il Nafta, proseguito dal repubblicano George W. Bush, rafforzato dal democratico Obama, lo stesso che il repubblicano Trump vorrebbe ora completare su tutti i 3000 km di confine.

Riguardo ai flussi migratori verso l’Europa, è emblematico il caso dell’Africa. Essa è ricchissima di materie prime: oro, platino, diamanti, uranio, coltan, rame, petrolio, gas naturale, legname pregiato, cacao, caffè e molte altre. Queste risorse, sfruttate dal vecchio colonialismo europeo con metodi di tipo schiavistico, vengono oggi sfruttate dal neocolonialismo europeo facendo leva su élite africane al potere, manodopera locale a basso costo e controllo dei mercati interni e internazionali. Oltre cento compagnie quotate alla Borsa di Londra, britanniche e altre, sfruttano in 37 paesi dell’Africa subsahariana risorse minerarie del valore di oltre 1000 miliardi di dollari.

La Francia controlla il sistema monetario di 14 ex colonie africane attraverso il Franco CFA (in origine acronimo di «Colonie Francesi d’Africa», riciclato in «Comunità Finanziaria Africana»): per mantenere la parità con l’euro, i 14 paesi africani devono versare al Tesoro francese metà delle loro riserve valutarie.

Lo Stato libico, che voleva creare una moneta africana autonoma, è stato demolito con la guerra nel 2011. In Costa d’Avorio (area CFA), società francesi controllano il grosso della commercializzazione del cacao, di cui il paese è primo produttore mondiale: ai piccoli coltivatori resta appena il 5% del valore del prodotto finale, tanto che la maggior parte vive in povertà. Questi sono solo alcuni esempi dello sfruttamento neocoloniale del continente. L’Africa, presentata come dipendente dall’aiuto estero, fornisce all’estero un pagamento netto annuo di circa 58 miliardi di dollari. Le conseguenze sociali sono devastanti.

Nell’Africa subsahariana, la cui popolazione supera il miliardo ed è composta per il 60% da bambini e giovani di età compresa tra 0 e 24 anni, circa i due terzi degli abitanti vivono in povertà e, tra questi, circa il 40% – cioè 400 milioni – in condizioni di povertà estrema. La «crisi dei migranti» è in realtà la crisi di un sistema economico e sociale insostenibile.


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Circuito di morte nel «Mediterraneo allargato»

L'arte della guerra. È stata fondamentalmente la strategia Usa/Nato a provocare «l’arco di instabilità» con le due guerre contro l’Iraq, le altre due guerre che hanno demolito gli Stati jugoslavo e libico, e quella per demolire lo Stato siriano

di Manlio Dinucci 

su Il Manifesto del 19.06.2018

I riflettori politico-mediatici, focalizzati sui flussi migratori Sud-Nord attraverso il Mediterraneo, lasciano in ombra altri flussi: quelli Nord-Sud di forze militari e armi attraverso il Mediterraneo. Anzi attraverso il «Mediterraneo allargato», area che, nel quadro della strategia Usa/Nato, si estende dall’Atlantico al Mar Nero e, a sud, fino al Golfo Persico e all’Oceano Indiano. Nell’incontro col segretario della Nato Stoltenberg a Roma, il premier Conte ha sottolineato la «centralità del Mediterraneo allargato per la sicurezza europea», minacciata dall’«arco di instabilità dal Mediterraneo al Medio Oriente». Da qui l’importanza della Nato, alleanza sotto comando Usa che Conte definisce «pilastro della sicurezza interna e internazionale». Completo stravolgimento della realtà.

È stata fondamentalmente la strategia Usa/Nato a provocare «l’arco di instabilità» con le due guerre contro l’Iraq, le altre due guerre che hanno demolito gli Stati jugoslavo e libico, e quella per demolire lo Stato siriano. L’Italia, che ha partecipato a tutte queste guerre, secondo Conte svolge «un ruolo chiave per la sicurezza e stabilità del fianco sud della Alleanza».

In che modo, lo si capisce da ciò che i media nascondono. La nave Trenton della U.S. Navy, che ha raccolto 42 profughi (autorizzati a sbarcare in Italia a differenza di quelli dell’Aquarius), non è di stanza in Sicilia per svolgere azioni umanitarie nel Mediterraneo: è una unità veloce (fino a 80 km/h), capace di sbarcare in poche ore sulle coste nord-africane un corpo di spedizione di 400 uomini e relativi mezzi. Forze speciali Usa operano in Libia per addestrare e guidare formazioni armate alleate, mentre droni armati Usa, decollando da Sigonella, colpiscono obiettivi in Libia. Tra poco, ha annunciato Stoltenberg, opereranno da Sigonella anche droni Nato. Essi integreranno l’«Hub di direzione strategica Nato per il Sud», centro di intelligence per operazioni militari in Medioriente, Nordafrica, Sahel e Africa subsahariana.

L’Hub, che diverrà operativo in luglio, ha sede a Lago Patria, presso il Comando della forza congiunta Nato (Jfc Naples), agli ordini di un ammiraglio statunitense – attualmente James Foggo – che comanda anche le Forze navali degli Stati uniti in Europa (con quartier generale a Napoli-Capodichino e la Sesta Flotta di stanza a Gaeta) e le Forze navali Usa per l’Africa. Tali forze sono state integrate dalla portaerei Harry S. Truman, entrata due mesi fa nel Mediterraneo con il suo gruppo d’attacco.

Il 10 giugno, mentre l’attenzione mediatica si concentrava sulla Aquarius, la flotta Usa con a bordo oltre 8000 uomini, armata di 90 caccia e oltre 1000 missili, veniva schierata nel Mediterraneo orientale, pronta a colpire in Siria e Iraq. Negli stessi giorni, il 12-13 giugno, faceva scalo a Livorno la Liberty Pride, una delle navi militarizzate Usa, imbarcando sui suoi 12 ponti un altro carico di armi che, dalla base Usa di Camp Darby, vengono inviate mensilmente in Giordania e Arabia Saudita per le guerre in Siria e nello Yemen. Si alimentano così le guerre che, unite ai meccanismi neocoloniali di sfruttamento, provocano impoverimento e sradicamento di popolazioni. Aumentano di conseguenza i flussi migratori in condizioni drammatiche, che provocano vittime e nuove forme di schiavitù. «Sembra che essere duri sull’immigrazione ora paghi», commenta il presidente Trump riferendosi alle misure decise non solo da Salvini ma dall’intero governo italiano, il cui premier viene definito «fantastico».

Giusto riconoscimento da parte degli Stati uniti, che nel programma di governo sono definiti «alleato privilegiato» dell’Italia.


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E’ finita l’era dell’”imperialismo umanitario”, quindi guerra alle Ong

di Alessandro Avvisato, 18 giugno 2018

Questi non toccheranno mai più terra in Italia. La pacchia è stra-finita”. Nel vocabolario di Salvini le Ong (organizzazioni non governative) sono delle “navi da crociera”, “taxi” e persino “vice-scafisti”. Da togliere ovviamente di mezzo.

Inutile prendersela solo col leader della Lega e a tempo perso ministro dell’interno, nonché vice-premier. Lui è solo il megafono più sguaiato di una trasformazione oramai avvenuta nel fragile imperialismo continentale guida tedesca. Complice la crisi economica mai finita – dopo quasi 11 anni – aggravata dalle politiche di austerità e ora dall’esplosione di quella che era la camera di compensazione dell’Occidente (il G7, ora affossato da Trump), la direzione di marcia dell’Unione Europea sta velocemente delineandosi.

Il caso delle Ong è quasi rivelatore. Queste organizzazioni “umanitarie”, ufficialmente “non governative”, finanziate quasi sempre da potenti strutture finanziarie multinazionali (basta guardare il consiglio di amministrazione di Save the children Italia per farsi un’idea) e solo in minima parte dall’opinione pubblica di buoni sentimenti, sono state spesso, per un quarto di secolo, la “colonna civile” degli eserciti occidentali.

Intervenivano dopo una guerra o poco prima dell’attacco occidentale, inevitabilmente giustificato con “ragioni umanitarie” e la “difesa dei diritti umani”. Non tutte le Ong appartengono alla piccola galassia delle “milizie civili” occidentali; alcune sono effettivamente dei piccoli miracoli della solidarietà organizzata (Emergency è probabilmente la migliore espressione di questo sentimento).

Ma l’epoca in cui le Ong in generale erano benedette anche dai governi occidentali sembra decisamente finita. Il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, parla da tempo in modo pesantissimo di quelle impegnate nei salvataggi in mare nel Canale di Sicilia. “Fanno parte di un sistema profondamente sbagliato, che affida la porta d’accesso all’Europa a trafficanti che sono criminali senza scrupolo“. 

Lo affianca una voce giudiziariamente autorevole come il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho: “quello che rende difficile il contrasto alle organizzazioni che gestiscono il traffico di migranti è il ‘disordine’ negli interventi. Questo determina l’impossibilità di avere appartenenti alla polizia giudiziaria sulle navi che vanno a recuperare i migranti“.

Il discorso di questi due alti magistrati è la versione “beneducata” del ciarpame salviniano, ma non se ne discosta di un millimetro per quanto riguarda l’obiettivo: in mare, d’ora in poi, ci devono essere soltanto i militari. Meglio ancora se “europei” e non solo italiani.

Se alziamo gli occhi dal nostro miserabile teatrino politico e guardiamo a quel che avviene a livello della Ue – fin qui considerata, erroneamente, in parte anche nella cosiddetta “sinistra radicale”, una sorta di bastiona della civiltà contro i rischi di riprecipitare nel fascismo (prima con Berlusconi, ora con Salvini) – la situazione appare assai chiara. Lungi dal considerare un barbaro senza scrupoli il mattatore leghista, i suoi metodi e i suoi obiettivi appaiono integralmente condivisi ai piani alti di Bruxelles.

Intervistato sull’argomento, il capogruppo del Partito Popolare Europeo (quello di Merkel, Rajoy e Berlusconi), Manfred Weber, non fa neppure finta di essere meno drastico: “Mi piace il fatto che con la sua dura decisione sull’Aquarius Salvini abbia fatto chiaramente capire che l’Italia non ne può più, che ha raggiunto il colmo. Un dato positivo. Sono pienamente d’accordo con lui. E lo ero anche con i muri eretti in Bulgaria e in Spagna. Finché ci saranno confini aperti per i migranti illegali questi continueranno ad arrivare”.

Non dice questo perché abbia qualche lontana nostalgia paranazista, ma per un motivo squisitamente economico: “i migranti africani non hanno le competenze lavorative che servono a paesi come Germania e Olanda. E la loro formazione sarebbe troppo costosa per l’Europa”. Quei paesi non hanno neanche pomodori da raccogliere, dunque vanno respinti e riportati nei paesi di provenienza, aumentando il numero dei militari europei impiegati in Frontex.

Di fronte a questa linea europea – Salvini la spiega a suo modo, per specularci meglio sopra, ma non è affatto una sua esclusiva “conflittuale” con la Ue – a nulla vale l’obiezione sollevata ad esempio dalla presidente di Msf Italia, Claudia Lodesani: “le navi delle Ong effettuano i soccorsi sempre in coordinamento con la Guardia Costiera. Ed infatti a bordo dell’Aquarius c’erano 400 persone precedentemente soccorse dalla Guardia Costiera italiana“. 

E’ ovviamente verissimo. Ma non conta più nulla. Prima le Ong servivano, ora si devono togliere dai piedi, la parola passa ai militari.

Perché? E’ meglio non avere civili tra i piedi, quando si devono fare certe operazioni. Ne potrebbe risentire tutta la narrazione che descrive l’Unione Europea come un paradiso “umanitario”, dove si fanno rispettare i “diritti civili” anche a costo di bombardare qualcun altro.




Cronache non-sportive e che non riguarderebbero la Svizzera

L’allenatore della nazionale serba Mladen Krstajic: «Purtroppo solo i serbi, a quanto pare, vengono condannati sulla base di una giustizia selettiva. Prima il maledetto Tribunale internazionale penale dell’Aja, oggi il Var». (Fonte: https://www.tio.ch/sport/mondiali-2018/1304882/aperta-un-inchiesta-contro-xhaka-e-shaqiri )

Sulle provocazioni nazionaliste pan-albanesi in occasione di eventi calcistici si veda anche:

Drone con bandiera della Grande Albania interrompe la partita di calcio Serbia-Albania (2014)
Le autorità calcistiche internazionali non comminano alcuna penalizzazione e l'autore del gesto, fratello del premier albanese Edi Rama, è subito rilasciato in quanto cittadino statunitense
https://www.cnj.it/documentazione/kosova.htm#drone2014

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http://www.sinistra.ch/?p=7479

Il sopravvento della politica nella partita Serbia-Svizzera

23 giugno 2018 – di Davide Rossi

Vladimir Petkovic è croato-bosniaco, ma è da tempo un consapevole cittadino svizzero, sa, certo meglio di molti altri, che occorre non alimentare i sentimenti ostili verso gli avversari, più che mai prima di giocare con la Serbia, forse per questo ha scelto come sede del ritiro insieme al suo vice Antonio Manicone, non una città scintillante della Russia di oggi, ma Togliatti, detta spesso in italiano Togliattigrad, la città dove una grande fabbrica della Lada-Vaz, Volžskij Avtomobilnyj Zavod, la Fabbrica Automobilistica della Volga, domina orizzonti di case popolari dalla profonda sobrietà socialista.

Per Petkovic sono certo il ricordo della sua gioventù jugoslava e probabilmente un luogo capace di permettergli di trasmettere ai giocatori qualche parola sull’importanza del lavoro operaio e della lotta dei sovietici contro il nazifascismo nella seconda guerra mondiale.

Tuttavia nella Svizzera ci son molti kossovari e quando Xherdan Shaqiri posta su Instagram le sue scarpe da gioco, una con bandiera svizzera e l’altra con quella kossovara, la provocazione diventa pericolosa. La partita inizia con gli elvetici confusi e spauriti e il serbo Mitrovic che al quinto minuto salta surclassando Schar e Akanji, incornando in rete e illudendo i suoi compagni che la Serbia possa avere gioco facile. Nel secondo tempo i rossocrociati, mettendo a frutto gli insegnamenti di Gianni Brera, ovvero difendendo la sconfitta e attendendo il momento opportuno per il contropiede, infilano così due volte i balcanici, raccogliendo una meritata vittoria.

Qui dovrebbe finire la cronaca della partita, ma purtroppo non è così, le reti sono dei kosovari Xhaka e Shakiri, che aveva anche colpito con un gran tiro l’incrocio dei pali e che nella rete al ’90 è stato lanciato da Mario Gavranović, ticinese di origini croato-bosniache e attaccante della Dinamo Zagabria, di più, Xhaka e Shakiri hanno esultato facendo a doppie mani il simbolo dell’aquila albanese, irridendo i serbi e inneggiando al separatismo etnico, Petkovic ha deplorato il fatto, la stampa europea titola in molti casi di “vendetta kossovara”, il capitano Stefan Lichsteiner ha giustificato i compagni a suo dire vittime di una guerra durissima, come se l’UCK non fosse stato uno strumento militare sostenuto dall’Occidente e dall’islamismo salafita internazionale.

La Serbia ha avanzato proteste ufficiali sia a livello diplomatico, sia contro la FIFA, ritenendo che alle provocazioni si sia aggiunta una certa indulgenza arbitrale nei confronti del gioco duro dei rossocrociati, anche se in effetti l’andamento della partita è stato aspro e rude da entrambe le parti.

Da almeno un paio di mondiali si parla di albano-svizzera, molte volte sorridendo e scherzando, tuttavia i fatti incresciosi della notte di Kaliningrad inducono a riflettere con una certa gravità sui temi della coesione e della condivisione di un’identità nazionale, quella svizzera, certo antica e complessa, ma forse necessariamente imprescindibile quando si tratta di vestirne i colori.





(srpskohrvatski / italiano / русский)

Delirium verbis

1) Hrvati besni na FIFA: Kakav srpskohrvatski jezik?! / Хорваты возмутились сербохорватским языком на ЧМ-2018
Croati ai Mondiali contestano l'uso della "lingua serbocroata"

2) У Брчком пушење убија на три језика / A Brčko (Bosnia) "il fumo uccide" in 3 lingue. Identiche.


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Hrvati besni na FIFA: Kakav srpskohrvatski jezik?!

Čelnici Fudbalskog saveza Hrvatske uputili su "oštar prigovor" čelnicima Međunarodne fudbalske federacije (FIFA) zbog panoa na kome piše – "srpskohrvatski".

NĐ  ČETVRTAK, 21.06.2018. 

Radi se o panou koji se nalazi ispred sale za konferencije za štampu, odnosno o listi jezika na kojima će biti 'rađena' konferencija. 

"Pošto su fotoreporteri zamoljeni da napuste dvoranu, ispred sale sam ugledao natpis i šokirao se. Odmah sam fotografisao i to podelio na društvenim mrežama. Kako bi se Rusi osećali da im kao jezik piše ukrajinsko-ruski. A Ukrajincima tek to ne bi bilo drago. Kolega je pitao gospođu iz organizacionog odbora bi li im smetalo da piše na latinici ukrajinsko-ruski kad igra ruska reprezentacija. Ona mu je rekla da bi smetalo i tek onda je shvatila. Pravdala se da im je to neko doneo, da nisu znali, i da je FIFA odobrila. Posle toga natpis je uklonjen", rekao je hrvatski kolega za tamošnje medije. 

Ostaje da sačekamo i vidimo kakav će biti odgovor FIFA, ali će se verovatno sve završiti na izvinjenju.

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Хорваты возмутились сербохорватским языком на ЧМ-2018

21 июня 2018

Хорватская футбольная ассоциация выразила «острые возражения» Международной федерации футбола (ФИФА) из-за размещения в конференц-залах Чемпионата мира в России щитов, надписи на которых обещают журналистам синхронный перевод на сербохорватский язык, сообщает портал В92.

«После того, как фоторепортеров попросили покинуть зал, перед ним я увидел надпись, и был потрясен. Как бы россияне отнеслись к тому, что их язык назвали украинско-российским? Украинцам это тоже бы не понравилось», — рассказал хорватский журналист.

По его словам, после жалоб организаторы турнира признали ошибку и удалили надпись.

Отметим, что со времен распада Югославии сербохорватский язык официально не используется. У Сербии есть сербский язык, а у Хорватии — хорватский. При этом сербохорватский (югославский) язык пытаются развивать сторонники восстановления единого государства.

Напомним, в марте 2017 года украинские и хорватские ультрас договорились  о ненападении друг на друга во время матчей сборных Украины и Хорватии в рамках отборочного турнира к ЧМ-2018.

«Война на Балканах в 90-х годах и события последних лет в Украине – очень похожи. Именно поэтому количество добровольцев из Хорватии, которые сейчас борются на Востоке Украины, одно из крупнейших из числа европейских стран. Для нас, украинских фанатов, есть вещи намного важнее субкультурных конфронтаций. Нам нечего «делить» с хорватами», — говорилось в обращении украинских фанатов.

По мнению доктора политических наук, научный сотрудник Института европейских исследований (г. Белград) Стевана Гайича, объединительный мотив данного союза экстремистов – это ненависть к русским и сербам.


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A Brčko (Bosnia) "il fumo uccide" in 3 lingue

Nelle scuole è proibita la parlata in ecavo, Zmaj (Jovan Jovanović), Dučić e Ršumović vengono tradotti in "serbo" (iecavo) perché l'ecavo sarebbe una lingua straniera - "serbiana" (sic!).  Sul pacchetto di sigarette comperato in qualunque negozio, la scritta avverte "Il fumo uccide": perché la comprendano tutte e tre le comunità etniche, l'avvertimento è scritto in tre "lingue", malgrado tutte e tre abbiano la stessa pronuncia. Soltanto che i serbi lo leggono in cirillico, mentre per i croati e bosgnazzi viene scritto in due versi uguali "Il fumo uccide" ...

www.politika.rs

У Брчком пушење убија на три језика

Ђацима забрањена екавица, па Змаја, Дучића и Ршумовића преводе на „српски” (ијекавски), јер је екавски страни језик – србијански
Аутор: Бошко Ломовићуторак, 19.06.2018.


Од нашег специјалног извештача, Брчко – На паклу цигарета, купљеном у било којој продавници, одштампано је упозорење: „Пушење убија”. Да би то схватили припадници све три етничке заједнице, упозорење је исписано на три језика, без обзира на то што се на сва три исто изговара. Али, Срби ће опомену читати на ћирилици, а за Хрвате и Бошњаке је два пута написано латиницом: „Пушење убија”.
Чињеница да ником у Дистрикту Брчко није потребан преводилац да би разговарао са комшијом друге вере и нације, те да сви добро знају оба писма, не може да поколеба творце троетничности у дејтонском експерименту „дистрикт”.
Све је, дакле, подређено равноправности припадника трију нација у некадашњој посавској општини, а сада државици у држави БиХ.