Informazione


Segnaliamo l'uscita della edizione italiana del più famoso diario partigiano jugoslavo:

Saša Božović

A TE, MIA DOLORES
Nella tempesta della guerra col fucile e lo stetoscopio

Traduzione, adattamento e note
di Giacomo Scotti

Roma: Odradek, 2010

ISBN 978-88-96487-07-5
(titolo originale: Tebi, moja Dolores
Beograd (SFRJ): "4. Jul", 1978; VII ed. "Sloboda", 1987)

La Resistenza jugoslava fu il più deciso e concentrato movimento di liberazione nazionale in Europa. 
Dallo sfacelo della frantumazione della prima Jugoslavia il paese fu salvato da una lotta epica di uomini e donne, combattenti della Resistenza contro Fascismo e Nazismo, che ricostruirono il paese, lo riunificarono, intrapresero l’opera di affratellamento dei suoi popoli.
Questo libro, forse unico nella letteratura europea, scritto da una protagonista d’eccezione quale fu la dottoressa Saša Božović testimonia tutto ciò attraverso il suo diario-racconto che va dall’aprile 1941 all’estate 1945 e che ci porta dalle piazze di Belgrado alle aspre montagne del Montenegro e della Bosnia. 
Non si raccontano le battaglie, queste sono sullo sfondo, in primo piano la lotta quotidiana di chi si occupava dei feriti e della popolazione.
Dedicato alla figlia, nata nell'ospedale del carcere di Tirana nel novembre 1941 e morta nel marzo del 1943, A te, mia Dolores nel 1980 ottenne l’ambito premio nazionale “4. jul”, e fu proclamato dalla Biblioteca nazionale della Serbia il libro più letto dell’anno. Dall'opera memorialistico-letteraria di Saša Božović è stato tratto un film, realizzato nel 1980 per la regia di Arsa Milošević, e un testo teatrale. (dall'ultima di copertina)

Il libro può essere richiesto direttamente a CNJ-onlus, con la possibilità di riduzioni sul prezzo di copertina a seconda del quantitativo richiesto, ad es. rispondendo a questo email e specificando la richiesta.
Esso sarà disponibile anche presso il banchetto gestito da CNJ-onlus alla Festa Nazionale de L'Ernesto - Bologna 26-29 agosto 2010 ( http://www.lernesto.it/index.aspx?m=53&did=793 )

L'AUTRICE
Oltre al diario partigiano A te, mia Dolores, (nell'originale: Tebi, moja Dolores), Saša Božović ha scritto e pubblicato i seguenti libri: Sve naše Dolores (tr. Tutte le nostre Dolores), Ratne ljubavi, (tr. Amori di guerra), Prijatelji (tr. Amici), Kosovska djevojka (tr. La ragazza del Kosovo) e Moralne iskre (tr. Scintille morali).
A te, mia Dolores è stato tradotto nelle lingue slovena (quattro ristampe), polacca e italiana (la presente edizione); sono in corso le traduzioni in altre lingue europee. L'originale serbo-croato ha avuto otto edizioni. Nel 1980, anno in cui ottenne l'ambito premio nazionale "4. jul", A te, mia Dolores fu proclamato dalla Biblioteca nazionale della Serbia il libro più letto dell'anno. Per inciso ricordiamo che dalla prima opera memorialistico-letteraria di Saša Božović è stato tratto un film, realizzato nel 1980 per la regia di Arsa Milošević, e un testo teatrale a cura di Darko Šilović, regista Petar Zec, attrice principale Ružica Sokić.
Nata nel 1912 a Belgrado, dove si è spenta il 17 gennaio 1996, Saša Božović frequentò nella città natale la scuola elementare, il Ginnasio-Liceo e la Facoltà di Medicina, laureandosi nel 1937. Nel luglio del 1941, nella capitale del Montenegro, Podgorica, fu arrestata dagli occupatori italiani e internata nel lager di Kavaja in Albania. Già in novembre, però in seguito a uno scambio di prigionieri fra occupanti e partigiani, tornò in Montenegro e, in località Radovče, in territorio controllato dalle forze di liberazione, assunse la direzione del primo ospedale partigiano in quella regione. Successivamente, sempre alla guida di ospedali ambulanti, si spostò in varie località tra cui Bjizina, Gvozd, e dintorni di Nikšić. Sul finire della prima metà del 1942 fu nominata direttore-comandante dell'ospedale da campo della Prima brigata Proletaria al seguito del comandante supremo dell'Esercito jugoslavo di liberazione, Josip Broz Tito. Successivamente, posta alla guida degli ospedali territoriali partigiani di Drvar, Petrovac, Drinići, Šobatovac e Mišljenovac, passò dal Montenegro alla Bosnia e poi alla Lika (Croazia) da dove si spostò nuovamente nella Bosnia. Nei pressi di Bihać, nel villaggio di Žegar, mise in piedi un nuovo ospedale che diresse fino alla cosidetta Quarta Offensiva sferrata dalle truppe di occupazione sul finire di gennaio del 1943. Seguendo le brigate partigiane, guidò le colonne dei ammalati attraverso gli aspri territori della Lika (Cvjetnići, Šćit), della Bosnia e dell'Erzegovina. Passato il fiume Neretva, continuò a guidare una delle colonne dell'ospedale centrale partigiano anche nella Quinta Offensiva (iniziata nel mese di giugno). In quel periodo fu nominata comandante-direttore dell'ospedale della Seconda Brigata Proletaria con il quale attraversò il fiume Sutjeska e, attraverso l'intera Bosnia, raggiunse Pljevlja nel Sangiaccato (Montenegro). Ferita a Passo Jabuka nel settembre 1943, cadde nuovamente prigioniera, ma nella stessa giornata i combattenti della Seconda Brigata Proletaria la liberarono. Tornata a Pljevlja, fu nominata direttrice dell'Ospedale del Secondo Corpo d'Armata partigiano del Montenegro. Da Pljevlja raggiunse il monte Durmitor, quindi, attraverso Boan, si portò nel Monastero di Morača dove sistemò l'ospedale. Nominata successivamente direttrice dei Servizi sanitari della Seconda Divisione proletaria, con questa grande unità dell'Esercito di liberazione si portò in Serbia, dove passò ai servizi sanitari del Comando Supremo, raggiungendo infine Belgrado liberata nell'ottobre del 1944.
Nella capitale jugoslava, sul finire del 1944, diventa delegato militare della Croce Rossa Jugoslava, organizzando la raccolta e distribuzione di aiuti (materiale sanitario e viveri) alla popolazione; raccoglie e dà asilo agli orfani di guerra che arrivano da ogni parte del Paese, fonda Case del Bambino ed ospedali pediatrici sul territorio della Serbia, soprattutto in Vojvodina; si prende cura degli ex prigionieri ammalati, reduci dai lager tedeschi, fonda una Cucina del Popolo e si occupa di molti altre attività umanitarie.
Nella primavera del 1945, conclusasi la liberazione della Jugoslavia, la dr. Saša Božović diventa vice-direttrice dell'Ospedale Militare Centrale e poi dell'Accademia militare di Medicina, presso la quale si specializza in pneumologia.
Dopo il pensionamento, con il grado di generale medico in congedo, continua a prestare la sua opera, volontaria, quale: presidente della Commissione per gli invalidi e di varie commissioni ospedaliere, membro del Comitato esecutivo degli Invalidi militari di guerra della Jugoslavia, membro dell'Esecutivo del Fronte Femminile Antifascista della Jugoslavia, membro dell'Esecutivo della Croce Rossa della Jugoslavia, attivissima in varie associazioni socio-politiche, soprattutto fra i giovani.
Alla memoria di Saša Božović, una scuola materna di Belgrado è stata intitolata "Dolores", mentre a Podgorica, Montenegro, una via porta il nome della scrittrice.



Carla Del Ponte investigated over illegal evidence

(Cari compagni, vi segnalo questa inchiesta del giornalista indipendente svizzero Sidney Rotalinti sull'ex-giudice dell'Aja Carla Del Ponte indagata per corruzione di testimoni:
http://web.ticino.com/mountain/Articoli_PDF/Crudelia.pdf
Cordiali saluti
Max Ay
segretario Partito Comunista del Canton Ticino, Svizzera
www.partitocomunista.ch)

http://www.guardian.co.uk/law/2010/aug/18/carla-del-ponte-prosecution

Carla Del Ponte investigated over illegal evidence

Former war crimes prosecutor accused of allowing bullying and bribing of witnesses in trial of alleged Serbian warlord Vojislav Seselj

Carla Del Ponte, the former war crimes prosecutor who put Balkan warlords and political leaders behind bars, is to be investigated over claims she allowed the use of bullying and bribing of witnesses, or tainted evidence.
Judges at the UN war crimes tribunal for the former Yugoslavia in The Hague today ordered an independent inquiry into the practices of Del Ponte and two prominent serving prosecutors, Hildegard Ürtz-Retzlaff and Daniel Saxon, after complaints from witnesses that they had been harassed, paid, mistreated and their evidence tampered with.
It is the first time in the tribunal's 17 years in operation that top prosecutors have faced potential contempt of court rulings.
During her eight years as chief prosecutor, Del Ponte, a determined Swiss investigator now serving as her country's ambassador to Argentina, was a combative and divisive figure. She left her post in 2007.
The allegations against her concern the working practices of her team of investigators in the ongoing prosecution for war crimes of the Serbian politician, Vojislav Seselj, a notorious warlord.
"Some of the witnesses had referred to pressure and intimidation to which they were subjected by investigators for the prosecution," said a statement from the judge in the Seselj case. "The prosecution allegedly obtained statements illegally, by threatening, intimidating and/or buying [witnesses] off."
One Serbian witness said he was offered a well-paid job in the US in return for testimony favourable to the prosecution.
"The statements mention sleep deprivation during interviews, psychological pressuring, an instance of blackmail (the investigators offered relocation in exchange for the testimony they hoped to obtain), threats (one, for example, about preparing an indictment against a witness if he refused to testify), or even illegal payments of money."
An independent investigator, expected to be a French magistrate, is to report on the allegations within six months. Prosecutors in The Hague rejected the allegations while promising to co-operate with the inquiry.
"We believe our staff have conducted their work in a professional way within the rules," said Frederick Swinnen, special adviser to Serge Brammertz of Belgium, who succeeded Del Ponte as chief prosecutor.
Seselj, who surrendered to the tribunal seven years ago, has been alleging prosecution dirty tricks for years. He is routinely disruptive in court, trading insults. He has already been sentenced to 15 months for contempt of court after revealing the names and addresses of protected witnesses.
Judge Jean-Claude Antonetti, who ordered the Del Ponte investigation and who is presiding over the Seselj trial, has himself come in for strong criticism for "bending over backwards" to accommodate the accused.
Antonetti said the tribunal was taking the allegations seriously and refused "to allow any doubt to fester concerning a possible violation of the rights of the accused and concerning the investigation techniques employed by certain members of the prosecution".
While tribunal experts believed the judge was conducting an exercise in political correctness, today's unprecedented decision was the second blow this month for prosecutors in major international war crimes trials.
In the trial, also in The Hague, of the former Liberian president, Charles Taylor, the prosecutor's decision to summon Naomi Campbell as a witness this month backfired badly when the supermodel failed to supply explicit evidence linking Taylor to "blood diamonds" and warmongering in Sierra Leone.




La relazione di viaggio sotto riportata è anche scaricabile in formato Word (circa 3 Mb, corredata di fotografie) dal nostro sito:
assieme a tutte le altre relazioni di viaggio di Non Bombe ma Solo Caramelle: 
https://www.cnj.it/solidarieta.htm#nonbombe

Ricordiamo che due sindacalisti della Zastava di Kragujevac saranno nei prossimi giorni in Friuli-Venezia Giulia allo scopo di illustrare in dibattiti pubblici la situazione dei lavoratori serbi:

PRIMO DIBATTITO: la sera di venerdi 27 agosto alle 18 e 30, 
durante la Festa della Sinistra, alla Casa del Popolo di Borgo San Sergio (Trieste)
FIAT: IN ITALIA E IN SERBIA, LAVORATORI ASSIEME CON UN UNICO OBIETTIVO, LA DIGNITA' DEL LAVORO
coordinera’ il dibattito Francesca Scarpato

SECONDO DIBATTITO: la sera di domenica 29 agosto alle 18, 
durante la Festa Liberamente a Sinistra nella Sala Consiliare del Comune di Fiumicello (Udine), incontro-dibattito:
LAVORO E DIRITTI NEGATI
interverranno rappresentanti dell'USB, della FIOM CGIL e della onlus Non Bombe ma Solo Caramelle 

CONFERENZA STAMPA
sabato 28 agosto alle 11 presso la sede della Regione Friuli VG  in Piazza Oberdan a Trieste.

Inizio messaggio inoltrato:

Da: "Gilberto Vlaic" <gilberto.vlaic @ elettra.trieste.it>
Data: 11 agosto 2010 19.22.43 GMT+02.00
Oggetto: Relazione viaggio a Kragujevac di luglio 2010

Care amiche, cari amici, vi spediamo la relazione sul viaggio svolto a Kragujevac tra il 1 e il 4 luglio scorsi per la consegna delle quote di affido e per la verifica dei progetti in corso.
Ci scusiamo molto per il grande ritardo con cui vi viene spedita.

Come vedrete alle pagine 11, 12, 13 e 14 descriviamo la situazione che si e’ venuta a creare a Kragujevac con l’ingresso della Fiat e dopo le dichiarazioni di Marchionne del 21 luglio scorso a proposito del possibile spostamento da Mirafiori a Kragujevac del montaggio dell’automobile L0.
La situazione al momento non e’ andata oltre le dichiarazioni verbali.

Il nostro prossimo viaggio si svolgera’ tra il 20 e il 24 ottobre prossimi; anche questo anno non effettueremo un viaggio a dicembre, per cui nel viaggio di ottobre consegneremo DUE QUOTE TRIMESTRALI DI AFFIDO (per ottobre e per dicembre).
Il viaggio successivo sara’ svolto a marzo 2011.

(...) 

Gilberto Vlaic
ONLUS Non bombe ma solo caramelle.
Trieste 11 agosto 2010

ONLUS Non Bombe ma Solo Caramelle

RITORNO DALLA ZASTAVA DI KRAGUJEVAC
Viaggio del 1 - 4 luglio 2010

Questa relazione e’ suddivisa in quattro parti.


  1. Introduzione e siti web
  2. Cronaca del viaggio; i progetti in corso

  3. Alcune informazioni sulla Serbia e sulla Zastava

  4. Conclusioni


1. Introduzione

Vi inviamo la relazione del viaggio svolto circa un mese fa a Kragujevac per la consegna delle adozioni a distanza che fanno capo alla ONLUS Non Bombe ma solo Caramelle e al Coordinamento Nazionale RSU CGIL e per la verifica dei progetti in corso a Kragujevac.

Il nostro sito e’ all’indirizzo
sul quale trovate tutte le relazioni delle nostre attivita’ a partire dal dicembre 2006.

Sul sito del coordinamento RSU trovate tutte le notizie sulle nostre iniziative a partire dal 1999
Trovate tutte le informazioni seguendo il link

I nostri resoconti sono presenti anche sul sito del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia, scorrendo la pagina all'indirizzo:


Molti dei progetti che abbiamo in corso a Kragujevac sono realizzati ormai da anni in collaborazione con altre associazioni: ONLUS Zastava Brescia per la solidarieta’ internazionale, ONLUS ABC solidarieta’ e pace di Roma, Associazione Fabio Sormanni di Milano, ONG Cooperazione Odontoiatrica Internazionale, Caritas Trieste e Misericordia della Bassa Friulana.

Questi sono gli indirizzi dei loro siti:

http://digilander.libero.it/zastavabrescia

http://www.abconlus.it

http://www.fabiosormanni.org

http://www.cooperazioneodontoiatrica.eu

http://www.misericordiabf.org


A queste associazioni si aggiungono poi alcuni enti locali, specialmente i Comuni di San Dorligo della Valle e di San Giorgio di Nogaro; abbiamo anche avuto in passato per tre anni un significativo supporto della Regione Friuli Venezia Giulia.


Dallo scorso anno collaboriamo anche con la ONG Un ponte per... che, attraverso Alessandro e Samantha, e’ venuta con noi a Kragujevac ed ha contribuito ad uno degli ultimi progetti (la palestra di fisioterapia della associazione malati di sclerosi multipla), mentre in questo viaggio ha collaborato alla ricostruzione dei bagni della Scuola Primaria Jovan Popovic.

Alessandro cura un blog molto intreressante, che vi consiglio di sfogliare:

http://unsorrisoperognilacrima.blogspot.com


2. Cronaca del viaggio; i progetti in corso


Giovedi’ 1 luglio 2010

Siamo partiti da Trieste alle 8 e 30 del primo luglio, con il solito pullmino prestato dalla Associazione di Solidarieta’ Internazionale Triestina: Gilberto e Marvida da Trieste, Stefano da Fiumicello, Milena da San Giorgio di Nogaro, Vladimiro da Milano ed Andrea da Bologna. Sul furgone hanno trovato posto alcuni scatoloni per famiglie di Kragujevac inviati dai loro donatori italiani, moltissima carta e quaderni per il Centro 21 ottobre per ragazzi Down, giocattoli per i piu’ piccoli della Scuola primaria Jovan Popovic e una grande quantita’ di medicine per il presidio medico della Zastava.

Siamo arrivati a Kragujevac verso le 19, dopo un tranquillissimo viaggio nell’inesistente traffico dei Balcani (se si eccettua il sempre caotico attraversamento di Belgrado).

Dopo i soliti calorosi saluti con i nostri amici del Sindacato Samostalni abbiamo preparato il piu’ velocemente possibile le buste contenenti gli affidi da distribuire il sabato 3 luglio; a differenza del solito abbiamo anticipato un appuntamento, altrimenti la giornata di venerdi’ sarebbe stata troppo densa. Abbiamo incontrato Ranko Golijanin, Direttore del Centro Stomatologico del Distretto della Sumadija (la regione di Kragujevac e’ la capitale) e discusso delle loro necessita’.
Poiche’ il giorno successivo abbiamo visitato questo Centro, rimando tutte le informazioni su questo incontro al resoconto delle attivita’ del venerdi’.

A cena poi abbiamo incontrato la delegazione della CGIL di Torino, che aveva consegnato le sue quote di affido la stessa mattina.
Durante la cena siamo riusciti a definire i dettagli della spedizione di un camion di aiuti, che la CGIL ha raccolto a Torino ma che aveva difficolta’ ad inviare a Kragujevac.
Il camion in effetti e’ partito da Torino il 9 luglio successivo, ed il trasporto e’ stato GRATUITO, cosi’ come lo era stato per il camion spedito a dicembre 2009, grazie all’aiuto del Consolato della Repubblica di Serbia a Trieste.

Venerdi’ 2 luglio 2010

Si inizia alle ore 8 e 15 in Municipio, dove incontriamo l’assessore alla istruzione e cultura Dragoslav Milosevic per la firma di un nuovo accordo con il Comune per il recupero di un grande locale in un quartiere periferico della citta’.
Come descritto nella relazione del viaggio di aprile 2010, la Direttrice della Scuola Primaria 19 ottobre nel quartiere di Marsic ci aveva chiesto di aiutare la sua Scuola a recuperare e ad arredare una struttura di proprieta’ pubblica attigua alla Scuola stessa, da destinare a centro di aggregazione a beneficio di tutto il quartiere.
E’ bene innanzitutto notare che e’ una costante significativa e di grande interesse che la scuola si fa centro propulsore della socialità attiva del territorio in cui è inserita. Ci e’ successo con la Scuola Jovan Popovic, con la Scuola Tecnica ed ora con la Scuola 19 ottobre.
La Scuola 19 Ottobre ha questo nome in ricordo dell’inizio della tremenda rappresaglia nazista dell’ottobre 1941, durante la quale furono fucilati 7300 abitanti della citta’; questa strage inizio’ proprio qui, nel quartiere di Marsic, il 19 ottobre 1941, con la fucilazione di 107 abitanti.
Il locale da ristrutturare e’ molto ampio, 210 metri quadrati, e gli abitanti del quariere vorrebbero trasformarlo in palestra. La grande sala e’ dotata di palcoscenico, e potrebbe essere dunque usata anche per spettacoli musicali e teatrali.
La direttrice ci aveva consegnato ad aprile scorso un preventivo molto articolato relativo alle attrezzature sportive necessarie, per un importo di circa 5000 euro.
L’interno del locale e’ in buone condizioni, con il pavimento ed i servizi igienici nuovi.
Ci sono pero’ alcune infiltrazioni di umidita’ dal tetto, che possono creare danni significativi.
Il Sindacato Samostalni, che seguira’ i lavori, ha fatto preparare un preventivo per la sistemazione edile dell’edificio; e’ diviso in quattro fasi, e i costi indicati sono tutti a corpo:
Rimozione della vecchia copertura di tegole e del sottotetto e rifacitura 7070 euro
Isolamento termico del tetto  650 euro
Nuovo controffitto in cartongesso  1780 euro
Pitturazione degli interni  (pareti e controsoffitto)  1920 euro
Pitturazione degli esterni (mura e parti in legno)  2100 euro
Si tratta di un intervento molto oneroso, per cui si e’ deciso di limitarsi al momento alla sola parte essenziale di rifacitura del tetto.
Insieme alla Assoziazione Zastava Brescia ci siamo quindi impegnati a contribuire a questa iniziativa con 8000 euro complessivi.
Il Comune di Kragujevac, che ha gia’ rifatto i servizi igienici el il pavimento contribuira’ per 2500 euro all’acquisto parziale delle attrezzature sportive.
L’accordo firmato con l’Assessore Dragoslav Milosevic definisce questi contributi.
I lavori saranno direttamente seguiti dal Sindacato.
Abbiamo consegnato i primi 7000 euro per la prima fase dei lavori e consegneremo la restante quota di 1000 euro a ottobre prossimo, quando l’edificio sara’ restituito funzionante alla comunita’ locale.  

[Foto: L’esterno dell’edificio di Marsic / Una vista dell’interno; sul fondo si intravede il palcoscenico]

Alla fine della mattinata abbiamo incontrato nella sede della Scuola 19 ottobre un gruppo di insegnanti per festeggiare questo nuovo progetto che nasce; in questa occasione abbiamo consegnato alla Direttrice la bandiera della Pace che accompagna sempre i nostri interventi .


[Foto: La bandiera della Pace alla Direttrice]

Subito dopo la firma dell’accordo, alle 9 arriviamo alla Scuola Jovan Popovic, dove e’ finita la ricostruzione dei servizi igienici per gli alunni; la Direttrica Ljljana non riesce a trattenere le lacrime, anche perche’ andra’ in pensione a settembre. Tutti siamo molto felici di aver portato a termine questo progetto, che non ci sembrava possibile di poter realizzare dati i costi non piccoli (quasi 14000 euro). Consegnamo alla Direttrice il nostro secondo contributo di 5000 euro; il precedente, sempre di 5000 euro, era stato consegnato ad aprile. Il Comune coprira’ la differenza.


[Foto: Stato precedente dei servizi igienici / La targa posta a ricordo dell’intervento / Nuovi servizi / Un altro scorcio / Lo scaldabagno]

Tra i servizi per i bambini e quelli delle bambine e’ stato ricavato un piccolo locale di sgombero dove e’ stato installato anche uno scaldabagno (e l’immancabile angolo per la preparazione del caffe’, angolo che non manca mai in nessuna struttura della Serbia); questi nostri bambini avranno dunque anche l’acqua calda...


Lasciamo nell’aula di scuola materna tutti i giochi che abbiamo portato con noi; sara’ una bella sorpresa per i nostri piccoli amici al rientro scolastico a settembre.


Alle 10 altra c’e’ una nuova inaugurazione: la sede della Associazione Donatori di Sangue, in un locale di proprieta’ pubblica in pieno centro citta’, che abbiamo contribuito a realizzare insieme alla Associazione di Brescia.

Avevamo visitato la sede ad aprile, ancora al grezzo; il cambiamento e’ impressionante! Locali piccoli, bui e maleodoranti sembrano ora molto piu’ grandi e pieni di luce. I lavori eseguiti comprendono la costruzione di un bagno, la realizzazione dell’impianto elettrico e la ricopertura dei muri con cartongesso.

E’ presente anche l’Assessore all’ambiente ed alla cooperazione Srdjan Matovic, che ci consegna la lettera del Sindaco con la quale viene stabilito che il Comune si impegna a fornire gli arredi per la sede e a continuare a concedere i locali in uso gratuito, come era stato chiesto da noi ad aprile scorso, quando avevamo preso l’impegno di realizzare questo progetto

La bandiera della Pace, che avevamo firmato tutti insieme ad aprile, e’ posta all’ingresso, assieme a quella della associazione. Con sorpresa e una certa emozione troviamo all’interno una grande bandiera della Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia.


[Foto: Due scorci della sede Associazione Donatori Sangue ad aprile scorso / L’ingresso della sede / Vista dell’interno]

I soci della associazione sono quasi tutti lavoratori della Zastava ed hanno organizzato una donazione straordinaria di sangue in concomitanza a questa inaugurazione; il luogo scelto per la donazione e’ il Parco dell’amicizia, il grande prato antistante la sede del Sindacato Samostanli dei lavoratori della Zastava camion, la’ dove ad aprile 2009 avevamo inaugurato una grande palestra per i figli dei lavoratori Zastava.


A pranzo saremo loro ospiti; eravamo stati avvisati gia’ da molto tempo di questo invito; cio’ che non sapevamo, invece, che l’appuntamento per il pranzo e’ in una trattoria nelle campagne di Kragujevac alle tre e mezzo del pomeriggio!

Si tratta di un orario impossibile per noi, perche’ alle sei del pomeriggio abbiamo un altro appuntamento, ed un altro ancora alle sette. Conoscendo la durata media dei pasti serbi non si riuscirebbe a rispettare questi appuntamenti. Anticipiamo quindi a pranzo (perdendoci varie volte nelle colline che circondano Kragujevac prima di arrivare alla trattoria) alle due del pomeriggio; mangiamo da soli uno splendido pasto e ci incrociamo con i nostri amici solo per mezz’ora... vuol dire che dovremo ripetere l’esperienza.


[Foto: Due momenti della grande donazione di sangue]

Alle 11 continuiamo questa intensissima mattinata con una visita al Centro 21 Ottobre per ragazzi down, che e’ il primo progetto significativo che abbiamo realizzato a Kragujevac nel 2005. Il centro era stato inaugurato a esattamente cinque anni fa, ed e’ gestito fino dalla sua fondazione da una Cooperativa Sociale dal significativo nome Ziveti – Vivere; un anno fa e’ stata rinnovata la convenzione quadriennale tra il Comune e la Cooperativa; la direttrice Jelena Trifunovic e’ particolarmente felice perche’ il centro era considerato fino ad ora un Progetto da parte dell’Assessorato per i Servizi Sociali, mentre da pochi giorni e’ stato classificato come Servizio; la differenza non e’ da poco perche’ un progetto puo’ essere chiuso da un momento all’altro mentre un servizio ha una sua stabilita’ certa nel tempo.

Consegnamo un modesto regalo di 250 euro da parte della nostra associazione, insieme a molta carta e molti pennarelli.

Saranno i ragazzi del Centro 21 ottobre a salutarvi alla fine di questa relazione.


Alle 18 incontriamo Ranko Golijanin, Direttore del Centro Stomatologico del Distretto della Sumadija, che vorrebbe iniziare una collaborazione con noi e soprattuto con la ONG Cooperazione Odontoiatrica Internazionale, con la quale noi abbiamo per molti anni realizzato progetti importanti in campo sanitario sociale, impiantando sei studi dentistici: quattro al Centro Medico della Zastava, uno alla Scuola Politecnica e uno alla Scuola Infermiere. In questo Centro distrettuale lavorano 51 dentisti, 86 operatori sanitari e 26 operatori non sanitari.

Eseguono 5000 – 6000 interventi al mese. Da quest’anno inoltre il Centro è diventato la base clinica del Corso di Laurea in stomatologia, aperto presso la Facolta’ di Medicina dell’Universita’ di Kragujevac.

Il problema principale, che non possono assolutamente risolvere da soli, e’ rappresentato dalle poltrone veramente vetuste, che hanno abbondantemente superato 30 anni di attività. Ma anche il resto della strumentazione non versa in buone condizioni...


Intendono aprire un reparto di Hospital Day, per i casi interventi piu’ complessi, e ci chiedono se possiamo aiutarli con quattro letti ortopedici; poco piu’ di un anno fa ne avevamo ricevuti molti in ottimo stato da parte della Casa di Riposo di San Giorgio di Nogaro, attraverso la Misericordia della Bassa Friulana; alcuni letti erano andati in Africa, cinque erano andati a dicembre scorso in Serbia, e ne rimangono ancora cinque, per cui possiamo promettere almeno quelli; per settembre prossimo organizzeremo la spedizione. Per altre strumentazioni si vedra’ di fare il possibile.


Alle 19 ci incontriamo con un folto gruppo di studenti del Liceo Ginnasio di Kragujevac, che, nonostante il periodo di vacanza, hanno manifestato il desiderio di conoscere la nostra attività e di avviare un proficuo scambio di relazioni culturali. E’ stata una delle esperienze piu’ interessanti nel corso di questi dieci anni. Questa e’ la Scuola da cui i nazisti prelevarono gli studenti (circa 300) e molti professori, fucilati poi insieme ad altri 7000 abitanti della citta’il 21 ottobre del 1941 in rappresaglia ad una azione partigiana.

L’invito questi ragazzi ci ha veramente sorpreso, ed in particolare ci ha colpito l’attenzione con cui hanno seguito le nostre due brevi relazioni di presentazione, una incentrata sulle motivazioni ideali e politiche che stanno alla base del nostro operare, nel segno della solidarietà fra i lavoratori, e l’altra più generale riguardante le basi culturali su cui si fonda la vicinanza e la convivenza fra i nostri due popoli.

Il dibattito che ne è scaturito ha confermato la nostra impressione di trovarci di fronte a degli interlocutori maturi e consapevoli (ci è subito venuto da pensare a quanti studenti di una qualsiasi scuola italiana sarebbero stati presenti in così gran numero la sera di un caldissimo venerdi’ di luglio, durante le vacanze scolastiche) dotati di uno spirito critico e di una curiosità che li motivano a voler conoscere realtà così distanti dalla loro esperienza, partendo comunque da un giusto orgoglio di appartenenza. Le due cose non sembrino in contraddizione, perché sempre il confronto presuppone la conoscenza di sé.

A seguire ci sono stati illustrati i progetti promossi e realizzati dagli studenti del Liceo, tramite il Parlamento degli studenti, organismo elettivo che, in forma autonoma rispetto al corpo docente, si occupa appunto di organizzare la vita culturale della scuola, promuovendo incontri con intellettuali, artisti e soggetti politici da tutta la Serbia.

Di forte impatto emotivo è stata la visita all’aula dedicata alla memoria degli studenti fucilati. Sono stati recuperati ed esposti le fotografie dei martiri e i loro ultimi messaggi prima della fine, nonché documenti dell’epoca relativi a quel triste evento. Pare certo il prossimo anno, in occasione del settantesimo anniversario della strage, il governo serbo finanzierà il progetto di trasformazione dell’aula in museo permanente dell’orrore nazifascista.

L’incontro si chiude con la promessa di rivederci ancora, magari riuscendo da parte nostra a favorire una qualche forma di gemellaggio con una o più scuole italiane. Un altro piccolo grande investimento nel segno del dialogo e della pacifica convivenza fra umani, che renda sempre più difficile giustificare altre “guerre umanitarie”.


[FOTO: Con gli studenti del Liceo / Una targa ricorda la strage / Varie foto dei fucilati esposte nell’aula dedicata alla loro memoria]

Il giorno dopo visiteremo il grande parco di Sumarice, dove avvennero le fucilazioni e dove molti monumenti ricordano quella strage. Il piu’ imponente e conosciuto e’ quello delle Ali Spezzate, dedicato a questi studenti.


[FOTO: Il monumento delle Ali Spezzate]

Sabato 3 luglio 2010

E’ il giorno dell’assemblea per la distribuzione delle quote di affido.

Alle 10 abbiamo un incontro con i rappresentanti sindacali del settore auto, per verificare la situazione della fabbrica a cinque mesi dall’arrivo della FIAT. I dati raccolti in questo incontro li ritrovate piu’ sotto, nella quarta parte di questa relazione.

Alle 11 inizia l’assemblea per la consegna degli affidi. Malgrado siano passati tanti anni e tanti viaggi dall’inizio della nostra campagna e’ difficile restare insensibili a tutte queste persone che pazientemente ci aspettano nel piazzale davanti alla grande sala della direzione della Zastava Camion dove avvengono le consegne. Benche’ la sala sia molto grande, molti non riescono a entrare e si fermano in corridoio. La preoccupazione per il futuro aleggia su tutti, perche’ nulla e’ chiaro nell’accordo con la FIAT.

I licenziamenti e gli abbandoni forzati del posto di lavoro hanno colpito duro: ormai sui circa 1500 affidi aperti in Italia poco piu’ di 500 sono a favore di figli di lavoratori del gruppo, gli altri ormai sono a favore di figli di ex operai.

Noi comunque proviamo sempre la stessa gioia nel rivedere persone che conosciamo da anni, i loro figli che crescono viaggio dopo viaggio. Benche’ disoccupati, malati, disperati, almeno non sono abbandonati da tutti. La solidarietà è soprattutto questo. E loro, i nostri amici, questo lo sanno bene e ce lo dicono, qualcuno con le parole, molti con gli occhi e gli abbracci.

Dopo il viaggio precedente di aprile due dei nostri affidati si sono sposati, altri tre si sono laureati. Abbiamo cancellato questi cinque affidi, ma ne sono stati aperti due nuovi.

Consegnamo 157 quote d’affido (quasi tutte trimestrali) ed alcuni regali in denaro, per un totale di 15060 euro.

Durante il pomeriggio visitiamo tre famiglie con figli-e in affido alla nostra associazione.

Il giorno dopo, con un viaggio tranquillissimo, rientriamo in Italia. 



3 – Alcune informazioni generali sulla Serbia e sulla Zastava

Quando la fonte non e’ indicata significa che i dati sono stati ricavati dai bollettini periodici dell’Ufficio Centrale di Statistica; qualora la fonte sia diversa viene esplicitamente indicata.


Il prestito del Fondo Monetario Internazionale (FMI)

Avevamo accennato nella relazione di aprile 2010 a questo prestito di 2.9 miliardi di euro, deciso a maggio del 2009 e ritirato tra il 2009 e il 2010.

I principali vincoli imposti dal FMI riguardavano fra le altre cose:

  • Blocco delle pensioni per il 2010

  • Blocco degli stipendi nel settore pubblico nel 2010

  • Riduzione degli occupati nel settore pubblico (vedi i dettagli nell relazione di aprile).

Abbiamo verificato con il Sindacato Samostanli che le pensioni sono rimaste bloccate cosi’ come i salari dei dipendenti del pubblico impiego.

I licenziamenti dei primi 3000 dipendenti pubblici sono stati invece bloccati per non esasperare ulteriormente una situazione sociale difficile.


ALCUNI INDICI ECONOMICI GENERALI

Cambio dinaro/euro.

A ottobre 2008 il cambio dinaro-euro era di 84 a 1.

Al 22 ottobre 2009 era di 93.2 dinari per euro.

Il 25 marzo 2010 era di 97 dinari per un euro.

il 1 luglio 2010 il cambio e’ passato a 102 dinari/euro.

Questo continuo indebolimento del dinaro rispetto all’euro ha effetti devastanti sulle condizioni di vita delle famiglie, visto che la Serbia e’ un Paese con un fortissimo deficit commerciale e che piu’ della meta’ del commercio con l’estero si svolge con la Unione Europea (Germania e Italia sono i primi partners commerciali in quest’area).


Commercio con l’estero.

Tra gennaio a giugno 2010 le esportazioni sono state pari 3353.6 milioni di euro, con un aumento del 19.4% rispetto allo stesso periodo dell’anno 2009.

Tra gennaio a giugno 2010 il valore delle importazioni e’ stato di 5848.2 milioni di euro, con un decremento del 3.8% rispetto allo stesso periodo del 2009.

Come mette in evidenza il bollettino dell’Uffico Centrale di Statistica da cui abbiamo tratto questi valori il dato delle esportazioni e’ stato certamente influenzato dal deprezzamento del dinaro.

Il rapporto tra esportazioni ed importazioni e’ stato di 57.2%, piu’ alto del valore segnato nello stesso periodo del 2009, che era stato del 50%.

Nel periodo considerato le esportazioni della Serbia si sono concentrate soprattutto verso l’Italia (385 milioni di euro), La Bosnia Erzegovina (376.5 milioni di euro) e la Germania (364.6 milioni di euro).

Le importazioni invece derivano dalla Russia, soprattutto petrolio e gas (782 milioni di euro), dalla Germania (621.4 milioni di euro) e dall’Italia (524.1 milioni di euro).


Indice della produzione industriale

La produzione industriale complessiva a giugno 2010 e’ cresciuta del 2.5% in rapporto allo stesso mese del 2009. Nei primi sei mesi del 2010 questo indice e’ salito del 4.6 % rispetto allo stesso periodo del 2009.

Non vanno pero’ dimenticati i dati precedenti: la produzione industriale complessiva nel 2009 e’ scesa del 12.1% in rapporto a quella del 2008.

A gennaio 2010 e’ scesa del 12.5% rispetto alla produzione media mensile del 2009.


Salari e prezzi

Salari (in dinari)

Riportiamo alcuni dati relativi alll’evoluzione dei salari netti:


Mese Produzione Servizi Media totale

Gennaio 2009 27447 32020 28887
Gennaio 2010 29921 31240 29929
Marzo 2010 31334 37881 33508
Giugno 2010 32505 Non disponibile 34161

Prezzi al consumo a giugno 2010

Ponendo uguale a 100 la media dei prezzi al consumo nell’anno 2005, a gennaio 2010 tale indice era diventato 149.9 per salire a 156.5 a giugno 2010.

Rispetto a giugno 2009 i prezzi sono saliti del 6.4 per cento.


Prezzi dei carburanti a fine giugno 2010 (in dinari)

Benzina senza piombo 117.40

Gasolio euro diesel 114.00

Gas auto 55.00

MA COME VIVE UNA FAMIGLIA?

Il quotidiano Blic ha pubblicato il 21 giugno scorso una analisi molto dettagliata della spesa MENSILE di puro mantenimento di base per una famiglia di quattro persone, articolandola su dieci differenti capitoli di spesa e su un totale di 72 voci.

I capitoli di spesa presi in considerazione sono i seguenti: frutta, verdura, latte e derivati, carne, cereali (pane, farina, pasta e riso), bevande, dolci, altri prodotti alimentari (tra cui caffe’, zucchero, olio, aceto, spezie), prodotti per l’igiene, altro (trasporti, comunicazioni, bollette, abbigliamento medicine, divertimenti).

Le 72 voci in cui e’ articolato questo paniere sono molto spartane e molto contenute; non possiamo riportarle tutte (servirebbe molto spazio); ne elenchiamo comunque alcune. II prezzi sono in dinari e si riferiscono a giugno 2010


Latte e derivati

Latte 30 litri 2157
Jogurt 20 litri 1598
Burro 250 grammi 165
Formaggio tenero 4 kili 1720
Formaggio duro 0.6 kili 390
Uova 80 800
Totale 6830


Carne e pesce

Pollo cosce 5 kili 950
Pollo petto 325
Manzo 5 kili 2450
Maiale 5 kili 1850
Salsicce 0.5 kili 240
Salame 0.5 kili 180
Prosciutto 0.5 kili 330
Lardo 0.5 kili 345
Trota 2 kili 670
Sardine 0.5 kili 315
Totale 7645


Le altre spese alimentari sono costituite da:

frutta 900

verdura 3940

bevande 1550

dolci 1955

cereali 2815

altri prodotti alimentari 1895

per un totalecomplessivo per l’alimentazione pari a 27530 dinari


Altre voci di spesa:

prodotti per l’igiene 1690

altro 53670


Nella voce ALTRO sono compresi insieme a molte altre cose: un pieno di benzina (7100), le imposte comunali (8800), trasporti pubblici (3450), telefono (2400).


Il totale di tutte le spese per un mese e’ di 82890 dinari, pari cioe’ a 2.4 volte il salario medio!!!



Livelli occupazionali, disoccupazione e poverta’

Abbiamo pubblicato i dati sulla occupazione nella relazione di aprile scorso. Non ci sono al momento nuovi dati aggiornati.


I disoccupati erano 710.000 circa a ottobre 2008, sono saliti a 751.590 a gennaio 2010 e ulteriormente cresciuti a 767.418 a febbraio 2010 (quotidiano PRES 15-5-2010)


La poverta’. Il quotidiano BLIC ha dedicato due approfondite inchieste a questo gravissimo problema, il 28-3-2010 e il 17-5-2010.

670.000 cittadini serbi (9.2% del totale) vivono sotto il limite di poverta’ che convenzionalmente e’ posto a 8000 dinari al mese per una persona singola; per nucleo familiare di due persone questa cifra e’ di 13600 dinari; per tre persone e’ di 18.000 dinari e per quattro 21600 dinari. In questi numeri non sono compresi alcuni gruppi sociali particolarmente a rischio poverta’ quali i profughi e gli esuli che vivono ancora nei centri di raccolta.

Un ulteriore problema e’ che esiste un numero consistente di famiglie che non sono classificate povere poiche’ superano, MA DI POCO, questi limiti di reddito.

Per alcuni anni la poverta’, benche’ di poco, era via via diminuita. LA crisi economica in atto ha generato un forte crescita della poverta’ e nel 2009 circa 60.000 persone sono scese sotto questa soglia. La situazione si complica ulteriormente perche’ e’ diminuita l’area del lavoro nero, e le retribuzioni dei lavori in nero sono nettamente diminuite.

Queste condizioni penalizzano soprattutto i circa 100.000 giovani serbi sotto i 13 anni in poverta’, sia per i problemi di denutrizione (alimentazione ridotta in molti casi solo al pane e al latte) sia per i problemi psichici che vengono indotti.


Informazioni sulla Zastava


Fabbrica Camion

I lavoratori occupati nella fabbrica a giugno 2010 sono 742; il numero e’ sostanzialmente stabile da circa due anni; questo numero e’ diminuito di 180 unita’ dal giugno 2007.

La produzione e’ del tutto simbolica, ed e’ stata di 45 camion nei primi quattro mesi del 2010, a fronte di un piano di produzione per tutto il 2010 di 360 veicoli.

Il salario medio e’ di 325 euro.

Piu’ di 600 lavoratori sono iscritti al Sindacato Samostanli.


Fabbrica Auto

La FIAT e’ entrata in possesso degli stabilimenti auto della Zastava di Kragujevac il 1 febbraio 2010; la nuova impresa industriale prende il nome di FAS (FIAT Auto Serbia). Si tratta di una impresa mista: 67% Fiat e 33% Governo serbo.

Trovate tutti i dettagli di questa vicenda via via aggiornati nel tempo nelle nostre relazioni di ottobre 2008, aprile 2009, ottobre 2009 e marzo 2010, che potete leggere sul nostro sito oppure molto facilmente verso il fondo della pagina:

http//www.cnj.it/solidarieta.htm


Ricordiamo comunque per sommi capi come si e’ giunti alla creazione della FAS.

Il 29 aprile 2008 era stato firmato un primo memorandum di intesa tra Fiat e Governo serbo; di li’ a 12 giorni si sarebbero tenute le elezioni politiche...

Il 29 settembre 2008

(Message over 64 KB, truncated)



Questa settimana giungeranno in Friuli-Venezia Giulia due sindacalisti della Zastava di Kragujevac, allo scopo di illustrare in dibattiti pubblici la situazione dei lavoratori di Kragujevac. Si tratta di

Rajka Veljovic
coordinatrice dell’ufficio adozioni internazionali del Sindacato Samostalni, e
Zoran Mihajlovic
segretario del Sindacato Samostalni Zastava Auto e Fiat Auto Serbia e vicesegretario dei metalmeccanici di Serbia.

Per iniziativa della onlus Non bombe ma solo caramelle sono stati organizzati due incontri pubblici con loro:

PRIMO DIBATTITO: la sera di venerdi 27 agosto alle 18 e 30
durante la Festa della Sinistra, alla Casa del Popolo di Borgo San Sergio (Trieste)
FIAT: IN ITALIA E IN SERBIA, LAVORATORI ASSIEME CON UN UNICO OBIETTIVO, LA DIGNITA' DEL LAVORO
coordinera’ il dibattito Francesca Scarpato

SECONDO DIBATTITO: la sera di domenica 29 agosto alle 18
durante la Festa Liberamente a Sinistra nella Sala Consiliare del Comune di Fiumicello (Udine), incontro-dibattito:
LAVORO E DIRITTI NEGATI
interverranno rappresentanti dell'USB, della FIOM CGIL e della onlus Non Bombe ma Solo Caramelle 

CONFERENZA STAMPA
sabato 28 agosto alle 11 presso la sede della Regione Friuli VG  in Piazza Oberdan a Trieste.


<< Inutile sottolineare l’estrema attualita’ di questi dibattiti, anche in relazione alle ripercussioni che potranno avere sul lavoro e sui diritti dei lavoratori in Italia le dichiarazioni dello scorso 21 luglio da parte di Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, relative ad un ventilato spostamento delle produzioni di auto da Mirafiori agli ex stabilimenti della Zastava di Kragujevac, ora diventati Fiat Auto Serbia.

Speriamo di potervi vedere numerosi!!!

Un cordiale saluto
Gilberto Vlaic (Non Bombe ma Solo Caramelle ONLUS)
Trieste, 22 agosto 2010 >>



(italiano / deutsch)

Kosovo: Präzedenzfall mit weitreichenden Folgen?

1) Ricatto alla Serbia, tra Pristina e Kragujevac (Ennio Remondino, il manifesto)

2) Zwei Artikeln aus Neues Deutschland - mit einem Kommentar von K.Trümpy:
Präzedenzfall mit weitreichenden Folgen (H. Hofbauer) / Trennung als einzige Alternative (N. Mappes-Niediek)

(Sulla inconcludente decisione della Corte dell'Aia a proposito della secessione etnica kosovara si veda anche:


=== 1 ===


"Il manifesto" del 19-8-2010 p. 9

Ricatto alla Serbia, tra Pristina e Kragujevac

di Ennio Remondino 

La partita balcanica in questo periodo, letta con calma, suggerisce una sorta di conto finale presentato alla Serbia sconfitta, con risarcimento di consolazione per cercare di tenersela amica. Dare-avere. Ti porto definitivamente via il Kosovo e i suoi monasteri ortodossi, salvo qualche territorio marginale da contrattare, e ti risarcisco con la nuova produzione della monovolume Fiat nell'affamata Kragujevac. Che il conto auto lo paghi la banca europea e la stessa Serbia, oltre ai lavoratori di Mirafiori o di Pomigliano, è un dettaglio. Come è rimasto dettaglio per 10 anni il numero di operai della Zastava uccisi dai bombardamenti Nato del 1999. Il Kosovo indipendente albanese è volontà americana con avallo complice di parte europea. La delocalizzazione Fiat in Serbia è puro e semplice ricatto antisindacale, ma, data l'attuale dimensione Fiat, anche questo è messaggio planetario. Cuochi diversi ma sempre la stessa frittata. Fatto a pezzi il diritto internazionale consolidato da parte dalla Corte di giustizia internazionale che si inchina al fatto compiuto. Frittata nelle conseguenze secessioniste che troveranno legittimazione in tutto il mondo, frittata industriale nel delicato rapporto tra impresa e lavoratori che colpisce l'Italia ma che punta ad educare quello che resta del mondo operaio nell'occidentale dei diritti sindacali. 
Il Kosovo etnico albanese secessionista, riconosciuto indipendente da un terzo soltanto del Paesi Onu, diventa di colpo uno Stato «indipendente, democratico, unito e multietnico». Parola del vicepresidente Usa Joe Biden, con la benedizione a seguire della Corte internazionale. Audace piroetta sui confini labili tra diritto e politica. Vince la logica della realpolitik definita sempre dal più forte. La giravolta della Corte Internazionale riporta alla memoria l'altro miracolo imposto da oltreoceano a metà del 1998, otto mesi prima delle bombe umanitarie della Nato sulla Jugoslavia. Sino a maggio gli episodi di violenza contro il governo di Belgrado era condotti dall'organizzazione «terrorristica» dell'Uck: parola dell'allora inviato Usa per i Balcani Christopher Hill. A giugno, magia d'estate nella caricatura del famoso «contrordine compagni», i «terroristi» si trasformano prima in «ribelli» e poi in «partigiani». Sempre per indicazione atlantica. Cosa sia accaduto prima, durante e dopo i tre mesi di bombardamenti è materia di verità ufficiali taroccate e di verità scomode mai svelate compiutamente. 
In un parere giuridico contrastato al suo interno, la Corte internazionale afferma che la secessione proclamata da Pristina il 17 febbraio del 2008 è coerente con la risoluzione 1244 delle Nazioni Unite. Perché, ovviamente, il Consiglio di Sicurezza s'era ben guardato dall'usare la parola «secessione», anche solo per vietarla. Cosa sia il Kosovo, nonostante le cronache inesistenti, è cosa nota. Forti ingerenze criminali all'interno stesso dello Stato, criminali di guerra non perseguiti, forte caratterizzazione etnica anti-serba, forma della democrazia dai risultati molti incerti, unità territoriale di fatto inesistente. Lo documentano i ripetuti documenti riservati dei militari Unmik e dei civili di Eulex. Lamberto Zannier, rappresentante speciale delle Nazioni Unite in Kosovo avverte. «C'è sempre il rischio che una scintilla possa innescare un processo di crisi sul terreno, difficilmente gestibile da parte della comunità internazionale». Traduzione dalla prudenza diplomatica. La sentenza della Corte aumenterà certamente le tensioni interetniche e la comunità internazionale, in via di smobilitazione, non sarebbe in grado di gestirle.
Le cronache più attente accennano ora al timore di contagio sui movimenti separatisti diffusi nel mondo. Leggo di baschi, corsi, ceceni, abkazi. Elenco con lo sconto. Solo per la nostra autoreferenziale Europa, mi verrebbe da pensare, oltre che a Spagna, Francia e Russia, al Belgio di fiamminghi e valloni, agli ungheresi e ai rumeni mischiati tra loro dai confini di Yalta, alle minoranze russofone nei Paesi baltici, all'Ucraina. A lavorarci un po' sopra, ne verrebbe fuori una lista da capogiro. Poi ci sono, ignorati come sempre, gli stessi Balcani. La Bosnia multietnica imposta dal cessate il fuoco di Dayton. Altra politica internazionale allora, quando i confini nazionali preesistenti erano considerato intangibili. Dopo il Kosovo non più. Si agitano i serbo-bosniaci di Banja Luka che a Sarajevo preferirebbero Belgrado. Sono inquieti i croati erzegovesi di Mostar. Si agitano e spesso sparano gli albanesi del nord Macedonia che, col loro 25% di popolazione, controllano di fatto tutto il territorio ai confini col Kosovo e con l'Albania. Inquietudini albanesi anche nelle vallate serbe di Presevo e Bujanovac e lungo la sponda montenegrina tra Dulcigno e il lago di Scutari.
Problemi vecchi e noti, tenuti in sonno con la vaga promessa di un futuro Eldorado nell'Unione europea senza frontiere. Frottole ormai trasparenti. Al massimo un visto di libera circolazione Schengen, qualche privilegio commerciale, qualche delocalizzazione industriale nell'interesse dell'imprenditoria comunitaria in cerca di sconti sul costo del lavoro e sui diritti sindacali. Di allargamento prossimo futuro, fatta forse eccezione per la Croazia, non se ne parlerà per un bel pezzo. Con un nuovo e intraprendente protagonista che si affaccia sull'area. La Turchia che, snobbata dall'Unione, torna con credibilità politica e forza economica nei Balcani delle sue memorie imperiali ottomane. Bastava essere l'11 luglio a Srebrenica, in Bosnia, nella ricorrenza del massacro. Onu, Stati Uniti e Ue assenti. L'impressione è quella di politici occidentali che si credono statisti, pensando forse di potersi scegliere l'islam più rassicurante da avere in casa. Fuori dalla porta però. Di una diplomazia europea che crede di condurre una gigantesca partita a Risiko. Salvo accorgersi presto, temo, che era stato loro concesso soltanto il gioco dell'oca.


=== 2 ===

-------- Original-Nachricht --------
Datum: Sat, 14 Aug 2010 08:44:33 +0200
Von: "Y.&K.Truempy" 
Betreff: Kosovo: Präzedenzfall mit weitreichenden Folgen?

Die Unabhängigkeit des Kosovo ist Gegenstand von zwei zeitgleich erschienenen Artikeln mit gegensätzlichen Standpunkten (...)

Realistisch und nachvollziehbar der Standpunkt von H.Hofbauer, wonach der pseudo-unabhänge Kosovo vor allem den geostrategischen Interessen der US-Amerikaner dient. Er sieht den Kosovo als westliches Protektorat. Unrealistisch erscheint jedoch seine Einschätzung, wonach durch die nachträgliche Legitimierung der (formalen) Unabhängigkeits-Erklärung durch den Internationale Gerichtshof (IGH) im Juli dieses Jahres, weltweit weitreichende Folgen für die Unabhängigkeits-Bestrebungen anderer Völker resultierten. 

Für Norbert Mappes- Niediek ist die Unabhängigkeit Kosovos unausweichlich, was durch die Parallele zur Kolonialgeschichte im Verhältnis zwischen Serbien und Kosovo unausweichlich sei. Den Kosovo, der als die Wiege Serbiens gilt, als serbische Kolonie zu bezeichnen, ist nur schon angesichts der unzähligen mittelalterlichen serbischen Sakralbauten im Kosovo (unzählige wurden nach 1999 zerstört), einigermassen hirnrissig. Diese im Grunde genommen unterwürfige koloniale Sichtweise wird von vielen Albanern geteilt. Hingegen ist seine zynische Auffassung, man soll nicht zu genau fragen, woher die Subjekte des Völkerrechts ihre Legitimität nehmen, realistisch. Diese "Legitimität" ergibt sich schlussendlich aus den Interessen und dem Recht des Stärkeren.

K.Trümpy, ICDSM Schweiz

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Präzedenzfall mit weitreichenden Folgen


Von Hannes Hofbauer

NeuesDeutschland, 13.08.2010


Am 22. Juli 2010 hat der Internationale Gerichtshof (IGH) die kosovarische Unabhängigkeitserklärung vom 17. Februar 2008 für rechtens erklärt. De facto ist er damit der US-Position sowie der Mehrheit der EU-Staaten gefolgt, die vor der Abspaltung Kosovos von Serbien versucht hatten, über die UNO eine »überwachte Unabhängigkeit« ausrufen zu lassen. Dies scheiterte an Russland. Den Ahtisaari-Plan implementierten USA und EU-Mehrheit daraufhin im Alleingang.

De jure gilt weiterhin die UN-Resolution 1244, die Kosovo als Bestandteil Jugoslawiens bzw. Serbiens garantiert. Der als Kolonialverwalter eingesetzte »Hohe Repräsentant« der UNO regiert das Land offiziell statusneutral. Der IGH-Spruch beschränkte sich auf die Einschätzung der Unabhängigkeitserklärung. Er machte keine Aussagen über das Recht auf Sezession. Spitzfindig interpretiert hat der IGH bloß festgestellt, dass die vom Parlament in Pristina ausgerufene Selbstständigkeit nicht gegen internationales Recht verstoßen hat, obwohl sie nicht vom zuständigen »Hohen Repräsentanten« bzw. seiner Hoheitsverwaltung ausgesprochen wurde. Dieser Widerspruch ist auffallend.

Die Anrufung des IGH und die damit einhergehende Internationalisierung der Frage wurde von Belgrad vorangetrieben. Sich nach dem Spruch auf die Losung »Kosovo ist serbisch« zurückzuziehen, wie sie vom Außenministerium zu hören war, kann die Defensive, in die Serbien geraten ist, nicht überwinden. Ganz zu schweigen vom fragwürdigen Umgang mit der kosovarischen Wirklichkeit, wo 90 Prozent der Bevölkerung – die Albaner eben – keine serbische Hoheit über das Land akzeptieren.

Geopolitisch hat der IGH-Spruch wesentliche Auswirkungen. Im seit den 1990er Jahren tobenden Meinungsstreit zwischen völkerrechtlichen und menschenrechtlichen Lösungsansätzen von Krisen hat sich der IGH eindeutig positioniert. Der völkerrechtswidrige NATO-Angriff auf Jugoslawien am 24. März 1999 war ja in der Kriegspropaganda der Westallianz für die Menschenrechte der Albaner geführt worden. Und beendete gleichzeitig die Ära des kodifizierten Völkerrechts, wie es z. B. in der KSZE-Schlussakte ausführlich festgelegt worden war. Je nach Bedarf postulierte und mithin instrumentalisierbare »Menschenrechte« müssen seither als Legitimation für Waffengänge (z. B. auch in Afghanistan) herhalten.

Vorbildcharakter hat die gegen den Willen Belgrads erfolgte Unabhängigkeitserklärung Kosovos auf Sezessions- und Unabhängigkeitsbewegungen sonder Zahl. Im zerfallenen Jugoslawien ist es sowohl den Serben in der »Republika Srpska« als auch den Albanern in Makedonien nun schwerer zu erklären, warum sie sich nicht Serbien anschließen bzw. aus ihrem Staatsverband lösen sollten. Ganz zu schweigen von den Serben in Nordkosovo, die jede Verwaltung aus Pristina ablehnen. Doch der Präzedenzfall reicht über den Balkan weit hinaus. Schon hat sich die Führung von Transnistrien gemeldet und Anspruch auf dieselbe Behandlung wie Kosovo angemeldet. Immerhin existiert in Tiraspol seit fast 20 Jahren eine von Moldawien unabhängige Administration. An den Rändern Georgiens hatte bereits die Anerkennung Kosovos durch westliche Staaten dazu geführt, dass Moskau seinerseits Abchasien und Südossetien als unabhängige Staaten anerkannt hat.

Vor dem Schattenboxen um die Einschätzung des IGH-Spruchs kann man leicht die Tatsache übersehen, dass Kosovo mitnichten unabhängig ist. Das war auch von den USA gar nicht beabsichtigt. Militärisch sowieso. Mit Camp Bondsteel hat sich das Pentagon die größte Basis in Europa aufgebaut. Aber auch die zivile Administration liegt offiziell in fremden Händen. Laut Verfassung steht der »Hohe Repräsentant« über Regierung und Parlament. Politische und wirtschaftliche Selbstbestimmung findet nicht statt. Die Nutznießer dieser »überwachten Unabhängigkeit« sind vor allem die Kolonisatoren selbst, die zu Zig-Tausenden ihre Konten füllen: Unter Kürzeln wie NATO/KFOR, UNMIK, EULEX und Hunderten NGOs bietet sich ein breites Experimentierfeld in militärischer, juristischer und verwaltungstechnischer Hinsicht. Sie alle leben bestens von den ungeklärten Verhältnissen, für deren Klärung sie sich vermeintlich im Land befinden.

Serbiens Plan von 2007, territoriale Integrität zu bewahren und gleichzeitig substanzielle Autonomie des Kosovo zu gewähren, wird mittlerweile nicht einmal mehr in Belgrad durchgehend ernst genommen. Die Vernunft würde eine Trennung entlang des Flusses Ibar nahe legen. Damit müsste ein Entkolonialisierungsschub einhergehen. Doch einer solchen Zukunft stehen mehrere Hindernisse im Weg: die Regierung in Pristina als verlängerter Arm der US-Außenpolitik und jene in Belgrad als zunehmend am Gängelband der EU befindliche; sowie die dahinter liegenden Interessen in Washington und Brüssel, wobei die EU noch in ihren eigenen Reihen mit Abweichlern zu kämpfen hat. Der vollständige Rückzug Russlands aus der Planungsgruppe schwächt zudem jene Kräfte in Serbien, die ihr Heil nicht im demütigen Bitten um eine EU-europäische Randständigkeit erblicken.

Von Brüssel ausgestreute Andeutungen in Richtung EU-Mitgliedschaft sind für Kosovo unseriös. Die EU, die ohnedies über die Währungs- und Privatisierungshoheit verfügt, wird sich hüten, mit geopolitischen Interessen der USA zu kollidieren. Der Status quo ist für beide praktisch, auch wenn er auf dem Rücken der albanischen und serbischen Bevölkerung ausgetragen wird.


Hannes Hofbauer, 1955 in Wien geboren, ist Verleger und Publizist. Er veröffentlicht regelmäßig Beiträge in »Neues Deutschland«. Vor zwei Jahren ist von Hofbauer im Promedia Verlag das Buch »Experiment Kosovo. Die Rückkehr des Kolonialismus« erschienen.


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Trennung als einzige Alternative


Von Norbert Mappes-Niediek

NeuesDeutschland, 13.08.2010


Die Unabhängigkeit Kosovos war unausweichlich; dem trägt das Gutachten der Haager Richter Rechnung. Das ist kein moralisches Urteil über die Berechtigung des Kampfes für die Unabhängigkeit. Auch ist damit nicht gesagt, dass die Republik Kosovo als Staat ein Erfolg wird. Das würde man zum Beispiel von vielen afrikanischen Staaten auch nicht behaupten. Trotzdem glaubt niemand, dass die Kolonialherren besser dort geblieben wären.

Überhaupt erhellt die Parallele zur Kolonialgeschichte das Verhältnis zwischen Serbien und Kosovo noch am besten. Wie die Briten oder die Franzosen in Afrika hat Serbien 1912/13 ein wirtschaftlich rückständiges Gebiet mit einer a-nationalen Bevölkerung in einem Feldzug unter seine Kontrolle gebracht. Im Königreich Serbien und später im Königreich Jugoslawien war die albanische Bevölkerungsmehrheit für die Serben eine Gattung von »Vor-« oder »Urmenschen«, die jedenfalls nicht mittels individueller Bildung auf den Stand der anderen gebracht werden konnten. Im kommunistischen Jugoslawien hat sich daran zunächst wenig geändert. Die Bildungs- und Aufbauleistung der Jahre zwischen 1966 und 1980 kam für eine Integration schon zu spät und reichte gerade aus, um das Gegenteil zu erreichen: Sie rief den albanischen Nationalismus hervor.

Noch heute tragen die Ansichten von Serben und Albanern über einander deutlich den kolonialen Stempel. Die Albaner seien im Grunde schlicht und gutartig, würden aber von »Halbgebildeten« aufgeputscht, ist die Meinung in Belgrad. In Pristina dagegen sind die Serben noch immer das heimliche Vorbild. Anders als durch Trennung ließ sich dieses komplexe Verhältnis nicht lösen. Wer es nicht glaubt, möge bei Frantz Fanon nachlesen, dem Denker der Entkolonialisierung. Ein Blick auf die Entkolonialisierung lehrt auch, dass kreative Zwischenlösungen, Dominien oder völkerrechtliche Mandate die Misere bloß verlängern.

Ist denn die Unabhängigkeit Kosovos nicht aber ein gefährlicher Präzedenzfall für instabile Staaten, etwa im Kaukasus, in Afrika oder Lateinamerika? Kaum. Das Völkerrecht regelt (ungeachtet seines Namens) die Verhältnisse zwischen Staaten, nicht die zwischen Völkern. Wie Staaten zustande-kommen, liegt außerhalb seines Blickfelds. Das ist auch gut so: Das vielfach gebeugte und missbrauchte Völkerrecht leidet schon so unter Legitimitätsproblemen. Würde es sich auch noch ein Urteil über innerstaatliche Konflikte anmaßen, würde es entweder zu einem gefährlichen Manipulationsfaktor oder einfach zur Lachnummer.

Die Furcht vor der Vorbildwirkung hält einige europäische Staaten, allen voran Spanien, davon ab, die Unabhängigkeit Kosovos anzuerkennen. Am spanischen Beispiel lässt sich die geringe Reichweite des Präzedenz-Arguments gut illustrieren: Mit Kosovo haben die zentrifugalen Bestrebungen von Basken oder Katalanen, ihre Stärke und ihre Radikalität nichts zu tun. Ein Kosovo, dem man die Unabhängigkeit verweigern würde, könnte baskische und katalanische Separatisten allenfalls für eine Weile resignieren lassen: Die Erklärung der Unabhängigkeit, könnten sie denken, ist keine Option, weil ihr neuer Staat sich dann wie Taiwan ins völkerrechtliche Niemandsland stellen würde. Das demokratische Spanien könnte aber mit bloßer Resignation eines Bevölkerungsteils nicht existieren. Es muss so oder so um die Anerkennung aller seiner Bürger werben. Und wenn es hart auf hart käme, würden Basken und Katalanen das Schicksal des »undefinierten« Taiwan dem eines polizeilich und militärisch fremdkontrollierten Landesteils, wie Kosovo es war, wohl allemal vorziehen.

Möglich ist allerdings, dass jetzt auch fragwürdige, mafiös kontrollierte Gebilde wie Transnistrien, der Osten der Republik Moldau, mit mehr Erfolg nach völkerrechtlicher Legitimität trachten könnten. Aber selbst das wäre nicht unbedingt ein Unfall, denn gerade für solche Fälle wurde das Völkerrecht ja erfunden: Mächtige mit Macht aus fragwürdigen Quellen werden in ein internationales Rechtssystem eingebunden, damit sie einander nicht länger regellos bekämpfen. Machtzentren, die ein-ander jede Legitimität absprechen, erkennen einander an. Gerade wer die Prinzipien des Völkerrechts gegen den Pseudo-Moralismus der Ära Bush verteidigen will, sollte nicht zu genau fragen, woher die Subjekte des Völkerrechts ihre Legitimität nehmen.

Die territoriale Integrität von Staaten ist nach wie vor ein hohes Gut; mit Formeln wie der, dass »jedes Volk seinen Staat« haben müsse, macht man es sich zu leicht. Aber der Güter höchstes ist die territoriale Integrität nicht mehr. In den letzten zwanzig Jahren haben die Menschenrechte als Legitimationsquelle für einen Staat an Bedeutung gewonnen. Die Zeiten, da ein Staat mit seinen Subjekten, den »Unterworfenen« also, nach Gutdünken verfahren konnte, sind vorbei. Kein Staat kann es mehr als »Einmischung in die inneren Angelegenheiten« zurückweisen, wenn von außen Einfluss auf die öffentliche Meinung genommen wird. Solche Einflüsse sind im Zeitalter des Internet allgegenwärtig; abwehren lassen sie sich nur noch mit totalitärer Herrschaft. Dass mächtige Staaten ihre Macht nutzen und Druck ausüben, wie es im Fall Kosovo natürlich der Fall war, hat kein Völkerrecht je verhindert.

Nach dem Kosovo-Gutachten muss man in der Tat erwarten, dass Separatisten sich ermuntert fühlen. Staaten werden es entsprechend weniger leicht finden, die gewaltsame Unterdrückung von Minderheiten international zu legitimieren. Sie werden andere Wege finden müssen, ihre Bürger bei der Stange zu halten.


Norbert Mappes-Niediek, Jahrgang 1953, ist seit fast 20 Jahren freier Südosteuropa-Korrespondent. Er arbeitet zurzeit für zahlreiche deutschsprachige Zeitungen, darunter die »Frankfurter Rundschau«, die »Berliner Zeitung« und »Der Standard«. Als Buch erschien von Mappes-Niediek u. a. »Balkan-Mafia. Staaten in der Hand des Verbrechens – Eine Gefahr für Europa« im Ch. Links Verlag.



(italiano / hrvatskosrpski)

Quella che segue è la sintesi di un articolo di A. Cernjul pubblicato sul sito hrvatskarijec.rs, di cui riproduciamo l'originale più sotto. Si tratta di una voce nettamente "fuori dal coro" delle celebrazioni dell'incontro dei tre presidenti a Trieste (in proposito si veda anche:  http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6797 ). La riportiamo, come al solito, "per il contenuto informativo e al solo scopo di segnalazione e commento"... Trad. a cura di I.I. per CNJ-onlus.


La vergognosa, e non storica, stretta di mano dei tre presidenti a Trieste

Ecco perchè il presidente croato Ivo Josipovic ha tradito l'antifascismo e la Croazia
 
di Armando Cernjul


Dopo aver deposto la corona ed essersi inchinato alle vittime di Bleiburg [1] alcune settimane prima, lo stesso gesto Josipovic l'ha compiuto giorni fa nel centro di Trieste, insieme al presidente Napolitano e a quello sloveno Turk, dinanzi al monumento dei 350.000 esuli italiani da Istria, Fiume e Dalmazia, secondo quanto è scritto sulla lapide. Con questo atto ha dimostrato il tradimento dell'antifascismo croato, dell'antifascismo in generale e della Croazia.
Lui può dichiararsi quanto vuole antifascista, figlio di partigiani croati, professore universitario, compositore... Ma ha fallito un esame al quale non potrà mai più e in nessun modo riparare.
Non c'è dubbio che il Presidente, malgrado sia un "duro" socialdemocratico (SDP), ha tradito gli ideali antifascisti e la Croazia. Lui infatti, con la visita e da "ospite", si è messo inconsciamente dalla parte dell'irredentismo italiano, del neofascismo e del postfascismo. Lo possiamo dimostrare, naturalmente. Dobbiamo osservare innanzitutto che sul monumento avrebbero dovuto scrivere "fuoriusciti" e non "esuli", ed oltre a quelli italiani avrebbero dovuto aggiungere croati, sloveni, cechi, austriaci, ebrei...
Purtroppo all'opinione pubblica in Croazia arrivano le notizie inviate da Trieste da colleghi che, sul tema dei cosiddetti esuli, non sanno niente o sanno soltanto per sentito dire.
Perciò bisogna ribadire per l'ennesima volta che il giornalismo in Croazia versa nella più grave crisi degli ultimi 45 anni.
Di simili avvenimenti e incontri dovrebbero informare giornalisti professionisti e non giornalisti improvvisati. Redattori e caporedattori devono essere bene informati. Purtroppo anche tra di loro sono in numero sempre più elevato quelli giornalisticamente analfabeti.
All'autore di questo scritto, che il 13 luglio si trovava a Trieste, il giorno dopo questo documentato articolo è stato rifiutato da nove mezzi d'informazione tra carta stampata e siti internet. Non l'ho inviato ai media di destra ed estrema destra, che lo avrebbero subito "inghiottito" togliendo però la parte che riguarda Bleiburg.

Perchè il presidente Josipovic non avrebbe dovuto accettare l'invito al concerto e la "marcia su Trieste" politico-istituzionale?

Tudjman e Mesic non sono stati tanto ingenui quanto il presidente Josipovic

Josipovic doveva innanzitutto sapere che i presidenti Tudjman e Mesic, dal 1998 fino al 2009, hanno rifiutato gli inviti di Scalfaro, Ciampi e Napolitano (questo ex comunista che per due volte in due anni di seguito ha offeso i croati e la Croazia - peggio di Mussolini e Hitler) poiché sapevano che dietro questi inviti si celavano gli ideologi dell'irredentismo italiano e gli ex criminali fascisti, il cui fine ultimo è di equiparare le vittime del fascismo e quelle dell'antifascismo.
La prima proposta fu che i presidenti Scalfaro, lo sloveno Kucan ed il croato Tudjman si inchinassero dinanzi alle vittime della foiba di Basovizza - vicino Trieste, dove i titini, secondo loro, avrebbero gettato dai 1500 ai 2000 italiani - e alla Risiera, ex lager tedesco nel quale sono stati uccisi circa 4000 ebrei, italiani, sloveni, croati e altri.
La successiva proposta italiana (di destra e di sinistra) è stata che i presidenti Ciampi, Drnovsek e Mesic si inchinassero al cospetto delle vittime di Basovizza, della Risiera e di Gonars, nel cui campo di concentramento sono morti molti detenuti, in maggioranza donne e bambini da Slovenia e Croazia. Nemmeno questo invito è stato accolto.
Queste proposte italiane erano sostenute da Furio Radin, parlamentare croato, noto per il suo civettare con i postcomunisti ma anche con i postfascisti in Italia, proponendo che in Istria fossero evidenziate tutte le foibe nelle quali finirono gli italiani e i loro collaborazionisti croati - per i quali c'è una unica definizione: quella di fascisti, che in Istria e a Fiume ammazzavano la gente e stupravano donne e bambine!
I presidenti Tudjman e Mesic, benché pure loro abbiano commesso degli errori, ringraziando i loro collaboratori ed anche quelli che dall'Italia, dalla Slovenia e dalla Croazia li ammonivano a non accettare simili inviti - dietro ai quali si celano i partiti di destra e purtroppo anche di alcuni di sinistra, mentre i più accaniti sono i leader dell'organizzazione dei cosiddetti esuli d'Istria, Fiume e Dalmazia (ANVGD) -, saggiamente hanno declinato gli inviti. Non sono caduti nel tranello come Josipovic.
Dalla Croazia e dalla Slovenia sono pervenute proposte perchè il presidente italiano si inchinasse al cospetto delle migliaia di vittime croate, slovene ed ebree nel campo di concentramento di Rab (Arbe), ma questa proposta in Italia non è passata.
Di queste cose il presidente Josipovic ed i suoi più stretti collaboratori non hanno la minima idea, oppure hanno deciso di perdonare. O, come ha detto il presidente Josipovic a Trieste: "Del numero degli 'esuli' lasciamo che se ne occupino gli storici". Non ha detto però quali storici, se quelli italiani che falsificano sui "350.000 esuli cacciati da Istria, Fiume e Dalmazia", oppure quelli croati che ne sanno poco o niente, o quelli sloveni che che scrivono almeno qualche verità.
Invece di inchinarsi dinanzi al croato Zvonimir Milos, assassinato dai fascisti, il presidente Josipovic è andato ad inchinarsi davanti al monumento filofascista.
Non so quante volte negli ultimi 30 anni sono stati pubblicati miei articoli su questi neofascisti che a squarciagola ancora gridano che l'Istria, Fiume e la Dalmazia sono state rubate dalla Jugoslavia, cioè da Croazia e Slovenia, e perciò un giorno torneranno all'Italia.
Accidenti professor, dottor Ivo Josipovic: mi meraviglio che in quanto insegnante di Giurisprudenza alla Facoltà di Zagabria lei non abbia letto questi articoli nei giornali zagrebesi o sui siti internet!
Veniamo alla ragione principale per cui il presidente croato non avrebbe dovuto accettare l'invito del noto direttore Riccardo Muti. Dietro l'invito si nascondeva la vecchia idea irredentista e postfascista, e gli ideologi filofascisti ne hanno approfittato perchè il presidente croato Josipovic "cascasse nella rete" irredentista italiana.
L'Italia ufficiale ha vinto, particolarmente quella di destra, malgrado quelli di estrema destra inveissero durante la cerimonia contro Josipovic e Turk, cioè contro sloveni e croati.
Anche la Slovenia in qualche modo ha vinto, perchè i tre presidenti hanno deposto una corona di fiori sull'edificio del Narodni Dom sloveno, ex albergo "Balkan", bruciato dai fascisti italiani. 

Cosa ha ottenuto invece la Croazia? Niente!

Un mio stretto parente mi disse, con mio grande stupore: il presidente Josipovic perdona. Chi perdona? I criminali di guerra fascisti?, chiesi.
Se devo spiegare questo a uno come lui, cosa posso fare col grande numero di quelli che ancora oggi acclamano Ante Pavelic?
Il presidente Napolitano si sarebbe dovuto innanzitutto scusare per le ben due volte in due anni consecutivi in cui ha gravemente inveito contro gli slavi definendoli "carnefici". Pensava a noi croati, e probabilmente agli sloveni. Poi sarebbe dovuto andare a Gonars, ad inchinarsi davanti alle vittime, prevalentemente madri e bambini da 1 a 10 anni, provenienti dal Gorski Kotar [2], morti di stenti e malattie. Oppure avrebbe potuto visitare il campo di concentramento di Arbe, dove sono state migliaia le vittime della barbarie mussoliniana. Se Napolitano non ha mai sentito parlare di questo patibolo fascista, avrà almeno sentito dire del campo di concentramento della Risiera, dove si esercitavano anche i fascisti italiani. Con ciò avrebbe in qualche modo giustificato il suo viaggio a Trieste.
Invece se il presidente croato ed i suoi consiglieri non fossero tanto ignoranti - compresi quegli analfabeti dell'Ambasciata a Roma o al Consolato di Trieste -, lo statista, il professor dottor Josipovic avrebbe chiesto ai suoi due colleghi di andare a porre una corona e ad inchinarsi davanti ai tre sloveni ed al croato fucilati dai fascisti italiani a Basovizza, ottant'anni fa. Bisogna infatti ricordare che il Tribunale Speciale Fascista per la Difesa dello Stato, spostatosi per l'occasione a Trieste, il 5 settembre 1930 condannò a morte, definendoli terroristi, i tre sloveni Ferdinand Bidovec, Franc Marusic, Alojzije Valencic e l'antifascista croato Zvonimir Milos, residenti a Trieste, a causa dell' attentato eseguito il 10 febbraio alla redazione del quotidiano fascista "Il Popolo". Nell'attentato fu ucciso un redattore e vennero feriti tre lavoratori. Gli altri imputati furono condannati complessivamente a 147 anni e sei mesi. Zvonimir Milos era nato a Susak, cittadina ora inglobata nella città di Fiume.
Il processo - e ce ne sono stati poi diversi - è entrato nella storia quale Primo processo triestino.

Ma a cosa serve spiegare questo al governo croato, quando al loro servizio impiegano elementi ustascioidi, come aveva scritto tempo fa sui quotidiani "Glas Istre" di Pola e "Novi List" di Fiume il noto giornalista e critico Zdravko Zima.
Se il presidente croato, il prof. dott. Ivo Josipovic, in relazione al ricevimento di un irredentista e filofascista avesse risposto alle domande che il sottoscritto gli inviò il 10 e il 18 maggio scorsi, allora non avrebbe commesso questo imperdonabile sbaglio. Lui e suoi consiglieri non si sono nemmeno degnati di una risposta, che pure dovevano legalmente. Così hanno tradito l'antifascismo, i veri croati patriottici e i cittadini delle altre nazionalità che vivono in Croazia!
Ha svergognato se stesso e noi.
Lui è un professore di giurisprudenza, perciò: prego, si difenda. A suo sfavore è la circostanza di essere professore di giurisprudenza: come tale deve sapere che in Croazia vige la legge del diritto d'informazione al quale lui e la sua equipe non si attengono.
Gli storici in Croazia - fatta eccezione per lo stimato Petar Strcic e per pochissimi altri, che conoscono bene il tema in questione... ma loro chi li ascolta, non vengono seguiti nemmeno quando segnalano gli errori! - sono di una totale ignoranza.
Purtuttavia, spero che la maggioranza sappia la verità. La verità è che i fascisti italiani ed i loro collaborazionisti, nella II Guerra mondiale in Croazia, hanno ucciso più di 40.000 civili, per lo più anziani, donne e bambini.


Note (a cura di CNJ-onlus):
[1] A Bleiburg, al confine tra Slovenia e Austria, furono giustiziati dall'Armata jugoslava centinaia di collaborazionisti del nazifascismo, soprattutto ustascia croati, mentre erano in fuga alla fine della II Guerra Mondiale.
[2] Regione nell'entroterra di Fiume.


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Josipović se nije trebao pokloniti pred spomenikom tzv. esulima

Autor: hrijec on Jul 24, 2010 | 6 komentara

Mnogi u Italiji, Sloveniji i Hrvatskoj ne znaju da je fašistički tribunal u Italiji od 1927. do 1943. ukupno osudio 4597 osoba (antifašista) na 27.742 godina zatvora, trojicu na doživotnu robiju i 42 na smrtnu kaznu, od toga je 31 izvršena

Piše: Armando ČERNJUL

Nakon što je hrvatski predsjednik Ivo Josipovic nedavno položio vijenac i poklonio se žrtvama Bleiburga, u središtu Trsta se, zajedno sa talijanskim predsjednikom Napolitanom i slovenskim predsjednikom Türkom poklonio pred spomenikom 350.000 izbjeglih Talijana iz Istre, Rijeke i Dalmacije, kako je to na talijanskom jeziku ispisano. Time se nesvjesno stavio na stranu talijanskog iredentizma, neofašizma i postfašizma!

Najprije treba reći da je na na spomeniku na koji su položeni vijenci trebalo je pisati profugi (izbjeglice) a ne esuli (prognanici), a osim Talijana, trebalo je napisati Hrvata, Slovenaca, Čeha, Austrijanaca, Židova...

No, javnost u Hrvatskoj imala je prilike čitati izvješća iz Trsta koja su ponajviše pisali kolege koji o temi takozvanih esula, a ne esula kako su javili, ne znaju ništa ili su samo o njoj načuli. Premda je čelnik Hrvatskog novinarskog društva Duka nedavno “istaknuo kako je u privatnim medijima situacija možda i gora nego u državnim”, moj je stav da je u jednima i drugima stanje katastrofalno!

Još jednom je potvrdeno da je hrvatsko novinarstvo u najvećoj krizi u posljednjih četrdeset i pet godina.

Sa skupova kao što je bio onaj 12. ovoga mjesesa u Trstu trebaju izvještavati profesionalci a ne profesionalci diletantskog znanja, koje je vrlo opasno, ali prije svega moraju biti načitani urednici i glavni urednici a oni su u sve većem broju novinarski nepismeni!

Osim toga, autoru ovoga teksta koji je 13. srpnja bio u Trstu, samo jedan dan poslije trojice predsjednika, od 14. ovog mjeseca do danas čak jedanaest tzv. lijevih listova i portala u Hrvatskoj odbilo je objaviti ovaj dokumentirani članak, a neki nisu ni odgovorili! Desnicarskim i ekstremno desnicarskim medijima nije ni nuđen, iako bi ga oni sigurno odmah “progutali”, ali bi tražili da se izbaci što im nije po volji.

Zašto predsjednik Josipović nije smio prihvatiti poziv na koncert i političko-državnički “marš na Trst”?

Tuđman i Mesić nisu bili naivini

Morao je, prije svega, znati da su hrvatski predsjednici Franjo Tuđman i Stipe Mesić od 1998. do 2009. odbili pozive talijanskih predsjednika Scalfara, Ciampija i Napolitana (ovaj bivši komunistički lider dvaput je izvrijeđao Hrvate i Hrvatsku gore nego Mussolini i Hitler!), jer su znali da se iza tih poziva kriju ideolozi talijanskog iredentizma i bivši fašistički zločinci kojima je bio za cilj izjednačiti žrtve fašizma i antifašizma.

Prvi je prijedlog bio da se predsjednici Scalfaro, Kučan i Tuđman poklone žrtvama Bazovičke jame kod Trsta kamo su, prema postfašističkim izvorima Titovi partizani bacili od 1500-2000 Talijana, i Rižarni, bivšem njemačkom koncentracijskom logoru u kojemu je ubijeno oko 4000 Židova (neki su bili iz Rijeke, a bilo ih je koji su rodom iz Sarajeva), Talijana, Slovenaca, Hrvata i drugih.

Sljedeći je talijanski prijedlog (desničara i ljevičara) bio da se predsjednici Ciampi, Drnovšek i Mesić poklone žrtvama Bazovičke jame, Rižarne i Gonarsa, gdje je bio talijanski koncentracijski logor u kojem je umrlo mnogo logoraša, uglavnom žena i djece iz Slovenije i Hrvatske, ali ni to nije prihvaćeno.

S tim talijanskim prijedlozima zalagao se saborski zastupnik Furio Radin, koji je poznat po tome da koketira s postkomunistima i postfašistima u Italiji, a predlagao je da se u Istri obilježe sve fojbe u koje su bačeni Talijani (i njihovi kolaboracionisti Hrvati), a oni imaju zapravo svoj jedini naziv – fašisti koji su po Istri i Rijeci ubijali ljude i silovali žene i djevojčice!

Međutim, predsjednici Tuđman i Mesić, koji nisu bili bezgrešni, zahvaljujući svojim suradnicima i onima koji su iz Italije, Slovenije i Hrvatske slali upozorenja da ne prihvate pozive talijanskih predsjednika iza kojih su stajale desničarske i poneka ljevičarska stranka, a najgrlatiji su ustvari bili lideri udruga tzv. esula iz Istre, Rijeke i Dalmacije, bili su mudri i nisu pali u klopku kao naivni predsjednik Josipović.

Iz Hrvatske i Slovenije su stizali prijedlozi da se talijanski predsjednik najprije pokloni tisućama hrvatskih, slovenih i židovskih žrtava u talijanskom logoru na Rabu, ali to u Italiji nije prošlo. O tome predsjednik Josipović i njegovi najbliži suradnici nemaju pojma ili su odlučili praštati ili kako je naš predsjednik u Trstu izjavio – neka brojke o “esulima” ostavimo povjesničarima. Nije rekao kojim. Talijanskim koji falsificiraju o “350.000 esula koji su protjerani iz Istre, Rijeke i Dalmacije”, slovenskim koji donekle pišu istinu ili hrvatskim od kojih većina ne zna ništa ili veoma malo.

Tako je u hrvatskim medijima ovih dana o susretu trojice predsjednika objavljeno niz neprimjerenih naslova poruka “Povijesni stisak ruku u Trstu” (hrt.hr), “Josipović, Napolitano i Türk iz Trsta poslali poruku mira i bratstva” (večernji.hr), Josipović, Türk i Napolitano poklonili se na spomen esulima” (jutarnji.hr) i tomu slično.

Sve u istom stilu, osim manjih kritičkih opservacija o broju izbjeglih u riječkom Novom listu “Pomirenje u glazbenom tonu” kolege Denisa Romca, a neke je dijelove, uz svoj komentar, prenio online Hrvatska riječ. U izvješćima iz Trsta izostalo je mnogo toga, pa i to da su predsjednik Giorgio Napolitano i njegovi prethodnici svake godine u veljači za Dan sjećanja na egzodus i žrtve fojbe odlikovali broje ratne zločince i druge fašiste koji su palili i ubijali po Istri, Rijeci i Dalmaciji, a neke i posthumno. I to će se nastaviti...

Zaboravljen Zvonimir Miloš

Ne znam više koliko sam puta u posljednjih tri desetljeća objavio o tim neofašistonima koji urliču da su Istra, Rijeka i Dalmacija ukradeni Jugoslaviji, odnosno Hrvatskoj i Sloveniji, te da će jednoga dana ponovno postati talijanski.

I sada ono najvažnije, glavni razlog zbog kojega je predsjednik Josipović trebao odbiti poziv glasovitog dirigenta Riccarda Muttija, iza kojega se ustvari krije stara iredentistička i postfašistička ideja koju su bjihovi ideolozi u Italiji iskoristili jer je hrvatski Predsjednik glazbenik i skladatelj. Nije postojao ni jedan jedini razlog da predsjednik Josipović nasjedne talijanskoj iredenti.

Službena Italija je dobitnik, a naročito desničari, iako su najekstremniji desničari dobacivali pogrdne parole na račun Josipovića i Türka, odnosno Hrvata i Slovenaca. Čak je i Slovenija donekle dobitnik jer su trojica predsjednika položili vijence na zgradu Narodnog doma, bivšeg hotela “Balkan”, koji su 1920. spalili talijanski fašisti.

Što je dobila Hrvatska? Ništa!

Jedan član moje uže rodbine, na moje veliko iznenađenje i razočaranje, rekao mi je: Predsjednik Josipović prašta! Kome, fašističkim ratnim zločincima? – upitah. Ako njemu moram objašnjavati onda što da učinim s velikim brojem onih koji dan danas kliču Anti Paveliću...

Predsjednik Napolitano se najprije trebao ispričati za dva puta u dvije godine zaredom izgovore optužbe na račun “krvoločnih Slavena”. Mislio je na nas, Hrvate (!) i najvjerojatnije Slovence, a zatim se u Gonarsu u Italiji (dvadesetak kilometara udaljenom od Trsta) i pokloniti više od 500 žrtava iz Slovenije i Hrvatske, od toga 70 dječaka i djevojčica, mnogi manje od godinu dana starosti iz Gorskog kotara koji su umrli od glasi i bolesti, ili posjetiti Rab i pokloniti se više tisuća žrtava Mussolinijeve barbarije.

Ako nije čuo za ta talijanska fašistička stratišta, možda je čuo za njemački koncentracijski logor Rižarna u kojoj su radili brojni talijanski fašisti, pa bi to na neki način, možda, opravdalo njegovo putovanje u Trst.

Hrvatski predsjednik je trebao inzistirati da sa dvojicom kolega položi vijenac i pokloni trojici Slovenaca i Hrvatu koje su talijanski fašisti strijeljali u Bazovici kod Trsta prije osamdeset godina. Naime, posebni fašistički sud za zaštitu države u Trstu je 5. rujna 1930. osudio na smrt slovenske antifašiste (fašisti su ih nazvali teroristima), trgovca Ferdinanda Bidovca, radnike Franca Marušiča i Alojzija Valenčiča i hrvatskog radnika i antifašista Zvonimira Miloša, sva četvorica nastanjena u Trstu, zbog atentata koji su izvršili 10. veljače te godine na uredništvo fašističkog lista Il popolo di Trieste u kojemu je ubijen urednik i ozlijeđena trojica radnika.

Ostali optuženi osuđeni su na 147 godina i šest mjeseci zatvora. Zvonimir Miloš je rođen na Sušaku, danas predio Rijeke. Spomenuto suđenje, a bilo ih je mnogo, u povijest je ušlo kao Prvi tršćanski proces.

Mnogi u Italiji, Sloveniji i Hrvatskoj ne znaju da je fašistički tribunal u Italiji od 1927. do 1943. ukupno osudio 4597 osoba (antifašista) na 27.742 godina zatvora, trojicu na doživotnu robiju i 42 na smrt, od toga je 31 izvršena. Inače, bilo je optuženo 5619 osoba, ali 998 su oslobođeni krivnje. To su podaci koje je objavio talijanski povjesničar Mimmo Franzinelli u svojeoj opsežnoj knjizi “I tentacoli dell’Ovra” (Bollati Boringhieri, Torino 1999.).

U knjizi nije objavljeno koliko je osuđeno Slovenaca, Hrvata i Talijana s današnjeg područja Slovenije i Hrvatske. No, činjenica je da je spomenuti sud 1929. preselio u Pulu da bi sudio hrvatskim narodnjacima i antifašistima iz okolice Pazina, pa je Vladimira Gortana, iz sela Berama osudio na smrt.

Gortan je prvi Hrvat kojega je osudio Mussolinijev fašistički sud, a o suđenju i izvršenju smrtne kazne 17. listopada 1929. pisali su mnogi listovi u cijelom svijetu.

Ali što to vrijedi objašnjavati hrvatskoj vlasti, kada je ona u svoje diplomatske službe zapošljavala ustašoide, o čemu je ne tako davno u riječkom Novom listu i Glasu Istre pisao poznati novinar i kritičar Zdravko Zima. Pridodao bih: i sinove bivših fašističkih policajaca za vrijeme talijanske okupacije koje su strijeljali partizani!

Da je hrvatski predsjednik Jopsipović odgovorio na pitanja koje sam mu 10. i 18. svibnja ove godine dostavio, tada mu se ne bi dogodila neoprostiva pogreška. No, on i njegovi savjetnici nisu se udostojili ni odgovoriti, što su obvezatni po Zakonu o pravu na pristup informacijama

Povjesničari u Hrvatskoj – izuzetak je uvaženi Petar Strčić i još pokoji rijetki koji znaju o temi koja se ovdje obrađuje ali tko njih sluša (pa čak i onda kad ih se savjetuje da ne čine pogreške) – totalne su neznalice! Ipak, nadam se da većina zna, istina da su talijanski fašisti i njihovi kolaboracionisti u Drugom svjetskom ratu u Hrvatskoj ubili više od 40.000 osoba, od toga najviše civila, staraca, žene i djece.




Paride Mori, fascista di Salò
E la sinistra gli dedica una strada


E' accaduto a Traversetolo, dove l'amministrazione di centrosinistra ha intitolato una via all'ufficiale del battaglione dei bersaglieri 'Mussolini'. Il sindaco: "Ci siamo sbagliati, non lo sapevamo".


di MARCO SEVERO
La didascalia sulla targa dice "Capitano dei bersaglieri". Punto e stop. In realtà Paride Mori fu un ufficiale del battaglione 'Bruno Mussolini', inquadrato nelle SS tedesche tra il '43 e il '45. Un fascista. Un 'ragazzo di Salò' e anche di più. Eppure a lui il Comune di Traversetolo - amministrazione di centrosinistra nel cuore dell'Emilia rossa - ha intitolato nei giorni scorsi una strada. Via Paride Mori, capitano dei bersaglieri appunto. Un'autorete, un 'continuiamo a farci del male' d'autore. "Ci siamo sbagliati, non sapevamo chi fosse Mori  -  ammette il sindaco Alberto Pazzoni  - ma nessuno metta in dubbio l'integrità e l'attaccamento di Traversetolo ai valori della Resistenza".


A via Paride Mori si accede tramite via della Libertà, manco a farlo apposta. Siamo in pieno centro, pochi metri dal Municipio. Qualche chilometro più avanti verso l'Appennino c'è Guardasone, borgo scelto da Giampaolo Pansa come ambientazione del recente I tre inverni della paura: ancora un romanzo sulle zone d'ombra della Resistenza. Vietato però fare illazioni, parola di sindaco: "Abbiamo trattato la vicenda con leggerezza  -  dice Pazzoni  -  ma non sarebbe giusto pensare a speculazioni storico-politiche". 

Questione di burocrazia, piuttosto. Di routine che diventa tagliola. "La questione  -  spiega il primo cittadino - risale a diversi mesi fa , quando il Consiglio comunale ratificò l'intitolazione di alcune strade discussa nel 2003 in commissione Toponomastica". Un voto e via. Nessuno però si prese la briga di controllare chi diavolo fosse Paride Mori: "Ci siamo fidati dell'opposizione, da cui venne la proposta dell'intitolazione  -  prosegue Pazzoni  -  Mori ci fu presentato solo come capitano dei bersaglieri". Un cavallo di Troia della minoranza di centrodestra? Chissà.

C'è voluto Marco Minardi, direttore dell'Istituto storico della Resistenza di Parma per rivelare la gaffe: "Ho fatto alcune ricerche  -  riferisce lo storico  -  adempiendo semplicemente al mio compito istituzionale". Paride Mori, nato a Traversetolo ai primi del '900, morì in alta Val Baccia oggi territorio sloveno il 18 febbraio 1944. Era capitano del battaglione dei bersaglieri 'Bruno Mussolini' (terzogenito del Duce), alle dipendenza del Terzo Reich e col compito di presidiare le ferrovie dell'Isonzo attaccate dai partigiani. "Probabilmente per lui non vale l'attenuante della casualità, usata spesso per i giovanissimi arruolati nella Rsi  -  ragiona Fabio Todero dell'Istituto per la storia del movimento di Liberazione del Friuli Venezia Giulia  -  essendo un ufficiale sui 40 anni è quasi certo che Mori avesse scelto in modo consapevole". Non a caso l'ufficiale parmense è menzionato nei siti web d'estrema destra, alla voce "Fascisti uccisi in guerra". Così nei blog laltraverita.itconformismoalmuro.blogspot.com. Ma non è possibile annullare l'intitolazione? "Vedremo - conclude Pazzoni - certamente non nell'immediato futuro". I nostalgici del Duce sentitamente ringraziano. 


(16 luglio 2010)


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Da: Comitato antifascista e per la memoria storica - Parma <comitatoantifasc_pr@...>

Oggetto: via Paride Mori a Traversetolo (PR): un caso di revisionismo storico rientrato

Data: 08 agosto 2010 11.33.24 GMT+02.00


In giugno a Traversetolo, Comune del parmense (a Giunta centrosinistra), il Sindaco inaugura una piccola pubblica via dedicata al suo concittadino Paride Mori. Mori, nato a Traversetolo nel 1902, morì nel 1944 in Val Baccia, zona di Gorizia, combattendo contro i partigiani come capitano del Battaglione Bersaglieri "Mussolini", un reparto fascista della Repubblica di Salò, sotto il comando tedesco delle SS, operante nei territori adriatici di fatto annessi al Reich. A luglio il direttore dell'Istituto Storico della Resistenza di Parma denuncia la scelta compiuta dal Comune di Travesetolo, una sua lettera viene pubblicata dalla Gazzetta di Parma a metà mese; in Consiglio Provinciale di Parma viene presentato un o.d.g. del PdCI di disapprovazione dell'intitolazione della via e auspicio di revoca della stessa. Il Sindaco di Traversetolo in un primo momento parla di un atto di leggerezza dell'amministrazione comunale e sostiene che comunque la via resterà intitolata a Mori, pochi giorni dopo ammette l'errore compiuto, "un fatto grave, troppo semplicistico definirlo una leggerezza" afferma, e aggiunge: "non appena è emerso che Mori aveva combattuto per la causa sbagliata, la Giunta ha deciso di togliere l'intitolazione della via".

[Il Comitato ci ha fatto pervenire in allegato le due lettere indirizzate dal direttore dell'Istituto Storico della Resistenza, Marco Minardi, al quotidiano La Gazzetta di Parma (15/7 e 5/8/2010), e l'o.d.g. di disapprovazione presentato del PdCI in Provincia. (ndCNJ)]


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Da: "Comitato antifascista e per la memoria storica - Parma" <comitatoantifasc_pr@...>
Data: 10 agosto 2010 23.28.58 GMT+02.00
Oggetto: su via Mori a Traversetolo (PR) comunicato delle locali associazioni combattentistiche e partigiane

 
In allegato il comunicato sulla questione di via Mori a Traversetolo (PR) emesso il 26 luglio dalle associazioni combattentistiche e partigiane di Traversetolo

A bocce ferme, dopo le reazioni emotive dovute alla improvvida intitolazione di una strada del nostro Comune a Mori Paride classe 1902, ufficiale del battaglione “Bruno Mussolini”, caduto in terra slovena nel febbraio del 1944, le associazioni partigiane e l’associazione combattenti e reduci di Traversetolo, pur prendendo atto positivamente della delibera di revoca, vogliono dire la loro su questa vicenda.

Chi è questo personaggio ai più sconosciuto, fuorché naturalmente al componente della commissione toponomastica che l’ha proposto alla giunta  comunale nel lontano 2002.

Il nome, se la memoria non ci inganna, ci riporta ai racconti dei nostri padri e al periodo che va dal 1920 al 1925, anni di violenze, consumate anche nei nostri territori dalle squadracce di Mussolini.
Sia quel nome, che l’età (Mori avrebbe avuto vent’anni nel 1922), pur con tutte le cautele del caso, si saldano ai ricordi che ci riportano alle muscolari imprese dei baldi giovanotti in camicia nera.

Poi dai remoti e incerti ricordi, con un salto di circa vent’anni passiamo alle certezze e al contesto ambientale e storico in cui opera il Mori come ufficiale del battaglione “Bruno Mussolini”.
E’ la zona del confine orientale, annessa con Trieste all’Italia dopo la fine del primo conflitto mondiale, dove già vivevano e coabitavano con croati e sloveni forti gruppi etnici Italiani.
L’unione all’Italia genera forti contrasti tra i vari gruppi linguistici fomentati dal montante nazionalismo di stampo fascista. 
1920. Il 13 Luglio  i fascisti incendiano a Trieste lo Slovenski Narodni Dom (La casa del popolo Sloveno) simbolo della comunità slava di Trieste.
Dal 1921 al 1928 sono soppresse tutte le scuole slovene e croate viene reso obbligatorio l’insegnamento della sola lingua italiana. Stessa sorte hanno i libri, i giornali e la stampa, anche  i nomi di battesimo devono essere solo italiani.
Viene abolito l’uso della lingua slovena e croata negli uffici, nei tribunali, nelle scuole, nelle chiese e nei locali pubblici.

Dal 1928 i cognomi slavi sono cambiati in cognomi italiani, questa operazione viene eseguita anche nei cimiteri.

Dal 1927 al 1943 il tribunale speciale per la difesa dello stato condanna 4.596 antifascisti, tra questi 777 provengono dalla Venezia Giulia e su 31 giustiziati, 24 sono sloveni e croati.

Nel 1941 l’Italia Fascista invade il regno di Jugoslavia, durante l’occupazione l’opera di repressione contro le formazioni partigiane slave e  le popolazioni civili, provoca nei territori amministrati dall’autorità militare italiana e nel solo periodo che va dal 42 al 43, 13 mila uccisi, tra partigiani e civili e 26 mila deportati nei campi di concentramento italiani, uno dei quali fu il triste tribolario dell’isola di Arbe  dove il tasso di mortalità era del 19%, una percentuale da campo di sterminio.

E’ da questo tragico retroterra, unito a quello che riguardò la repressione culturale negli anni '20 che hanno origine episodi come quello dello foibe.
Quello è stato il brodo di cultura che il Fascismo ha alimentato, non si può fare violenza a una cultura, non si può aggredire una nazione, non si può reprimere un  popolo in nome di una presunta superiorità razziale, perché questo produce inevitabilmente odio e l’odio genera altra ingiustizia. 
Il Mori opera nel 1943/44 in questi territori che fanno parte integrante del Reich tedesco, con la denominazione di Adriatisches Kusterland, alle dirette dipendenze dei comandi germanici.
Poi durante una azione cade  in alta Val Baccia (Baška grapa) oggi territorio sloveno il 18 febbraio 1944. 
Noi non sappiamo come morì, se indirizzando un ultimo saluto al suo Duce o sfidando con il petto il piombo nemico, probabilmente non ne ebbe il tempo e cadde come tanti ragazzi e uomini in camicia nera, capri sacrificali dei folli sogni imperiali di Mussolini. 
A Mori la pietà, come a tutti i caduti, alla nostra Amministrazione e al nostro Sindaco così attento e sensibile ai valori di democrazia e giustizia  più prudenza nel dedicare strade e piazze, non basta morire per una bandiera occorre  anche seguire valori quali democrazia, tolleranza e giustizia ideali e meriti che secondo la nostra modesta opinione il Mori non praticava. 

 

Traversetolo  26 luglio 2010

 

Associazione Nazionale Combattenti e Reduci  di Traversetolo

Le Associazioni partigiane di Traversetolo ANPI ALPI APC

 


(Sulla inconcludente decisione della Corte dell'Aia a proposito della secessione etnica kosovara si veda anche:

http://www.workers.org/2010/world/serbia_0812/

Belgrade protests in U.N. as Int'l Court opens door to dismember Serbia

By John Catalinotto 
Published Aug 8, 2010 11:11 PM 

The United Nations' International Court of Justice ruled that a 2008 declaration of separation by the parliament of Serbia's Kosovo province was legal under international law. Although the judges explained their July 22 decision on a narrow basis, it may still encourage recognition of the historically Serbian province's secession.

There are 192 countries in the U.N. General Assembly. Up to July 30 only 69, including the United States and a majority of European Union members, had recognized Kosovo, whose population is about 80 percent of Albanian ethnic origin.

On July 30, Serbia lodged a resolution in the U.N. General Assembly demanding a new set of talks on Kosovo's status. Despite the current Serbian government's desire to join the EU, on this issue of territorial integrity Serbia is confronting the EU imperialist states.

Although the EU and U.S. imperialists support this dismemberment of Serbia, they oppose general support for self-determination. A broader court decision could give backing, for example, to the liberation struggles in British-ruled Ireland, in the Basque country now ruled by Spain and France, and for the independence of Puerto Rico from the U.S. These are legitimate struggles of oppressed nations for liberation from imperialist powers.

Kosovo is "independent" in name only. This means it is separate from Serbia, but it is not politically or economically self-sufficient. Kosovo's government is an appendage of U.S. imperialism in the Balkans.

Kosovo is home to the massive Bondsteel U.S. military base, housing 10,000 troops. The province has been dependent on the U.S. and West European imperialist states since U.S.-NATO forces waged an aggressive war in 1999 to destroy what was left of Yugoslavia.

The Socialist Federal Republic of Yugoslavia was an independent country of 20 million people in 1989, before the collapse of the USSR and the East European socialist bloc. By December 1991, German imperialism, after annexing the German Democratic Republic, recognized the secession of Slovenia and Croatia, led by rightist parties, and supported secessionist groups in Bosnia. Since large Serb minorities lived in Croatia and Bosnia, civil war was inevitable.

U.S.-led NATO forces then intervened militarily in the Bosnian civil war against the Serb forces in 1995. In 1999, U.S.-led NATO forces supported the ultraright Kosovo Liberation Army (UCK in its initials in Albanian) against Yugoslavia, even though Washington had called the UCK "terrorist" a year earlier. The Pentagon carried out 79 days of bombing raids on Serbia, killing thousands of civilians and destroying much of the Serbian infrastructure and environment.

In the end, NATO aggression turned an independent Yugoslavia into a collection of ministates that are colonies of Western European and U.S. imperialism. The ultrarightist UCK transformed into the core of Kosovo's government. This gangster regime began to persecute the large Serb minority along with the smaller minorities of Jews, Roma and other peoples of Kosovo, many of whom fled to the rest of Serbia.


Catalinotto is editor of the book "Hidden Agenda: U.S./NATO Takeover of Yugoslavia."


Da: Claudia Cernigoi
Oggetto: a proposito della strage di Vergarolla
Data: 16 agosto 2010 19.57.28 GMT+02.00

Il presidente dell'ANVGD Lucio Toth ha dichiarato che ''la recente storia italiana è costellata di stragi rimaste senza una risposta sicura sui responsabili, da Portella della Ginestra al DC 9 di Ustica'' e tra queste stragi inserisce anche quella di Vergarolla, avvenuta il 18/8/46. La responsabilità di questa strage, causata dall'esplosione di una grossa quantità di residuati bellici ammassati sulla spiaggia di Vergarolla presso Pola, è stata spesso attribuita alla volontà jugoslava di creare il terrore in Istria in modo da spingere gli italiani all'esodo (non esistono prove di questo, ma solo illazioni, e del resto se consideriamo che sulla spiaggia di Vergarolla non c'erano solo persone di etnia italiana ma anche di etnia croata, il tutto è comunque un azzardo storico), quindi questa presa di posizione di Toth rappresenta una novità non indifferente, nello studio degli eventi della storia contemporanea. Se Vergarolla viene considerata come Portella e come Ustica, una strage della storia italiana su cui non è mai stata fatta chiarezza, ciò significa che Toth è convinto che la verità su Vergarolla si trovi negli archivi italiani, magari quelli ancora chiusi per "segreto di stato".
Apriamo dunque gli archivi, cancelliamo il segreto di Stato, facciamo chiarezza su tutte le stragi ancora irrisolte.

Claudia Cernigoi

di seguito un breve intervento su Vergarolla pubblicato nel nostro sito:

http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-la_strage_di_vergarolla.php

LA STRAGE DI VERGAROLLA

Sul quotidiano triestino “Il Piccolo” del 17/8/06 è apparso un articolo dello storico Raoul Pupo sulla strage della spiaggia di Vergarolla presso Pola, strage che avrebbe, secondo il titolo dell’articolo, scatenato l’Esodo dall’Istria. Sempre nel titolo, leggiamo che “le responsabilità” della strage non furono mai chiarite, ma “l’effetto è assolutamente chiaro”, cioè, secondo quanto si legge, questa strage avrebbe terrorizzato la popolazione italiana e sarebbe stata una delle cause scatenanti dell’esodo degli italiani. A parte che non si capisce come un evento del genere possa avere terrorizzato esclusivamente la popolazione italiana (forse i croati non andavano al mare e non avevano paura delle bombe?), vorremmo fare ora un po’ di chiarezza sui fatti che vengono così leggermente passati sulla stampa come “operazioni di pressione anti-italiana”.
La vicenda di Vergarolla è in realtà abbastanza semplice.
Il 18 agosto 1946, a Pola, che all’epoca si trovava sotto amministrazione anglo-americana, il circolo canottieri Pietas Julia aveva organizzato una festa sportiva che prevedeva anche gare di canottaggio nei pressi della spiaggia di Vergarolla, zona molto frequentata per i bagni Oltre alle gare erano previsti anche chioschi gastronomici perché si trattava a tutti gli effetti di una festa popolare.
Sulla spiaggia però gli alleati avevano ammassato anche moltissime bombe e mine raccolte dal mare nel corso della bonifica del porto, lasciate lì senza controllo in attesa di essere rese del tutto inoffensive.
Ad un certo punto un’esplosione interruppe in tragedia la festa: le mine erano esplose, lasciando a terra molte vittime, almeno 87 morti e decine di feriti. Naturalmente la città fu fortemente scossa da un fatto così tremendo.
All’epoca furono successivamente aperte delle inchieste che però non riuscirono a venir a capo dei motivi reali del fatto. Ogni ipotesi rimase senza prove che potessero portare a scoprire chi o cosa avesse fatto esplodere quelle mine. Ed oggi, a 60 anni di distanza, non avrebbe neppure senso riaprire un’inchiesta, a meno che qualcuno confessi di avere compiuto quell’attentato, se attentato fu, cosa che, bisogna dirlo proprio a causa della propaganda che viene fatta oggidì sull’episodio, non è stata assolutamente accertata, perché l’esplosione potrebbe benissimo essere stata causata da fattori accidentali. Ricordiamo che una grossa quantità di esplosivo era stata abbandonata senza controllo su una spiaggia dove poi era stata autorizzata una sagra, con accensione di fuochi per cucinare, in una torrida giornata di agosto.
I primi responsabili della tragedia andrebbero quindi ricercati in coloro che abbandonarono l’esplosivo a quel modo, ed in coloro che autorizzarono una festa popolare proprio in prossimità di ordigni che potevano esplodere da un momento all’altro. Non c’era bisogno di un attentato per arrivare alla tragedia.
Nonostante non si sia mai trovato un colpevole, l’“eccidio” venne utilizzato da subito dalla propaganda nazionalista italiana. Per molti la strage era frutto della volontà di colpire gli italiani che stavano, a loro dire, con quella manifestazione sportiva dimostrando l’attaccamento alla “patria” e la contrarietà alla cessione alla Jugoslavia della città. Naturalmente i propagandisti danno per scontato che a quella festa estiva, organizzata nel caldo agosto della prima estate di pace dopo tanti anni, avrebbero preso parte solo coloro che volevano fare dimostrazione di “italianità”, come se, appunto, la popolazione croata di Pola non usasse fare i bagni.
E del resto, quale interesse poteva avere lo stato jugoslavo a creare terrore mediante una strage del genere?
Gli jugoslavi erano all’epoca impegnati a Parigi a dimostrare, con elementi di prova, i crimini commessi durante l’occupazione nazifascista delle loro terre, le stragi, le distruzioni sofferte: avrebbero sicuramente avuto moltissimo da perdere se, per ipotesi, fosse stata scoperta una loro responsabilità in un’azione abietta come una strage di civili. Avrebbe potuto allora essere opera di una “scheggia impazzita”? Non lo si può a priori escludere, però comunque non ne vediamo il senso, dato che, nonostante la vulgata corrente parli di “pulizia etnica” commessa dagli jugoslavi contro la comunità italiana, vi sono prove certe che invece lo stato jugoslavo aveva interesse a tutelare quella comunità, come è dimostrato dalle leggi di tutela che furono successivamente emanate.
Chi invece avrebbe potuto compiere un simile attentato, magari con la creazione di prove false (che comunque non vennero trovate) erano i gruppi nazionalisti italiani, cui lo stato dava un notevole appoggio e che, da loro stessa dichiarazione, organizzavano “atti di sabotaggio” nei territori ex italiani. Ma diciamo subito che neppure di questa possibilità esiste alcuna prova.
A parer nostro la responsabilità della strage di Vergarolla va attribuita semplicemente a coloro che permisero di organizzare una festa vicino ad un deposito di esplosivi. Ma ci pare fuori luogo insistere, in assenza di qualsivoglia prova che dimostri la responsabilità jugoslava in quella tragedia, sul fatto che tale strage causò la fuga degli italiani da Pola. Storicamente furono ben altri i motivi che portarono gli italiani ad andare via da Pola, e non ci dilunghiamo qui ora, dato che esistono studi seri ed approfonditi su questo. Solo, ci piacerebbe che gli storici lasciassero perdere la propaganda e la smettessero di considerare il “si sa”, il “si dice” come fonti storiche.


Il Presidente della Repubblica Italiana

Accolgo con molto piacere il cortese invito rivoltomi dall'Istituto Storico Provinciale Lucchese della Resistenza di presentare il volume degli atti del Convegno di studio, tenuto a Lucca nel 1980, su "Il contributo italiano alla Resistenza in Jugoslavia".

Ha perfettamente ragione Giacomo Scotti quando sostiene nella sua relazione che la nascita del nuovo esercito italiano "inteso come esercito democratico antifascista e parte integrante della coalizione antihitleriana nella seconda guerra mondiale" deve essere anticipata, alcuni mesi prima della storica battaglia per la conquista di Monte Lungo a Cassino, al 9 ottobre 1943, quando il Generale Oxilia, Comandante della Divisione di Fanteria da montagna "Venezia", forte di dodicimila uomini, dette ordini alle sue truppe di attaccare i nazisti, coordinando le azioni militari con l'esercito popolare di liberazione della Jugoslavia.

Dalle relazioni preparate per il Convegno, e ricordo per tutte quella del Generale di Artiglieria Angelo Graziani, emerge l'imponente contributo offerto dagli italiani alla lotta per la liberazione della Jugoslavia: per numero, perchè si è parlato di circa 40mila italiani coinvolti nella lotta partigiana; per mezzi, ricordo l'armamento, l'assistenza tecnica e logistica offerta dalle unità italiane all'esercito di liberazione jugoslavo. Con commozione rilevo sopra a tutto il grande sacrificio di vite umane compiuto dagli italiani: di 24mila soldati italiani che l'8 settembre 1943 costituivano gli effettivi delle divisioni "Venezia" e "Taurinense" furono meno di 3500 i sopravvissuti.

Il contributo italiano, dunque, alla liberazione della Jugoslavia si colloca tra i maggiori che le Nazioni alleate e cobelligeranti fornirono a quelle forze partigiane e ripete un momento particolarmente significativo per l'amicizia e la collaborazione italo-jugoslava, quale fu la grande operazione combinata italo-serba all'inizio del 1916 che valse a preservare la forza militare serba nella lotta contro gli Imperi centrali.

Si è così avverato il profetico messaggio contenuto nella dichiarazione approvata a Roma nell'aprile 1918 dalla Conferenza delle nazionalità oppresse dalla Duplice Monarchia austroungarica, alla cui realizzazione tanta opera dette un indimenticabile e lungimirante uomo politico italiano, Leonida Bissolati. In quella dichiarazione i rappresentanti italiani e jugoslavi definirono quattro punti che oggi, a distanza di sessanta e più anni, possiamo ben definire profetici anche alla luce delle esperienze fatte: 
1) i rappresentanti dei due popoli riconoscono che l'unità e l'indipendenza della nazione jugoslava sono interesse vitale dell'Italia, come il completamento dell'unità nazionale italiana è interesse vitale della nazione jugoslava; 2) affermano che la liberazione e la difesa del Mare Adriatico sono un interesse vitale dei due popoli; 3) si impegnano a risolvere amichevolmente le singole controversie territoriali sulla base dei principi di nazionalità e del diritto dei popoli a decidere della propria sorte; 4) ai nuclei di un popolo che dovessero essere inclusi nei confini dell'altro, sarà riconosciuto e garantito il diritto al rispetto della loro lingua, della loro cultura e dei loro interessi morali ed economici. "

L'avventura fascista aveva interrotto la fratellanza tra i due popoli che si era instaurata non soltanto negli anni duri della prima guerra mondiale, ma nel pieno del Risorgimento italiano, quando Giuseppe Mazzini nel 1857 pubblicò le sue "Lettere slave" e previde con estrema lucidità che il moto d'indipendenza degli Slavi del Sud sarebbe stato il più importante, dopo l'italiano, per l'Europa futura. "Il moto slavo" egli scriveva "dura lentamente continuo. Quando un'idea di libera patria, un'aspirazione nazionale si affaccia ad un popolo, nessuna forza può spegnerla o contenderle il più o meno lento sviluppo progressivo sino al trionfo. Le nazìonalità sono invincibili come la coscienza: potete sopirle per breve tempo, non cancellarle".

Gli atti del Convegno promosso dall'Istituto storico provinciale lucchese della Resistenza rendono, dunque, un grande servigio all'amicizia tra il popolo italiano ed il popolo jugoslavo: con l'arido linguaggio delle cifre, con l'obiettiva narrazione dei fatti, senza nessuna indulgenza alla retorica per rispetto ai vivi, ma soprattutto ai Morti, illuminano per la Storia una pagina che era ancora inedita della Resistenza italiana e del contributo dell'Italia alla Resistenza Europea contro il nazismo.

Sandro Pertini

Palazzo del Quirinale, 10 novembre 1981

[tratto da:

Istituto Storico Provinciale Lucchese della Resistenza
Il contributo italiano alla Resistenza in Jugoslavia
Atti del convegno di studi tenuto a Lucca il 21 giugno 1980
Maria Pacini Fazzi Editore - Lucca 1981

Digitalizzazione a cura di I. Serra, che ringraziamo.
Si confrontino le parole di Pertini, dense di sentimenti internazionalisti di pace e fratellanza, con le parole di odio di Gabriele D'Annunzio, espressione della tendenza imperialista e fascista, di nuovo invalsa ed egemone nell'opinione pubblica come nella politica estera italiana dai primi anni Novanta del Novecento:




Negligenza mortale

report sulle gravi responsabilità occidentali nella pulizia etnica e nell'apartheid cui sono stati costretti Rom, Askali ed Egizi in Kosovo dal giugno 1999 ad oggi, a cura di Paul Polansky.

Per le puntate precedenti si veda:
http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=3919
http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=3933
http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=3946
http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=3956
http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=3966
http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=3979

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Negligenza mortale (VII puntata)

by Paul Polansky

[continua]


IL PREMIO PINOCCHIO: al funzionario ONU che cercò di raccontare la più grande bugia sul campo "libero dal piombo" di Osterode, accanto ai campi rom/askali di Mitrovica.

Joachim Ruecker, nato il 30 maggio 1950 a Schwäbisch Hall in Germania, è un impiegato civile internazionale. Venne nominato Rappresentante Speciale del Segretario Generale per il Kosovo delle Nazioni Unite e capo dell'UNMIK dal 1 settembre 2006 al 20 giugno 2008. Prima, era stato Vice Rappresentante Speciale e Capo della componente Ricostruzione Economica nell'amministrazione UNMIK.

Prima di lavorare per l'UNMIK, Ruecker aveva servito come Commissario alle Finanze e Capo della Divisione Budget e Finanze all'Ufficio Federale degli Esteri a Berlino e ricoperto diversi posti nell'Ufficio Federale degli Esteri a Bonn e in ambasciate tedesche all'estero, incluso Dar es Salaam, Detroit (Consolato Generale) e Vienna. E' stato anche ambasciatore e Vice Alto Rappresentante per l'Amministrazione e Finanza nell'Ufficio dell'Alto Rappresentante a Sarajevo e sindaco della città di Sindelfingen in Germania.

Ruecker ha una laurea dottorale in economia internazionale ed in precedenza è stato consigliere di politica estera del gruppo parlamentare socialdemocratico al Bundestag.

Durante la sua prima conferenza stampa dopo essere stato nominato capo dell'UNMIK, Ruecker annunciò che stava evacuando gli zingari dai campi intossicati dal piombo verso siti "liberi da piombo" e provveduto al trattamento medico dei bambini con i più alti livelli di piombo nel sangue. Disgraziatamente, il sito scelto da Ruecker e dai suoi risultò essere l'ex base francese della KFOR, Osterode, che diversi mesi prima l'esercito francese aveva abbandonato perché molti soldati mostravano alti livelli di inquinamento da piombo. Infatti, ogni soldato francese che aveva servito ad Osterode era stato avvisato di non dare bambini alla nascita per nove mesi dopo aver lasciato il campo, a causa dei loro alti livelli di piombo. Il campo di Osterode era a soli 50 metri dai più infestati campi di Cesmin Lug e Kablare. Dopo diversi mesi di "cure dal piombo" i dottori locali si sono arresi, dicendo che stavano facendo più danni che bene, dato che i bambini tuttora vivevano su di un sito tossico. Più avanti l'OMS dichiarò che non esisteva un livello accettabile di piombo per i bambini. Nessun livello accettabile.

Nonostante l'evidente prossimità ai 100 milioni di tonnellate di cumuli di scorie tossiche aleggianti sui campi zingari, il governo tedesco donò 500.000 euro per ristrutturare Osterode ed immediatamente dopo deportò una famiglia di Rom kosovari (che aveva vissuto in Germania per 15 anni) ad Osterode. In pochi mesi, i bambini di questa famiglia ebbero alcuni dei più alti livelli di piombo nel campo. Un governatore tedesco di un protettorato, soldi tedeschi per un mortale campo zingaro a est. La storia ha un modo sventurato di ripetersi.


Lamberto Zannier


PREMIO IL PRINCIPE: disonora la persona che sta con i principi di Niccolo Machiavelli pubblicati nel suo libro Il Principe nel 1532. Anche se è più una satira che una guida per politici senza scrupoli, molti diplomatici veterani come Zannier che non sanno leggerlo bene, hanno usato questo classico per essere guidati attraverso la loro carriera.

Diplomatico italiano veterano, Lamberto Zannier prese la carica di nuovo Rappresentante Speciale del Segretario Generale dell'ONU Ban Ki-Moon e capo dell'UNMIK il 20giugno 2008. Successe al tedesco Joachim Ruecker, diventando il settimo capo dell'UNMIK da quando venne stabilita la missione nel 1999.

Nato il 15 giugno 1954 nel comune di Fagagna nell'Italia nord-orientale, Zannier ha un dottorato di ricerca in legge dall'università di Trieste. Come studente nell'Italia settentrionale, Zannier è stato educato agli ideali umanisti del Rinascimento. Ma più tardi ha messo da parte quegli ideali all'inseguimento di una carriera col governo italiano, dove prima fu avvocato e poi ambasciatore, ed infine nel consiglio responsabile dei negoziati diplomatici e delle questioni militari.

Dal 2000 al 2002 è stato rappresentante permanente dell'Italia all'Aia nel Consiglio Esecutivo dell'Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche. Nel 2002, Zannier entrò nell'OSCE a Vienna come direttore del Centro per la Prevenzione dei Conflitti. Dal 2006 le sue responsabilità includevano la supervisione delle operazioni OSCE di sette missioni in campo civile nei Balcani e una dozzina d'altre nell'Europa Orientale, nella regione Caucasica e nell'Asia Centrale. Prima del suo incarico come capo dell'UNMIK, Zannier aveva lavorato per il Ministero degli Esteri italiano, occupandosi di politica e degli aspetti operativi della partecipazione del paese alla Sicurezza Europea e alla Politica di Difesa.

Zannnier divenne capo dell'UNMIK cinque giorni dopo che il Kosovo aveva adottato la propria costituzione il 15 giugno 2008. Alla sua prima conferenza stampa a Pristina, Zannier dichiarò: "Ci sono un certo numero di cose da riaggiustare." La prima cosa che "riaggiustò" fu obbligare il governo del Kosovo a sostituire l'amministrazione dei campi tossici, dove durante l'amministrazione ONU oltre 80 Rom erano morti per complicazioni dovute ad avvelenamento da piombo. Da allora, a qualsiasi giornalista che chiedeva informazioni su questi campi, veniva detto dall'ufficio di Zannier che i campi non erano più una questione ONU.

Come capo dell'UNMIK, Zannier avrebbe potuto ordinare l'immediata evacuazione di questi campi tossici, come richiesto dall'Organizzazione Mondiale della Sanità. Ma probabilmente aveva paura che questi ladri di polli del XXI secolo avrebbero trovato la via verso la sua amata Italia e contaminato là i suoi cittadini. Fedele ai suoi principi machiavellici, la specialità di Zannier è di prendere decisioni in assenza di qualsiasi moralità.


Fine settima puntata


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Negligenza mortale (VIII puntata)




by Paul Polansky
[continua]

IL PREMIO MARIONETTA MAJUPI: disonora quella persona che ha venduto il suo stesso popolo (Rom, Askali, Egizi) e poi l'ha accusato di essere ingrato verso l'etnia albanese che l'ha cacciato dalle sue case e comunità durante l'estate del 1999 dopo l'arrivo delle truppe NATO.
Incontrai Zylfi la prima volta nel settembre 1999, dopo che si era barricato in casa e negava di essere Rom, mentre molti dei suoi vicini romanì fuggivano dal ritorno degli Albanesi. Agitandosi e tremando, Zylfi spiegava di essere solo un musulmano timorato di Dio. Un anno dopo quando gli aiuti tedeschi iniziarono a piovere "per i Rom" nella sua città natale, Zylfi si autoproclamò loro leader e dichiarò non solo di essere un "Rom puro", ma che la sua priorità principale era di salvare la lingua romanì dall'estinzione.
Nel 2002 offrii a Zylfi di guidarlo verso ogni comunità zingara in Kosovo, per visitare il suo popolo. Disse che era tropo pericoloso, anche se io e la mia squadra romanì eravamo stati in oltre 300 mahala a portare aiuti. Anche se oltre 14.000 case di RAE (Rom, Askali, Egizi) erano state distrutte dal ritorno degli Albanesi del Kosovo, solo qualche centinaio erano state ricostruite, principalmente per i Rom di Prizren, la città natale di Zylfi.
Anche se i Rom nei campi tossici abbandonati a Mitrovica nord hanno chiesto a Zylfi di visitarli, per testimoniare le loro sofferenze, lui ha rifiutato. Invece, ha proclamato alla televisione del Kosovo che i Rom dei campi sono da biasimare per la loro situazione.
Molti Rom dicono che Zylfi lavora solo per il suo portafoglio, e che se ci fosse qualche aiuto o lavoro per i Rom, si assicurerebbe che lo ricevessero solo i suoi Rom di Prizren. Nel 2009, il governo del Kosovo tenne a Pristina una Conferenza Romanì per celebrare il Giorno Internazionale dei Rom. Non venne invitato nessun Rom di Pristina, nessun Rom dai campi, nessun Rom da nessuna città del Kosovo eccetto che da Prizren. Durante le cerimonie, Zylfi presentò il Primo Ministro del Kosovo con un riconoscimento di eterna gratitudine della comunità Rom  per tutto quanto il governo aveva fatto per ...lui? Alla TV del Kosovo, Zylfi ha affermato che i Rom sono a posto dopo l'indipendenza, non hanno problemi. Probabilmente il 99% dei Rom kosovari non ha mai incontrato il loro "leader". Molti Rom credono che Zylfi dica solo quello che il governo del Kosovo vuole che dica. Anche se i Rom di Mitrovica hanno sofferto per quasi undici in queste distese tossiche, Zylfi è stato citato dalla TV del Kosovo dicendo, "Ritengo che tanto il sindaco di Mitrovica che il governo del Kosovo stiano lavorando sodo perché la comunità ritorni alle proprie case." Dato che Zylfi non ha mai visitato questa gente o la loro comunità, è ovvio che non sappia che tutte le loro 1.200 case furono distrutte nel 1999, e che più tardi le rovine furono spianate dall'UNMIK-KFOR. Allora il municipio di Mitrovica sud ha reclamato per sé quei terreni, dicendo che i Rom non potevano provare che una volta erano loro. Tra i pochi Rom che lo conoscono personalmente, Zylfi è considerato un buffo vecchietto. Ma non c'è niente di divertente in ogni bambino rom nato con danni irreversibili al cervello nei campi ONU, perché il loro "leader" dice che non ha tempo di visitarli.
Norwegian Church Aid (NCA)

IL PREMIO ANTI-CRISTIANO: disonora quell'organizzazione non-governativa che si auto-pubblicizza per promuovere la compassione, l'amministrazione responsabile, ed i diritti basici degli esseri umani... ma fa esattamente l'opposto. NCA viene disonorata da questo premio per aver amministrato i campi zingari a Mitrovica su terreni contaminati per nove anni, dove sono morti 84 Rom ed Askali, molti dei quali bambini piccoli. NCA non ha mai richiesto l'immediata evacuazione, nonostante lo fecero l'OMS e l'ICRC(Comitato Internazionale della Croce Rossa ndr).
Finanziata all'80% dal governo norvegese, NCA è anche partner attuativo di ACT (Action by Churches Together) e dell'UNHCR nei campi di Mitrovica/Kosovo settentrionale dal 1999 alla fine del 2008.
Nonostante l'NCA neghi di essere mai stata coinvolta sino al 2005 nei campi (quando le venne assegnato un contratto a sei cifre di euro dall'UNHCR per l'amministrazione esclusiva dei campi), la newsletter ACT del 10 ottobre 1999 pubblicava questa chicca:
Il gruppo ACT/NCA ha, su richiesta dei diritti interessati, rilevato il controllo amministrativo dei campi rom temporanei a Mitrovica nord. E' stato stipulato un contratto con l'appaltatore locale per costruire vicino alla città il campo "permanente". La preparazione del sito è quasi completata, con l'erezione dei 45 prefabbricati assegnati (costruiti in realtà con vecchi pannelli con pitture al piombo) accompagnati da unità centrali cucine/bagni di prossimo inizio.
In un'altra newsletter, datata 17 ottobre 1999, ACT dichiarava: Il gruppo ACT/NCA per la sanificazione dell'acqua continua ad operare nel campo temporaneo per Rom dispersi a Mitrovica nord.
Nell'ottobre 2000 ACT pubblicava questo breve rapporto:
Programmi ACT in Kosovo
by Rod Booth
...e due campi rom a Mitrovica nord sono stati forniti  di sistema idrico e di visite educative casa per casa istituite sull'intera area operativa.
Assistenza alle minoranze
Percepiti da molti Kosovari albanesi di ritorno come fiancheggiatori delle forze serbe, la maggior parte dei 40.000 Rom del Kosovo sono stati costretti alla fuga al ritorno dei Kosovari. Vicini vendicativi hanno bruciato sistematicamente l'intera ex comunità rom a Mitrovica sud, durante le ultime due settimane di giugno 1999. Oltre 400 dei dispersi sono rimasti senza casa a Mitrovica nord. Su richiesta tanto dei Rom che dell'UNHCR, ACT è diventata l'agenzia capofila nel rifornire di cibo, riparo e supporto a questo settore vulnerabile della società kosovara.
Nel momento in cui altre OnG stanno iniziando a muoversi, i sei partner attuativi nell'arena del Kosovo rimangono determinati a restare con la gente di questa terra devastata, ad assisterla nel loro sforzo di ricostruire una nuova società dalle ceneri di quella vecchia.
I PARTNER INTERNAZIONALI ATTUATIVI DI ACT IN KOSOVO
ChristianAid, GB
DanChurchAid (DCA), Danimarca
Diakonie Emergency Aid, Germania
Lutheran World Federation, Ginevra
Macedonian Centre for International Cooperation (MCIC), Macedonia
Norwegian Church Aid (NCA), Norvegia
United Methodist Church Office for Relief (UMCOR), USA
Ad agosto 2000, vennero richiesti dall'SPSG dr. Bernard Kouchner esami casuali del sangue sull'avvelenamento da piombo nell'intera regione di Mitrovica. Gli unici livelli di piombo pericolosi trovati furono nei campi per IDP (Persone Internamente Disperse ndr) costruiti da ACT/NCA. La squadra medica ONU del dr. Kouchner raccomandò la rilocazione dei campi rom in un'area a minor rischio. L'UNHCR e i suoi partner d'attuazione ACT/NCA non risposero.
Dopo la morte di diversi bambini romanì nel 2004 ed un numero imprecisato di donne che avevano abortito, causa complicazioni dovute all'avvelenamento da piombo, l'ONU in Kosovo rifiutò di riconoscere che era stato scritto un rapporto, che raccomandava la chiusura dei campi rom e recintò tutta l'area inquinata. D'altronde, Jackie Holmboe di Norwegian Church Aid, durante un incontro UNMIK a Mitrovica il 25 novembre 2004, confermò che NCA aveva già nei propri archivi una copia del rapporto dal 2000.
Nel 2006, due dei quattro campi NCA furono chiusi a causa dei più alti livelli di piombo nella letteratura medica e gli zingari vennero inviati in un altro campo (precedentemente occupato dalle truppe francesi, quando lo lasciarono venne detto loro di non mettere al mondo figli per almeno nove mesi, a causa dei livelli di piombo nel loro sangue) chiamato Osterode, che era a soli 50 metri da due degli esistenti campi zingari. L'NCA dispose un servizio di guardia 24 ore su 24, per impedire ai giornalisti, ad esempio della ZDF (TV tedesca), di entrare.
Sotto l'amministrazione dei campi della NCA (dal 1999 al2008) perirono più di 80 Rom in questi campi, la maggior parte a causa di complicazioni dell'avvelenamento da piombo. NCA non ha tenuto una lista dei morti, nessun nome è stato scritto e nessun aiuto fornito per la sepoltura. Nessuno dello staff di NCA è mai intervenuto ai funerali. Tuttavia, i leader dei campi ed un'altra OnG (KRRF Kosovo Roma Refugee Foundation ndr) hanno tenuto una lista di tutti quanti sono morti sotto l'amministrazione NCA.
Per confutare le accuse che l'NCA sapeva dei pericolosi livelli di inquinamento da piombo nei campi da loro amministrati, ma mai aveva fatto pressione sui funzionari ONU per evacuarli e curare le persone più in pericolo (bambini sotto i sei anni e donne incinte), l'ufficio NCA di Pristina dichiarò che da una loro ricerca, "i Rom erano più suscettibili all'inquinamento da piombo del resto della popolazione, e quindi dovevano conviverci."
Secondo la loro pagina web:
Norwegian Church Aid è un'organizzazione volontaria, ecumenica, che lavora per promuovere i diritti basici degli esseri umani. L'organizzazione è radicata nella fede cristiana. Appoggiamo chi ha più bisogno, senza differenze di genere, convinzioni politiche, religione ed origine etnica. Le chiese e le congregazioni norvegesi compongono i sostenitori di Norwegian Church Aid. Per ottenere risultati durevoli operiamo con le chiese di base e altre organizzazioni locali in tre maniere:
  • Progetti di sviluppo a lungo termine
  • Preparazione e risposta d'emergenza
  • Consulenza
Norwegian Church Aid agisce ritenendo che tutti gli umani siano stati creati ad immagine di Dio, con pari valori e pari dignità. Le nostre attività si basano su cinque valori base:
  • Compassione
  • Giustizia
  • Partecipazione
  • Pace
  • Amministrazione responsabile della creazione
Tutti gli zingari dei campi sono musulmani.

Fine ottava puntata

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Per le puntate precedenti si veda:
http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=3919
http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=3933
http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=3946
http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=3956
http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=3966
http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=3979



BUON COMPLEANNO, COMANDANTE!


Cuba, Fidel torna a mettere in guardia Obama: Sarà ucciso come Martin Luther King

Perché? 'Perché gli americani sono molto razzisti, e i milioni di bianchi non si riconciliano con l'idea che un afroamericano sia arrivato alla Casa Bianca'
Fidel Castro, durante un'intervista rilasciata all'Avana a un gruppo di giornalisti venezuelani di Telesur, è tornato ad avvertire il presidente Usa Barack Obama: "Il fatto che non sia stato gia ucciso è una questione di fortuna", ha precisato. In un'ora e mezzo di dichiarazioni fiume, andate in onda ieri sera sulla tv cubana, il lider maximo ha anche affermato che il suo ruolo a Cuba è solo quello di consigliare il governo del fratello Raul: "I compagni non sono persone che devo pilotare io, quello che voglio è che pensino con la propria testa". Quindi ancora: "Potrebbero uccidere Obama, ma non credo che lo faranno adesso. Comunque dovrebbe proteggersi. E lui sa avere cura di se. La gente che ha scelto per la sua sicurezza sono veri professionisti. A quelli nessuno li corrompe". Quindi, riferendosi alla pubblicazione dei documenti segreti sulla guerra in Afghanistan fatta da Wikileaks ha precisato: "Gli Usa non possono più avere il controllo dei loro segreti e bisognerebbe fare una statua a Wikileaks". 
Da quando Obama era candidato alla presidenza degli Usa, Castro è tornato più volte sulla tragica morte a cui sta andando incontro Obama, paragonandola a quella di Martin Luther King. Questo perchè gli americani sono, dice, molto razzisti, e i milioni di bianchi non si riconciliano con l'idea che un afroamericano sia arrivato alla Casa Bianca, "che si chiama proprio cosi, Bianca". Castro ha detto nell'intervista che Obama "africano figlio di musulmano è arrivato alla presidenza degli Stati Uniti a causa di una crisi economica colossale e di una guerra stupida in cui non fanno altro che arrivare cadaveri dall'Iraq". L'ex presidente cubano ha ribadito la sua richiesta a Obama di evitare una guerra nucleare contro l'Iran e si è detto ottimista. "Sono ottimista perché Obama non è cinico come Nixon, non è un gran ignorante come lo era Reagan, non è un imbecille pazzo come Bush e non è un ipocritacome il padre di Bush". Per Castro il presidente americano, di cui ha sempre detto che è intelligente, non è neanche come Roosevelt o Carter "ma è meglio di loro due per un caso di eccezione: è un uomo nero che arriva alla presidenza degli Usa". Quindi un cenno al conflitto tra la Colombia e il Venezuela: "Non esiste alcuna possibilità di un attacco della Colombia contro il Venezuela, perché non le conviene, non può, non vuole e perché sa che le conseguenze sarebbero disastrose". L'ex presidente cubano, che venerdì compirà 84 anni, è ricomparso in pubblico il 7 luglio dopo quattro anni di assenza a causa di una grave malattia. In questo mese ha incontrato diversi esponenti della società, ha presentato un suo libro sulla lotta nella Sierra Maestra nel 1958 e domenica ha parlato sul pericolo e le conseguenze di una guerra nucleare in una sessione straordinaria in parlamento.