Informazione


Babsi Jones


Rizzoli 
collana “24/7″ 
Euro 16,5
2007


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http://slmpds.net/slmpds_sinossi.htm

Sette giorni di assedio tra le mura sgretolate di un condominio di Mitrovica abitato solo da reietti. La reporter straniera venuta per parlare al mondo intero delle cose sconvolgenti di cui è stata testimone dovrebbe scriverne la cronaca, consegnare al suo Direttore il reportage di questo pogrom, ennesimo episodio balcanico di una guerra senza fine. Ma non ci sono parole per narrare l’inenarrabile, o meglio possono solo esserci parole “che sanno di sangue”. Il taccuino avanza a frammenti, perché il mosaico dello sconquasso bellico non conosce armonia. Nel quasiromanzo di Babsi Jones si aprono divagazioni che “come lebbra si sbranano il corpo narrativo”: mentre la popolazione serba, prima dell’arrivo delle milizie albanesi, viene evacuata, si mette in marcia non si sa verso dove, lei resta e racconta. Quelle lettere al Direttore non saranno mai spedite, perché non è più possibile la nuda cronaca, se non per brevi flash, e la lingua può attingere solo ai toni del dramma, dare origine all’epica di una sconfitta. Mitrovica potrebbe essere Sarajevo o Beirut o Kabul: l’Europa finge comunque di non vedere, riconosce ragioni che non esistono perché l’unica ragione della guerra è che “ci sono vincitori e sconfitti, e un banchetto in cui carnefici e martiri si scambiano troppo spesso di posto”. Sappiano le mie parole di sangue, omaggio ad Amleto (portatore sano di ogni dubbio e di ogni follia), è il romanzo d’esordio di una scrittrice che crede nelle contraddizioni. La sua è una scrittura impura, che rifugge dall’ovvio, dove reale, iperreale e surreale si contaminano. È una scrittura potente che priva il lettore di certezze e lo lega alle pagine che scorrono via rapide inseguendo il ritmo tachicardico del cuore.

[bandella/sinossi di "Sappiano le mie parole di sangue", © Rizzoli 24/7]

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Rassegna stampa:



=== Sbancor sul libro di Babsi Jones ===

Nel silenzio che solitamente circonda il genio, è uscito per Rizzoli nella collana “24/7″ (Euro 16,5), un autentico capolavoro della letteratura italiana del III millennio, che sarà anche iniziato da poco, ma che in letteratura sembra più promettente che in politica.
Sto parlando dell’opera di Babsi Jones: “Sappiano le mie parole di sangue“. Si tratta di un’opera unica per diversi motivi.

Il primo è che Babsi pratica una scrittura devastante per i paradigmi e le sinapsi del pensiero unico dominante. E’ un esercizio di bio-grafia, nel senso etimologico del termine: scrittura della vita.
L’inchiostro è rosso-sangue.
Il secondo è la sua capacità di mischiare i generi: il reportage di guerra, il dramma, la tragedia, la poesia, il flusso di coscienza.
Nell’ordine i riferimenti potrebbero essere Hemingway e la Fallaci (si proprio lei, quella migliore di Niente e Così Sia e di Inshallah), Shakespeare (Amleto) e Sartre, (La Nausea e Le Mosche) Eschilo (l’Orestea), William Burroghs, James Joyce, Virginia Woolf. Non esagero: chi mi conosce sa che non sono mai tenero nei giudizi. Al limite preferisco non darli.
Il terzo è il tema: la jugoguerra vista nell’assedio e nel pogrom dei serbi di Mitrovica da quattro donne chiuse in un condominio. La jugoguerra è ormai dimenticata dopo le due Torri. Eppure faremmo bene a ricordarcela. A ricordarci gli antislamici filoccidentali di oggi, che ieri si strappavano le vesti per Sarajevo, mentre le milizie di Alija Itzetbegovic arruolavano afghani, pakistani, e sauditi.
“Sappiano le mie parole di sangue” è un’opera scomoda, eretica, impolitica. Un pugno in faccia ai luoghi comuni del politicamente corretto è delll’umanitarismo democratico che produce guerre umanitarie. Insomma è un antidoto preventivo alla prossima presidenza Clinton (Hillary).
“Sappiano le mie parole di sangue” esce sotto un Governo di “sinistra”, mentre fu proprio il primo governo di “sinistra” di questo paese a riportare l’Italia in guerra dopo cinquant’anni di pace, ripercorrendo in Jugoslavia gli stessi sentieri di sangue tracciati dal fascismo di Ciano, dai cattolici di Stepinac, dagli Ustascia di Ante Pavelic e dalla divisione SS Skanderbeg (albanese).
Ciò non gli assicurerà certo grande rilievo sui mainstream.
Non importa. A differenza di molta letteratura di successo e d’occasione, che fra qualche anno nessuno ricorderà, "SLMPDS" è destinato a restare.

Per chi vuol saperne di più c’è un sito-labirinto di oltre 100 pagine: http://slmpds.net/

Pubblicato Settembre 26, 2007 12:19 AM | TrackBack 





MARKETING


Na Trgu bana Jelacica u Zagrebu prose dva covjeka. Ispred jednog
pise: "Ja sam hrvatski borac, bez posla, pomozite", a ispred drugog
"Ja sam srpski borac, bez posla, pomozite". I tako prolaze dani, a
prolaznici daju novac samo Hrvatu. Jednom im pridje neka starija
gospodja i pita Srbina: "A zasto ti ne prosis u Beogradu, ovdje neces
nista dobiti? Vidis da svi daju novac nasem borcu." I ona dade 10
kuna Hrvatu. Ode gospodja, a "Srbin" se okrene "Hrvatu". "Jesi li je
cuo, Haso, matere ti, ona nas da uci marketingu?".


("Divno. Jedino sto ne verujem da bi Mujo preziveo 5 minuta sa tim
sto je napisao..."
Hvala Ivani za tekst)

(deutsch / italiano)

Sta finalmente per uscire anche in lingua italiana l'ultima fatica 
di Juergen Elsaesser

L'ASSALTO DELLE LOCUSTE

(Zambon Editore - Frankfurt 2007)


1) Naechste Lesungen und Termine in Berlin

2) Una scheda del libro

3) Jürgen Elsässer: Angriff der Heuschrecken. 
Zerstörung der Nationen und globaler Krieg. (Verlag Pahl-Rugenstein, 2007)


=== 1 ===

NAECHSTE LESUNGEN U. TERMINE MIT JUERGEN ELSAESSER IN BERLIN

Von: J.E.

Die Thesen meines aktuellen Buches "Angriff der Heuschrecken. Zerstörung der Nationen und globaler Krieg" werde ich am Sonntag bei zwei Streitgesprächen verteidigen:

Sonntag, 30.09., 

11.45 Uhr, "Die Linke und die Nation"; Diskussion Winfried Wolf und J.E., 
Franz-Mehring-Platz 1 (ehem. ND-Gebäude),
Willi-Münzenberg-Saal 
(Im Rahmen des gleichnamigen Kongresses, der schon Samstag Mittag beginnt und wo hochrangige Referenten - Domenico Losurdo, Sabine Kebir, Ludwig Elm u.a. - auftreten werden.)

Sonntag, 30.9.07, 

19 Uhr, "Wieviel Populismus verträgt die Linke?",
Diskussion J.E. mit Bernard Schmid, 
Haus der Demokratie, Greifswalder Straße 4, 10405 Berlin

Weitere Auftritte in nächster Zeit:

10.10.07, 

Berlin, 19 Uhr Hotel Hilton (im Saal "Durieux"), Gendarmenmarkt
(zu "Angriff der Heuschrecken")

26.10.07, 

Braunschweig, 20 Uhr
im Jugoslawischen Verein "Sloboda" e.V., 
Petzvalstraße 50 (2. Obergeschoß, links) ab 19.00 Uhr
(zum Kosovothema)


=== 2 ===

Juergen Elsaesser

L’assalto delle locuste

Distruzione delle nazioni e guerra globale 

Casa editrice Pahl-Rugenstein, 230 pp., € 17,90, gennaio 2007

Richiedere in libreria (ISBN 3-89144-376-5) oppure direttamente dall’autore (info@...).

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All’inizio degli anni novanta, il Presidente George Bush (padre) annunciò l’arrivo del  Nuovo Ordine Mondiale. Non passarono due decenni ed ecco il nostro pianeta avvolto da scenari che fanno pensare ad un assalto globale da parte di alieni: apertura di sempre nuovi fronti di belligeranza, centinaia di migliaia uccisi, milioni in fuga, oltre un miliardo che non riescono più a sfamarsi.

L’unica superpotenza sopravissuta, non tollera alcun’ altra nazione sovrana al suo fianco. Le locuste del capitalismo ingoiano e svuotano tutto, devastando anche economie notoriamente fiorenti. Chi osa ribellarsi, viene dichiarato fuori-legge, per potere essere eliminato militarmente. Chi si sottomette, deve supportare basi militari offrendo la propria sovranità all’Impero. Come cento anni fa, si stanno creando colonie e semi-colonie tutt’intorno al pianeta – attrezzate di prigioni e centri di tortura per gli indigeni recalcitranti.

Questo libro non fa bene alla salute. La sua lettura stressa i nervi e potrebbe causare insonnia. Qui non si presenteranno analisi secche e sterili, ma invece, emerge un quadro di battaglie sanguinose che accompagnano l’avanzata di un armada apparentemente invincibile, così come i primi contraccolpi della resistenza, andati a segno.


Indice

Capitolo 1: L’impero degli alieni

Come il capitalismo divora le sue basi produttive espellendo la forza lavoro umana e facendo nascere un ultra-imperialismo denazionalizzato. 
L’esordio di un’epoca anti-nazionale rimanda a profonde fratture nelle fondamenta economiche del sistema mondiale. Nel primo capitolo, l’autore mette in evidenza che il fenomeno della globalizzazione non sottintende affatto un progetto di ottimizzazione dell’allocazione, bensì di suicidio del capitalismo. Le fondamenta della relazione merce-denaro sono andate in frantumi. Dal 11 settembre 2001, la Federal Riserve – banca nazionale USA – ha messo in circolazione più dollari che non nei duecento anni precedenti. Il valore del biglietto verde è coperto solamente dal ricatto militare – finché non andrà in frantumi la baracca intera.

Capitolo 2: I collaboratori

Qualcosa su Michel Foucault e Toni Negri, ma anche su Britney Spears: come i sessantottini impararono ad amare l’Impero:

Viaggiatori senza bussola – fantasmi post-nazionali – un tour d’horizon dal 1968 ai giorni d’oggi – con una critica esauriente del bestseller pseudo-sinistro, “Empire”, e commenti provocatori sulla strategia capitalista del multiculturalismo.

Capitolo 3: La saggezza dei samurai

La globalizzazione come “processo irreversibile” ? Lo negherebbe la teoria di Carlo Marx – ma anche la saggezza dell’Estremo Oriente.

Il filosofo giapponese Toyota ha messo a punto una teoria dell’economia che non dista più di tanto da quella di Carlo Marx. Entrambe smentiscono il mantra di una globalizzazione “senza alternativa” che attualmente viene recitato fino al lavaggio dei cervelli, da compagnie multinazionali, passando per la sinistra moderata, per raggiungere perfino qualche ambiente di autonomi.

Capitolo 4: Topolino incontra Adolfo Hitler

Il fascismo nazionalista è superato – il suo figlio bastardo è globalista. 

Questo capitolo chiave mette a nudo le maschere caratteriali del nuovo ultracapitalismo in azione: per i neoconservatori americani negli USA, la fazione dominante nel Pentagono, il 11 settembre 2001 ha dato l’avvio per una campagna che punta dritto e con tenacia ad una guerra mondiale. In Germania, questi interessi trovano sostegno pubblicitario anche dalla parte di determinati gruppi della sinistra (i cosiddetti “anti-tedeschi”). Negli USA, la democrazia viene smantellata pezzo per pezzo – vi è in agguato un golpe sferrato dal governo-ombra che fa capo a Dick Cheney. A differenza dal fascismo storico, la nuova barbarie non ha un aspetto nazionalista, bensì globalista. Ed ancora: l’anti-islamismo che sta dilagando, costituisce oggi la più importante ideologia foriera d’odio – mentre l’antisemitismo è roba d’altri tempi. Questo avrà necessariamente le sue conseguenze per la lotta antifascista.

Capitolo 5: Tutto il potere al popolo

Bisogna farla finita con il realismo di comodo, ma ugualmente con il dogmatismo fondamentalista. 

Il capitolo 5 mette a confronto le varie strategie adoperate da governi progressisti, tra Pechino, Basilea e Caracas, per difendersi contro l’assalto neoliberista. 

Anche in Germania i socialisti potrebbero tornare ad essere una forza della storia, a condizione che smettano di amoreggiare con il dogmatismo fondamentalista da una parte, con il pseudo-realismo di comodo dall’altra, per decidersi di rivolgersi, finalmente, alla maggioranza della popolazione anziché farsi risucchiare dai problemi di gruppi emarginati. Infatti, con una strategia basata sull’azione diretta, potrebbero reclutare l’esercito degli sfiduciati dalla politica, abbandonati da tempo dagli altri partiti politici: Tutto il potere al popolo, fuori le locuste, fine all’ubbidienza nei confronti delle politiche USA – questa è la musica che farà tornare a ballare.

Capitolo 6: Cosa fare ?

Nell’epoca della globalizzazione, la  questione nazionale si ripropone con forza – anche in Germania. Chi non si lascia spaventare da questo pensiero, sarà ricompensato con escursioni a Marx e Lenin, incontri con Peter Hacks ed Oskar Lafontaine – e con valide proposte per la messa in pratica. “La banda va colta di sorpresa”, raccomanda Peter Hacks.

Allegato:

Il meglio di Elsaesser 2001-2006
Testi per confrontare gli anti-nazionali.


=== 3 ===

Jürgen Elsässer

Angriff der Heuschrecken. 
Zerstörung der Nationen und globaler Krieg. 

Verlag Pahl-Rugenstein, 230 Seiten, 17,90 Euro (ISBN 3-89144-376-5)


Zu Beginn der neunziger Jahre verkündete Präsident George Bush der Ältere die Neue Weltordnung. Keine zwei Jahrzehnte später herrschen auf dem Planeten Zustände, als ob ein Angriff von Aliens stattgefunden hätte: Eröffnung immer neuer Fronten, Hunderttausende getötet, Millionen auf der Flucht, über eine Milliarde hungert. 

Die einzig verbliebene Supermacht duldet neben sich keine andere Nation. Wer sich nicht fügt, wird zum Schurkenstaat erklärt und militärisch zerschlagen. Wer sich fügt, muß Militärbasen dulden und seine Souveränität dem Imperium abtreten. Wie vor hundert Jahren entstehen rund um den Globus Kolonien und Halbkolonien – und Folterlager für die renitenten Eingeborenen.

Gegen diesen Weltkrieg, so fordert der Autor, muß die nationale Souveränität verteidigt werden: in Libanon und Iran wie in Frankreich und Deutschland.


(Inhaltsübersicht)


Kapitel 1: Angriff der Aliens

Wie der Kapitalismus seine Produktionsgrundlagen vertilgt und die menschliche Arbeitskraft ausspuckt – und einen denationalisierten Ultra-Imperialismus zeugt

Der Anbruch einer antinationalen Epoche verweist auf tiefe Brüche in den wirtschaftlichen Grundlagen des Weltsystems. Im ersten Kapitel wird aufgezeigt, daß es sich bei der Globalisierung nicht um ein Optimierungs-, sondern um ein Selbstmordprogramm des Kapitalismus handelt. Die Fundamente des Ware-Geld-Verhältnis sind zerrüttet. Seit dem 11. September 2001 hat die US-Notenbank Federal Reserve mehr Dollars in den Umlauf gepumpt als in den über 200 Jahren zuvor. Der Wert des Greenback ist nur noch durch militärische Erpressung gedeckt – bis alles in Scherben fällt. 

Kapitel 2: Im Imperium der Minderheiten

Über Michel Foucault und Toni Negri und ein bißchen über Britney Spears: Wie die Achtundsechziger lernten, das Imperium zu lieben

Postnationalen Geisterfahrer – ein Tor d'horizon von 1968 bis heute mit einer ausführlichen Kritik des pseudo-linken Bestsellers "Empire" und einen Provokationen über die Multikulti-Strategie des Großkapitals. 

Kapitel 3: Die Klugheit der Samurai

Die Globalisierung als "nicht umkehrbarer Prozeß"?  Dagegen steht die Theorie von Karl Marx – und fernöstliche Weisheit

Der japanische Philosoph Toyota hat eine Ökonomik entwickelt, die gar nicht so weit von der Ökonomie Karl Marx' entfernt ist. Beide dementieren das Gerede von der "alternativlosen" Globalisierung, das derzeit von den Großkonzernen über die linke Mitte bis hin zu manchen Autonomen nachgebetet wird. 

Kapitel 4: Micky Mouse trifft Adolf Hitler

Der nationalistische Faschismus ist passé – sein postmoderner Bastard ist globalistisch 

Dieses Schlüsselkapitel zeigt die Charaktermasken des neuen Ultraimperialismus in Aktion: Die US-amerikanischen Neokonservativen, die tonangebende Fraktion im Pentagon, arbeiten seit 9/11 gezielt auf einen Weltkrieg hin. In Deutschland werden sie publizistisch auch durch ehemalige Linke (sogenannte "Antideutsche") unterstützt. Im Innern der USA wird Demokratie Zug um Zug abgeschafft – ein Putsch der Schattenregierung um Vizepräsident Dick Cheney droht. Im Unterschied zum klassischen Faschismus hat die neue Barbarei kein nationalistisches, sondern ein globalistisches Profil. Und: Antiislamismus ist heute die wichtigste Haßideologie – nicht mehr Antisemitismus. Dies muß Auswirkungen haben auf den antifaschistischen Kampf.

Kapitel 5: Alle Macht dem Volke

Die Linke muß die Regierung übernehmen – aber nicht als Anhängsel von Sozialdemokraten und Grünen 

Das Kapitel vergleicht verschiedene Möglichkeiten, wie sich progressive Regierungen zwischen Peking, Brasilia und Caracas gegen den Neoliberalismus wehren. Auch in Deutschland könnten die Sozialisten wieder eine geschichtsmächtige Kraft werden, wenn sie mit Fundi-Dogmatismus ebenso brächen wie mit Realo-Spielereien und sich endlich der Mehrheit der Bevölkerung zuwendeten, statt sich auf die Probleme von Randgruppen zu kaprizieren. Mit einer populistischen Strategie könnten sie die Politikverdrossenen ansprechen, die die anderen Parteien längst aufgegeben haben: Alle Macht dem Volke, verjagt die Heuschrecken, Schluß mit dem Gehorsam gegenüber Washington – das ist die Melodie, die die Verhältnisse zum Tanzen bringen wird.   


Kapitel 6: Was tun?

Im Zeitalter der Globalisierung muß sowohl der internationalistische Gedanke als auch die nationale Frage neu formuliert werden. Völkerverständigung und Frieden entstehen nicht aus dem Abbau nationaler Souveränität, sondern aus ihrer Stärkung. Die Organisationen des Imperiums – NATO, EU, WTO, IWF – müssen aufgelöst werden. Vielleicht könnte man eine gute alte Losung etwas abwandeln: "Proletarier aller Länder und bedrohte Staaten – vereinigt Euch!" 

http://www.chiffonrouge.org/spip.php?article101

http://www.voltairenet.org/article151597.html


Maladies non diagnostiquées et guerre radiologique

par Asaf Durakovic*

L’expérimentation et l’usage de la bombe atomique, puis des munitions et blindages à l’uranium appauvri, ont irradié les lieux d’expérimentation et les théâtres d’opération. Des maladies nouvelles ont atteint aussi bien les soldats de l’Alliance atlantique qui maniaient ces armes, que leurs ennemis, ou que les populations civiles. Longtemps après le retour de la paix, les radiations continuent à contaminer ceux qui y sont exposés. Bien que les gouvernements « occidentaux » aient volontairement entravé le plus longtemps possible la recherche médicale en cette matière, une abondante documentation a été amassée au cours des ans. Nous publions une longue synthèse dans laquelle Asaf Durakovic dresse le bilan des connaissances actuelles de cette catastrophe sanitaire. Désormais, la manière dont les pays de l’OTAN font la guerre peut aussi tuer leurs propres ressortissants en temps de paix.

21 SEPTEMBRE 2007


Une contamination interne par des isotopes d’uranium appauvri (UA) a été constatée parmi les anciens combattants britanniques, canadiens et états-uniens de la guerre du Golfe neuf ans encore après leur exposition à de la poussière radioactive lors de la première guerre du Golfe. Des isotopes d’UA ont été également observés dans des échantillons d’autopsie de poumons, de foie, de reins et d’os prélevés sur des vétérans canadiens. Dans des échantillons de sol prélevés au Kosovo, on a trouvé des centaines de particules de diamètre généralement inférieur à 5 _m pesant des milligrammes. La première guerre du Golfe a laissé dans l’environnement 350 tonnes d’UA et dans l’atmosphère 3 à 6 millions de grammes d’aérosols d’UA. Ses conséquences, le syndrome de la guerre du Golfe, consistent en troubles complexes multiorganiques, progressifs et invalidants : fatigue invalidante, douleurs musculo-squelettiques et articulaires, maux de tête, troubles neuropsychiatriques, changements de l’humeur, confusion mentale, problèmes visuels, troubles de la démarche, pertes de mémoire, lymphadénopathies, déficience respiratoire, impuissance et altérations morphologiques et fonctionnelles du système urinaire.

Ce que l’on sait actuellement sur les causes est totalement insuffisant. Après l’Opération Anaconda menée en Afghanistan (2002), notre équipe a examiné la population dans les régions de Jalalabad, Spin Gar, Tora Bora et Kaboul et a constaté que les civils présentaient des symptômes semblables à ceux du syndrome de la guerre du Golfe. Des échantillons d’urine de 24 heures ont été prélevés sur 8 sujets symptomatiques choisis selon les critères suivants :
1. Les symptômes ont commencé juste après le largage des bombes.
2. Les sujets étaient présents dans la région bombardée.
3. Manifestations cliniques.
Des prélèvements ont été effectués sur un groupe témoin d’habitants asymptomatiques de régions non bombardées. Tous les prélèvements ont été examinés quant à la concentration et au ratio de quatre isotopes U234, U235, U236 et U238. À cet effet, nous avons utilisé un spectromètre de masse multicollecteur à source d’ionisation par plasma à couplage inductif. Les premiers résultats de la province de Jalalabad ont prouvé que l’élimination d’uranium total dans l’urine était significativement plus importante chez toutes les personnes exposées que dans la population non exposée. L’analyse des ratios isotopiques d’uranium a révélé la présence d’uranium non appauvri. L’étude de prélèvements effectués en 2002 a révélé, dans les districts de Tora Bora, Yaka Toot, Lal Mal, Makam Khan Farm, Arda Farm, Bibi Mahre, Poli Cherki et à l’aéroport de Kaboul des concentrations d’uranium 200 fois plus fortes que celles de la population témoin. Les taux d’uranium dans les échantillons de sol des sites bombardés sont deux à trois fois plus élevés que les valeurs limites mondiales de concentration de 2 à 3 mg/kg et les concentrations dans l’eau sont significativement supérieures aux taux maximums tolérables fixés par l’OMS. Ces preuves toujours plus nombreuses font de la question de la prévention et de la réponse à la contamination par l’UA une priorité.

« Rien ne protège de cette force fondamentale de l’univers. »
Albert Einstein

La réalité de la guerre thermonucléaire se résume le mieux par l’affirmation d’Albert Einstein selon laquelle cette énergie suffit pour faire sauter la Terre [1]. Le champ de bataille nucléaire ne se limite plus à un pays ou à un continent, il dépasse de beaucoup les frontières politiques et géographiques et fait de chaque région une grande zone de guerre. Si une guerre nucléaire stratégique impliquant un arsenal de dix mille mégatonnes avait lieu, un milliard de personnes mourraient immédiatement de leurs blessures directes combinées (explosion, chaleur, radiations), un autre milliard succomberaient aux maladies dues au rayonnement [2] et les survivants devraient vivre dans un environnement exposé à des retombées radioactives qui exerceraient des effets somatiques et génétiques aux conséquences probablement irréversibles pour la biosphère.


La course aux armements nucléaires

Le premier essai de bombe atomique, baptisé Trinity, a eu lieu le 16 juillet 1945 à Alamogordo, aux environs de Los Alamos, au Nouveau- Mexique (États-Unis). En un millionième de seconde, la chaleur de la première bombe atomique a atteint plusieurs millions de degrés centigrades, cette bombe dégageant plus de 400 isotopes radioactifs et une grande énergie de liaison dont la pression était de plusieurs milliers de tonnes par centimètre carré. Pendant une fraction de seconde, le noyau de la bombe a été onze fois plus chaud que la surface du soleil. La taille de la boule de feu a atteint des centaines de mètres, car le noyau de la bombe s’est mélangé avec des atomes d’oxygène et d’azote, dévoilant le noyau intérieur brillant de l’explosion. En une seconde, la terre vaporisée s’est transformée en un champignon atomique d’une hauteur de 3000 m. A 150 milles de là, dans l’Arizona, les voyageurs de l’Union Pacific Railway ont pu voir la boule de feu. Les témoins ont donné différentes interprétations de ce phénomène, d’aucuns décrivant ses effets comme ceux de la chute d’un bombardier, d’autres comme un incendie de l’atmosphère ou l’arrivée d’une météorite. Des témoins habitant Gallup, ville située à 235 milles au nord du lieu de l’explosion, ont pensé assister à l’explosion d’un dépôt de munitions de l’armée [3]. 20 jours après l’essai Trinity, le 6 août 1945 à 8 h 15, une bombe atomique a été larguée sur Hiroshima. Elle a explosé à environ 633 mètres au-dessus de la ville, a voilé le soleil, tué 130 000 personnes, causé 80 000 invalides et rendu malades 90 000 personnes en raison des retombées radioactives ultérieures. En quelques heures, une pluie noire est tombée, des cendres blanches ont recouvert l’épicentre et causé des brûlures dermiques. La plupart des victimes primaires sont mortes des effets combinés de la chaleur, de la pression et d’une maladie aiguë des rayons. Hiroshima a été pratiquement rayé de la carte [4].

Deux jours plus tard, le 8 août 1945 à 11 h 01, une bombe au plutonium baptisée Fat Man a été larguée sur Nagasaki. Comme à Hiroshima, le soleil a disparu lorsque le champignon atomique s’est élevé. La population de la ville rayée de la carte est morte des mêmes blessures combinées qu’à Hiroshima. Il en est résulté la fin de la Seconde Guerre mondiale et des gains territoriaux pour l’Union soviétique. Quand une équipe de recherches sur les armements de Khrouchtchev a commencé, à l’automne 1948, à développer une bombe russe, ce fut le début de la course aux essais nucléaires. Les essais se sont poursuivis parallèlement aux États-Unis et en Union soviétique. Après la mort de Staline en 1953, l’Union soviétique a fait exploser, le 12 août, la première bombe mobile à hydrogène. Il s’agissait de sa deuxième bombe thermonucléaire. Réalisant que les Soviétiques étaient en train de gagner la course aux armements nucléaires, les États-Unis ont commencé à accélérer leurs programmes d’essais.

En 1955, il est devenu évident que les essais endommageaient irrémédiablement la biosphere [5]. Plus de 400 isotopes radioactifs libérés par chaque essai ont été identifi és comme cause de pollution. 40 de ces isotopes mettent en danger la santé humaine. Toute kilotonne libérée génère quelques grammes de radioisotopes aux propriétés toxiques pour l’organisme. En raison de sa longue demi-vie, de sa désintégration bêta et de ses propriétés spécifiques de l’os, le strontium-90 constitue le risque principal. De surcroît, les essais d’armes nucléaires ont provoqué des accidents. En 1958, un B-57 des Forces de l’air états-uniennes a largué la première bombe atomique dans les environs de Florence, en Caroline du Sud. La bombe, non armée, n’a pas explosé mais a parsemé le pays de matériaux radioactifs. La même année, un B-52 a largué une bombe atomique de deux mégatonnes dans les environs de Goldsboro, en Caroline du Nord. L’aviation états-unienne a enregistré par la suite d’autres accidents, notamment à Toula, au Groenland, et à Palomares, en Espagne. À Palomares, deux bombes au plutonium ont contaminé une grande partie du territoire et de la côte atlantique.

En 1958, après la catastrophe de Tchelyabinsk-40, l’Union soviétique a suspendu ses essais nucléaires. Toutefois, elle a bientôt repris ses essais de bombes de plusieurs mégatonnes dans la région arctique de Novaya Zemlya et a largué, le 9 septembre 1961, une bombe d’une puissance explosive de 50 mégatonnes. Entre-temps, aux États- Unis, les indices d’une contamination de l’environnement s’accumulaient, tout comme ceux d’une augmentation de l’incidence des cancers, des leucémies et d’autres troubles parmi ceux qui avaient travaillé dans le nucléaire. Conjointement aux problèmes posés par la sécurité radiologique, ces faits ont incité à démanteler l’énorme appareil bureaucratique incompétent que constituait l’Atomic Energy Commission. Elle a été remplacée, en 1974, par l’Energy and Research Administration and Nuclear Regulatory Agency (NRC).

En 1955, Bertrand Russell, Albert Einstein et neuf autres scientifiques réputés ont fondé le Mouvement Pugwash, qui s’est occupé de la prolifération et de la guerre atomiques. En organisant depuis 1957 des rencontres annuelles, Pugwash a commencé ses travaux qui ont abouti à un traité d’interdiction des essais d’armes atomiques et la production de nouveaux arsenaux et systèmes de transport [6]. En 1969, Pugwash a contribué à la mise en place des Négociations sur la limitation des armes stratégiques (SALT). Cette initiative a été soutenue par la campagne que Linus Pauling a menée contre les armes atomiques et la pollution de l’environnement. Après la crise de Cuba, la menace d’un confl it nucléaire a incité Kennedy et Khrouchtchev à signer, en 1963, un traité d’interdiction des essais nucléaires. Néanmoins, les essais nucléaires souterrains se sont poursuivis, ce qui a fait échouer le Traité d’interdiction complète des essais nucléaires. L’assassinat de Kennedy, la chute de Khrouchtchev et la guerre du Vietnam ont mis fin à la détente nucléaire.

La possibilité, réaliste, que l’Union soviétique dépasse les États-Unis dans ses essais et le développement d’armes nucléaires a conduit finalement, en 1972, au Traité SALT I qui interdisait partiellement le déploiement de systèmes de défense antimissile. L’Union soviétique avait déjà un tel système autour de Moscou et les États-Unis en avaient un dans le Dakota du Nord. Huit ans plus tard, le gouvernement Reagan a entamé les négociations SALT II, qui ont entraîné une réduction des armes (START), mais non une limitation. Le président du Comité exécutif de la Conférence Pugwash, Bernard Field, a qualifié cette situation de « repetitious stupidity of this futile charade. » [7] Paul Warnke, principal négociateur du Traité SALT II, a déclaré : « La triste histoire du contrôle des armements peut devenir le dernier chapitre de l’histoire de l’humanité. » [8] Depuis que le Traité d’interdiction partielle des essais nucléaires a été signé, en 1963, quelque 50 essais ont été effectués chaque année, soit 55 % par les États- Unis, 30 % par la Russie et le solde de 15 % par la France, l’Angleterre, la Chine, l’Inde et le Pakistan. Comme la technologie des communications par satellite se développe très rapidement, la prolifération d’armes nucléaires implique que plus de 90 % de la surface terrestre constituent un objectif potentiel. La sécurité des nations n’est plus garantie par le nombre d’armes nucléaires. Même après l’effondrement de l’Union soviétique, les armes nucléaires demeurent un problème de sécurité essentiel, abstraction faite d’initiatives de collaboration entre Washington et Moscou. Les scénarios politiques internationaux comprennent de nouveaux risques de conflits nucléaires. Parmi ces risques figurent le retrait à court terme des États-Unis du Traité sur les systèmes de défense antimissile, la nouvelle doctrine de la « première frappe » et l’apparition récente de nouveaux pays en possession d’armes nucléaires [9]. La menace nucléaire subsiste en raison de la prolifération nucléaire, avec sa liste toujours plus longue de scénarios d’usage de la force, d’activités terroristes, de catastrophes nucléaires et écologiques et de doctrine de la « destruction mutuelle assurée ».


Terrorisme nucléaire et radiologique

Après le 11 septembre 2001, la possibilité d’attaques terroristes nucléaires et radiologiques a suscité davantage d’attention. Avant la catastrophe de New York, de telles possibilités étaient plutôt négligées. Ou la formation en matière de soins à apporter aux victimes des catastrophes nucléaires et radiologiques n’existait pas, ou elle n’était effectuée que très sporadiquement, même dans les institutions gouvernementales chargées de préserver les capacités de réaction. L’amélioration de la préparation des pays à faire face aux effets aigus et chroniques des radiations, la contamination de l’environnement, l’impact psychologique et social et les conséquences financières d’une attaque terroriste nucléaire apparaissent de nouveau comme une priorité des nations industrialisées [10]. Certains préconisent la doctrine de Clausewitz selon laquelle il convient de charger les forces armées de prévenir les attaques d’ennemis extérieurs ou de les repousser et d’attaquer d’autres pays si l’on estime que c’est dans l’intérêt international [11]. Les dommages chroniques causés par les radiations ont été réévalués à la lumière des conséquences possibles du terrorisme nucléaire pour des masses de victimes. La préparation à des accidents et à des attaques nucléaires et radiologiques doit aussi envisager les conséquences psychologiques en raison du fait bien établi que, dans un scénario de terrorisme nucléaire, il y aurait, pour chaque victime directe, 500 personnes sujettes à des troubles psychologiques et psychosomatiques qu’il serait difficile de distinguer des victimes véritablement contaminées [12]. Bien que des interventions médicamenteuses aient été examinées à titre de protection contre les radiations, les professionnels de santé devraient être conscients des lamentables échecs antérieurs dans le domaine des moyens de protection contre les radiations. On étudie actuellement le fait que les cellules vasculaires et parenchymales se régénèrent au lieu de mourir sous l’effet du rayonnement, cela en vue de développer des mécanismes visant à modifier la réponse de l’organisme, parallèlement à d’autres stratégies thérapeutiques telles que les corticostéroïdes, les inhibiteurs de l’enzyme de conversion, la pentoxyfi lline et la dismutase superoxyde [13]. Dans la gestion des dommages nucléaires et pathologiques, on est passé de conséquences ingérables d’un conflit nucléaire stratégique à des moyens de faire face à un grand nombre de victimes. Cette réponse doit se dégager d’efforts interdisciplinaires. Il faut immédiatement fournir de gros efforts pour développer des concepts de gestion clinique des victimes des radiations [14]. Simultanément, la recherche doit continuer à s’efforcer de comprendre et de gérer la contamination par les radionucléides, les effets radiotoxiques, la destruction des liaisons chimiques, les radicaux libres, les dommages à l’ADN cellulaire et aux enzymes [15]. Les efforts multidisciplinaires doivent comprendre la planifi cation, le tri des blessés, la décontamination, la décorporation, la thérapie de chélation et la gestion traditionnelle des symptômes des patients.

En raison des contraintes financières et du manque presque total de formation, de connaissances techniques, une éventuelle attaque terroriste constitue un sérieux défi [16]. On n’a pas encore tiré de manière adéquate les leçons de la première guerre du Golfe et du conflit des Balkans pour être préparé à s’occuper des victimes des radiations [17]. Une attaque terroriste subite nécessite une réponse effi cace du système sanitaire. Or la plupart des pays qui pourraient être la cible d’une attaque terroriste ne disposent guère de la logistique nécessaire, surtout dans les grandes villes où l’affectation des moyens financiers nécessiterait une restructuration des priorités afin de répondre aux conséquences pour la société. Dans un scénario de terrorisme nucléaire, il est particulièrement important d’être conscient que des terroristes pourraient recourir à des actinides, en mettant l’accent sur le plutonium, agent de contamination de masse.

Le plutonium est considéré comme la substance la plus dangereuse qui soit pour les êtres humains [18]. Si on le disperse sous forme de poussière radioactive ou s’il parvient dans les réseaux d’eau potable, seuls quelques grammes suffisent à contaminer une grande ville. Le plutonium a été vendu illégalement sur des marchés clandestins, en particulier dans l’ancienne Union soviétique. Grâce à un trafic illégal, il a fait son chemin dans diverses parties du monde. La dispersion de plutonium est considérée comme le pire scénario terroriste [19]. Si le cas se présente, les professionnels de santé devraient mettre l’accent sur la prévention plutôt que sur la gestion thérapeutique de masses de victimes du terrorisme nucléaire. Récemment, des médecins du monde entier ont adhéré à un groupement de plus de 1 000 organisations pour coopérer, soutenir l’élimination des armes nucléaires et réduire les risques des conséquences effroyables du terrorisme nucléaire et radiologique [20].


Guerre radiologique

C’est en mai 1991, dans le golfe Persique, que des armes radiologiques ont été employées pour la première fois. Elles ont inauguré un nouveau scénario de guerre CBRN (chimique, biologique, radiologique et nucléaire). Le recours à des armes qui frappent aussi bien les soldats que les civils n’est pas nouveau. À la fin de la Seconde Guerre mondiale, les États-Unis craignaient sérieusement que les Japonais ne larguent sur le territoire états-unien des milliers de ballons remplis d’uranium et ne contaminent ses mégapoles [21]. Lors de la première guerre du Golfe, les munitions à l’UA ont répandu dans l’atmosphère des millions de grammes de poussières radioactives [22]. Leurs conséquences pour la santé et l’environnement restent controversées et le débat dépasse de loin le cadre de la communauté scientifique. Toutefois, de nombreuses études récentes ont confirmé deux siècles de preuves scientifiques de la toxicité somatique et génétique de l’uranium [23] [24] [25].

Le coût de la décontamination des sites touchés par des armes à l’uranium utilisées par des armées ou des terroristes reste un grave sujet d’inquiétude. L’expérience suédo-canadienne de décontamination radiologique effectuée récemment à Urnea, en Suède, a montré que deux méthodes courantes de décontamination de blindés légers extérieurement contaminés par le Na étaient inefficaces : la vapeur d’eau à haute pression et le jet d’eau à haute pression [26]. Cela montre clairement la nécessité d’une meilleure capacité des structures sanitaires publiques à réagir en cas de guerre radiologique ou d’attaque terroriste [27]. Le manque actuel de stratégie d’ensemble pour faire face à une menace d’utilisation terroriste d’engins de dispersion de matières radioactives (RDD) (ou « bombes sales ») souligne la nécessité d’une meilleure coordination de la capacité de réaction aux dangers chimiques, biologiques, radiologiques et nucléaires, au croisement actuel des armes classiques et des armes inédites [28].

Dans le scénario bien particulier d’une attaque radiologique, le cadre de la gestion de la guerre et du terrorisme radiologiques s’étend non seulement au-delà du domaine de la santé publique mais également de celui de la réserve des forces armies [29] [30]. La défense médicale contre la guerre radiologique reste un des aspects les plus négligés de l’enseignement médical actuel [31]. Le terrorisme radiologique et nucléaire constitue la plus grande menace de la société moderne, car la prolifération nucléaire a permis aux organisations subversives de se procurer facilement du matériel nucléaire [32].

En 2000 seulement, les États-Unis ont dépensé 10 milliards de dollars pour la lutte contre l’utilisation terroriste d’armes de destruction massive, et les dépenses ont augmenté considérablement après le 11 septembre 2001. Des études actuelles révèlent la vulnérabilité des sociétés occidentales au terrorisme nucléaire et mettent l’accent sur le fait que les organisations terroristes possédant des armes de destruction massive peuvent provoquer plus de destructions avec les engins nucléaires et radiologiques qu’avec tout autre type d’armes. La capacité des États-Unis à faire face à une attaque radiologique ou nucléaire est censée dépendre de quatre domaines d’action : l’amélioration du renseignement sur les organisations terroristes, l’amélioration de la sécurité des installations nucléaires dans l’ex- Union soviétique, la neutralisation des effets nucléaires et radiologiques et l’amélioration des capacités de réaction aux organisations clandestines déjà en possession d’armes nucléaires et radiologiques [33].

Le risque d’une attaque nucléaire et radiologique contre les États-Unis est accru par la technologie, l’accès aux matières nucléaires et radiologiques, l’instabilité économique de la Russie et le mécontentement suscité dans de nombreux pays par la politique étrangère états-unienne. Des mesures de sécurité inadéquates dans l’ancienne Union soviétique, combinées à une détermination accrue des terroristes et au caractère de plus en plus meurtrier de leurs attaques augmentent considérablement la probabilité de l’utilisation de RDD dans un proche avenir [34]. La question des effets sur l’environnement et la santé doit amener à aborder la question de la décontamination et de l’affectation de budgets visant à sauver des vies, à réduire les risques sanitaires et à préserver la culture, la biodiversité et l’intégrité des sites contaminés [35]. Les efforts dans ces domaines ont laissé à désirer dans le passé. On a notamment négligé d’indemniser de manière équitable les victimes des retombées radioactives dans l’Utah et le Nevada. Un dépistage et une indemnisation insuffisantes des victimes de cancers provoqués par l’exposition aux radiations et la controverse persistante sur l’interprétation par le gouvernement des radiations de faible niveau ont provoqué le mécontentement des populations contaminées lors des essais nucléaires [36].

Un récent rapport britannique est également suspect quant à son analyse de la mortalité et de l’incidence des cancers chez ceux qui ont participé aux essais atmosphériques d’armes nucléaires et aux programmes expérimentaux. Il contient une conclusion provocatrice : la mortalité générale chez les survivants aux essais nucléaires britanniques serait inférieure à celle de la population générale [37] .


De la comparution de Galilée devant l’Inquisition aux recherches sur l’uranium

Actuellement, la liberté de la science indépendante n’est guère différente de ce qu’elle était dans le passé. Ce que vivent les scientifi - ques aujourd’hui fait penser au procès de Galilée instruit par l’Inquisition en 1610. La controverse concernant les résultats des études du Dr Ernest Sternglass relatives aux taux de mortalité infantile et juvénile dans l’État de New York influencés par les essais nucléaires et les retombées radioactives a brisé sa carrière universitaire et scientifique. Lorsque son article classique [38] sur la mort d’enfants due aux conséquences des radiations parut en 1969 dans le Bulletin of Atomic Scientists, le rédacteur en chef de la revue lui confi a que Washington avait exercé des pressions pour qu’il ne le publie pas. L’éminent physicien Freeman Dyson écrivit dans une lettre de lecteur adressée à la même revue : « Si les chiffres avancés par Sternglass sont justes, et je crois qu’ils le sont, il y a là un bon argument contre la défense antimissile. » Sternglass considérait que la mort des enfants était due au strontium des retombées radioactives. Lorsque son estimation de près de 400 000 morts fut soumise au Dr John Gofman, directeur médical du Lawrence Livermore National Laboratory, celui-ci réévalua son rapport. Ayant corrigé certains chiffres, il conclut que même en utilisant un modèle stochastique, les directives concernant le risque par unité de radiation étaient 20 fois trop élevées pour être fiables. Il concluait également que le risque était plus important en cas de doses de radiations faibles qu’en cas de doses élevées. Il ajoutait que les décès par cancer dus aux essais nucléaires et aux retombées radioactives dépassaient 30 000 par année. Son rapport fut remis au Committee on Underground Nuclear Testing présidé par le sénateur E. Muskie. Celuici le transmit au président du Joint Committee on Atomic Energy, le sénateur C. Holifield. Ce dernier fit venir Gofman à Washington et le menaça ouvertement : « Nous les avons eus et nous vous aurons. » En 1973, victime de son intégrité, Gofman perdit son emploi dans son laboratoire. L’Atomic Energy Commission fut dissoute en 1974 [39].


Réexamen de la toxicité de l’uranium

Le risque fatal que présentent les isotopes d’uranium pour l’environnement et la santé humaine a été précisé au cours de deux siècles de recherches. Toutefois, les spécialistes de la santé sont mal formés en matière de radiotoxicité de base et de toxicologie chimique des isotopes d’uranium [40]. Les analyses récentes des effets potentiels des RDD sur la santé sont fondées essentiellement sur les données concernant les survivants japonais aux bombes atomiques, les essais nucléaires et les recherches de laboratoire. La littérature spécialisée, en particulier celle concernant les recherches de ces cinq dernières années, abonde en comptes rendus de travaux interdisciplinaires sur les effets des actinides et des isotopes d’uranium. La confirmation des cas de cancer de la thyroïde [41], de carcinome hépatocellulaire [42], de leucémie [43] et des risques que représente l’exposition aiguë ou chronique à l’uranium [44] a mis en lumière l’importance des conséquences somatiques et génétiques de la contamination par les isotopes d’uranium. Leur corrélation avec les essais atmosphériques d’armes nucléaires a été confirmée une nouvelle fois dans des rapports récents sur les taux d’actinides chez les mammifères marins du Pacifique nord, qui sont nettement associés à des années d’essais nucléaires et de retombées radioactives [45]. Le réexamen des études sur les survivants d’Hiroshima et de Nagasaki montre non seulement l’impact physique, mais aussi l’effet psychologique qu’exercent les armes atomiques sur les personnes présentes dans ces villes au moment de l’explosion : troubles psychiatriques, anxiété, somatisation de symptoms [46]. Ce réexamen indique clairement qu’il existe des effets psychologiques à long terme qu’il faut prendre en considération lors de la préparation à de futurs conflits.

Un autre rapport récent à propos des survivants de Nagasaki indique que les effets des radiations sur les survivants devront représenter un aspect essentiel de la gestion des soins médicaux lors de futurs conflits [47]. Les données actuelles sur les essais nucléaires montrent que la mortalité infantile, les naissances prématurées et les morts foetales sont associées, aux États-Unis, à l’exposition aux radiations [48]. Les conséquences pour la santé et l’environnement de la contamination radioactive ont été réévaluées sur de nombreux sites d’essais dans le monde entier. Ces études font état d’effets négatifs de la contamination radioactive sur les sites d’essais nucléaires, notamment ceux de Krasnoyarsk, en Sibérie [49], du Kazakhstan [50], des monts Altaï [51], de Semipalatinsk, au Kasakhstan [52], de la Techa, dans l’Oural [53], parmi le personnel du complexe nucléaire de Mayak [54], en République de Sakha (Yakutia) [55], sur l’île d’Amchitka, en Alaska [56], en Finlande et en Norvège [57]. Ces informations permettent d’évaluer convenablement les risques quand il s’agit de se préparer à réagir à une crise sanitaire extrême provoquée par l’usage d’armes nucléaires et radiologiques en cas de guerre ou d’attaque terroriste [58]. La connaissance actuelle de la dispersion de radionucléides [59] libérés dans la biosphère, dans le monde entier, dépasse de beaucoup le cadre de la recherche expérimentale et des soins à apporter aux victimes des radiations. Elle a des implications sur l’avenir de la planète [60] .


Recherches actuelles sur les conséquences sanitaires des armes à l’uranium

La plus importante contamination aux radionucléides a eu lieu en 1991 lors de la première guerre du Golfe. L’uranium appauvri (UA) utilisé dans des armes antichars a contaminé le territoire de l’Irak en exposant chroniquement la population et les soldats à la poussière, aux vapeurs et aux aérosols d’UA. Un petit nombre de soldats des Forces de la coalition ont été blessés par des éclats d’obus à l’UA.

L’alliage des armes à l’UA contient 99,8 % d’U238 émettant 60 % des radiations alpha, bêta et gamma de l’uranium naturel. L’UA est un métal lourd, 1,6 fois plus dense que le plomb. Il est organotrope, c’est-à-dire qu’il se fixe sur les organes cibles, tels que les tissus squelettiques où il demeure longtemps. Se dissolvant peu à peu, les isotopes d’uranium sont éliminés. On en a détecté dans l’urine d’anciens combattants de la guerre du Golfe 10 ans après qu’ils aient été absorbés par inhalation ou blessures résultant d’éclats d’obus. Des études sur leur répartition dans les tissus font état d’accumulation d’UA dans les os, les reins, le système reproducteur, le cerveau, les poumons, ce qui entraîne des effets génotoxiques, mutagènes et cancérogènes, ainsi que des altérations reproductrices et tératogènes [61].

On a détecté une contamination interne par les isotopes d’UA chez des anciens combattants britanniques, canadiens et américains de la première guerre du Golfe encore 9 ans après leur exposition à la poussière radioactive. On a également identifié des isotopes d’UA dans les poumons, le foie, les reins et les os d’un ancien combattant canadien au cours de son autopsie. Ces organes contenaient de fortes concentrations d’uranium, les ratios isotopiques révélant la présence d’UA. Des études effectuées en 1991, année de la première guerre du Golfe, à partir de comptages corps entier suggèrent la présence d’uranium dans l’organisme et l’urine d’anciens combattants contaminés [62]. Des contraintes logistiques et la controverse sur l’UA ont retardé les études approfondies jusqu’en 1998, date où les vétérans de la première guerre du Golfe furent soumis à un dépistage par activation neutronique. Bien que cette méthode soit vouée à la détection de petites quantités d’uranium, son usage précoce a permis de constater une contamination importante. Ces études ont été présentées au Congrès international de la Radiation Research Society qui a eu lieu à Dublin en 1998.

Les recherches expérimentales se sont poursuivies grâce au recours à la méthode la plus moderne, la spectrographie de masse, à la Memorial University of Newfoundland (St John’s, Terre-Neuve, Canada) et plus tard au British Geological Survey (Nottingham, Angleterre). Les deux séries d’études ont confirmé des concentrations et des ratios isotopiques d’UA plus élevés dans 67 % des échantillons. La première présentation, basée sur les données de la spectrométrie de masse, fut faite au Congrès européen de médecine nucléaire qui a eu lieu à Paris en 2000. Les recherches ont continuellement progressé, depuis la détection et la mesure de l’UA dans les organismes des anciens combattants jusqu’à l’évaluation actuelle des effets cliniques de la contamination par l’uranium chez des vétérans de la première guerre du Golfe, des civils irakiens, des soldats et des civils des Balkans, des civils afghans et, plus récemment, de la bande de Gaza et de Cisjordanie.

L’UA, déchet faiblement radioactif de l’enrichissement isotopique de l’uranium naturel, a été identifié comme un contaminant incontestable présent dans les zones de conflit militaire mentionnées. Son rôle étiologique dans la genèse du syndrome de la guerre du Golfe a fait l’objet de controverses continues depuis cette guerre. Les preuves bien documentées de la toxicité aussi bien chimique que radiologique des isotopes d’uranium ont fait l’objet récemment d’un grand nombre de recherches et de rapports scientifiques sur leurs effets organotoxiques, mutagènes, tératogènes et cancérogènes [63]. Des études récentes de biodistribution chez des animaux de laboratoire dans le corps desquels on avait implanté des boulettes d’UA ont confirmé les résultats d’études de biodistribution antérieures selon lesquelles les reins et les os sont des cibles visées par les isotopes d’uranium, de même que d’autres sites des systèmes lymphatique, respiratoire, reproducteur et nerveux central [64].

Depuis presque deux siècles, on connaît les effets toxiques de l’uranium en matière de chimiotoxicité rénale qui ont été confirmés par des études récentes sur des cellules rénales in vitro. Les études concernant les effets de l’UA sur le système nerveux central ont confirmé sa rétention dans des zones de l’hippocampe. De plus, on a observé des modifi cations électro-physiologiques du système nerveux de rats dans lesquels ont avait implanté des boulettes d’UA [65]. Des effets mutagènes potentiels de la contamination interne par l’UA ont récemment été suggérés par la corrélation temporaire entre l’uranium implanté et l’expression oncogène des tissues [66], ainsi que par une instabilité génomique [67]. La transformation néoplastique des ostéoblastes humains dans une culture cellulaire contenant de l’UA confirme le risque de cancer provoqué par l’UA [68]. Cela correspond à ce que l’on sait des risques cancérogènes que fait courir l’UA aux cellules endobronchiales, de même qu’aux évaluations quantitatives récentes – déterminées par la charge pulmonaire lors de l’inhalation des aerosols [69] – des risques cancérogènes subis par les poumons des anciens combattants de la première guerre du Golfe. Le risque était évalué en appliquant la méthode de Battelle de simulation de liquide pulmonaire interstitiel et l’analyse de l’échantillon d’urine de 24 heures d’un vétéran contenant 0,150 mg d’UA 9 ans après l’exposition par inhalation [70]. Il s’est avéré que la charge pulmonaire correspondait à 1,54 mg d’UA au moment de l’exposition, avec une dose de radiations alpha de 4,4 millisieverts (mSv) pendant la première année et de 22,2 mSv 10 ans après l’exposition. Ces valeurs dépassent les doses d’inhalation maximales tolérables d’UA et justifient de nouvelles recherches sur la possibilité de modifi cations malignes des poumons.

Ces données humaines sont très importantes lorsqu’on les envisage à la lumière des preuves récentes des effets mutagènes des particules alpha sur les cellules souches et les instabilités chromosomiques des cellules de la moelle osseuse humaine dues aux radiations alpha [71] [72]. L’instabilité chromosomique due aux particules alpha explique clairement les effets mutagènes observés chez les vétérans britanniques de la guerre du Golfe positifs à l’UA, comme l’a montré récemment l’étude des lymphocytes périphériques présentée à l’université de Brême [73]. Ce résultat correspond à celui d’études antérieures sur les instabilités chromosomiques provoquées par une faible dose de particules alpha comparées aux effets identiques de l’irradiation aux photons [74]. Les études sur les effets des particules alpha et les progrès récents de l’irradiation par microfaisceau des cellules de mammifères permettent d’évaluer précisément le parcours d’une particule unique à travers le noyau cellulaire et de mesurer son effet cancérogène [75].

Bien que les mécanismes de la mutagénité et des effets cancérogènes des particules alpha inhalées restent obscurs, on a observé que de faibles doses de particules alpha peuvent provoquer des modifications des chromatid

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(castellano: 
Planes de atentados terroristas en Alemania: ¿amenaza real o imaginaria?
El cuento de «Fritz, el terrorista» - por Jürgen Elsässer



Les projets d’attentats déjoués en Allemagne : menace réelle ou imaginaire ?


« Fritz le terroriste », un conte à dormir debout


par Jürgen Elsässer*


Le 5 septembre 2007, les autorités de Berlin ont annoncé l’arrestation de trois islamistes, deux Allemands et un Turc, accusés de préparer un attentat de grande ampleur contre des intérêts états-uniens en République fédérale. Cette nouvelle a suscité une hystérie médiatique et une généralisation du soupçon : de bons Allemands, peut-être des voisins, peuvent se transformer en dangereux terroristes. Cependant, observe Jürgen Elsässer, les éléments connus de cette affaire permettent de conclure que les suspects ne représentaient aucun danger réel et que leurs agissements sont un grossier montage destiné à être repéré et interrompu.

24 SEPTEMBRE 2007

Depuis Berlin (Allemagne)


Juste au moment de la commémoration du 11-Septembre, des terroristes islamiques voulaient commettre un « attentat atroce » avec « un nombre très élevé de morts » (Spiegel Online) qui aurait « fait surgir en Allemagne une dimension de la terreur jamais connue auparavant » (Frankfurter Allgemeine Zeitung – FAZ) et qui a pu être évité seulement « à la dernière minute » (Lausitzer Rundschau) grâce à l’action résolue des forces de sécurité. Il y a un an, de telles prophéties avaient déjà eu lieu autour de la prétendue valise à la bombe découverte à la gare principale de Cologne. Pourtant, depuis, la situation s’est aggravée comme le résume l’éditorialiste du FAZ, Berthold Kohler : « Les bombes deviennent plus grandes et leurs poseurs apparemment plus professionnels. C’est une réalité à laquelle on doit faire face également dans notre pays. Elle est depuis la récente opération policière si évidente que Schäuble [1] a pu se passer d’ajouter son éternelle revendication pour une perquisition online. »

Cependant, pour le malheur du ministre de l’Intérieur et de ses ventriloques de Frankfort, l’attentat a prouvé le contraire : les prétendus poseurs de bombes font preuve de plus en plus d’amateurisme et d’idiotie. Fritz G., le prétendu meneur du trio, appréhendé le 11 septembre à Oberschledorn dans le Sauerland, rappelle involontairement le personnage principal de la comédie de Woody Allen Prends l’oseille et tire-toi.

Dans Wikipedia, le dictionnaire sur internet, il est écrit sur ce malchanceux personnage de cinéma : « Né dans un environnement pauvre, il a dû s’exposer très tôt déjà aux difficultés rencontrées dans un milieu défavorisé. On lui casse toujours ses lunettes. Plus tard, on lui détruira également son cher violoncelle. C’est pourquoi, il décide de prendre ce qu’il veut. Certes, il devient très vite évident, que Virgil est plein d’énergie criminelle mais que la réalisation de ses plans hardis échoue toujours à cause de sa maladresse. Après s’être évadé plusieurs fois de prison et avoir essayé de s’améliorer, Virgil est condamné finalement à 800 ans de détention, mais il espère, pour son bon comportement, n’en devoir faire que la moitié. »


0,7 tonnes d’un seul coup

« Le terroriste Fritz et ses dangereux complices » —tel est le titre de Die Welt du 8 septembre— ont en tout cas fait preuve d’une semblable maladresse. Bien qu’ils aient été prétendument instruits dans un camp de formation dans le Nord du Pakistan pour répandre la terreur, ils voulaient précisément mixer leurs bombes avec un produit chimique qui n’est absolument pas approprié pour cela : le péroxyde d’hydrogène est jusqu’à aujourd’hui plutôt connu comme substance de base pour la fabrication de produits décolorants pour les cheveux des blondes artificielles de mauvaise réputation. Le Frankfurter Allgemeine Zeitung forgea déjà l’expression de « bombes au péroxyde d’hydrogène » ce qui est complètement insensé, mais paraît très dangereux du fait de la résonance ressemblant au terme : « bombe à l’hydrogène ». En se référant aux attentats de la capitale espagnole du 11 mars 2004, qui ont fait près de 200 morts, on sait que le trio aurait déjà préparé « une quantité vingt fois plus grande que l’explosif utilisé à Madrid ».

Ce qui est prouvé, c’est seulement que le groupe a acheté douze tonneaux avec en tout 730 kilogrammes de péroxyde d’hydrogène et les a stockés provisoirement dans une maison près de Freudenstadt dans la Forêt noire. Cependant, cette substance en elle-même n’est pas dangereuse. Cela change seulement lorsque le produit chimique réagit avec de l’acétone et d’autres acides ; alors, il en résulte du triacétone tripéroxyde (TATP) ou l’apex. Le mélange est toutefois tout à fait inutilisable pour la construction de bombes car il explose trop facilement et de manière incontrôlée. Le Frankfurter Allgemeine Zeitung doit même avouer que « l’apex est très sensible en particulier à un coup, au frottement et à la chaleur. Si l’explosif est conservé dans un récipient avec une fermeture à vis, le frottement lors de l’ouverture peut déjà provoquer l’explosion. L’important c’est que le mélange soit au moment même de la production suffisamment froid, sinon il explose. » Comment les auteurs auraient-ils pu sortir leurs bombes à l’apex du garage de leur maison de vacances, et encore plus vouloir les transporter à leur prétendue destination dans un établissement états-unien quelconque sans qu’elles leur explosent à la figure ?

D’ailleurs, l’apex n’a rien à voir avec l’attentat à la bombe de Madrid —là, on sait que de la dynamite issue des mines d’Asturie a été utilisée. En ce qui concerne les attaques sur le réseau du tramway de Londres le 7 juillet 2005, le TATP est toujours désigné par les médias comme l’explosif utilisé, mais les rapports officiels de la Chambre des Communes britannique et des services de renseignement se taisent là-dessus.

Bien qu’aucun attentat dans les métropoles occidentales n’ait été jusqu’à maintenant commis au moyen du péroxyde d’hydrogène, cette substance surgit toujours dans les histoires de chasseurs de terroristes : comme il appartient aux produits chimiques en usage dans le commerce, on provoque facilement la crainte du « terroriste d’à côté » qui peut se procurer, dans une droguerie, tout ce dont il a besoin pour commettre un massacre.

Malgré l’effet du péroxyde d’hydrogène, inoffensif dans le meilleur des cas et même contreproductif dans le cas d’un mélange, le terroriste Fritz et ses compagnons se sont procurés sucessivement plus de 0,7 tonnes du produit chimique chez un grand distributeur d’Hanovre et les ont charriées lors de plusieurs transports à travers la République vers leur cachette dans la Forêt noire. Comme s’ils voulaient mettre les enquêteurs sur la bonne piste...


Fritz fait ce qu’il veut

Même en ce qui concerne d’autres éléments, Fritz G. en particulier, le meneur présumé du trio, n’oublia rien afin d’attirer l’attention sur lui et sur son plan. Bien qu’on ait enquêté sur lui déjà en 2005 pour formation d’une association criminelle et incitation populaire et qu’on l’ait arrêté pour une courte durée, il ne sombra pas dans la clandestinité, ne changea pas son apparence, ne se procura pas d’autre identité.

Au plus tard au printemps 2007, il aurait dû remarquer que le Service de la protection de l’État était de nouveau derrière lui : son appartement à Ulm avait été perquisitionné. Le Frankfurter Allgemeine Zeitung s’étonne du fait « que Fritz G. et ses complices présumés ne se soient pas laissés effrayer par la perquisition de leur maison, qu’au contraire, ils commencèrent seulement après à se procurer, jerrycan après jerrycan des substances explosives, à louer des maisons et des garages, à se pourvoir de détonateurs militaires et même à insulter les enquêteurs soi-disant par emails (interceptés). Cela soulève des questions sérieuses. »

Début mai est apparu un rapport alarmant dans le magazine Focus. « Le groupe y était décrit de manière assez détaillée, on rendait compte de ses relations au Pakistan et en Ousbékistan et de fait que les hommes auraient déjà tourné des vidéos d’adieu à la façon des auteurs d’attentats suicide. Pour les services de sécurité, ce rapport de Focus était une petite catastrophe. Ils s’attendaient à ce que le groupe tombe dans la clandestinité... ».

Toutefois, le contraire s’est produit encore une fois : Fritz et Cie ont continué en toute tranquillité. Finalement, le trio choisit précisément Oberschledorn, un village idyllique du Sauerland, pour fabriquer leurs bombes. Sur cet endroit, la Frankfurter Allgemeine Zeitung écrit que « dans le village, où vivent environ 900 personnes, tout le monde se connaît ainsi que les vacanciers ». Dans cet environnement, au milieu des estivants et des excursionnistes, ces hommes obscurs certains aux cheveux longs et barbus, d’autres chauves, devaient attirer l’attention comme les Rapetou lors d’une fête d’anniversaire d’enfants chez Donald Duck. Pourquoi n’ont-ils pas loué un appartement dans un immeuble anonyme avec un garage souterrain et accessible par l’autoroute, comme l’ont fait les membres de la RAF [Fraction armée rouge] en leur temps ?

L’histoire précédant directement la saisie policière du 4 septembre est également très informative : le 3 septembre, tous les trois circulaient en voiture en plein jour, leurs feux de distance allumés, et c’est pourquoi ils ont été arrêtés lors d’un contrôle routier. Bien qu’un policier de patrouille ait dit imprudemment à haute voix à son collègue lors du contrôle que les passagers du véhicule sont inscrits « sur la liste du BKA [Office fédéral de la police criminelle] », ils ont pu continuer leur route.

L’exemple le plus net du comportement des prétendus poursuivants et poursuivis a été révélé finalement par Spiegel Online, malheureusement sans indiquer le moment exact de la situation. En tout cas, un jour, les trois se seraient fâchés contre les policiers qui les filaient et « l’un des islamistes [...] serait descendu à un feu rouge et aurait éventré les pneus de la voiture du service de renseignement intérieur qui les poursuivait. »

Beaucoup de points sur l’histoire du terroriste Fritz et de ses deux complices seraient encore à éclaircir. Mais une chose est sûre : à la manière dont ils s’y sont pris, ils n’auraient jamais pu commettre un attentat de grande ampleur.

Trois théories mènent à la solution de l’énigme. Soit la troupe était trop idiote pour employer son énergie criminelle vers le but visé —comme cela est montré dans le film de Woody Allen. Soit —c’est ce que suppose le journaliste de la FAZ, Peter Carstens— ils voulaient, en se faisant remarquer dans leurs agissements, détourner l’attention des services de sécurité d’autres cellules terroristes qui entre-temps ont pu continuer à mener sans gêne leurs propres activités. Soit les trois se sentaient préservés d’une arrestation parce qu’ils accomplissaient un travail d’initiés et croyaient profiter d’une protection de haut rang.

Au vu de l’état actuel des informations, on ne devrait exclure aucune de ces possibilités. Peut-être qu’elles sont vraies toutes trois : trois types particulièrement fous ont été embauchés par un groupe du Service de renseignement pour tenir en haleine le reste des services de sécurité et les détourner des véritables terroristes dangereux. D’une manière perverse, la déclaration de Wolfgang Schäuble, comme quoi la fin de l’alerte ne peut être donnée, serait donc correcte.



Journaliste allemand. Dernier ouvrage publié Comment le Djihad est arrivé en Europe, préface de Jean-Pierre Chevènement. Xenia, 2005.




Cette affaire n’est pas sans rappeler une autre opération de propagande, celle des « explosifs liquides » lancée le 10 août 2006 à Londres : 

 « Complot terroriste au Royaume-Uni : que se passe-t-il vraiment ? », par Craig Murray, Réseau Voltaire, 18 août 2006 
 « Londres : terrorisme fictif, guerre réelle », par Jürgen Elsässer, Réseau Voltaire, 17 août 2006 
 « Fabriquez vous-mêmes votre bombe au TATP », par Thomas C. Greene, Réseau Voltaire,21 août 2006 
 « L’alerte terroriste inquiète les Britanniques, sauf Tony Blair », Réseau Voltaire, 14 août 2006. 

 « Les certitudes de Nicolas Sarkozy : “Un faisceau d’éléments permet de penser que la nébuleuse Al Qaïda n’est pas très éloignée de ce qui aurait pu se passer” », Réseau Voltaire, 17 août 2006.


[1] Wolfgang Schaüble est ministre de l’Intérieur de la République fédérale allemande.



(diffondiamo una importante notizia, ormai risalente ad una settimana fa, per evidenziare come essa sia stata coperta da censura sui grandi media e sui telegiornali del nostro paese)


"Esercitazione di routine". E si rischia la strage

Un aereo militare partito dalla base americana di Aviano si è schiantato a terra martedì sera, a pochi metri da un centro abitato. Subito imposto il segreto militare, ma secondo indiscrezioni l'incidente sarebbe stato causato da un'avaria al motore. Cittadini e sindaci scrivono al prefetto: «A rischio la nostra sicurezza»

Orsola Casagrande
Aviano

A due giorni dalla conferma da parte del Natural Resources Defence Council di Washington che nella base Usaf di Aviano sono dislocate 50 bombe termonucleari martedì sera si è sfiorata la tragedia in Val di Zoldo (provincia di Belluno) quando un aereo militare F16 americano decollato proprio dalla base di Aviano è precipitato a poca distanza dal centro abitato. Il pilota, stando a quanto dichiarato dalle autorità militari statunitensi, sarebbe riuscito ad evitare le case e quindi si sarebbe lanciato con il paracadute mentre l'F16 precipitava. In effetti il pilota è stato recuperato qualche chilometro più in basso da un automobilista che l'ha soccorso e portato alla caserma dei carabinieri. Al soccorritore sarebbe stato intimato di non dire nulla dell'incidente, coperto da segreto militare. Nel frattempo la zona in cui si trovano i resti dell'aereo è stata subito blindata. Erano le sei e mezza di martedì sera quando un forte boato ha spaventato gli abitanti della zona. Un terremoto, hanno pensato quelli che si trovavano in casa, ma tantissime persone hanno visto l'aereo precipitare. Nella zona a quell'ora stava piovendo ma ieri dalle indiscrezioni si è appreso che l'incidente sarebbe stato causato da un'avaria al motore dell'F16. I militari hanno assicurato che a bordo dell'aereo, che stava effettuando una «esercitazione di routine», non si trovavano armi. Sulle prime le autorità militari statunitensi hanno dichiarato che l'aereo era precipitato in una zona disabitata. Ma le testimonianze degli abitanti contrastano e fanno crollare la versione Usa. 
Un ragazzo ha raccontato alle telecamere del tg3 regionale di essere uscito con i cani e di aver visto l'aereo sbucare all'improvviso. «E' passato a un metro dal tetto di casa. Ho pensato che sarebbe precipitato e dopo qualche secondo lo schianto e il boato». Immediate le reazioni di cittadini e amministratori del Friuli e del Veneto. Decine di consiglieri, sindaci, associazioni, sindacati, esponenti della sinistra radicale hanno scritto al prefetto di Pordenone per esprimere la loro preoccupazione, ma anche per chiedere delucidazioni in merito all'incidente. «Noi cittadini che da tanti anni viviamo vicino alla base Usaf di Aviano - scrivono nella lettera i firmatari - con questo ennesimo incidente che fa parte di una lunga lista di altri incidenti imputabili alla presenza di questa base di guerra nel nostro territorio (jet caduti, pezzi persi per strada, bombe e serbatoi in orti e giardini) oltre alla presenza delle cinquanta testate nucleari, senza dimenticare la tragedia del Cermis, esprimiamo una forte e sentita preoccupazione per la sicurezza di tutti i cittadini della provincia di Pordenone». Gli amministratori quindi chiedono spiegazioni sulla richiesta «da parte dei carabinieri italiani e dei militari americani di far firmare un documento all'uomo che ha incontrato il pilota statunitense sulla strada, perché non riveli nulla sull'accaduto». Mentre cercano un incontro con il prefetto i firmatari della lettera chiedono anche al governo Prodi di fare «un passo indietro sulla costruzione di nuova basi di guerra come a Vicenza e anzi si impegni a ridurre quelle attualmente presenti nel territorio italiano». E da Vicenza il presidio permanente No Dal Molin denuncia «l'ennesimo episodio che mette a nudo la pericolosità delle installazioni militari». Dal presidio ricordano anche il misterioso incidente avvenuto nel '92 all'interno dei bunker di Site Pluto.

Il Manifesto 20 sett 2007 pag. 9

---

Lavoriamo uniti perché gli F16 U.S.A. non si alzino più in volo sui cieli di Aviano.

 

21.09.2007 - Comunicato della Rete nazionale Disarmiamoli!

 

Un F16 decollato dalla base di Aviano, precipitando, ha sfiorato le abitazioni di Fusine e Soramaè, piccole frazioni di Zoldo Alto, in provincia di Belluno, per poi disintegrarsi, sotto gli occhi sbalorditi dei residenti, in un bosco vicino.

 

Ancora una volta si è sfiorata una strage, come quella del Cermis che il 3 febbraio 1998 costò la vita a 20 ignari sciatori. Ancora una volta i nostri cieli violati da un sistema bellico infernale, in procinto di scatenare nuove e devastanti guerre contro l’Iran, la Siria, il Libano.

 

Il movimento italiano contro le basi militari USA/ NATO ha intrapreso in questi anni un percorso di coordinamento nazionale con l’obiettivo di rendere più efficace la sua azione. 
La lotta di Vicenza contro la base al Dal Molin, quella di Novara contro la costruzione degli F35, la resistenza dei tanti comitati presenti sui territori occupati dagli insediamenti militari sono il tessuto connettivo di questo coordinamento, intersecatosi naturalmente con il più generale movimento NoWar, espressosi in forme chiare ed indipendenti lo scorso 9 giugno a Roma contro Bush e le politiche belliciste del governo Prodi.

 

Da questo processo di unificazione sono emerse in questi mesi proposte di mobilitazione costante sui territori, in grado di sostanziare una linea condivisa di resistenza attiva alle basi della guerra.
La Legge di iniziativa popolare su trattati internazionali, basi e servitù militari presentata in Corte di Cassazione il 19 settembre va in questa direzione, indicando un percorso concreto di consultazione di massa su questa oppressiva e pericolosissima presenza, che devasta ampie fette del nostro territorio nazionale.

 

Chiamiamo tutto il movimento contro la guerra italiano a far proprio questo percorso di consultazione, costruendo in ogni città Comitati Promotori che scendano in piazza, tra la gente, a raccogliere le 50.000 firme necessarie per imporre di nuovo nell’agenda politica nazionale la questione dirimente dell’allontanamento delle basi USA/NATO dai nostri territori.

 

La Rete nazionale Disarmiamoli!

 

www.disarmiamoli.org  info@...  3381028120
 


(La politica occidentale sul Kosovo, preannunciando l'ennesimo riconoscimento del separatismo etnico secondo la logica del "divide et impera"', sta causando nervosismo nel nord e nel sud del Caucaso, dove crescono innumerevoli e contrastanti le rivendicazioni nazionalitarie...)


West's Kosovo Policy To Lead To Wars In Caucasus, too


1) Russia, U.S. clash at U.N. over Georgian region 
By Patrick Worsnip - Reuters - April 10, 2007

2) Granting Kosovo Independence to Become Precedent for Separatism: Russian Speaker
K. Ramazanova - Trend News Agency (Azerbaijan) - July 20, 2007

3) Having suffered a defeat in resolution of Kosovo Conflict, 
UNO got down to other conflicts of post-Soviet area 
PanArmenian.net - July 28, 2007

4) Armenian President does not rule out new war with Azerbaijan 
Azeri Press Agency - July 12, 2007

5) The Coming Independence of Kosovo and the Steps Russia Should Take
Andrei Areshev - Strategic Cultural Foundation (Russia) - September 24, 2007



=== 1 ===

http://www.alertnet.org/thenews/newsdesk/N10445886.htm

Reuters - April 10, 2007

Russia, U.S. clash at U.N. over Georgian region

By Patrick Worsnip


UNITED NATIONS - Russia and the United States clashed
sharply over Georgia's breakaway region of Abkhazia on
Tuesday as the United Nations Security Council debated
renewing a U.N. mission in the Caucasus state.

Russia's U.N. ambassador Vitaly Churkin told reporters
the United States had made a "serious diplomatic and
political mistake" in refusing to allow Abkhazia's
"foreign minister" to come to New York.

U.S. officials denied they had turned down a formal
visa request by the minister, and U.S. ambassador
Alejandro Wolff accused Churkin of a "mischievous
effort" to create "false analogies" between Abkhazia
and Serbia's troubled Kosovo region.

Abkhazia, on the Black Sea, broke away from Georgia in
1993 after the Soviet Union collapsed, when
separatists, backed by mercenaries and arms from
Russia's northern Caucasus region, drove out Tbilisi's
troops.

Moscow, which has frayed relations with Georgia, props
up the region by paying pensions, issuing Russian
passports and allowing cross-border traffic.

A U.N. military and police observer mission in
Georgia, currently 142-strong, has monitored the
situation since 1993. Its current six-month mandate
will expire on Friday.

Abkhazia is not officially recognized by any country
or international body, but Churkin took issue with
Washington's decision not to let the Abkhaz minister,
Sergei Shamba, come to the United States to address
the Security Council.

"This is clearly a fact of violating the spirit of the
obligation of the host country," Churkin said. "We
think it was a rather serious diplomatic and political
mistake." The Security Council, he said, should listen
to both sides.

"As I mentioned in the Council meeting today, can you
imagine what would be the situation ... if in the case
of the Kosovo conflict, all those years the
international community were listening only to the
Serb side?"

"MISCHIEVOUS EFFORT"

Kosovo has been under U.N. administration since 1999,
when NATO bombing drove out Serb forces. A U.N. plan,
backed by the West but opposed by Russia's ally
Serbia, proposes independence.

In a statement distributed by Russian officials,
Shamba himself attacked the Security Council for
failing to consult both sides, "which makes us think
that the UN has not become an equidistant party."

But Wolff told reporters that of a six-nation group of
"friends of Georgia" - Russia, the United States,
Britain, France, Germany and Slovakia - only Russia
thought the time was ripe for Shamba to attend the
United Nations.

"We've heard ambassador Churkin today, as he has done
previously, raise false analogies with Kosovo, in a
mischievous effort to complicate that discussion," he
said.

U.S. embassy spokesman Richard Grenell contended the
United States had not turned down a visa request by
Shamba. Diplomats said Shamba had made no official
visa application after receiving word that he would
not be welcome.

The Security Council adjourned without a decision on
the U.N. mission, known as UNOMIG. A report on
Abkhazia earlier this month by Secretary-General Ban
Ki-moon said a helicopter attack on March 11 on
Georgian-controlled territory bordering Abkhazia had
been a "major setback" to peace efforts.

Russia's air force denied Georgian charges that the
helicopters were Russian. Churkin said Moscow believed
Georgia's armed presence in the area involved, the
upper Kodori valley, "exceeds the limits of the
reasonable."

Georgian Prime Minister Zurab Noghaideli, appearing
later at an exhibit of photographs of the
Georgian-Abkhazian conflict, said his country had only
police in the area, which he said was its right. 


=== 2 ===

http://news.trendaz.com/cgi-bin/readnews2.pl?newsId=960129&lang=EN

Trend News Agency (Azerbaijan) - July 20, 2007

Granting Kosovo Independence to Become Precedent for Separatism: Russian Speaker

K. Ramazanova


Azerbaijan, Baku - The Head of the Russian State Duma
believes that the current variant of the draft
resolution, envisaging granting Kosovo independence,
can be a precedent for separatist regimes in many
countries worldwide.

”The draft resolution on the future status of Kosovo
might be a precedent and light a fuse of separatism in
many countries worldwide, including Abkhazia,
Nagorno-Karabakh, Armenia, Azerbaijan, Moldova, Spain,
the UK and many African countries,” Boris Gryzlov, the
chairman of the State Duma, declared during
discussions regarding Montenegro.

He announced that Russia will use its right of veto
against the resolution, which is not supported by
Belgrade and Pristina.

Earlier the U.N. Secretary-General Ban Ki-moon stated
that granting Kosovo independence cannot be a
precedent for separatist movements in other countries,
including Azerbaijan and Georgia.
...


=== 3 ===

http://www.panarmenian.net/details/eng/?nid=787

PanArmenian.net - July 28, 2007

Having suffered a defeat in resolution of Kosovo
Conflict, UNO got down to other conflicts of
post-Soviet area

[Synopsis: The West exploits the UN to
'internationalize' local disputes when it's to its
advantage to do so, and arrogantly acts outside the UN
when that is advantangeous. Planned actions in
Abkhazia, Nagorno-Karabakh. South Ossetia,
Transdniester and later Kaliningrad, the Kurile
Islands, etc. are examples of the first. The NATO
states are now pressed to 'resolve' the above issues
before formalizing their recognition of Kosovo
secession for fear of establishing a precedent.]


If the Security Council takes any decision, the
conflict zones [in the former Soviet Union] will by
all means have “blue helmets” arriving there, which
will have a most negative impact on the situation of
the region; the very Kosovo is the most evident proof
of the above-mentioned fact.

-[E]verything is still ahead both for the world
community and UNO, which managed to prove in a short
time that it is just a political tool in the hands of
great powers.

Having suffered a defeat in resolution of the Kosovo
conflict, UNO [the UN] decided to get down to other
conflicts, including those which exist in the
post-Soviet area.

Presently the UN Security Council has the situation of
the Georgian-Abkhazian conflict zone under its
consideration.

As it is stated in the report on the state of affairs
in the region, which was handed in to the Security
Council by the UN Secretary-General Ban Ki-moon,
Abkhazia and Georgia “Failed to justify the hopes of
resuming a dialogue. This brought no stability in the
situation of the confrontation zone.”

In the opinion of Ban Ki-moon, because of the absence
of direct dialogue between Tbilisi and Sokhumi
[Abkhazia] there is “distrust and suspicion which may
make the situation even much tenser.”

The Resolution adopted unanimously by the Security
Council called on both parties to resume the dialogue
and fully keep to the agreement about a ceasefire,
force-free process and returning the refugees reached
earlier. The Secretary General mentioned with regret
that the parties interpret this document differently.

Meanwhile it is well known in UNO that in the conflict
zone there is the Conciliatory Commission made up of
representatives from RF [Russian Federation], Georgia
and Abkhazia, which also seeks a conflict resolution.

However, no commission or no any other international
organization may help the problem which has existed
for 15 years already.

It is natural that Georgia, as well as GUAM countries
in general (Georgia, Ukraine, Azerbaijan, and Moldova)
would love to have the resolution of conflicts of
their territory reach the UN, to once and for all
“bury” the last hope that they will ever be regulated.

This refers to both Transnistria and Nagorno-Karabakh.

In this regard it should be reminded that two
questions having direct connection with the Karabakh
conflict have been put on the agenda of the 61st
Session of the UN General Assembly.

One of the questions was proposed by Azerbaijan, the
second one - by [all the] GUAM countries.

However neither of them has yet been discussed at the
61st Session, and according to the General Assembly
Order they will be discussed at the next session.

“An issue is included in the agenda if there is a
corresponding decision made by the General Assembly,”
said the acting press-secretary of RA Ministry of
Foreign Affairs Vladimir Karapetyan.

According to him, Azerbaijan's wish to lead the issue
of the Nagorno-Karabakh conflict regulation out of the
framework of the present negotiations has a negative
impact on the whole process.

“The given step speaks of the absence of political
will in Azerbaijan for positive regulation of the
conflict,” he mentioned in his comment on Baku's will
of putting the issue of Karabakh conflict regulation
on the agenda of UN General Assembly's Session.

Georgia and Azerbaijan appeal to UN, being well aware
of the fact that if the Security Council takes any
decision, the conflict zone will by all means have
“blue helmets” arriving there, which will have a most
negative impact on the situation of the region; the
very Kosovo is the most evident proof of the above
mentioned fact.
....
On the whole according to the OSCE and Conciliatory
Commission statements no progress is registered in the
process of conflict regulation.
....
[T]o what extent this [Kosovo's] independence will
become the key for regulation of the conflicts in CIS
is not clear.

In any case a 15-20 year-period is not long for the
resolution of such conflicts.

The Arab- sraeli conflict began in 1948 and exists up
to the present in spite of the declaration of
independence by Palestine.

So everything is still ahead both for the world
community and UNO, which managed to prove in a short
time that it is just a political tool in the hands of
great powers.


=== 4 ===

http://en.apa.az/news.php?id=30517

Azeri Press Agency - July 12, 2007

Armenian President does not rule out new war with Azerbaijan


The cause of unsuccessful negotiations on the
settlement of the Nagorno Karabakh conflict is the
fact that Azerbaijan is unwilling to accept reality
and mistakenly thinks that the opposite process is
possible, whereas it is senseless to turn back the
wheel of history.

"The people who gained independence, will not refuse
from that,” Armenian President Robert Kocharian stated
in an interview to SPIEGEL ONLINE.

Drawing a parallel between Kosovo and the Nagorno
Karabakh conflicts he said, “We do not want to [make]
analogies, but undoubtedly the Karabakh people have
the same right to independence as do the Albanians of
Kosovo.

"Moreover, they protected their right alone without
interference by the international community. As to the
assistance from Armenia, Armenian people fought during
the war. Do you really think that Albania has not
provided assistance to the Albanians of Kosovo?

"There are a lot of correlations here and I see
Armenia and Karabakh’s future as an asymmetric
confederation,” Kocharian said.

He did not rule out a new war with Azerbaijan.

“Though I doubt that Azerbaijan’s military budget is
bigger than our state budget, I would warn against
judging about the correlation of forces from both
sides only by figures.

"You must take into account the fact that the soldier
who defends his homeland has another motivation than
the one who acts on a foreign territory.

"We do not have any intention to launch military
operations. But in case of a prepared aggression we
will make decisions, to which we will be obliged by
the military situation of the time and which will meet
our security interests.

"Our offers on the settlement of the conflict are
connected with the recognition of the republic and
security guarantees. They suppose the presence of
peacekeepers. It must be an international peacekeeping
contingent,” Armenian President underscored. 


=== 5 ===

http://en.fondsk.ru/article.php?id=974

Strategic Cultural Foundation (Russia) - September 24, 2007

The Coming Independence of Kosovo and the Steps Russia Should Take

Andrei Areshev


The negotiations on the future status of Kosovo
continue, but there seems to be no hope to break the
stalemate to which the politics of the West have led
to in the Balkans. 

Local elections in Kosovo are scheduled for November
17, and the Albanian leaders are open about their
intention to declare independence unilaterally in the
aftermath of the event, by December 10, 2007. 

Following the talks in London with the representatives
of the troika of envoys, Kosovo "prime minister" Agim
Ceku said he made it clear that the Kosovo Albanians
had won independence, and that the latter was not what
they demanded, but actually a starting point. 

At the same time, even the Western media describe the
situation in the province as one of total misery. 

Unemployment among the local population is at the
level of 40% to 50%, making people turn to subsistence
agriculture or smuggling to survive (1). 

Certainly, neither official Belgrade nor the Serb
people will agree to the forming of a gangster enclave
in the historically important Serbian region.

Besides, such an enclave is likely to create problems
for the south of Serbia, Montenegro, and Macedonia. 

Nor is the Serbian leadership going to accept the
partition of Kosovo – Belgrade insists that a broad
autonomy of the province within Serbia as prescribed
by the UN Security Council Resolution 1244 is the only
option. 

The quagmire makes EU authorities initiate intense
activity, though there are no indications that they
might yield any results whatsoever. 

More consultations will possibly take place during the
session of the UN General Assembly, but it is hard to
believe that they will be fruitful. 

A unilateral recognition of Kosovo will irreversibly
undermine the authority of international organizations
such as the UN Security Council - it will transpire
that the resolutions of the latter respectable
institution serve as distracting maneuvers, and that
nobody planned to comply with them from the start. 

In this context, the serious question is what will be
Moscow's position if Kosovo declares independence
unilaterally and is recognized by a number of
countries? 

The answer is that the only logical step for Russia
would be a full recognition of the independence of
Abkhazia and South Ossetia. Premises for this move are
available. This would be exactly what Russia can and
must do from the standpoint of its own national
interests. 

For a long time, the Russian leadership has been
overly cautious about the option of recognizing
Abkhazia and South Ossetia and ignored the political
and legal arguments made in favor of the step. 

This approach is explained both by the chaos of the
Russian foreign politics of the 1990es that in some
aspects lingers on, and by the attempts to reach a
compromise with Georgia and the US (2). 

It is already clear, however, that the US understands
compromise solely as the readiness of others to agree.
For example, by the time of the next NATO Summit in
Bucharest in 2008, Georgia will be ready to implement
its plan of joining the bloc. 

Its full integration into NATO will thus become a
matter of the not-so-distant future. 

The de facto failure of the talks on the joint use of
the Gabala radar in Azerbaijan is another illustration
of the tendency. 

It is questionable whether the US visit to Gabala,
with its predictable outcome, was worth the
consequences for the relations between Russia and Iran
and for Russia's standing in the Muslim world. If we
really needed to hear another "no" from the US, we got
what we wanted. 

Russian foreign politics can be serious only in the
case that they are guided by the country's national
interests. 

No other guidelines are appropriate. This indisputable
truth can be derived from V. Putin's speech in Munich
and from Moscow's subsequent military-political
decisions (the withdrawal from the Conventional Forces
in Europe treaty, etc.). 

We believe that the political course Russia adheres to
will be reflected in its relations with the
self-determined Republics (which are de facto new
independent states) on the territory of the former
Georgian Soviet Socialist Republic. 

Election campaigns have already started in Georgia. 

They can have unpredictable consequences for the
Caucasus region. 

The fact that most of the competition will unfold
between the hawk M. Saakashvili and the even more
irresponsible Irakli Okruashvili is not the only
problem. 

Finding themselves in a rush situation, with so little
time remaining till the anticipated unilateral
proclamation of independence by Kosovo, the Georgian
leaders are quite likely to launch "a small victorious
war" by which they can hope to strengthen their
domestic positions. 

Saakashvili generously dispensed promises to return
the insurgent Republics to Georgia during his first
term in office. 

His electorate is highly susceptible to such pledges. 

Now, Saakashvili’s second term is nearing the end. A
wave of arrests of local officials, formally under the
pretext of financial abuse charges, began in Gori, a
location in close proximity to South Ossetia. 

One of the versions of the developments is that the
individuals arrested had strong ties with the former
defense minister Okruashvili. 

There is no guarantee that the anti-corruption
campaign will not get transformed into a military
offensive against South Ossetia. One should keep in
mind that the invasion of Abkhazia in August 1992 was
carried out under the pretext of "protecting
transportation routes." 

The so-called "peace march" to Tskinvali ended up as
another failed provocation planned by the Georgian
authorities. 

The technology of such marches was put to practice in
Ajaria in 2004, when secret service operatives mixed
with the march of residents of other Georgian regions,
penetrated into the Republic's territory, and
neutralized Ajaria's defense officials (3). 

In that case bloodshed did not follow because the
people of Ajaria were Georgians as well. 

In Ossetia, a tragic scenario is likely. A build-up of
the Georgian armed forces from 60,000 to 90,000
servicemen (including reservists) is planned to take
place by the end of the year. There is no doubt as to
whom this impressive force will be used against. 

On September 20, Georgian saboteurs attacked
Abkhazia's army base. The incident ended with
fatalities. As long as Moscow's position remains
indefinite, provocations from the Georgian side will
continue with increasing frequency. Sooner or later,
they will evolve into a full-scale aggression against
the self-determined Republics. The consequences of the
military escalation can be severe. 

So far, Moscow's politics in the Caucasus have often
been inconsequential and largely driven by inertia. 

Moscow's granting an official recognition to Abkhazia
and South Ossetia would restrain the hawks in Georgia
and thus tilt the geopolitical balance in the Caucasus
in Russia's favor, which would help to ensure peace in
the southern regions of Russia as well. 

If the Georgian leadership's present course continues,
the recent escalation of the terrorist activity in
Ingushetia will look like a minor problem, especially
since the Georgian legislation envisions unparalleled
conditions for hosting US armed forces in the country
neighboring Russia. It is as if one day China would
deploy its military infrastructure in Mexico, some 20
miles from Rio Grande. 

Statements by the Russian Foreign Ministry are not
enough to depart entirely from the logic of
geopolitical retreat. 

This applies to Russia's politics with respect to the
Caucasus as well. The Kremlin itself must advance its
position. It should also be realized that the
recognition of Abkhazia and South Ossetia would be
meaningless verbiage unless it is backed by a range of
practical measures including those of the military
character. 

We keep hearing that Russia will face severe
consequences in case it takes this diplomatic step. 

The secret hope of those who say so is that when
Russia gets a new President in 2008, the country's
foreign politics will revert to the condition in which
it used to be in the epoch of President Yeltsin and
Foreign Minister Kozyrev. 

They hope that all they have to do is wait for the
2008 elections in Russia. 

In reality, no serious consequences (the uproar in the
media of several countries notwithstanding) would be
entailed by Russia's official recognition of the
independence of Abkhazia and South Ossetia. 

The anti-Russian rhetoric in the Western media will
persist under any scenario (it has become an
indispensable part of the US and European political
culture), especially now that Brussels has in fact
declared a war on Gazprom. 

The answer to the question about the steps Moscow
should take after the West ignores the positions of
Russia and Serbia and recognizes the criminal Albanian
regime in Kosovo as "an independent country" is clear:
Russia must finally recognize the new independent
states which have existed on the territory of the
former Georgian Soviet Socialist Republic for over 15
years. 



2  Another pertinent factor is the influence of the
Georgian lobby. Over the past several years, it has
lost some of its positions. 

3  M. Perevozkina. Georgia: Rebooting. Profil, ¹ 34,
September 17, 2007 





DISUMANIZZARE IL NEMICO


"Dove si nasconde
LA BELVA KARADZIC":
proprio così, con la seconda riga in maiuscolo, titola un articolo
che appare sull'ultimo numero - datato 27/09/2007 - del settimanale
L'Espresso.
L'Espresso è la stessa rivista che in prima pagina inventò
HITLEROSEVIC (primavera 1999), affiancando propagandisticamente le
bombe che bombardavano i petrolchimici, gli autobus e le piazze dei
mercati.
Per comprendere bene il significato, la finalità in termini di
strategie militari e di guerra psicologica di questi titoloni de
L'Espresso, è il caso di ricordare che l'Editoriale omonima controlla
anche La Repubblica (quotidiano più letto d'Italia) e gli strategici
Il Piccolo (letto a Trieste ma anche in Istria e Dalmazia) e LiMeS
(rivista che pretende addirittura di saper definire l'interesse
nazionale italiano).

(a cura di Italo Slavo)

SERBI DELLA UE, SERBI DELLA NATO

22. septembar 2007. 14:42

Šutanovac: Vojska Srbije neće ratovati na Kosovu

Ministar odbrane Srbije Dragan Šutanovac izjavio je da će Vojska
Srbije slediti državnu politiku koja je jasno odredila da će se
pitanje Kosova i Metohije rešavati isključivo mirnim putem i
diplomatskim sredstvima. U skladu sa državnom politikom spremni smo
da ispunimo sve zadatke, ali ne očekujem da iko izda naređenje da
ratujemo sa NATO ili nekim drugim, rekao je Šutanovac u intervjuu
"Blicu". Ističući da je ulazak u NATO samo jedna stepenica na putu
ka Evropskoj uniji, Šutanovac je podsetio da nijedna zemlja u
poslednje vreme nije postala članica EU a da prethodno nije postala
članica NATO. Prema njegovim rečima, protivljenje premijera
Vojislava Koštunice ulasku u NATO stvara konfuziju u radu
Ministarstva odbrane i Vojsci Srbije. Po toj politici naša vojska
treba da se standardizuje po najboljem standardu, a to je NATO standard

Notizie Radioyu - 22.09.2007. - http://www.radioyu.org/

Il Ministro della Difesa della Serbia Dragan Sutanovac ha dichiarato
che „L’esercito della Serbia seguira’ la politica statale che ha
stabilito chiaramente che la questione dello status del Kosovo sara’
risolta esclusivamente con i mezzi pacifici e diplomatici.
Conformemente alla politica statale siamo disposti a adempiere a
tutti i nostri obblighi. Suppongo che nessuno dara’ l’ordine che
il nostro Paese entri in guerra contro la NATO. L’adesione alla NATO
e’ un grado indispensabile verso l’adesione all’Unione europea.
Nell’ultimo periodo nessun Paese e’ diventato suo membro senza che
abbia aderito alla NATO. L’opposizione del premier serbo in questo
senso crea confusione nel lavoro del Ministero della Difesa e
dell’esercito. Secondo la nostra politica l’esercito deve seguire
gli standard migliori, vale a dire gli standard della NATO“, ha
sottolineato Sutanovac.

(srpskohrvatski / italiano)


1) INIZIATIVA A TORINO, 16-19/10/2007:
La memoria rimossa - l'occupazione italiana della Jugoslavia (1941 - 1943)

Lordan Zafranović sarà a Torino per la rassegna del 16-19 ottobre p.v.

2) Lordan Zafranović sta completando il suo film a puntate su Tito, tra mille difficoltà /
Lordan Zafranović dovršava film o Titu, ali uz finansijske i druge teškoće


=== 1 ===

http://www.ancr.
to.it/Tool/News/Single/view_html?id_news=647

23.08.2007

La memoria rimossa - l'occupazione italiana della Jugoslavia (1941 - 1943)

L´Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza sta preparando per i giorni fra il 16 e il 19 ottobre un´iniziativa a Torino sull´occupazione italiana della Jugoslavia dall´aprile 1941 all´otto settembre 1943.
L´iniziativa avrà due nuclei portanti: 1) la presentazione di alcuni film di finzione, documentari e documenti filmici incentrati sull´argomento; 2) una giornata di comunicazioni su vari aspetti e implicazioni e su premesse e conseguenze della vicenda dell´occupazione.
L´intento è quello di sollecitare l´attenzione su temi spesso rimossi nell´ambito della comunicazione e della didattica.
L´iniziativa è organizzata dal Consiglio della Provincia di Torino e da quello del Comune di Torino, con la collaborazione dell´Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza, dell´Anpi di Torino, dell´Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione, dell´Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea e del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia.

A breve sarà disponibile il programma dettagliato dell´iniziativa


=== 2 ===

Lordan Zafranović sta completando il film su Tito, tra mille difficoltà

E' molto probabile che, in un prossimo futuro, ci dovremo rivolgere a tutti gli estimatori di Zafranović e agli antifascisti jugoslavi con la richiesta di raccogliere fondi per consentire al regista di concludere i film nel tempo previsto. Chiederemo, quindi, probabilmente una Vostra sottoscrizione.
Zafranović, nell'intento di inquadrare un'epoca attraverso la grande figura di Josip Broz Tito, ritiene "che sia impossibile immaginare la storia del XX secolo senza Tito. Il mondo, senza di lui, sarebbe stato diverso”. Questo momento, afferma Zafranović, è decisivo per far conoscere direttamente il mondo dell'epoca di Tito.

Nonostante Lordan Zafranović già da due anni lavorasse ad un grande documentario su Tito, la Televisione di Stato della Croazia ha voluto commissionare - con un poderoso finanziamento dell'ordine di un milione di euro - un lavoro sullo stesso tema ad un altro regista, Antun Vrdoljak (che per inciso non ha ancora neanche iniziato il lavoro). Per capire chi sia questo personaggio, che a nostro avviso è regista di regime, basti sapere che costui si vanta di aver aperto una bottiglia di champagne dopo la notizia della morte di Tito, nel 1980.
Lordan Zafranović invece è l'autore di tanti film, lungo- e cortometraggi, tra cui spicca il leggendario "Occupazione in 26 immagini" in cui analizzò minutamente la mentalità dei fascisti nazionalisti croati (gli "ustascia") ed i loro inenarrabili crimini commessi durante la II Guerra Mondiale. Ragion per cui lo Stato odierno di Croazia, che dalla propria fondazione negli anni '90 per tanti versi è in continuità con lo Stato Indipendente Croato (NDH) 1941-1945, oggi è probabilmente disposto a nascondere e seppellire quei fatti storici sotto al tappeto dell'oblio.
Il vero assurdo è iniziato nel mese di maggio scorso, quando la Televisione di Stato della Croazia (HRT), senza alcun concorso pubblico, ha attribuito 7,4 milioni di kune (1 milione di Euro) al regista Antun Vrdoljak, come se all'improvviso si fosse voluto contrastare e mettere in crisi il lavoro biennale di Zafranović con il suo film-documentario su Tito. Allo stesso tempo, il regista Vrdoljak ha ricevuto ulteriori fondi dal Ministero della Cultura di Croazia - circa 1 milione di kune = 0,125 milioni di Euro. Tutto questo importo per soli sei episodi, mentre il serial di 10 episodi di Zafranović costa meno della metà: circa 410.000 Euro.
La notizia sull'incarico conferito nel frattempo a Vrdoljak ha sollevato tante proteste in Croazia da parte della gente che guarda con rispetto e stima al Presidente Tito. Anche l'Unione dei Combattenti della II Guerra Mondiale e l'Associazione che porta il nome di Tito, protestando, hanno affermato che questo regista non può in alcun modo realizzare un film oggettivamente corretto su Josip Broz Tito (parole di Tomislav Badovinac, Presidente della „Društvo Josip Broz Tito”).
E' molto probabile che Zafranović tra breve dovrà iniziare una raccolta di fondi per poter concludere il suo film nel tempo previsto.
Trovatosi nella situazione di dover al più presto finalizzare i lavori, facendo uscire la sua versione al più presto possibile, ora Zafranović punta a finire tutto entro la fine del 2007, assistito da Mira Šuvar e da un grande team di collaboratori. Anziché le 12 puntate ideate per la televisione, più il lungometraggio, il regista potrebbe produrre 10 episodi per la TV, ridotti a sei episodi per il pubblico dei paesi Non-allineati ed il Terzo mondo, e 3 episodi per Europa e America del Nord. A tutt'oggi, un terzo del lavoro è stato fatto. Il lavoro rimanente per la maggior parte ora consiste nell'intervistare, dopo i primi 37, ancora una sessantina di personaggi e uomini politici di tutto il mondo.
Oltre a svariati passaggi inediti, sono ugualmente originali e sconosciute le testimonianze delle persone che a Tito stavano accanto, che fino ad ora non avevano mai rilasciato interviste.
Questo momento, afferma Zafranović, è decisivo per far conoscere direttamente il mondo dell'epoca di Tito.


Sui film di Zafranović, si faccia riferimento anche ai nostri messaggi precedenti:
L'offensiva del revisionismo e del neoirredentismo http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5368
Retrospettiva dei film di Zafranović in Croazia http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5224
Lordan Zafranović sta completando un film su Tito http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5197
AVVISO - con preghiera di massima diffusione http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4576
Comunicato stampa: Retrospettiva Lordan Zafranović http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4561

(a cura di DK e AM per la versione in italiana)


### NA SRPSKOHRVATSKOM ###

Lordan Zafranović dovršava film o Titu, ali uz finansijske i druge teškoće

Vrlo je verovatno da će se reditelj Zafranović uskoro obratiti javnosti s molbom za novčani doprinos radi što dovršetka filma u predviđenom roku. Znači da bismo i mi sigurno pokrenuli kampanju za prikupljanje sredstava.
Zafranović, koji skupa sa prikazom ličnosti kakva je bio Predsednik Tito, ima nameru da obuhvati i čitavu epohu: „nezamisliva je istorija 20. stoleća bez njega, svet bi bez njega bio drukčiji.“ Ovaj trenutak je odlučan da se prikaže neposredno sve što je okruživalo vreme s Titom.

Iako Lordan Zafranović već dve zadnje godine radi na velikom dokumentarcu o Titu, državna televizija Hrvatske (HRT) je prošlog proleća dodelila zamašan iznos drugom režiseru, Antunu Vrdoljaku, koji prethodno nije ni započeo radove na ovu temu.
Antun Vrdoljak se, između ostalog, ponosi izjavom (osim što je filmksi reditelj za sve istorijske periode, dodajemo mi) da je na vest o Titovoj smrti, 1980. godine, nazdravio istoj otvaranjem boce šampanjca!
Lordan Zafranović je autor brojnih dugometražnih i kratkometražnih filmova, između kojih se posebno ističe legendarna "Okupacija u 26 slika" u kojoj je dao oštar i dubok presek mentaliteta domaćih fašista u Hrvatskoji za vreme II svetskog rata (ustaša) tj. njihovih nepojmljivih zločina.
Stvorila se apsurdna situacija tokom maja meseca ove godine, kada je HRT, bez ikakvog javnog konkursa, dodelila režiseru Antunu Vrdoljaku, iznos od milion eura za snimanje drugog filma o Titu, što je dovelo u krizu dvogodišnji rad Lordana Zafranovića i brojne ekipe. U isto vreme, Vrdoljaku su usmerena dodatna sredstva Ministarstva kulture, od 125 miliona eura. Za šest episoda! Sa druge strane, serija od 10 epizoda kod Zafranovića košta 410.000 eura!
Na ovu se vest u Hrvatskoj javilo dosta protesta od strane ljudi koji s dužnim poštovanjem gledaju na epohu socijalističke Jugoslavije i Tita. Savez boraca II svetskog rata kao i Udruga „Josip Broz Tito“ izrazili su svoje oštre proteste i nevericu da režiser Antun Vrdoljak može uopšte biti osoba za snimanje objektivnog filma o Titu.
Vrlo je verovatno da će se reditelj Zafranović uskoro obratiti javnosti s molbom za novčani doprinos radi što dovršetka filma u predviđenom roku
Lordan Zafranović sada se našao u situaciji da mora što pre realizovati svoj objektivan film o Titu, svoju verziju, i žuri da završi sve potrebne radove na njemu do kraja tekuće 2007. godine. Dužina filma i broj epizoda pretrpeće skraćenja. Ostaje aktuelna namera reditelja Zafranovića da napravi barem 10 televizijskih epizoda za ex-jugoslovenske prostore, šest emisija za nesvrstane i zemlje Trećeg sveta, kao i tri epizode za Evropu i Severnu Ameriku. Do sada, završeno je oko 40% posla. Prestali zadaci sastoje se u što hitnijem intervjuisanju svetskih političara.
Pored brojnog novog materijala, do sada neobjavljivane i nepoznate izjave lica koji su živeli i radili u Titovoj blizini, obogatiće ovaj film.
Zafranović, koji skupa sa prikazom ličnosti kakva je bio Predsednik Tito, ima nameru da obuhvati i čitavu epohu: „nezamisliva je istorija 20. stoleća bez njega, svet bi bez njega bio drukčiji.“ Ovaj trenutak je odlučan da se prikaže neposredno sve što je okruživalo vreme s Titom.


Za dalje informacije o našim tekućim inicijativama na ovu temu, molimo pogledajte i:
"La memoria rimossa - l'occupazione italiana della Jugoslavia (1941 - 1943)" L´Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza sta preparando per i giorni fra il 16 e il 19 ottobre un´iniziativa a Torino sull´occupazione italiana della Jugoslavia dall´aprile 1941 all´otto settembre 1943.

Radi daljih informacija o svim dosadašnjim izveštajima o stvaralaštvu Lordana Zafranovića i o našim akcijama u oblasti filmske medijacije:
L'offensiva del revisionismo e del neoirredentismo http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5368
Retrospettiva dei film di Zafranović in Croazia http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5224
Lordan Zafranović sta completando un film su Tito http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5197
AVVISO - con preghiera di massima diffusione http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4576
Comunicato stampa: Retrospettiva Lordan Zafranović http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4561

(napisao: DK)



(english / italiano

see also: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/
5644 )

La Serbia sul Kosovo ha il sostegno della Cina



Notizie Radioyu - 21.09.2007. - http://www.radioyu.org/

La Serbia stima molto la posizione principiale della Cina che devono
essere rispettati il diritto internazionale e la Carta dell’ONU, che
garantiscono la sovranità e l’integrità territoriale di stati
riconosciuti in modo internazionale, ha dichiarato il premier
Vojislav Kostunica durante il colloquio con il sostituto del capo
della diplomazia cinese, Ciao Konghai. Rilevando che determinati
paesi annunciano che riconosceranno fuori dal Consiglio di sicurezza
dell’ONU, dopo la scaduta del termine formale per i negoziati, la
proclamazione unilaterale dell’indipendenza del Kosovo, Kostunica ha
avvisato che questa sarebbe una grave trasgressione del diritto
internazionale e della Carta dell’ONU. Il premier della Serbia ha
ripetuto che Belgrado annullerà ogni atto illegittimo
sull’indipendenza unilaterale della sua regione meridionale, e che,
in conformità alla Carta dell’ONU, il Kosovo e Metochia sarà sempre
una parte integrante e inalienabile della Serbia. Kostunica ha
altrettanto fatto sapere che la Serbia appoggia la politica di
un’unica Cina. Il vice ministro cinese ha evidenziato che la Cina si
sta adoperando per i negoziati fra Belgrado e Pristina senza
limitazioni temporali. La soluzione per il Kosovo non può essere
imposta, perché questo potrebbe avere conseguenze serie, ha valutato
il funzionario cinese, ed ha rilevato che soltanto quella soluzione
che sarà accettata da ambedue le parti potrebbe essere la strada per
il raggiungimento della pace e della stabilità nella regione.



http://www.srbija.sr.gov.yu/vesti/vest.php?id=38695

Government of Serbia
September 21, 2007

Serbia appreciates China’s principled position on
necessity to respect international law, UN Charter

Belgrade – Serbian Prime Minister Vojislav Kostunica
said today in a meeting with Chinese Vice Foreign
Minister Qiao Zonghuai that Serbia highly appreciates
China’s principled position on the necessity to
respect international law and the UN Charter
guaranteeing the sovereignty and territorial integrity
of internationally recognised states.

The Serbian Prime Minister said that a certain number
of states are announcing they would, disrespecting the
UN Security Council and the formal deadline of
negotiations, unilaterally acknowledge the
independence of the province of Kosovo-Metohija.

Kostunica warned that potential acknowledgment of
Kosovo-Metohija’s unilateral proclamation of
independence by some states would be a most serious
violation of international law and the UN Charter.

The Prime Minister stressed that Serbia will annul any
illegitimate act on unilateral independence and that
Kosovo-Metohija will always be an integral and
inalienable part of Serbia’s territory in accordance
with the UN Charter.

Kostunica expressed the Serbian government’s support
to one-China policy.

The Chinese Vice Foreign Minister stressed that China
as a permanent member of the UN SC respects the UN
Charter.

He stressed that China supports Belgrade-Pristina
negotiations without time limitations and that the
solution must not be imposed, as it would have serious
consequences.

Only a solution accepted by both sides is a way to
solve the issue of Kosovo-Metohija and attain peace
and stability in the region, Zonghuai pointed out.

The two officials also reached a high level of
agreement concerning the Kosovo-Metohija status
settlement.

They also stressed that China and Serbia have
traditionally good and friendly relations and that the
two countries supported each other in crucial moments.

Kostunica and Zonghuai also discussed opportunities
for commercial and economic cooperation and agreed
that an intergovernmental joint committee should hold
a session in November.



La propagande, c’est les autres

Comment la structure rituelle du Journal télévisé formate nos esprits

par Pierre Mellet

Si le téléspectateur est de plus en plus attentif au traitement d’informations particulières par les journaux télévisés, il s’interroge rarement sur la structure même de cette émission. Or, pour Pierre Mellet, la forme est ici le fond : conçu comme un rite, le déroulement du journal télévisé est une pédagogie en soi, une propagande à part entière qui nous enseigne la soumission au monde que l’on nous montre et que l’on nous apprend, mais que l’on souhaite nous empêcher de comprendre et de penser.


18 SEPTEMBRE 2007


Le journal télévisé est le cœur de l’information contemporaine. Principale source d’information d’une grande partie des Français, il n’était pourtant, à ses débuts, en 1949 en France, que le sous-produit de ce que n’avaient pas voulu diffuser au cinéma la Gaumont et les Actualités Françaises. Défilé d’images sur lesquels était posé un commentaire, le « présentateur » ne s’est installé dans son fauteuil qu’en 1954, quand le journal a été fixé à 20h. Depuis lors, la mise en scène n’a fait qu’aller en s’accroissant, et l’information en a été écartée —si jamais elle était présente au départ— pour faire de ce théâtre non plus un journal, mais un spectacle ritualisé, une cérémonie liturgique. Le « 20h » n’a pas pour fonction d’informer, au sens de dégager une tentative de compréhension du monde, mais bien de divertir les téléspectateurs, tout en leur rappelant toujours ce qu’ils doivent savoir.

L’analyse qui suit se base sur les deux principaux journaux télévisés de 20h français, celui de TF1 et celui de France 2, mais peut, à bien des égards, trouver des correspondances avec les journaux télévisés d’autres pays, principalement en « Occident ».


Le contexte

Fixé à 20h, le journal télévisé est devenu, comme la messe à son époque, le rendez-vous où se retrouve (chacun chez soi) toute la société. C’est un lieu de socialisation essentiel, paradoxalement. Chacun découvre chaque soir le monde dans lequel il vit, et peut dès lors en faire le récit autour de lui, en discuter les thèmes du moment avec l’assurance de leur importance, puisqu’ils ont été montré au « jt ». Tout est mis en place comme dans un rituel religieux : l’horaire fixe, la durée (une quarantaine de minutes), le présentateur-prêtre inamovible, ou presque, qui entre ainsi d’autant mieux dans le quotidien de chacun, le ton emprunté, sérieux, distant, presque objectif, mais jamais véritablement neutre, les images choisies, la hiérarchie de l’information. Comme dans tout rituel, le même revient en permanence, et s’agrège autour d’un semblant d’évolution quotidienne. Les mêmes heures annoncent les mêmes histoires, racontées par les mêmes reportages, lancées et commentées par les mêmes mots, mettant en scène les mêmes personnages, illustrées par les mêmes images. C’est une boucle sans fin et sans fond.

En ouverture, le générique lance une musique abstraite où s’entend le mélange du temps qui passe, la précipitation des événements, et une façon d’intemporel nécessaire à toute cérémonie mystique. Sur la musique, un globe précède l’apparition du présentateur, ou un travelling vers ce dernier le fait passer de l’ombre à la lumière. Tout se passe comme si le monde allait nous être révélé.

Le présentateur y tient rôle de passeur et d’authentifiant. Personnage principale et transcendantal, il se trouve au cœur du dispositif de crédibilité du 20h. C’est par lui que l’information arrive, par lui qu’elle est légitimée, rendue importante et donnée comme « vraie ». Par lui également que le téléspectateur peut être rassuré : si le monde va mal et semble totalement inintelligible, il y a encore quelqu’un qui « sait » et qui peut nous l’expliquer.

(Dans d’autre cas, c’est un duo qui présente le journal télévisé. La relation avec le téléspectateur est du coup beaucoup moins professorale et paternaliste, mais plus de l’ordre de la conversation, et peut sembler plus frivole. Bien évidemment, on ne trouvera jamais deux présentateur, ou deux présentatrices, mais toujours un duo hétérosexuel. C’est qu’il s’agit de ne pas choquer la représentation de la famille bourgeoise chrétienne. Ce type de mise en scène étant rare en France, nous ne développerons pas ce point plus avant).


Crédibilité et information

« Madame, Monsieur, bonsoir, voici les titres de l’actualité de ce lundi 6 août », nous dit le présentateur au début de chaque journal. Il ne s’agit donc pas d’un sommaire, d’un tri de la rédaction dans l’information du jour, mais bien des « titres de l’actualité », c’est-à-dire précisément de ce qu’il faut savoir du monde du jour. Il n’y a rien à comprendre, le « journalisme » ne s’applique désormais plus qu’a nous apprendre le monde. Le présentateur ne donne pas de clé, il ne déchiffre rien, il dit ce qui est. Ce n’est pas une « vision » de l’actualité qui nous est présentée, mais bien l’Actualité.

Ce qui importe, dès lors, pour lui, c’est « d’avoir l’air ». Sa crédibilité n’est pas basé sur sa qualité de journaliste, mais sur son charisme, sur l’empathie qu’il sait créer, sa manière d’être rassurant, et sur son apparence d’homme honnête et intelligent. David Pujadas peut bien annoncer le retrait d’Alain Juppé de la vie politique, et Patrick Poivre d’Arvor montrer une fausse interview de Fidel Castro, ils sont tout de même maintenus à leur poste avec l’appui de leur direction, et n’en perdent pas pour autant leur statut de « journaliste » [1] et leur crédibilité auprès du public. Tout se passe comme si l’information délivrée n’avait finalement pas d’importance. Elle n’est là que pour justifier le rituel, comme la lecture des Évangiles à la messe, mais elle n’en est en aucun cas la raison centrale, le cœur, qui se trouve toujours ailleurs, dans le rappel constant des mots d’ordres moraux, politiques et économiques de l’époque. « Voici le Bien, voici le Mal », nous dit le présentateur.

La hiérarchie de l’information est donc inexistante. Alors que l’un des premiers travail effectués dans tout « journal » est de dégager les sujets qui semblent les plus essentiels pour tenter d’en ressortir un déroulé (propre à chaque rédaction) de l’information en ordre décroissant, de l’important vers l’insignifiant, ici, point. On passe de la dépouille du cardinal Lustiger à l’accident de la Fête des Loges, puis vient le dénouement dans l’affaire de l’enlèvement du petit Alexandre à la Réunion, suivit du suicide d’un agriculteur face aux menées des anti-OGM, à quoi font suite l’allocation de rentrée scolaire, les enfants qui ne partent pas en vacances, la hausse du prix de l’électricité, la spéléologue belge coincée dans une grotte, la campagne électorale états-unienne chez les démocrates, l’intervention de Reporters sans frontière pour dénoncer l’absence de liberté d’expression en Chine, la Chine comme destination touristique, le licenciement de Laure Manaudou, un accident lors d’une course aux États-Unis, le festival Fiesta de Sète, le décès du journaliste Henri Amouroux et enfin celui du baron Elie de Rothschild [2]. Il n’y a aucune cohérence, à aucun moment. Les sujets ne semblent choisis que pour leur insignifiance quasi-générale, ou leur semblant d’insignifiance. Tout y est mélangé, l’amour et la haine, les rires et les pleurs, l’empathie se mêle au pathos, les images spectaculaires ou risibles aux drames pathétiques, et l’omniprésence de la fatalité nous rappelle toujours la prédominance de la mort sur la vie.


Le reportage

Une fois les « titres » annoncés, le présentateur en vient au lancement du reportage. Le reportage est la démonstration par l’exemple de ce que nous dit le présentateur. En effet, tout ce qui va être dit et montré dans le reportage se trouve déjà dans son lancement. Le présentateur résume toujours au lieu précisément de présenter. Cela crée de la redondance. Ce qui est dit une fois en guise d’introduction est systématiquement répété ensuite dans le reportage. Ce sont les mêmes informations qui sont énoncées, la première fois résumées, et la seconde fois étendues pour l’élaboration de l’histoire contée. Le reportage ajoute très peu de chose à ce qu’à déjà dit le présentateur, tout juste développe-t-il les détails anodins qui contrebalancent « l’objectivité » du présentateur en créant de la « proximité ». Aux éléments de départ, trouvé dans le lancement, s’ajoute ensuite à l’histoire les petits détails romanesques nécessaire à son instruction ludique.

Le reportage est constitué de deux choses : l’image et son commentaire. Or, si l’on coupe le son, l’image ne signifie plus rien. Alors même que tout devrait reposer sur elle, c’est l’inverse précisément qui se produit à la télévision : le commentaire raconte ce que l’image ne fait qu’illustrer. Cette dernière n’est là que comme faire-valoir. C’est une succession de paysages semblables, de visages et de gestes interchangeables, collés les uns à côté des autres, et sans lien entre eux. À la télévision, l’image ne sert qu’à justifier le commentaire, à l’authentifier. Elle lui permet d’apparaître comme « vrai ». Et elle le lui permet précisément parce que ne disant rien par elle-même, le commentaire peut alors la transformer en ce qu’il veut, et c’est là le principal danger de ce media. L’image possédant une force de conviction très importante, le consentement est d’autant plus simple à obtenir une fois que vous avez dépouillée l’image de tout son sens et l’avez transformée en preuve authentifiant votre discours. Tout repose donc désormais sur le commentaire, et sur la vraisemblance de l’histoire qui va nous être racontée.

« Dans le reportage, note l’anthropologue Stéphane Breton, le commentaire est soufflé depuis les coulisses, cet arrière-monde interdit au téléspectateur (…) et d’où jaillit, dans le mouvement d’une révélation, un sens imposé à l’image. La signification n’est pas à trouver dans la scène mais hors d’elle, prononcée par quelqu’un qui sait » [3]. Le journaliste n’apparaît que très rarement à la fin de son reportage. Nous entendons donc une voix sans énonciateur. C’est une parole divine qui s’impose à nous pour nous expliquer ce que nous ne pourrions comprendre en ne regardant que les images. Il n’y a pas d’interlocuteur, donc pas de contradiction. Le reportage est un fil qui se déroule suivant une logique propre, celle que le journaliste veut nous donner à apprendre, où les « témoins » ne se succèdent que pour accréditer la parole qui a de toute manière déjà dit ce qu’ils vont nous expliquer. Comme avec le lancement, la redondance est omniprésente dans le reportage. Tout « témoin » est présenté non pas selon sa fonction, ni dans le but de justifier sa place dans ce reportage à ce moment là, mais suivant ce qu’il va nous dire. Et la parole du « témoin » accrédite le commentaire en donnant un point de vue nécessairement « vrai ». « Puisqu’il le dit, c’est que c’est comme ça ». Et bien souvent, le « témoin » n’a strictement rien à dire, mais va le dire tout de même, le journaliste devant faire la preuve de son objectivité et de l’authenticité de son reportage, de son enquête, en démontrant qu’il s’est bien rendu sur place et qu’il peut donc nous donner à voir ce qui est.

Le reportage, au journal télévisé, n’est pas la réalisation d’une enquête qui explore différentes pistes, mais le récit d’un fait quelconque montré comme fondamental. C’est une vision du monde sans alternative, qui tente d’apparaître comme purement objective. Si le présentateur dit ce qui est, le reportage, lui, le montre. Et c’est précisément là que l’image pêche par son non-sens, et que le commentaire semble devenir parole divine. « Voici le monde », nous dit l’un, « et voilà la preuve », poursuit le reportage. Et comment contester la preuve alors qu’elle nous est présentée, là, sous nos yeux ébahis ? La réalité se construit sur l’anecdote, et non plus sur un ensemble de faits plus ou moins contradictoires qui permettent de regarder une situation dans une tentative de vision globale pour pouvoir ensuite en donner une analyse.


Les mots d’ordre

Tout cela se rapporte à la logique de diffusion de la morale. Le journal télévisé, comme la quasi-totalité des médias, est un organe de diffusion des mots d’ordre de l’époque. Il ne discute jamais le système, il ne semble d’ailleurs même pas connaître son existence, mais diffuse à flux tendus les ordres que la classe dominante édicte. Le journal télévisé fait partie de ce « service public », dont parle Guy Debord dans les Commentaires sur la société du spectacle, « qui [gère] avec un impartial "professionnalisme" la nouvelle richesse de la communication de tous par mass media, communication enfin parvenue à la pureté unilatérale, où se fait paisiblement admirer la décision déjà prise. Ce qui est communiqué, ce sont des ordres  ; et, fort harmonieusement, ceux qui les ont donnés sont également ceux qui diront ce qu’ils en pensent » [4] .

Le 20h, issu d’une société où la mémoire a été détruite, transmet les mots d’ordre, comme pour tout conditionnement, par la répétition permanente et quotidienne. Les histoires racontées semblent toutes différentes, quand bien même elles sont finalement toutes semblables. Tout y est répété, soir après soir, constamment, et à tous les niveaux. Seuls les noms et les visages changent, mais le film, lui, reste toujours identique. C’est un perpétuel présent qui est montré et qui permet d’occulter tous les mouvements du pouvoir. Les évolutions n’étant plus jamais mises en lumière, c’est bien qu’elles n’ont plus cours. Le journal télévisé diffuse donc la morale bourgeoise (chrétienne et capitaliste) en bloc compact. C’est un vomi long et lent qui s’écoule, dilué et disséminé tout au long du 20h. Ils connaissent plusieurs modes de diffusions :

- L’accusation. Elle est constante, et généralement dite par les « témoins », ce qui permet de faire croire au journaliste qu’il a donné à voir un « avis », et qu’il a donc rendu un regard objectif de la situation. Un incendie ravage une maison, et ce sont les pompiers qui auraient dû arriver plus tôt. Un violeur est sorti de prison parce qu’il avait droit à une remise de peine, et c’est la justice qui dysfonctionne. Un gouvernement refuse de se plier aux injonctions occidentales, et c’est une dictature, un pays sous-développé où la stupidité se mêle à la barbarie, et mieux encore, où la censure bâillonne tous les opposants, qui sont eux nécessairement d’accord avec le point de vue des occidentaux mais ne peuvent pas le dire. Il s’agit toujours de trouver quelqu’un à vouer aux gémonies pour rappeler ce qui est « bien » et ce qui est « mal », et où l’on retrouve toute la sémantique chrétienne du « pardon », de la « déchéance », etc.

- L’évidence. Particulièrement utilisée pour régler sans discussions les questions économiques, elle consiste à diffuser les dogmes ou les décisions gouvernementales sans jamais les remettre en question. C’est par exemple le cas de la « croissance », qui est toujours la voie nécessaire à la survie jamais remise en cause et dont le présentateur nous annonce les chiffres avec un air catastrophé : « la croissance ne sera que de 1,2 % cette année selon les experts »...

- L’hagiographie. Commme à la messe, le journal télévisé a ses saints à mettre en avant. C’est le portrait de quelqu’un qui a « réussi », soit qu’il vienne de mourir, soit qu’il ait « tout gagné », soit qu’il se soit « fait tout seul », etc. C’est le prisme de l’exception qui édicte le modèle à suivre en suscitant admiration et respect. « Voilà ce que vous n’êtes pas, que vous devriez être, mais ne pourrez jamais devenir, et que vous devez donc adorer », nous répète le journal télévisé en permanence.

- Le voisinage. Particulièrement efficace, il s’agit de dire que « la France est le dernier pays en Europe à aborder cette question ». C’est le mécanisme qui régit la sociabilité de base, l’appartenance au groupe par l’imitation, par la reproduction de ce qu’il semble faire ou être. Le présentateur nous dit alors « eux font comme cela, pourquoi faisons nous autrement ? », présupposant que notre manière de faire est nécessairement moins bonne. « Travailler après 65 ans, aux États-Unis ça n’est pas un problème ». Aucune analyse n’est jamais donnée des points positifs et négatifs du système voisin, seulement un regard « objectif », qui dit : « voilà comment ça se passe là, et pourquoi c’est mieux que chez nous ».

- Le folklore. Ici sont présentés, avec le sourire aux lèvres et l’indulgence pour l’artiste un peu fou mais qui ne fait finalement pas de mal, des gens qui vivent un peu autrement. C’est alors, et seulement dans ce genre de sujet, que le présentateur souligne le caractère « exceptionnel » des personnes qui vont nous être présentées, pour dissuader quiconque de suivre leur exemple.

Ce ne sont là que quelques exemples.


Anecdote et fatalité

Deux modes de représentation du monde bercent principalement le journal télévisé, et sont les deux principaux mouvements de diffusion des mots d’ordre : l’anecdote et la fatalité.

L’anecdote se trouve au début de chaque sujet. Tout part du fait particulier, du fait divers du jour, et s’étend vers le problème plus vaste qu’il semble contenir en lui-même, ou que les journalistes font mine de croire qu’il contient. C’est une rhétorique particulière qui se retrouve aujourd’hui à la base de tous les discours politiques ou journalistiques, un renversement de la logique, du déroulement effectif de la démonstration et de l’analyse du monde : c’est l’exception qui explique désormais la règle, qui la construit. Tout part du fait particulier pour se prolonger, comme si ce dernier détenait en lui toutes les causes et toutes les conséquences qui ont fondé la situation plus générale qu’il est censé démontrer. Le 20h ne se préoccupe jamais de décrire des phénomènes endémiques, ou les sort toujours de la chaîne d’événements qui les a amené à la situation présente. C’est une nécessité dialectique logique pour qui veut transmettre les consignes sans se mettre en devoir de les expliquer, sans quoi il se trouve obligé d’apporter de la complication à sa démonstration et se rend compte que les choses sont moins simples qu’il ne voulait les faire paraître. Pour que les mots d’ordre soient diffusés efficacement, il ne faut pas donner la possibilité d’être contredit, donc il vaut mieux ne rien expliquer. De toute manière, nous l’avons dit, il ne s’agit jamais de donner à comprendre, mais toujours à apprendre.

La fatalité, elle, berce l’ensemble du journal télévisé. Les événements arrivent par un malheurs contingent, un hasard distrait qui touche malencontreusement toujours les mêmes (personnes, pays…). C’est une lamentation constante : « si les pompiers étaient arrivés plus tôt », « si le violeurs n’était pas sorti de prison », « si l’Afrique n’était pas un continent pauvre et corrompu », etc. Elle est la base de toute religion puisqu’elle permet de ne rien avoir jamais à justifier, et rappel le devoir de soumission face à la transcendance, puisque nous sommes toujours « dépassés ». La fatalité revient sonner en permanence comme une condamnation, et ajoute avec dépit (mais pas toujours) : « c’est comme ça ». Le système se régule tout seul et est « le meilleur des systèmes possibles », l’homme est un être « mauvais » et passe son temps à « chuter » et à « rechuter » malgré toutes les tentatives de lui « pardonner », le pauvre est responsable de sa situation parce qu’il est trop fainéant pour chercher des solutions et les mettre en application alors même qu’on les lui donne, etc. C’est un soupir constant, un appel permanent à l’impuissance et à la soumission face à la souffrance. Le monde va et nous n’y pouvons rien…

Une fois les mots d’ordre transmis, le messager divin peut nous donner congé, concluant le sermon du jour en n’omettant jamais de nous donner rendez-vous le lendemain à la même heure, puis disparaît, rangeant les papiers qui font foi de son sérieux, la caméra s’éloignant, l’ombre grandissant, et se fondant progressivement dans cette sorte de musique qui ouvrait déjà la cérémonie.





[1] Patrick Poivre d’Arvor, reconnnu comme la star du journalisme français, n’a pas de carte de presse car ses revenus principaux ne proviennent pas du journalisme, mais de ses activités de conseil et d’écriture.

[2] 20h de France 2, lundi 6 août 2007.

[3] Stéphane Breton, Télévision, Hachette Littérature, 2005.

[4] Guy Debord, Commentaires sur la société du spectacle, Gallimard, Folio, 1996.