Informazione


SABATO 16 GENNAIO 2016
GIORNATA NAZIONALE DI MOBILITAZIONE CONTRO LA GUERRA
MANIFESTAZIONI NAZIONALI a ROMA (Piazza Esquilino) e MILANO (Piazza San Babila)


Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS aderisce ed invita ad aderire alle iniziative promosse nella giornata nazionale di mobilitazione indetta nel 25.mo Anniversario della aggressione occidentale e italiana contro l'Iraq, che fu momento topico dell'insanabile sfregio alla Costituzione repubblicana e prodromo di tutte le aggressioni successive, inclusa quella alla RF di Jugoslavia


1) INIZIATIVE IN TUTTA ITALIA VERSO IL 16 GENNAIO: ROVATO (BS), BOLOGNA, ROMA, TORINO, PISA...
2) TRIESTE, ROMA, MILANO... SABATO 16 GENNAIO: MOBILITAZIONE NAZIONALE CONTRO LA GUERRA
3) Il 16 gennaio le piazze gridino No alla guerra (Sergio Cararo)
4) Comunicato sul 25° Anniversario della Guerra del Golfo (Comitato promotore della campagna #NO GUERRA #NO NATO)


Vedi anche:

*** LUCIO MANISCO, DA NEW YORK PER SAMARCANDA IL 14 FEBBRAIO 1991
Un intervento del giornalista di Rai Tre che durante la Prima Guerra del Golfo per un verso godette di grande popolarità e per un altro verso suscitò furibonde polemiche a causa delle sue posizioni ritenute pregiudizialmente antiamericane e pacifiste...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=UAqzDZggilY ***

A TUTTE LE ORGANIZZAZIONI CHE RIFIUTANO LA GUERRA,  GLI INTERVENTI MILITARI DEL GOVERNO ITALIANO, IL MERCATO DELLE ARMI (Campagna EUROSTOP, 5 dicembre 2015)

Roma 16 gennaio 2016 IN PIAZZA CONTRO LA GUERRA

SANZIONI ALLA SIRIA: LE MANI INSANGUINATE DELL'ITALIA (F. Santoianni, 25 dic 2015)
Il crimine delle sanzioni alla Siria: una catastrofe umanitaria che nessuno vi racconta mentre si spargono lacrime di coccodrillo sui profughi della guerra (alimentata anche dall’Italia) che muoiono davanti alle nostre coste...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=eSrIjwVG5k0

La Notizia di Manlio Dinucci: 
BOTTI DI FINE ANNO: IL PIANO USA DI GUERRA NUCLEARE (29.12.2015)
LE 300 HIROSHIMA DELL’ITALIA (5.12.2015)
La potenza stimata delle nuove bombe nucleari Usa  B61-12, che stanno per essere schierate in Italia al posto delle B-61, equivale a quella di circa 300 bombe di Hiroshima 


=== 1 ===

INIZIATIVE IN TUTTA ITALIA VERSO IL 16 GENNAIO:

*** ROVATO (BS), VENERDI' 8 GENNAIO
Assemblea NO guerra NO austerità

*** BOLOGNA, SABATO 9 GENNAIO 
ore 16.00, sala Quartiere Porto – Via dello Scalo 21
Assemblea cittadina
Prenotazioni pullman da Bologna: 349 492 5092 (Davide) - 328 66 75 326 (Letizia)

*** ROMA, MARTEDÌ 12 GENNAIO
Assemblea all'Università in preparazione della manifestazione del 16

*** TORINO, MARTEDÌ 12 GENNAIO
alle 17 presso il Campus Luigi Einaudi, Lungo Dora Siena 100, aula F3
Dibattito con Fulvio Scaglione (vicedirettore "Famiglia Cristiana"), Marco Santopadre (Contropiano.org). Introduce Piattaforma Eurostop Torino

*** PISA, MERCOLEDÌ 13 GENNAIO
alle 17:30 in Piazza XX settembre, di fronte al Comune di Pisa 
Presidio / Conferenza stampa 


=== 2 ===

TRIESTE, sabato 16 gennaio 2016
alle ore 16 

Manifestazione in concomitanza con le manifestazioni nazionali contro le guerre di Roma e Milano


---

ROMA e MILANO, 16 GENNAIO 2016 

MANIFESTIAMO CONTRO LA GUERRA E LA PARTECIPAZIONE ITALIANA ALLA GUERRA PER I DIRITTI DEI POPOLI E PER LA DEMOCRAZIA

25 ANNI DI GUERRA SONO DAVVERO TROPPI ORA BASTA!

BISOGNA FINALMENTE RISPETTARE L'ARTICOLO 11 DELLA COSTITUZIONE, L'ITALIA RIPUDI LA GUERRA E LE POLITICHE NEOCOLONIALI.

ESSERE NEUTRALI NELLA GUERRA E CONTRO LA GUERRA È IL SOLO MODO DI AGIRE PER FAR FINIRE LA GUERRA 

VOGLIAMO:

- Il ritiro immediato delle truppe e l'annullamento di tutte le missioni militari italiane in scenari di guerra. La cancellazione dell'acquisto degli F35 il taglio delle spese militari la fine dello sporco commercio delle armi.

- La fine degli interventi militari, dei bombardamenti, dell'ingerenza esterna e dell'ipocrita esportazione della democrazia. Invece della concorrenza tra i bombardieri è necessario un confronto politico che porti ad un accordo tra tutti gli stati coinvolti nella guerra in Medio Oriente, Solo così si isola è sconfigge il terrorismo Isis.

- La fine della NATO che non ha più alcuna giustificazione se non in una logica perversa di guerra mondiale e in ogni caso l'uscita da essa dell'Italia.

- La fine della politica coloniale d'Israele , la restituzione dei territori occupati a un stato libero di Palestina. L'autodeterminazione per il popolo curdo.

- Accoglienza e dignità per i rifugiati e i migranti.

PIATTAFORMA SOCIALE EUROSTOP

Per adesione individuali scrivere a
eurostop.it@...



=== 3 ===


Il 16 gennaio le piazze gridino No alla guerra

di Sergio Cararo, 3 Gennaio 2016

Il prossimo 16 gennaio, una giornata di manifestazioni a livello nazionale ricorderà l’inizio di quella che possiamo definire come “La Guerra dei Trent’anni”.  La prima Guerra del Golfo con i bombardamenti sull’Iraq del 16 gennaio 1991, indica infatti l’apertura di quel Vaso di Pandora della guerra che si manifesta ormai con una escalation di cui è difficile – e allo stesso tempo inquietante – prevedere una conclusione. 

La convocazione della giornata di mobilitazione nazionale contro la guerra si è rivelata opportuna davanti al totale e assurdo vuoto di iniziativa politica su questo terreno (a parte le manifestazioni di Napoli, Firenze, Trapani, Capo Teulada).  Di fronte ad una escalation che ogni giorno può presentare il “casus belli” scatenante,  abbiamo visto ex attivisti del movimento pacifista diventati nel frattempo ministri della difesa o altissimi responsabili della sicurezza europea; una parte della sinistra che ha letteralmente sfarfallato di fronte a quanto accadeva in Libia e Siria, ostinandosi a leggere come rivolte popolari quelle che si sono rivelate ben presto come interventi di “regime change” da parte delle potenze imperialiste; un governo italiano che gioca sul consueto doppio binario della “cautela” sul piano bellico ma su atti concreti di coinvolgimento militare nei teatri di guerra (armi all’Arabia Saudita, invio di soldati in Iraq, flotta davanti alle coste libiche, sanzioni a Siria e Russia). Era tempo dunque che un pezzo di questo paese riprendesse la parola e le piazze per riaffermare quel concetto semplice e importante che dice basta guerre, le guerre sono le vostre ma i morti sono sempre i nostri.

Alla presa di responsabilità di chi ha rotto gli indugi ed ha convocato le manifestazioni del 16 gennaio, non potevano mancare i consueti “ lamenti delle vedove”,  eterni assegnatari di mutande al resto del mondo che riescono a leggere le motivazioni della mobilitazione del 16 gennaio in modi diametralmente opposti (troppo filo russo-siriana o troppo anti russa-siriana, piattaforma troppo generica o piattaforma troppo escludente etc. etc.). Per chi ha memoria del recente passato non c’è da meravigliarsi. Meraviglia invece questo soffermarsi sulle righe e sulle sfumature piuttosto che sulla posta in gioco e l’urgenza di far entrare in campo un pezzo di società – ancora minoritario per ora – che dichiari pubblicamente il proprio No alla guerra e all’attacco alla democrazia che ne deriva in tutti i paesi coinvolti. 

La guerra del XXI Secolo oggi sta devastando la Siria, l’Iraq e la Libia, ha prodotto morti e macerie in Ucraina, prima ancora aveva devastato Jugoslavia, Cecenia, Afghanistan e l’Iraq, sollecita tensioni ricorrenti in Asia. Non sono state vissute come guerre nelle agende politiche o nell’opinione pubblica occidentali, ma paesi come la Somalia, il Sudan, le repubbliche africane sono stati destabilizzati e tribalizzaie con l’intervento militare decisivo delle potenze neocoloniali – dalla Francia agli Usa, dalla Gran Bretagna all’Italia.

La Guerra dei Trent’anni cominciata dagli Usa usciti egemoni e vittoriosi nel 1991 dallo scontro globale con l’Urss, è oggi uno scenario agente che conformerà più o meno bruscamente anche il mondo che abbiamo conosciuto, anche in una Europa che molti si ostinano ad assolvere come mera esecutrice delle manovre statunitensi riducendone così le responsabilità e i pericoli che ne derivano.

Sullo sfondo di una competizione globale, feroce e a tutto campo, tra le maggiori potenze  imperialiste o non ancora tali come il polo islamico costituitosi intorno alla petromonarchia saudita, la guerra sta uscendo dalla narrazione storica o dalla testimonianza diretta delle vecchie generazioni, per entrare di prepotenza dentro l’attualità e la vita quotidiana. In molti avevano ritenuto di poter rimuovere questo scenario limitandosi ad osservare il suo manifestarsi in paesi lontani. Non erano bastate le stragi di Madrid e Londra negli anni scorsi,  ci sono volute quelle più recenti di Parigi per strappare il velo dagli occhi e far capire che se anche gli stati europei portano la guerra in giro per il mondo, prima o poi qualcuno la guerra te la restituisce anche dentro casa. La risposta dei governi non è la fuoriuscita dalle guerre e dagli interventi in cui sono coinvolti ma lo stato d’emergenza e l’aumento delle spese militari.

Meglio dunque che qualcuno cominci a denunciarlo nelle piazze piuttosto che correre come criceti sulla ruota rimanendo sempre fermi.  Altre iniziative potranno seguire,  crescere e qualificarsi successivamente al 16 gennaio. La giornata di mobilitazione offre finalmente una cornice di mobilitazione No War che ognuno potrà declinare con i propri contenuti. Riteniamo che questo possa e debba essere l’auspicio di chi scenderà in piazza il 16 gennaio, per gridare già da ora: basta con la guerra.

=== 4 ===


COMUNICATO SUL 25° ANNIVERSARIO DELLA GUERRA DEL GOLFO

Comitato promotore della campagna #NO GUERRA #NO NATO

19 dic 2015 — Venticinque anni fa, nelle prime ore del 17 gennaio 1991, iniziava nel Golfo Persico l’operazione «Tempesta del deserto», la guerra contro l’Iraq che apriva la fase storica che stiamo vivendo.
Questa guerra, preparata e provocata da Washington con la politica del «divide et impera», veniva lanciata nel momento in cui, dopo il crollo del Muro di Berlino, stavano per dissolversi il Patto di Varsavia e la stessa Unione Sovietica. Approfittando della crisi del campo avversario, gli Stati Uniti rafforzavano con la guerra la loro presenza militare e influenza politica nell’area strategica del Golfo. 

La coalizione internazionale, formata da Washington, inviava nel Golfo una forza di 750 mila uomini, di cui il 70 per cento statunitensi, agli ordini di un generale Usa. Per 43 giorni, l’aviazione statunitense e alleata effettuava, con 2800 aerei, oltre 110 mila sortite, sganciando 250 mila bombe, tra cui quelle a grappolo che rilasciavano oltre 10 milioni di submunizioni. Partecipavano ai bombardamenti, insieme a quelle statunitensi, forze aeree e navali britanniche, francesi, italiane, greche, spagnole, portoghesi, belghe, olandesi, danesi, norvegesi e canadesi. Il 23 febbraio le truppe della coalizione, comprendenti oltre mezzo milione di soldati, lanciavano l’offensiva terrestre. Essa terminava il 28 febbraio con un «cessate-il-fuoco temporaneo» proclamato dal presidente Bush. 

La guerra del Golfo fu la prima guerra a cui partecipava sotto comando Usa la Repubblica italiana, violando l’articolo 11, uno dei principi fondamentali della propria Costituzione. I caccia Tornado dell’aeronautica italiana effettuarono 226 sortite, bombardando gli obiettivi indicati dal comando statunitense. 

Nessuno sa con esattezza quanti furono i morti iracheni nella guerra del 1991: sicuramente centinaia di migliaia, per circa la metà civili. Ufficiali statunitensi confermavano che migliaia di soldati iracheni erano stati sepolti vivi nelle trincee con carri armati trasformati in bulldozer. Alla guerra seguiva l’embargo, che provocava nella popolazione più vittime della guerra: oltre un milione, tra cui circa la metà bambini. 

Subito dopo la guerra del Golfo, gli Stati Uniti lanciavano ad avversari e alleati un inequivocabile messaggio: «Gli Stati Uniti rimangono il solo Stato con una forza, una portata e un'influenza in ogni dimensione – politica, economica e militare – realmente globali. Non esiste alcun sostituto alla leadership americana» (Strategia della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, agosto 1991).

La Nato, pur non partecipando ufficialmente in quanto tale alla guerra del Golfo, metteva a disposizione sue forze e strutture per le operazioni militari. Pochi mesi dopo, nel novembre 1991, il Consiglio Atlantico varava, sulla base della guerra del Golfo, il «nuovo concetto strategico dell'Alleanza». Nello stesso anno in Italia veniva varato il «nuovo modello di difesa» che, stravolgendo la Costituzione, indicava quale missione delle forze armate «la tutela degli interessi nazionali ovunque sia necessario». 

Nasceva così con la guerra del Golfo la strategia che ha guidato le successive guerre sotto comando Usa – contro la Jugoslavia nel 1999, l’Afghanistan nel 2001, l’Iraq nel 2003, la Libia nel 2011, la Siria dal 2013 – accompagnate nello stesso quadro strategico dalle guerre di Israele contro il Libano e Gaza, della Turchia contro i curdi del Pkk, dell’Arabia Saudita contro lo Yemen, dalla formazione dell’Isis e altri gruppi terroristi funzionali alla strategia Usa/Nato, dall’uso di forze neonaziste per il colpo di stato in Ucraina funzionale alla nuova guerra fredda e al rilancio della corsa agli armamenti nucleari. 

Su tale sfondo il Comitato No Guerra No Nato ricorda la guerra del Golfo di 25 anni fa, nel massimo spirito unitario e allo stesso tempo nella massima chiarezza sul significato di tale ricorrenza, chiamando a intensificare la campagna per l’uscita dell’Italia dalla Nato, per una Italia sovrana e neutrale, per la formazione del più ampio fronte interno e internazionale contro il sistema di guerra, per la piena sovranità e indipendenza dei popoli.

Comitato No Guerra No Nato



(english / italiano)

Turkish Influence in the Balkans

1) Turkey’s Islamist Agenda in Kosovo (D.L. Phillips)
2) Erdogan Fulfilling His NeoOttoman Dream Through Bosnia (G. Carter) / MR. IZETBEGOVIC’S MEIN KAMPF
3) FLASHBACK: Il caso Cesur– Ikanovic– Bektasevic (2005-2006)


Vedi anche:

JIHAD DAL KOSOVO? CHE BELLA SCOPERTA... [JUGOINFO 1.12.2015]

IL RUOLO DELLA TURCHIA NELLA CRISI JUGOSLAVA (1999)


=== 1 ===


The World Begins to See (but after the damage was done)

by Grey Carter – December 31, 2015


Our minarets are our bayonets,Our domes are our helmets, Our mosques are our barracks.  We will put a final end to ethnic segregation. No one can ever intimidate us.  If the skies and the ground were to open against us,   If floods and volcanoes were to burst, We will not turn from our mission.  My reference is Islam.”  – Tayyip Regep Erdogan, then Mayor of Istanbul, 1997.

I was surprised by an honest article concerning the ressurection of one of the bloodiest states ever – the Ottoman empire in Balkans. The article/analysis  appeared in Huffington post, and, even though some figures have been reduced (i.e.  number of the newly built mosques throughout Kosovo i Metohija) the author hits the nail and breaks the taboo and grave silence concerning the true nature of the so called state (quasi state)  of Kosovo.
Unfortunately, the author, despite his prominece and experience, at the end has completely missed the  point.
Another twenty years  period and perhaps they will make right conclusions.
I guess.

Turkey’s Islamist Agenda in Kosovo

by David L. Phillips – 12.29.2015.

Turkey’s President Recep Tayyip Erdogan addressed an audience in Prizren during an official visit to Kosovo in October 2013: “We all belong to a common history, common culture, common civilization. We are the people who are brethren of that structure. Do not forget, Turkey is Kosovo, Kosovo is Turkey!”
Turkey’s foreign policy in the Balkans promotes a neo-Ottoman agenda, aimed at expanding its influence in former territories of the Ottoman Empire. Turkey exports Islamism under the guise of cultural cooperation. It also seeks economic advantage, using business as leverage to consolidate its national interests.
The Turkish International Cooperation and Development Agency (TIKA) is a vehicle through which Turkey advances its ideological agenda. TIKA is the vanguard of Turkey’s Justice and Development Party (AKP), which supports Muslim Brotherhood chapters around the world. TIKA runs a parallel and complementary foreign policy to official state institutions, coordinating with Turkey’s Ministry of Culture and the Presidency of Religious Affairs to promote the AKP’s Islamist agenda.
TIKA operates like a social welfare agency. In Kosovo, it supports more than 400 projects in the fields of agriculture, health and education. Affordable health care is offered in Kosovo at Turkish-run hospitals and clinics, sponsored by TIKA.
Despite its extensive activities, Zeri reports that the Central Bank of Kosovo has logged only 2.7 million Euros transferred by TIKA to its Kosovo account between 2009 and 2014. TIKA transfers most funds in cash with no official record. It does not want to draw attention to its activities.
Most TIKA funds are used to restore Ottoman monuments and build mosques. For example, TIKA supported restoration of the Sultan Murat Tomb in Kosovo. It rebuilt Ottoman religious sites like the Fatih Mosque and the Sinan Pasha Mosque, which cost 1.2 million Euros. Since 2011, TIKA has restored approximately 30 religious structures from the Ottoman period and 20 new mosques across Kosovo. Erdogan personally pledged funds to build the country’s biggest mosque in Pristina.
In addition, TIKA supports regional Islamic unions and institutions. It subsidizes community based social mobilization projects, which promote Islam. TIKA’s network of Muslim community leaders and imams, which includes imams from Turkey, actively promotes Islam. Its benevolence includes food for the Iftar meal during Ramadan, delivered to impressionable Kosovars (“Kosovars” is a global media invention to mark exclusively Albanians who have flooded Kosovo Metohija after the aggression on Serbia 1999.  – G. Carter) in poor rural areas.
TIKA also sponsors schools in Pristina, Prizren, Gjakova  Djakovica – Albanization of toponymes is a crime, (someone should have warn western journalists – G. Carter) , and Peja ( it’s Pec). Some schools provide Qur’anic instruction, as well as Turkish language instruction. As many as 20,000 Turks reside in Kosovo, where Turkish is an official language. The Turkish Embassy in Pristina awards 100 scholarships for Kosovars (i.e. – Albanians, again); to study in Turkey each year.
But not all schools supported by TIKA are part of the formal education sector. Some function like madrassas, offering Islamic education, thereby contributing to the radicalization of Kosovar  (i.e. Albanian) youth. The Government of Kosovo acknowledges that more than 300 Kosovars have joined the Islamic State in Syria. The figure dates back a couple of years. Today’s number may be much higher.
Yunus Emre Turkish Cultural Centers are also vehicles for Turkish influence. According to its charter, Yunus Emre Centers “provide services abroad to people who want to have education in the fields of Turkish language, culture and art, to improve the friendship between Turkey and other countries.”
Support for educational institutions is a propaganda tool to foster a positive impression of Turkey among Kosovars. Turkey’s Minister of Education visited Kosovo and publicly asked Kosovo institutions to change history texts in order to portray Ottomans as liberators, rather than as occupants and aggressors.
Erdogan asked the Government of Kosovo to close schools established by Fetullah Gulen, with whom he had a falling out. Kosovo officials acquiesced, though Gulen schools offered quality education to Kosovars.
Turkish businessmen also benefit from Turkey’s aggressive religious and cultural promotion. A well-respected Turkish scholar asks of the AKP, “Are they Islamists or just thieves with a religious rhetoric?”
Turkey is Kosovo’s largest trading partner, after Serbia. The trade volume between Turkey and Kosovo was 206.5 million Euros in 2012. (Export to Kosovo was 199.5 million Euros; import from Kosovo only 7 million Euro). Trade volume slightly decreased in 2013-14 due to an economic slowdown in the region.
Tenders for some of the biggest public projects in Kosovo have been won by Turkish companies. The Limak Holding Company won the concession to manage the Pristina International Airport. The Çalık-Limak Consortium also acquired the Kosovo Energy Distribution Services. Limak pledged to invest 300 million Euros in the transmission system, but its investment still has not materialized.
The Merdare-Morina highway connecting Kosovo to Albania was built by the Turkish construction company, Enka, in consortium with Bechtel. Çalik-Limak has just started construction of the Pristina-Hani Elezit highway between Kosovo and Macedonia.
The award of tenders may be subject to political influence. Çalik Holding and Limak are politically well-connected. Erdogan’s son-in-law is a major shareholder in Limak.
The Turkish banking system dominates the financial sector in Kosovo. A majority of Kosovo’s major banks are Turkish, including the Turkish Economic Bank (TEB).
More than 900 Turkish companies operate in Kosovo. About 7,000 Kosovars are employed by Turkish companies in, for example, the food processing and textile sectors. It is hard to be accepted or keep a job in a business where the owner is Turkish if you don’t speak Turkish.
Kadri Veseli, a prominent Kosovo politician, was a former critic of Turkish concerns acquiring Kosovo state enterprises. Veseli bemoaned Turkey’s penetration as bad for both Kosovo’s economy and its EU aspirations.
Since becoming Speaker of Kosovo’s Parliament, however, Vaseli has not said a word about Turkey’s economic dominance. He and other prominent Kosovo politicians, including Foreign Minister Hashim Thaci, have close ties to Erdogan, as well as Turkish business and political leaders.
Turkey has cemented its influence through security cooperation. Around 2,000 Turkish soldiers were deployed as part of the KFOR peacekeeping mission in 1999. There are still 350 Turkish soldiers in Pristina and Prizren. Turkey has indicated its willingness to assume control of Bondsteel, the US base in Kosovo, as US forces withdraw.
Turkey has also shown itself a reliable political partner. Ankara was reluctant to endorse Kosovo’s independence, lest a parallel be drawn with its Kurdish minority. However, Turkey was one of the first countries to recognize Kosovo when it declared independence from Serbia in 2008. Prime Minister Ahmet Davutoğlu’s notion of “strategic depth” views Turkey as a regional power and an alternative to the EU for countries like Kosovo. Muslim solidarity is the centerpiece of Davutoğlu’s strategy to expand Turkey’s influence.
Davutoğlu explicitly linked Turkey’s foreign policy to its Ottoman legacy during a trip to Bosnia-Herzegovina in 2009. “The Ottoman centuries of the Balkans were a success story. Now we have to reinvent this.” He announced, “Turkey is back.”
Faster integration into Euro-Atlantic institutions is the best antidote to Turkey’s influence in Kosovo and the Western Balkans. US interests would also be served through intensified engagement in the region.
Closer cooperation between the US and Kosovo would be a bulwark against Turkey’s export of Islamism. It would also prevent the further radicalization of Kosovo society, staunching the flow of Kosovars (i.e. Albanian invaders in Kosovo Metohija) to join ISIS.
Mr. Phillips is Director of the Program on Peace-building and Rights at Columbia University’s Institute for the Study of Human Rights. He served as a Senior Adviser and Foreign Affairs Experts to the US Department of State during the Clinton, Bush, and Obama administrations. Phillips is author of “Liberating Kosovo: Coercive Diplomacy and US Intervention” (Kennedy School at Harvard University and NBC


=== 2 ===


Erdogan Fulfilling His NeoOttoman Dream Through Bosnia 

Posted on October 19, 2015 by Grey Carter

ERDOGAN: Alija left Bosnia to me to take care of –

Bosnia and Herzegovina today marks 12th anniversary of the death of former president Alija Izetbegovic, and on this occasion Turkish President Recep Tayyip Erdogan stated that he “… with great respect recalls the “first and great leader of Bosnia and Herzegovina”.
– On the occasion of the 12th anniversary of his death, I remember with great respect and late first and great leader of Bosnia and Herzegovina, Alija Izetbegovic – wrote Erdogan on his Fb profile as it was quoted in Bosnia i Hercegovina.
Erdogan, in his earlier statement, said that Izetbegovic “despite all pressures, evil, assimilation attempts, has never gone out of his way.”
– In spite of years of life spent in prison, Alija did not abandon the fight for their country and people. The ability and leadership that he has shown during the last war in Bosnia and Herzegovina is ranked as one of the greatest statesmen of the 20th century and history – said Edrogan and reminded that the author of Islamic declaration had left “a legacy to him – to take care of BiH”.

Alija Izetbegovic was born on 8 August 1925 in Bosanski Samac. He was one of the founders of the Party of Democratic Action (SDA) in 1990. That same year he was elected member of the Presidency of Bosnia and Herzegovina, and later was president of the Presidency of Bosnia and Herzegovina and in its place was from 1992 until 1995. On 19 October 2003, the Muslim Fundamentalist (or Islamist) leader, Alija Izetbegovic, age 78, died of heart failure. During the Bosnian war of the 1990s, European and Muslim governments and the US referred to Izetbegovic as the president of the so-called Bosnian government. 

MR. IZETBEGOVIC’S MEIN KAMPF
After so many Bosnian Muslims continuosly support and join ISIS and other similar organizations, i.e. Muslim brotherhood, Jabhat al Nusra, many (mostly American and Western in general) nations seemed sursprised.
How, on Earth, one so great nation that has been supported, a new nation that enjoyed every possible aid from the West, turned to be so hateful towards those who were ready to kill Christians in the middle of Europe in order to support them?
Only those naive and  kept in dark by mainstream media could be surprised. Neither Bosnian muslims were the victims, nor Bosnian war was a fight for freedom nor against some Serbian aggression as it has been media – portrayed for decades.
President Alija Izetbegovic’s Islamic Declaration, first published in 1970 when it earned him a prison sentence, demanded a fully-fundamentalist Muslim state in Bosnia without scope for non-Muslim institutions or any division between religion, politics, and economics. The book was republished in 1990 in Sarajevo (by Mala Muslimanska Biblioteka). It scathingly attacks Attaturk’s reforms and holds up Pakistan as a model to be followed.
“… Do we want the Muslim nations to cease moving in circles, to stop being dependent, backward and poverty-stricken;
do we want them to once again with a sure step climb the road of dignity and enlightment and to become masters of their own fate;
do we want the springs of courage, genius and virtue to come forth strongly once again;
then we must show the way which leads to that objective:
The implementation of Islam in all fields of individuals’ personal lives, in family and in society, by renewal of the Islamic religious thought and creating a uniform Muslim community from Morocco to Indonesia. …“
… A nation, and an individual, who has accepted Islam is incapable of living and dying for another ideal after that fact. It is unthinkable for a Muslim to sacrifice himself for any tzar or ruler, no matter what his name may be, or for the glory of any nation, party or some such, because acting on the strongest Muslim instinct he recognizes in this a certain type of godlessness and idolatry. A Muslim can die only with the name of Allah on his lips and for the glory of Islam, or he may run away from the battlefield. …“             (page 17)
“… In perspective, there is but one way out in sight: creation and gathering of a new intelligence which thinks and feels along Islamic lines. This intelligence would then raise the flag of the Islamic order and together with the Muslim masses embark into action to implement this order. …” (18)
“… The shortest definition of the Islamic order defines it as a unity of faith and law, upbringing and force, ideals and interests, spiritual community and state, free will andforce. As a synthesis of these components, the Islamic order has two fundamental premises: an Islamic society and Islamic authority. The former is the essence, and the latter the form of an Islamic order. An Islamic society without Islamic power is incomplete and weak; Islamic power without an Islamic society is either a utopia or violence.
A Muslim generally does not exist as an individual. If he wishes to live and survive as a Muslim, he must create an environment, a community, an order. He must change the world or be changed himself. History knows of no true Islamic movement which was not at the same time a political movement as well. This is because Islam is a faith, but also a philosophy, a set of moral codes, an order of things, a style, an atmosphere – in a nutshell, an integral way of life. …”   page 18
Despite the hype in the Western media, Izetbegovic was not fighting to affirm (let alone reaffirm!) some supposed Bosnian nationhood. Rather, he called for:
“…the implementation of Islam in all aspects of individuals’ personal lives, in family and in society, by the renewal of Islamic religious thought, and by creating a uniform Muslim community from Morocco to Indonesia. …”[4]
In other words, the Islamist takeover of Bosnia was intended as a step towards the creation of a unified Muslim world-state.  Quite the opposite of preserving the nonexistent ‘Bosnian nation’! And yet the fiction of a Bosnian nation, threatened by supposed Serb secessionists (the Serbs were in fact the people who didn’t want to secede from Yugoslavia) was sold to ordinary people in the West.
” FOR ALL MUSLIMS THERE IS BUT ONE SOLUTION: TO CONTINUE TO FIGHT, TO STRENGTHEN AND BROADEN IT, FROM DAY TO DAY, FROM YEAR TO YEAR, NO MATTER THE VICTIMS AND NO MATTER THE TIME” ….
pages 53-54
— END —


=== 3 ===

FLASHBACK 2005–2006: 

Il caso Cesur– Ikanovic– Bektasevic

In ordine cronologico inverso:
---

TERRORISMO: BOSNIA, RINVIO A GIUDIZIO PER TRE PERSONE

(ANSA) - SARAJEVO, 13 APR - I giudici del tribunale statale bosniaco hanno rinviato a giudizio oggi Mirsad Bektasevic, cittadino svedese originario della Serbia/Montenegro, di 19 anni, il turco Abdulkadir Cesur, 21 anni e il bosniaco Bajro Ikanovic, per reati di terrorismo. Lo ha reso noto un comunicato del Tribunale. I tre sono stati arrestati nell'ottobre dell'anno scorso, secondo la stampa su segnalazione dei servizi di sicurezza svedesi e turchi, perche' progettavano un attentato suicida contro un'ambasciata, non si sa se quella britannica o quella americana, a Sarajevo. Sono seguiti sei arresti in Danimarca, in base alle informazioni delle autorita' bosniache. Sei mesi fa erano stati arrestati altri due bosniaci, Amir Bajric e Hasanovic Senad, oggi rinviati a giudizio per detenzione illegale di armi. Esplosivi di diverso tipo, armi e munizioni e una cintura da adoperare per farsi esplodere, sono stati trovati all'epoca dell'arresto del gruppo nella casa affittata dal Bektasevic. (ANSA). COR-LG
13/04/2006 18:39 

---

http://www.slobodan-milosevic.org/news/dr041206.htm

Danish terror case led police to Al-Qa'idah hacker

BBC Monitoring Europe (Political) - April 12, 2006, Wednesday
Source: Danmarks Radio website, Copenhagen, in Danish 0532 gmt 12 Apr 06
Copyright 2006 British Broadcasting Corporation. Posted for Fair Use only.
Text of report by Danish radio website on 12 April; subheadings as published:

The terrorism case in Bosnia against a Danish-Turkish man and a Swedish citizen has yielded a big result for the American authorities.
The arrests led to the exposure of an infamous computer specialist who called himself the Arabic terrorist James Bond or "Irhabi 007."
Terrorist 007 – "Irhabi", which means terrorist in Arabic, has been causing both the British and American intelligence services problems for a couple of years and acted as an Al-Qa'idah warrior on the Internet, for example by hacking into the Arkansas' traffic ministry's Internet site.
From there "Irhabi 007" published everything from decapitations in Iraq to Al-Qa'idah recruitment films and weapons manuals, Newsweek magazine recently revealed. The magazine bases its information on unnamed sources in the American intelligence services.
The Al-Qa'idah hacker is also suspected of training terrorist sympathizers in fighting on the Internet.
Plans for attacking the White House – Two days after the action in the Balkans the British police went into action against three people who are suspected of planning a terrorist attack on the White House.
One of the three people arrested is 22-year-old Younis Tsouli. According to well-informed American intelligence services he later turned out to be the man behind the alias "Irhabi 007", Newsweek reports. The hacker's identity was revealed by chance.
Central sources in the American anti-terrorism authorities are talking of a major catch. It is said that the Arab "Terrorist 007" is an extremely clever computer specialist who has been linked with many Islamic terrorists online, including the Iraqi insurgent groups which are thought to be led by infamous Al-Qa'idah leader Abu Musab al-Zarqawi.
Al-Zarqawi has taken responsibility for several terrorist bombings in Iraq.
Big fish – Site, a private American organization which monitors Islamic extremists on the Internet, is also talking about a big fish. "Irhabi" is described as an infamous hacker who has been peerless in supplying Islamic extremists on the Internet with knowledge and expertise.
"He played an important role for Islamic extremists on the Internet. He enabled them to communicate, recruit and spread their radical ideology over the Internet. For example, Irhabi published horrific images from the war in Iraq and various weapons manuals on the Internet. He is also an expert in hacking and taught others how to spy on their enemies on the Internet without being detected," the head of Site, Rita Katz, tells Ritzaus [Danish news agency].
The British prosecuting authorities are now preparing a case against Younis Tsouli/Irhabi 007. This covers conspiracy to kill and planning terrorist acts.
According to Newsweek the trial will begin next January and if the Arab James Bond is convicted it will be a long time before he is online again.

---

http://www.slobodan-milosevic.org/news/dr041106.htm

DANISH TURK CHARGED WITH TERRORISM IN BOSNIA

BBC Monitoring International Reports - April 11, 2006 Tuesday
Source: Danmarks Radio website, Copenhagen, in Danish 1908 gmt 11 Apr 06
Copyright 2006 Financial Times Information
Copyright 2006 BBC Monitoring/BBC Source: Financial Times Information Limited. Posted for Fair Use only.
Text of report by Danish radio website on 11 April; subheadings as published:

The prosecuting authorities in Bosnia have decided to charge a Danish Turk, a Swede and a Bosnian with terrorism offences. Two others who were accused in the case have been charged with illegal possession of weapons and the possession of dangerous materials.
The court has to decide within a week whether the charges are sufficient for a court case. Court time will then be allocated to the case. If the three terror suspects are found guilty they risk between one and 15 years' imprisonment.
Terrorist attacks in Europe – The investigations in Bosnia have been underway for almost half a year since Danish Turk CA and Swede MB were arrested and imprisoned in Sarajevo on 19 October.
They are suspected of planning a terrorist attack at an unspecified location in Europe. The Bosnian police found 20 kilograms of explosive, body belts for suicide attacks and something resembling a farewell video in association with the arrests.
According to a source in the prosecuting authorities in Sarajevo no further terrorism charges are being prepared but investigations are continuing.
Evidence from Denmark – During the trial the prosecuting authorities will probably use evidence from Denmark. Deputy Chief Constable Finn Ravnborg and Detective-Inspector Sten Skovgaard of the Glostrup Police, who are investigating the Danish part of the case, were in Sarajevo in December, where they met the Bosnian prosecuting authorities to exchange information and evidence.
The Swede's defence solicitor, Idris Kamenica, does not believe the prosecuting authorities have sufficient evidence to convict his client. However, he has not yet seen the prosecuting authorities' material.

---

TERRORISMO: BOSNIA, INDAGATI UN TURCO E UNO SVEDESE

(ANSA) - SARAJEVO, 4 NOV - La procura bosniaca ha aperto un'inchiesta per reati di terrorismo e detenzione illegale di armi ed esplosivi a carico di due cittadini stranieri, arrestati in Bosnia il 19 ottobre e in stato di fermo. Lo ha reso noto la procura, riferisce l'agenzia di stampa Fena. Si tratta di Mirsad Bektasevic, cittadino svedese originario della Serbia/Montenegro e del turco Abdulkadir Cesur. L'inchiesta, ha reso noto la procura, viene condotta da un appositamente costituito team di magistrati e si sviluppa positivamente, ma per la delicatezza del caso non e' possibile rivelare per ora altri dettagli. Secondo la stampa, i due sono stati arrestati su segnalazione dei servizi di sicurezza svedesi e turchi, perche' progettavano un attentato suicida contro un'ambasciata, britannica o Usa, a Sarajevo. Insieme a loro era stato fermato anche un bosniaco, poi rilasciato perche' avrebbe solo affittato un appartamento a uno dei due arrestati. Nella casa affittata dal giovane svedese, sempre secondo la stampa, sono stati rinvenuti armi, esplosivi di diverso tipo, munizioni e una cintura da adoperare per farsi esplodere. Sono seguiti sei arresti in Danimarca, in base alle informazioni delle autorita' bosniache. (ANSA). COR
04/11/2005 18:18

---

TERRORISMO: BOSNIA, ARRESTATI SVEDESE, TURCO E BOSNIACO

(ANSA) - SARAJEVO, 21 OTT - La polizia di Sarajevo ha reso noto di aver arrestato ieri tre persone, un cittadino svedese, uno turco e un bosniaco, sospettati di aver preparato un attacco terroristico in Bosnia. Per il momento, ha detto il portavoce della polizia Robert Cvrtak, non e' possibile rendere noti altri dettagli nell'interesse delle indagini. Sono state perquisite anche due case nell'area di Sarajevo nelle quali sono state trovate armi, esplosivi e altro materiale militare. Secondo la stampa locale, uno dei tre arrestati e' un diciottenne, gia' 'tenuto d'occhio' in diversi paesi europei, Germania, Svezia, Francia, e che si preparava a compiere un attentato suicida contro l'ambasciata di un paese dell'Unione europea a Sarajevo. Proprio a casa sua sarebbero state trovate armi ed esplosivo. (ANSA) COR
21/10/2005 12:31




Deportati, liberatori e falce e martello fuori da Auschwitz. Lo scempio è compiuto!

Nel  70° anniversario della liberazione di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa, il memoriale italiano che ricorda tutti i deportati italiani, l’antifascismo, la resistenza e i liberatori, è stato rimosso dal blocco 21 di Auschwitz per motivi revisionisti e negazionisti e forse sarà ricollocato accanto all’Ipercoop di Firenze.  

Vergogna ai responsabili di questa offesa.
Il 27 gennaio 2016, Giorno della Memoria, tutti con l’Armata Rossa. 

Gherush92 Committee for Human Rights 

---

Per questo scempio si ringraziano, in ordine di non-apparizione:
Le istituzioni della Repubblica Italiana
Gli Istituti di Storia della Resistenza e dell'Età Contemporanea
Elie Wiesel
I giornalisti del TG1, TG2, TG3 e di tutti i quotidiani
Vittorio Sgarbi
I partiti "democratici"
Gianni Pittella e il suo padrino Martin Schulz

Sulla campagna contro lo smantellamento del Memoriale Italiano di Auschwitz si veda:



(deutsch / english / italiano)

Alla ricerca di un ordine mondiale sicuro

Dalla conferenza internazionale: “Yalta, Potsdam, Helsinki, Beograd: alla ricerca di un ordine mondiale sicuro", Belgrado, 24–25 Novembre 2015

1) Tensioni e scontri – Conseguenza delle strategie occidentali / Rede auf Tagung des Belgrad-Forums (Živadin Jovanović)
2) PROPOSITIONS of the International Conference held on 24-25 November 2015 in Belgrade, Serbia
3) «Wir sind eine Welt der Gleichen, und wir sollten uns das nicht nehmen lassen» (Anrede von Willy Wimmer)


Leggi-vedi anche / Also to read-see:

“Yalta, Potsdam, Helsinki, Belgrade: Searching for a Secure World Order”
The International Conference  held in Belgrade on 24 & 25 November 2015
0) VIDEO (links)
1) Предлози Међународне научно-друштвене конференције „Јалта-Потсдам-Хелсинки-Београд: у потрази за безбедним светским поретком“ (Сава Центар 23-25 новембар 2015)
2) Novo nije zaborav starog (SUBNOR)
3) Yalta, Potsdam, Helsinki, Belgrade. How can we build a more secure world order?
4) Živadin Jovanović: INSTABILITY AND CONFLICTS – OUTCOME OF THE STRATEGY OF THE WEST


=== 1 ===

ORIG.: ЗАОШТРАВАЊЕ И СУКОБИ – ПОСЛЕДИЦА СТРАТЕГИЈЕ ЗАПАДА (Сава Центар 23-25 новембар 2015 – Живадин Јовановић)
http://www.beoforum.rs/sve-aktivnosti-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/88-sava-centar-23-25-novembar-2015/765-zaostravanje-i-sukobi-posledica-strategoje-zapada-zivadin-jovanovic-.html
ENGLISH: INSTABILITY AND CONFLICTS – OUTCOME OF THE STRATEGY OF THE WEST (Živadin Jovanović)



Tensioni e scontri – Conseguenza delle strategie occidentali

Intervento di Zivadin Jovanović alla conferenza internazionale “Yalta, Potsdam, Helsinki, Beograd: alla ricerca di un ordine mondiale sicuro", Belgrado, 24, 25 Novembre 2015

Settant’anni dopo la conferenza degli alleati a Yalta e Potsdam e quarant’anni dopo l’approvazione della Carta di Helsinki i rapporti internazionali sono entrati in un periodo di profondi cambiamenti. È finito il periodo dei rapporti bipolari e unipolari a livello mondiale. Non è più possibile tornare ai vecchi concetti. L’ordine mondiale sta diventando multipolare.

Il processo di multipolarità non si svolge facilmente ma non si può fermare. Sono particolarmente preoccupanti le aspirazioni di mantenere ad ogni costo, inclusa la forza militare, il dominio e il privilegio, sancire il diritto all’eccezionalità, interventi globali ed espansione militare verso l’est. La politica della forza con la quale l’occidente, con a capo gli USA, tende a mantenere i privilegi ed a controllare le ricchezze del pianeta, ha causato instabilità, conflitti e la distruzione di molti paesi e società. I centri di potenza occidentali che sono portatori di tale politica totalitaria sono responsabili per l’instabilità e le tensioni drammatiche nei rapporti a livello globale che possono portare conseguenze catastrofiche per l’umanità.

Le prime vittime di tale politica nel passato recente sono state due Jugoslavie – l’una sfasciata, causando guerre civili all’inizio degli anni ’90 di secolo scorso e l’altra distrutta durante l’aggressione illegale della NATO nel 1999. Così i Balcani sono diventati una zona di prolungata instabilità. Con la revisione della storia “in vivo” sotto il patrocinio dell’occidente, sono stati creati alcuni staterelli che difficilmente possono svilupparsi autonomamente ed essere indipendenti. La creazione forzata di frontiere nuove violando i principi fondamentali della Carta di Helsinki è ancora nel corso. La prova è l’usurpazione della regione del Kosovo e Metohija e il rilancio dei piani per creare la cosiddetta Grande Albania. La vittima più grande della strategia distruttiva degli USA e dell’occidente nei Balcani è il popolo serbo sottomesso al controllo di regimi servili. Paradossalmente, la frammentazione della nazione serba da una parte e in parallelo la creazione di altre nazioni d’altra parte, è interpretata dall’occidente come un contributo alla pace e stabilità e rispetto degli standard europei e democratici! 

La questione nazionale serba non è solo sollevata ma anche peggiorata con la frammentazione e mancanza dei diritti. È difficile che questa situazione creata con la forza sia nell’interesse

di pace e stabilità. Si tratta chiaramente delle aspirazioni geopolitiche, degli interessi imperialistici e di nient’altro.

Che sia così viene confermato da frammentazioni analoghe di una serie di altri paesi sovrani e delle nazioni in varie parti del mondo. I potenti centri occidentali, in ogni caso non rinunceranno alla strategia di “ricostruzione territoriale” dei paesi sovrani con attacchi armati, “rivoluzioni colorate” ed altri metodi inammissibili – in Sud America, Africa e Asia. Al separatismo in Europa basta come incoraggiamento anche solo l’approvazione di secessione unilaterale di Kosovo e Metohija. 

La politica di dominio, espansione militare e interventi al livello globale in flagrante violazione del diritto internazionale ha portato alla mancanza di fiducia, a divisioni, ad una retorica da guerra fredda. L’Europa è coperta da una rete di basi militari straniere, dalle forze per interventi immediati, dagli “schermi antimissili”, dalle pattuglie aeree dal Baltico fino all’Anatolia. Oggi in Europa ci sono più basi militari straniere, bombardieri e bombe nucleari che nel periodo di massima tensione della guerra fredda. Ci chiediamo: perchè tutto questo?

È l’ultimo momento utile per fermare queste tendenze pericolose e quasi drammatico aumento delle tensioni che sempre di più compromettono sicurezza, pace, convivenza e rapporti normali. Invitiamo al dialogo e partneriato nella risoluzione di tutti i problemi prima che si perda il controllo dei rapporti drammatici. Il comportamento autoritario nel palcoscenico internazionale, l’espansione militare e i doppi standard devono essere sostituiti dal rispetto reciproco, dal dialogo e dai compromessi. Buonsenso, responsabilità politica e disponibilità ai compromessi sono necessari più che mai.

Una Serbia e una Belgrado militarmente neutrali sono il sito giusto per promozione del dialogo democratico e dei pari diritti sugli argomenti più importanti di sicurezza e collaborazione. Belgrado è stata vittima di aggressioni, occupazioni e terribili distruzioni più spesso di altre capitali d’Europa. Tale fatto rappresenta il suo diritto morale e l’impegno ad essere promotore del dialogo, comprensione e ricostruzione di fiducia. D’altra parte, a Belgrado è nato il movimento dei paesi non allineati, il gruppo più numeroso dopo le Nazioni Unite a favore della libertà dei paesi sotto colonialismo, della democrazia nelle Nazioni Unite e della codificazione di diritto internazionale.

Belgrado è stata a capofila dei paesi neutrali e non allineati d’Europa – Cipro, Malta, SFRJ, Austria, Finlandia, Svezia, Svizzera – che sono stati promotori della Carta di Helsinki. Questa Carta basata sugli accordi ottenuti a Yalta e Potsdam, sui risultati della II guerra mondiale e sulla Carta delle Nazioni Unite rappresenta il risultato storico e la strada per le iniziative nuove per garantire un’uguale sicurezza a tutti i paesi, aldilà della superficie, del numero di cittadini e della forza economica o militare. Per il suo contributo al processo di sicurezza e ai rapporti di collaborazione Belgrado è stata ricambiata con la scelta di ospitare nel 1977 la prima Conferenza dell’OSCE dopo Helsinki.

La sicurezza e la stabilità in Europa sono legate alla sicurezza e stabilità nelle regioni limitrofe, nel Mediterraneo e nel mondo. Perciò la sicurezza e la stabilità permanente in Europa non possono essere garantite se non sono collegate con sicurezza e stabilità nel Medio Oriente, Asia, Nord Africa (Magreb) e in generale in tutta Africa. 

La fine della guerra in Siria ha estrema importanza non solo per i popoli della regione ma anche per l’Europa. Contemporaneamente, sono necessarie iniziative per la ricostruzione degli stati distrutti come Afganistan, Irak, Yemen, Somalia, Libia ed altri. L’Europa come gli altri paesi ricchi del mondo dovrebbero sostenere ricostruzione economica e sociale di questi paesi. Se non l’unica, ciò è una condizione molto importante per fermare immigrazioni di profughi di guerra oppure causate dalla povertà che pesa sull’Europa, particolarmente sull’Unione Europea che ha serie difficoltà anche senza queste immigrazioni.

Dopo tutti gli eventi tragici e le missioni di pace dell’OSCE e dell’ONU dall’inizio degli anni ’90 del secolo scorso fino ad oggi, non si sono normalizzati tutti i rapporti nei Balcani nè abbiamo stabilità. Secondo noi, il motivo principale è che i Balcani, nonostante siano la culla della civiltà e della democrazia europea, non sono stati mai in realtà una parte integrante d’Europa, con pari diritti. È l’ultimo momento utile per cambiare la posizione tradizionale e discriminatoria dei centri potenti occidentali sui Balcani come l’intestino cieco, deposito di tecnologie arretrate o di un territorio per tragici giochi geopolitici e sperimentazioni.

Tenendo presente il sito dove viene tenuta la nostra Conferenza e lo sviluppo preoccupante nei Balcani (frequenti attacchi terroristici, instabilità in Macedonia, Montenegro, ricatti sempre più forti dell’Occidente verso la Serbia, le pressioni per le revisioni dell’Accordo di Deyton e per l’unificazione in Bosnia Erzegovina), noi avvertiamo e invitiamo i responsabili a cessare la politica del diktat e del ricatto, a non peggiorare la situazione e a non accendere le tensioni. È molto importante appoggiare il rispetto dell’Accordo di Deyton sulla pace in Bosnia Erzegovina come pure quello della Risoluzione del Consiglio di sicurezza 1244 (1999), sullo status della regione Kosovo Metohija e dei documenti internazionali legali.

I profughi e gli immigrati sono una conseguenza degli scontri politici e militari, delle dottrine non accettabili, dei saccheggi coloniali per secoli, dell’avidità e di futuro senza certezza. Questo problema non può essere risolto costruendo recinti o mura, con le pattuglie di polizia o militari oppure con enormi centri collettivi e tanto meno facendo riferimento a Dublino o a cosiddetti accordi di riammissione.

Il presupposto immancabile per ottenere successo nella lotta contro i terroristi è fermare ogni tipo di appoggio diretto o nascosto al cosiddetto Stato islamico, fermare finanziamento, formazione e armamento delle organizzazioni dei terroristi.

Tenere una posizione uguale verso il terrorismo e i terroristi, senza distinzioni tra i “nostri” ed i “loro”, è altresì un presupposto per il successo nella lotta.

Lo sviluppo sociale ed economico dei paesi di origine del terrorismo e dell’emigrazione, inclusi i piani per la ricostruzione, formazione e occupazione dei giovani deve altresì diventare parte integrante di una strategia globale della comunità internazionale nella lotta contro il terrorismo.

Non è il momento giusto per organizzare una Conferenza al livello mondiale sulla lotta contro il terrorismo con l’obiettivo di mettere in atto l’organizzazione e portare a termine l’adozione di un Documento internazionale sotto il patrocinio dell’ONU sulla lotta contro il terrorismo?

Da Helsinki 1975 fino a Belgrado 2015 sono successi grossi cambiamenti nei rapporti globali. Quando è stata fondata, l’OSCE aveva 35 membri, oggi ce ne sono 57. In 40 anni l’OSCE ha avuto esperienze positive ma anche numerose negative. All’inizio degli anni ’90 l’OSCE ha violato il sistema del consenso e per quanto riguarda la Yugoslavia ha emesso u a decisione pericolosa “ad hoc” senza precedenti secondo il modello del “consenso meno uno”. Alla fine del 1998 e agli inizi del 1999 l’OSCE si è lasciata manipolare durante la Missione per la verifica nel Kosovo. Invece di costituire una Missione civile per la verifica dell’attuazione dell’accordo del 13 ottobre 1998, tale Missione di 1300 persone era in primis costituita dalle persone del servizio d’informazione dell’esercito e della polizia, che hanno appoggiato la ricostruzione e l’abilitazione dell’organizzazione terroristica UCK, messa in rotta durante le operazioni antiterroristiche delle forze di sicurezza serbe. Questa Missione aveva come rappresentante l’americano Wolker, che ha preparato l’aggressione della NATO, pianificata molto prima della Missione stessa. Durante l’aggressione, l’aviazione NATO ha usato l’UCK come alleato di terra.

Oggi l’OSCE fronteggia nuove sfide. Ci sono dei motivi per riflettere seriamente sulla Carta dell’OSCE in cui sarebbero elaborati gli obiettivi, organizzazione e metodi di lavoro e adeguati alle esperienze acquisite, ai cambiamenti riscontrati e alle nuove sfide.

La sicurezza non è privilegio dei potenti e grandi nè dei membri dei club esclusivi, ma un pari diritto di tutti i popoli e stati, aldilà del loro territorio o della loro forza militare o economica. Perciò i nostri sforzi devono essere indirizzati verso la costruzione e il miglioramento del sistema che potrà garantire uguale sicurezza a tutti gli stati e popoli.

 

Traduzione di Rajka V. Per Forum Belgrado Italia


---


Rede von Zivadin Jovanovic auf Tagung des Belgrad-Forums

Am 24. und 25. November fand in der Hauptstadt Serbiens eine Tagung des »Belgrad-Forums« unter dem Titel »Jalta, Potsdam, Helsinki, Belgrad: Auf der Suche nach einer Sicherheitsordnung« statt. Der Präsident des Forums, Zivadin Jovanovic, hielt eine Rede zum Thema »Instabilität und Konflikte – das Resultat der Strategie des Westens«, die jetzt auf deutsch vorliegt. Ein Auszug:

Siebzig Jahre nach den Konferenzen der Alliierten in Jalta und Potsdam, und 40 Jahre nachdem die Schlussakte von Helsinki angenommen wurde, sind die internationalen Beziehungen in eine Periode tiefgreifender Veränderungen eingetreten. Die Zeitalter bipolarer und unipolarer Weltordnung sind vorüber. Eine Wiederherstellung der alten Methoden und Konzepte ist nicht mehr möglich. Die Weltordnung entwickelt sich unwiderruflich zu einer multipolaren hin. (…) Der Prozess der Multipolarisierung verläuft nicht glatt. Besonders beunruhigend sind Tendenzen, die darauf abzielen, Vorherrschaft und Privilegien gewisser Länder zu erhalten, die das von ihnen beanspruchte Recht auf eine Ausnahmestellung, auf globalen Interventionismus und militärische Expansion Richtung Osten mit allen Mitteln, auch mit militärischer Gewalt, legitimieren wollen. Das Ergebnis einer solchen Politik der Gewalt, wie sie der von den USA beherrschte Westen anwendet, wenn es darum geht, diese Privilegien beizubehalten und den Reichtum unseres Planeten zu kontrollieren, bedeuten Destabilisierung, Konflikte, und die Verwüstung vieler Staaten und Gesellschaften. Die Verfechter einer solchen totalitären Politik tragen die Verantwortung für die Destabilisierung und die dramatische Eskalation, durch die der Menschheit eine Katastrophe droht.

Erste Opfer dieser Politik waren in jüngster Zeit die zwei Jugoslawien – einmal, als das Land Anfang der 1990er Jahre durch aufgezwungene Bürgerkriege zerrissen wurde, und zum zweiten, als es durch die illegale Aggression der NATO im Jahre 1999 verwüstet wurde. Damit wurde der Balkan zu einer Zone anhaltender Instabilität. Der vom Westen geförderte Prozess eines Umschreibens der Geschichte »in vivo« (»im lebenden Organismus«, jW) brachte mehrere Kleinstaaten hervor, die kaum eine Chance auf autonome Entwicklung und Unabhängigkeit haben. Und es hat den Anschein, als ob die gewaltsame Festlegung neuer Grenzen unter Verletzung der Grundprinzipien des Helsinki-Dokuments noch nicht zu Ende ist. (…) Die wirtschaftlichen und sozialen Probleme nehmen rasch zu, die Arbeitslosigkeit bei Jugendlichen erreicht dramatische Größenordnungen.

Diese Einschätzung wird gestützt durch das Zerschlagen einer Reihe anderer souveräner Staaten und Nationen in der ganzen Welt auf ähnliche Weise. Offensichtlich verzichten die westlichen Machtzentren nicht auf ihre Strategie einer »territorialen Neuordnung« souveräner Staaten durch bewaffnete Überfälle, »Farb-Revolutionen« und andere unerlaubte Methoden, wie sie in Südamerika, Afrika und Asien angewandt werden. Das liberale Kapitalismussystem produziert Finanz- und Wirtschaftskrisen, Armut, Elend. Das hat zu einer Wirtschaftsmigration noch nie dagewesenen Ausmaßes geführt. Gleichzeitig treiben Aggressionen und bewaffnete Konflikte Millionen aus ihrer Heimat ins Exil.

***

Source: http://www.jungewelt.de/2015/12-12/039.php


=== 2 ===



The participants of the International Science and Public Conference Yalta – Potsdam – Helsinki – Belgrade: In Search for Secure World Order dedicated to the historic agreements and pressing issues of security and cooperation in Europe, which has brought together representatives of many states around Europe, Asia and America, following the results of a widespread public dialog and opinion interchange that took place during the year of the 70th anniversary of the Yalta and Potsdam Conferences and the 40th anniversary of the signing of the Final Act of the Conference on Security and Cooperation in Europe, consider it necessary to declare:

The issues of security and cooperation in Europe and in the whole world have been a long established subject matter of interstate agreements and inter-country collaboration. At the same time, we believe that the current state of affairs makes a true progress and continuous headway movement impossible without the support of the public opinion and involvement of non-governmental initiatives in the development of the system of security and cooperation in Europe, based on mutual trust.

This has become ever more evident after Turkish military air force shot down the Russian fighter jet conducting a flight as part of the anti-terrorist operation in Syria and Iraq, which may lead to tragic consequences for peace in the whole world. The Conference also underscores that without Russia’s participation it is impossible to resolve the Syrian crisis and counteract international terrorism deeply rooted in many regions around the globe.

We are convinced that the terrorist attacks in Turkey, the explosion of the Russian jet over the Sinai peninsula and mass murders in Paris that claimed hundreds of lives have brutally challenged the global community and demonstrated the necessity of searching for the new approaches, reinforcing and joining the efforts for a coordinated fight against international terrorism and extremism as a global threat to humanity. 

In this respect we consider it necessary to urge the Organization for Security and Cooperation in Europe, other international organizations and the global community in general to consider specific proposals on optimization of activity in the sphere of security and cooperation, strengthening mutual understanding and the search of compromises on the pressing issues. We suppose that the International Science and Public Conference Yalta – Potsdam – Helsinki – Belgrade: In Search for Secure World Order, held in Serbia, a country with a non-aligned status and rich traditions of a European political center of the Nonaligned Movement, may start a meaningful international public dialog on the ways of creating an effective system of security and cooperation in Europe. Therefore we believe that the Final Document of the International Conference may be presented at the OSCE Ministerial Council that will take place on 3-4 December, 2015 in Belgrade.

 

SECURITY AND COOPERATION IN EUROPE AT THE PRESENT STAGE

 

The Yalta and Potsdam Conferences and the signing of the Final Act of the Conference on Security and Cooperation in Europe, the anniversaries of which are celebrated this year, have become the most important events in the contemporary history and in many respects have laid the foundation for the modern system of security in Europe and in the world in general. This system somehow successfully functioned in the post-war period and has become a significant heritage of the overall results of WWII, and came as the result of immense losses, suffered by the peoples during the years of the world’s latest global conflict. 

However the current stage of international relations in Europe and the world is characterized by a growing danger of acute conflicts, absence of effective global and regional safety practices and major turmoil prevention mechanisms.

Today’s world is facing increasing risks and threats to its security and stability. A special concern is that the existing framework of foreign relations in Europe is experiencing a crisis of mutual trust. 

Breach of the main principles of the international law, including the UN Charter, the Helsinki Final Act, unfortunately, has become a norm. Here in Belgrade, the capital of Serbia where this Conference takes place, we should not forget that Yugoslavia was the first victim of the direct violation of the Helsinki Agreements. In this respect we ask all actors of foreign relations to support the observance of international law and the main principles of foreign relations, to fulfill in good faith all obligations and strengthen credibility of universal international organizations. 

Considering the location of this Conference, we emphasize a vital necessity of supporting peace and security in the Balkans as a constituting part of Europe and of the European system of security, and in this respect, a particular importance of the strict observance of the Dayton Accord, the UN Security Council Resolution №1244 (year 1999) and other international legal documents of obligations. 

Europe and the world in general are witnessing a rapid increase in extremism and terrorism. Indeed security and stability in Europe are inseparable from the stability in the other regions of the world. Therefore the future of the European stability can be perceived and correctly reflected only within the context of stability in the Middle East, Asia and Africa. 

A particular concern is that growing propensity towards conflict in Europe leads to yet another exceptionally dangerous trend – the trend of world fragmentation, drawing of new dividing lines, also in Europe. In this respect, one should acknowledge the fact that resolving the pressing issues of security and safety, laying the foundations of the system of collaboration in the European space in the XXI century, will have to take place against the background of acute social and economic problems, unprecedented migration, growing military escalation, and multiple relapses to block thinking. Security is not a privilege; it is an equal right of all peoples and states. Therefore our efforts should be aimed at the development and improvement of the system that will guarantee equal security for everyone. 

We are sure that at present Europe should set a course for creating a truly free space, based on respect of the international law and equality of all people and states, regardless of the size of the territory, population, economic or military power. We believe that the main condition for this is to respect and observe the UN Charter, the principles of the Helsinki Final Act, the Charter of Paris, the role of the UN and in particular the role of the UN Security Council, without any exceptions, lawlessness or double standards. 

We suppose that in the XXI century all peoples and states in Europe should enjoy equal possibilities in the sphere of security irrespective of their participation in military, economic and regional organizations. This denotes a necessity of creation of a common area of security and a new level of cooperation and trust among the European countries. 

We see Europe of the XXI century as the area of true partnership, respect of sovereignty and territorial integrity, where there rules the freedom of choice of inner development and foreign policy, without any interference into internal affairs, especially in the sphere of security, elections, constitutional arrangement, privatization and human rights. We support the prevention of any conflicts by way of dialog and strictly political means that would guarantee observation of legal interests of all parties.

 

THE ROLE OF ORGANIZATION OF SECURITY AND COOPERATION IN EUROPE

 

We strongly believe that the 40th anniversary of the Helsinki Final Act is a good reason for an open public demand for returning the function of the main Common European security organization to the OSCE. 

We think that under the circumstances of the European security crisis the OSCE is to obtain a new chance for constructive implementation of the principles, on which the system of security in Europe was being built for years, the principles worked out following the results of the Yalta and Potsdam Conferences of 1945 and based on the outcome of the Helsinki Conference on Security and Cooperation in Europe of 1975. We are convinced that the OSCE has a potential for a significant input into resolving the migrant crisis in Europe, overcoming the return of block thinking, strengthening trust and helping the recovery from crisis in the area of the European security in general.

In this respect we consider it necessary to: 

1. Assist the adoption of the Charter of the Organization for Security and Cooperation in Europe aimed at securing the independence and objectivity in the work of the OSCE, making the OSCE a fully-featured international organization, as well as providing better accordance of its activity to the goals originally set at its establishment. 
It is necessary to re-confirm the principles on which the system of security in Europe was being built for years, and which were worked out following the results of the Yalta and Potsdam Conferences of 1945 and based on the outcome of the Helsinki Conference on Security and Cooperation in Europe of 1975. It is important to ascertain that all of the OSCE member-states fully adhere to them without exception.

2. Initiate non-governmental assistance in the work undertaken by the OSCE.

The conference participants also address the OSCE and public interest organizations in the member countries proposing to grant this event the status of an annual public conference on the pressing issues concerning security and cooperation in Europe.

We strongly believe that holding an annual conference in the OSCE presiding country inviting the best experts and public figures in Europe shall facilitate the establishment of a system of non-governmental monitoring of the OSCE activities and a system of public expert assessment of the pressing issues related to security and cooperation in Europe. We think that this proposition will enjoy a broad support of the European society as a timely idea aimed at developing interstate interaction in Europe based on the principles of openness and dialog.

3. From our point of view, the first crucial point towards solving the pressing issues of security and cooperation in Europe shall be the creation of a continuously operating sociopolitical International Expert Center (under the auspices of the annual science and public conference) responsible for:

а) monitoring the OSCE activities in order to provide information on the Organization's work at the annual science and public conference on the issues of security and cooperation in Europe,

б) holding regular closed sessions in the presiding country in order to provide independent experts with a platform for exchange of opinions on the pressing issues of security and cooperation.

 

Creating an International Center designed to become a continuous expert platform for exchange of opinions and broad expert consultations concerning issues of security and cooperation is, in our view, especially relevant whenever there is a deficit of confidence building measures and efficient and permanent information interchange channels.

We, the participants of the International Science and Public Conference «Yalta – Potsdam – Helsinki – Belgrade: In Search for Secure World Order» on the pressing issues of security and cooperation in Europe, are convinced that in the XXI century Europe is facing a difficult process of overcoming animosities and de-escalating the propensity towards conflict, solving multiple economic and social problems, and consequences of open violation of international law. We are positive that through joined effort we will be able to create a truly free space based on the principles of security and cooperation without demarcation lines and «iron curtains» which may become an example for the whole contemporary world to follow.

Participants of the Conference call on the Ministry of the Foreign Affairs of Serbia (as the OSCE 2015 presiding country) represented by the Minister of Foreign Affairs Ivica Dačić to inform the Ministers of Foreign Affairs of the OSCE member countries, who shall meet on December 3-4, 2015 in Belgrade, about the International Conference and its conclusions.


=== 3 ===


«Wir sind eine Welt der Gleichen, und wir sollten uns das nicht nehmen lassen»

von Willy Wimmer

Am 24. und 25. November 2015 war die serbische Hauptstadt Belgrad der Treffpunkt einer internationalen wissenschaftlichen Konferenz unter dem Titel «Jalta, Potsdam, Helsinki, Belgrad: Auf der Suche nach einer Sicherheitsordnung». Die Zusammenkunft der Wissenschaftler, Diplomaten, Politiker und Persönlichkeiten des öffentlichen Lebens aus über 20 Ländern Europas und der Welt war dem 70. Jahrestag der Konferenzen von Jalta und Potsdam (1945) gewidmet. Die Veranstalter waren das Belgrade Forum for a World of Equals und zwei russische Organisationen: das Center of National Glory und der Fund of Saint Andrew. Der Text gibt die dortige Rede von Willy Wimmer wieder.

Hochverehrter Herr Staatspräsident,
Herr stellvertretender Ministerpräsident Dacic,
meine Herren Co-Vorsitzenden,
für die serbische Seite, Herr Jovanovic,
für die russische Seite, Herr Jakunin

Es besteht kein Zweifel. Die Welt ist im Umbruch. Es besteht auch kein Zweifel daran, dass der Name der Stadt Belgrad mit diesem Umbruch verbunden ist. Vielleicht ist Belgrad sogar das erste europäische und damit für uns sichtbare Signal für diesen Umbruch. Es war Belgrad, das mitten im Frieden Ziel von Nato-Bomben geworden ist. Belgrad sollte der Schlüssel zur unipolaren Welt sein.
Und heute? Wir treffen uns in Belgrad. Wir müssen uns fragen, ob Belgrad uns Hoffnung oder Antworten auf unsere Fragen gibt? Oder ist unser Treffen in Belgrad nur ein Zwischenschritt auf dem Weg in eine noch grössere Katastrophe für uns in Europa und darüber hinaus?
Fast scheint es so, dass es eine gewisse Art von Hoffnung gibt. Diese Hoffnung, ob wir es wollen oder nicht, ist mit dem Auftreten der Russischen Föderation im syrischen Konflikt verbunden. Ich will aus Zeitgründen nicht auf den Grund eingehen, warum es diesen schrecklichen Bürgerkrieg mit Millionen Opfern gibt. Bevor Syrien als Land vollends ausgelöscht werden konnte, hat die Russische Föderation in Übereinstimmung mit allen geltenden Regeln des Völkerrechtes entschieden, in den Konflikt einzugreifen. Sie hat dies an der Seite der legitimen Regierung getan, und zum ersten Male seit gut vier Jahren scheint der Bürgerkrieg nicht uferlos zu werden. Die Mächte reden miteinander.
Dieses entschlossene russische Vorgehen nach dem Motto «bis hierher und nicht weiter» haben wir bereits nach dem von anderen Kräften unterstützten Putsch in der Ukraine gesehen. Wenn wir nach gut zwei Jahren die damalige Entwicklung in der Ukraine betrachten, hat die Russische Föderation uns alle in Europa und vielleicht sogar darüber hinaus vor dem grossen Krieg bewahrt. Es war offenkundig, dass andere über den Putsch ihre Vorteile in Zusammenhang mit der Krim suchen wollten. Auch und gerade wegen der Rolle der Krim in Zusammenhang mit der Entwicklung in Syrien. Wenn dies in Übereinstimmung mit den geltenden Regeln des Völkerrechtes zu einer Volksabstimmung mit anschliessender Aufnahme der Krim in den Staatsverband der Russischen Föderation geführt hat, dann sollte man sich an anderer Stelle fragen, warum man die Ukraine in den Putsch getrieben hat.
Dabei müssen wir Belgrad im Auge behalten und der Russischen Föderation den Erfolg in Syrien wünschen, ohne den es für uns alle sehr dunkel wird. Es hat nicht nur etwas mit den allgemein akzeptierten Regeln des Völkerrechtes zu tun. Die sollten mit dem Krieg gegen die Bundesrepublik Jugoslawien endgültig beseitigt werden. Dabei ist man gezielt gegen die Charta der Vereinten Nationen vorgegangen und wollte sie genau so zerstören, wie man später die chinesische Botschaft in Belgrad vor einer absehbaren Beendigung des Jugoslawien-Krieges gezielt durch einen angeblich «einsamen Bomber» zerstört hat.
Das war nicht irgendein Ereignis. Mit den Bomben auf eine friedliche Stadt sollte von der Charta der Vereinten Nationen über die Schlussakte von Helsinki bis hin zu dem Wiener Übereinkommen für diplomatische Verhandlungen alles das zerstört werden, was es uns möglich gemacht hat, das Ende des Kalten Krieges und – ich sage das als Deutscher – das Ende der Teilung unseres Landes zu erreichen. Wir haben zu keinem Zeitpunkt in unserer europäischen Geschichte über derart viele völkerrechtlich allgemein akzeptierte Regeln verfügt, um mit kleinen und grösseren Schwierigkeiten fertig zu werden. Weg damit, das war das Motto aus Übersee.
Wenn wir 1990 an das «gemeinsame Haus Europa» denken konnten und der Ansicht waren, der Krieg werde uns auf Dauer erspart, dann währte diese Hoffnung nicht lange. Der Krieg wurde wieder mit dem Angriff auf einen Gründungsstaat der Vereinten Nationen und Pfeiler der Helsinki-Bewegung eine bittere Realität. Wenn es Francois Hollande, Wladimir Putin und Angela Merkel in Zusammenhang mit Minsk II nicht gegeben hätte, dann hätten wir vermutlich schon den grossen Krieg. Die Botschaft ist eindeutig. Nur der Respekt vor den geltenden Regeln des Völkerrechtes und die friedliche Konfliktbeilegung sichern uns unser Überleben und unseren Kindern eine Zukunft.
Diese Konferenz hier schlägt einen grossen Bogen und geht bis auf Jalta zurück. Da ist man natürlich versucht, tiefer zu bohren, und dann kommen Orte mit Jahreszahlen dazu, die früher liegen, 1914 oder 1919. Aber auch das scheint keine Lösung zu sein. Wir müssen an das Jahr 1871 und die Gründung des Deutschen Reiches denken. Wir haben es alle in diesem Frühjahr gehört. Seit diesem Zeitpunkt war es angeblich das Ziel amerikanischer ­Politik, eine gedeihliche Zusammenarbeit zwischen Russland und Deutschland zu hintertreiben. Wir sind alle gut beraten, an das Ende der napoleonischen Kriege zu denken. Nach den mörderischen Entwicklungen im Dreissigjährigen Krieg und den Kriegszügen Napoleons in Europa sollte derartiges nicht mehr vorkommen. Dafür gab es die Idee des russischen Zaren Alexander und des österreichischen Kanzlers Metternich, friedliche Konfliktlösung auf der Basis einer «Heiligen Allianz» zu betreiben. Es war ein frühes Helsinki. Ich werde natürlich nicht vergessen, was man mir im Weissen Haus 1988 sagte: dass selbst der militärische Aufbau der Sowjetunion in Eu­ropa nichts anderes sei als das Bemühen dieses Landes, die Konsequenzen aus dem Vorgehen von Napoleon bis Hitler zu ziehen.
Was hindert uns eigentlich, unsere Länder zu lieben und gleichzeitig unsere Nachbarn zu achten? Belgrad sagt es doch mit dem Motto des Belgrader Forums: Wir sind eine Welt der Gleichen, und wir sollten uns das nicht nehmen lassen.






Jasna Tkalec

Fantom slobode

Novi Sad: Mediterran Publishing, 2015

Format:20,5x14 cm
Obim:149 str.
Povez: meki
Cena: 800 dinara

Građansko društvo u svojim najrazvijenijim oblicima nije rešilo problem slobode, kao ni problem društvene ravnopravnosti. Iako je upravo sloboda jedna od njegovih temeljnih pretpostavki i jedan od najvećih postulata Francuske revolucije 1789. sa parolom „Sloboda, jednakost, bratstvo!“ – ni posle 220 godina opstanka i bitisanja tog društva problem slobode nije ništa više rešen no ostala dva elementa slogana velikog antifeudalnog pokreta građanske klase. Parole i ciljevi revolucija su jedno, a njihova ostvarenja, kao i sama mogućnost realizacije – kako proizlazi iz dalje i bliže prošlosti – sasvim su drugi par rukava… Šta je pak sa slobodom, koja je apstraktnija, a za koju društvo – legitimišući se i izvlačeći svoju legitimnost na bazi demokratije (slobodne volje građana izražene na izborima opštim pravom glasa) – tvrdi da je u potpunosti ostvaruje?
 
Jasna Tkalec (Zagreb 1941), završila je Filozofski fakultet u Zagrebu (romanistika i klasična filologija), te se usavršavala na Univerzitetu u Firenci. Radila je kao profesor na XVI gimnaziji u Zagrebu (1966/74) i kao lektor na Univerzitetu u Trstu. Sekretar je Odbora za kulturu Socijalističkog Saveza RH od 1976. Godine 1984. boravila je u Rimu kao stipendista Instituta Gramši, a 1986/1987. radila u Parizu. Prevodila je knjige iz područja političke teorije (Prudon) i umetnosti. Objavljivala je u časopisima: Naše teme, Žena, Dometi, Delo, Kulturni radnik, Pitanja i Oko, baveći se društvenenom teorijom, posebno Gramšijem i feminističkom kritikom. Nakon raspada zemlje radi kao slobodna novinarka za Novi forum, Nokat, Hrvatsku ljevicu (među čijim je osnivačima), Novosti, te za italijanske listove il Manifesto, Liberazione i Avvenimenti. Devedesetih godina zbog članaka u kojima je oštro kritikovala režim u Hrvatskoj osuđena je na tri meseca zatvora. Živela je u Bologni i Rimu 1991/93, od kada je, sve do 2000, bila stalni saradnik časopisa Balcanica (Rim). Član je redakcije časopisa Novi Plamen.


Poznati lm Luja Bunjuela iz 1974. godine, koji pokazuje paradoks slobo- de u buržoaskom društvu. Ljudi se pozivaju na zajedničko druženje pri iz- bacivanju, a ne pri uzimanju hrane. U drugoj sceni nepoznati strelac s vrha nebodera preciznom puškom ubija prolaznike. Nažalost, apsurd savremene zbilje pokazao se realnijim od nadrealističke imaginacije lmskog autora. J.T. „Novi Plamen“, br. 15, Zagreb, 2011.

Sadržaj: 

Sloboda i sužnji 9
Frojd i lozo ruskog simbolizma. Pitanje polnosti i pitanje slobode 17
Revolucionari duha. Može li se uvećati duhovni horizont? 23
„Ljudi mesečeve svetlosti“ 32 
Sloboda žudnje 37 
Sloboda spoznaje 42 
Teritorija slobode 48
Sloboda ljubavi – sloboda smrti: Panagulis 55 
Sloboda izbora – sloboda smrti 58 
Sloboda i demokratija 65 
Sloboda i žene 70 
Sloboda stvaralaštva 79 
Sloboda izražavanja 85 
Kastrirano stvaralaštvo 92 
Sloboda i društveni mehanizmi 101
Nesloboda u slobodi 108 
Sloboda u sputanosti 116 
Sloboda i građanska društva 121 
Individualne slobode i umetnička sloboda 130 
Od trubadura do veb-generacije i do kulture neotribalista 136 
Proba orkestra i simfonija slobode 144



NOVA KNJIGA: FANTOM SLOBODE


29.10.2015.

„Gresi istorije su kao dugoročne menice: njihovo se plaćanje proteže na budućnost i puno je nemilih iznenađenja.“ O tome piše Jasna Tkalec u knjizi Fantom slobode navodeći mnoge primere, a deo objavljuje korzoportal.

 

Sloboda i građanska društva
ideje, koje je, uprkos kraljevskih kruna i imperatorskih titula, uprkos plemićkih naslova i prestola razdeljenih rođacima i prijateljima kao karamele, uprkos nepravičnih ratova i masakra do kojih je dolazilo zbog Napoleonove pohlepe i megalomanije, ipak on, paradoksalno, raširio i ugradio, upravo te nove ideje, u duše čak i vlastitih žrtava. Ideje slobode i napretka. Revolucionarne principe i koncepte jedinstva i nezavisnosti...
(Oriana Falači, Šešir pun trešanja)
Građansko društvo, ili kako ga još nazivaju kapitalizam, predstavlja se javnosti sveta – a tim je započelo i svoju karijeru u istoriji – kao bastion ljudskih prava, garant bogatstva razlika, zaštitnik i borac za neograničenu individualnu slobodu. Sve te slobode zajamčene su zakonima i ustavom zemlje, koji im je prirodan temelj i okvir. I tu je reč o pravima, koja se na sasvim drugi način realizuju u stvarnom životu. Građansko se društvo u svakoj prilici poziva na demokratiju i njegovi pobornici smatraju ga utvrđenjem slobode. U nekim razdobljima, ne samo u odnosu na feudalna društva i privilegije aristokratije, građansko je društvo to zaista i bilo. Do poraza Napoleona 1815. kod Vaterloa, s Bonapartinim pobedama to je društvo nosilo i pobede nad feudalnim tradicijama, mrskim privilegijama aristokratije, nad njenom nadutošću i takozvanim „urođenim pravima“, koja su bila nasledna i uopšte nisu vodila računa o kvalitetu ličnosti niti o njenom vladanju. Dok je građanstvo radilo i gomilalo dobra proizvodnjom i trgovinom, a kmetovi robovali, aristokratija je plesala, lovila, izmišljala zabave i dokolice, negovala vlastitu prefinjenost i raskoš, kulturu i umetnost, ali i razvrat, zasnivajući vlastitu moć na tuđem znoju i teškom dirinčenju, istovremeno duboko prezirući sve ostale društvene staleže.
Napoleon je, sledeći prosvetiteljsko geslo o pravednoj nagradi prema zaslugama, tvrdio kako se maršalska palica nalazi u rancu svakog vojnika. Oficiri Napoleonove vojske napredovali su u karijeri svojom hrabrošću i sposobnošću na bojnom polju, a ne zbog plemićke titule porodice, stečene rođenjem, koja im je omogućavala ulazak u prestižna vojna učilišta. Murat, Napoleonov oficir, dogurao je ne samo do maršala, već ga je Napoleon proglasio i vicekraljem Italije, a titulu kralja dodelio svom maloletnom sinu, Napoleonu II – Orliću[1], kojeg je dobio sa austrougarskom princezom Marijom Lujzom. Bio je to neslućeni uspon građanskog društva i bogate buržoazije, koja je oponašala sjaj aristokratije u vreme Carstva, uzlet kakav Evropa nikad pre nije doživela. Pogazivši Republiku proizišlu iz Revolucije, iako ga je Konvent poslao da za nju ratuje, Napoleon je oslobodio Evropu stegnutu uzdama feudalizma i silom oružja u evropske zemlje unosio tekovine revolucionarne 1789. godine. Opijen ratnom slavom i uspesima, prezreo je narodnu skupštinu, proglasio se prvo konzulom a zatim imperatorom, oterao u mladim danima voljenu suprugu Žozefinu i oženio se kćerkom habzburškog cara. Ali mu ovo orođavanje s evropskim plemstvom i majmunisanje aristokratskih titula nije donelo sreće, kao ni pohod na Rusiju, nespremnu da skine feudalne lance. Ona je u Napoleonovoj najezdi videla samo stranu okupaciju, pa je slavna Grande Armée propala na povratku kući na ruskoj zimi, gonjena i uništavana od odreda ruske vojske i ruskih partizana poraženih u bitkama. Napoleon se našao sam, prognan na ostrvo Elbu i nakon bega odatle u Pariz i poslednjeg pokušaja od 100 dana vladavine, doživeo je definitivni poraz, a Evropu je zapljusnula Restauracija, utvrđena Bečkim kongresom 1815.
Nadarenog Murata streljali su u Napulju Burboni, ostrvljeni naročito na revolucionare i na sve napredno. Ova dinastija, došavši u Napulj preko španske krune, zapatila je u tom gradu tako ogromno rasprostranjenu i zaostalu sirotinju, čuvene lazarone, čije je preživljavanje zavisilo o milosti kralja i klera, da je baš ta sirotinja u samo nekoliko godina dva puta usrdno pomogla burbonskoj dinastiji da u krvi uguši dva revolucionarna pokušaja i samu sebe izruči nasleđenoj nečuvenoj fizičkoj i duhovnoj bedi, koja će praviti goleme probleme budućim pokolenjima, kao i svima onima što će se brinuti za taj grad, pokrajinu i zemlju. Gresi istorije su kao dugoročne menice: njihovo se plaćanje proteže na budućnost i puno je nemilih iznenađenja.
U odnosu na prilike u Napulju, Španiji, carskoj Rusiji (pa i samoj Francuskoj, kolevci građanske revolucije, nakon pada Napoleona Bonaparte), građanska prava i demokratske slobode, kasnije garantovane pravom glasa, za koje se tek krajem 19. veka postiglo obuhvatanje masa[2], u odnosu na pređašnje stanje, značile su ogroman korak napred. Napoleonov zakon bio je umnogome uzor napretka, ne samo po unutrašnjoj veoma spretnoj organizaciji države već i po dotad nezamislivim slobodama, koje je garantovao ljudima, ukidajući privilegije rođenja, uvodeći slobodu veroispovesti, izjednačujući Jevreje sa nejevrejskim stanovništvom i nezakonitu decu sa zakonitom. Formalno – svi građani postali su jednaki pred zakonom. U imovinska prava nije dirano i privatno vlasništvo štitio je zakon. Dolaskom Restauracije i Bečkim kongresom 1815. ponovo je zakoračeno unatrag, i mada su se vratili aristokrate-emigranti, mnoga od stečenih prava građana bilo je nemoguće dokinuti. Uostalom, u Parizu je građanstvo izlazilo na barikade i velikodušno ginulo gotovo svake prestupne godine. Ipak se, sve do sloma Luja Napoleona i uspostavljanja Treće Republike nakon Sedana, nije moglo govoriti o konačnoj pobedi revolucionarnih načela iz 1789. godine. Ta su načela pobedila bezmalo sto godina kasnije: 1870!
Mnoge od građanskih sloboda, koje se danas smatraju prirodnim, nije bilo lako ni izboriti ni ostvariti. U Italiji je razvod braka uveden tek 1970. godine, a potvrđen referendumom 1974. Priznavanje nezakonite dece i njihovih zakonskih prava nasleđivanja, izjednačenih sa zakonitim potomcima, omogućeno je bez pogovora tek nedavnim pronalaskom DNK analize! Pravo na život, osnovno od svih ljudskih prava, zavisilo je od ostvarivanja prava na dostojnu nadnicu i na lečenje, a sva su ona, nakon mukotrpne borbe u prvoj polovini 19. veka, ne bez daljnjih teškoća, bila uvođena kroz celu drugu polovinu tog stoleća. Svakako da je pravo na život podrazumevalo i zabranu izvršenja smrtne kazne nad krivcima, bez obzira na težinu zločina. Taj je koncept teško krčio sebi put i konačno pobedio u Evropi i u SAD-u. U većini država SAD-a je postojao ranije no u Evropi, ali je kasnije ukinut zbog raširenosti kriminala. Kako dokazuju sve statistike, smrtna kazna nimalo ne utiče na smanjenje broja teških kriminalnih radnji, dok celo društvo pretvara u kolektivnog ubicu. I borba za humanizaciju društva i ublažavanje izdržavanja zatvorskih kazni trijumfovala je u Evropi tek u drugoj polovini 20. veka. Zaštita manjina, ne samo etničkih, domet je civilizacije tek u poslednjim desetlećima minulog veka. Progoni religijskih, etničkih, polnih, jezičkih ili zdravstvenih manjina postojali su u Evropi sve donedavno i ukidanje tlačenja, ponižavanja, maltretiranja, segregacija, zabrana, kazni ili prisilnog lečenja predstavlja skorašnje domete i stvar je još uveliko nezaživljenih civilizacijskih dostignuća u pravima. Ove domete sloboda danas u većini zapadnih zemalja, bar formalno, garantuju zakoni.

[1] Napoleon II (1811–1822), sin Napoleona I, koga su u Beču, gradu njegove majke, zvali Franc (François), bio je francuski car samo dva dana, kada ga je sam Napoleon proglasio naslednikom, nakon Vaterloa, u dvorcu Bloa, a potom je otišao u izgnanstvo na ostrvce Sv. Helenu. L’Aiglon („Orlić“) živeo je s majkom prvo u Rambujeu, a kasnije na bečkom dvoru. Za revolucionarnih dana u Parizu 1830. godine narod se pozivao na Orlića. Napoleon II, mladić čudesne lepote, umire u Šonbrunu u dvadeset i prvoj godini života, navodno od tuberkuloze.
[2] U većini zemalja žene su dobile pravo glasa tek 1945, a u Švajcarskoj tek 1971. godine!

Jasna Tkalec: Fantom slobode, Mediterran Publishing, 2015.





Il Montenegro, ventinovesima stella della NATO

di Antonio Mazzeo, lunedì 21 dicembre 2015

Nei primi mesi del 2017 il piccolo Montenegro entrerà a far parte della grande NATO. La decisione è stata assunta il 2 dicembre scorso in occasione del vertice dei ministri degli esteri dei 28 paesi membri dell’Alleanza. Una settimana prima, il Segretario generale della NATO Jens Stoltenberg e il vice Alexander Vershbowsi si erano incontrati in Belgio con il ministro per gli affari esteri montenegrino Igor Lukšić e il titolare del dicastero della difesa Milica Pejanović-Đurišić per sottoscrivere un pre-accordo tra le parti. “Si tratta di un giorno importante per il Montenegro, i Balcani occidentali e l’Alleanza”, ha enfatizzato Jens Stoltenberg. “I progressi fatti dal Montenegro facilitano pure la possibilità che diventi membro dell’Unione europea. I paesi NATO e EU costituiscono una comunità delle moderne democrazie. Noi condividiamo gli stessi valori e nove cittadini dell’Unione europea su dieci vivono in un paese NATO. Insieme, l’open door NATO e l’allargamento EU hanno rafforzato la sicurezza e la stabilità in tutta Europa”.

Per il Segretario generale della NATO, grazie al lavoro con i partner dell’Alleanza, “le forze armate del Montenegro sono ora più forti e più capaci nel proteggere il popolo montenegrino”. “L’ingresso di questo paese porterà benefici alla NATO”, ha aggiunto Stoltenberg. “Rafforzerà la sicurezza e la stabilità dei Balcani occidentali, una regione per lungo tempo caratterizzata dall’instabilità e dai conflitti. Il Montenegro ha una consolidata tradizione militare e si è specializzato in settori come la guerra in montagna e la sicurezza marittima. È importante che il paese continui nel cammino delle riforme interne soprattutto sull’adeguamento della Difesa e sullo stato di diritto”. Sui tempi necessari per l’adesione del Montenegro, Jens Stoltenberg ritiene che le procedure di ratifica dell’accordo da parte dei parlamenti dei ventotto paesi NATO richiederanno almeno un anno e che comunque il tutto si possa concludere entro l’inizio del 2017. “Nel frattempo coinvolgeremo il Montenegro in tutte le attività dell’Alleanza, compreso il summit in programma l’8 e il 9 luglio 2016 a Varsavia, dove potrà partecipare, senza diritto di voto, a tutti gli incontri istituzionali”, ha concluso il segretario generale dell’Alleanza Atlantica.

La rilevanza geostrategica dell’incorporazione del Montenegro nella NATO è stata sottolineata dallo studioso Luca Susic di Analisi difesa. “L’ingresso del piccolo Montenegro ha in realtà un peso politico ben superiore a quello militare”, spiega Susic. “Si tratta infatti di un risultato importante della NATO, innanzitutto perché permette di sferrare l’ultimo e decisivo colpo al già moribondo storico legame fra il paese e la Russia e, in secondo luogo, perché Bruxelles ottiene praticamente il controllo totale delle coste settentrionali del Mediterraneo, realizzando un continuum dalle Colonne d’Ercole ad Antiochia”. Per l’analista, inoltre, la NATO consolida ulteriormente la propria presenza nell’area ex-jugoslava ed “incrementa la già forte pressione esercitata sulla Serbia, che si trova ad essere letteralmente circondata da stati membri dell’Alleanza o da territori controllati da questa (si pensi al Kosovo)”.

Il forte rischio che l’adesione del Montenegro esasperi le tensioni tra la NATO e Mosca è stato rilevato dall’esperto di questioni militari Gianandrea Gaiani. “Elementari ragioni di opportunità diplomatica e prudenza consiglierebbero la NATO a rimandare l’adesione del Montenegro, decisione che non muterebbe gli assetti strategici, non indebolirebbe l’Alleanza occidentale ma favorirebbe quei Paesi europei (Italia inclusa) impegnati a ricucire lo strappo con la Russia determinato dalla crisi a Kiev e dall’annessione della Crimea”, scrive Gaiani su Il Mattino. “Con un po’ di malizia è facile pensare che l’invito al Montenegro punti a creare un clima sfavorevole alla nascita della nuova inattesa alleanza tra Russia e Francia contro lo Stato Islamico in Siria. (…) In prospettiva avere i montenegrini come alleati potrebbe rivelarsi un pessimo affare anche per l’Italia. La base navale di Bar, l’aeroporto di Golubovci o una delle quattro basi aeree militari oggi non più impiegate dalle piccole forze armate montenegrine potrebbero in futuro ospitare forze aeree e navali statunitensi oggi schierate in Italia, Spagna e Germania offrendo costi decisamente più contenuti”.

Dal dicembre 2006, il Montenegro è uno dei membri della NATO Partnership for Peace. Al summit dei Capi di Stato dell’Alleanza a Bucarest nell’aprile 2008, il paese balcanico fu invitato ad intensificare il dialogo con Bruxelles nella prospettiva di un rapido ingresso nella grande alleanza militare. Le prime consultazioni si realizzarono il 24 giugno dello stesso anno in occasione di un incontro tra i viceministri degli esteri e della difesa montenegrini Dragana Radulović e Drasko Jovanović e il vicesegretario NATO per la sicurezza, la cooperazione e la partnership, Robert F. Simmons. A Partire del 2009, la NATO e il Montenegro iniziarono a operare congiuntamente nell’ambito del cosiddetto Membership Action Plan, il programma che “aiuta le nazioni partner a prepararsi in vista di un loro possibile futuro ingresso nella NATO”. Nel 2010, le autorità di Podgorica autorizzarono la partecipazione di un plotone di fanteria e di un piccolo staff di addestratori dell’esercito alla missione militare NATO in Afghanistan. Nello specifico, i militari montenegrini furono impiegati nella protezione del centro di “formazione” della polizia e delle forze armate afgane a Kabul e dello scalo militare di Mazar-e-Sharif, quartier generale del Comando regionale Nord della coalizione internazionale.

Nel marzo 2012, l’allora comandante in capo delle forze NATO, l’ammiraglio statunitense James Stavridis, si recò in visita ufficiale in Montenegro. “Colgo l’occasione per ringraziare il paese per la professionale cooperazione militare e l’eccellente supporto alla missione di peacekeeping NATO in Afghanistan; militarmente, il Montenegro è pronto a fare ingresso nell’Alleanza”, dichiarò allora James Stavridis. Un ulteriore passo verso la completa integrazione nella NATO fu compiuto il 16 ottobre 2013 in occasione della visita del Presidente del Montenegro Filip Vujanovic al quartier generale dell’Alleanza in Belgio, dove incontrò l’allora segretario generale NATO, il generale Anders Fogh Rasmussen.

Nel settembre 2014 il vertice dei Capi di stato e di governo dei paesi membri dell’Alleanza, tenutosi in Galles, assunse la decisione di intensificare i colloqui con le autorità montenegrine; il mese seguente, il NATO Military Committee, la maggiore autorità militare NATO, presieduta dal generale Bartels, si recò in visita a Podgorica per incontrare i vertici delle forze armate locali e verificare la sostenibilità dei nuovi programmi strategici adottati. Nel corso della visita, i membri del Comitato militare NATO parteciparono come osservatori ad alcune esercitazioni militari navali e terrestri e al trasferimento di armi e munizioni nell’installazione “Milovan Šaranović” di Danilovgrad.

Il 5 marzo 2015, il comandante della Kosovo Force (KFOR), generale Francesco Paolo Figliuolo, incontrava a Pogdorica il ministro degli interni Rasko Konjevic e il ministro della difesa Milica Pejanovic Djurisic per discutere sull’evoluzione della situazione socio-politica e della sicurezza in Kosovo. Nel corso del meeting, il Montenegro ribadiva la disponibilità a collaborare con la NATO e le autorità kosovare nella gestione del controllo delle aree di confine e della “lotta alla criminalità organizzata”. Lo scorso 4 settembre, infine, quattro unità assegnate al gruppo navale NATO di contromisure mine (Standing NATO Mine Countermeasures Group TWO - SNMCMG2), schierato nel Mediterraneo a supporto dell’operazione Active Endeavour di “contrasto al terrorismo internazionale”, effettuavano una breve sosta nel porto di Bar. La “visita” della flotta NATO coincideva con una tavola rotonda sulla Sicurezza nell’Adriatico organizzata nella città montenegrina dal NATO Defense College e dalle forze armate locali, in collaborazione con l’Unione Europea. A conclusione della visita, lo Standing NATO Mine Countermeasures Group TWO prendeva parte a un’esercitazione in mare aperto con alcune unità della flotta del Montenegro. 
Dal 2011 al 2014, il paese balcanico è stato pure partner del progetto di “studio” GEPSUS (Geographical Information Processing for Environmental Pollution-Related Security within Urban Scale Environments) sugli effetti in ambito urbano degli agenti inquinanti “specialmente nel contesto di un attacco terroristico”, finanziato dal NATO Science for Peace and Security (SPS) Programme e realizzato da un equipe di scienziati provenienti da Italia, Israele e Slovenia. Il progetto si è concluso con la realizzazione di un apposito centro di formazione e simulazione GEPSUS a Podgorica.




"BISOGNA PRIVATIZZARE TUTTO" PER ENTRARE NELLA SACRA UNIONE EUROPEA

Una importante riunione del governo ucraino culmina in rissa: da un lato l'oligarca Avakov, ladro e profittatore che proclama "Bisogna privatizzare tutto!" (per comprare tutto lui), dall'altra l'ex presidente georgiano Saakashvili, attuale reggente di Odessa, guerrafondaio responsabile di crimini contro la pace, agente della NATO, razzista russofobo e che tuttavia – come tutti nella riunione di governo – parla in lingua russa! 
Nota giustamente Giulietto Chiesa presentando il video: "C’è da sperare che questa Ucraina entri finalmente in Europa, così anche nel Parlamento di Bruxelles assisteremo allo scambio di torte in faccia e insulti pittoreschi". 

Torte in faccia (PTV, 25/12/2015): http://www.pandoratv.it/?p=5422
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=kHSV6Rbq6-U




Per chi volesse saperne di più su Babbo Natale


E' cosa nota che la figura mitica di Babbo Natale si ispira a un preciso personaggio storico, vale a dire Nicola, vescovo di Myra, città della Licia in Anatolia (oggi Demre, Turchia), vissuto nel IV secolo, proclamato Santo dalle chiese cristiane e considerato – tra le altre cose – protettore dei bambini.
San Nicola nei paesi nordici e anglofoni diventa "Santa Claus", appellativo derivato da Sinterklaas, il nome olandese di San Nicola. Infatti nei Paesi Bassi, in Svizzera ed in alcune altre culture, "Sinterklaas" o "Nikolaus" o "Santa Claus" si presenta ai bambini (magari affiancato da un asinello, o tirando una slitta...) con regali, consigli o ammonizioni annualmente alla vigilia del 6 dicembre, giorno dedicato a questo santo, non avendo nulla a che fare con il Natale.

Nelle culture cristiano-ortodosse, dove in base al calendario tradizionale giuliano il Natale cade due settimane dopo rispetto a quello cattolico, e nei paesi socialisti, dove il calendario civile assume un significato prevalente su quello religioso, ad "apparire" ai bambini è un tizio molto somigliante a Santa Claus detto "Babbo Gelo", che di solito si presenta per Capodanno o comunque per tutto il periodo delle feste, senza alcun nesso specifico con il 25 dicembre. 

Anche nelle culture turbocapitaliste occidentali, in effetti, la figura di Babbo Natale o Santa Claus che dir si voglia ha oramai perso il legame con le ricorrenze religiose, essendone piuttosto la sua negazione in quanto una delle tante leve simboliche del delirio consumista. Pare che un ruolo-chiave in questa trasformazione genetica l'abbia avuta la nota ditta produttrice della Coca-Cola: essa avrebbe infatti "consacrato" il vestito rosso e bianco che tutti adesso conoscono per la sua pubblicità natalizia, negli anni Trenta del XX secolo, mentre in precedenza la veste di "Nikolaus" era più frequentemente verde

Tornando a San Nicola di Myra, notiamo che la sua figura in Italia è più nota come San Nicola di Bari. Questo perché le sue Reliquie nel 1087 furono trafugate dalla Turchia ed in parte traslate proprio a Bari, dove per ospitarle quell'anno stesso fu costruita la nota basilica, da allora meta di pellegrinaggio di fedeli.

Gli zar di Serbia della dinastia Nemanja (Nemaide), a partire dal fondatore per finire a Stefano Dušan, dalle loro residenze e conventi nella "vecchia Serbia" (Raška e Kosovo) erano usi inviare frequentemente doni alla Basilica di San Nicola di Bari, proprio in virtù della grande importanza che il Santo ha sempre assunto per le culture cristiano-orientali, bizantine ed ortodosse, data la sua origine anatolica.
Nella Basilica resta a tutt'oggi una unica, importante traccia di tali donazioni: si tratta della preziosa icona di San Nicola, collocata dietro l’altare che custodisce le reliquie del Santo.
L'icona è stata a lungo attribuita ad Uroš II Milutin, lo stesso che aveva donato l’altare d’argento nel 1319; ma oggi, specie fra gli studiosi serbi, prevale l’opinione che essa sia da attribuirsi piuttosto al figlio, Uroš III (1322 – 1331). Egli l’avrebbe inviata alla Basilica come ringraziamento a San Nicola che gli aveva restituito la vista dopo che il padre l’aveva fatto accecare come ribelle.
Nell'icona – che riproduciamo in allegato – il Santo di Myra è ritratto tra i donatori, nella versione definitiva identificati con Stefano Dečanski e suo figlio Dušan.

Un gioiello dell'arte serbo-bizantina è dunque in Italia. Lo sapevate? In barba a Babbo Natale...

E tuttavia: Auguri a chi ci crede. E soprattutto Buone Feste e Buon Anno Nuovo 2016 a tutti, belli e brutti, dal
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS – od Italijanske Koordinacije za Jugoslaviju
sve najbolje za praznike i Srečna Nova Godina 2016. svim jugoslavenima i prijateljima na svijetu!


(a cura di Italo Slavo. Fonti:




(русский / english / italiano
In ordine cronologico inverso - Inversed chronological order)

Comunisti fuorilegge in Ucraina

1) Lettera all'ANPI sull'Ucraina (Giorgio Langella, 21.12.2015)
2) Difendiamo i comunisti ucraini! L'attività del Partito Comunista di Ucraina è stata ufficialmente proibita... (PCFR, 19.12.2015)
3) La repressione dei comunisti in Ucraina. Intervista a Andrei Che Sokolov (NST, 20.11.2015)
4) Appello dei comunisti ucraini ai partiti comunisti e operai (Ottobre 2015)
5) Kiev junta bans the activities of two communist parties (Oct. 1, 2015)
6) Comunicato sul caso dei quadri del KKE presi di mira dal governo ucraino (29.9.2015)
7) Ucraina: aiutiamo i perseguitati politici Sergej Tkachenko e Denis Timofeev (23.7.-26.8.2015)
8) ALTRI LINK / MORE FLASHBACKS
9) VISNJICA - CILIEGINA: Aprile 2015. Due consiglieri comunali della Lega Nord di Milano si sono fatti promotori di un‘iniziativa volta a “mettere al bando tutti i partiti che in Italia si rifanno all’ideologia comunista.” Proprio come in Ucraina e Lettonia. Proprio come piace all'Unione Europea.


=== 1 ===


Lettera all'ANPI sull'Ucraina

di Giorgio Langella

Quello che sta accadendo in Ucraina è di estrema gravità.

Organizzazioni dichiaratamente nazi-fasciste sono parte integrante di un governo nato da un vero e proprio colpo di stato finanziato anche da forze occidentali che si dichiarano democratiche. L’eccidio di Odessa del 2 maggio 2014 quando decine di cittadini inermi furono massacrati da un’orda di fascisti e la guerra scatenata contro le popolazioni del Donbass che si sono rifiutate di subire le angherie del governo di Kiev e stanno resistendo all’avanzata di tristi battaglioni di “volontari” che si fregiano di simboli nazisti (e sono solo alcuni esempi di cosa sta succedendo in Ucraina) non hanno certo avuto il dovuto risalto, né il doveroso e fermo contrasto da parte degli antifascisti europei e italiani.

In questi giorni si apprende che l’attività del Partito Comunista di Ucraina è stata ufficialmente proibita dalla giunta di Kiev.

Non si può far finta di nulla. Tutte le forze sane italiane ed europee devono battersi contro ogni discriminazione e in difesa dei comunisti ucraini, la cui libertà e vita è messa in discussione. La logica e l’esperienza ci dicono che presto la giunta di Kiev scatenerà il terrore individuale contro chiunque sia sospettato di essere comunista. Nessun antifascista può permettere che possano avvenire nuove tragedie come quella di Odessa, come gli omicidi politici e il genocidio nel Donbass.

Il pericolo della rinascita di governi fascisti, xenofobi e razzisti in Europa è evidente.

Non possiamo restare indifferenti di fronte a tutto questo.

Chiedo, da iscritto all’ANPI di Vicenza e come segretario regionale veneto del Partito Comunista d’Italia, che l’ANPI prenda una netta posizione denunciando con forza quanto sta accadendo in Ucraina e la connivenza che il governo italiano, la UE, la Nato e gli USA dimostrano nei confronti di un governo, quello di Kiev, antidemocratico e sostenuto da forze dichiaratamente nazi-fasciste. Le stesse che i nostri padri hanno combattuto e vinto con la lotta di Liberazione.

Ora e sempre Resistenza!

21 dicembre 2015


=== 2 ===


Difendiamo i comunisti ucraini! Fermiamo il neofascismo!

19 Dicembre 2015 

Dichiarazione del Presidium del Comitato Centrale del Partito Comunista della Federazione Russa

da kprf.ru | Traduzione dal russo di Mauro Gemma 

“L'attività del Partito Comunista di Ucraina è stata ufficialmente proibita... Oggi tutte le forze sane del pianeta devono battersi in difesa dei comunisti ucraini, la cui libertà e vita è messa in gioco. Non c'è dubbio che dopo il divieto del Partito Comunista la giunta di Kiev cercherà di scatenare il terrore individuale. Più di una volta si è dimostrato che è pronta a farlo: a Odessa allo stesso modo di Khatyn, con gli omicidi politici e il genocidio nel Donbass. Non possiamo permettere che nuove tragedie avvengano!... Ci appelliamo ai dirigenti dei paesi dell'Unione Europea: voi che vi pronunciate regolarmente sull'inviolabilità dei diritti umani, perché non imponete alla presuntuosa dirigenza ucraina di smetterla? Non è la prima volta che avete dimostrato di saper imporre la vostra volontà a Kiev. Dimostrate allora questa volta la vostra disponibilità ad agire come difensori dei diritti civili e delle libertà.”

Fermare gli eredi della banda hitleriana!

L'attività del Partito Comunista di Ucraina è stata ufficialmente proibita da un tribunale. Per tutti coloro che hanno a cuore gli ideali di libertà, uguaglianza e amicizia tra i popoli, per chi ricorda le lezioni della storia, quanto accaduto a Kiev significa solo una cosa: la dittatura fascista a Kiev ha completato il suo disegno. Nella carta dell'Europa è nuovamente apparso uno stato, i cui caporioni sono ideologicamente gli eredi della banda hitleriana. Le conseguenze di ciò potrebbero tragicamente riflettersi in tutto il mondo e, in particolare, in Europa.

Il passo cinico della dirigenza ucraina non è inaspettato. Il colpo di stato portato a compimento a Kiev nel 2014, era colorato di marrone. E' stato attuato ad opera di coloro che dichiarano apertamente la loro adesione all'ideologia nazista. Nel corso della guerra nel Donbass, la giunta fascista ha dimostrato con una serie di azioni odiose la sua natura contraria all'umanità: il terrore contro la popolazione civile, le torture e gli omicidi di massa.

Il governo illegale ucraino, seguendo la strada battuta dai nazisti tedeschi, ha ripetutamente cercato di vietare il Partito Comunista. Ciò ha incontrato la resistenza di giudici onesti e responsabili, di molti rappresentanti della società civile. I coraggiosi, rischiando la sicurezza personale, non si sono fatti portare al guinzaglio dai brutali radicali. Ma il costante sostegno politico degli Stati Uniti e dei loro complici della NATO ha convinto chi ha preso il potere in Ucraina che tutto gli era permesso. Il regime “banderista” di Kiev ha limitato l'attività dei comunisti, ha incoraggiato la demolizione dei monumenti dell'epoca sovietica, ha proibito i simboli sovietici, fino ad arrivare al definitivo divieto illegale del PCU.

Il Partito Comunista di Ucraina ha difeso disinteressatamente i semplici cittadini, che il colpo di stato ha gettato nella povertà e privato dei diritti. Ha difeso gli ideali di fratellanza e amicizia tra i popoli russo e ucraino, mentre i fanatici impazziti urlavano “non saremo mai fratelli”. Proprio per queste ragioni il PCU è stato oggetto dei durissimi attacchi da parte delle autorità di Kiev. Il fascismo, dando l'assalto al potere, ha sempre cominciato con il divieto dell'attività dei partiti comunisti e il massacro dei patrioti onesti e coraggiosi.

Oggi tutte le forze sane del pianeta devono battersi in difesa dei comunisti ucraini, la cui libertà e vita è messa in gioco. Non c'è dubbio che dopo il divieto del Partito Comunista la giunta di Kiev cercherà di scatenare il terrore individuale. Più di una volta si è dimostrato che è pronta a farlo: a Odessa allo stesso modo di Khatyn, con gli omicidi politici e il genocidio nel Donbass. Non possiamo permettere che nuove tragedie avvengano!

Ci appelliamo ai dirigenti dei paesi dell'Unione Europea: voi che vi pronunciate regolarmente sull'inviolabilità dei diritti umani, perché non imponete alla presuntuosa dirigenza ucraina di smetterla? Non è la prima volta che avete dimostrato di saper imporre la vostra volontà a Kiev. Dimostrate allora questa volta la vostra disponibilità ad agire come difensori dei diritti civili e delle libertà.

Allo stesso tempo, il Presidium del CC del PCFR sottolinea il fatto che alcuni politici degli USA e dell'UE sono direttamente coinvolti nelle azioni dei fascisti di Kiev. Questi signori sono al servizio di quelle forze della globalizzazione che stanno operando consapevolmente per provocare una conflagrazione militare nella speranza di utilizzarla per fare fronte alla crisi economica e rafforzare la propria egemonia politica. Sono proprio degni di condividere le stesse responsabilità dei fascisti ucraini, di fronte al tribunale della storia.

Il Presidium del CC del PCFR richiama l'attenzione sul fatto che la proibizione del Partito Comunista di Ucraina non è sufficientemente denunciata dagli strumenti di informazione di massa russi. Noi crediamo che questa situazione sia inaccettabile. Non abbiamo dubbi: gli ammiratori dell'ideologia della destra liberale simpatizzano per la giunta di Kiev. Tuttavia, siamo convinti che la maggioranza la pensa diversamente. Qualsiasi giornalista che si consideri un professionista onesto è tenuto oggi ad alzare la voce in difesa di coloro i cui diritti e libertà sono violati nel modo più cinico e le cui vite sono in pericolo.

Il Presidium del CC del PCFR fa appello al presidente e a chi dirige il governo della Russia perché si adotti una posizione energica e si riaffermi la fedeltà verso l'eredità dei padri e dei nonni – vincitori del fascismo. Occorre offrire il massimo sostegno alle repubbliche del Donbass e risolvere la questione con il loro riconoscimento ufficiale. Tale richiesta è stata avanzata già da molto tempo.    Il PCFR vi insiste dal 2014.

La Russia dispone di leve potenti per esercitare pressione su Poroshenko e i prepotenti teppisti che gli stanno attorno. Se non si utilizza la pressione politica, domani tutti saremo costretti a difendere il paese con le armi in mano dai fanatici “banderisti”.

La nuova offensiva delle forze neofasciste minaccia di incendiare militarmente tutto il mondo e in primo luogo l'Europa. Il PCFR lancia un appello alle forze progressiste di tutti i paesi ad alzare la propria voce in difesa del Partito Comunista di Ucraina, a sostegno delle norme democratiche più elementari. Oggi siamo ancora in tempo per fermare gli eredi della banda hitleriana. Il PCFR invita tutte le persone oneste ad unirsi e a respingere i nuovi fomentatori della guerra. Questa minaccia non è meno pericolosa del terrorismo internazionale.

Difendiamo i comunisti ucraini! Fermiamo il neofascismo!


=== 3 ===


La repressione dei comunisti in Ucraina. Intervista a Andrei Che Sokolov

(NST, 20 novembre 2015)

Dalla Commissione Internazionale NST. Traduzione nostra

Intervista di Internazionalisti 36 al prigioniero comunista Andrei Che Sokolov, dal carcere della Junta fascista ucraina.

Andrei, raccontaci cosa è successo il giorno della tua cattura e di cosa ti hanno accusato? 

Il 16 dicembre del 2014 mi stavo spostando con la mia Matiz da Donetsk a Gorlovka, nella DNR (Repubblica Popolare di Donetsk). In guerra molte cose che dipendono dalla fortuna. Io non l’ho avuta – mi sono perso e sono finito al posto di blocco n. 37 delle VSU (Forze Armate di Ucraina) vicino al villaggio Krasnij Partizan. In quel momento il villaggio era ancora in mano alle forze ucraine. Più tardi, a gennaio, sarebbe stato liberato dai miliziani della DNS…ma in quel momento no, così mi hanno arrestato.

Siccome la matricola della mia auto e il mio passaporto sono russi, mi hanno immediatamente incappucciato, mi hanno legato le mani con lacci di plastica e mi hanno rinchiuso dentro una buca per due settimane. Per loro ero un “nemico della nazione”, un russo…un moskal. Sotto percosse, torture e minacce di essere immediatamente giustiziato, sono stato costretto a “confessare” che stavo aiutando i miliziani nella ricostruzione della fabbrica di Donetsk y Torrez, legata alle “necessità di difesa delle DNR”. Così sono diventato un “collaboratore dei terroristi” secondo l’articolo 258 – 3 UKK (da 8 a 15 anni di condanna poiché l’Ucraina considera le Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk come organizzazioni terroriste). Io sono un operaio metallurgico, per l’esattezza tornista, possiedo nella mia casa di Mosca una piccola officina per la lavorazione del metallo. Sono un buon conoscitore di questo tipo di lavoro con materiali distinti, specialmente in sistemi di tiro (precedentemente ero stato condannato in Russia per la manipolazione di sistemi di armi, essendo un militante del movimento di sinistra radicale). Basandosi su tutto questo, gli accusatori ucraini hanno deciso di accusarmi di lavorare per la repubblica nella creazione del complesso militare-industriale del Ministero della Difesa della DNR.

Il 28 dicembre 2014 mi hanno trasferito al SBU (Servizio di Sicurezza ucraino, ndt) di Mariupol ed è lì che è iniziata ufficialmente la mia detenzione. E’ stato allora che, finalmente, sono riuscito a comunicare con i miei famigliari e a potergli dire di essere prigioniero. Mi hanno messo in un carcere locale, cosa di cui ho approfittato per impugnare le mie confessioni estorte nelle camere di tortura. Dopo un breve periodo istruttorio, adesso comincia il processo. Nego tutte le accuse e porto 11 mesi di prigionia senza alcuna prova processuale e senza testimoni. Tutte le accuse consistono nell’auto-incriminazione estorta sotto tortura. Hanno persino cambiato la data e il luogo di detenzione, in realtà sequestro, cioè il 16 dicembre al posto di blocco, né lo menzionano, dando come data e luogo il 28 dicembre a Mariupol. Al momento della “detenzione” io ero completamente disarmato e vestito da civile. Sono un volontario civile della DNR.

Come sei stato trattato in prigione e quale è la tua situazione attuale?

Come ho detto prima, sono passato dai “sotterranei” (i centri di tortura, ndt) e ora mi trovo in un carcere comune. C’è una enorme differenza tra i “sotterranei” nelle zone dell’ATO (zona di guerra, ndt), dove la gente subisce torture e crudeltà o semplicemente scompare senza alcuna traccia, poiché non è detenuta legamente e né i suoi famigliari né i suoi amici sanno dove si trovi. In questo modo nessuno è responsabile della vita e dello stato di salute dei prigionieri. Non sono stato tra quelli trattati peggio per essere un russo e non un miliziano locale. Qui ho conosciuto diversi prigionieri russi, come Sasha, che nel braccio aveva inciso la parola “moskal” con un coltello. A me questo non è toccato. Ciò mi ha ricordato quello che avevo letto prima della guerra sul trattamento dei paracadutisti francesi nei confronti dei resistenti – i patrioti algerini rinchiusi in sotterranei simili a questi. Torturavano gli algerini ma anche i cittadini francesi. Sulla mia esperienza personale riguardo questo cosa, ho scritto dettagliatamente nel mio articolo “tutti parlano in prigione1”.

Nelle prigioni “normali” le condizioni sono tollerabili. Il cibo è cattivo, ma i compagni riescono a farci avere pacchi con alimenti. All’inizio mi hanno dato un avvocato “pubblico” (totalmente inutile), ma adesso ne ho uno che si occupa del caso. Noi prigionieri della DNR siamo tenuti singolarmente in celle con prigionieri comuni, manteniamo comunicazioni fra noi, ci consideriamo prigionieri politici e chiediamo che ci mettano nello stesso gruppo. E’ necessario per implementare la solidarietà e il mutuo appoggio. A Odessa e Artiomovsk, dove ci sono moltissimi prigionieri politici, questi sono raggruppati nello stesso settore penitenziaio. Vogliamo vedere se questo si riesce a ottenere per tutte le carceri ucraine.

Da poco Valeriy Berest, che come te è stato detenuto il 16 dicembre ed è stato rinchiuso nel SIZO (prigione preventiva isolata) di Mariupol, è stato scambiato con altri prigionieri e si trova libero. Quali sono le possibilità di vederti in uno scambio di prigionieri? 

Sì, il 28 ottobre, presso la linea del fronte, nella città dal pacifico nome di Shastie (in russo felicità, ndt) tra l’Ucraina e la LNR (Repubblica Popolare di Lugamsk), c’è stato uno scambio di prigionieri sotto la formula -11×9. Cioè 11 dei nostri prigionieri in mano all’Ucraina per 9 militari delle VSU. Tra i nostri ce n’era uno che avevo conosciuto nella prigione di Mariupol, il miliziano Valery Berest (in realtà dei nostri 11, solo 3 erano miliziani, i più erano civili). Mi sento molto contento e felice che Valery adesso sia libero. Ci siamo conosciuti nel SBU durante i primi interrogatori, inoltre siamo stati catturati lo stesso giorno. Ci interrogavano nella stessa stanza dell’ispettore del SBU, e ci hanno tenuti nella stessa cella nel periodo delle “indagini”.

Ci hanno portato assieme nel carcere. E’ stato il primo compagno che ho incontrato durante il periodo dei “sotterranei”, con cui potevo parlare. Sino a quel momento ero sempre stato solo e con una sacco che mi copriva il viso. Così ci siamo raccontati le nostre storie. E’ un abitante della città di Donetsk, un operaio di 49 anni. Lui non si era unito immediatamente alla guerriglia, ma solo quando ha cominciato a essere testimone della distruzione e morte causata dagli attacchi dell’artiglieria sul distretto in cui viveva con la sua anziana madre. E’ entrato nelle Milizie per difendere la sua casa e la sua città. E’ stato mandato a fare da guardia ai posti di blocco, è passato per il freddo delle trincee. Un soldato semplice, con tutto ciò che questo significa in una guerra. E’ caduto prigioniero, come me, per un errore. Usciva da una zona ucraina vicino a Volnovaja. Era vestito con il suo uniforme, che gli hanno sequestrato non appena arrivato nel luogo di detenzione. Per questo gli avevo dato la mia maglia, era un inverno freddo – gennaio – e con quella è apparso nelle foto dello scambio. Però questo non è avvenuto subito.

A marzo, lui con altri 18 prigionieri sono stati trasferiti da Mariupol a Jarkov al “deposito” del SBU, e lì ha passato quasi mezzo anno, in condizioni molto peggiori rispetto a una prigione normale. Da lì non è possibile stabilire contatti con nessuno, non sono permessi i pacchi col cibo, non sono permesse visite dei famigliari e nemmeno lasciano avvicinare i rappresentanti della Croce Rossa Internazionale. E’ come stare in una tomba!

Lì sono rinchiusi circa 50 prigionieri senza alcuna condanna giudiziaria, senza nessuna accusa legale, totalmente a capriccio del SBU. Voglio che questo si sappia nel modo più ampio possibile, che si sappia nella famosa Commissione dei Diritti Umani del Parlamento Europeo. Ai prigionieri danno da mangiare gli avanzi della mensa dei membri del SBU. Non si somministrano medicamenti, a Valeri è venuto un infarto e gli hanno dato una pastiglia di valeriana. Negli scambi escono solo pochi, la maggior parte continua nella “lotta”. In più, attualmente nelle carceri ucraine ci sono più di 1300 prigionieri politici, e gli scambi, nella scala attuale, non cambiano praticamente nulla della situazione generale dei prigionieri. Solo una amnestia generale o uno scambio tutti x tutti potrebbe essere una soluzione, alla quale, ovviamente, il potere ucraino non vuole arrivare. Per questo, le mie possibilità di far parte di uno scambio sono le stesse di quelle che hanno gli altri -11 x 1300. Così è questa matematica…le possibilità sono ridotte.

Hai aiutato la DNR come ingegnere, quali sono gli aiuti ricevuti dalla DNLNR per sostenere il tuo caso? 

Il loro sostegno sarebbe quello di farmi includere nella lista dei prigionieri di guerra della DNR, non c’è altro modo di aiutarmi. Tutto ciò che può essermi di aiuto già lo stanno facendo i miei compagni della DNLNR e dell’Ucraina per propria iniziativa. L’avvocato e l’invio di pacchi costa denaro e i miei famigliari di Mosca cercano di raccoglierlo, ho anche aiuti dal SRI del Belgio, c’è un conto elettronico per la raccolta di denaro nella FR. Tutto ciò mi permette un sostentamento in carcere, senza il quale la vita qui sarebbe molto più difficile. I miei compagni di danno l’appoggio morale, pubblicano i miei articoli e le mie note, vanno esponendo l’andamento del processo. So che non si sono dimenticati di me e sento questa solidarietà, cosa molto importante per un prigioniero politico. In quanto al tema dell’inclusione ufficiale nella lista di scambio, la commissione del consolato della FR in Jarkov mi ha visitato solo una volta. A nessuna delle mie udienze pubbliche ha assistito alcun giornalista della stampa russa o alcun rappresentante della FR, la sala sempre vuota, anche se l’accesso al pubblico non era proibito. Solo il mio avvocato e io, mentre la pena che rischio è fra gli 8 e i 15 anni di prigione.

Alla fine, Andrey, come possiamo aiutarti? 

Ripeto, per il prigioniero politico è molto importante la solidarietà. Siamo sempre una minoranza, e sempre ci dividono e cercano di spezzarci il morale. La divulgazione dell’informazione sui nostri prigionieri e la raccolta di aiuti per i prigionieri politici sono i migliori strumenti per darci sostegno. In questo momento, i prigionieri esplicitamente comunisti come me, sono pochi, un paio di dozzine in tutta l’Ucraina, la maggior parte dei prigionieri sono miliziani o militanti anti-maidan di diversa provenienza. Però la repressione contro tutto ciò che sia di sinistra è solo cominciata, adesso siamo in pochi ma la situazione peggiorerà. Già si stanno adottando leggi contro la simbologia comunista (da 10 a 15 anni), sotto cui cadrà anche la sinistra moderata, come ad esempio il KPU. Penso che questo porterà alla radicalizzazione della sinistra ucraina in generale, il che porterà a una maggiore repressione e più prigionieri. Per poter far fronte a questo, credo che dobbiamo approfittare dell’esperienza dei movimenti della sinistra rivoluzionaria degli anni ’70-’80 dell’america latina e dell’Europa. Abbiamo bisogno anche di aprire un “fronte carcerario” in combinazione con la difesa poltico-giuridica contando sulla solidarietà e sull’aiuto dei compagni di Russia e Europa. La guerra in Donbass momentaneamente ha perso di intensità, però la guerra sociale è solo cominciata e proseguirà. La miseria, il collasso dell’economia, il potere oligarchico, il paramilitarimo dei battaglioni e la crisi politica del regime – sono i nostri cocktail molotov in Ucraina e la sinistra deve usarli per vincere.

Per questo tutti i problemi e gli obiettivi devono richiamare a livello internazionale, quanto più possibile. E in questo campo i mezzi di contro-informazione come il vostro “Internazionalistas 3”, hanno un valore insostituibile.

Grazie compagni per la vostra solidarietà e il vostro sostegno! Grazie per questa intervista che mi dà la possibilità di esporre la mia situazione di prigioniero e la nostra lotta in Ucraina.

NO PASARAN!

6 novembre, prigione di Volianskaya della provincia di Zaporojze, Ucraina, Andrei “Che”.

P.S. I miei auguri per la commemorazione del 7 novembre della nostra Grande Rivoluzione di Ottobre

foto dello scambio di prigionieri politici del 28 ottobre: http://denyaleto.livejournal.com/84668.html?page=1



=== 4 ===

Appello dei comunisti ucraini ai partiti comunisti e operai

(Ottobre 2015)

http://www.marx21.it/index.php/comunisti-oggi/in-europa/26190-appello-dei-comunisti-ucraini-ai-partiti-comunisti-e-operai

Il 5 novembre 2015, il Tribunale amministrativo di appello di Kiev esaminerà la richiesta di appello del Partito Comunista di Ucraina (KPU) in merito alle decisioni della Corte amministrativa distrettuale di Kiev su 4 suoi ricorsi  contro il Ministero della Giustizia di Ucraina. Tutte le decisioni della prima istanza sono state prese in aperta e grossolana violazione delle fondamentali garanzie procedurali del diritto a un giusto processo.  Il nostro partito è sostenuto da un team di competenti avvocati.  In ogni caso, al momento è molto importante per noi ricevere il sostegno di compagni, membri del Parlamento Europeo o dei parlamenti nazionali, in considerazione del fatto che la decisione che a nel processo del 5 novembre verrà assunta renderebbe possibile la messa al bando del KPU.  

Il nostro Partito sosterrà tutte le spese. 

Sulle persecuzioni a cui i comunisti ucraini sono sottoposti da parte delle autorità golpiste di Kiev:  
http://www.marx21.it/index.php/comunisti-oggi/in-europa/25423-il-parlamento-golpista-ucraino-approva-il-divieto-della-propaganda-e-dei-simboli-comunisti 
http://www.marx21.it/index.php/comunisti-oggi/in-europa/25382-appello-del-partito-comunista-ducraina-ai-leader-dei-partiti-comunisti-e-operai-e-ai-parlamentari-europei 

L'appello dall'Italia:  http://www.marx21.it/internazionale/area-ex-urss/24392-no-alla-messa-fuorilegge-del-partito-comunista-ducraina.html 


=== 5 ===


Kiev junta bans the activities of two communist parties

October 1: The District Administrative Court of Kiev (OASK) has banned the activities of two communist parties.

As reported by the press service of OASK, on September 30 the Court adopted decisions in cases brought by the Ministry of Justice of Ukraine against the Communist Party of Ukraine (Renewed) and the Communist Party of Workers and Peasants (KPRS) to terminate the activities of a political party, saying the claims are satisfied in full and the activities of these parties banned.
The report added that consideration of the administrative case on the suit by the Ministry of Justice against the Communist Party of Ukraine (KPU) to terminate the activities of a political party continues, as the Communist Party of Ukraine appealed the order of the Ministry of Justice, which is the basis for the ban of its activities.
The trial on the suit of the Ministry of Justice against the Communist Party to terminate its activities is scheduled for October 8, 2015, at 14.00.
As UNIAN reported earlier, on July 8, 2014, the Ministry of Justice of Ukraine and State Registration Service (Ukrgosreestr) appealed to the District Administrative Court of Kiev with a lawsuit to ban the activities of the Communist Party of Ukraine. According to the lawsuit, the KPU commits acts aimed at changing the constitutional order by violent means; violates the sovereignty and territorial integrity of Ukraine; issues propaganda for war, violence, and incitement of ethnic hatred; encroaches on human rights and freedoms; and that representatives of the Communist Party systematically appeal for the creation of paramilitary groups.

Source: http://www.unian.net/politics/1139485-kievskiy-sud-prekratil-deyatelnost-dvuh-kommunisticheskih-partiy.html
Translated by Greg Butterfield


=== 6 ===


Comunicato dell'Ufficio stampa sul caso dei quadri del KKE, inaccettabilmente presi di mira dal governo ucraino

Partito Comunista di Grecia (KKE) | kke.gr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

30/09/2015

Il presidente dell'Ucraina, P. Poroshenko, verso la metà dello scorso settembre ha comminato tramite decreto una serie di sanzioni contro 105 persone giuridiche e 338 persone fisiche, per presunte attività contro l'Ucraina.
Tra i primi ci sono imprese, banche e istituti russi, comprese alcune organizzazioni e istituzioni di questo paese.
Anche tra le persone fisiche si possono trovare principalmente figure politiche della Russia, così come parlamentari, giornalisti, avvocati di altri paesi. Tra questi, i compagni Sotiris Zarianopoulos, europarlamentare del KKE, Giorgos Lamproulis, deputato del KKE e Giorgos Magganas, quadro del KKE.
I dirigenti del KKE, rispondendo all'invito delle "Repubbliche Popolari" del Donbass, andarono come "osservatori" alle elezioni che si svolsero a novembre 2014.
Con questa decisione, le autorità ucraine hanno lanciato delle accuse gravi e senza fondamento contro i quadri del KKE, accusandoli di sostenere il "terrorismo" e di agire contro gli "interessi nazionali e l'integrità territoriale" dell'Ucraina.
Queste accuse inaccettabili rivolte contro i quadri del KKE vengono lanciate da quelle forze salite al governo con il sostegno di Usa e Ue, oltre a quello delle forze fasciste. L'Ucraina però non sta venendo demolita dai quadri del KKE che, come altri da vari paesi di tutto il mondo, erano presenti in qualità di "osservatori" in un processo elettorale. Quest'opera di distruzione proviene invece dalle stesse autorità ucraine, le quali in preda a un delirio nazionalista hanno rovesciato con un colpo di stato il precedente governo, distrutto e vandalizzato i monumenti antifascisti e sovietici, bandito i partiti politici e tra questi il Partito Comunista d'Ucraina, proceduto alla riabilitazione e legittimazione storica dei nazisti ucraini, dichiarandosi infine favorevoli all'adesione del paese alle unioni imperialiste della Nato e dell'Ue. Con queste loro stesse azioni stanno causando la "disintegrazione" del proprio paese.
Il KKE denuncia questa inaccettabile decisione presa dal presidente dell'Ucraina contro i suoi quadri e ne chiede l'annullamento immediato.

Atene, 29/09/2015
Ufficio stampa del Comitato Centrale del KKE


=== 7 ===


Ucraina: aiutiamo i perseguitati politici

26 Agosto 2015

A seguire, il modello della lettera da inviare al Tribunale ucraino dove si tiene il processo contro Sergej Tkachenko e Denis Timofeev.

Un anno fa, il 1 settembre, nella regione di Dnepropetrovsk venivano arrestati due membri del Partito Comunista d’Ucraina: Sergej Tkachenko (segretario del partito e consigliere comunale a Dneprodzerzhinsk) e Denis Timofeev, segretario del partito a Baglejsk e capo della locale organizzazione Antifascista.

Solo successivamente sono stati resi noti i capi d’accusa: “attività separatiste” e detenzione e fabbricazione di armi (i due sarebbero stati intenti alla fabbricazione di granate in casa…).

Nel dicembre del 2014, la prima udienza del processo vide negare il rilascio su cauzione dei due militanti politici che da allora si vedono prorogare continuamente i due mesi di custodia cautelare in carcere (Timofeev poté beneficiare di alcune settimane ai domiciliari, per poi tornare in carcere su pressione del Procuratore della Repubblica a fine dicembre 2014).

Formalmente, i due restano in carcere accusati di “separatismo” in quanto oppositori della guerra nel Donbass  e della “Operazione Anti Terrorismo”, e di possesso di armi rinvenute “presumibilmente” (!) nelle loro abitazioni (art. 263 e 110 del Codice Penale).

Le ultime udienze (agosto 2015) si sono svolte nella violazione palese del diritto dei detenuti a difendersi: l’udienza del 13 agosto è stata anticipata da una udienza non prevista l’11, senza informare gli avvocati, e si è svolta quindi senza i legali degli imputati. Il giudice Tatiana Ivchenko e il pubblico ministero ne hanno approfittato per tentare di convincere i due, senza riuscirvi, ad assumere in propria difesa degli avvocati designati dal tribunale, in modo da risolvere “più velocemente” il caso promettendo addirittura di produrre la sentenza nella stessa giornata. L’udienza del 13 agosto si è svolta invece senza la presenza dei testimoni dell’accusa, e ai legali dei detenuti è stato vietato di esporre obiezioni alle contraddittorie testimonianze precedentemente prodotte e nuovamente riportate dall’accusa. La seduta si è conclusa con l’ennesima proroga di due mesi della detenzione (fino al 10 ottobre), e fissando una nuova udienza per l’8 settembre.

In vista della nuova udienza fissata per l’8 settembre, chiediamo ai nostri lettori di inviare, per posta o per e-mail, questa lettera in italiano e ucraino al Tribunale:

Dnipropetrovsk Region Court
Dniprodzerzhinsk, Guby str. 5
Ukraine, 51925

e-mail: inbox@...

______

Data:

Paese:

Al Tribunale Distrettuale di Dniprodzerzhinsk

Con la presente intendo esprimere la mia preoccupazione per le accuse penali e per il processo contro Sergej Tkachenko e Denis Timofeev che si tiene presso il Vs. tribunale. Apprendo che i due sono stati accusati ai sensi degli articoli 110 e 263 del Codice Penale dell'Ucraina.

Secondo le mie informazioni, i due imputati si sono apertamente espressi in favore di una risoluzione pacifica del conflitto politico in Ucraina orientale. Condivido questo punto di vista e non vedo alcun motivo per perseguire penalmente chi esprime questa posizione in Ucraina.

Sono preoccupato per il lungo periodo di detenzione degli imputati. Le loro richieste di libertà condizionale agli arresti domiciliari durante i lavori del Tribunale sono state negate dalla Vs. Corte. Questa sembra essere una grave violazione dei loro diritti.

Esorto il vostro tribunale a procedere rapidamente con questo caso, fornendo agli avvocati della difesa tutte le prove che i Pubblici Ministeri sostengono di avere contro gli imputati.

In fede,

Nome _______

Indirizzo / indirizzo e-mail ______



Дата:_______

Країна:_______

Заводському райнному суду м. Дніпродзержинська

Я пишу, щоб висловити свою стурбованість щодо кримінальних звинувачень і судового розгляду справи проти Сергія Ткаченка та Дениса Тимофєєва, яку розглядає ваш суд.

Їх звинувачують за статтями 110 та 263 Кримінального кодексу України.

За моїми даними, двоє обвинувачених висловлювалися за мирне вирішення політичного конфлікту на сході Україні. Я поділяю цю точку зору і не бачу причин, чому хтось в Україні має бути притягнутим за це до кримінальної відповідальності.

Я також стурбований тривалим утриманням обвинувачених під вартою. Їх апелляції щодо умовного звільнення під домашній арешт на час судового розсідування були відхилені судом. Це здається мені серйозним обмеження їх прав.

Я закликаю ваш суд розглянути цю справу якомога швидше, зокрема забезпечуючи адвокатів всіма доказами, що мають бути висунуті прокурорами у відношенні обвинувачуваних.

З повагою, _______

Адреса / e-mail: __________

A cura di Flavio Pettinari, animatore di “Con l’Ucraina antifascista” e collaboratore di Marx21.it

===

http://www.marx21.it/comunisti-oggi/in-europa/25896-aiutiamo-i-prigionieri-politici-ucraini.html

Aiutiamo i prigionieri politici ucraini

23 Luglio 2015
– Fonte: "Con l'Ucraina antifascista" https://www.facebook.com/ucrainaantifascista

Sergey Tkachenko e Denis Timofeyev sono compagni ucraini membri del Partito Comunista d’Ucraina. In seguito a delle accuse fabbricate a tavolino possono rischiare10 anni di carcere. Si trovano in un carcere di Dnepropetrovsk dal 1 Settembre 2014. In tutto questo tempo l'inchiesta non ha mostrato prove della loro colpa ma gli arrestati rimangono in prigione per via della situazione politica. In questo periodo loro e le loro famiglie hanno bisogno di un supporto finanziario.

Durante le perquisizioni nelle case di ciascuno di loro da parte della SBU (servizi di sicurezza ucraini) sono stati trovati numeri della rivista “Novorossia”, vietata, una granata e un pacco di tritolo. Ci sono seri motivi per credere che le “prove materiali” sono state piazzate dalle guardie stesse, cioè tutti gli oggetti sono stati “scoperti” alla fine della perquisizione nei posti già controllati prima.

La scusa per le perquisizioni era l'apparizione di una rivista locale del PCU, “Prometeo”, anche se la perizia ha dimostrato che la rivista non contiene nessun appello al separatismo. I difensori dei comunisti sottolineano che il processo si sta portando avanti con delle violazioni, per esempio le domande dei difensori ai testimoni sono state respinte dalla procura. La corte si rifiuta di cambiare le condizioni della detenzione degli arrestati. Secondo gli avvocati ciò contraddice le leggi europee che sono state implementate anche in Ucraina. Le famiglie dei detenuti stanno passando tempi duri. Tkachenko ha tre figli minorenni, Timofeev né ha due.

Dettagli per chi vuole inviare un aiuto economico: 

Web Money:

USD: Z318054284218
EUR: E720490705762
Bank transfers in Euro (EUR)
Account with Institution
BIC DEUTDEFF
DEUTSCHE BANK AG
FRANKFURT/MAIN, GERMANY
Beneficiary Bank
BIC SABRUAUK
SBERBANK OF RUSSIA’ JSC
Kyiv, Ukraine
CORRESPONDENT ACCOUNT NUMBER: 100947712600
Beneficiary: /26200000112733 OLENA TKACHENKO
Oppure:
Account with Institution
BIC COBADEFF
COMMERZBANK AG
FRANKFURT/MAIN, GERMANY
Beneficiary Bank
BIC SABRUAUK
‘SBERBANK OF RUSSIA’ JSC
Kyiv, Ukraine
CORRESPONDENT ACCOUNT NUMBER: 4008865602
Beneficiary: /26200000112733 OLENA TKACHENKO

Per informazioni: colonoscop@...
http://ukraine-human-rights.org/ukrainian-political-prison…/


=== 8 ===

ALTRI LINK / MORE FLASHBACKS

Contro il fascismo e la guerra in Ucraina e in Europa (da www.avante.pt, Traduzione di Marx21.it – 8 Ottobre 2015)
Conversazione con Petro Simonenko, primo segretario del Partito Comunista Ucraina, ospite della Festa di Avante! 2015.

Censura politica dell'arte in Ucraina (da www.solidnet.org, 19 Agosto 2015)
Appello del Partito Comunista di Ucraina ai partiti comunisti e operai degli altri paesi
http://www.marx21.it/internazionale/area-ex-urss/25958-censura-politica-dellarte-in-ucraina.html

L’Ucraina non è più un soggetto indipendente della politica internazionale (12 Agosto 2015 – da www.kpu.ua)
Negli anni dell’indipendenza l’Ucraina ha perso lo status di soggetto della politica internazionale, trasformandosi in oggetto di manipolazione. Lo ha dichiarato il leader del Partito Comunista di Ucraina Petro Simonenko...

Communist Andrei Sokolov in 8th month of Ukrainian captivity (Union Borotba, 4/8/2015)
Our comrade, communist Andrei Sokolov, is already in his 8th month as a political prisoner of the Ukrainian junta...

L’Ucraina, ridotta a colonia, consegna il controllo delle sue frontiere ai privati stranieri (Dichiarazione di Petro Simonenko, Segretario del Partito Comunista di Ucraina - da www.kpu.ua - 29 Luglio 2015)
La decisione del regime al potere di trasferire le dogane delle frontiere occidentali alla gestione di una compagnia privata britannica... rappresenta il riconoscimento della propria incompetenza e incapacità di contrastare il contrabbando e la corruzione... Si tratta, in definitiva, di una manifestazione dell’incapacità di gestire lo stato e di uno sputo in faccia al popolo dell’Ucraina, a cui è negato il diritto di essere padrone sulla propria terra e a cui spetta solo il destino della schiavitù coloniale... Il trasferimento di tutto il confine economico occidentale al controllo di una compagnia privata straniera è un assolutamente prevedibile passo antipopolare nella forma e anti-ucraino nella sostanza da parte del governo. Ciò rappresenta una rinuncia de facto alla sovranità politica dell’Ucraina e un atto di tradimento della nazione...
http://www.marx21.it/internazionale/area-ex-urss/25914-lucraina-ridotta-a-colonia-consegna-il-controllo-delle-sue-frontiere-ai-privati-stranieri.html

I comunisti russi denunciano la scalata della repressione anticomunista in Ucraina
Dichiarazione del Partito Comunista della Federazione Russa (26 Luglio 2015 – da kprf.ru)
Il gruppo filo-americano al governo a Kiev, che si era impadronito del potere in Ucraina nel febbraio del 2014, ha fatto ancora un passo sulla strada dell’annientamento della democrazia nel paese. Il ministro della Giustizia ha firmato un documento che proibisce al Partito Comunista di Ucraina di partecipare alle elezioni di qualsiasi livello. In tal modo, è dato di capire che ciò rappresenta solo un passo intermedio verso la completa proibizione del partito comunista...

Nuovo giro di vite fascista in Ucraina. Al bando i partiti comunisti (Redazione Contropiano, 24 Luglio 2015)
… "il Partito Comunista d'Ucraina nella sua attività non è conforme alla legge sulla de-comunistizzazione. La conseguenza giuridica di ciò è che questa forza politica e altri due partiti politici comunisti non possono essere soggetti al processo elettorale e partecipare alle elezioni presidenziali e alle elezioni locali « ...
Ucraina: è stato bandito il Partito Comunista (24 Luglio 2015)
Leader comunisti, parteciperemo comunque a elezioni – Il partito comunista ucraino parteciperà alle elezioni locali fissate per il 25 ottobre nonostante sia stato ufficialmente messo al bando dal governo filo-occidentale al potere a Kiev. Lo ha annunciato il leader dei comunisti ucraini, Petro Simonenko, sfidando cosi’ il bando decido dal ministro di grazia e giustizia. (Notizia ANSA 24 luglio 201515:33)
http://www.marx21.it/comunisti-oggi/in-europa/25901-ucraina-e-stato-bandito-il-partito-comunista.html

Kiev junta continues trial of communist Alexander Bondarchuk
Tomorrow, July 10, 2015, at 14.30 in Darnytskyi district court of Kiev (address: Kyiv, vul. Kosice, 5A), another court hearing will be held in the case of the editor-in-chief of "Working Class" and opposition politician Alexander V. Bondarchuk... 

Resistenza al regime fascista di Kiev (18 giugno 2015)
1.1) PROMULGATE LE LEGGI SPECIALI IN UCRAINA: I COMUNISTI E I LORO SIMBOLI SONO FUORILEGGE
1.2) Il Ministero degli Esteri russo condanna le leggi anticomuniste e “revisioniste” varate in Ucraina
1.3) Istituita in Ucraina la "Opposizione di sinistra" / "United Left Opposition" / „Linke Opposition“
2.0) More Links
2.1) Open Letter from Scholars and Experts on Ukraine Re. the So-Called "Anti-Communist Law"
/ Lettera aperta di studiosi dell’Ucraina sulla cosiddetta “legge anti-comunista” 
2.2) Arrestato in Ucraina Sergej Gordienko, uno dei massimi dirigenti comunisti
2.3) Assassinii politici in Ucraina
2.4) Campaigns of the "Union of the political political prisoners and political refugees of Ukraine"

L’uovo del serpente (di Pedro Guerreiro - 29 Maggio 2015)
Le leggi

(Message over 64 KB, truncated)



DIPLOMARBEIT

Titel:
Die Wahrnehmung des Zerfalls von Jugoslawien in ausgewählten Werken Peter Handkes und Dubravka Ugrešićs

Verfasserin: 
Maja Sito, BA
angestrebter akademischer Grad Magistra der Philosophie (Mag.phil.)

Wien, 2011
Deutsche Philologie
Betreuerin: Ao. Univ.-Prof. Mag. Dr. Pia Janke

Inhaltsverzeichnis:

Vorwort.................................................................................................................4

1. Einführung.......................................................................................................8

1.1. Kollektive und mediale Wahrnehmung des Zerfalls von Jugoslawien im deutschsprachigen und kroatischen Raum.....................8 
1.2. Forschungsstand...........................................................................................13 
1.3. Aufbau der Arbeit und Methodik.................................................................15

2. Eingrenzung des Begriffes Wahrnehmung.................................................17

2.1. Die Interdependenz von Identität, Sprache und Wahrnehmung......................23 
2.1.1. Identität und Wahrnehmung............................................................................................23 
2.1.2. Sprache und Wahrnehmung............................................................................................28 
2.2. Mediatisierte Wahrnehmung.........................................................................30 
2.2.1. Der literarische Text und Wahrnehmung........................................................................34

3. Irritationen in der Wahrnehmung...............................................................38

3.1. Durch den Verlust von Identität....................................................................38 
3.2. Durch Variationen in der Sprache.................................................................40

4. Die Wahrnehmung des Zerfalls von Jugoslawien.......................42

4.1. Formale Aspekte von Text und Wahrnehmung............................................42 
4.1.1. Schwellentext..................................................................................................................42 
4.1.2. Erzählverfahren...............................................................................................................43

4.2. Wahrnehmungsschemata der Medien in der literarischen Kritik.................43 
4.2.1. Das poetische Gegenprogramm......................................................................................44 
4.2.2. Festschreibung medialer Wahrnehmungsschemata - Ein Spiegelverhältnis...................49 
4.2.3. Der Parasit im Auge........................................................................................................53 
4.2.4. Lückenlose Berichterstattung..........................................................................................61
4.2.5. Ein Land verschwindet...................................................................................................66 
4.2.6. Ziele der literarischen Kritik...........................................................................................69

4.3. Literarische Wahrnehmungspositionen........................................................70 
4.3.1. Rollenmodelle der BeobachterInnen..............................................................................71 
4.3.2. Verortungen und Bewegungen des Blicks......................................................................77 
4.3.3. Der Blick an der Schwelle..............................................................................................81

4.4. Alternative Perspektiven in der Wahrnehmung des Zerfalls von Jugoslawien................................86 
4.4.1. Fragmentarisierte Wahrnehmung....................................................................................86 
4.4.2. Wahrnehmen von Verlusten............................................................................................90 
4.4.3. Wahrnehmung für Friedenszeiten...................................................................................97

5. Rezeption der Wahrnehmung Handkes und Ugre!i"s - ihre Hauptkritikpunkte im Vergleich...........................99

6. Schlusswort..................................................................................................107

7. Bibliografie...................................................................................................110
7.1. Primärliteratur.............................................................................................110 
7.2. Sekundärliteratur.........................................................................................111 
7.3. Internetquellen............................................................................................121
8. Anhang.........................................................................................................122
8.1. Abstract.......................................................................................................122 
8.2. Curriculum Vitae........................................................................................123


---


Wahrnehmungsstörungen


Dezember 17, 2015

Gestern entdeckt: hier mal eine bemerkenswerte Diplomarbeit  von 2011, der 29jährigen Maja Sito. Auch deshalb bemerkenswert, weil sie Kroatin ist und objektiv und frei von negativen Wertungen, die (un)Kultur des `modernen` Journalismus analysiert. (Für die, die es nicht wissen: Kroaten, Moslems und Serben waren die größten rivalisierenden Bürgerkriegsgruppen im jüngsten Jugoslawienkrieg, die jedoch nicht – wie auch die Verfasserin betont – als homogene Volksgruppen betrachtet werden können.)

Maja Sito erklärt die Gedanken hinter ihrer Arbeit und vergleicht hierzu die Schriften zweier völlig konträrer SchriftstellerInnen – Peter Handke  und Dubravka Ugrešić   – mit den Veröffentlichungen deren Kritiker. Obwohl sowohl Handkes, als auch Ugrešićs Texte Konflikte und Skandale in der Öffentlichkeit auslösten, steckt eine völlig gegensätzliche Intention dahinter. Beiden wurde jedoch eine “falsche” Wirklichkeitswahrnehmung der Jugoslawienkriege vorgeworfen. Dass dies jedoch vielmehr auf Seiten der Kritiker und der breiten Medienmasse der Fall ist, macht diese Analyse deutlich. Akribisch fügt auch sie die Quellenangaben hinzu.

Das lobenswerte an Maja Sito, die in ihrer Diplomarbeit wie viele Analytiker und Autoren schon zuvor, auf die Rolle der Medien eingeht, ist ihr Fazit im Schlusswort. Sie bringt darin auf den Punkt, was man als fehlende menschliche Wahrnehmung und ungenügendem Verantwortungsbewusstsein des Journalismus der letzten 25 Jahre bezeichnen muss – eine klare und auf faire Recherche beruhende Feststellung, die in dieser Form wohl nur wenigen Autoren und Journalisten gelingt.

Hierzu aus ihrem Schlusswort:

»Beide Texte [von Handke und Ugrešić] vereinen in sich ein komplexes und hochpolitischen Thema einer noch kurz zurückliegenden europäischen Geschichte, welches von den Medien in seiner Komplexität so stark reduziert wurde, so dass lediglich ein Schwarz-Weiß-Schema zurückblieb und man sich für eine Seite entscheiden musste. In vorliegendem Fall ist dieses von den Medien reduzierte Objekt der Erörterung die SFRJ [Die Sozialistische Föderative Republik Jugoslawien], welche entweder mit Repressalien und Diktatur oder mit auf Freiheit und Demokratie basierenden unabhängigen Einzelstaaten gleichgesetzt wurde.

Zwischen diesen beiden Polen der Darstellung existierte keine Berichterstattung. Handke und Ugrešić wurden ebenso in diesem “Entweder-Oder-Modus” als jugophile NostalgikerInnen eingeordnet.

 Dabei beinhalten die kritisierten Texte weitaus mehr Potential als von den Medien wahrgenommen werden konnte. Letztgenannte haben sich ihre eigenen Gucklöcher geschaffen und sich damit selbst jede andere Art der Wahrnehmung, vor allem auch der selbstreflexiven- und kritischen, verwehrt

Weiterer Auszug aus ihrer Arbeit:

»Gabriele Vollmer kann in ihrer Dissertation “Polarisierung in der Kriegsberichterstattung” die einseitige Berichterstattung der deutschen Zeitungen “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, “Süddeutsche Zeitung”, “Frankfurter Rundschau” und “tageszeitung” belegen. Darin ermittelt sie, wie in allen genannten Medien “die Serben” mit den meisten Stereotypen versehen werden, nämlich mit 191 gegenüber neun slowenischen und sieben kroatischen12.

Interessanterweise fehlen auch Hinweise auf den Verfassungsbruch der Slowenen und Kroaten, während den Serben13 überwiegend die Schuld für gebrochene Waffenstillstände zugewiesen wird: “In 82,4% aller angegebenen Fälle (34) wurde bei der Nennung eines Kriegsgrundes gleichzeitig ein aggressives Verhalten der Serben assoziiert.”14 Eine weitere Methode um die Serben zu diskreditieren, war es die westliche Bevölkerung über serbische Ablehnungen zu Friedensinitiativen anstatt von deren Zustimmungen zu informieren. Auch wenn die Serben am häufigsten Waffenstillständen zustimmten (40), so entstand durch die Meldungen der Ablehnungen (15) ein insgesamt negatives Bild von Serbien. Letztendlich bauten die Medien auf diesem Wege ein serbisches Feindbild auf, welches “durch eine Einseitigkeit der Berichterstattung zugunsten der Slowenen und Kroaten”15 erreicht wurde.

Zum selben Schluss kommt auch Peter Brock in “Meutenjournalismus”: “Trotz anhaltender Berichte der Greueltaten von kroatischen Soldaten und paramilitärischen Einheiten gegen Serben […] war in den Geschichten, die die Welt erreichten, nur von serbischen Übergriffen die Rede.”16

 Mira Beham ermittelt jene Gesetzmäßigkeiten, welche die Jugoslawienberichterstattung in Deutschland prägen und fasst sie in drei Punkten zusammen:

“1. Jede Provokation, jede Handlung oder jedes Verbrechen, deren Verursacher unklar ist, wird […] automatisch den Serben zugeschrieben. 2. Die angeblich von serbischer Seite hervorgerufenen Ereignisse haben Schlagzeilen- und Sensationswert. Spätere Dementis oder Richtigstellungen erscheinen nur in Nebensätzen oder kleingedruckt, wenn überhaupt.

  1. Durch die eindeutigen Schuldzuweisungen wird der Handlungsdruck gegen nur eine Seite des Konflikts verstärkt.”17

Im Weiteren führt Beham konkrete Beispiele18 an, welche ihre Thesen belegen und festigen.

Die Öffentlichkeit wurde regelrecht durch die Medien “antiserbisch aufgeputscht”19. Dasselbe Phänomen findet sich in Österreich. “Gemeinsam mit dem ORF und dem Großteil der österreichischen Presse sentimetalisierte er [der österreichische Außenminister Alois Mock] die ganze Bevölkerung für das katholische Kroatien”20, stellt Rudolph Burger in “Kriegsgeiler Kiebitz oder der Geist von 1914” fest. Natürlich stellt sich da die Frage nach den Beweggründen der Medien, Meinungen anstatt Nachrichten zu verbreiten. Dieser Themenkomplex ist jedoch nicht relevant für meine Fragestellung. Eine Zusammenführung von Begründungen kann man bei Sonja Gerstl in ihrer Diplomarbeit „Stecken Sie sich Ihre Betroffenheit in den Arsch!“ Sprache und Political Correctness – Textanalytische Untersuchungen zu Peter Handkes „Eine winterliche Reise zu den Flüssen Donau, Save, Morawa und Drina oder Gerechtigkeit für Serbien“21 oder bei Kurt Grisch in “Peter Handke und `Gerechtigkeit für Serbien`”22 nachlesen.

Wie bereits anhand des Beispiels von Peter Brock gezeigt wurde, gab es selbstverständlich auch JournalistInnen, welche selbst ein differenzierteres Bild vom Krieg in Jugoslawien hatten und kein schwarz-weißes reproduzieren wollten. Doch diese JournalistInnen wollten nicht gehört werden, wie es Thomas Deichmann auch in der Einleitung seines Sammelbandes “Noch einmal für Jugoslawien: Peter Handke” konstatiert: Dass nämlich “persönliche Einstellungen und Emotionen der Reporter vor Ort die Qualität der Berichterstattung stark beeinträchtigt hätten und daß Kollegen, die den allgemeinen Konsens zu hinterfragen wagten, denunziert und gemieden wurden. «

Aus dem Vorwort:

Wer sich einer anderen Sprache oder anderer Bilder als die von den Medien über Jahre hinweg reproduzierten bediente, begab sich auf politisches Glatteis. Wie etwa der US-amerikanische Journalist Peter Brock, welcher von den Berichten zum Jugoslawienkrieg veranlasst wurde in der weltweit renommierten Zeitschrift für internationale Politik „Foreign Policy“ 1993 jene Kriegsberichterstattung einer Medienanalyse zu unterziehen:

„Die Nachrichten kamen im vollen Kampfanzug der knalligen Schlagzeilen, der seitenweise ausgebreiteten, bluttriefenden Fotos und grausigen Videofilme daher. Dahinter steckte die klare Absicht, Regierungen zu militärischem Eingreifen zu zwingen. Die Wirkung war unwiderstehlich, aber war das Bild vollständig?“1

 

In bahnbrechende Analyse konnte Brock eine Vielzahl von politisch folgenschweren Falschmeldungen und Tatsachenverdrehungen bei der Berichterstattung nachweisen.

Das Erscheinen des Artikels löste großes Aufsehen und Empörung aus, weniger über die Leichtfertigkeit der Medien Halbwahrheiten zu verbreiten, als über Peter Brock selbst2. Die öffentliche Erregung weitete sich nach ihrem entstehen in den USA schließlich auch auf Europa aus, nachdem die Züricher „Weltwoche“ den Artikel Anfang 1994 ebenfalls veröffentlicht hatte. Der verantwortliche Auslandsredakteur der Züricher „Weltwoche“

Hanspeter Born kommentiert die Ereignisse nach der Veröffentlichung:

1 Peter Brock: Dateline Yugoslavia: The Partisan Press. In: Foreign Policy. 93/1993-94. S. 153. Zitiert nach:

Sonja Gerstl: “Stecken Sie sich Ihre Betroffenheit in den Arsch!”. S. 38.

2 Vgl. Mira Beham: Kriegstrommeln. Medien, Krieg und Politik. – München: Deutscher Taschenbuch-Verlag.

  1. S. 208.

 „Es hagelte Telefonanrufe und Leserbriefe, in denen uns vorgeworfen wurde, wir leugneten die serbische Aggression im Bosnienkrieg, wir verharmlosen Kriegsverbrechen wie die `ethnische[n] Säuberungen` und die Vergewaltigungen, wir stellen Täter und Opfer auf dieselbe Ebene und verhöhnten somit die Opfer.“3

Eine öffentlich-kritische Debatte zum Einfluss der Medien auf diesen Krieg war somit weder im westlichen Europa noch in der restlichen Welt möglich. Es schien kaum noch Lücken und Notwendigkeiten für andere Worte und Blicke zu geben. Die Wahrnehmung, welche über die Politik und Medien vermittelt wurde, beeinflusste, veränderte und konstruierte vor allem den Blick der Menschen auf Jugoslawien.«

Hier eine der Wahrnehmungen Peter Handkes: »Damals, im Juli 1995, war ja noch überhaupt nicht klar, was in Srebrenica geschehen war und was es mit den sogenannten Massakern auf sich hatte; es gab mehr Gerüchte als Tatsachen. Die Freundin meines Übersetzerfreundes hat gesagt, sie sei davon überzeugt, dass nach dem Fall von Srebrenica viel Böses geschehen ist, und ich habe das so erzählt. Wenn man damals auch nur gefragt hat: “Stimmt das wirklich?”, so wurde einem das gleich so ausgelegt, als hätte man das Massaker geleugnet, wie in meinem Fall in Frankreich. Ich hatte ein paar Fragen gestellt: Wie photografierte man die sogenannten Opfer, wie arbeiten die Journalisten?«

Erschienen in Ketzerbriefe Nr. 169 mit dem Titel “Srebrenica” Viel Lärm um Srebrenica: – Flaschenpost für unangepaßte Gedanken.




Da: "'Coord. Naz. per la Jugoslavia'
Data: 14 dicembre 2015 19:10:02 CET
A: eurostop.it @ gmail.com
Oggetto: Adesione alla Giornata anti-guerra del 16 gennaio


Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS aderisce ed invita ad aderire alle iniziative che saranno promosse nella giornata nazionale di mobilitazione indetta per il 16 gennaio 2016. Saluti antimilitaristi e auguriamoci un 2016 senza guerra!



Carissime carissimi,

Il 16 gennaio 2016 saranno esattamente 25 anni dai primi bombardamenti USA nella prima guerra d’Iraq, con i quali si è dato avvio a quella terza guerra mondiale a pezzi di cui ha parlato Papa Francesco. Questa guerra giustificata per ripristinare il diritto e combattere il terrorismo si è invece alimentata di se stessa trascinando tutto il mondo in un piano inclinato che non pare avere fine. La guerra non è la risposta al terrorismo, ma lo alimenta, come gli sporchi affari, i conflitti di potenza, la vendita delle armi che fanno crescere i conflitti su se stessi.


Dopo 25 anni di disastri della guerra sarebbe ragionevole dire basta, invece dopo le stragi terroriste di Parigi tutta l’Europa è in preda ad una furia bellicista che porterà solo nuovi danni e nuovi lutti.

Questa volta, inoltre, la guerra si intreccia sempre di più con misure autoritarie e liberticide che colpiscono al cuore le democrazie europee, prima fra tutte la decisione del governo francese di decretare lo stato d’emergenza e di pretendere la revisione autoritaria della Costituzione, misure che rischiano di fare ai popoli europei danni come il terrorismo. La guerra è alimentata da uno spirito securitario e xenofobo che colpisce i migranti assieme ad ogni forma di dissenso e conflittualità sociale.

Per queste ragioni nella prima assemblea comune delle persone e delle organizzazioni che hanno sottoscritto la PIATTAFORMA SOCIALE EUROSTOP abbiamo deciso di mobilitarci contro la  guerra, chiunque la faccia e quale che sia la motivazione nel farla. Il 16 gennaio ci sembra la data giusta per ricominciare a manifestare, affermando: SE 25 ANNI DI GUERRA VI SEMBRAN POCHI….BASTA GUERRA.

Vorremmo fare del 16 gennaio un appuntamento comune di mobilitazione di tutte le forze autenticamente e rigorosamente contro la guerra. Anche se su altri temi ci possono essere e ci sono valutazioni e proposte diverse, pensiamo che chi è davvero contro la guerra dovrebbe manifestare comunque assieme.

Per questo proponiamo che il 16 gennaio sia una giornata di mobilitazione di tutti coloro che, lo ripetiamo, rifiutano comunque la guerra ed il coinvolgimento dell’Italia in essa. Questa mobilitazione può avvenire in iniziative comuni, che noi proponiamo in particolare a Roma, ma anche con iniziative differenziate e solidali tra loro , l’importante è far sentire forte la voce di chi, dopo 25 anni, dice basta.

Sulle modalità di organizzazione della mobilitazione in modo che tutto il pluralismo della mobilitazione sia rappresentato, siamo interessati a confrontarci quanto prima, non abbiamo alcun interesse a definire supremazie su un tema così importante. Naturalmente la data non è modificabile, non per nostra scelta, ma per il significato storico e politico del 16 gennaio 1991.

In attesa di sentirci e misurarci sull’organizzazione pratica della proposta vi inviamo un caloroso saluto.

IL COORDINAMENTO NAZIONALE DELLA PIATTAFORMA 

SOCIALE EUROSTOP

5 Dicembre 2015



(italiano / srpskohrvatski)

Montenegro: NATO ubice nikad dobrodošle

1) NKPJ: НАТО УБИЦЕ НИКАД ДОБРОДОШЛЕ
2) Campagna #NO GUERRA #NO NATO: L'espansione NATO trascina l'Europa alla guerra 
3) Manlio Dinucci: La NATO si allarga ancora
4) Talal Khrais: La schizofrenia di guerra dell’Europa... Combatte chi combatte il terrorismo!


Sul tema si vedano anche:

Montenegro nella Nato? Sì, contro la volontà popolare (PTV News 4 dicembre 2015)
VIDEO: https://youtu.be/I1zL_wMCnX8?t=3m7s

Alla NATO non interessa l'opinione dei Montenegrini (JUGOINFO del 3.12.2015)

Il punto di Giulietto Chiesa - "La Nato, con il Montenegro, estende la destabilizzazione in Europa" (PandoraTV, 2 dic 2015) 
Perché la Nato si è spesa tanto per far entrare nell'alleanza un paese che conta gli stessi abitanti di una città come Genova? Basta guardare la carta geografica: confina con la Serbia, con il Kosovo, l'Albania, la Croazia, la Bosnia tutti paesi che sono ancora in ebollizione. Si vuole stringere l'accerchiamento attorno alla Russia.
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=bjBR5F6TL-g
http://www.pandoratv.it/?p=5094

Montenegro: 15 poliziotti e 24 civili rimasti feriti duranti gli scontri a Podgorica
15 police officers and 24 citizens injured in clashes in Podgorica (26/10/2015) / Durante le proteste del Fronte Democratico a Podgorica, ci sono stati 15 poliziotti feriti, uno di loro in modo grave, ha detto il ministro degli interni Andrija Rasko Konjevic. Il Governo del Montenegro, dal suo profilo ufficiale di Twitter, ha dichiarato che i dimostranti hanno attaccato brutalmente la polizia...


=== 1 ===


НАТО УБИЦЕ НИКАД ДОБРОДОШЛЕ

Нова комунистичка партија Југославије (НКПЈ) са згражавањем гледа на јучерашњу одлуку НАТО-а да упути знаничну позивницу Црној Гори да приступи том агресивном војном империјалистичком савезу, а такође, најоштрије осуђујемо недавну посету Србији Јенса Столтенберга, генералног секретара НАТО-а, ударне војне песнице западног империјализма.

НАТО је у садејству са врхушкама Сједињених Америчких Држава и Европске уније одговоран за разбијање наше социјалистичке домовине Социјалистичке Федеративне Републике Југославије и крвави братоубилачки рат на њеним просторима. НАТО је извршио злочиначку агресију на Савезну Републику Југославију 1999. године. Директно је одговоран за бројне цивилне и војне жртве приликом тог гнусног империјалистичког чина. НАТО под окупацијом држи јужну српску покрајину Косово и Метохију где је изградио највећу војну базу на Балкану, Бондстил а присутан је са својим трупама и у Босни и Херцеговини и Македонији. НАТО широм света, зарад експлоататорских циљева западног крупног капитала, врши бројне злочиначке интервенције против прогресивних држава, народа и покрета. 

НАТО наставља своју експанзионистичку политику, која за циљ има глобалну војну доминацију и брутално конфронтирање са свима који не желе да се повинују интересима западног империјализма. НАТО је формално озваничио намеру да се у овај империјалистички савез увуче и Црна Гора, позивом на састанку министара иностраних послова НАТО земаља у Бриселу, 02. 12. 2015. 

Позив за улазак Црне Горе у НАТО логичан је след догађаја у контексту интензивирања империјалистичких притисака и звецкања оружјем. Улазак Црне Горе у НАТО ће додатнио угрозити мир на Балкану, а не супротно, начиниће Црну Гору легитимном метом свих који се супротстављају ударној песници западног империјализма, и додатно ће погоршати односе са Русијом што ће се крајње негативно одразити на економску ситуацију у земљи и на традиционално пријатељске и братске односе Црне Горе и Русије. 

Без икаквих претеривања ову одлуку можемо назвати монструозном, а хвалисање проимперијалистичке и мафијашке власти у Подгорици „постигнутим“ срамном, издајничком и кукавичком. Народ у Црној Гори није заборавио монструозне злочине које је НАТО починио током агресије на СРЈ 1999. године, попут оног у месту Мурино, када су НАТО бомбе срушиле мости уовомместу и убиле више цивила од чега две девојчице од 9 и 12 година, и једног дечака од 13 година. Тиме је НАТО јасно поручио Црној Гори шта мисли о њеној будућности. Отуд је сраман, издајнички и кукавички поступак црногорских власти које не само да су на своју руку одлучиле да приступе НАТО-у без одржавања референдума на ком би народ изнео своје виђење, већ су то урадиле верно служећи наредбе својих империјалистичких газда које тиме попуњавају „рупу“, како они виде Црну Гору, на Балкану. 

НКПЈ позива народ Црне Горе да устане против издајничке владе и суспендује њену одлуку о придруживању Северноатланском војном савезу. Црна Гора ће тиме не само демонстрирати свој слободарски и јуначки дух, већ и бити пример целом региону и шире, тиме стећи нове симпатије и солидарност народа Балкана, посебно са простора Југославије за чије је растурање одговоран у првом реду западни империјализам и његова ударна песница НАТО.

Србија и њена проимперијлистичка власт у стопу следе Мила и компанију. Најбоља потврда тога је недавно примање Столетенберга, генералног секретара НАТО-а у званичну посету. Буржоаска про-империјалистичка влада Александра Вучића нанела је тиме срамну увреду свим родољубивим грађанима Србије.

НКПЈ од Владе Србије тражи да прекине сваку сарадњу са том злочиначком војном алијансом која ради у интересу имепријалистичких циљева Вашингтона и Брисела и да ускрати посете свим њеним званичницима. По истом принципу по коме Србији није место у империјалистичкој тамници народа Европској унији, исто тако јој није место ни у НАТО јер је циљ обе организације да обезбеде да богати буду још богатији а сиромашни још сиромашнији.

НКПЈ користи и ову прилику да поручи да окупаторске НАТО трупе одмах морају да напусте територију Косова и Метохије, као и да се та покрајина одмах врати у састав своје матице Србије. НКПЈ захтева да се окупаторске трупе НАТО повуку из Босне и Херцеговине и Македоније као и са територије читавог Балкана.

Доле са империјалистичком војном алијансом НАТО!

Не НАТО чласнтву Црне Горе!

НАТО напоље са Косова и Метохије!

НАТО напоље са простора бивше Југославије и Балкана!

Балкан припада балканским народима!

Секретаријат Нове комунистичке партије Југославије,

03. децембар 2015. године


=== 2 ===


L'espansione NATO trascina l'Europa alla guerra

Comitato promotore della campagna #NO GUERRA #NO NATO
6 dic 2015 

La decisione del Consiglio Nord Atlantico di invitare il Montenegro a iniziare i colloqui di accesso per divenire il 29° membro dell'Alleanza, getta benzina su una situazione già incandescente. Tale decisione conferma che la strategia Usa/Nato mira all'accerchiamento della Russia.
Il Montenegro, l'ultimo degli Stati nati dallo smantellamento della Federazione Jugoslava con la guerra Nato del 1999, ha, nonostante le sue piccole dimensioni, un importante ruolo geostrategico nel Balcani. Possiede porti utilizzabili a scopo militare nel Mediterraneo e grandi bunker sotterranei che, ammodernati, permettono alla Nato di stoccare enormi quantità di munizioni, comprese armi nucleari.
Il Montenegro è anche candidato a entrare nell'Unione europea, dove già 22 dei 28 membri appartengono alla Nato sotto comando Usa. Nonostante che perfino l'Europol (l'Ufficio di polizia della Ue) abbia messo sotto inchiesta il governo di Milo Djukanovic, perché il Montenegro è divenuto il crocevia del traffico di droga dall'Afghanistan all'Europa e il più importante centro di riciclaggio di denaro sporco.
Dopo aver inglobato dal 1999 al 2009 tutti i paesi dell'ex Patto di Varsavia, tre della ex Unione Sovietica e due della ex Federazione Jugoslava, la Nato vuole ora impadronirsi del Montenegro per trasformarlo in base della sua strategia aggressiva. Si avvale a tal fine della complicità del governo Djukanovic, che all'interno reprime duramente la forte opposizione democratica all'entrata del Montenegro nella Nato.
La Nato mira oltre. Si prepara ad annettere Macedonia, Bosnia-Erzegovina, Georgia, Ucraina e altri paesi, per espandersi, con le sue basi e forze militari comprese quelle nucleari, sempre più a ridosso della Russia.
In questa gravissima situazione, in cui l'Europa viene trascinata nella via senza uscita della guerra, il Comitato No Guerra No Nato
- chiama alla più ampia mobilitazione per l'uscita dell'Italia dalla Nato, per un'Italia neutrale e sovrana che si attenga all'Art. 11 della Costituzione;
- chiama i movimenti europei anti-Nato a unire le forze in questa battaglia decisiva per il futuro dell'Europa;
- esprime la sua solidarietà ai movimenti e alle persone (politici, giornalisti e altri) che, in Montenegro, si battono coraggiosamente contro la Nato per la sovranità nazionale. 

Catania, 5 dicembre 2015.


=== 3 ===

Di Manlio Dinucci sullo stesso argomento si vedano anche:

Manlio Dinucci – La Nato si allarga ancora: il Montenegro 29° membro dell’Alleanza (08/12/2015)
«Che importanza ha per la Nato il Montenegro, l’ultimo degli Stati formatisi in seguito alla disgregazione della Federazione Jugoslava, demolita dalla Nato con l’infiltrazione e la guerra?». L'analisi di Manlio Dinucci in merito all'ingresso del Montenegro nell'Alleanza Atlantica
http://www.pandoratv.it/?p=5185
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=37nbSJQZtps

Manlio Dinucci – "L' arte della Guerra" (PandoraTV, 6 dic 2015)
Alberto Melotto intervista Manlio Dinucci in merito al suo ultimo libro "L' arte della Guerra". Ne scaturisce una ricostruzione storica dell'Alleanza Atlantica e delle sue guerre, a partire dal riorientamento strategico iniziato con la fine della Guerra Fredda...
http://www.pandoratv.it/?p=5166
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=docYaI1U050

---


La Nato si allarga ancora

9 dic 2015 — Manlio Dinucci

La «storica» decisione del Consiglio Nord Atlantico di invitare il Montenegro a iniziare la procedura di accesso per divenire il 29° membro dell’Alleanza, costituisce una ulteriore mossa della strategia Usa/Nato mirante all’accerchiamento della Russia. Che importanza ha per la Nato il Montenegro, l’ultimo degli Stati (2006) formatisi in seguito alla disgregazione della Federazione Jugoslava, demolita dalla Nato con l’infiltrazione e la guerra? Lo si capisce guardando la carta geografica. 

Con una superficie un po’ inferiore a quella della Puglia (a soli 200 km sulla sponda opposta dell’Adriatico) e una popolazione di appena 630 mila abitanti (un sesto di quella della Puglia), il Montenegro ha una importante posizione geostrategica. Confina con Albania e Croazia (membri della Nato), Kosovo (di fatto già nella Nato), Serbia e Bosnia-Erzegovina (partner della Nato). Ha due porti, Bar e Porto Montenegro, utilizzabili a scopo militare nel Mediterraneo. Nel secondo fece scalo, nel novembre 2014, la portaerei Cavour. 

Il Montenegro è strategicamente importante anche come deposito di munizioni e altro materiale bellico. Sul suo territorio si trovano dieci grandi bunker sotterranei costruiti all’epoca della Federazione Jugoslava, dove restano oltre 10mila tonnellate di vecchie munizioni da smaltire o esportare, e hangar fortificati per aerei (bombardati dalla Nato nel 1999). Con milioni di euro forniti anche dalla Ue, è iniziata da tempo la loro ristrutturazione (i primi sono stati quelli di Taras e Brezovic). La Nato disporrà così in Montenegro di bunker che, ammodernati, permetteranno di stoccare enormi quantità di munizioni, comprese anche armi nucleari, e di hangar per cacciabombardieri. 

Il Montenegro, la cui entrata nella Nato è ormai certa, è anche candidato a entrare nell’Unione europea, dove già 22 dei 28 membri appartengono alla Nato sotto comando Usa. Un importante ruolo in tal senso lo ha svolto Federica Mogherini: visitando il Montenegro in veste di ministro degli esteri nel luglio 2014, ribadiva che «la politica sull’allargamento è la chiave di volta del successo dell’Unione europea - e della Nato - nel promuovere pace, democrazia e sicurezza in Europa» e lodava il governo montenegrino per la sua «storia di successo». Quel governo capeggiato da Milo Djukanovic che perfino l’Europol (l’Ufficio di polizia della Ue) aveva chiamato in causa già nel 2013 perché il Montenegro è divenuto il crocevia dei traffici di droga dall’Afghanistan (dove opera la Nato) all’Europa e il più importante centro di riciclaggio di denaro sporco. Una «storia di successo», analoga a quella del Kosovo, che dimostra come anche la criminalità organizzata può essere usata a fini strategici. 

Continua così l’espansione della Nato ad Est. Nel 1999 essa ingloba i primi tre paesi dell’ex Patto di Varsavia: Polonia, Repubblica ceca e Ungheria. Nel 2004, la Nato si estende ad altri sette: Estonia, Lettonia, Lituania (già parte dell’Urss); Bulgaria, Romania, Slovacchia (già parte del Patto di Varsavia); Slovenia (già parte della Jugoslavia). Nel 2009, la Nato ingloba l’Albania (un tempo membro del Patto di Varsavia) e la Croazia (già parte della Jugoslavia). 

Ora, nonostante la forte opposizione interna duramente repressa, si vuole tirar dentro il Montenegro, seguito da alcuni «Paesi aspiranti» – Macedonia, Bosnia-Erzegovina, Georgia, Ucraina – e da altri ancora cui viene lasciata «la porta aperta» (Nota 1). Espandendosi ad Est sempre più a ridosso della Russia, con le sue basi e forze militari comprese quelle nucleari, la Nato apre in realtà la porta a scenari catastrofici per l’Europa e il mondo.

(il manifesto, 8 dicembre 2015). 


Nota 1. Sul Corriere della Sera dell’8 dicembre, Sergio Romano scrive su «Il Montenegro nella Nato / Le reazioni della Russia». Anche se non concordo col giudizio che «per l’Alleanza Atlantica e la sua organizzazione militare il valore del Montenegro, sotto il profilo strategico, mi sembra molto vicino allo zero», sono sostanzialmente d’accordo con quanto Romano afferma sull’ulteriore allargamento della Nato ad Est: «Importante, agli occhi della Russia, è che la Nato, dopo avere presieduto alla disgregazione della Jugoslavia, stia annettendo le sue repubbliche. Le reazioni di Mosca sarebbero probabilmente diverse se gli anni passati dal vertice di Pratica di Mare (dove fu creato nel 2002 il Consiglio Nato-Russia) fossero stati impiegati per trasformare una creazione militare della Guerra fredda in una organizzazione per la sicurezza collettiva dell’intera Europa. Ma è accaduto esattamente il contrario. (…) La Nato è diventata il braccio militare degli Stati Uniti in alcune delle loro scelte meno felici e si è allargata sino a includere fra i suoi soci gli Stati che appartenevano al patto di Varsavia, tre repubbliche ex-sovietiche, due repubbliche ex jugoslave. Non è tutto. Se le ambizioni si realizzassero, la Nato dovrebbe allargarsi ulteriormente sino a comprendere la Georgia e l’Ucraina. Il caso del Montenegro, in questo contesto, può soltanto alimentare i sospetti e la diffidenza della Russia».


=== 4 ===



La psicosi di guerra dell’Europa: combatte chi combatte il terrorismo

 L’Occidente più che mai vive una situazione di “mente divisa” in politica estera.

 

di Talal Khrais - 4/12/2015

 

DAMASCO (Siria) – La parola schizofrenia significa letteralmente “mente divisa”. Tra i sintomi di questa psicosi: alterazioni del pensiero, idee fisse dal contenuto bizzarro, l’incapacità di concentrarsi. L’Occidente più che mai vive una situazione di “mente divisa” in politica estera. La patologia non fa altro che portarci il terrorismo in casa. Fissazioni totalmente irragionevoli vertono sulla Russia, così come ritorna continuamente l’altra grande ossessione dei leader occidentali, quando chiedono al presidente siriano Assad di lasciare il potere, come se la questione riguardasse l’Europa e non il popolo siriano. Che ai piani alti del potere occidentale i pensieri non siano ragionevoli, lo dimostrano le parole di miele (e le tante armi) che gli stessi governanti dedicano invece ai monarchi del Golfo, noti campioni della democrazia e dei diritti umani.

Malgrado gli attentati a Parigi, preceduti da altri attentati a Londra e in altre città - senza nemmeno citare le tante stragi consumate in Siria e in Libano, sottoposti al terrorismo da anni, perché i martiri altrui contano poco nei media occidentali - l’Occidente si trova invischiato in un’immane contraddizione: annuncia guerra al terrorismo, ma in realtà combatte chi lotta contro il terrorismo. Prende di mira paesi come la Federazione Russa, la Siria e la Repubblica Islamica dell’Iran. All’esercito libanese in prima filo contro le formazioni terroristiche viene congelato, su pressione statunitense, il sostegno militare che l’Arabia Saudita offriva per circa tre miliardi di dollari.

La mancanza di armi adeguate e di equipaggiamenti non hanno permesso all’esercito libanese di liberare la città di Ersal nell’Alta Valle della Beqaa sul confine del Libano, letteralmente occupata dai tagliagole qaedisti di Jabhat Al-Nusra, armati fino ai denti.  Peggio, le Forze Armate Libanesi hanno dovuto cedere ai terroristi per scambiare militari rapiti con terroristi molto pericolosi, tra cui Saja al Dulaimi, ex moglie di Abu Bakr Al-Baghdadi.  Lo scambio di prigionieri è avvenuto ad Arsal, dopo lunghe trattative in cui ha fatto da mediatore anche il solito Qatar.

Come si fa a concedere 3,1 miliardi di euro come aiuti di assistenza ai profughi proprio a quella Turchia che ci manda in Europa barconi di profughi con terroristi infiltrati? Parliamo di un paese che ormai quasi non nasconde più le sue attività di reclutamento e addestramento terroristico fra i disperati. Nessun paese europeo ha condannato la violazione turca della sovranità della Siria e il sostegno diretto al terrorismo.

Ormai solo Erdogan e gli uomini del suo clan provano a negare che dal 2012 i terroristi dell’ISIS si finanziano vendendo il petrolio dell’Iraq e della Siria alla Turchia. Non è un sostegno “dall’esterno”, tutt’altro: la Turchia si è introdotta in un paese straniero e lo ha depredato per anni, saccheggiando le sue fabbriche, le sue macchine utensili e le sue risorse naturali, soprattutto il petrolio, che continua a razziare. Il denaro passa veloce di mano in mano, e il petrolio estratto illegalmente dall'ISIS ritorna in Siria, sotto forma di armi, mezzi e uomini. Nel corso dell'ultimo mese sono arrivati in Siria dalla Turchia circa 2500 uomini armati.

L’aeronautica militare Russa ha distrutto 32 siti e 11 stabilimenti di lavorazione del petrolio dell'ISIS in due mesi, mentre l’alleanza occidentale contro il terrorismo formata dagli Stati Uniti in 13 mesi non ne aveva distrutto nemmeno uno. Eppure i satelliti per vedere l’immondo traffico li avevano anche loro.

L'aviazione russa colpisce i luoghi dove viene conservato e trasformato il petrolio in mano all’ISIS. Il cinquanta per cento dei siti è stato distrutto, e i russi sono andati a colpire anche le stazioni di estrazione. Sono state distrutte 1080 autocisterne impegnate nel trasporto di petrolio al di fuori dei confini siriani. 500 cisterne entravano e uscivano dalla Turchia ogni giorno, indisturbate.

Eppure, Ankara sembra essere sempre più premiata per il suo atteggiamento neo-ottomano, mai condannata. I giornalisti turchi che hanno dimostrato il contrabbando di petrolio trafugato dall'ISIS sotto forma di convogli umanitari sono stati arrestati, i loro giornali commissariati da portavoce del governo. Ma gli intellettuali occidentali, quasi tutti, non hanno fatto una piega. Si vede che a loro sta bene così, anche se dicono di amare la libertà.

La settimana scorsa il Presidente Bashar al-Assad ha denunciato un aumento sensibile delle forniture militari di armi e denaro a Daesh nel corso delle ultime settimane.

Secondo quanto emerge dai media internazionali, i militari siriani appoggiati da forze speciali iraniane e dai miliziani di Hezbollah hanno proseguito in questi giorni l'avanzata ai danni di Daesh, riprendendo il controllo in meno di un mese di circa 409 chilometri quadrati di territorio. L'esercito siriano è riuscito anche a recuperare diversi chilometri dell'autostrada che collega Aleppo a Raqqa. La Russia compie raid mirati contro gli obiettivi dello Stato Islamico in Siria, impiegando caccia SU-25, SU-24 e SU-34, nonché mezzi dell'aviazione strategica, come i Tupolev TU-160,TU-95 e TU-22M3. Un volume di fuoco mai visto prima viene usato contro le fortificazioni dei terroristi. Le forze armate russe insieme alla Repubblica Araba Siriana e a Hezbollah continuano a combattere l'ISIS e a distruggere le sue fonti di sostentamento in Siria. Sono fatti enormi e pesanti che hanno già cambiato lo scenario e non lasciano scampo alle ambiguità.

L’Occidente cosa farà? Continuerà a vivere la sua schizofrenia politica combattendo chi combatte il terrorismo? Non è forse un segno grave di malattia la decisione della NATO di voler aggiungere il Montenegro alla sua alleanza in un momento così delicato? Quale pensiero dissociato può aggiungere altri focolai di instabilità lungo tutto l’arco di crisi che va dal Baltico ai Balcani, per poi proseguire verso il Mar Nero, il Levante e il Caucaso in un unico continuum di tensioni e conflitti? Non rimane molto tempo per rispondere a queste domande e provare davvero a guarire dal ciclo di guerre che sono state scatenate.