France2 a diffusé, le 3 novembre 2015, un documentaire remarquable à la fois par la qualité de sa réalisation et par sa malhonnêteté intellectuelle. Sous le titre Apocalypse Staline, il s’agissait d’accuser le « petit père des Peuples » de tous les crimes et de l’assimiler à Hitler. Le professeur émérite Annie Lacroix-Riz, historienne du XXe siècle de réputation internationale, réagit à cet incroyable bourrage de crâne.
Informazione
Una nuova perla scovata dal blog La tana dell’Orso: la PBS ha dato la notizia di bombardamenti delle infrastrutture petrolifere di Daesh da parte della coalizione a guida americana. Peccato che i filmati con cui hanno documentato la notizia fossero dell’aviazione russa.
VIDEO: http://www.pandoratv.it/?p=4905&doing_wp_cron=1448544468.2338440418243408203125
oppure su https://www.youtube.com/watch?v=CZ8P0A_qObw
La strage di Parigi
La strage di Parigi è senza precedenti. E' dal 1961 che la capitale francese non si trovava in stato d'eccezione. All'epoca era in corso un tentativo di putsch da parte dei terroristi di estrema destra dell'OAS, contrari all'indipendenza dell’Algeria, contro il gen. De Gaulle.
La rivolta delle banlieu del 2005 non è assolutamente raffrontabile alla situazione attuale.
Di fatto si è trattato di un'azione di guerra, compiuta da gente che la guerra la conosce, l'ha fatta e la sa fare. La dinamica di piccole unità che entrano in azione autonomamente ma in modo coordinato praticando il terrorismo contro la popolazione civile al fine di seminare la strage e colpire la convivenza e la vita civile di una comunità richiama alla mente azioni analoghe compiute in Siria nel 2011 (e da allora in poi), con i gruppi terroristi di matrice jihadista e salafita che bestemmiavano Dio al grido di "Allah Akhbar!" mentre trucidavano le loro vittime.
All'epoca, i media mainstream e settori dell'antagonismo di matrice "idiotista" parlavano di rivolta democratica brutalmente repressa dal regime di Assad. Questa volta sembrano mostrare una maggior decenza e non arrivano ad accusare Hollande delle vittime.
Il fine dei gruppi terroristi in Siria consisteva e consiste nello scardinare lo Stato, abbattere la Repubblica, rendere impossibile la convivenza, far collassare la società.
Anche a Parigi le finalità sono parzialmente analoghe: far saltare la convivenza civile, polarizzando la società, innescando meccanismi di rifiuto delle minoranze musulmane e permettendo così la radicalizzazione delle stesse, al fine di allargare il bacino di reclutamento per i jihadisti.
Gli utili idioti di questa strategia sono coloro che credono nello scontro di civiltà o che pensano di cavalcarlo per il loro piccolo tornaconto immediato nel teatrino della politica. Coloro che si bevono la storia dello scontro tra Occidente e Islam e ne fanno gran cassa. Come se il mondo musulmano fosse un monolite.
Eppure, le prime e principali vittime del fenomeno islamista radicale reazionario sono proprio i paesi dell'area arabo-islamica contro cui questi gruppi agiscono. Sul campo a combattere l’Isis c’è l’Esercito Arabo Siriano, la Repubblica Islamica dell’Iran, il partito di Dio libanese Hezbollah.
Vale a dire arabi o musulmani. Mentre i Salvini di turno non fanno altro che scandalizzarsi perché si chiede di togliere il crocifisso dagli uffici pubblici o si scompensano per le richieste di diete differenziate che piovono sulle mense scolastiche…
Quanto al ruolo dell’Occidente, i gruppi jihadisti foraggiati dai satrapi dal Golfo sono stati armati, finanziati e addestrati proprio dai paesi occidentali, in primo luogo dagli Stati Uniti, proprio per travolgere nazioni che nel Vicino oriente si opponevano ai piani dell'imperialismo: come la Libia, la Siria, etc...
La Francia, voltando le spalle all'eredità gollista, è stata in questi ultimi anni in prima fila nel nutrire il mostro, sia per rovesciare Gheddafi e distruggere la Libia (e si è visto cosa sia diventata), che per distruggere la Siria e rovesciare Assad, fortunatamente senza riuscirci, in questo ultimo caso.
Sono molti i combattenti, mercenari e terroristi che dalla Francia sono partiti per portare la morte in Siria. Non a caso le milizie terroriste che contrastano il governo siriano hanno innalzato sin dal primo momento la bandiera che sventolava sul paese arabo all’epoca del mandato coloniale francese.
Ora è arrivato su Parigi il boomerang di ritorno della politica di collusione con i jihadisti e con l'imperialismo statunitense.
Non può che venire in mente la facile profezia del presidente Putin, che in tempi non sospetti, rivolgendosi agli occidentali per la loro politica di collusione con il terrorismo di matrice islamista salafita, metteva in guardia circa il pericolo costituito dai combattenti, dalla minaccia che avrebbero rappresentato per i loro paesi di origine una volta tornati alle loro case dopo una simile esperienza.
Come non dare ragione al presidente russo?
E pensare che quando era la Russia ad essere nel mirino (con i fatti della scuola di Beslan nel 2004, ad esempio) stando ai nostri giornali sembrava quasi che la colpa fosse del Cremlino. Come se i bambini fossero stati sequestrati da Putin in persona. Nessuna occasione viene sprecata per fare della russofobia da quattro soldi.
L’Europa si trova a fare i conti con le conseguenze della sua politica estera. Una politica disegnata con cieca e stupida acquiescenza ai desiderata di Washington, perché coloro che ruggiscono nei salotti televisivi poi si guardano bene dal disturbare la digestione dei potenti.
Quanta acquiescenza c’è stata, anche in Italia, nei confronti delle reti che hanno sostenuto il terrorismo contro la Siria? L’Italia ha o no partecipato al tavolo degli sponsor che sostenevano l’aggressione alla Siria, camuffato pietosamente sotto l’etichetta di “Amici della Siria”?
Le responsabilità di questo disastro possono essere, tanto per cambiare, equamente distribuite tra il così detto centrodestra e il così detto centrosinistra. Perché se è la destra che ha fatto la guerra alla Libia, è stato con il plauso di un certo Bersani, che ha salutato le prime bombe cadute sul paese arabo con la celebre frase “alla buon’ora!”.
Sarebbe la buon’ora, invece, di rivedere la collocazione internazionale del nostro paese e di sganciarci una buona volta dall’avventurismo statunitense. Le sponde ci sono. Solo chi ha lasciato il proprio cervello sotto le macerie del Muro di Berlino e continua a belare di un’Europa che non c’è non se ne è accorto.
Non ha molto senso nemmeno aumentare le misure di sicurezza, per forza di cose parziali. La natura della sfida fa sì che chi decide di colpire abbia sempre un vantaggio: la sorpresa.
Presidiare i monumenti mentre si spara sui caffè non ha molto senso.
L’unica opzione è smantellare le reti di sostegno a questi gruppi. Ma non si può farlo in modo veramente efficace senza chiamare in causa i loro sponsor e i loro protettori. Cioè senza una visione internazionale del problema.
Questa terza guerra mondiale non è quella tra l’Islam e l’Occidente, ma è quella tra il tentativo di egemonia dell’imperialismo statunitense e la forze che si battono per un ordine multipolare nelle relazioni internazionali. Lo scontro principale è tra gli Usa e i loro antagonisti strategici: Russia, Cina e, nel contesto del Vicino oriente, Iran e Siria.
Il terrorismo islamista reazionario è una derivata dell’avventurismo con cui Washington persegue il suo progetto di un altro secolo americano. Perché nonostante la strage di queste ore pare difficile una netta inversione della politica seguita dagli Usa verso le petromonarchie del Golfo e verso tutta la regione. Segnerebbe semplicemente la probabile fine della loro influenza su un’area cruciale per gli equilibri mondiali. Purtroppo c’è chi potrebbe continuare a ritenere che Parigi valga bene una messa, per continuare con il tradizionale, sordido e pericoloso gioco delle amicizie inconfessabili dietro le quinte. Toccherebbe ai paesi europei, a partire dalla Francia, trarre le logiche conseguenze dalla tragedia di questi giorni e rifiutare un gioco al massacro che va avanti ormai da troppo tempo.
L’arte della guerra
La strategia del caos
Manlio Dinucci
Bandiere a mezz’asta nei paesi Nato per «l’11 Settembre della Francia», mentre il presidente Obama annuncia ai media: «Vi forniremo accurate informazioni su chi è responsabile». Non c’è bisogno di aspettare, è già chiaro. L’ennesima strage di innocenti è stata provocata dalla serie di bombe a frammentazione geopolitica, fatte esplodere secondo una precisa strategia.
Quella attuata da quando gli Usa, vinto il confronto con l’Urss, si sono autonominati «il solo Stato con una forza, una portata e un'influenza in ogni dimensione - politica, economica e militare - realmente globali», proponendosi di «impedire che qualsiasi potenza ostile domini una regione – l'Europa occidentale, l'Asia orientale, il territorio dell'ex Unione sovietica e l'Asia sud-occidentale – le cui risorse sarebbero sufficienti a generare una potenza globale».
A tal fine gli Usa hanno riorientato dal 1991 la propria strategia e, accordandosi con le potenze europee, quella della Nato. Da allora sono stati frammentati o demoliti con la guerra (aperta e coperta), uno dopo l’altro, gli Stati ritenuti di ostacolo al piano di dominio globale – Iraq, Jugoslavia, Afghanistan, Libia, Siria, Ucraina e altri – mentre altri ancora (tra cui l’Iran) sono nel mirino.
Queste guerre, che hanno mietuto milioni di vittime, hanno disgregato intere società, creando una enorme massa di disperati, la cui frustrazione e ribellione sfociano da un lato in reale resistenza, ma dall’altro vengono sfruttate dalla Cia e altri servizi segreti (compresi quelli francesi) per irretire combattenti in una «jihad» di fatto funzionale alla strategia Usa/Nato. Si è così formata una armata ombra, costituita da gruppi islamici (spesso concorrenti) impiegati per minare dall’interno lo Stato libico mentre la Nato lo attaccava, quindi per una analoga operazione in Siria e Iraq.
Da questa è nato l’Isis, nel quale sono confluiti «foreign fighters» tra cui agenti di servizi segreti, che ha ricevuto miliardi di dollari e moderne armi dall’Arabia saudita e da altre monarchie arabe, alleate degli Usa e in particolare della Francia.
Strategia non nuova: oltre 35 anni fa, per far cadere l’Urss nella «trappola afghana», furono reclutati tramite la Cia decine di migliaia di mujaidin da oltre 40 paesi. Tra questi il ricco saudita Osama bin Laden, giunto in Afghanistan con 4 mila uomini, lo stesso che dopo avrebbe fondato Al Qaeda divenendo «nemico numero uno» degli Usa.
Washington non è l’apprendista stregone incapace di controllare le forze messe in moto. È il centro motore di una strategia che, demolendo interi Stati, provoca una caotica reazione a catena di divisioni e conflitti da utilizzare secondo l’antico metodo del «divide et impera».
L’attacco terroristico di Parigi, eseguito da una manovalanza convinta di colpire l’odiato Occidente, è avvenuto con perfetto tempismo nel momento in cui la Russia, intervenendo militarmente, ha bloccato il piano Usa/Nato di demolire lo Stato siriano e ha annunciato contromisure militari alla crescente espansione della Nato ad Est.
L’attacco terroristico, creando in Europa un clima da stato di assedio, «giustifica» un accelerato potenziamento militare dei paesi europei della Nato, compreso l’aumento della loro spesa militare richiesto dagli Usa, e apre la strada ad altre guerre sotto comando Usa. La Francia che finora aveva condotto «contro l’Isis in Siria solo attacchi sporadici», scrive il New York Times, ha effettuato domenica notte «come rappresaglia, il più aggressivo attacco aereo contro la città siriana di Raqqa, colpendo obiettivi Isis indicati dagli Stati uniti». Tra questi, specificano funzionari Usa, «alcune cliniche e un museo».
(il manifesto, 17 novembre 2015)
Svakog drugog utorka u 16:30 sati, na Radio Città Aperta (valu FM 88.9 za regiju Lazio), emisija "Jugoslavenski glas". Emisija se može se pratiti i preko Interneta: http://radiocittaperta.it/
Emisija je dvojezična, po potrebi i vremenu na raspolaganju. Podržite taj slobodni i nezavisni glas! Pišite nam na jugocoord@... i potražite na www.cnj.it
Odazovite se!
Ogni martedì alle ore 16:30 su Radio Città Aperta (FM 88.9 per Roma ed il Lazio) va in onda la trasmissione radiofonica "Voce jugoslava". La trasmissione può essere ascoltata, come del resto tutte quelle della Radio, anche via Internet: http://radiocittaperta.it/
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Inizio messaggio inoltrato:Da: "momotombo"Data: 16 novembre 2015 22:17:04 CETOggetto: Il terrorismo francese in Libia e Siria
In Siria la guerra c'è già e la guidano i servizi segreti di Parigi
L'Occidente esita a intervenire in Siria. Ma intanto nel Paese si consuma un’altra, sporca, guerra. Quella dei servizi segreti di diversi paesi che va avanti da mesi. In questa guerra delle ombre Assad ha catturato 18 spie di Parigi, fra cui un Colonnello. Una rete di spionaggio che si è allargat...
Il rullo dei tamburi di un’imminente guerra risuona già lugubre nell’aria. Come se un esercito, invisibile, accerchiasse lentamente e silenziosamente il tiranno Assad, le cui ore sembrano oramai contate. Al Palazzo di Vetro si studia da tempo come decapitarlo senza fare troppo rumore. Francia e Stati Uniti preparano una nuova bozza di risoluzione (aspettando il via libera della Cina), la Francia chiude definitivamente la sua ambasciata a Damasco. Un altro segno funesto per Assad.
Intanto però in Siria si consuma un’altra, sporca, guerra. Quella dei servizi segreti di diversi paesi che va avanti da mesi, una guerra delle ombre e senza esclusione di colpi che ha causato migliaia di morti tra soldati e civili. La punta dell’iceberg emerge alcune settimane fa, ma passa praticamente inosservata. Nel silenzio generale dei media, e dopo l’ennesima offensiva militare nel quartiere di Bab Amr, ad Homs, l’esercito siriano fa più di 1.500 prigionieri, di cui numerosi “stranieri”. Tra questi, figurano almeno diciotto francesi. Chi sono? Non civili, certo. Alla stregua di soldati, chiedono immediatamente di avvalersi dello statuto di prigionieri di guerra, ma rifiutano recisamente di fornire la loro identità, il loro grado militare e l’élite d’appartenenza. Tra di essi, spunta un colonnello del servizio trasmissione della Dsge, il contro-spionaggio dei servizi segreti francesi. Tra le armi ritrovate dall’esercito siriano fucili, mitragliette e lanciarazzi di fabbricazione israeliana.
L’intrigo inizia con un articolo apparso il 23 novembre scorso sul quotidiano satirico francese Le Canard Enchaîné. In esso si racconta che la direzione operativa del Dsge ha inviato agenti speciali nel Nord del Libano ed in Turchia con una missione precisa: istruire e strutturare contingenti armati dell’al-Ǧayš as-Sūrī al-Ḥur, l’Esercito Siriano Libero (Esl), raggruppare migliaia di disertori, reclutare combattenti “stranieri” e scatenare una vera e propria guerra civile in Siria. Detto fatto. Oltre a questi agenti speciali vengono spediti in Siria diversi membri del Comando delle Operazioni Speciali francese (Cos) per iniziare disertori e jihadisti alla guerriglia urbana contro l’esercito regolare di Bachar al-Assad, mescolandosi tra i manifestanti ed altri non meglio identificati “ribelli”. Fucili, mitragliette e lanciarazzi di fabbricazione israeliana vengono fatti passare dal Sud della Turchia, ad Hatay, dove si stabilisce il quartier generale dell’Esl. Il Cos risponde direttamente agli ordini dello Stato Maggiore dell’Esercito francese (Cema). Un articolo apparso sul settimanale Marianne sottolinea come il Cos abbia già fornito assistenza logistica e militare in Libia al Cnt ed abbia “guidato” i bombardamenti aerei e navali della coalizione nella guerra che ha portato alla caduta del colonnello Gheddafi. Ora sta facendo il lavoro sporco di Sarkozy anche in Siria. Tutte le informazioni fornite dal Canard Enchaîné vengono infatti confermate da un ufficiale di alto rango della Direzione del servizio segreto militare francese. Tra le informazioni trapela anche quella di un intervento militare “limitato” della Nato per creare, con l’aiuto della Turchia, un embrione di territorio liberato nel Nord della Siria, una sorta di regione cuscinetto preludio ad una futura no-fly zone. Questo spiegherebbe anche perché Assad s’affretta a dispiegare l’esercito proprio lungo la frontiera con la Turchia.
Il quotidiano turco Milliyet conferma indirettamente le informazioni diffuse dal Canard Enchaîné. Non solo, la rete spionistica nel corso dei mesi si allarga includendo non solo commandos della Dsge ma anche agenti del MI6 britannico e agenti speciali del Milli Istibarat Teskilati (Mit), i servizi segreti turchi. Ad Hatay, nel Sud della Turchia, nasce una temibile e oscura «legione wahhabita» composta da centinaia di mercenari libici ex-lealisti del regime di Gheddafi. Con il consenso di Mustafa Abdul Jalil, presidente del Consiglio Nazionale di Transizione libico (Cnt) e dopo una riunione segreta ad Istanbul tra il Cnt ed il Cns (Consiglio Nazionale Siriano), centinaia di militari libici armati fino ai denti, un tempo fiore all’occhiello dei battaglioni del colonnello Gheddafi, giungono in Siria attraverso la Turchia con l’aiuto del Mit rimpinguando le colonne armate del «libero» esercito siriano, capeggiato da Riad al-Assad. Quest’ultimo guardacaso è in esilio da mesi proprio in Turchia. I servizi segreti turchi controllano tutti i suoi movimenti mentre un agente del ministero degli esteri turco risponde a posto suo alle richieste d’intervista da parte dei giornalisti occidentali. Al-Assad sembra essere una mera creatura del governo francese, turco e dei Fratelli Musulmani siriani. Il traffico di attività di spionaggio e d’infiltrazioni dei servizi segreti nell’Esl serve infatti ad una sola causa: portare ad un «conflitto confessionale» per far emergere i Fratelli Musulmani di Siria, destinati a prendere le redini della «Nuova Siria» nel dopo-Assad (seguendo lo schema d’altri paesi della «primavera araba» quali Egitto e Tunisia). Una vendetta della Francia dopo il colpo di stato siriano in Libano? Il 12 Gennaio del 2011 infatti un colpo di stato «parlamentare» orchestrato dalla Siria, aveva provocato la caduta del primo ministro Saad Hariri, sponsorizzato dai Sauditi e dalla Francia, la quale, dopo aver riammesso nel concerto delle nazioni la Siria, non digerisce (è l’inizio della frattura franco-siriana).
Fatto sta che la Francia rispolvera, per mezzo del segretario generale dei Fratelli Musulmani siriani Riad Chakfi, la carta Abdul Halim Khaddam, in esilio dorato a Parigi. Chi è costui? Ex vice-presidente siriano (si dimette dalla carica nel 2005), testimonia davanti al Tribunale Speciale per il Libano (Tls) contro Assad accusandolo di essere dietro la morte dell’ex-primo ministro libanese Rafiq Hariri, assassinato con altre 21 persone il 14 Febbraio del 2005. Abdul Halim Khaddam capisce immediatamente che vento tira in Medio Oriente e s’avvicina ai Fratelli Musulmani siriani e al loro leader al-Bayanouni. In seguito fonda il Fronte della Salvezza Nazionale Siriana (Syrian National Salvation Front), partito nazionalista d’ispirazione islamica. Attraverso la mediazione della Francia, Abdel Halim Khaddam riceve soldi dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna per finanziare le sue attività anti-Bashar (come rivelerà poi alla televisione israeliana 2 TV). Seguiranno il suo esempio altre fazioni anti-Bashar quali gli ex Fratelli Musulmani del Movimento per la Giustizia e lo Sviluppo che, come ha rivelato il Washington Post basandosi su informazioni diffuse da Wikileaks, ricevono soldi dagli USA sin dal 2005. Con questi fondi creano nel 2007 la televisione anti-Bashar “Barada TV”.
Intanto il 20 Dicembre, François Loncle, deputato socialista nella regione dell’Eure e membro della Commissione Affari Esteri dell’Assemblea nazionale francese, avvia un’interrogazione parlamentare per tentare di fare luce sulla faccenda. Un altro articolo apparso sul Nouvel Observateur – che parla della Siria come «nuova frontiera della guerra francese» – mette infatti fuoco alle polveri. Il modello libico, fa notare Loncle, sembra ripetersi. Dapprima formazione ed addestramento di un esercito “libero” composto da disertori e jihadisti, poi infiltrazione progressiva della ribellione civile, in seguito supporto logistico e militare alle fazioni nemiche, poi presentazione di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, poi creazione di una no-fly zone imposta dalle forze della Nato e infine… Incursioni mirate dei Rafale francesi e dei caccia britannici fino alla caduta del tiranno.
In entrambi i casi la Francia, assieme alla Gran Bretagna, diventa la punta di diamante dell’interventismo atlantico, un interventismo che si avvale del prezioso appoggio delle petromonarchie del Golfo. L’idea della Francia è quella di aiutare la dinastia saudita a spezzare l’asse sciita Iran-Siria-Hezbollah e di creare un “blocco sunnita” in Medio Oriente, blocco peraltro già solido in quanto comprende l’Egitto, la Turchia, il Qatar, la Libia, la Tunisia, tutti paesi in cui esiste già un’orientazione politica fortemente islamica anche se, solo ufficialmente, moderata.
Les sources d’« Apocalypse Staline » sur France2
L’Histoire de la Guerre froide entre Göbbels et l’ère états-unienne
Les réalisateurs, leurs objectifs et leur conception de l’Histoire
De l’histoire, quelle histoire ?
Svetlana Aleksievitch, conseillère en « témoignages »
Les conseillers historiques d’Apocalypse Staline
L’Institut d’histoire sociale de Bouris Souvarine et Pierre Rigoulot
Conclusion
[1] Atmosphère historiographique générale depuis l’ère Furet, Lacroix-Riz, L’histoire contemporaine toujours sous influence, Delga-Le Temps des cerises, 2012
[2] À propos de ce concept emprunté, non pas à l’Ukraine soviétique de l’entre-deux-guerres mais né dans la Galicie polonaise, et devenu un thème allemand et états-unien de la stratégie de scission URSS ou « Russie »-Ukraine depuis 1933, ma mise au point archivistique et bibliographique « Ukraine 1933 mise à jour de novembre-décembre 2008 », Téléchargement ; et Mark Tauger, ouvrage à paraître chez Delga en 2016 sur les famines en Russie tsariste et en Union Soviétique, dont je rédigerai la préface.
[3] « Ce jour que l’Occident préfère oublier », par Michael Jabara Carley, Traduction Sophie Brissaud, Strategic Culture Foundation(Russie), Réseau Voltaire, 4 octobre 2015.
[4] Voir aussi Lacroix-Riz, « Le rôle de l’URSS dans la Deuxième Guerre mondiale (1939-1945) », mai 2015.
[5] Voir le site sur le France2.
[6] « Staline : gros sabots contre un bourreau », Laurent Joffrin, Libération, 3 novembre 2015.
[7] Frances Stonor Saunders, Who Paid the Piper ? : CIA and the Cultural Cold War (1999, Granta). Version française : Qui mène la danse ? La CIA et la Guerre froide culturelle (Denoël, 2003).
[8] « Quand la CIA finançait les intellectuels européens » et « Les New York Intellectuals et l’invention du néo-conservatisme », par Denis Boneau, Réseau Voltaire, 27 novembre 2003 et 26 novembre 2004. « Quand la CIA finançait les intellectuels italiens », par Federico Roberti, Réseau Voltaire, 5 septembre 2008.
[9] Frances Stonor Saunders, The cultural Cold War : the CIA and the world of art and letters (New York, The New Press, 1999), p. 347-351 sur Neruda ; sur Sartre, souvent cité, index.
[10] Seuls les noms des sept sont cités, pas leur qualité : Emi Okubo est musicien ; Sonia Romero, artiste ; Karine Bach, monteuse sur France Télévisions ; Thomas Marlier, réalisateur ; Kévin Accart, assistant monteur ; Philippe Sinibaldi, gérant de société de production.
[11] « L’Institut d’histoire sociale, une officine anti-sociale », par Annie Lacroix-Riz, Réseau Voltaire, 2 novembre 2005.
[12] Frédéric Charpier, Histoire de l’extrême gauche trotskiste : De 1929 à nos jours, Paris, Éditions 1, 2002.
[13] Lacroix-Riz, Impérialismes dominants, réformisme et scissions syndicales, 1939-1949, Montreuil, Le Temps des cerises, 2015, chap. 1, et De Munich à Vichy, l’assassinat de la 3e République, 1938-1940, Paris, Armand Colin, 2008, chap. 3 et 6.
[14] Sur Jacques Barnaud, tuteur depuis 1933-1934 de l’héritier présomptif de Jouhaux René Belin, directeur de cabinet de Belin (juillet 1940-février 1941) et véritable ministre du Travail quand son pupille occupait officiellement le poste ; sur les Nouveaux Cahiers, Lacroix-Riz, Le choix de la défaite, De Munich à Vichy et Industriels et banquiers français sous l’Occupation, Paris, Armand Colin, 2013.
[15] Du Moulin de Labarthète, « La synarchie française », article publié le 25 mai 1944 dans la revue helvétique Le Curieux, sous le pseudonyme de Philippe Magne, joint au rapport de « l’inspecteur spécial » de la PJ Vilatte, chargé à la Libération de l’enquête « sur la synarchie », 1er juin 1947, PJ 40, Barnaud, APP.
[16] Roger Faligot et Rémi Kauffer, « La revanche de M. Georges » (Albertini), in Éminences grises (Paris, Fayard, 1999), p. 150 (p. 135-170) ; Emmanuelle Loyer, Paris à New York. Intellectuels et artistes français en exil (1940-1947) (Paris, Hachette, 2007) ; Peter Coleman, The Liberal Conspiracy : the Congress for Cultural Freedom and the Struggle for the Mind of Postwar Europe (New York, Free Press, 1989), index, ouvrage non traduit dans lequel Pierre Grémion, Intelligence de l’Anticommunisme : Le Congrès pour la Liberté de la Culture à Paris 1950-1975 (Paris : Fayard, 1997), a très largement puisé ; Lacroix-Riz, « La Banque Worms et l’Institut d’histoire sociale » et « Des champions de l’Ukraine indépendante et martyre à l’institut d’histoire sociale ».
[17] N. 10, et Jean Lévy, Le Dossier Georges Albertini. Une intelligence avec l’ennemi (L’Harmattan-Le Pavillon 1992) ; Charpier, Génération Occident (Paris, Seuil, 2005) ; La CIA en France : 60 ans d’ingérence dans les affaires françaises (Paris, Seuil, 2008) ; Les valets de la Guerre froide : comment la République a recyclé les collabos, (Paris, François Bourin éd., 2013) ; Benoît Collombat et David Servenay, dir., Histoire secrète du patronat : de 1945 à nos jours (Paris, La Découverte, Arte éditions, 2e édition, 2014, dont article de Charpier) ; Lacroix-Riz, tous les op. cit. supra ; Saunders, op. cit., etc.
Derniers ouvrages parus :L’intégration européenne de la France. La tutelle de l’Allemagne et des Etats-Unis, (Le Temps des cerises, 2007). De Munich à Vichy, l’assassinat de la 3e République, 1938-1940(Armand Colin, 2008). Le Vatican, l’Europe et le Reich de la Première Guerre mondiale à la Guerre froide (1914-1955) (Armand Colin, 2010). Le Choix de la défaite : les élites françaises dans les années 1930(Armand Colin, 2010). Aux origines du carcan européen, 1900-1960. La France sous influence allemande et américaine (Delga-Le Temps des cerises, 2014).
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=9pHPUZLkpKI
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=Uuc_CI8n1HM
Da: andrea catone <andreacatone2013 @gmail.com>Data: 6 novembre 2015 16:34:14 CETOggetto: I: Bari, giovedì 19 novembre. Con Manlio Dinucci: L’arte della guerra. Analisi della strategia USA/NATO (1990-2015)
associazione politico-culturale Marx XXI
II strada priv. Borrelli 34 – 70124 Bari
Giovedì 19 novembre
Ore 18.00 - Via Borrelli 32 – Bari
Presentazione del libro di Manlio Dinucci
L’arte della guerra
Analisi della strategia USA/NATO (1990-2015)
Prefazione di Alex Zanotelli
Nota redazionale di Jean Toschi Marazzani Visconti
Zambon editore, 2015, pp. 550, euro 18,00
Ne discutono con l’autore
Andrea Catone
condirettore della rivista MarxVentuno
Antonello Rustico, Pax Christi
Michele De Luisi
Coordinamento nazionale Giovani comunisti, per la Costituente comunista
Proiezione del video (7’) dell’intervento di Ferdinando Imposimato, presidente onorario della Corte di Cassazione, al Convegno No Guerra No Nato (Roma, 26 ottobre 2015).
INFO: 345 4114728
Il libro è disponibile anche presso la sede delle edizioni MarxVentuno, II strada privata Borrelli 34.
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Il titolo del libro, L’Arte della guerra, si richiama al classico di teoria militare dell’antica Cina, attribuito al generale e filosofo Sun Tzu vissuto fra il VI e il V secolo a.C., considerato uno dei più importanti trattati di strategia di tutti i tempi. L’antico manuale insegna che la guerra, di somma importanza per lo Stato, deve essere combattuta non solo sul campo di battaglia e per ottenere la vittoria occorrono tre strumenti: politico, diplomatico e militare. Particolarmente importanti, in tale quadro, l’inganno, la corruzione, lo spionaggio, le operazioni segrete, la capacità di provocare dissensi in campo nemico. Assolutamente contemporaneo dopo venticinque secoli, questo testo viene ancora studiato nelle accademie militari e anche nelle grandi scuole di business. L’antica arte della guerra conserva quindi la sua tragica attualità.
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Manlio Dinucci giornalista e saggista, ha vissuto e lavorato a Pechino negli anni Sessanta, contribuendo alla pubblicazione della prima rivista cinese in lingua italiana e alla diffusione delle Lettere dalla Cina della giornalista statunitense Anna Louise Strong. Sulla base di tale esperienza ha pubblicato, con Mazzotta editore, La lotta di classe in Cina / 1949-1974 (1975) e Economia e organizzazione del lavoro in Cina (1976). Negli anni Ottanta, ha diretto la rivista Lotta per la pace (nata dall’«Appello contro l’installazione dei missili nucleari in Italia», lanciato nel 1979 da Ludovico Geymonat e altri) ed è stato direttore esecutivo per l’Italia della International Physicians for the Prevention of Nuclear War, associazione vincitrice del premio Nobel per la pace nel 1985. Coautore, con Tonino Bello e altri, di Fianco Sud/Puglia, Mezzogiorno, Terzo Mondo: rapporto sui processi di militarizzazione (Piero Manni, 1989). Coautore, col premio Nobel per la Medicina Daniel Bovet, di Tempesta del deserto/Le armi del Nord, il dramma del Sud, con la presentazione di Ernesto Balducci (Edizioni Cultura della Pace, 1991). Con la stessa casa editrice ha pubblicato Hyperwar. Dalla “iperguerra” del Golfo alla Conferenza sul Medio Oriente (1991) e La strategia dell’impero/Dalle direttive del Pentagono al Nuovo Modello di Difesa (1992), scritto con U. Allegretti e D. Gallo e presentato da R. La Valle. Autore de L’oro e la spada/Imperi economici e guerre di conquista nell’era del capitale globale (Comitato Golfo, 1993). Autore de Il potere nucleare / Storia di una follia da Hiroshima al 2015 (Fazi Editore, 2003). Coautore, con A. Burgio e V. Giacché, di Escalation/Anatomia della guerra infinita (DeriveApprodi, 2005). Collaboratore de il manifesto, con articoli e la rubrica settimanale «L’arte della guerra». È anche autore di testi scolastici di geografia umana.
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Indice
Nota di redazione (Jean Toschi Marazzani Visconti) 7
Prefazione (Alex Zanotelli) 15
1990-1999
1- Golfo: la prima guerra del dopo guerra fredda 21
2- Il riorientamento Usa/Nato per nuove guerre 77
3- Jugoslavia: la seconda guerra del dopo guerra fredda 127
2000-2009
4- La «guerra globale al terrorismo» 173
5- Afghanistan: la terza guerra del dopo guerra fredda 201
6- Iraq: la quarta guerra del dopo guerra fredda 241
2010-2015
7- Libia: la quinta guerra del dopo guerra fredda 303
8- Siria: la strategia delle guerre coperte 353
9- Ucraina: la nuova guerra fredda 435
10- Corsa agli armamenti verso la guerra nucleare 499
Bibliografia 543
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Nota di redazione di Jean Toschi Marazzani-Visconti
Il titolo del libro, L’Arte della guerra, come quello dell’omonima rubrica che l’autore pubblica su il manifesto, si richiama al classico di teoria militare dell’antica Cina, attribuito al generale e filosofo Sun Tzu vissuto fra il VI e il V secolo a.C., considerato uno dei più importanti trattati di strategia di tutti i tempi. L’antico manuale insegna che la guerra, di somma importanza per lo Stato, deve essere combattuta non solo sul campo di battaglia e per ottenere la vittoria occorrono tre strumenti: politico, diplomatico e militare. Particolarmente, importanti, in tale quadro, l’inganno, la corruzione, lo spionaggio, le operazioni segrete, la capacità di provocare dissensi in campo nemico. Assolutamente contemporaneo dopo venticinque secoli, questo testo viene ancora studiato nelle accademie militari e anche nelle grandi scuole di business. L’antica arte della guerra conserva quindi la sua tragica attualità.
In quest’ottica Manlio Dinucci ha per anni pubblicato settimanalmente sul manifesto un commento sugli avvenimenti del momento cercando di chiarire ai suoi lettori le strategie e le operazioni belliche nascoste.
L’editore Zambon ha pensato di riunire tutti questi testi e altri dell’autore in un volume.
Il sottotitolo Annali della strategia USA/Nato (199012015) indica il percorso scelto attraverso il materiale raccolto in questi venticinque anni; la strategia americana nel mondo e l’impiego della NATO in operazioni dii sostegno e affiancamento. Ogni capitolo è annunciato da una citazione, liberamente tradotta, di Sun Tzu che ne guida il significato.
Il testo ha una cadenza temporale e tematica: per decennio e per accadimenti. Questo permette al lettore di sfogliare gli annali e scoprire la struttura degli avvenimenti futuri attraverso il passato recente in una sequela consequenziale che conduce a una realtà inquietante. Perché quello, che potrebbe succedere oggi, era già nella logica degli avvenimenti trascorsi. E il risultato è straordinario.
Il primo degli annali raccontai fatti dal 1990 al 2000 ed è diviso in tre capitoli. Golfo: la prima guerra del dopo guerra fredda, parla della guerra all’Iraq nel 1991, le premesse e lo svolgimento di quella che è stata denominata hyperwar, la guerra chirurgica con perdite umane zero. Da navi alla fonda in mari lontani, da basi remote un computer puntava e un razzo colpiva l’obiettivo. Vengono impiegati cacciabombardieri B 52 a lungo raggio, compaiono i droni. Gli Stati Uniti reduci dalla sconfitta in Vietnam, dove la perdita di uomini e d’immagine era stata molto pesante, non volevano sacrifici. Non un soldato doveva morire. Le notizie erano trionfali, rassicuranti. Ma trascuravano che l’uranio impoverito avrebbe avuto conseguenze letali anche sulle loro truppe e su quelle degli alleati. La sindrome del golfo è stata per anni sottovalutata se non rinnegata.
Con la caduta del Muro di Berlino, gli Stati Uniti si trovano a essere l’unica potenza mondiale e la NATO, sciolto il Patto di Varsavia, cerca un diverso impiego. La guerra fredda è terminata, l’Unione Sovietica non esiste più. Il secondo capitolo, Il riorientamento USA/NATO per nuove guerre, inizia con una dichiarazione del presidente Bush senior che traccia la nuova strategia statunitense e sostiene che nel nuovo ordine mondiale la leadership americana è indispensabile. Gli obiettivi politico-militari della nuova strategia statunitense sono enunciati nella National Security Strategy of the United States. Dinucci spiega documentatamente le direttrici strategiche regionali, il nuovo concetto strategico della NATO, il duplice ruolo della UEO, la posizione politico militare italiana e sua collocazione geostrategica.
Un’altra conseguenza della caduta del Muro, sarà la disintegrazione della Jugoslavia, non più utile cuscinetto fra Est e Ovest, corrotto da facili e − come si vedrà − pericolosi prestiti di milioni di dollari. In questa circostanza gli Stati Uniti vedono di buon occhio l’alleata Germania prendersi una rivincita sulla Serbia, colpevole di aver trattenuto con gli attacchi partigiani le divisioni tedesche dal fronte russo e accettano che estenda la sua influenza, in modo controllato, su Slovenia e Croazia. Importante è l’eliminazione degli ultimi bolscevichi. Accontentano le ambizioni della Turchia e dei paesi arabi petrolieri, appoggiando i Serbi musulmani, i Bosgnak secondo denominazione inventata, in Bosnia-Erzegovina, ma soprattutto sperimentano nuovi sistemi e tecniche di disinformazione, di divisione e frammentazione degli Stati che saranno impiegate in seguito.
Jugoslavia: la seconda guerra del dopo guerra fredda parla di quest’argomento, dell’uso dell’embargo come arma di pressione sulla popolazione. Le presunte ragioni umanitarie e le stragi inventate in Kosovo sono la ragione ufficiale per bombardare secondo un piano prestabilito. Stati Uniti e NATO impiegano nuovi ordigni: bombe a grappolo, a uranio impoverito, alla grafite (deflagrando a 500/1000 d’altezza assorbono tutta l’elettricità di una vasta area sottostante). Dieci giorni dopo la firma della pace di Kumanovo, gli Stati Uniti acquisiscono un vasto terreno in Kosovo, dove sorgerà la più grande base americana in Europa: Bondsteel Camp. Quest’acquartieramento segue l’utilizzazione del grande aeroporto sotterraneo di Tuzla (voluto da Tito nel 1948 dopo la rottura con l’Unione Sovietica) al territorio musulmano della Federazione croato-musulmana in BiH. La NATO è formalmente incaricata di peace-keeping nei Balcani e viene rafforzata in Europa quale canale dell’influenza e della partecipazione statunitensi negli affari della sicurezza europea.
Il decennio 2000/2009 conta tre capitoli che trattano della posizione degli USA in un mondo senza rivali, unici arbitri di pace e di guerra. La guerra “globale a1 terrorismo”: l’attentato dell’11 settembre alle torri del World Trade Center di New York sono “atti di guerra” dichiara George W Bush ai membri della Camera e del Congresso. E prepara il terreno militare, politico e psicologico all’azione militare. Il Consiglio Nord Atlantico si allinea affermando che si tratta di un’azione che rientra nell’articolo 5 contro “un nemico che si nasconde nell’ombra”. In una relazione diffusa dopo gli attacchi, Dinucci descrive le falle della versione ufficiale della distruzione delle torri. Bush è solo al comando con il suo staff di persone tutte legate in modi diversi alle holding del petrolio e di conseguenza delle armi. I mujaheddin afgani, armati dalla CIA contro la Russia, Osama ben Laden e al Qaeda si trasformano, da preziosi alleati-mercenari, in “nemici oscuri”.
Afghanistan; la terza guerra del dopo guerra fredda: la decisione di dislocare forze in Afghanistan, quale primo passo per estendere la presenza militare statunitense nell’Asia centrale. Oggi ci concentriamo sull’Afghanistan ... Qualsiasi governo sponsorizzi i fuorilegge diventa egli stesso assassino ... Bush si prepara a una guerra di lunga durata. L’operazione americana Libertà duratura scavalca, nella prima fase, la NATO e opera per sottrarre alla Russia l’esportazione di gas naturale e petrolio dalle zone del mar Caspio. Il complesso militare-industriale americano fa ricchi guadagni con la guerra in Afghanistan. Affiora la presenza italiana nella costruzione delle bombe. La NATO è a Kabul con un mandato robusto, però nessuno ha assistito a una investitura dell’ONU. I prigionieri e le torture: l’Italia si occupa della costruzione e riabilitazione di infrastrutture, carceri e tribunali.
Iraq: la quarta guerra del dopo guerra fredda. A causa dell’embargo muoiono oltre cinquantamila bambini all’anno. A questi decessi si aggiungono le vittime dell’Uranio Impoverito impiegato nel 1991. Un piano programmato e mortale. L’Iraq è sotto controllo da parte dei paesi con maggiori interessi nel petrolio, ma le riserve energetiche irachene diventano per gli Stati Uniti un obiettivo urgente per la scarsità di forniture energetiche interne. La teoria del PNAC (Project for a New American Conception), formulata da un gruppo di intellettuali legati al Partito repubblicano, già dal 1997 influenza la politica USA. La loro dottrina prevede di stabilire una presenza strategica militare in tutto il mondo attraverso una rivoluzione tecnologica in ambito militare, scoraggiare l’emergere di qualsiasi super potenza competitiva, lanciare attacchi preventivi contro qualsiasi potere che minacci gli interessi americani. Il piano per attaccare l’Iraq è pronto da un anno. Si tratta non solo di attaccare, ma di occupare l’Iraq. Viene trafugato e manipolato il rapporto sulle armi chimiche consegnato da Bagdad alle Nazioni Unite. Bush comunica che qualsiasi cosa decida il Consiglio di sicurezza annuncerà che l’Iraq ha violato la risoluzione delle NU che richiedeva di dichiarare tutte le armi. Invaso l’Iraq, le cose non sono semplici e le perdite di soldati statunitensi si aggravano, Bush si trova in un pantano e non riesce a ottenere dall’ONU più soldati e più soldi per controllare il paese. Riappare il fantasma del Vietnam e l’immagine degli Stati Uniti viene infangata dalle immagini delle torture nella prigione di Abu. Graib e in altri luoghi. Crolla il castello di menzogne è intitolato un sotto capitolo che spiega in un rapporto della NSCT come Al Qaeda non è più il principale nemico … ma un movimento transnazionale di organizzazioni, reti e individui terroristi... che sfruttano l’Islam e usano il terrorismo per fatti ideologici. L’attacco al Libano diventa un’immagine speculare di quanto potrebbe succedere con l’Iran. Anche qui come a Falluja viene impiegato il fosforo bianco e nuove anni anche a Gaza. Mentre Israele si esercita all’attacco nucleare contro l’Iran, i leader del G8 denunciano i rischi di proliferazione posti dal programma nucleare iraniano.
Il periodo 2010-2015 mostra una forte accelerazione. Il quinquennio è diviso in quattro capitoli. Libia: la quinta guerra del dopoguerra fredda: il capitolo inizia con un articolo sulla nuova spartizione dell’Africa. Il braccio di ferro fra USA e Cina. L’insorgere delle primavere arabe è la scusa per inscenare una presunta insurrezione libica. Vi è una possibilità di un intervento militare USA/NATO per fermare il bagno di sangue. Il Consiglio di sicurezza autorizza a prendere tutte le misure necessarie. Gli Stati Uniti dirigono l’operazione nell’ombra. Conosciamo il seguito di cui stiamo pagando le conseguenze. L’Italia era al primo posto nelle importazioni libiche.
Siria e la strategia delle guerre coperte. L’eliminazione di Osama Ben Laden ottenuta con l’impiego di una comunità d’intelligence. Si parla di servizi con licenza di uccidere. L’impiego della disinformazione per far cadere la Siria. L’uscita delle truppe americane dall’Iraq lascia una catastrofe umana e sociale. Per non impiegare militari in Afghanistan, come già in Iraq, assumono mercenari, denominati contractors, dipendenti da società associate a importanti holding diversificate. L’interesse statunitense per il Sud Sudan si risveglia per l’esistenza di giacimenti petroliferi. L’Accordo di sicurezza bilaterale USA/Afghanistan permette agli Stati Uniti di mantenere le basi sotto bandiera afgana. L’Ocean Shield composto di navi da guerra e supporto aereo ha la missione di contrastare la pirateria lungo le coste e al largo del Corno d’Africa. La strategia del Grande oriente di Obama mira a sfidare la Cina e la Russia.
Ucraina: la nuova guerra fredda. Le basi europee si svuotano di truppe statunitensi fisse per riempirsi di maggiori forze rotanti. La NATO compie sessantatré anni e ha nuovi compiti, non solo militari, ma economici. La potenza della Cina e la sua avanzata economica infastidiscono gli Stati Uniti. La Russia di Putin è nuovamente temibile e Mosca si oppone allo scudo antimissile. Gli Stati Uniti e la NATO aumentano la pressione sulla Russia con esercitazioni ai suoi confini. La NATO riesce a tessere una rete di legami con le forze armate ucraine. La guerra per il controllo dell’Ucraina inizia con un operazione di guerra psicologica. Il plotone dei caschi blu di Maidan, organizzato e addestrato da un uomo d’affari israeliano, applica le tecniche di combattimento di Gaza in Ucraina. Dopo le sanzioni europee Putin firma accordi bilaterali con la Cina, non solo in campo economico. La tecnica collaudata del casus belli dell’aereo malese ricorda altre provocazioni preludio ad altri casi che precedevano un attacco bellico. Con il coinvolgimento della NATO su due fronti si è ritornati a una situazione più pericolosa di quella della guerra fredda. Putin rinnova l’alleanza con la Cina e gli USA si allarmano. La Russia rinuncia all’oleodotto South Stream, perché gli USA obbligano la Bulgaria a impedirne il passaggio. L’addestramento dei neonazisti ucraini rientra nell’iniziativa del Dipartimento di Stato. Infine il tentativo di cancellare la storia della seconda guerra mondiale.
Corsa agli armamenti verso la guerra nucleare. La corsa agli arm
di A. Martocchia, segretario Coord. Naz. per la Jugoslavia ONLUS – 3 ottobre 2015
Stevan Mirković, Veljko Kadijević i beskompromisni jugoslavizam
A. Martocchia, sekretar ItalijanskeKoordinacije za Jugoslaviju (CNJ ONLUS)
3.10.2015.
Dana 1.10.2015. održao se u Beogradu sprovod druga i prijatelja Stevana Mirkovića (Valjevo 27.10.1927 – Beograd 26.09.2015).
Partizan na Sremskom frontu, zatim general-pukovnik Jugoslavenske narodne armije, komandant Treće armije, i načelnik Generalštaba JNA, “Stevo” je i nakon umirovljenja i raspada države, nastavio aktivnu borbu za spasavanje Jugoslavije kritikujući politiku podjele, čiji su korenipoticali iz inozemstva a koju su sprovodili izdajnici u raznim republikama. Sve do kraja svoga života Stevo je ostao jugoslavenski patriota, antifašist, komunist i internacionalist, osjetljiv na velika pitanja našega vremena, što potvrđuju mnoge teme kojima se bavio zadnjih godina.
Okončao je svoju vojnu karijeru najprestižnijom funkcijom načelnika Generalštaba JNA (1987–1989), u vreme kada je federativna i socijalistička Jugoslavija propadala u krizi koja se pretvorila u bratoubilački rat, dok se Savez komunista, čiji je bio član već od godine 1944. – raspala.
Uvođenjem multipartijskog sistema, Mirković je sudjelovao u osnivanju novog "Saveza komunista, Pokreta za Jugoslaviju" (SK-PJ), ali ubrzo, nakon spajanja SK-PJ sa Jugoslavenskom udruženom levicom (JUL) Mire Marković, Stevan napušta organizaciju kao beskompromisni zastupnik jugoslavističkih i antikapitalističkih stavova, u kontinuitetu sa vrijednostima iz Titova razdoblja i čuvajući Titov lik kaosimboličan i idejni uzor.
Mirkovićevo jugoslavenstvo odnosilo se na državu "od Vardara do Triglava", budući da je bio i ostao pobornik Jugoslavije svih Jugoslavena, nasuprot "realističkom" ili "minimalističkom" jugoslavenstvu JUL-a i socijalista, po kojima su Jugoslaviju mogli sagraditi samo oni "koji u njoj žele ostati", a to se odnosilo na Srbe... Ali utvrditi ko "stvarno" želi biti unutar ili van Jugoslavije u vremenu medijske manipulacije i ratne dezinformacije, bila je nemoguća i besmislena misija, kao što je bila i ostaje nemoguća i besmislena svaka "pravedna" granična demarkacija između raznih jugoslavenskih naroda. Mirković je neprestano ponavljao: Uzmite kao primjer Srbe, koji su u SFRJ po Ustavu bili "konstitutivan narod" i to ne samo u Srbiji, nego i u Hrvatskoj i Bosni... a danas su ipak svugdje "stranci" (možda čak i u samoj Srbiji). Ni jedan narod cijepanjem nije stekao pravu domovinu, nitko ne živi u unitarnoj državi, nego su svi podijeljeni unutar novih prokletih granica! Kako se dakle pomiriti sa "činjenicama" secesija? – prebacivao je Mirković ljevicama u vladi.
Kadijevićev slučaj i JNA kao poslednja nada
Taj Mirkovićev stav moguće je uporediti sa stavovima koje je zastupao poslednji Savezni sekretar za Narodnu odbranu SFRJ, Veljko Kadijević, koji je u februaru-martu 1991. pokušao uvjeriti najviše državne rukovodioce u neophodnost uvođenja izvanrednog stanja, kako bi se onemogućilo djelovanje secesionističkih milicija i spriječio raspad Federativne Republike. Na sastanku na Topčideru u prisustvu svih šest predsjednika Republika i autonomnih pokrajina, predsjednika Federacije i najviših vojnih kadrova, Kadijević je tvrdio da bi uvođenjem vanrednog stanja blagovremeno trebalo zaustaviti paravojne formacije prisutne u državi, koje su podržavali vanjski i unutrašnji neprijatelji. I pored toga što je Kadijevićeva teza bila potkrijepljena argumentovanim i pouzdanim dokazima, ne samo političkim ili subjektivnim, – na primjer skandal iz 1990., kada su tajne službe snimile sastanak Hrvatskog ministra odbrane Martina Špegelja koji je imao učešća u tajnoj nabavci oružja sa Zapada preko Mađarske u organizovanju borbe protiv JNA – ishod glasanja je bio negativan: stavljen je veto, "posle dugih i teških diskusija, tokom kojih je Stipe Mesić stalno bio na vezi sa Franjom Tuđmanom, Makedonac Vasil Tupurkovski 'sa američkom ambasadom u Beogradu' [sic], a Janez Drnovšek sa Milanom Kučanom" (Tanjug 07.10.2007). Uz to, i predstavnik Srbije je imao slabu poziciju: Borislav Jović je praktički odgodio svoju odluku pravdajući to potrebom da se konsultuje sa SSSR-om, što je međutim rezultiralo neuspjehom. U Kadijevićevom prisustvu je Jazov u Moskvi telefonom razgovarao sa poslednjim predsjednikom SSSR-a Mihailom Gorbačovom, koji nije želeo da primi Kadijevića, kao ni šest mjeseci prije toga. "Odgovori su bili negativni i svodili su se na to da na podršku SSSR-a ne možemo računati", rekao je Kadijević i dodao da je odgovor "bio neprijateljski i da je Gorbačovljeva politika prema Jugoslaviji bila destruktivna".
Odluka da se ne uvede izvanredno stanje u tom trenutku pokazat će se ubitačnom greškom koja će usloviti sudbinu Federativne Socijalističke Republike. Izvesno je da je Jugoslavija tada imala mnogo nemilosrdnih vanjskih neprijatelja, počev od SSSR-a do NATO-a koji je možda bio spreman da izvrši napad na Beograd, ali na kraju krajeva nije izbjegnut jedan drugi rat, puno bolniji, bratoubilački rat. Tu grešku neće nikada oprostiti vojnici starog kova, patriote kao što su bili Veljko Kadijević i Stevan Mirković. Uslijedili su i drugi prijedlozi o "državnom udaru", a jedan je predviđao čak i Gedafijevo posredovanje (Tanjug 07.10.2007.), mada je već bilo prekasno, i rizično jer je postojala realna opasnost izbijanja građanskog rata između samih Srba. Ono što će uslijediti, bilo je prihvatanje činjeničnog stanja.
Nekoliko mjeseci kasnije Kadijević će morati prekinuti suradnju s rukovodstvom Srbije i Crne Gore, zbog realističke i defetističke linije koju je zastupalo. Prihvatanjem otcepljenja Slovenije i Hrvatske, "srpski narod se deli i svodi na nacionalnu manjinu izlaženu opasnosti uništenja". U istom intervjuu 2007. godine Kadijević je dakle, kritizirao Miloševića i predsjednika Predsjedništva SFRJ Jovića: "Već tada su vodili dvostruku igru prema Srbima u Bosni, Hercegovini i Hrvatskoj". Kadijević "tvrdi da mu je Milošević, kada su počeli sukobi u Sloveniji i Hrvatskoj, predlagao da se JNA povuče sa svih teritorija na kojima joj 'pucaju u leđa'. Kadijević navodi kao primer zahtev vojske da joj se upute dve pešadijske brigade, jedna iz Srbije a druga iz Crne Gore, kako bi se razoružale slovenačke snage, čemu su se predstavnici Srbije i Crne Gore u Predsedništvu SFRJ usprotivili". Jović je "'bio glavni akter distanciranja Srbije od Srba s one strane Drine i Une', smatrajući da 'jedni i drugi Srbi' nemaju ničeg zajedničkog osim imena. 'Srpski narod je stoga uništen, definitivno pobeđen i na taj način podjeljen”, smatrao je Kadijević.
Oktobra 1991, su mu s jedne strane nudili mjesto Predsjednika Federacije i čak mogućnost izvršenja kvazi državnog udara protiv eventualnih unutrašnjih neprijatelja nove mini-Federacije, s druge je bio izložen pritisku da prihvati nove unutrašnje granice nametnute od strane Evropske Zajednice i NATO-a. Pošto se protivio tom cenkanju, Kadijević je napustio poziciju Saveznog sekretara za Narodnu odbranu 6. januara 1992., t.j. samo nekoliko dana prije zloglasnog međunarodnog priznanja "nezavisnosti" Slovenije i Hrvatske.
Kadijević je, kao i Mirković, nedavno, 2. novembra prošle godine preminuo i to u Moskvi, gdje se nalazio u egzilu. Rođen kod Imotskog 21.11.1925, od oca Srbina i majke Hrvatice, kao vrlo mlad postao je partizan, a zatim je u vojsci dostigao najviše funkcije. U trenutku samoproglašenja neovisnosti Slovenije i Hrvatske bio je na poziciji Saveznog ministra obrane SFRJ-a. Zbog toga ga je hrvatski režim kasnije optužio za ratne zločine, tako da je za njim bila izdata Interpolova poternica, dok Haški Tribunal/MKSJ nije ikad izdao nalog za njegovo hapšenje. 2001, nakon prozapadnog državnog udara u Srbiji, odlučio je da traži politički azil u Rusiji, od koje je 2008. dobio i državljanstvo.
Pred optužbama iz Zagreba, Veljko Kadijević je uvijek branio svoje postupke, navodeći da je JNA bila u obavezi da odgovori na akcije neoustaških formacija. U autobiografiji objavljenoj na srpskohrvatskom 2010. – Kontraudar. Moj pogled na raspad Jugoslavije – optužio je vrlo detaljno i obiljem dokaza prije svega SAD i Njemačku zbog njihovog doprinosa raspadu Jugoslavije i pogoršanju ratnih sukoba devedesetih.
Stevan Mirković, odnosno drama jednog vizionara
Za razliku od Kadijevića, kao da je prst sudbine odlučio, Stevan Mirković nije imao nikakvu vojnu ili političku funkciju u najgorim trenucima jugoslavenske krize; ali i da je bilo drugačije, izvjesno je da njegov stav ne bi bio bitno drugačiji od Kadijevićevog. Upoznali smo dakle Mirkovića u ulozi običnog, ogorčenog i oštrog komentatora tragičnih događaja s početka devedesetih godina. Naša suradnja s njim je započela odmah: najprije je učestvovao kao telefonski gost u emisiji "Jugoslavenski glas" na Radio Città Aperta, zatim je sudjelovao u Rimu na Mitingu mira i prijateljstva među naroda nekadašnje klanice (1993). Narednih godina smo ga posjećivali u Beogradu gdje bismo skupljali njegove izjave i tekstove, koje smo prevodili i širili koliko su to dopuštala naša mizerna sredstva.
1997. godine Mirković se zalagao za "obnovu" Saveza komunista Jugoslavije, koja se u septembru pojavila i na političkim izborima, dobivši 6786 glasova (1,64%), zavidan rezultat u kontekstu prilične fragmentacije komunističkih političkih snaga. Mjesec dana nakon toga bili smo u Beogradu na međunarodnoj demonstraciji protiv NATO pakta, koju je organizovao novi SKJ, zajedno s bivšim Glasom radnika. Kao mnogo puta prije toga, Mirković nas je ugostio u svojem domu, na čijem balkonu do današnjeg dana visi zastava SFRJ-a.
Iste godine osnovano je kulturno udruženje "Centar Tito", koje je sljedećih godina trebalo da animira proslave vezane za lik Josipa Broza, posebno povodom "kanoničnih" godišnjica (4. maj – smrt – i 25. maj – Dan mladosti) i da sudjeluje u široj mreži "Društava Josipa Broza Tita" osnovanih u svim bivšim federalnim republikama.
Neslaganja i podjele unutar antikapitalističke ljevice nisu specifične isključivo za italijansku realnost: i u Srbiji je situacija danas veoma teška, zbog oštre podjele između titoističke i "kominformističke" frakcije (vjerne SSSR-u, Lenjinu i Staljinu) koju zastupa Nova komunistička partija Jugoslavije (NKPJ), kao temeljno organizirana politička partija nenaklonjena ustupcima u izbornim koalicijama.
U ovom kontekstu bremenitom subjektivizmima i poteškoćama, dok se i u drugim Republikama pokušavalo organizirati komunističku političku aktivnost, Mirkovićeva organizacija je promijenila naziv i postala "Savez komunista Jugoslavije u Srbiji" (SKJ u Srbiji).
Godine su prošle donoseći puno gorčine: najprije bratoubilački rat, nakon toga NATO agresija protiv onoga što je ostalo od Jugoslavije, napokon građanska, kulturna i politička dekadencija u Srbiji, ubrzana uspostavljanjem prozapadnog režima. Mirković je uvijek igrao ulogu portparola, nepoželjnu i nezavidnu ali ipak neophodnu i još uvijek potrebnu. Bio je vrlo strog kritičar svih vlada u zadnjih 25 godina: od socijaldemokratskih iz Miloševićeva doba do nacional-liberalne desnice još uvijek na vlasti, poslije državnog udara oktobra 2000.
Njegova se kritika ljevici u vladi (1991-2000) temeljila na pozicijama koje su bile radikalno suprotne tobožnjim "demokratskim" opozicijama omiljenim na Zapadu. Mirković se suprostavljao retoričkom samo prividno patriotskom nazionalizmu, a prije svega je pobijao postepeno ukidanje glavnih postignuća jugoslavenskog socijalizma, počev od radničkog samoupravljanja sredstvima za proizvodnju.
Tokom bombardiranja 1999, koje je predstavljalo šok za sve političke subjekte u Srbiji, Stevan se usprotivio svakoj kapitulaciji po pitanju Kosova kao kulturnog i povijesnog srca "male domovine" Srbije, kao i teritorije ogromne strateške vrijednosti zbog prirodnih bogatstava i znatnih proizvodnih pogona koji su bili plod rada generacija Jugoslavena.
Nakon "zaokreta" 2000, Mirkovićev kritički stav prema novom režimu nije se bitno izmenio. Nastavljala se borba protiv privatizacije, ali iznad svega bilo je potrebno povisiti glas protiv revizionističkog, pročetničkog, monarhističkog i u suštini profašističkog trenda na snazi u ovoj državi koja je već bila talac NATO-a. Mirković je stajao u prvom redu uvijek ali prije svega kad je trebalo podsjetiti na tekovine Narodno-oslobodilačke borbe, odbraniti i odati počast sjećanju na pale drugove, na ključne trenutke u stvaranju Titove Jugoslavije ili nepokolebljivo odbraniti lik Josipa Broza, neprestano izložen napadima i klevetama.
Sa simboličke tačke gledišta izuzetno ozbiljna bila je - za sve bivše borce kao što su Mirković i militantni antifašisti pa i autor ovih redova -, povijesna i sudska rehabilitacija Dragoljuba "Draže" Mihajlovića, bivšeg jugoslavenskog generala i četničkog vođe. Tokom Drugog svjetskog rata, ubeđeni antikomunista, Mihajlović se opredijelio za savez s talijanskim fašistima pa čak i sa hrvatskim ustašama, umjesto da se bori rame uz rame s Titovim partizanima, što je doprinijelo da narednih decenija postane simbol izdaje.
U Srbiji kojom vladaju izdajnici, utemeljitelj izdajnika Domovine nije mogao da ne bude rehabilitiran. Dosljedni i savršeno čisti ljudi kao što je bio Stevan Mirković, zajedno sa srpskim partizanskim pokretom (SUBNOR), jedini su jasno i glasno digli svoj glas protiv takve sramote, koja liči na druga i slična uništavanja povijesnog sjećanja na snazi ovih godina na Balkanu, u cijeloj Evropi i u samoj Italiji.
Italijanska Koordinacija za Jugoslaviju, koja za svoje postojanje puno duguje idealnoj inspiraciji i humanom primjeru Stevana Mirkovića, izražava najiskrenije saučešće obitelji, drugovima iz Srbije i Stevinimštovateljima, raspršenim širom Jugoslavije. Jedan partizan nas je napustio, rodiće se stotinu novih! Hvala Stevo! Borba se nastavlja!
http://www.semanarioserbio.com/?p=6978
http://www.naiz.info/es/iritzia/articulos/crimea-vs-kosovo
https://aurorasito.wordpress.com/2014/11/12/per-la-crimea-il-mondo-e-stato-sullorlo-della-guerra-nucleare/
Todos conocemos la cuestión de Crimea pero este reportaje de un periodista serbio explica, por las reacciones que ha provocado, por qué son tan pocos los periodistas occidentales que abordan la situación existente en esa península...
En direct de Crimée
Nous savons tous ce qu’il en est de la Crimée, mais ce reportage d’un journaliste serbe explique, par les réactions qu’il a provoquées, les raisons pour lesquelles très rares sont les journalistes occidentaux à rendre compte de la situation.
Traduction
Svetlana Maksovic
Source
Srpski Glas (Australie)
Ecrivain, poète et journaliste. Il a publié des romans : Le Serment en 2010 (Zavet), Je réussirai en 2012 (Nema šanse da ne uspem), Le Serment des héros en 2014 (Zavet heroja) et une collection de poèmes L’aube de l’éternité en 2014 (Osvit večnosti).
Son roman Le Serment des héros a été publié en russe à l’occasion du centenaire de la Grande guerre avec un avant-propos de Sergueï Narychkine, le président de la Douma d’Etat de Russie.
There was an interesting announcement recently that went almost entirely unnoticed in the Canadian media.
On June 17, Peter Szijjarto, foreign minister of Hungary’s centre-right government, made the startling declaration that his national security forces will erect a four-metre wall along the entire 175 kilometres of shared border with Serbia.
Szijjarto’s rationale for resorting to such a drastic measure results from a months-long flood of asylum seekers pouring into southern Hungary. While tens of thousands of these desperate illegal immigrants have been caught, detained and returned into Serbia, the vast majority have used the processing time for their asylum applications to simply disappear into other western European countries.
This, of course, explains why there is no public outcry from other members of the European Union over Hungary’s decision to fence out this wave of desperate humanity.
For impoverished Serbia, staunching the flow of these refugees at its northern border has generated the opposite reaction.
“I thought the Berlin Wall had fallen, but now new walls are being constructed,” stated Serbia’s foreign minister, Ivica Dacic, referring to the Cold War barrier that stood from 1961 until 1991.
“We are absolutely and fiercely against (Hungary’s) decision to build a fence.”
While the nationalities of those fleeing through Serbia into Hungary and beyond include Syrians, Somalis and even Afghans, the irony is that the vast majority of asylum seekers are ethnic Albanians from Kosovo.
The most recent exodus began in earnest in the fall of 2014, when the Serbian government relaxed travel restrictions on Albanians entering from the declared independent state of Kosovo. Serbia has never recognized Kosovo’s 2008 declaration of independence and still legally considers the region to be sovereign Serbian territory.
In 1999, Kosovo was ravaged by a brutal civil war between ethnic Albanian separatists and Serbian security forces. The root cause of the public discontent was a severely depressed economy, overpopulation and unemployment. The Albanian underworld was able use that unrest to ignite and impassion a wave of nationalist sentiment that soon boiled over into a full-scale armed insurgency.
That year was the 50th anniversary of NATO and, given the collapse of the Soviet Union in 1991, there was a strong desire for NATO leaders to prove that the alliance was still relevant. Thus, NATO threw its full weight behind the Albanian Kosovo rebels.
In the spring of 1999, NATO warplanes, including Canadian CF-18s, launched a 78-day bombing campaign — not just against Serbian military targets in the disputed territory of Kosovo but against civilian infrastructure and utilities throughout all of Serbia. With NATO combat forces, including Canadians, massed in Macedonia for a possible ground war, the Serbian government negotiated a ceasefire on June 10, 1999.
Under the negotiated terms of UN Resolution 1244, Kosovo was to remain the sovereign territory of Serbia after a brief military occupation by NATO troops. Serbian security forces were to resume control of Kosovo’s border crossings and provide protection for the numerous sacred Serbian religious sites and monasteries within the disputed territory.
Of course, that was never actually in the cards. NATO negotiators had never wanted to have ground troops fight their way through Kosovo’s forebodingly steep mountain passes. Therefore, they agreed to all Serbian demands, knowing full well that they would never honour the deal.
In February 2008, that duplicity was formalized when the United States hastily recognized Kosovo’s unilateral declaration of independence and strong-armed allies such as Canada into following suit.
However, the precedent of such declarations of territorial independence based upon ethnic regional majority has prevented many countries from recognizing Kosovo. For instance, Spain, with its Basque separatist movement, and Azerbaijan, with its claim over the region of Nagorno-Karabakh, cannot recognize a unilaterally declared independence.
With Russia using its veto to deny Kosovo membership in the UN and Spain, Slovakia, Greece and Cyprus doing likewise to keep it out of the European Union, Kosovo has remained in a strange quasi-limbo status on the international stage.
What matters most, however, is that at the end of the day, you cannot subsist on flags. Despite its declared independence, unemployment, poverty, corruption and widespread crime are driving a new flood of Albanian Kosovars to seek a better life — anywhere but in Kosovo.
The people of Ukraine who see their salvation in the form of a NATO intervention should take a good look at NATO’s “success” in Kosovo. Short-term military solutions do not solve long-term economic problems.
Source:
http://thechronicleherald.ca/opinion/1295935-on-target-ukraine-could-learn-from-kosovo%E2%80%99s-troubles?utm_source=website&utm_medium=mobi&utm_campaign=full-site
Kosovo and Ukraine: Compare and contrast
There have been at least two countries in Europe in recent history that undertook ‘anti-terrorist’ military operations against ‘separatists’, but got two very different reactions from the Western elite.
The government of European country A launches what it calls an‘anti-terrorist’ military operation against ‘separatists’ in one part of the country. We see pictures on Western television of people’s homes being shelled and lots of people fleeing. The US and UK and other NATO powers fiercely condemn the actions of the government of country A and accuse it of carrying out‘genocide’ and ’ethnic cleansing’ and say that there is an urgent ‘humanitarian crisis.’ Western politicians and establishment journalists tell us that ‘something must be done.’ And something is done: NATO launches a ‘humanitarian’ military intervention to stop the government of country A. Country A is bombed for 78 days and nights. The country’s leader (who is labeled ‘The New Hitler’) is indicted for war crimes – and is later arrested and sent in an RAF plane to stand trial for war crimes at The Hague, where he dies, un-convicted, in his prison cell.
The government of European country B launches what it calls an ‘anti-terrorist’ military operation against‘separatists’ in one part of the country. Western television doesn’t show pictures or at least not many) of people’s homes being shelled and people fleeing, although other television stations do. But here the US, UK and other NATO powers do not condemn the government, or accuse it of committing ‘genocide’ or‘ethnic cleansing.’ Western politicians and establishment journalists do not tell us that ‘something must be done’ to stop the government of country B killing people. On the contrary, the same powers who supported action against country A, support the military offensive of the government in country B. The leader of country B is not indicted for war crimes, nor is he labeled ‘The New Hitler’ despite the support the government has got from far-right, extreme nationalist groups, but in fact, receives generous amounts of aid.
Anyone defending the policies of the government in country A, or in any way challenging the dominant narrative in the West is labeled a “genocide denier” or an “apologist for mass murder.” But no such opprobrium awaits those defending the military offensive of the government in country B. It’s those who oppose its policies who are smeared.
What makes the double standards even worse, is that by any objective assessment, the behavior of the government in country B, has been far worse than that of country A and that more human suffering has been caused by their aggressive actions.
In case you haven’t guessed it yet – country A is Yugoslavia, country B is Ukraine.
Yugoslavia, a different case
In 1998/9 Yugoslavian authorities were faced with a campaign of violence against Yugoslav state officials by the pro-separatist and Western-backed Kosovan Liberation Army (KLA). The Yugoslav government responded by trying to defeat the KLA militarily, but their claims to be fighting against ’terrorism’ were haughtily dismissed by Western leaders. As the British Defence Secretary George Robertson and Foreign Secretary Robin Cook acknowledged in the period from 1998 to January 1999, the KLA had been responsible for more deaths in Kosovo than the Yugoslav authorities had been.
In the lead-up to the NATO action and during it, lurid claims were made about the numbers of people who had been killed or ‘disappeared’ by the Yugoslav forces. “Hysterical NATO and KLA estimates of the missing and presumably slaughtered Kosovan Albanians at times ran upwards of one hundred thousand, reaching 500, 000 in one State Department release. German officials leaked ‘intelligence’ about an alleged Serb plan called Operation Horseshoe to depopulate the province of its ethnic Albanians, and to resettle it with Serbs, which turned out to be an intelligence fabrication,” Edward Herman and David Peterson noted in their book The Politics of Genocide.
“We must act to save thousands of innocent men, women and children from humanitarian catastrophe – from death, barbarism and ethnic cleansing from a brutal dictatorship,” a solemn-faced Prime Minister Tony Blair told the British Parliament - just four years before an equally sombre Tony Blair told the British Parliament that we must act over the ‘threat’ posed by Saddam Hussein’s WMDs.
Taking their cue from Tony Blair and Co., the media played their part in hyping up what was going on in Kosovo. Herman and Peterson found that newspapers used the word ‘genocide’ to describe Yugoslav actions in Kosovo 323 times compared to just 13 times for the invasion/occupation of Iraq despite the death toll in the latter surpassing that of Kosovo by 250 times.
In the same way we were expected to forget about the claims from Western politicians and their media marionettes about Iraq possessing WMDs in the lead-up to the 2003 invasion, we are now expected to forget about the outlandish claims made about Kosovo in 1999.
But as the award winning investigative journalist and broadcaster John Pilger wrote in his article Reminders of Kosovo in 2004, “Lies as great as those told by Bush and Blair were deployed by Clinton and Blair in grooming of public opinion for an illegal, unprovoked attack on a European country.”
The overall death toll of the Kosovo conflict is thought to be between 3,000 and 4,000, but that figure includes Yugoslav army casualties, and Serbs and Roma and Kosovan Albanians killed by the KLA. In 2013, the International Committee of the Red Cross listed the names of 1,754 people from all communities in Kosovo who were reported missing by their families.
The number of people killed by Yugoslav military at the time NATO launched its ‘humanitarian’ bombing campaign, which itself killed between 400-600 people, is thought to be around 500, a tragic death toll but hardly “genocide.”
“Like Iraq’s fabled weapons of mass destruction, the figures used by the US and British governments and echoed by journalists were inventions- along with Serbian ‘rape camps’ and Clinton and Blair’s claims that NATO never deliberately bombed civilians,” says Pilger.
No matter what happens in Ukraine...
In Ukraine by contrast, the number of people killed by government forces and those supporting them has been deliberately played down, despite UN figures highlighting the terrible human cost of the Ukrainian government’s ‘anti-terrorist’ operation.
Last week, the UN’s Human Rights Office said that the death toll in the conflict in eastern Ukraine had doubled in the previous fortnight. Saying that they were “very conservative estimates,” the UN stated that 2,086 people (from all sides) had been killed and 5,000 injured. Regarding refugees, the UN says that around 1,000 people have been leaving the combat zone every day and that over 100,000 people have fled the region. Yet despite these very high figures, there have been no calls from leading Western politicians for ‘urgent action’ to stop the Ukrainian government’s military offensive. Articles from faux-left‘humanitarian interventionists’ saying that ‘something must be done’ to end what is a clearly a genuine humanitarian crisis, have been noticeable by their absence.
There is, it seems, no “responsibility to protect” civilians being killed by government forces in the east of Ukraine, as there was in Kosovo, even though the situation in Ukraine, from a humanitarian angle, is worse than that in Kosovo in March 1999.
To add insult to injury, efforts have been made to prevent a Russian humanitarian aid convoy from entering Ukraine.
The convoy we are told is ‘controversial’ and could be part of a sinister plot by Russia to invade. This from the same people who supported a NATO bombing campaign on a sovereign state for “humanitarian”reasons fifteen years ago!
For these Western ‘humanitarians’ who cheer on the actions of the Ukrainian government, the citizens of eastern Ukraine are “non-people”: not only are they unworthy of our support or compassion, or indeed aid convoys, they are also blamed for their own predicament.
There are, of course, other conflicts which also highlight Western double standards towards‘humanitarian intervention’. Israeli forces have killed over 2,000 Palestinians in their latest ruthless ‘anti-terrorist’ operation in Gaza, which is far more people than Yugoslav forces had killed in Kosovo by the time of the 1999 NATO ‘intervention’. But there are no calls at this time for a NATO bombing campaign against Israel.
In fact, neocons and faux-left Zionists who have defended and supported Israel’s “anti-terrorist”Operation Protective Edge, and Operation Cast Lead before it, were among the most enthusiastic supporters of the NATO bombing of Yugoslavia. Israel it seems is allowed to kill large numbers of people, including women and children, in its “anti-terrorist” campaigns, but Yugoslavia had no such “right” to fight an “anti-terrorist” campaign on its own soil.
In 2011, NATO went to war against Libya to prevent a “hypothetical” massacre in Benghazi, and to stop Gaddafi ‘killing his own people’; in 2014 Ukrainian government forces are killing their own people in large numbers, and there have been actual massacres like the appalling Odessa arson attack carried out by pro-government ‘radicals’, but the West hasn’t launched bombing raids on Kiev in response.
The very different approaches from the Western elite to ‘anti-terrorist’ operations in Kosovo and Ukraine (and indeed elsewhere) shows us that what matters most is not the numbers killed, or the amount of human suffering involved, but whether or not the government in question helps or hinders Western economic and military hegemonic aspirations.
In the eyes of the rapacious Western elites, the great ‘crime’ of the Yugoslav government in 1999 was that it was still operating, ten years after the fall of the Berlin Wall, an unreconstructed socialist economy, with very high levels of social ownership - as I highlighted here.
Yugoslavia under Milosevic was a country which maintained its financial and military independence. It had no wishes to join the EU or NATO, or surrender its sovereignty to anyone. For that refusal to play by the rules of the globalists and to show deference to the powerful Western financial elites, the country (and its leader) had to be destroyed. In the words of George Kenney, former Yugoslavia desk officer at the US State Department: “In post-cold war Europe no place remained for a large, independent-minded socialist state that resisted globalization.”
By contrast, the government of Ukraine, has been put in power by the West precisely in order to further its economic and military hegemonic aspirations. Poroshenko, unlike the much- demonized Milosevic, is an oligarch acting in the interests of Wall Street, the big banks and the Western military-industrial complex. He’s there to tie up Ukraine to IMF austerity programs, to hand over his country to Western capital and to lock Ukraine into ‘Euro-Atlantic’ structures- in other words to transform it into an EU/IMF/NATO colony- right on Russia’s doorstep.
This explains why an ‘anti-terrorist’ campaign waged by the Yugoslav government against ‘separatists’ in 1999 is ‘rewarded’ with fierce condemnation, a 78-day bombing campaign, and the indictment of its leader for war crimes, while a government waging an ‘anti-terrorist’ campaign against ‘separatists’ in Ukraine in 2014, is given carte blanche to carry on killing. In the end, it’s not about how many innocent people you kill, or how reprehensible your actions are, but about whose interests you serve.
http://byebyeunclesam.wordpress.com/2014/08/27/kosovo-e-ucraina-analogie-e-differenze/
Kosovo e Ucraina: analogie e differenze
Neil Clark per rt.com
Ci sono stati almeno due Paesi in Europa nella storia recente che hanno intrapreso operazioni militari “anti-terrorismo” contro “separatisti”, ma hanno ottenuto due reazioni molto diverse dalle élite occidentali.
Il governo del Paese europeo A lancia quella che definisce una operazione militare ‘anti-terrorismo’ contro ‘separatisti’ in una parte del Paese. Noi vediamo immagini sulla televisione occidentale di abitazioni che vengono bombardate e un sacco di persone in fuga. Gli Stati Uniti, il Regno Unito e le altre potenze della NATO condannano ferocemente le azioni del governo del Paese A e lo accusano di perpetrare ‘genocidio’ e ‘pulizia etnica’ e dicono che vi è una urgente ‘crisi umanitaria’. Politici occidentali e giornalisti dell’establishment ci raccontano che ‘bisogna fare qualcosa’. E qualcosa è fatto: la NATO lancia un intervento militare ‘umanitario’ per fermare il governo del Paese A. Il Paese A è bombardato per 78 giorni e notti. Il leader del Paese (che è etichettato come ‘il nuovo Hitler’) è accusato di crimini di guerra – e viene poi arrestato e inviato con un aereo della RAF per essere processato per crimini di guerra a L’Aia, dove muore, non-condannato, nella sua cella carceraria.
Il governo del Paese europeo B lancia quella che definisce una operazione militare ‘anti-terrorismo’ contro ‘separatisti’ in una parte del Paese. La televisione occidentale non mostra immagini, o almeno non molte, di abitazioni che vengono bombardate e persone in fuga, anche se altre emittenti televisive lo fanno. Ma qui gli Stati Uniti, Regno Unito e le altre potenze della NATO non condannano il governo, o lo accusano di aver commesso ‘genocidio’ o ‘pulizia etnica’. Politici occidentali e giornalisti dell’establishment non ci dicono che ‘bisogna fare qualcosa’ per impedire che il governo del Paese B uccida la gente. Al contrario, gli stessi poteri che hanno sostenuto l’azione contro il Paese A, sostengono l’offensiva militare del governo nel Paese B. Il leader del Paese B non è accusato di crimini di guerra, né è etichettato come ‘il nuovo Hitler’, nonostante il sostegno che il suo governo ha da gruppi nazionalisti estremi, della destra radicale, ma in realtà, riceve generose quantità di aiuti.
Chiunque difenda le politiche del governo nel Paese A, o in alcun modo contesti la narrazione dominante in Occidente viene etichettato come “negatore del genocidio” o un “apologeta dell’omicidio di massa.” Ma un tale obbrobrio non aspetta coloro che difendono l’offensiva militare del governo nel Paese B. Sono coloro che si oppongono alle sue politiche che vengono infangati.
Ciò che rende i doppi standard ancora peggiori, è che da qualsiasi valutazione oggettiva, il comportamento del governo nel Paese B è stato di gran lunga peggiore di quello del Paese A e che più sofferenza umana è stata causata dalle sue azioni aggressive.
Nel caso in cui non abbiate ancora indovinato – il Paese A è la Jugoslavia, il Paese B è l’Ucraina.
Jugoslavia, un caso diverso
Nel 1998/9 le autorità jugoslave hanno dovuto affrontare una campagna di violenza contro i funzionari statali jugoslavi da parte dell’Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK), pro-separatista e sostenuto dall’Occidente. Il governo jugoslavo ha risposto cercando di sconfiggere l’UCK militarmente, ma le sue rivendicazioni di stare lottando contro il ‘terrorismo’ sono state altezzosamente respinte dai leader occidentali. Come riconobbero il Segretario alla Difesa britannico George Robertson e il ministro degli Esteri Robin Cook nel periodo dal 1998 al gennaio 1999, l’UCK era stato responsabile di più morti in Kosovo che le autorità jugoslave.
Nell’imminenza dell’azione della NATO e durante essa, vennero fatte affermazioni sensazionali circa il numero di persone che erano state uccise o ‘fatte scomparire’ dalle forze jugoslave. “Isteriche stime dei dispersi e presumibilmente macellati kosovari albanesi, formulate dalla NATO e dall’UCK, ai tempi correvano oltre i centomila, raggiungendo i 500.000 in un rapporto del Dipartimento di Stato. Funzionari tedeschi fecero trapelare ‘intelligence’ su un presunto piano serbo chiamato Operazione Ferro di Cavallo volto a spopolare la provincia dai suoi Albanesi etnici, e di rimpiazzarli con Serbi, che si rivelò essere una fabbricazione dei servizi”, notano Edward Herman e David Peterson nel loro libro La politica del genocidio.
“Dobbiamo agire per salvare migliaia di uomini innocenti, donne e bambini da una catastrofe umanitaria – dalla morte, barbarie e pulizia etnica di una dittatura brutale”, disse con atteggiamento solenne il Primo Ministro Tony Blair al Parlamento britannico – appena quattro anni prima che un altrettanto severo Tony Blair dicesse al Parlamento britannico che dovevamo agire di fronte alla ‘minaccia’ rappresentata dalle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein.
Prendendo spunto da Tony Blair e co., i media hanno giocato la loro parte nel dare enfasi a quello che stava succedendo in Kosovo. Herman e Peterson hanno scoperto che i giornali hanno usato la parola ‘genocidio’ per descrivere le azioni jugoslave in Kosovo 323 volte rispetto alle sole 13 volte per l’invasione/occupazione dell’Irak, nonostante il bilancio delle vittime in quest’ultimo sia superiore a quello del Kosovo di 250 volte.
Allo stesso modo in cui ci si aspettava che dimenticassimo le dichiarazioni dei politici occidentali e dei loro media marionette sull’Irak in possesso di armi di distruzione di massa nell’imminenza dell’invasione del 2003, ora si attendevano che ci dimenticassimo le bizzarre affermazioni fatte sul Kosovo nel 1999.
Ma, come il premiato giornalista investigativo e televisivo John Pilger ha scritto nel suo articoloPromemoria del Kosovo nel 2004, “bugie grandi come quelle raccontate da Bush e Blair sono state impiegate da Clinton e Blair manipolando l’opinione pubblica per un illecito attacco non provocato contro un Paese europeo.”
Il bilancio globale delle vittime del conflitto in Kosovo è ritenuto essere tra 3.000 e 4.000, ma questa cifra include le perdite dell’esercito jugoslavo, e serbi, rom e kosovari albanesi uccisi dall’UCK. Nel 2013, il Comitato Internazionale della Croce Rossa ha elencato i nomi di 1.754 persone provenienti da tutte le comunità del Kosovo, che risultanto scomparse alle loro famiglie.
Il numero di persone uccise dai militari jugoslavi al momento in cui la NATO lanciò la sua campagna di bombardamenti ‘umanitari’, che a sua volta uccise tra le 400-600 persone, è pensato essere di circa 500, un numero di vittime tragico ma difficilmen
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Michel Collon |
Résumons. Nous, dirigeants US, sommes avec nos alliés européens, les champions des droits de l’homme, et nous rêvons de répandre la démocratie partout dans le monde. Donc, si nous avons… - renversé Mossadegh et imposé le tyran Reza Pahlavi en Iran - armé les Saoud contre les progressistes arabes - soutenu le dictateur fasciste Franco en Espagne - soutenu le dictateur fasciste Salazar au Portugal - utilisé des fascistes ouest-européens pour créer les réseaux secrets Gladio - soutenu le tyran Batista, puis tenté d’assassiner Castro à Cuba - soutenu l’apartheid en Afrique du Sud - soutenu la Rhodésie raciste (futur Zimbabwe) - assassiné Lumumba pour imposer le tyran Mobutu - assassiné cinq cent mille Indonésiens pour installer la dictature Suharto - installé une dictature militaire au Vietnam - installé une dictature militaire en Grèce - soutenu le fasciste Pinochet pour renverser Allende - armé des terroristes pour déstabiliser l’Angola et le Mozambique - assassiné deux présidents équatoriens pour installer des dictateurs - remplacé le président brésilien Goulart par une dictature militaire - fait pareil avec Bosch à Saint Domingue - fait pareil avec Zelaya au Honduras - soutenu les dictateurs Duvalier à Haïti - armé Ben Laden pour renverser le gouvernement progressiste afghan - soutenu les talibans en Afghanistan - armé et financé les terroristes « contras » au Nicaragua - assassiné Bishop et envahi la Grenade - soutenu les colonels assassins en Argentine, - soutenu le nazi Stroessner au Paraguay - soutenu le dictateur général Banzer en Bolivie - soutenu la dictature féodale au Népal et au Tibet - utilisé le FIS pour déstabiliser l’Algérie - financé Moubarak en Egypte - armé divers groupes terroristes pour déstabiliser des pays africains gênants - soutenu les bombardements au napalm du régime éthiopien en Somalie - soutenu le raciste anti-juif, antimusulman, antiserbe Tudjman en Croatie - tenté d’assassiner Chavez, Morales, Correa pour installer des dictatures - soutenu des attentats à la bombe dans des hôtels et des avions en Amérique latine - utilisé Al-Qaida en Libye - utilisé Al-Qaida en Syrie - utilisé les nazis anti-juifs Svoboda et Pravy Sektor pour un coup d’Etat en Ukraine - soutenu et protégé tous les crimes d’Israël contre les Palestiniens C’est par hasard, bien sûr, et nous ne le ferons plus jamais ! |
Le Premier ministre Milo Djukanović ne démissionne pas et répond par la force aux exigences de l’opposition. À 22 heures, la manifestation organisée suite aux violences de la semaine dernière a été réprimée par des charges de police. Le centre de Podgorica, quadrillé par les unités spéciales, était recouvert d’un lourd manteau de fumées et de gaz. Les urgences admettent des blessés...
Brutalan lov specijalaca: Prebijali i silom izvlačili iz automobila
NOVI SNIMAK POLICIJSKE BRUTALNOSTI: CRNOGORSKI SPECIJALCI BOKSERU SLOMILI KOLENO, KUK I RUKU (25. 10. 2015.)
Crnogorska policija je sinoć kod zgrade Crvenog krsta u Podgorici izvukla iz auta i pretukla predsednika crnogorske bokserske organizacije Mija Martinovića, pišu "Vijesti". On navodno nije učestvovao u protestima DF-a, a u automobilu je bio sa dvojicom prijatelja...
http://www.blic.rs/Vesti/Politika/601060/Novi-snimak-policijske-brutalnosti-Crnogorski-specijalci-bokseru-slomili-koleno-kuk-i-ruku
BRUTALNO PREBIJANJE MIJA MARTINOVIĆA - 24.10.2015.
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=TpeU1xuyjec
Brutalno prebijanje Mija Martinovića, prilikom kojeg je zadobio teške tjelesne povrede opasne po život...
Snimak je nastao 15 minuta nakon brutalnog prebijanja Mija Martinovića, prilikom čega je zadobio teške prelome na više mjesta po tijelu. Nakon što je u teškom stanju ležao na pločniku 15 minuta, odred policije je napokon odlučio da mu pruži pomoć i preveze ga u Klinički Centar. Tom prilikom se jasno vidi da policajci, iako su odlično svjesni težine povreda koje su nanijeli Martinoviću, bez mnogo saosjećanja i bez žurbe, uz povike kolegama da pomognu, stavljaju Martinovića u vozilo i odvoze...
Cette mobilisation massive et soudaine des citoyens du Monténégro contre la politique de leur gouvernement s’oppose principalement aux préparatifs en cours pour faire entrer leur pays dans l’OTAN...
Montenegro. Octobre 2015. Grenades assourdissantes, gaz lacrymogènes, charges de police. Samedi, le gouvernement du Montenegro a choisi de réprimer dans la violence la révolte populaire qui réclamait la démission de l'indéboulonnable depuis 1991 Premier ministre Milo Djukanovic et la tenue d'élections libres et démocratiques. "Non à l'OTAN", "Non à l'Union Européenne", « Liberté ou rien."...
http://www.b92.net/info/vesti/index.php?yyyy=2015&mm=10&dd=24&nav_category=167&nav_id=1055220
http://www.blic.rs/Vesti/Politika/600961/PROTEST-U-PODGORICI-Suzavac-pucnji-i-haos-na-ulicama-Andrija-Mandic-priveden
MILITARY NEUTRAL MONTENEGRO AS A STABILITY FACTOR AT THE BALKANS Yes, it is a vision of the Peace Movement “No to war – No to NATO”!
The idea of the presentation is primarily to present our efforts to English speaking interested subjects, and to expand and strengthen anti-NATO network globally. This all aims at the world peace, safer future and general welfare for the mankind. Because there was ENOUGH wars and shedding innocent blood! There was ENOUGH occupation of sovereign countries and confiscation of territories and mining wealth on behalf of a global super power! Our objective is to “awaken” unjustifiable “sleepers” in order to recognise the ultimate goal of the aggressor alliance!
The Peace Movement “No to war – No to NATO” is a network of over 50 non-governmental organisations and other legal entities in Montenegro. We were established in April 2010. How did we appear? It had all started from individual efforts of members of the editorial board of the IN4S portal (www.in4s.net) as the founders of the Movement – until the full membership of our Movement into the global anti-NATO alliance, starting from sporadic poster sticking activities to an entity that has to be seriously taken into account regarding the possible Montenegro’s entry into military alliances.
From establishing the network until mid-summer 2013, our Movement organised a number of peace international events, with speakers from Scotland at the west to Russia at the east and Norway at the north. Numerous intellectuals, political leaders from the region, “penitent” NATO officers and well reputed Russian generals either participated in or were guests of our events. We believe that we can do more and perform better! This presentation will help you judge our results.
By organising international and regional conferences, lectures given by reputed experts and media campaigns organised by us, our mission is to practically inform our citizens on the results of possible Montenegro’s entry into the NATO alliance, with a reputation of military, offensive and fully occupational machinery . And finally – to obtain the referendum at which the citizens (and not public authorities) shall pass a decision on (non) entry into NATO in a democratic way.
The Montenegro’s NGO network “No to war – No to NATO” became a full member of the international network “No to war - No to NATO” at its annual assembly held in March 2013 in Gent, Belgium.
The international network peace movement “No to war - No to NATO” was established in Stuttgart in October 2009. More than 650 organisations from over thirty (30) countries signed the declaration, which meant formal start of the peace initiative called “Not to war – No to NATO”.
Our network was established in April 2010, in Murino, a small place in the poor Montenegro’s north, and it became a member of the global peace network...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=kllJ-QmL3Ck
Il giorno 16/ott/2015, alle ore 20:12, 'Coord. Naz. per la Jugoslavia' ha scritto:(francais / english / srpskohrvatski.Il popolo del Montenegro non solo si oppone al regime mafioso che domina nel paese da oramai quasi venti anni, ma è anche contro la NATO e contro la adesione forzata che lo stesso regime cerca di imporre: una ennesima manifestazione di piazza si è tenuta proprio su questo a Podgorica lo scorso 14 ottobre, in occasione della visita del Segretario Generale della NATO il russofobo Stoltenberg, organizzata dal locale Comitato No Guerra NO NATO... )Protesti protiv NATO-a u Crnoj Gori1) Le Monténégro sur le point d'adhérer à l'Otan (Sputnik 17.09.2015)2) Monténégro: Prière de ne pas gêner la propagande de l'Otan! (Sputnik 25.09.2015)3) Haos u Crnoj Gori, Protesti širom zemlje! (Sputnik/Pravda 4.10.2015.)4) Протест због доласка Столтенберга: НАТО убице, крваве су вам руке (ВИДЕО – IN4S 15.10.2015.)5) Stoltenberg in Podgorica: Urges Montenegro To "Build Public Support For NATO" – SIC! (Sputnik/InSerbia 16.10.2015.)6) FLASHBACK: Otvoreno pismo ambasadorici SAD-a u Crnoj Gori: "Ne pomažite, please" (Marko Milačić, 2013.)PHOTOS AND VIDEOS of the anti-NATO demonstration held in Podgorica, 14.10.2015.:
« État » islamique
Si les médias atlantistes ne réagissent pas au ridicule des États-Unis depuis que la Russie bombarde —pour de vrai— l’État islamique, les médias du reste du monde rient de bon cœur. On croyait que Washington luttait contre le terrorisme depuis le 11-Septembre et on entend son allié turc défendre Daesh et proposer de lui ouvrir un consulat à Istanbul. Heureusement la Russie remet de l’ordre dans cette communication mensongère et abat les masques.
Traduction
Svetlana Maksovic
Source
Politika (Serbie)