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Sent: Monday, November 04, 2013 9:00 PM
Subject: Srebrenica Historical Project: Announcing a new volume, "Rethinking Srebrenica"

SREBRENICA HISTORICAL PROJECT

Postbus 90471,

2509LL

Den Haag, The Netherlands

+31 64 878 09078  (Holland)

+381 64 403 3612  (Serbia)

E-mail: srebrenica.historical.project@...

Web site: www.srebrenica-project.com

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“RETHINKING SREBRENICA” IN ENGLISH

 

          Srebrenica Historical Project is pleased to announce that in cooperation with its American publisher Unwritten History Inc. it has published a new, revised, and expanded edition of its classic comprehensive critique of the standard account of Srebrenica events in July 1995, “Deconstruction of a Virtual Genocide,” now under a new title: “Rethinking Srebrenica.” The authors are Stephen Karganović and Ljubiša Simić.

          While retaining the structure of the original volume, “Rethinking Srebrenica” has been considerably updated to include new evidence and testimony of relevant witnesses in the Mladić and Karadžić trials which was received since the last edition went to press. Also included are two new chapters, “ICTY radio intercept evidence” and “Srebrenica: Uses of the narrative.”

          The new chapter on intercept evidence raises serious questions about the authenticity of the transcripts of alleged incriminating conversations that were used in trial proceedings before ICTY, upon which many significant factual and legal conclusions were based. The new final chapter, “Uses of the narrative,” presents a compelling argument that Srebrenica has not been treated primarily as it should have been, as a criminal investigation,  but rather as a political device serving at least two objectives which have nothing to do with any interest in the facts on the ground. The first is to provide a founding myth to cement the new Bosnian Muslim identity and produce an unbridgeable rift with the neighbouring Orthodox community, thus providing a rationale for permanent interference and arbitration by interested foreign parties. The second is to furnish a plausible motive for the R2P [Responsibility to protect] doctrine which was developed gradually after the Srebrenica events of July 1995 and has served  since as an interventionist vehicle against targeted sovereign states such as Serbia (Kosovo), Iraq, Libya, and now Syria.  

          Chapters IV and V by Ljubiša Simić on the forensic evidence have been thoroughly revised and updated to reflect new information. They present an even more devastating picture than in the previous editions of the huge gap which separates the unfounded claims of the official Srebrenica narrative from the empirical evidence as collected by ICTY Prosecution’s own teams of experts and their admissions under cross examination in the Mladić and Karadžić trials.

          For our readers’ benefit we have attached the electronic version of “Rethinking Srebrenica” and we encourage reader comments and criticisms. [DOWNLOAD (PDF, 6,5 MB): https://www.cnj.it/documentazione/Srebrenica/RethinkingSrebrenica.pdf ]




Devastazione e ri-colonizzazione della Libia

1) Il Grande Nulla, due anni dopo Muammar Gheddafi (M. Forte)
2) La Libia nel caos a due anni dalla liberazione umanitaria della NATO (F. W. Engdahl)
3) La Libia da Gheddafi ad Al Qaida: terrorismo, CIA e militarizzazione dell'Africa (M. Vandepitte)
4) Lo squartamento libico (N. Nuñez Dorta)
5) La ricostruzione libica: un affare italiano (F. La Bella)


=== 1 ===

(the original text, in english: The Great Nothingness of Libya, Two Years After Muammar Gaddafi
By Maximilian Forte - Global Research, October 21, 2013 / Zero Anthropology 20 October 2013

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Il Grande Nulla, due anni dopo Muammar Gheddafi

Maximilien Forte
, Global Research, 21 ottobre 2013

La nozione di “Libia” ha cessato di avere qualsiasi significato pratico, quale concetto in riferimento a un certo grado di unità nazionale, comunità immaginata, sovranità o esercizio di un’autorità statale sul proprio territorio, la “Libia” è tornata indietro, quando doveva ancora formalizzarsi come concetto. Coloro che una volta celebravano i “ribelli rivoluzionari”, Obama, la NATO, le ONG, i media occidentali e l’opinione pubblica imperialista, liberale e “socialista” che, dopo un lungo periodo di aggiustamento strutturale interiorizzato, ora ha per filosofia il migliore accordo con i principi neoliberali, raramente, se mai, hanno incarnato il “futuro migliore” che doveva venire.  Visioni, come allucinazioni e deliri, del meglio che sarebbe venuto una volta che Gheddafi sarebbe stato doverosamente giustiziato, abbondavano negli scritti politicamente infantili sulla “primavera araba”.
Se mai c’è stata una “primavera araba” in Libia, in pochi giorni si trasformò in un incubo africano.  Questo fu particolarmente vero riguardo al terrorismo razzista contro decine di migliaia di inermi civili libici neri e di lavoratori migranti africani. Da quando la “Libia” non esiste più, l’assenza è una vergognosa macchia. La Libia è ora il nuovo “Stato” dell’apartheid e il nuovo “regime” torturatore in Africa. Perché le virgolette? A differenza dell’apartheid in Sud Africa, la “nuova Libia” è priva di qualsiasi tipo di coesione, come Stato e, tra governanti effettivi o potenziali, come classe, e le analisi di classe, infatti, quando applicata alla Libia utilizzando Marx come un manuale produce quei risultati risibili che ci si può aspettare dagli ortodossi eurocentristi, da coloro che indicano il presente nei contesti non occidentali come mera proiezione o ripetizione dello “stalinismo”. Le torture grottesche e criminali, l’omicidio e il massacro di Muammar Gheddafi simboleggiarono ciò che venne subito inflitto a tutta la Libia, proprio come fu fatto a migliaia di libici neri e di migranti africani dagli “eroici ribelli” nella guerra della NATO contro la Libia del 2011. La Libia è stata smembrata, come è stato scritto, sprofondando nella guerra di tutti contro tutti a vantaggio di pochi.
Giorni, settimane, mesi e ora anni sono passati, segnati da sequestri quotidiani, torture, ingiusta detenzione, omicidi, attentati, incursioni e sanguinosi scontri tra milizie rivali, estorsioni armate, assalti che hanno ridotto l’industria petrolifera in un miraggio di ciò che “una volta era”, ed esplosione di razzismo, fondamentalismo religioso e regionalismo. Se “Gheddafi” era il loro nemico, allora i libici hanno uno strano modo di dimostrarlo: massacrandosi a vicenda, i libici si dichiarano i propri peggiori nemici. Gheddafi non era chiaramente il problema: era la soluzione che doveva essere spezzata, in modo che la Libia fosse “fermata”, bloccata e costretta nella visione dei crudeli tiranni di Arabia Saudita, Qatar e Stati Uniti.
Se la Libia ha subito migliaia di morti dal brutale rovesciamento di Gheddafi e di tutto ciò che aveva creato, è un bene ed una felice notizia per tutti quei puerili e pretesi sempliciotti che basano infantilmente le loro teorie su idee e contrapposizioni binarie eurocentriche, appena velate dalle traduzioni idiote delle demonizzanti caricature di Gheddafi. Così era “il dittatore”, che a quanto pare governava senza uno Stato, se si crede a ciò che Reuters tenta di far passare da analisi politica.  (Nessuna quantità di “esserci stato” ti curerà se insisti nella tua ignoranza). Qui c’era il dittatore “brutale”, che evidentemente manteneva debole il suo esercito. O c’era uno Stato, che era anche un one-man show, qualsiasi cosa per incolparlo di tutto il passato e per distogliere l’attenzione da tutti coloro che hanno la responsabilità del presente. Se continuano a combattere “Gheddafi” e ad accusare Gheddafi per il presente, allora non vi è stata alcuna “rivoluzione”, ma solo continue rievocazioni di tutto ciò che fu “Gheddafi.” Se i leader delle milizie vedono Gheddafi ovunque e in tutti, è perché non sono da nessuna parte. Perfino le grandiose dichiarazioni, vengono passate per analisi di esperti come Juan Cole e altri amici della Libia “che si ribella”, del popolo unito nel “rovesciare il regime” del dittatore. Davvero, è imbarazzante quando si pensa che tali presunti adulti, perfino “studiosi”, fossero dietro tale sciocco cartone animato.
Per i “socialisti” occidentali che hanno applaudito i “rivoluzionari” libici, chiediamogli: dov’è il socialismo in Libia oggi? Per i liberali che parlavano di “democrazia” e “diritti umani”, dove sono oggi? Per i sostenitori dei principi dell’intervento e della “protezione umanitaria”, perché siete così  silenziosi dopo aver chiuso con l’omicidio di Gheddafi? A chi immaginava presunti “massacri” futuri, accompagnando le invocazioni dei chierichetti inglesi e americani secondo cui “Gheddafi doveva sparire”, perché la vostra immaginazione improvvisamente scompare davanti ai veri massacri da voi stessi commessi e permessi? A coloro che affermano “delle vite sono state salvate,” dov’erano quando corpi insanguinati cominciarono ad accumularsi tra sciami di mosche negli ospedali abbandonati? Quando i pazienti negli ospedali furono freddati nei loro letti, e quando i prigionieri ammanettati, supini, furono assassinati con colpi a bruciapelo, tanto che l’erba sotto le loro teste fu bruciata; avete sussultato? In altre parole, dove vedete questo grande “successo” nell’ossario che oggi è la “Libia”?
E’ una piana ‘analisi che parla della compressione dello spazio-tempo nella globalizzazione, che spiega presumibilmente quanti imperialisti iPad si siano investiti personalmente di “correggere” la Libia, in modo che potesse diventare simile a quello che hanno immaginato di possedere. Non guardano a nulla, se non a un’altra occasione di presentarsi, lusingando se stessi con un evoluto rinvigorimento culturale, applicato a forza dai bombardamenti della NATO. La Libia è ora “pronta alla democrazia”, e i missili da crociera hanno dimostrato quanto la Libia fosse matura per “il miglioramento.” Compressione spazio-temporale? La globalizzazione della coscienza? La coscienza, per quanto ce ne sia mai stata, è stata sicuramente compressa, in un minuscolo guscio di noce in cui sono vietate le opinioni contrarie, come soltanto ha sempre dimostrato di essere.
In tal senso, raccomando al lettore d’investire 40 minuti circa, per rivedere come stavano le cose prima di farsi illudere dalle nostre stesse bugie. Si tratta di una panoramica della Libia di Gheddafi, prodotta da BBC e CBS (che ci crediate o no), quando le fantasie demonologiche non si erano ancora completamente schiuse, volando e scaricando tanti escrementi propagandistici sulle nostre teste, come avviene con i vanagloriosi monologhi imperiali di Obama. Sfidate voi stessi e guardate alcune delle cose che la Libia ha perso, tutto in nome del grande nulla.


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(the original text, in english: Libya in Anarchy Two Years after NATO Humanitarian Liberation
By F. William Engdahl - Global Research, September 27, 2013

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La Libia nel caos a due anni dalla liberazione umanitaria della NATO

F. William Engdahl, Global Research, 27 settembre 2013

Nel 2011, quando Muammar Gheddafi si rifiutò di lasciare tranquillamente il governo della Libia, l’amministrazione Obama, nascondendosi dietro le sottane dei francesi, lanciò una feroce campagna di bombardamenti e una “no-fly zone” sul Paese per supportare i cosiddetti combattenti per la democrazia. Gli Stati Uniti mentirono a Russia e Cina, con l’aiuto del filo-USA Consiglio di cooperazione del Golfo, per la risoluzione del Consiglio di Sicurezza sulla Libia, utilizzata per giustificare una guerra illegale. La dottrina della “responsabilità di proteggere” fu anche usata, la stessa dottrina che Obama vuole utilizzare in Siria. E’ utile guardare alla Libia due anni dopo l’intervento umanitario della NATO.
Il caos nel settore petrolifero
L’economia della Libia dipende dal petrolio. Subito dopo la guerra, i media occidentali salutarono il fatto che le installazioni petrolifere non fossero state danneggiate dai bombardamenti sulla popolazione e che la produzione di petrolio fosse quasi normale, pari a 1,4 milioni di barili/giorno (bpd). Poi, a luglio le guardie armate al soldo del governo di Tripoli improvvisamente si ribellarono e presero il controllo dei terminali dei giacimenti petroliferi orientali che dovevano proteggere. Vi si estraeva il grosso del petrolio della Libia, nei pressi di Bengasi, dove dalle pipeline le petroliere ricevevano il petrolio per l’esportazione nel Mediterraneo. Quando il governo perse il controllo della produzione e dei terminali, le esportazioni registrarono un netto calo. Poi un altro gruppo tribale armato prese il controllo dei due giacimenti petroliferi nel sud, bloccando il flusso di petrolio per i terminali sulla costa nord-ovest. Gli occupanti tribali chiedevano maggiori paghe e scesero in sciopero per chiedere maggiore retribuzione e la fine della corruzione. Il risultato finale, oggi, inizio di settembre, è che la Libia ha pompato solo 150.000 barili su una capacità di 1,6 milioni di barili al giorno. Le esportazioni sono diminuite a 80.000 barili al giorno. [1]
Milizie armate contro i Fratelli musulmani
La Libia è uno Stato artificiale, come gran parte del Medio Oriente e dell’Africa, tracciato dall’Italia in epoca coloniale, nella prima guerra mondiale. Era governato per consenso delle numerose tribù. Gheddafi fu scelto con un lungo processo di voto dagli anziani delle tribù, cosa che poteva richiedere fino a 15 anni, mi è stato detto da un esperto. Quando fu assassinato e la sua famiglia braccata, la NATO impose il dominio del Consiglio nazionale di transizione (CNT) dominato dalla Fratellanza musulmana. Ora, ad agosto, una nuova Assemblea è stata eletta, sempre dominata dalla Fratellanza come l’Egitto di Mursi o la Tunisia. Suonava bene sulla carta, ma la realtà è che, a detta di tutti, le bande di fuorilegge armati, per la prima volta dalla guerra, con armi moderne e jihadisti  stranieri di al-Qaida, compiono bombardamenti quotidiani in tutto il Paese per avere il controllo locale. Tripoli stessa ha numerose bande armate che ne controllano i quartieri. Si sta passando alla lotta armata tra le milizie tribali locali, che vanno formandosi, e la fratellanza che controlla il governo centrale. I leader delle province di Cirenaica e Fezzan prendono in considerazione la rottura con Tripoli, e le milizie ribelli di mobilitano in tutto il Paese. [2]
Attentati a Tripoli ogni giorno, mentre si diffonde l’illegalità
Nuri Abu Sahmain, fratello musulmano e neoeletto Presidente del Congresso, ha convocato le milizie alleate della Confraternita nella capitale, per cercare d’impedire un colpo di stato, un’azione che l’opposizione vede come un colpo di Stato della Fratellanza. Il principale partito di opposizione, le forze di centro-destra dell’Alleanza nazionale, di conseguenza ha abbandonato il Congresso insieme a diversi partiti etnici più piccoli, lasciando il partito della Giustizia e della Costruzione della Fratellanza a capo di un governo dall’autorità in rovina. “Il Congresso è  sostanzialmente collassato”, ha detto un diplomatico a Tripoli. [3] L’amministrazione Obama ha promosso il cambio di regime in tutto il mondo musulmano, dall’Egitto alla Tunisia alla Siria, in favore degli oscuri Fratelli musulmani, nell’ambito della strategia a lungo termine per il controllo dell’Arco di Crisi musulmano, dall’Afghanistan alla Libia. Mentre il colpo di Stato militare sostenuto dai sauditi contro il presidente della Fratellanza Muhammad Mursi, in Egitto, a luglio, ha dimostrato che la strategia di Obama ha qualche problema.
Rivolte e illegalità
Con l’aumento delle violenze, il ministro dell’Interno Muhammad Qalifa al-Shaiq si è dimesso ad agosto. Circa 500 prigionieri nel carcere di Tripoli entrarono in sciopero della fame per protestare contro due anni di detenzione senza accuse. Quando il governo ha ordinato al Comitato supremo della sicurezza di ristabilire l’ordine, spararono ai prigionieri attraverso le sbarre. A luglio, 1200 prigionieri fuggirono da una prigione dopo una rivolta a Bengasi. Illegalità e anarchia si  diffondono. [4] I berberi, la cui milizia aveva assaltato Tripoli nel 2011, hanno occupato temporaneamente il parlamento a Tripoli. Poiché Stati Uniti e NATO furono irremovibili nel non avere “stivali sul terreno”, consegnarono deliberatamente qualsiasi arma a tutti i ribelli che avrebbero sparato alle truppe del governo di Gheddafi. Ancora oggi hanno armi e la Libia mi viene descritta, da un giornalista francese che di recente vi si era recato, come “il più grande bazar all’aperto di armi del mondo“, dove chiunque può acquistare qualsiasi moderna arma della NATO. Gli stranieri sono in gran parte fuggiti da Bengasi, laddove l’ambasciatore statunitense fu ucciso nel consolato degli Stati Uniti dai miliziani jihadisti, lo scorso settembre. E il procuratore militare della Libia, colonnello Yusif Ali al-Asaifar, incaricato di indagare sugli omicidi di politici, militari e giornalisti, è stato lui stesso assassinato da una bomba nella propria auto, il 29 agosto. [5]
Le prospettive sono tristi mentre si allarga l’illegalità. Suleiman Qajam, un membro della commissione parlamentare per l’energia, ha detto a Bloomberg che “il governo utilizza le sue riserve. Se la situazione non migliora, non sarà in grado di pagare gli stipendi entro la fine dell’anno“. L’amministrazione Obama sostiene che l’uso, non ancora provato, del governo di Assad di armi chimiche in Siria giustifica una guerra con bombardamenti da parte della NATO e di alleati come Arabia Saudita, Qatar, Turchia e Giordania, in base all’ingannevole dottrina “umanitaria” detta “responsabilità di proteggere”, che sostiene che certe violazioni dei diritti o della sicurezza delle persone, sono così gravi da trascendere il diritto internazionale, la Carta delle Nazioni Unite o le norme costituzionali degli Stati Uniti, facendo sì che per motivi morali, qualsiasi presidente degli Stati Uniti possa bombardare un Paese di sua scelta. C’è qualcosa di sbagliato qui…

Note
[1] Krishnadev Calamur, Libya Faces Looming Crisis As Oil Output Slows To Trickle, NPR, 12 settembre 2013;
[2] Patrick Cockburn, We all thought Libya had moved on — it has, but into lawlessness and ruin, 3 settembre 2013
[3] Chris Stephen, Libyans fear standoff between Muslim Brotherhood and opposition forces, The Guardian, 20 agosto, 2013
[4] Patrick Cockburn, op.  cit.
[5] Ibid.
Copyright © 2013 Global Research
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora


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(cet article en francais: État défaillant. Les États-Unis sont-ils sérieusement en guerre contre le terrorisme en Afrique ou le suscitent-ils au contraire pour servir leurs intérêts ?
par Marc Vandepitte - 21 octobre 2013

www.resistenze.org - popoli resistenti - libia - 11-11-13 - n. 474

La Libia da Gheddafi ad Al Qaida: terrorismo, CIA e militarizzazione dell'Africa

Marc Vandepitte | mondialisation.ca
Traduzione da ossin.org

21/10/2013

Gli Stati Uniti sono davvero in guerra contro il terrorismo in Africa, o piuttosto lo suscitano per utilizzarlo a loro vantaggio? Inchiesta di Marc Vandepitte

Stato debolissimo
L'11 ottobre il Primo Ministro libico è stato brutalmente rapito, per poi essere liberato nel giro di qualche ora. Questo sequestro è sintomatico della situazione del paese. Il 12 ottobre un'auto bomba è esplosa vicino alle ambasciate della Svezia e della Finlandia. Una settimana prima l'ambasciata russa era stata evacuata dopo essere stata invasa da uomini armati. Un anno fa era successo lo stesso all'ambasciata statunitense. L'ambasciatore e tre collaboratori vi avevano trovato la morte. Altre ambasciate erano state in precedenza prese di mira.

L'intervento occidentale in Libia, come in Iraq e in Afghanistan, ha messo in piedi uno Stato debolissimo. Dopo la destituzione e l'assassinio di Gheddafi, la situazione dell'ordine pubblico nel paese è fuori controllo. Attentati contro politici, attivisti, giudici e servizi di sicurezza sono moneta corrente. Il governo centrale ha difficoltà a controllare il paese. Le milizie rivali impongono la loro legge. A febbraio il governo di transizione è stato costretto a convocarsi sotto le tende, dopo essere stato espulso dal parlamento da ribelli infuriati. Il battello colato a picco vicino a Lampedusa, facendo annegare 300 rifugiati, veniva dalla Libia, ecc.

La Libia possiede le più importanti riserve di petrolio dell'Africa. Ma, a causa del caos che regna nel paese, l'estrazione è quasi ferma. Siamo arrivati al punto che deve importare il petrolio necessario a soddisfare i suoi bisogni di elettricità. A inizio settembre sono state sabotate le condutture d'acqua verso Tripoli, minacciando la capitale di penuria.

Basi per terroristi islamisti
Ma la cosa più inquietante è la jihadizzazione  del paese. Gli islamisti controllano interi territori e hanno uomini armati ai checkpoint delle citta di Bengasi e Derna. La figura di Belhadj illustra bene la situazione.
Questo ex (per così dire) membro eminente di Al Qaida era coinvolto negli attentati di Madrid del 2004. Dopo la caduta di Gheddafi, divenne governatore di Tripoli e inviò centinaia di jihadisti libici in Siria per combattere contro Assad. Lavora oggi alla costruzione di un partito conservatore islamista.

La jihadizzazione si estende ben al di là delle frontiere del paese. Il Ministro tunisino dell'interno descrive la Libia come un "rifugio per i membri nordafricani di Al Qaida". Dopo il crollo del governo centrale libico, armi pesanti sono cadute nelle mani di ogni sorta di milizie. Una di queste, il Libyan Fighting Group (LIFG), di cui Belhadj è un dirigente, ha stretto un'alleanza con i ribelli islamisti del Mali. Questi ultimi sono riusciti, con i Tuareg, a impossessarsi di tutto il Nord del Mali per qualche mese. L'imponente operazione di sequestro di ostaggi in una base petrolifera algerina, in gennaio, è stata realizzata partendo dalla Libia. Oggi la ribellione siriana è controllata dalla Libia e la macchia d'olio jihadista si estende verso il Niger e la Mauritania.

Ringraziando la CIA
A prima vista, gli Stati Uniti e l'Occidente sembrano preoccuparsi di questa recrudescenza di attività jihadista in Africa del Nord. Aggiungiamo anche la Nigeria, la Somalia e più recentemente il Kenya. Ma a ben vedere la situazione è più complicata. La caduta di Gheddafi è stata resa possibile dall'alleanza tra, da una parte, le forze speciali francesi, inglesi, giordane e del Qatar e, dall'altra, gruppi ribelli libici.  Il più importante di essi era proprio il Libyan Islamic Fighting Group (LIFG), che figurava nella lista delle organizzazioni terroriste vietate. Il suo leader, il sunnominato Belhadj, aveva due o tremila uomini ai suoi ordini. Questi ultimi furono addestrati dagli Stati Uniti subito prima dell'inizio della ribellione in Libia.

Gli Stati Uniti non sono al loro primo tentativo in questo campo. Negli anni 1980, essi si occuparono della formazione e dell'organizzazione dei combattenti estremisti islamisti in Afghanistan. Negli anni 1990 fecero lo stesso in Bosnia e, dieci anni più tardi, in Kosovo. Non è poi da escludere che i servizi di informazione occidentali siano direttamente o indirettamente coinvolti nelle attività terroriste dei Ceceni in Russia e degli Uiguri in Cina.

Gli Stati Uniti e la Francia si sono finti sorpresi quando i Tuareg e gli islamisti hanno occupato il Nord del Mali. Ma era solo una facciata. Ci si può perfino chiedere se non siano stati loro stessi a provocarla, come avvenne nel 1990 con l'Iraq contro il Kuwait.  Tenuto conto del livello di presenza di Al Qaida nella regione, qualsiasi specialista in geo-strategia avrebbe saputo che l'eliminazione di Gheddafi avrebbe provocato una recrudescenza della minaccia terrorista in Maghreb e nel Sahel. E siccome la caduta di Gheddafi è stata per gran parte opera delle milizie jihadiste, che gli Stati Uniti avevano formato e organizzato, è il caso di cominciare a porsi delle serie domande. Per maggiori dettagli, rinvio a un mio articolo precedente.

Agenda geo-politica
Comunque sia, la minaccia terrorista islamista nella regione e altrove sul continente africano fa comodo agli Stati Uniti. Costituisce la scusa perfetta per essere presente militarmente e intervenire nel continente africano. Non è sfuggito, a Washington, che la Cina e altri paesi emergenti sono sempre più attivi sul continente mettendo in pericolo l'egemonia degli Stati Uniti. La Cina è oggi il più importante partner commerciale dell'Africa. Secondo il Financial Times, "la militarizzazione della politica statunitense dopo l'11 settembre è da tempo discussa perché viene considerata, nella regione, come un tentativo degli Stati Uniti di rafforzare il loro controllo sulle materie prime e di contrastare il ruolo commerciale esponenziale della Cina.

Nel novembre 2006 la Cina organizzò un summit straordinario sulla cooperazione economica, cui parteciparono almeno 45 capi di Stato africani. Giusto un mese più tardi, Bush approvava la costituzione di Africom. Africom è il contingente militare statunitense (aerei, navi, truppe ecc) per le operazioni sul continente africano. L'abbiamo visto per la prima volta in azione in Libia e in Mali. Africom è oramai operativo in 49 dei 54 paesi africani e gli Stati Uniti dispongono in almeno dieci paesi di basi o installazioni militari permanenti. La militarizzazione degli Stati Uniti nel continente si allarga continuamente.

Sul piano economico, i paesi del Nord perdono terreno nei confronti dei paesi emergenti del Sud, ed è così anche per l'Africa, un continente ricco di materie prime. E' sempre più evidente che i paesi del nord intendano contrastare questo riequilibrio con mezzi militari. La cosa promette bene per il "continente nero".  


=== 4 ===

www.resistenze.org - popoli resistenti - libia - 05-11-13 - n. 473

Lo squartamento libico

Tutto sembra indicare che la frammentazione in determinate aree di influenza sia una tendenza difficile da contrastare nella Libia odierna

Nestor Nuñez Dorta | lahaine.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

05/11/2013

L'opera dei "combattenti per la libertà", che misero fine al governo di Tripoli, con l'aiuto degli Stati Uniti, dei loro partener dell'Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord (NATO), della destra araba, del sionismo e islamismo estremista, ha recentemente maturato i suoi primi frutti.

Si tratta della secessione della Cirenaica per conto di una cosiddetta Giunta delle Comunità, che comprende le bande armate coinvolte nella passata "ribellione", i capi di tribù locali e, di certo, i rappresentanti delle grandi imprese monopolistiche legate al petrolio, interessate al bottino di un paese strategico per il dominio delle rotte mediterranee e con grandi riserve energetiche.

Così, secondo Adeb Rabbo Hamid Barasi, nominato primo ministro del nuovo governo autonomo, si da per realizzata l'istaurazione di una repubblica federale autonoma che in seguito si chiamerà con il nome di Barqa, controllata da un consiglio di ventiquattro ministri, ma dove le funzioni di Difesa e degli Esteri rimarranno all' "esecutivo centrale", definizione che alcuni analisti identificano come una sorta di potere quasi intoccabile e molto vicino ai gruppi estremisti islamici fortemente coinvolti nelle azioni che hanno deposto le autorità di Tripoli.

Secondo lo stesso Barasi, l' "indipendenza" ha come obiettivo quello di controllare la più grande zona fornitrice di petrolio libico e stabilire uno stretto controllo sulla "sicurezza interna".

Nel frattempo, i media occidentali indicano che "le tribù e le milizie hanno basato la loro decisione sulla partizione regionale istituita nel 1951 dall'allora re Idriss, che divise il Paese in tre stati: Cirenaica (Barqa), Tripolitania (ovest, dove Tripoli è la capitale) e Fezzan, nel centro-sud.

In Cirenaica si trova anche la città di Bengasi, da dove si diede inizio alla rivolta contro il governo di Muammar Gheddafi, e dove sono accaduti notevoli episodi di violenza dopo la presunta vittoria dei ribelli.

Così, di recente è stato colpito nella propria casa il direttore del traffico aereo della città, il colonnello Abdel al Towahni, portando a quindici il totale degli alti comandanti militari morti nella città in questi ultimi anni per mano dei gruppi jihadisti, autori anche dell'attentato che poco più di un anno fa costò la vita di Christopher Stevens, allora ambasciatore degli Stati Uniti in Libia.

E mentre il Consiglio Nazionale di Transizione, che fa le veci del governo nazionale, dichiara illegale la decisione dei gruppi armati che operano in Cirenaica, tutto sembra indicare che la frammentazione in determinate aree di influenza sia una tendenza difficile da contrastare nella Libia odierna.

Da mesi, le poche informazioni provenienti da quel paese insistono nel caos seminato dalle bande che hanno deposto Gheddafi, le quali non solo conservano tutti i loro equipaggiamenti, ma rifiutano anche di integrarsi in un esercito unico, sotto il comando di un governo nazionale.

Insomma, la violenta ingerenza guidata dall'Occidente, le satrapie arabe, il sionismo e l'islamismo estremista, non ha fatto altro che promuovere le ambizioni dei signori della guerra e dei gruppi con aspirazioni del tutto particolari che minacciano l'unità dello Stato libico e, come logico corollario, la sua stessa esistenza.

Come ha ben rilevato un esperto qualche mese fa, nella Libia del post Gheddafi "sono una sessantina di milizie i veri centri del potere. Incapaci di eliminarli, il Consiglio Nazionale di Transizione utilizza alcuni come forze ausiliarie in casi di emergenza, mentre altri vanno registrandosi tra i vari partiti politici o tentano di dotarsi di uno spazio geografico dove imporre la propria volontà, in una tendenza molto pericolosa".

Di conseguenza, una vera anarchia sanguinosa caratterizza il futuro della Libia, che adesso si aggrava e acquisisce i rischi di una vera "morte nazionale" con il distacco forzato della Cirenaica, che amputa la frontiera orientale del paese, tagliando fuori gran parte del Golfo di Sirte, che le strappa l'importante porto di Bengasi e pregiudica i volumi più significativi della sua ricchezza petrolifera.


=== 5 ===

www.resistenze.org - osservatorio - italia - politica e società - 13-11-13 - n. 474

La ricostruzione libica: un affare italiano

Se le aziende straniere fuggono da Tripoli per l'instabilità politica, Roma resta e aumenta il suo volume d'affari. Un maxi-investimento che sa di colonialismo

Francesca La Bella | nena-news.globalist.it

11/11/2013

Legami di lungo corso uniscono Italia e Libia. I vincoli coloniali prima e gli interessi commerciali in seguito, hanno cementato un rapporto di interdipendenza duraturo e molto proficuo, soprattutto per la controparte italiana. In questo contesto l'intervento NATO contro Muhammar Gheddafi e la conseguente instabilità sembravano aver inciso negativamente sul volume di affari italiani nel Paese a causa di due fattori paralleli ed interrelati: la fluttuazione della produzione di idrocarburi (gas e petrolio), primo prodotto esportato verso la penisola italica, e la presenza significativa di competitors commerciali, soprattutto francesi, attivi nel Paese anche grazie alle tutele date dal coinvolgimento militare della propria madre patria al fianco dei ribelli.

La realtà è, però, diversa da quella che poteva apparire all'indomani della morte del Colonnello. Le speranze occidentali di affidabilità dei partner politici e di stabilità economica sono state quasi immediatamente disattese e, ad oggi, la tutela delle attività industriali straniere è nelle mani di compagnie di sicurezza private mercenarie o di milizie di ex-ribelli come la Lybia Shield Force. A prima vista la situazione sembrerebbe, dunque, molto critica per gli investitori italiani, ma così non è.

Anche dopo la caduta di Gheddafi, Roma si è infatti confermata il principale partner economico della Libia. Il mercato italiano è la meta principale dell'export libico e, nonostante le difficoltà, il valore dell'intercambio è cresciuto sia nel 2012 sia nel 2013. Parallelamente, se prima del 2011, operavano in Libia circa 100 aziende italiane, l'anno successivo si poteva stimare un 70% di rientri e la percentuale è ulteriormente cresciuta nell'ultimo periodo. Se i colossi del petrolio come le statunitensi Marathon Oil e ExxonMobil stanno lasciando la Libia a favore di altri Paesi con maggiori garanzie di sicurezza, le aziende italiane hanno scelto di investire sempre di più nel canale libico. Da un lato questo è dovuto alla fuga di buona parte della concorrenza internazionale, spaventata da una situazione che presenta forti criticità, dall'altro, si tratta di una occasione unica per avere un ruolo significativo in ambito mediterraneo.

L'accordo con il Governo Zeidan per il monitoraggio dei confini libici con tecnici italiani e sistemi Selex (Finmeccanica), l'incontro tra Letta ed Obama incentrato sul Mediterraneo in generale e sulla Libia in particolare e la dichiarazione congiunta di Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Italia a favore del "consolidamento della democrazia" sono i passaggi di un nuovo programma di intervento italiano nel Paese nord-africano. In quest'ottica devo essere letti, di conseguenza, anche la costituzione a fine ottobre dell'associazione Progetto Italia Libia (Apil) che dovrebbe favorire l'ingresso nel Paese africano di piccole e medie imprese, principalmente del settore infrastrutture, e la presenza massiva dell'Italia al Libya Rebuild 2014, la fiera internazionale sull'edilizia e le infrastrutture, che si terrà a febbraio 2014 a Tripoli.

Parallelamente si ricordi che ENI ha scelto di mantenere la propria posizione in suolo libico nonostante le difficoltà. Benché sia di pochi giorni fa la notizia dell'occupazione da parte di gruppi berberi del terminal libico del gasdotto che collega Mellitah a Gela, gestito dalla compagnia italiana e dalla consociata libica, le dichiarazioni in merito dell'amministratore delegato dell'azienda Paolo Scaroni non sono state particolarmente allarmate. Si sottolinea la difficoltà di lavorare in un contesto di post-guerra civile, ma si apre comunque alla possibilità di un miglioramento.

La fiducia nel futuro dell'Ad di ENI sembrerebbe fuori luogo se non si tenesse conto del contesto: l'imprenditoria privata è supportata da politiche statali configurando la relazione tra i due Paesi in termini neo-coloniali. La Libia ha, attualmente, un Governo debole, incapace di garantire la propria sicurezza interna e quella dei confini. L'economia, basata quasi totalmente sui proventi degli idrocarburi, continua a registrare fluttuazioni e la mancanza di investimenti esteri impedisce la diversificazione economica. Questa situazione induce il premier Zeidan a cercare partner commerciali capaci di dare nuova linfa all'economia locale, rafforzando, di conseguenza, la posizione dell'esecutivo.

D'altra parte l'Italia trova nella crisi libica un'inesauribile fonte di guadagno, non esclusivamente economico. Il business della ricostruzione potrebbe sopperire alle difficoltà che il settore edilizio e delle infrastrutture soffre in patria, il monitoraggio dei confini potrebbe garantire sia un introito economico per le aziende di tecnologia militare sia un risultato politico in termini di limitazione del fenomeno migratorio (esimendo l'Italia da un dibattito su una nuova nuova legge sull'immigrazione) e l'impegno per la "transizione democratica" riporterebbe l'Italia al centro del dibattito politico internazionale. Siamo sicuri che il ritorno al colonialismo possa essere considerato una soluzione "democratica?".



(italiano / deutsch / english)

Anschluss

1) V. Giacché: ANSCHLUSS. L’ANNESSIONE DELLA DDR E IL FUTURO DELL’EUROPA
2) 2010: La borghesia tedesca in crisi scatena un'altra campagna anticomunista e contro la RDT / Assalto all'Est
3) 2010: The German issue today (Alexei Fenenko)
4) DDR-Betriebe und die Treuhand (Frontal21, 2010)
5) Segnalazione libro: ERICH HONECKER - APPUNTI DAL CARCERE


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“Anschluss. L’annessione. L’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa”

9 Ottobre 2013

di Vladimiro Giacché

Anticipazione da

Vladimiro Giacché, Anschluss. L’annessione. L’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa, Imprimatur editore, 2013, pp. 304, in libreria dal 9 ottobre.

(riproduciamo per gentile concessione dell’editore le pp. 149-157 del testo)

Guai ai vinti: la criminalizzazione della RDT

La liquidazione pratica della RDT procedette in maniera parallela alla sua demonizzazione ideologica. Il documento forse più significativo della criminalizzazione della RDT è rappresentato dal discorso tenuto il primo luglio 1991 dal ministro della giustizia Klaus Kinkel, già presidente dal 1979 dal 1982 del servizio segreto della RFT (il Bundesnachrichtendienst, BND), al primo forum del ministero federale della giustizia. Eccone un passo: “Per quanto riguarda la cosiddetta RDT e il suo governo, non si trattava neppure di uno Stato indipendente. Questa cosiddetta RDT non è mai stata riconosciuta dal punto di vista del diritto internazionale. Esisteva una Germania unica (einheitlich), una parte della quale era occupata da una banda di criminali. Tuttavia non era possibile, per determinate ragioni, procedere penalmente contro questi criminali, ma questo non cambia di una virgola il fatto che c’era un’unica Germania, che ovviamente in essa vigeva un unico diritto e che esso attendeva di poter essere applicato ai criminali”.
La mostruosità storica e giuridica di questo passo meriterebbe un commento approfondito. Basterà, di passaggio, ricordare che la RDT era uno Stato riconosciuto non soltanto dall’ONU e da numerosissimi altri Stati, ma di fatto anche dalla stessa RFT, sin dal Trattato sui principi del 1972. E che il capo della “banda di criminali” di cui parla Kinkel era stato in visita di Stato nella Repubblica Federale non più tardi che nel 1987, quando era stato ricevuto con tutti gli onori da Helmut Kohl. Fu del resto lo stesso Günter Gaus, che ricoprì per anni l’incarico di responsabile della rappresentanza permanente della RFT nella Repubblica Democratica Tedesca, a dichiarare: “è insensato fare come se la RDT fosse una provincia che si era separata dalla Repubblica Federale. C’erano due Stati tedeschi, tra loro indipendenti, riconosciuti da tutto il mondo”. (...)

Questa sconcertante dichiarazione di Kinkel non sfuggì a Honecker, il quale negli appunti stesi in carcere e pubblicati postumi ne evidenziò la logica conseguenza: “la criminalizzazione dello Stato che fu la Repubblica Democratica conduce ad un vero bando sociale della massa dei cittadini della RDT. Chi ha partecipato alla costruzione di questo ‘Stato di non-diritto’ (Unrechtsstaat) sarà ‘legittimamente’ cacciato dal suo posto. Operaio, contadino, insegnante o artista, dovrà prendere atto del fatto che la sua espulsione dall’amministrazione, dall’insegnamento, dal teatro o dal laboratorio è ‘legale’”. Come vedremo, questa previsione a tinte fosche non si rivelerà troppo lontana dal vero.

Ma Kinkel fece un ulteriore grave passo pochi mesi dopo. Nel suo discorso di saluto al 15° congresso dei giudici tedeschi, il 23 settembre dello stesso anno, affermò testualmente: "conto sulla giustizia tedesca. Si deve riuscire a delegittimare il sistema della SED".

In questa esortazione è evidente la clamorosa violazione dell'indipendenza del potere giudiziario da quello esecutivo (ossia uno dei fondamenti dello stato di diritto), e assieme la teorizzazione esplicita di un utilizzo politico della giustizia: in questo modo di fatto Kinkel si rende colpevole proprio di quello di cui accusava la RDT. L’osservazione che Honecker in carcere fa con riferimento al procedimento che lo riguarda può quindi essere in qualche modo generalizzata: “con questo processo viene fatto quello che si rimprovera a noi. Ci si sbarazza dell’avversario politico utilizzando gli strumenti del diritto penale, ma ovviamente secondo i principi dello Stato di diritto”.

La giustizia del vincitore: i processi politici

A questa esortazione di Kinkel, purtroppo, una parte della giustizia federale rispose positivamente, anziché rispedirla al mittente. Nel corso degli anni furono aperti procedimenti penali nei confronti di circa 105 mila cittadini della RDT, in genere finiti nel nulla (ma che spesso ebbero un effetto devastante sulla carriera e sull’esistenza stessa degli interessati). In effetti, finirono sotto processo “soltanto” 1.332 persone (127 delle quali furono coinvolte in più di un processo). Risultarono condannate a pene variabili 759 persone (48 delle quali a pene detentive), si ebbero 293 assoluzioni e 364 processi furono interrotti per morte dell’imputato o per altri motivi.

Questo poté avvenire in forza di una sostanziale violazione del Trattato sull’unificazione e di ulteriori forzature della legge. In realtà fu adoperato surrettiziamente il diritto della RFT per giudicare l’operato di persone che avevano agito in ottemperanza alle leggi della RDT (in particolare guardie di confine, giudici e alti esponenti politici). Furono aperti ex novo procedimenti (mentre in base al Trattato la RFT avrebbe dovuto proseguire e portare a termine soltanto procedimenti già iniziati prima del 3 ottobre 1990). Per poter coinvolgere anche i più alti esponenti politici nei processi si inventò un presunto “ordine di sparare” a chi provasse a violare la frontiera impartito dagli alti comandi (mentre i soldati si limitavano a seguire le procedure – analoghe a quelle in uso nell’esercito della RFT - previste in caso di oltrepassamento illegale del confine o di ingresso non autorizzato in una zona militare, come del resto ammise in una sentenza del 1996 anche la Corte costituzionale federale). (...)

Il parlamento emanò tre successive leggi per prolungare i termini della prescrizione, e alla fine si giunse a considerare i quasi 41 anni della RDT come periodo di sospensione del decorso della prescrizione! Anche se in questo caso l’effetto pratico fu trascurabile (i procedimenti che si poterono effettivamente aprire e portare a termine in questo modo furono pochissimi), l’effetto mediatico e l’obiettivo di porre sul banco degli accusati l’intera storia della RDT fu conseguito.

Si trattò di fatto di processi esemplari, e più precisamente di “processi di rappresentanza”, in cui il procedimento penale era finalizzato a “delegittimare” postumamente, proprio come aveva richiesto Kinkel, la Repubblica Democratica Tedesca. Per quanto numerosi e gravi siano le responsabilità di Honecker nei suoi quasi 20 anni alla guida della RDT (in particolare l’assoluta sordità nei confronti della domanda di democratizzazione che veniva dalla società e l’ostinato rifiuto di cambiare rotta nella politica economica), è difficile non riconoscere delle ragioni nella sua denuncia del carattere politico del processo cui era sottoposto: “ci sono soltanto due possibilità: o i signori politici della RFT hanno consapevolmente, liberamente e addirittura volentieri cercato di avere rapporti con un assassino, o essi adesso consentono che un innocente sia accusato di omicidio. Nessuna di queste due alternative va a loro onore. Ma non ne esiste una terza... Il vero obiettivo politico di questo processo è l’intenzione di screditare la RDT e con essa il socialismo. Evidentemente, la sconfitta della RDT e del socialismo in Germania e in Europa per loro non è sufficiente... La vittoria dell’economia di mercato (come oggi si usa eufemisticamente definire il capitalismo) deve essere totale e totale deve essere la sconfitta del socialismo. Si vuole, come Hitler un tempo ebbe a dire davanti a Stalingrado, ‘che questo nemico non si riprenda mai più’. I capitalisti tedeschi hanno sempre avuto la tendenza alla totalità”.

In effetti in qualche caso questa “tendenza alla totalità”, questa furia liquidatoria nei confronti della RDT è giunta sino al punto di sconfinare nella adesione e giustificazione di quello che in Germania c’era prima della RDT stessa.

Quando Honecker nel 1992 fu estradato dalla Russia di Eltsin (a tal fine i medici russi produssero un certificato falso, che nascondeva la gravità del cancro al fegato di cui Honecker soffriva), venne rinchiuso in Germania nel carcere di Moabit, lo stesso in cui lo avevano rinchiuso i nazisti, per attività sovversiva nel Terzo Reich (durante il nazismo Honecker scontò 10 anni di carcere). E chi predispose l’atto di accusa pensò bene di riprendere letteralmente, senza modificarli in alcun modo, stralci dell’atto di accusa formulato a suo tempo dalla Gestapo. Cosicché nel curriculum vitae di Honecker allegato agli atti del processo si trovano queste frasi: “l’attività svolta [da Honecker] per l’organizzazione giovanile del partito comunista era illegale. Pertanto egli fu arrestato a Berlino il 4 dicembre 1935, per sospetta preparazione di attività di alto tradimento”.

Quando l’ex capo delle forze armate della RDT, Heinz Kessler, fu portato davanti a un tribunale tedesco federale - con l’accusa, anche nel suo caso, di aver dato l’“ordine di sparare” alla frontiera - non mancarono commenti sarcastici sul fatto che questo generale tedesco aveva disertato l’esercito tedesco; e in effetti lo aveva fatto: nel 1941, quando aveva abbandonato l’esercito di Hitler per unirsi all’armata rossa.

Ma il caso più estremo riguarda Erich Mielke, l’ex capo del potentissimo ministero per la sicurezza dello Stato (meglio noto come Stasi) – in definitiva colui che nella RDT ricopriva lo stesso incarico che nella RFT aveva ricoperto Kinkel. Per Mielke non si trovò di meglio che condannarlo per l’omicidio di due poliziotti nel 1931. In questo caso si riprese il fascicolo processuale aperto sotto il nazismo, che aveva portato nel 1935 alla decapitazione in carcere di un altro comunista, Max Matern. A Mielke negli anni Novanta andò meglio: fu condannato a 6 anni, ma fu scarcerato nel 1995 per motivi di salute (aveva 88 anni), dopo aver passato in carcere complessivamente 5 anni.

Gerhard Schürer, l’ex capo della pianificazione della RDT, nelle sue memorie scrive: “è per me incomprensibile che il massacro di 15 donne e bambini italiani [la strage di Caiazzo, N.d.A.] da parte del criminale di guerra Lehnigk-Emden durante la seconda guerra mondiale in base al diritto tedesco sia un reato prescritto, mentre l’atto di un giovane comunista, che – anche nel caso in cui egli l’abbia davvero commesso – deve essere spiegato con la situazione dell’epoca, prossima alla guerra civile, ancora dopo 64 anni viene perseguito e la pena implacabilmente comminata”.


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www.resistenze.org - popoli resistenti - germania - 13-07-10 - n. 327

Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
La borghesia tedesca in crisi scatena un'altra campagna anticomunista e contro la RDT
 
10/07/2010
 
I liberali del FPD [Partito Liberal Democratico] spingono per un'indagine sulle reti del servizio di sicurezza antifascista della RDT-DDR, che seppe far fronte all'aggressivo imperialismo occidentale fino al 1989, dentro il parlamento della Germania borghese RFT dal 1949 al 1990.
 
Con l'economia in crisi, un aumento della disoccupazione, una crisi politica derivante dalla complicità tedesca nella guerra coloniale in Afghanistan, la borghesia cerca di deviare l'attenzione delle masse, coltivare senza ritegno l'anticomunismo e combattere la crescente simpatia popolare verso la RDT socialista e verso il socialismo in generale. Lo stato esige dalla molto socialdemocratizzata Die Linke che continui a rinculare rinunciando completamente alla RDT e ad ogni idea socialista. Bassezza, revanscismo, filo-nazismo e caccia alle streghe sono gli elementi principali della Germania imperialista attuale.
 
Secondo una recente inchiesta pubblicata da Der Spiegel, il 57% dei cittadini dell’Est è disposto a difendere pubblicamente la RDT, il 49% crede che si vivesse bene e l’8% che si viveva meglio nella RDT che sotto il regime borghese. La maggioranza dei giovani crede che la RDT difendesse meglio l'ecosistema rispetto all'Ovest capitalista.
 

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www.resistenze.org - popoli resistenti - germania - 10-10-10 - n. 335

da Avante, organo del PCP- www.avante.pt/pt/1923/opiniao/110735/ 
Traduzione dal portoghese per 
www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
Assalto all'Est
 
di Rui Paz
 
ottobre 2010
 
Il capitale monopolista ed i suoi servi hanno celebrato lo scorso 3 ottobre il 20° anniversario della liquidazione del primo Stato socialista tedesco e la restaurazione del capitalismo nella ex DDR. La distruzione della struttura economica socialista e il saccheggio della ricchezza appartenente a tutto il popolo della Repubblica Democratica Tedesca, vengono solitamente presentati, da parte di una oligarchia finanziaria sfruttatrice e parassitaria, in possesso di fortune colossali, proprietaria di banche e grandi imprese e gruppi economici, come una "rivoluzione".
 
Ma le celebrazioni del 2010 sono state turbate dalla rivelazione dei documenti della "Corte dei Conti Federale", inaccessibili fino ad ora, i quali dimostrano che il declino dell'economia tedesco-orientale, a partire dal 1990, non è da imputare al socialismo, come il capitale ha costantemente propagandato per due decenni, ma all'assalto al settore bancario dello Stato da parte delle banche occidentali. Deutsche Bank e Dresdner Bank sono stati le principali beneficiarie di tale atto di rapina.
 
Questi 20 anni di '"unificazione" che i banchieri, i multi-milionari e la classe politica servitrice del capitalismo celebrano, si sono trasformati per una parte importante dei lavoratori e del popolo tedesco in un calvario di disoccupazione e povertà, di liquidazione dei diritti sociali e lavorativi, di regressione antidemocratica e assenza di speranza per una vita migliore. La fine del socialismo nella RDT e la restaurazione capitalista hanno trascinato tutta la Germania in una situazione per cui il potere non eletto e incontrollabile del grande capitale prevale sulla volontà politica generale. Le banche e i monopoli privati, come Siemens, Allianz o Mercedes, senza alcuna legittimazione democratica decidono il destino di milioni di famiglie.
 
Nel 2003, la percentuale della popolazione che viveva al di sotto della soglia di povertà, nella parte occidentale era del 13%, in quella orientale era salita al 17,7%. Mentre nelle fabbriche occidentali solo il 70% dei lavoratori ha ancora un contratto di lavoro a tempo indeterminato (impensabile fino al 1990), ad oriente la situazione è ancora più drammatica con il 45,5% diviso tra lavoro precario e lavoro nero. È giunto il tempo di rivelare che dietro la cosiddetta "unificazione" della Germania si nasconde un attacco reale ai beni e alla ricchezza della ex DDR e un processo di regresso sociale senza precedenti nella storia d'Europa dal 1945.
 

=== 3 ===

http://en.rian.ru/valdai_op/20101004/160819255.html

Russian Information Agency Novosti
October 6, 2010

The German issue today

Alexei Fenenko 

This fall marks 20 years since the reunification of Germany. On 12 September 1990 the Moscow Treaty was signed, apparently bringing the curtain down on the German question. On 3 October 1990, on the basis of the Moscow Treaty, the Cold War’s Eastern and Western Germany were reunified. Now, two decades later, it is time to consider whether the Moscow Treaty really did settle the "German question".

After the fall of the Berlin Wall (November 1989) there were two alternative possibilities for the reunification of Eastern and Western Germany. The first was the "2+4" formula. Under it, the FRG and the GDR would independently create a new unified whole, later to be joined by “the victorious powers” (the USSR, the U.S., Great Britain and France). The alternative was a "4+2" formula, according to which the four “victorious powers" were to jointly decide on how Germany was to be unified. Britain and France favored the latter. The U.S. took a neutral position to avoid possible conflict both with Germany and one of its key allies - Britain. The situation changed, however, when the USSR became involved. At a meeting with Chancellor Helmut Kohl in Zheleznovodsk (July 1990) Michael Gorbachev backed the "2+4" formula. The George Bush senior’s administration in turn supported him, and France and Britain fell in line behind the two global superpowers. 

Thus the Moscow Treaty was born of compromise. It was signed by two German states (Eastern and Western Germany) and the four “victorious powers.” The document stipulated the conditions for Germany’s reunification according to the "2+4" formula alongside a guarantee of its future peaceful development. It also repealed "the victorious powers’" rights to German territory. Germany pledged to keep within restrictions on conventional armed forces, not to create weapons of mass destruction (WMD) and to refrain from acts of aggression against other states. Particular emphasis was placed on the new Germany’s final borders and neighboring countries.

Despite all the efforts taken, the Moscow Treaty did not manage to settle the German question. Moreover, for a number of reasons it may yet prove a flashpoint in relations on the continent.

Firstly, the Moscow Treaty is not technically a peace treaty. In law “the victorious powers" as yet have no peace treaty with Germany. The parties’ obligations under the Moscow Treaty are preliminary in character.

Secondly, the Moscow Treaty retained the restrictions on German sovereignty. It restored Germany’s full legal identity and repealed "the victorious powers’" rights to German territory. But the limitations on German sovereignty imposed by the Bonn treaty (1952) remain in force. Germany is still forbidden to hold referendums on military affairs, to demand the withdrawal of Allied troops before signing a peace treaty, to make foreign policy decisions without the approval of the victorious powers, and to pursue a number of developments within their armed forces, in particular, Germany is banned from creating weapons of mass destruction (WMD).

Thirdly, Berlin created a succession of precedents for an expanded interpretation of the Moscow Treaty. For example, during Operation Desert Storm (1991) Germany backed the anti-Iraq coalition. Twenty years later, German soldiers maintained a presence in Bosnia, Kosovo, Macedonia and Afghanistan. 

Fourth, there are some misgivings about German nuclear issues. Germany participates in the NPT as a non-nuclear state. Yet at the same time Berlin has a complete nuclear fuel cycle. Hence, it could produce nuclear weapons. Indeed, such a move would only require a political decision. Two of Germany’s ex-Ministers of Defense - Rupert Scholz and Rudolf Scharping – pointed out that, in certain circumstances, this could in fact be possible. Besides, Germany has ambitions to become a permanent member of the UN Security Council, which will give it legal nuclear status. Thus, the five permanent UN Security Council members will be five legitimate nuclear powers.

Other states are still concerned about Germany’s future. In 1991, despite the positions taken by Britain and France, Berlin recognized the independence of Slovenia and Croatia. Moreover, it even threatened to withdraw from the European Community. Then Paris and London persuaded Bill Clinton’s U.S. administration to maintain an American military presence in Germany at all costs. When entering the Bosnian war (1992 -1995), the U.S. tried to unite its NATO allies (including Germany) in a joint military operation in order to bring a halt to Berlin’s unilateral response to the Balkan issue.

Today the issue of Germany’s military independence is developing in a new direction. In April 2009, the Bundestag recommended that Angela Merkel's Government consider the possibility of the withdrawal of U.S. tactical nuclear weapons from Germany. Although a majority of deputies voted against the immediate withdrawal of American tactical nukes, in February 2010, Berlin cooperated with the Benelux countries and Norway, proposing to raise this issue for consideration within NATO. But since 1957 American tactical nukes have been at the core of U.S. security guarantees to Germany. Thus their potential withdrawal would confirm Berlin’s intention to construct an independent military policy.

Germany’s nuclear discussions have raised concern among some NATO allies. In February 2010 the U.S. Secretary of State Hillary Clinton and her deputy James Steinberg said that such decisions should be considered within the Alliance. At the Tallinn Summit (22 -23 April 2010) NATO foreign ministers decided to maintain a united Alliance policy on the issue of nuclear deterrents. The new draft of NATO’s military doctrine (May 2010) focused on (1) the preservation of a common nuclear policy and (2) the continued presence of American tactical nuclear weapons on NATO members’ territory. So this could be a new potential source of stress in regard to the German question.

Russia also has some food for thought. Berlin is one of Moscow’s leading partners. So Russia is unlikely to oppose any discussion the issue of restoring full German sovereignty. Yet a Germany that is militarily independent is one factor that is sure to alter the balance of power in Europe. Therefore, the twentieth anniversary of the Moscow Treaty an even more apt moment to reflect on how and in what format the impending revision of the document meets Russia's interests.

Alexei Fenenko is Leading Research Fellow, Institute of International Security Studies of RAS, Russian Academy of Sciences


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Abgewickelt und betrogen

DDR-Betriebe und die Treuhand


Rückblick: Im Sommer 1990 bekommen 16 Millionen DDR-Bürger neues Geld: Der Freude über die harte D-Mark folgt schnell Ernüchterung. Denn die
Volkseigenen Betriebe müssen nun ihre Belegschaft in D-Mark bezahlen und sich über Nacht dem Weltmarkt stellen. Privatisieren oder dichtmachen - das
ist die Aufgabe der Treuhandanstalt, der größten Staatsholding der Welt. Der Ausverkauf der DDR-Wirtschaft beginnt. 8000 Betriebe sollen marktfähig
gemacht werden oder untergehen.

Die Mitarbeiter des Wärmeanlagenbaus Berlin (WBB) glauben, dass sie den Sprung in den Markt schaffen können. WBB, größter DDR-Hersteller für
Fernwärmetrassen, besitzt ein Millionenvermögen. Offizieller Substanzwert: 160 Millionen D-Mark. Doch die Treuhand rechnet den Betrieb klein und
verkauft ihn für ganze zwei Millionen D-Mark an den westdeutschen Geschäftsmann Michael Rottmann. Der entlässt die meisten Beschäftigten,
verkauft die WBB-Immobilien für knapp 150 Millionen und transferiert das Betriebsvermögen ins Ausland.2,5 Millionen Arbeitsplätze abgewickelt
1200 Menschen verlieren ihre Arbeit. Rottmann flieht ins Ausland. Erst 14 Jahre nach dem Firmenzusammenbruch wird der Geschäftsmann gefasst und zu
einer mehrjährigen Haftstrafe verurteilt. Fast 200 Millionen Mark Firmengelder bleiben verschwunden. Wie WBB geht es tausenden von Firmen.

Als die Treuhand im Dezember 1994 ihre Arbeit beendet, sind 2,5 Millionen Arbeitsplätze in der ehemaligen DDR vernichtet. Was bleibt, ist ein
Schuldenberg von 250 Milliarden D-Mark. Bis heute belasten die Milliarden, die die Abwicklung der DDR-Wirtschaft gekostet hat, den Bundeshaushalt -
von den sozialen Folgen ganz zu schweigen.Vernichtende Bilanz Werner Schulz, damals grüner Bundestagsabgeordneter, durchleuchtete in
einem Untersuchungsausschuss die Geschäfte der Treuhandanstalt. Seine Bilanz ist vernichtend: "Im Grunde genommen ist es das größte
Betrugskapitel in der Wirtschaftsgeschichte Deutschlands."

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http://frontal21.zdf.deZDFdeprogramm0,6753,PrAutoOp_idPoDispatch:9935358,00.html 

„Beutezug Ost – Die Treuhand und die Abwicklung der DDR“

Verantwortlich: Albrecht Müller 
http://www.nachdenkseiten.de/?p=6735#more-6735

Endlich kommen die Zweifel an der Arbeit der Treuhand und an der Weisheit der Währungsunion breiter zur Sprache. Heute Abend um 21:00 h setzt Frontal 21 seine Aufarbeitung der Vorgänge um die Treuhand und um die Währungsunion mit einer Dokumentation fort. Die Vorschau auf diese Sendung „Beutezug Ost – Die Treuhand und die Abwicklung der DDR“ finden Sie hier und als Anlage 1. In der Vorschau finden Sie auch weitere Links zu Teilen der Sendung. Albrecht Müller

Wenn diese Versuche der Aufarbeitung einer düsteren Geschichte auch spät kommen, es ist besser als gar nicht. Nach meinem Eindruck liegt so viel im Dunkel, dass es dringend geboten wäre, die Vorgänge um die Abwicklung der fast 8000 Betriebe der DDR, um den Verkauf der ostdeutschen Banken an die westdeutschen Banken und um die Währungsunion vom 1.7.1990 neu aufzuarbeiten. Ein neuer Untersuchungsausschuss zur Abwicklung von Betrieben durch die Treuhand wäre dringend geboten.

(Message over 64 KB, truncated)


Falsifikovanje istorije na RTS

1) Beograd 10/11: PROTEST PROTIV EMITOVANЈA SERIJE „RAVNA GORA“
2) SUBNOR: ПРОВОКАЦИЈА  JE  И  САМ  НАЗИВ!


LINKOVI:

Protiv emitovanja serije "Ravna gora"
Dr Branko Latas: DOKUMENTI O SARADNJI ČETNIKA SA OSOVINOM 

THE TRIAL OF DRAGOLJUB-DRAŽE MIHAJLOVIĆA 
Stenographic record - Belgrade 1946

VIDEO: Izdajnici i ratni zlocinci (6/8)

Рехабилитација Драже Михаиловића:
ОТВОРЕНО ПИСМО СУБНОР СРБИЈЕ ДОМАЋОЈ И СВЕТСКОЈ ЈАВНОСТИ
SUBNOR, 19. март 2012.


=== 1 ===


PROTEST PROTIV EMITOVANЈA SERIJE „RAVNA GORA“


Pozivamo vas da zajedno podignemo glas protiv emitovanja serije „Ravna gora“, najnovijeg pokušaja falsifikovanja istorije i to na „javnom servisu svih građana“ – RTS-u.


Smešno je očekivati da će serija „Ravna gora“ Radoša Bajića biti pokušaj „objektivnog“ prikazivanja razdoblja Drugog svetskog rata kod nas. Sam Radoš Bajić je od ranije poznat kao simpatizer Ravnogorskog pokreta i suludo je pomisliti da će se u njegovoj seriji Ravnogorski pokret, po kom je serija i nazvana, prikazati objektivno. Jedino moguće objektivno prikazivanje po zlu čuvenog Ravnogorskog pokreta je kao pokreta krvničkih narodnih neprijatelja i slugi okupatora.


„Objektivni“ pokušaj mirenja četnika i partizana, na šta se Bajić poziva, nije nam nikakva nepoznanica. Istu stvar rade i srpske buržoaske vlasti, a to se zove revizija istorije. Ona za konačni cilj ima potpunu rehabilitaciju Ravnogorskog pokreta, a blaćenje slavne Narodnooslobidalačke borbe i naše revolucije, što je proces koji je u Srbiji već prilično odmakao.


U tome leži najveća opasnost serije protiv koje dižemo glas istog dana kada je najavljena njena premijerna epizoda, u nedelju 10. novembra u minut do 12 ispred zgrade RTS-a, Takovska 10.


Zaustavimo emitovanje serije „Ravna gora“!


Zaustavimo rehabilitovanje narodnih neprijatelja!


NKPJ-SKOJ


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НАРОДНИ ПРОТЕСТ ПРОТИВ ЕМИТОВАЊА СЕРИЈЕ „РАВНА ГОРА“
Savez Komunističke Omladine Jugoslavije

Domenica 10 novembre 2013
12.00 - ЗГРАДА РТС-А, ТАКОВСКА 10, БЕОГРАД

ПОЗИВАМО ВАС ДА ЗАЈЕДНО ПОДИГНЕМО ГЛАС ПРОТИВ ЕМИТОВАЊА СЕРИЈЕ „РАВНА ГОРА“, НАЈНОВИЈЕГ ПОКУШАЈА ФАЛСИФИКОВАЊА ИСТОРИЈЕ И ТО НА „ЈАВНОМ СЕРВИСУ СВИХ ГРАЂАНА“ – РТС-У. СМЕШНО ЈЕ ОЧЕКИВАТИ ДА ЋЕ СЕРИЈА „РАВНА ГОРА“ РАДОША БАЈИЋА БИТИ ПОКУШАЈ „ОБЈЕКТИВНОГ“ ПРИКАЗИВАЊА РАЗДОБЉА ДРУГОГ СВЕТСКОГ РАТА КОД НАС. САМ РАДОШ БАЈИЋ ЈЕ ОД РАНИЈЕ ПОЗНАТ КАО СИМПАТИЗЕР РАВНОГОРСКОГ ПОКРЕТА И СУЛУДО ЈЕ ПОМИСЛИТИ ДА ЋЕ СЕ У ЊЕГОВОЈ СЕРИЈИ РАВНОГОРСКИ ПОКРЕТ, ПО КОМ ЈЕ СЕРИЈА И НАЗВАНА, ПРИКАЗАТИ ОБЈЕКТИВНО. ЈЕДИНО МОГУЋЕ ОБЈЕКТИВНО ПРИКАЗИВАЊЕ ПО ЗЛУ ЧУВЕНОГ РАВНОГОРСКОГ ПОКРЕТА ЈЕ КАО ПОКРЕТА КРВНИЧКИХ НАРОДНИХ НЕПРИЈАТЕЉА И СЛУГИ ОКУПАТОРА.
„ОБЈЕКТИВНИ“ ПОКУШАЈ МИРЕЊА ЧЕТНИКА И ПАРТИЗАНА, НА ШТА СЕ БАЈИЋ ПОЗИВА, НИЈЕ НАМ НИКАКВА НЕПОЗНАНИЦА. ИСТУ СТВАР РАДЕ И СРПСКЕ БУРЖОАСКЕ ВЛАСТИ, А ТО СЕ ЗОВЕ РЕВИЗИЈА ИСТОРИЈЕ. ОНА ЗА КОНАЧНИ ЦИЉ ИМА ПОТПУНУ РЕХАБИЛИТАЦИЈУ РАВНОГОРСКОГ ПОКРЕТА, А БЛАЋЕЊЕ СЛАВНЕ НАРОДНООСЛОБИДАЛАЧКЕ БОРБЕ И НАШЕ РЕВОЛУЦИЈЕ, ШТО ЈЕ ПРОЦЕС КОЈИ ЈЕ У СРБИЈИ ВЕЋ ПРИЛИЧНО ОДМАКАО.
У ТОМЕ ЛЕЖИ НАЈВЕЋА ОПАСНОСТ СЕРИЈЕ ПРОТИВ КОЈЕ ДИЖЕМО ГЛАС ИСТОГ ДАНА КАДА ЈЕ НАЈАВЉЕНА ЊЕНА ПРЕМИЈЕРНА ЕПИЗОДА, У НЕДЕЉУ 10. НОВЕМБРА У МИНУТ ДО 12 ИСПРЕД ЗГРАДЕ РТС-А, ТАКОВСКА 10.
ЗАУСТАВИМО ЕМИТОВАЊЕ СЕРИЈЕ „РАВНА ГОРА“!
ЗАУСТАВИМО РЕХАБИЛИТОВАЊЕ НАРОДНИХ НЕПРИЈАТЕЉА!
НКПЈ-СКОЈ

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na istom temu:

MITING U NEDELJU U MINUT DO 12 ISPRED ZGRADE RTS
Komunisti pozivaju na ustanak: Zaustavite emitovanje serije "Ravna Gora"
Simonida Milojković  | 06. 11. 2013. 
http://www.blic.rs/Zabava/Vesti/417998/Komunisti-pozivaju-na-ustanak-Zaustavite-emitovanje-serije-Ravna-Gora

TRAŽE ZABRANU SERIJE
RAT JOŠ TRAJE: Skojevci ustali protiv emitovanja Ravne gore
06.11.2013. Autor: Agencija FoNet
http://www.kurir-info.rs/rat-jos-traje-skojevci-protiv-emitovanja-ravne-gore-clanak-1074151


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Протест

Објављено 5. новембар 2013. | Од СУБНОР

ПРОВОКАЦИЈА  JE  И  САМ  НАЗИВ!

Хвали се задњих година РТС, којег недужни народ издржава обилно харачем званим претплата, да је некакав јавни сервис ”свих грађана Србије”, а ево сада, у громопуцатељној кампањи, својој и медијских сателита, насрће на ту исту нацију провоцирајући чак и називом најављене такозване тв серије.

Не баш доказани глумац, неизвесни сценариста, још мање редитељ, упустио се за дебеле паре, у породичној манифактурној продукцији, да општим народним, добрим делом и државним, новцем крчми историју ове земље и, уз помоћ идеолошке сабраће, најављено изврће истину о, дакако, тешком времену народа који се, у свугде у свету препознатљивој и признатој већини, борио у Другом светском рату за слободу и против нацистичке хитлеровске немачке солдатеске и верних помагача из домаћих редова.

Много је воде протекло нашим рекама, а РТС и онај баја хоће серијом која залази у наше домове да, веле, науче становништво како више да цене прошлост.

Коју прошлост? Са планином што је била синоним за сарадњу са окупаторима и мање-више самозваним ђенералом кога се и његов, у прво време, претпостављени јавно одрекао из Лондона и позвао честите присталице да се придруже партизанским јединицама?

Прошлост коју помињу славодобитно редитељ и поједини маскирани актери су и крвави пирови, слово ”З”, најава кама у разулареним ”црним тројкама”, спаљене и опљачкане куће, фотографисање над жртвама и у братском окружју са фашистима разних фела.

Морбидна је и помисао, још више увреда, кад се такозвана предпремијера организује у Крагујевцу уочи дана ослобођења од тих и таквих о којима серија прича, а црвеним тепихом парадира цвет нашег глумишта који својим ролама хоће народ да учи прошлости и сам не зна, или га није брига, што тај хепенинг одржава уочи монструозног покоља школске деце и родољуба неодмаклог доба -  октобра 1941, покоља у Шумарицама, никад нису нити ће заборавити Шумадија и Србија, злочин је остао у памети правдољубиве и антифашистичке планете.

Иста, увертирна свечаност, кочоперно је одржана и у једом од ретких београдских биоскопа. Пред нарученим камерама задовољно су шеткали протагонсити већ више деценија протежираних ретроградних идеја које потиру антифашизам у Србији и, у исто време, аболирају идеологију и појединце што су белодано, у Другом светском рату, били на страни поражених фашистичких окупационих трупа и против савезничке коалиције, у којој су поносно и уз огроман и признати допринос били само НОП и партизанске дивизије.

Аутор тв серије већ најављује наставак, ”своју истину” о Ужичкој републици и, можда, о даљим догађањима везаним за рат и око њега кроз визуру љотићевско-дражиновске политике.

Отужно је, а нека широка јавност у Србији каже своје, да РТС аболира евидентно фашистичку прошлост и мериторно се хвали њоме у време кад и у Европи са забринутошћу не само указују на арлаукање деснице.

Неки се овде, ипак, нису дозвали памети. Уместо да се хвалимо вредностима по којима смо били познати и признати, сада аутентични и уникатни антифашизам, захваљујући ”јавном сервису” и ”његовим ствараоцима”, изједначују са сарадницима фашиста и помагачима истребљења народа Србије, чија се улога, на перфидан начин и уз помоћ доказљивих фалсификата, продуљава пуном силином и у данашње време.

На жалост и општу срамоту!




NEL 70.MO ANNIVERSARIO DELLA RESISTENZA


07/11/2013 - Fonte: il manifesto - Autore: Carlo Lania

Con i soldi dell’ANPI l’Italia paga le missioni

Tolti 300 mila euro all’associazione dei partigiani

I soldi destinati all’Anpi serviranno a finanziare le missioni militari dell’Italia all’estero. E chissà se i partigiani saranno d’accordo. A deciderlo è stata ieri la commissione Bilancio della Camera durante l’esame del decreto sulle missioni in cui sono impegnati i soldati italiani fuori dai confini. A conti fatti i membri della commissione si sono accorti che mancavano circa 300 mila euro per garantire la copertura del decreto ma soprattutto l’operatività dei militari fino al 31 dicembre, data di scadenza del provvedimento. Nessun problema. Nel testo, infatti, sono inseriti anche i finanziamenti destinati a 17 associazioni combattentistiche, tra le quali l’Anpi per la quale era stato previsto 1 milione di euro. Anziché tagliare i costi riducendo l’impegno militare, la maggioranza delle larghe intese ha pensato bene di attingere a piene mani proprio lì, tra i fondi destinati all’associazione dei partigiani per trovare i soldi necessari a coprire il buco. Detto fatto. Giusto il tempo di di rifare i conti e il contributo destinato all’Anpi è stato ridotto a 634 mila euro, mentre 366 mila euro sono passati dalle casse (virtuali) dell’associazione partigiani a quelle delle missioni, con il consenso di tutti i partiti – Pd in testa – e con l’unico voto contrario del M5S. 
Il provvedimento prevede un finanziamento complessivo di 730 milioni fino alla fine dell’anno, dei quali 260 solo per la missione in Afghanistan. Nonostante le promesse fatte dal ministro degli Esteri Emma Bonino, che aveva garantito un maggior impegno finanziario italiano per i profughi della Siria, alla cooperazione internazionale restano solo le briciole: appena il 2% del totale, pari a soli 23 milioni di euro. 
Una volta messi in ordine i conti, il decreto è dunque arrivato in aula, dove però adesso rischia di rimanere impantanato a lungo. Sel e M5S hanno infatti annunciato di volersi opporre al testo con l’ostruzionismo, cominciato già ieri sera durante la discussione. Il movimento di Grillo ha presentato 12 emendamenti che chiede al governo di fare propri. Tra le richieste più importanti c’è il ritiro di almeno il 10% del personale militare attualmente impegnato in Afghanistan (250 soldati su un totale di 2.900). «Non si tratta di una richiesta assurda», spiega il deputato 5 Stelle Manlio Di Stefano. «Nell’emendamento si chiede di concordare con la Nato una riduzione degli incarichi operativi degli italiani in Afghanistan in modo da permettere il parziale ritiro. Messa in questi termini la proposta è stata giudicata fattibile anche dal relatore, il generale Rossi. Senza contare che , oltre a dare un forte segnale politico, si risparmierebbero anche molti soldi in un momento di crisi». Il M5S chiede anche l’approvazione di un ordine del giorno che metta fine all’impiego di soldati italiani in missioni antipirateria a bordo delle navi mercantili. 
Più radicale la scelta di Sel, che al governo chiede invece di spacchettare il decreto in modo da poter votare contro la sola missione in Afghanistan, decretandone così la fine nel caso il voto passasse, e a parte tutto il resto.«Non accettiamo mediazioni come quella proposta dal M5S di ritirare solo il 10% dei soldati – spiega Giulio Marcon -. Quella missione è sbagliata e va ritirata completamente».







il manifesto 2013.11.05 - 03 ECONOMIA
 
L'ARTE DELLA GUERRA

Non c'è crisi per le missioni

RUBRICA - MANLIO DINUCCI 

Mentre le vie di Roma sono percorse da cortei che chiedono investimenti pubblici per il lavoro, la casa, i servizi sociali, nelle stanze di palazzo Montecitorio si sta varando il decreto-legge che stanzia altro denaro pubblico per le missioni militari internazionali. Denaro che va ad aggiungersi a quello per le forze armate e gli armamenti, ponendo l'Italia (documenta il Sipri) al decimo posto mondiale con una spesa militare reale di 26 miliardi di euro nel 2012, equivalente a 70 milioni al giorno. 
Su cosa si stia decidendo a palazzo Montecitorio c'è assoluto silenzio mediatico. Peccato. Altrimenti i cittadini italiani in crescenti difficoltà economiche avrebbero perlomeno la soddisfazione di sapere che, solo per il trimestre ottobre-dicembre 2013, vengono stanziati 125 milioni di euro per la missione militare in Afghanistan, oltre 40 per quella in Libano, 24 per quelle nei Balcani, 15 per il «contrasto alla pirateria» nell'Oceano Indiano (più la spesa, ancora segreta, per la nuova base militare italiana a Gibuti). Si spendono in soli tre mesi 5 milioni per partecipare alla missione Nato nel Mediterraneo (cui si aggiunge la spesa, ancora da quantificare, per quella Mare Nostrum), altri 5 per mantenere personale militare italiano a Tampa in Florida (sede del Comando centrale Usa), in Bahrain, Qatar ed Emirati arabi uniti. Oltre 5 milioni in tre mesi vengono stanziati per i militari e gli agenti di polizia che in Libia aiutano a «fronteggiare l'immigrazione clandestina» e a mantenere e usare «le unità navali cedute dal governo italiano a quello libico». Altro denaro pubblico viene sborsato per inviare militari in Sudan, Sud Sudan, Mali, Niger, Congo e altri paesi, pagando alte indennità di missione incrementate del 30% se il personale non usufruisce di cibo e alloggio gratuiti. Alle spese per le missioni militari si aggiungono quelle per il «sostegno ai processi di ricostruzione» e il «consolidamento dei processi di pace e stabilizzazione»: 23,6 milioni di euro in tre mesi, ai quali il ministro degli esteri può aggiungere con proprio decreto altre risorse. Già la Bonino ha annunciato che a dicembre saranno disponibili altri 10 milioni per gli «aiuti umanitari». Come lo «sminamento umanitario» in paesi che prima la Nato (Italia compresa) ha attaccato anche con bombe a grappolo che lasciano sul terreno ordigni inesplosi, o in paesi al cui interno la Nato ha fomentato la guerra. Come gli interventi di «stabilizzazione dei paesi in situazione di conflitto o post-conflitto», tipo la Libia che, demolita dalla Nato con la guerra, si trova in una caotica situazione di post-conflitto. Tra gli «aiuti umanitari» figurano anche gli interventi «a tutela degli interessi italiani nei paesi di conflitto e post-conflitto», tipo quelli dell'Eni in Libia. Per coprire tali spese si attinge anche ai «fondi di riserva e speciali» del ministero dell'Economia e delle finanze, che così mancheranno quando si dovranno affrontare situazioni di emergenza sociale in Italia. Il ministro dell'economia è inoltre «autorizzato ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio», cioè ad accrescere i fondi per le missioni militari. I primi a sostenere il decreto-legge sono i deputati Pd, seguiti da quelli Pdl. L'opposizione (Sel e M5S) si limita in genere a emendamenti che non intaccano la sostanza e a criticare «il fatto che il contributo italiano alla sicurezza internazionale sia di natura esclusivamente militare». Ignorando che, con il suo «contributo militare», l'Italia non rafforza ma mina la sicurezza internazionale, e che quello «civile» è spesso il grimaldello dell'intervento militare.


Arezzo 7 dicembre 2013

Convegno:

"I FALSI AMICI"
Il fenomeno "rossobruni" / I fascisti del terzo millennio / Nazifascismo e Balcani / Nazifascismo e Medioriente / La Fondazione RSI / Infiltrazione nera nell'estrema sinistra / Nazifascismo e nazionalismi

A 70 anni dalla Resistenza
contro le infiltrazioni neofasciste
nelle iniziative di solidarietà internazionale e nelle lotte sociali

AREZZO, SABATO 7 DICEMBRE 2013, ORE 11-18
presso la Camera del Lavoro, via Monte Cervino 24

organizzano:
ANPI - Associazione Nazionale Partigiani d'Italia, sezione di Arezzo
CAAT - Coordinamento Antifascista Antirazzista Toscano

promuovono:
Un Ponte per... ONG
Coordinamento nazionale per la Jugoslavia ONLUS
Contropiano rivista


ORE 11:00
Interventi degli organizzatori e dei promotori
ORE 14:30
Relazioni ad invito:
Claudia Cernigoi / Fabio De Leonardis / Davide Conti / Marco Santopadre / Vincenzo Brandi
A SEGUIRE
Interventi programmati di gruppi e associazioni


Ingresso a sottoscrizione / Diffusione di documentazione e stampa antifascista / Pranzo in loco
*** Per intervenire è necessario iscriversi inviando la propria richiesta a: jugocoord @ tiscali.it ***

Nel corso del convegno saranno presentati i Dossier "I FALSI AMICI" e "LA FONDAZIONE RSI"

Per il programma dettagliato ed ogni ulteriore informazione o aggiornamento fare riferimento alla pagina:
https://www.cnj.it/INIZIATIVE/falsiamici.htm


Jasna Tkalec rievoca la Grande Rivoluzione d'Ottobre nel 96.mo anniversario


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VIDEO: Ottobre - di Sergej Mikhajlovič Ejzenštejn, 1927 (1h30m)
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Velika Revolucija ili velika tragedija dvadesetog stoljeća?


Prije devedeset i sest godina u Petrogradu


U gradu na Nevi 25 oktobra 1917 po starom kalendaru ili (7novebra novom – ondnosno Gregorijanskom kalemdaru- koji se koristi u Zapadnoj Evropi)- zbio se događaj koji je obilježio stoljeće i na izravan ili neizravan način utjecao na život i sudbinu cijelog vijeka i svih ljudi, št su u njemu rođeni. Nakon 25 oktobra usljedilo je»Deset dana koji su potresli svijet«1 i više ništa i nikada nije i neće biti isto – ma kavu ocjenu boljevičkog Oktobra iznosili njegovi pristalice i zaljubljenici ili pak ocrnjvači i neprijatelji.

I jednih i drugih billo je na milijune i još uvijek se rađaju, stasaju i svrstavaju - čak i kad toga nisu ni sami svjesni ili kad ga se odriču – prema historijskoj vododjelnici, koju je stvorio Oktobar 1917. »Mnogo je dana, mnogo godina, mnogo je strašnih bilo istina2«, u stoljeću o kojem se još uvijek ljutito prepiruu, da li je bilo kratko ili dugo3 i u kojem se pokazala »banalnost zla4« dotad neviđenih razmjera. Oktobar 1917 značio je prekretnicu u cijeloj dotadašnjoj historiju. Prvi put su oni posljednji, oni u ritama i poderanihh cipela, žitelji podzemnih jazbina, radnici izmoždenih lica, izgladnjele žene iz predgrađa, izmučene porodima i neimaštinom, seljaci prozebli i desetkovani u rovovima Prvog svjetskog rata, iznijeli pobjedu: pobjedunad tiranijom, nad licemjerjem i nadutošću imućnih, nad imperijalističkom laži, nad ratom, koji se otegao u nedogled i izložio narode svijeta pogibijama i ogromnim patnjama. Slično kao kod Valmyja5 u Francuskoj revoluciji, kaoi u Pariškoj komuni, pobijedili su oni najbjedniji. Revolucionarni val proširio se cijelom Rusijom i, a jedva nešto kasnije, cijelom Evropom i cijelim svijetom.

Sve se to dogodilo na mjestu u kojom je, snažnom voljom imperatora Petra, sred močvarnog bespuća, na kostima silom dotjeranih i seljaka i radnika bezhljebnika, prisiljenih na kuluk, na sjeveru ogromne zemlje, na hladnom Baltiku, na ušću Neve, nikao čudesan grad.

»Kao san minula su dva stoljeća..: Petrograd koji stoji na kraju svijeta, u baruštinama i pustarama, sanjao je o bezgraničnoj vlasti i slavi; kao u grozničavim vizijama promicali su dvorski prevaranti, ubijstva imperatora, trijumfi i krvava pogubljenja; nejake žene dobijale su polubožansku vlast6; u toplim zgužvanim posteljama rješavala su se sudbine naroda; dolazili su moćni momci snažnih ruku, crnih od zemlje i smjelo se peli prema tronu, da podijele vlast, ložnicu i bizantinsku raskoš.

S užasom su posmatrali susjedi te divlje prohtjeve ćudi. S tugom i strahom pratili su Rusi buncanje prijestolnice. Zemlja je hranila, ali nikad nije mogla da zasiti svojom krvlju petrogradske aveti.

Petrograd je živio bučno-hladnim, prezasićenim noćnim životom. Ljetnje noći s s blijedom fosfornom svjetlošću, ludačke i sladostrasne noći bez sna zimi, zeleni stolovi i šuštanje novca , muzika, iza prozora parovi koji se vrte u igri, objesne trojke, Cigani, dvoboji u osvitu zore, u zvižduki vjetra i oštrom zavijanju flaute – smotra trupa pred bizantijskim očima imperatora, koje izazivaju užas. – Tako je živio grad.

Još u doba Petra Velikog đak iz Troicke crkve, koja je i sada blizu Troickog mosta, ugledao je u mraku vješticu, mršavu nepočešljanu ženu, neobično se uplašio – i viknuo u krčmi: »Petrograd će opustjeti« - zbog toga je bio uhapšen, mučen u Tajnoj kancelariji i nemilosrdno šiban knutom. Tako se, mora biti od tada, počelo misliti da s Petrogradom nešto nije u redu. - Čas bi očevici gledali kako se ulicama Vasiljevskog Ostrva vozio đavou fijakeru. Čas bi se u ponoć, za vrijeme oluje i poplave, survao s granitnog postolja pa jahao na konju imperator od bakra. Čas bi se tajnom savjetniku, koji je prolazio u karucama,unosio u staklo i dosađivao mrtvac – umrli činovnik. Mnogo takvih priča kružilo je po gradu.7«

A te je ratne i revolucionarne jeseni Petrograd bio grozničaviji, veseo do bezumlja, isprepadan nečuvenim događajima i zebnjom od budućnosti – više nego ikada ranije. Tjeskoba je brojne činovnike, carske oficire i šarenu gomilu dama, profitera, balerina, varalica, poznatih imena javnog i i umjetničkog života, zbog nečuvenih događaja, koji su se odigrali u februaru i strepnji pred nejasnom budućnošću, nagonila i tiskala u zagrijane kafane s treštavom muzikom, vukla ih noću u lokale u kojima se prekomjerno bančilo, a danju u dućane, u kojima grozničavo kupovalo, da serastjera strah od sutrašnjiice.

Februarska revolucija

Jer, februarska se revolucija već bila dogodila i nitko ne bi znao pozdano kazati, tko i kako ju je izveo. Zbog dugogodišnjeg rata, koji je opustišio sela i zbog koga se na hiljadama kilometara razvučenom frontu morala izdržavati milijunska armija, cijene hljeba su porasle, radnice i radničke žene nisu ga mogle kupovati, muževi su ginuli na frontu, a djeca skapavala od gladi i zime. Na dan 8 marta – konce, februara mjesec u Rusiji -krenule su žene iz radničke četvrti Putilovke, da protestiraju i zahtijevaju hljeb i smanjenje cijena. Na putu prema centru grada gomila je kolosalno narasla, a na zapovjed kozacima da pucaju na narod ovi- nečuveno, neviđeno – su odbili da to urade!Tako je počela Februarska revolucija – za koju je ipak proliveno nešto radničke krvi. I dogodilo se ono nezamislivo: cara su, kad je iz Mogiljeva, gdje se nalazio bio glavni štab ruskih armija, krenuo vlakom prema prijestolnici, željezničari odbili voziti, a potom ga uhapsili socijal-revolucionari, koji su odmah počeli stvarati Komitete vojničkih i radničkih deputata (delegata) i birati ih u Sovjet (savjet). Vojnici su odbijali slušati oficire, radnici su zahtijevali da i oni odlučuju o proizvodnji, vojnici – čitavi odredi – otkazivali su poslušnosti i odbijali su da idu na front, a na bojišnici se događala još skandaloznija stvar. Umjesto da se tuku odnosno ubijaju neprijatelja – vojnici iz rovova počeli su da se bratime s vojnicima u njima suprotstavljenim rovovima. Pogibije, krv, glad, blato i vlaga rovova, nakon tri godine rata – dosadili su svima.«Evo je početak proleterske Revolucije« uzviknuo je Lenjin. Vojnici-seljaci željesi su kućama i neki su se tamo samoinicijativno zaputili. Po selima su planula imanja, palače i dvorci veleposjednika8, iplemića, koji su mahom živjeli u gradovima, a koje je vlastitm znojem hranio seljački rad. Februarska revolucija započela je samoinicijativno i spontano.


To nikako ne znači da su je bolješevici gledali skrštenih ruku. Njihove ubitačne agitacije carski oficiri bojali su se više nego »karteči»- diejlova rasprskanih granata. Jer su se pod riječima crvenih agitatora trupe topile i nestajale mnogo brže no pod mitraljskom vatrom neprijatelja9. Crveni agitatori govorili su vojnicima, mahom seljacima, kako ih tjeraju u ubilački rat protiv njihovih vlastitih najprečih interesa. Njihov je neveći interes kruh i mir – a ovako propadaju oni,a propada i zemlja u ratu bez kraja i konca, zbog nezajažljivposti imperatosrke porodice, za interese svih onih, koje su seljaci i radnici svom dušim mrzili- za interese bankara, industrijalaca, veleposjednika. Ukratko, za interese svih onih, koji su im sisali krv i derali kožu i u miru, a sad su ih već tri godine držali u smrdljivim rovovima, gdje ih je uništavala artiljska, mitraljeska paljba i boleštine, dok je kod kuće domaćinstvo propadalo, djeca skapavala, a žene kukale. Cara Nikolaja II - koji se nije,odlikovao ni državničkom mudrošću ni oštroumnošću- već bio, kako su ga ogovarali, papučar vlastite žene, njemačke prinzceze u dalekom rodu sa engleskom dinastijom, nije bio ni cijenjen ni voljen. Prilikom njegovog krunisana Vorobjevim brežuljcima10 dogodila se nesreća-pod težinom brojnih gledalaca srušile su se tribine - i bilo je na hiljade žrtava.To je odmah protumačeno u narodu kao koban predznak. Potom je došla 1905, u krvi ugušena pobuna mornara na Crnom moru i razbijene barikade u Moskvi,pa potom krvava februarska nedjelja 1906, kad je na masu pred carskim dvorcem, predvođenu popom Gaponom, koja je nosila križeve, svete ikone i imperatorove slike, vojnicima bilo naređeno da pucaju, a kozacima na konjima, da je sijeku sabljama. Gomila žrtava, pojačana Stolipinovim11 drstičnim mjerama, samo je rasla, da bi se od tisuća pretvorila u milijune u Prvom svjetskom ratu.

Iako su pod komandom generala Brusilova Rusi imali izvjesnog uspjeh na na galicijskom frontu, u Kapartima i tukli i zarobljavali vojnike ustrougarske monarhije, s Nijemcima nije bila ista priča: ruske armijei trpjele su na sjevernom dijelu fronta velike gubitke. Carska porodica kroz cijelo to vrijeme davala je znakove bešćutnosti i gluposti i i dovodila do zabune i bijesa i samu rusku aristokracij. Nije dovoljna bila, vjerojatno istinita, anegdota, kako se car 1906, na dan pogibije naroda pred Zimskim dvorcem, zabavljao igrom preskakanja, odnosno guranja na divanu – tko će biti izguran i pasti na pod. Carica obdarena kćerima, histerična i nesigurna, strepila je za život carevića Alekseja, bolesnog od hemofilije. Kako liječnici nisu znali efikasan lijek za tu degenerativnu bolest, doveden je iz udaljenog sibirskog sela Raspućin: nepismeni seljak ogromnog –seksualnoig –apetita, koji je na dvoru stekao neobičnu moć. Caricu, zabrinutu za život sina jedinca, držao je u šaci, a dvorske dame i žene iz visokih aristokratskih krugova besramno subludničile s divljim Sibircem, zapanjujuće fizičke snage. Na kraju je skovana dvorska zavjera, jer je skandal premašio sve granice, te je Raspućina ubio knez Jusopov sa još dva oficira i bacio ga u Nevu12.

Stotinu lica revolucije u Rusiji

A imperator seizu Mogiljeva na glas o revoluciji uputio ukući, a na putu mu je trebalo biti uručenocaričino pismo, koje je uhvaćeno i otpečaćeno.. Obračunati se bez milosti s neposlušnim buntovnim ološem. Streljati i vješati bez oklijevnja, poručivala je carica. No Nikolaj to više nije mogao: na kraju je zatvoren u ljetnju rezidnenciju s porodicom, dok se revolucija razbuktavala.

Februarska revolucija iznenadila je i boljševičke vođe. Lenjin, Zinovjev , Kamenjev i drugi emigranti, ne samo iz boljševičkog nego i iz menjševičkog dijela Sveruske socijaldemokratske partije, nalazili su se u izbjeglištvu u Švicarskoj13, Trocki je bio u Americi, a Staljin u Sibiru. Iako je, čini se, Staljin prvi doputovao iz progonstva na delekom sjeveru, koje je loše podnosi, on nikako nije bio , kao uostalom ni Zinovjev ni Kamenjev, a ni pisac Gorki, za pretvarnje buržoaske revolucije u proletersku. Smatralo se općenito da u Rusiji prilike još za to nisu još zrele: seljaštvo je bilo zatucano, radništvo malobrojno, a i među ljevicom postojale su podjele osim na boljševike i menjševike u Socijaldemokratskoj partiji i na socijal-revolucionare14, anarhiste i na i nasuprot tome, umjerenije građanske opcije. Na desnici su najvažniju političku formaciju činili kadeti, od slova »ka« i» de« (KD), skrećenice za »Konstitucionalne demokrate«, od kojih je većina bila p ristalica ustavne monarhije.

Nakon aristokrate Ljvova i ekonomiste Miljukova15 predsjednikom vlade pobunjene Rusije postoa je Kerenski, advokat iz pokrajine, koji nastoji lavirati između desnice i ljevice, bez mnogo uspjeha. Već pri formiranju nove vlade, koja je imala proglasiti Konstituantu – Ustavotvornu skupštinu - digli su se ponovo radnci predgrađa, jer se predstavnici vojničkih i seljačkih deputata i njihovi Sovjeti (savjeti) nisu ni u čemu slagali s vladom i njenim odlukama. Na Kerenskog su stalno vršeni pritisci i od sila Antante, koja je željela da Rusija nastavi rat , što bi oslabilo pritisak Nijemaca na Zapadnom frontu. Kerenski je pokušao u julu novu ofanzivu, koja je tragično završila. Nijemci su uznapredovali , a čitavi bataljoni odbijali su poslušnost oficirima.

Kozački general Kornilov, čovjek definiran i od predstavnika desnice kao ličnost »lavlje hrabrosti, a magarećeg mozda«, krenuo je - kad je bilo iz vojnih krugova naređeno hapšenje boljševičkih vođa,-na Petrograd, ali su mu se pred propagandom boljševičkih agitatora trupe, koje su marširale ispred glavnokomandujućeg, razbiježale i nestale kao snijeg na suncu. Jedini koji nisu dezertirali bili su engleski oficiri u ruskim uniformama, koje je Antant snabdjela i tenkovima, a ni ovi ipak nisu uspjeli umarširati u Petrograd i oboriti vladu. Vlada je ostala u sedlu, zahvaljujući odlučnoj pomoći boljševika, ali ne za dugo.

Aprilske teze: Kruha i mira!

Zemlja seljacima –fabrike radnicima!

Naime u mjesecu aprilu 1917 vratio se u zemlju Lenjin (u blindiranom vlaku, koji je prošao zapečaćen kroz Njemačku; u njemu su zajedno putovali boljševički is menjševičkim emigranti ) i došao sa dotad nečuvenom parlom: pretvoriti imperijalistički rat u građanski rat protiv kapitalista!

Odamah po dolasku Lenjin piše i izgovar čuvene »Aprilske teze«, čiji je osnovni sadržaj : kruh i mir! Smjesta prekid imperijalističkog rata i sklapanje mira s Nijemcima (pod bilo koju cijenu -makar i na štetu Rusije16), vraćanje vojnika kućama (u upropaštena sela), fabrike radnicima, a zemlja seljacima! Eto i cijeli revolucionarni program – sve ono što sui milijunske mase ispaćenog naroda, željele iz dna srca. Lenjinove riječi palile su mase i pobuđivale nadu u ostvarenje njegovih vjekovnih aspiracija. Ne, Oktobarska revolucija nije bila jednostavno boljševički puč,kako to sramno prikazuje revizionistička filozofija, danas na potezu, budući da se osjeća pobjedničkom, nego istinski revolucionarni val, koji je od Lenjinovog dolaska rastao poput plime i dopirao do najzabačenijih sela i dalekih gradova i do najudaljenijih frontovskih rovova. Mir a ne rat, kruh, a ne glad! Zemlja je onih, koji na njoj rade, a fabrike onih, koji u njima rade. Može li biti jednostavnije propgande, a ona je ipak ustalasala milijunske mase.

Lenjin: nazvat ćemo se komunisti

Kako se desno krilo SDP17-a i socijalisti-revolucionari nisu (SR- eseri) nisu slagali sa prekidom rata (jer Rusija tako krši obećanja data savezničkoj Antanti) solidarizirali su se sa kadetima , koji su predstavljali desnicu, što je razdražilo boljševike. Oni više nisu željeli pripadati istoj partiji- socijaldemokratskoj – čije je desno krilo, menjševici, bilo za imperijalistički rat od samog početka i paktiralo sa KD-tima, mahom plemićima, koji uopće nisu bili za definitivno obaranje cara, već za ustavnu monarhiju. Tada se Lenjin sjetio termina iz Komunističkog manifesta - naziva komunisti – te zapitao svoje partijske drugove: »Zar se plašite nazvati se komunistima?«.

Nisu se plašili i dosljedno i hrabro su istupili protiv imperijalističkog rata: na vlastitoj strani imali su milijunsku armiju vojnika, koji su svi do jednog željeli prekid ratnog masakra i povratak kućama, radnike u gradovima, siromšne seljake te dobar dio marksističke inteligencije i omladine. Ipak, dok nisu dobili većunu u Sovjetu Petrograda, a predsjednik petrogradskog Sovjeta bio je Lav Trocki, revolucionarni ustanak nije otpočet. On je u Petrogradu započeo kanonadom s krstarice Aurora na palaču vlade odnosno na Zimski dvorac, koja nije dugo potrajala, tako da gotovo i nije bilo žrtava. Zimski dvorac osvojen je jujrišem baltičkih mornara, gdje se između ostalih, boljševicima predao i Ženski bataljon18. U Moskvi je borba potrajala nekoliko dana i bilo je daleko više žrtva. Boljševička revolucija je pobijedila.

Događajima, koji su »potreslisvijet« zavjesa lažne pristojnosti poretka, koji je doveo do svjetskog imperijalističkog rata, naglo je zderana, a imperijalistički rat pretvoren u građanski. Iako ga optužuju za potom nastlo krvoproliće Lenjin nije želio rat, već mir i to smjesta. Otpor krupne buržoazije, carskih oficira i njima vjernog dijela vojske te umjetno izazvana pobuna čeških zarobljenika na Sibirskoj željeznici iu Vladivostiku, kao i intervencija engleskih i japanskih trupa, učinili su građanski rat krvavijim , dužim i težim, no što bi to bio, da jeobračun prepušten isključivo lokalnom stanovništvu. Kako je to izgledalo u drugim gradovima, kao u Kijevu, opisao je majstor pera, Bulgakov, u čivenoj i zamjeranoj mu knjizi, »Bijela garda«.

Sva vlast sovjetima!

»Snage Sovjeta bile su u Petrogradu nadmoćne. Naoružane straže , već su bile formirane i dobro međusobno povezane. Napad je otpočeo kao odgovor na provokaciju Kerenskg, koji je 23 oktobra naredio zatvaranje i zapečaćivanje redakcije i štamparije lista »Pravda«. Radnici i novinari »Pravde« zatražili su od gradskog Sovjeta pomoć vojnih komiteta ta, razbili vladine pečate i nastvili s izlaženjem. Kerenski na to odgovara inkriminiranjem cijelog cijelog Vojno-revolucionarnog komiteta, te pokušajem hapšenja Trockog i ostalih vođa i intenzivnim traganjem za Lenjinom (koji se nalazio u domu Alilujevih).19 Trockij je naredio krstarici Aurora, koja je bila usidrena na obalama Neve,da puca na Zimski dvorac, gdje je bilo sjedište vlade. Parola, koja je digla ustanike na noge bila je: »Sovjet je u opasnosti...6

Noću, između 24 i 25 Oktobra regularni vojnici i crvena garda, sastavljena od petrogradskih radnika, munjevitom su brzinom u sjajnoj sinhronizaciji okupirali sve neuralgične točke grada: mostove na Nevi, telfonske centrale, električne centrale, nacionalnu banku, poštanske urede, željezničke stanice. Kanonada s Aurore počele je u 9 sati uvečer i trjala samo nekoliko sati.«20

Za to vrijeme na drugom kraju grada, ali još uvijek u centru, nitko nije imao pojma što se događa. John Reed piše kako su trmavaji još uvijek vozili, »izvoščici21» fijakera čekali mušterija na uobičajenim mjestima, kafane i restorani bili krcati i iz njih je treštala muzika,kazališta i zabavišta radila su punom parom. Osim naoružanih mornara na mostovima Neve,već od februara rezgnirani petrograđani, nisu ni opažali, da se nešto iznimno veliko događalo te noći...

Osvajanje Zimskog dvorca bilo je povjereno dugokosom Antonov-Ovsjenku, jednom od vođa Vojno-revolucionarnog komiteta. Bombardiranje s Aurore potrajalo je samo koji sat: vlada se predla, a Kerenski je u automobilu francuskog ambasadora pobjegao iz glavnog grada.

Piše Natalija Sedova, žena Lava Trockog22: 26 oktobra (8 novembra) došla sam u Smoljni. Vidjela sam samo lica izobličena od umora , neobrijana, duboke podočnjake ispod natečenih očiju. Lav Devidovič imao je imao nategnute crte lica, bio je umoran i blijed. Ali velika radost, stroga, ali snažna, nadječavala je sve ostala osjećaje. Sati i dani prolazili su grozničavo«...

Lenjin će reći 265 oktobr,aodnosno (7 novembra): »Drugovi! Radnička i seljačka revolucija, o čijoj su nepohodnosti sve vrijeme govorili boljševici, izvršena je. Kakav značaj ima ta radnička i seljačka revolucija? Prije svega značaj tog prevrata sastoji se uu tome,što ćemo imati sovjetsku vladu, naš vlastiti oorgan vlasti bez ikakvog učešća buržoazije.Ugnjetene mase same će stvoriti vlast. Potpuno će biti razbijen stari državni aparat i bit će stvoren novi aparat uprave u vidu sovjetskih organizacija«23.

Ispred Ssmoljnog crvena garda i crveni mornari s Baltika, omladina, radnci i vojnici spjevali su pjesmu, koja je odzvanjala ulicama Petrograda, Moskve, kasnije cijele Rusije, a njeni odjeci ćut će se u Njemačkoj, Mađarskoj, pa čak i u udaljenoj Boki Kotorskoj24, gdje je zbog revolucionarnog pokušaja streljano nekoliko mornara. A pjesma je glasila:»Mi izdali smo manifest, za glas Sovjeta/ i život ćemo dati u borbi za naša prava ta25

Umjesto zaključka

Ta je borba, usprkog svih prljavih insunuacija revizionističkih nadrihistoričara, nadriprofesora i nadripublicista, obasjala svjetlom slobode proteklo stoljeće. Istina je, na zastavu revolucije nije samo jedanput pljunuto i to od strane onih, koji su je nosili i nije samo jedanput ona završila u blatu i umjesto oslobođenja, donosila narodima, ono što su osjećali kao neslobodu, nametanje i porobljavanje. Marx je odavna napisao kako »...Shvatanje prošlih genracija, kao mora pritiska mozak živih«.

Imperijalističkih težnji nije se odricala, nažalost, ni zemlja u kojoj je revolucija rođena i pobijedila. No bar dio krivice za njenu tragediju snose i razvijene zemlje – u kojima je ona pobačena. Odnosno zemlje u kojima je danas socijaldemokracija toliko izvitoperena i iznakažena, da se ne samo pretvorila u oruđe buržoazije, nego je, vjerojatno zauvjek, kompromitirala vlastiti naziv i vlastitu prošlost. Ona nije više postala samo patuljak na leđima diva – slavne prošlosti revolucionarnog radničkog pokreta – nego i opasan i podao meprijatelj. No pod ovim ili onim nazivom, na svakom kontinentu, u svakoj zemlji i u svako vrijeme drugačije, borba koju he započeo boljševički Oktobar, se nastavlja. Zato ga se ne smije zaboraviti i treba ga se sjetiti s dužnim poštovanjem.

Jasna Tkalec


1 John Reed (Portland 1887 –Moskva 1920), bio je novinar i militantni komunist iz SAD-a. Proslavio se knjjigom o boljševičkom Oktobru :Deset dana, koji su potreslisvijet.


2 Aleksa Šantić(( 1969-1924)


3 Eric Hobsbawm (1914-1991), Kratko stoljeće,naslov je knige, kojom ovaj ljevičarski historičar opisuje stoljeće najvećih znanstvenih i tehničkih dostignuća, svejtskih ratova, sve do sloma SSSR-a te posrnuće ideje socijalizma. I


4 Hanna Arendt (1906-1975) autor je knjige Banalnost zla


5 Kod Valmyja 1792 dobrovoljačka vojska revolucionarne Francuske izvojevala je pobjedu nad regularnom armijom puskih genrala, koji su držali područje od Denquerqua do švicarske granice; biltka se smatra sudbonosnom za Francusku revoluciju.


6 Misli se na caricu Jelisavetu (bila na tronu od 1741-1762) i na Jekaterinu Veliku (carevala od 1741 -1792), poznatu po utjecaju prosvjetitelja, po ratovima i po proširenju granica carstva i velikim ljubavnim apetitima.


7 Aleksej Tolstoj (1883-1945), »Hod po mukama«.Prvi dio knjige »Sestre« A. Tolstoj počeo je pisati još 1919, a djelo je završeno i izdano tek 1929. Drugi tom »Mutno jutro« izdano je tek 1939.


8 Tu su pojavu nazvali »crveni pijetao». Većina plemičkih dvoraca i palača zemljoposjednike bila jezapaljena i opljačkana još za Februarske revolucije, iako se kasnije sve to stavilo na račun boljševika i građanskog rata.


9 Churchil je tokom Građanskog rata odbio ponuđeno sklapanje primirja Kornilovljevih trupa potpomognutih Englezima s boljševicima, koji su ga tražili radi doturanja hrane izgladnjelom civilnom stanovništvu. Churchil je bio mišljenja, da će se pod agitacijom »crvenih« vojska »bijelih« prije razbježati i dezertirati, nego pod njihovom oružanom vatrom.


10 Vorobjove Gori, brežuljci u okolici Moskve. Za vrijeme krunidbenog slavlja, u noći 26 maja 1896, pod težinom gomile popustile su daske stepeništa i provizorna tribina te je bilo zgnječeno i izgubilo život oko 2.000 ljudi.


11 Stolipin, Ministar unutarnjih poslova Nikolaja II.


12 Navodno je nalaz liječničke autopsije utvrdio da se Raspućin utopio: ni cijeli šaržer revolverskih hitaca, ni udarci sabljom, koje je zadobio, nisu bili dovoljni da usmrte sibirskog diva.


13 Lenjin je bio u Zürichu.


14 Partija Esera (socijalista –revolucionara-SR) osnovana je na sjeveru zemlje 1901 od Katarine Breško i Černjeva. Ovaj posljednji bio je ministar u vladi Kerenskog.


15 Pavel Miljukov, znastveni radnik, pripadao je desnici. Pošto je izgubio sina u Prvom svjetskom ratu bio je pristalica vođenja rata »do konačne pobjede«.


16 Rezultat toga bio je Brest-Litovski mir, koji Trocki nije imao snage potpisati, te ga je u ime boljševičke vlasti potpisao drugi izaslaniki. Njemački građanski političari, učesnici pregovora, shvatali su situaciju u Rusiji i bili donekle skloni komopromisima, ali pruski generali pokazali su gvozdenu nepopustljivost. Brest-Litovskim mirom, potpisanim 3 marta 1918 (otada Rusija koristi Gregorijanski kalendar) izgubljna je Istočna Poljska, Ukrajina, Zakavkazje, Litva, Kurlandija Livonija i Estonija. Jedino je Lenjin ostao čvrsto na strani mira, kojeg je odmah nazvao „imperijalistički mir.


17 Ruske socijaldemokratske partije


18 Dugo je kolala šaljiva anegdota da su sve nevolje XX stoljeća, započete Oktobarskom revolucijom, mogle biti izbjegnute, da se „sumnjice damice“ iz Zimskog dvorca nisu tako brzo predale.


19 Alilujevi, revolucionarna porodica iz Bakua, istakla se još u revoluciji 1905. Krili su Lenjina, a Staljin im je zalazio u kuću. Kasnije će Staljin oženiti najmlađu kćer,Nadeždu Alilujevu, koja će završiti život samoubojstvom. Postoji legenda o „tragičnoj sudbini Alelujevih“, jersu potom gotovo svi pohapšeni i pomrli u Sibiru. Zajednički sin Nadežde i Staljina, Vasilij, bio je pilot u DrugomI svjetskom ratu, čije je avion bio pet puta obaran .Pposlije Staljinove smrti poslan je na vojnu službu u provinciju, gdje je poginuo, izgleda, u kafanskoj tuči.


20 Dosie Mondadori,Trotskiy, pro e contro,


21 Kočijaši


22 Dosie Mondadori, zrotsky, pro e contro


23 Lenjin, Referat o zadacima sovjetske vlasti,sjednica petrogradskog sovjeta radničkih i vojničkih deputata,P&s 35,2.


24 Pobuna je izbila 1. februara 1918 na austrougarskim brodovima Sankt Georg i Gea, Vođe pobune, kasnije streljani bili siu Ras, Šizgović, Grabar i Braničević. Po ugušenju pobune, koja je potrajala svega dva dana,jer je iz Puke poslana flota da je savkada, preko dvije stotine mornara s pobunjenih brodova bilo je osuđeno na dugogodišnje kazne robije


25 »Mi vidali manifest, dla vlast Sovjetov, i žizn mi dadim v nprbe pro eto! – ruski tekst pjesme.





(Este artículo en castellano: La complicidad de algunos intelectuales en la guerra imperial contra Siria
Ángeles Diez - Texto correspondiente a la conferencia impartida en el Ateneo de Madrid el 9 de septiembre de 2013
http://lapupilainsomne.wordpress.com/2013/09/19/la-complicidad-de-algunos-intelectuales-en-la-guerra-imperial-contra-siria/

Cet article en français: Les intellectuels au service de la guerre contre la Syrie
par Angeles Diez - 7 octobre 2013
L'affaire de la Syrie est l'une des plus exemplaires mettant clairement en évidence le rôle de légitimation de la guerre joué par des intellectuels réputés de gauche...
http://www.michelcollon.info/Les-intellectuels-au-service-de-la.html )


http://www.marx21.it/internazionale/pace-e-guerra/23054-gli-intellettuali-al-servizio-della-guerra-contro-la-siria.html

Gli intellettuali al servizio della guerra contro la Siria

di Angeles Diez Rodriguez* | da www.michelcollon.info

Traduzione dal francese di Massimo Marcori per Marx21.it

*Angeles Diez Rodriguez è Dottore in Scienze Sociali e Politiche e Professore all’Università Complutense di Madrid (UCM).

Testo della conferenza tenuta all’ateneo di Madrid il 9 settembre 2013, tradotto in francese dal Collettivo Investig'Action

Il caso della Siria è uno dei più esemplari a mettere chiaramente in evidenza il ruolo della legittimazione della guerra svolto dagli intellettuali ritenuti di sinistra. Numerosi di questi hanno scelto di mettersi al servizio della guerra mediatica contro la Siria, investiti dall’aura illustre portatrice dei principi morali occidentali. Dall’alto dei loro scranni nei grandi media come pure dei media alternativi, essi elaborano spiegazioni, giustificazioni e rapporti che presentano come principi etici quando in realtà si tratta di loro personali opinioni politiche. Essi ridicolizzano, manipolano e deformano le posizioni dei militanti antimperialisti. Si permettono anche di dare lezioni ai governi latino-americani che difendono la sovranità e il principio di non ingerenza, e che dunque si oppongono alla guerra contro la Siria.

Nel giugno del 2003 nell’ambito della guerra e occupazione dell’Iraq, non era molto difficile, negli ambienti universitari, in quelli della cultura e dei militanti di sinistra, che si levassero migliaia di voci contro la guerra; siamo stati in grado di riconoscere le trappole medianiche, capaci di scoprire gli interessi dell’impero americano e dei suoi alleati, di svelare le menzogne e soprattutto di stabilire le priorità nella mobilitazione e la denuncia. Non abbiamo potuto fermare la guerra né l’occupazione dell’Irak ma abbiamo posto le fondamenta di un movimento antimperialista che avrebbe potuto costituire il freno a mano della barbarie bellicista e che, in un modo o nell’altro, aveva permesso il rinviò dell’obiettivo di proseguire la neocolonizzazione della zona.

Se nel 2003 fu relativamente facile mobilitarci contro la guerra in Iraq e i piani imperiali americani, cosa che non ha avuto il significato di appoggiare una qualunque dittatura, oggi molti ci pongono la domanda: cos’è successo perché non sorga o non continui il movimento che fece la sua apparizione nel 2003? Sicuramente, diverse sono state le ragioni intrecciate tra loro, ma preferirei distinguerne due che mi sembrano centrali: i mezzi di comunicazione di massa hanno fatto un buon lavoro di dissuasione e una parte degli intellettuali di sinistra che prima erano riferimenti politici contro la guerra, hanno scelto di servire l’altro campo.

Intellettuali di sinistra al servizio della legittimazione bellicista.

Che i media di massa mentano, deformino, occultino, evidenzino, diano una forma e un volto ai nostri nemici è un’evidenza ripetuta molte volte nella storia. Essi fanno questo non perché sono gli strumenti del potere, no, essi lo fanno perché sono parte integrante del potere. Ma la giustificazione delle guerre, la “costruzione del consenso” come direbbe N. Chomsky, non si fa solo attraverso le corporazioni mediatiche. La propaganda è un sistema nel quale si inseriscono le imprese dei media, la classe politica e i suoi discorsi, la cultura occidentale onnipotente e colonialista, i giornalisti, gli artisti, gli intellettuali, gli universitari e i filosofi mediatici. Tutti questi intellettuali si sono trasformati in un “chierico secolarizzato” che “sceglie di giocare un ruolo fondamentale nell’interiorizzazione dell’ideologia della guerra umanitaria come un meccanismo di legittimazione” (Bricmont, 2005). Alcuni coscientemente, altri non del tutto, si sono messi al servizio della propaganda della guerra imperialista.

Ciò che è interessante è che questa schiera di creatori d’opinione pubblica si reclutava prima nei ranghi conservatori, tra i liberali e parte tra i socialdemocratici (ricordiamo la campagna del PSOE con “Ingresso nella Nato? No!” [http://elordenmundial.files.wordpress.com/2013/06/otano.jpg]) ma dalla guerra in Yugoslavia (1999), sono reclutati sempre più numerosi i gruppi di intellettuali che provengono dai rivoluzionari di sinistra, anticapitalisti e antimperialisti. Essi lo giustificano con argomenti morali universali e umanitari: lottare contro le dittature (ovunque esse siano) e difendere la causa dei popoli (a prescindere che essi siano le donne afgane, gli insorti libici, i manifestanti siriani, o la parte del popolo che l’opinione pubblica generale segnala come vittima delle dittature.

Alcuni di questi intellettuali furono figure di spicco del “No alla guerra” contro l’Iraq nel 2003; tuttavia dall’inizio di quelle che sono chiamate “le primavere arabe”, essi suonano nella stessa orchestra dei loro governi sostenendo il rovesciamento del tiranno B. Al-Assad e la Transizione democratica siriana; ve ne sono anche di quelli che chiedono l’intervento militare dell’Occidente come la scrittrice Almudena Grandes: “tutto sommato si tratta di Assad, un dittatore, un tiranno, un assassino che rimarrà l’unico beneficiario del non intervento.”

Si può supporre che per costoro Saddam Hussein fosse meno dittatore di Bashar Al-Assad o forse che si trattasse del fatto che in questa guerra c’erano centinaia di migliaia di cittadini nelle strade che gridavano “No alla guerra!”, cosa che non succede oggi.

Il ruolo che esercita questo “clero secolarizzato” è doppio, da un lato fornisce argomenti che giustificano l’intervento armato, dall’altro divide, indebolisce o blocca, ogni volta con crescente intensità, l’emergenza di una forte opposizione alle guerre imperialiste.

A volte per ignoranza politica, altre per errore, ma più spesso a causa di uno strisciante sentimento di superiorità morale in quanto intellettuali del mondo sviluppato, questa “sinistra” ha interiorizzato gli argomenti della destra. Secondo Bricmont, essa si è evoluta in due atteggiamenti: A) in ciò che viene chiamato imperialismo umanitario, che si appoggia sulla credenza che “i nostri valori universali” (l’idea della libertà, la democrazia) ci obblighino ad intervenire ovunque. Sarebbe una sorta di dovere morale (diritto d’ingerenza). B) il “relativismo culturale” che parte dal principio che non ci sono buoni o cattivi costumi. Avremo il caso in cui un movimento wahhabita o fondamentalista si ribelli ad una forma di repressione e venga applaudito in quanto “i popoli non si sbagliano”o, come mi ha spiegato un filosofo spagnolo, “quando i popoli parlano, la geostrategia tace”.

Strane coincidenze per la libertà e la democrazia

Il dominio imperiale è sempre militare ma necessita di un’ideologia che lo giustifichi per eliminare le resistenze di retroguardia. Oggi, grazie alla complessità del sistema di propaganda sempre più sofisticato e tecnicizzato, gran parte della costruzione di questa ideologia legittimante è nelle mani di una sinistra, al momento ancora rispettabile, che per l’opinione pubblica conta in credibilità critica grazie al suo curriculum come la difesa della causa palestinese. Il nucleo essenziale dei discorsi legittimanti si è spostato dalla “libertà” ancora classica, alla criptica “dignità”, e conserva la “democrazia” e i diritti dell’uomo come parole d’ordine. La democrazia, come sognata dal filosofo Santiago Alba serve da utopia leggera per raccogliere adepti e confondere i desideri con la realtà.

Tuttavia, vi sono circostanze in cui la parola d’ordine di libertà emerge come la fenice quando il pubblico al quale si rivolgono è troppo occidentalizzato per svelare l’enigma della “dignità”. Bricmont afferma che nel momento in cui l’impero abbandona il linguaggio della libertà perché non più credibile, questo clero umanitario lo riprende. Così, all’appello della campagna di solidarietà globale con la rivoluzione siriana firmato tra gli altri da G. Anchar, S. Alba e Tariq Ali, il cui titolo è “solidarietà con la lotta siriana per la libertà e la pace”, in appena due pagine la parola libertà viene utilizzata 14 volte.

Man mano che la guerra mediatica contro la Siria si è rafforzata, sono aumentate le coincidenze tra i rapporti imperialisti ed i discorsi di coloro che intendono appoggiare i “rivoluzionari siriani”. Seguiamo gli esempi più evidenti e compariamo “l’appello di solidarietà globale con la rivoluzione siriana” con la dichiarazione comune sulla Siria firmata da 11 paesi nel quadro della riunione del G20, una proposta degli USA per forzare un fronte di paesi ad appoggiare l’intervento armato.

Nell’appello del clero umanitario si iscrivono i seguenti argomenti:

  1. In Siria vi è una rivoluzione in cammino.
  2. L’unico responsabile delle uccisioni, della militarizzazione del conflitto e della polarizzazione della società è Bashar Al-Assad.
  3. Occorre sostenere i rivoluzionari siriani perché lottano per la libertà a livello regionale e mondiale.
  4. Occorre sostenere una transizione pacifica fino alla democrazia affinché i siriani decidano da loro.
  5. Si invoca una “Siria libera, unificata e indipendente”.
  6. Si chiede l’aiuto per tutti i siriani rifugiati o trasferiti all’interno.

 

Sul web della Campagna si presenta il testo dell’appello specificando che “la rivoluzione del popolo dev’essere appoggiata con tutti i mezzi” – pensiamo che tutti i mezzi significhi tutti i mezzi – e si esige che B. Al-Assad dia le dimissioni, che sia giudicato e che si ponga fine al sostegno militare e finanziario al regime siriano, unicamente al “regime siriano”.

Da parte sua, la dichiarazione comune degli USA e dei suoi alleati [ http://www.whitehouse.gov/the-press-office/2013/09/06/joint-statement-syria ], tra cui curiosamente non si trova alcun paese latino americano e di cui l’unico arabo è l’Arabia Saudita, espone i seguenti luoghi comuni:

 

  1. Condanna esclusivamente il governo siriano che considera il responsabile dell’attacco con le armi chimiche.
  2. La guerra contro la Siria è per difendere il resto del mondo dalle armi chimiche, evitandone la proliferazione.
  3. L’intervento tenterebbe di evitare danni maggiori: “una grande sofferenza del popolo siriano e l’instabilità regionale”.
  4. Si condanna la violazione dei diritti dell’uomo “da tutte le parti”.
  5. Si invoca un’uscita politica, non militare e si dice: “siamo impegnati verso una soluzione politica che si traduca in una Siria unita, unificata e democratica”.
  6. Si fa appello all’assistenza umanitaria, ai donatori e all’aiuto per i bisogni del popolo siriano.

 

Nella comparazione dei due testi, ciò che sorprende è che il primo diffonde un atteggiamento più bellicista, non riconosce che vi sono due fazioni nel conflitto, il conflitto si riduce a Bashar Al-Assad, si giustifica l’appoggio ai “rivoluzionari siriani” perché stanno compiendo la rivoluzione mondiale, non si prospetta alcuna uscita politica ma la disfatta del governo siriano. Si direbbe che questo appello sia stato redatto da una delle fazioni in conflitto che si arroga il diritto di essere il portavoce dell’intero popolo siriano.

Le trappole del linguaggio: “Noi condanniamo l’intervento, né con gli uni né con gli altri, i popoli hanno sempre ragione”

La costruzione dell’ideologia dell’imperialismo umanitario ha avuto molti percorsi. Come dicevamo all’inizio di questo intervento, questa è stata lo stendardo della sinistra benpensante (di cui una parte legata al trotskismo della 4° internazionale) che dalla guerra contro la Jugoslavia (1999) iniziò a dare forma ad un discorso moralista di comodo, che la omologava come “sinistra rispettabile” pur dichiarandosi “anticapitalista”.

Se analizziamo alcuni di questi discorsi sulla Siria, troviamo annotazioni che si ripetono. In primo luogo bisogna sempre capire il punto di partenza antimperialista e negare che si è al fianco “dell’intervento militare straniero” come fa G. Achcar nell’articolo “Contro l’intervento militare straniero, appoggio la rivolta popolare siriana”. O come S. Alba in “Siria, l’intervento sognato” che termina con un “condanno, condanno, condanno l’intervento militare degli USA”.

V. Klemperer diceva nel suo libro, ”la lingua del terzo Reich”, che il linguaggio rivela ciò che una persona intende nascondere deliberatamente, agli altri o a sé stessa, e questo succede inconsciamente. Il clero umanitario non è a favore dell’intervento militare ma si sente in obbligo di ripeterlo costantemente nei propri scritti e conferenze come se il pubblico cui si rivolge non fosse del tutto convinto. Esso conviene anche del parlare di guerra e per questo utilizza costantemente l’eufemismo “intervento militare straniero” o “intervento militare americano”.

Né per gli USA, né per B. Al-Assad. L’equidistanza è senz’altro un rifugio ideale per le buone coscienze e a vantaggio dell’ambiguità che consente di posizionarsi da un lato o dall’altro a seconda dell’evoluzione degli avvenimenti. Si tratta di una falsa simmetria che pone sullo stesso piano l’aggressore e l’aggredito. Se ci dichiariamo neutrali in una situazione in cui uno stato o un gruppo di stati minacciano e dichiarano guerra ad un altro, in realtà, appoggiamo la ragione del più forte. Non è la Siria che ha dichiarato guerra agli USA o all’Europa mentre la potenza e la capacità militare della Siria è incomparabile di fronte all’impero USA ed ai suoi alleati (armi chimiche, nucleari e convenzionali).

La posizione “né-né” non convince il clero umanitario che tenta in ogni modo di far pendere le opinioni al fianco della fazione in cui si trovano i cosiddetti “rivoluzionari siriani”. In questo tentativo, non si risparmiano gli aggettivi contro il governo siriano e il suo presidente, e passano sopra alla realtà e la veridicità dei fatti: abbiamo così S. Alba che dice che è un fatto inconfutabile che “indipendentemente dal fatto che abbia o meno usato le armi chimiche contro il suo popolo, il regime dittatoriale della dinastia Assad è il primo e diretto responsabile della distruzione della Siria, della sofferenza della sua popolazione e di tutte le conseguenze, umane, politiche e regionali che ne derivano”.

Un altro luogo comune tra i classici è quello di porsi al fianco dei popoli. Qui abbiamo uno scoglio difficile da superare poiché, nella questione delle primavere arabe, i governi imperialisti si sono collocati chiaramente a favore dei popoli e sono stati i primi a mostrare il loro appoggio ai “rivoluzionari” siriani. La spiegazione più rocambolesca di tali intellettuali umanitari è la pura coincidenza, il cinismo o le perverse intenzioni dell’impero USA che fornisce l’appoggio ai popoli arabi per appropriarsi in seguito di queste rivoluzioni e imporre i propri interessi. La realtà è, secondo loro, che né gli USA né l’Europa erano interessati ad intervenire militarmente in Siria. Ma quando “i ribelli e i rifugiati siriani”, come in precedenza hanno fatto i ribelli libici, dichiarano di “reclamare l’attacco alla Siria da parte degli USA”, la definizione di “rivoluzionari” e quella di “popolo” si complica, perché qual è quel popolo rivoluzionario o quella parte di popolo che richiede ad altri stati un attacco militare?

Vista la complessità della situazione, ci rifugiamo nei nostri principi.

Noi possiamo denunciare i grandi media, i politici e i pubblicisti che continuano a venderci la guerra con la stessa retorica moralista e con pratiche ciniche, ma il problema è che questo funziona, almeno con le persone con scarsa coscienza. La novità è che oggi costoro dispongono di uno stuolo di filosofi, intellettuali e artisti che si vendono come celebrità mediatiche, anche se in ambienti alternativi, che credono anche a quello che dicono, credono realmente di difendere i diritti dell’uomo e di essere al fianco dei popoli, ma la loro funzione è stata quella di accompagnare i discorsi imperialisti e di bloccare l’emergenza dei movimenti d’opposizione alla guerra impantanandoci in discussioni sterili sulle loro posizioni.



Iniziative segnalate in questo mese

1) RaiStoria 4/11: LA DIVISIONE GARIBALDI IN JUGOSLAVIA
2) Conegliano (TV) 8/11: ITALIANI BRAVA GENTE con A. Kersevan
3) Cesano Maderno (MB) 16/11: FASCISMO, GUERRA, VIOLENZE... con A. Kersevan
4) Monfalcone 23/11 - Presentazione del libro: "FRANCESCO MORANINO IL COMANDANTE GEMISTO"


=== 1 ===

<< Continua il viaggio di R.A.M. il nuovo magazine di Rai Educational sul Novecento, in onda lunedì 4 novembre alle 21.15 su Rai Storia – Digitale terreste ch54 e ch. 23 TivùSat. Per la serie Research, lo storico Eric Gobetti racconta della sua ricerca sulla Divisione Garibaldi. Due divisioni dell'Esercito Italiano, abbandonate nei Balcani dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, scelgono di unirsi alla resistenza anti-tedesca e formano la Divisione Italiana Partigiana Garibaldi. Ufficiali e soldati italiani combattono così insieme ai partigiani jugoslavi comunisti di Tito: quegli stessi che – al fianco dei Tedeschi – gli Italiani avevano combattuto ferocemente fino a poche settimane prima. Il programma ha ritrovato alcuni preziosi filmati, del tutto inediti, di questa sorprendente alleanza. >>


=== 2 ===

Venerdì 8 novembre 2013, ore 20.30 

Alessandra Kersevan terrà la conferenza/dibattito ITALIANI BRAVA GENTE. I CRIMINI DI GUERRA DELL’ESERCITO ITALIANO, DAL COLONIALISMO ALL’AGGRESSIONE DELLA JUGOSLAVIA, a Conegliano presso l’Informagiovani di piazzale Zoppas. In collaborazione con l’Anpi sezione di Conegliano. 



=== 3 ===

Sabato 16 novembre 2013, ore 9.45 

Alessandra Kersevan terrà la conferenza dal titolo FASCISMO, GUERRA, VIOLENZE NELLE REGIONI DEL CONFINE ORIENTALE D’ITALIA, all’interno delle manifestazioni per il 70° anniversario dall’inizio della Resistenza, a Cesano Maderno (MB), presso la sala Aurora del palazzo Arese Borromeo. Eventi coordinati dal Comune di Cesano Maderno e dall’Anpi sezione “Pellegatta”. 



=== 4 ===

Sabato 23 novembre presso il Laboratorio Resistente di Via Roma, 20 a Monfalcone dalle ore 16.30 

Massimo Recchioni* presenterà il suo ultimo libro:

"Francesco Moranino il comandante Gemisto - Un processo alla Resistenza" 

all'incontro parteciparà la compagna Alessandra Kersevan coordinatrice del progetto “ResistenzaStorica”

La storia del processo al partigiano Francesco Moranino, il comandante «Gemisto», primo parlamentare della storia della Repubblica a subire l’autorizzazione a procedere e all’arresto.
Il libro di Recchioni contestualizza storicamente gli eventi che furono alla base della condanna di Moranino, inserendoli nel complesso contesto politico della Guerra fredda, spiegando come quella vicenda processuale fosse in realtà la metafora di un processo giudiziario molto più generale che mirava alla criminalizzazione della componente maggioritaria comunista della Resistenza, oltre che a minare la forza organizzativa e la grande autorevolezza di cui il Partito comunista godeva presso ampi strati popolari.
Il lavoro di Recchioni – che poggia su una ricchissima documentazione testimoniale recente e inedita di ex partigiani, sugli archivi dei familiari di Moranino, oltre che sui verbali delle sedute parlamentari, materiali processuali e iconografici – è un importante contributo alla ricostruzione storica del nostro travagliato Secondo dopoguerra.

Partecipate! 

* Massimo Recchioni scrittore e storico: http://it.wikipedia.org/wiki/Massimo_Recchioni





Kosovo, Eulex apre gli occhi sulla criminalità??

1) LA PAGINA DI DICK MARTY SUI CRIMINI IN KOSOVO
2) Beato chi ci crede: "Eulex apre gli occhi sulla criminalità", di M. Tacconi (OBC)
Eulex registra l’arrivo al vertice di Bernd Borchardt: "un tedesco, non a caso".


Sulla responsabilità tedesca nel pogrom antiserbo del 2004 si veda l'articolo di J. Elsaesser:
Unser Mann, der Gotteskrieger / Il nostro uomo, un guerriero di Dio
"Un informatore del BND era tra quelli che hanno tirato i fili del pogrom antiserbo in Kosovo"


=== 1 ===


Kosovo - Trattamenti disumani e traffico di organi

J'ai voulu dire la vérité sans cesser d'être généreux

Albert Camus

 

 Nel 2008 Carla Del Ponte ha pubblicato un libro sulle sue esperienze quale Procuratrice del tribunale Internazionale della Ex-Jugoslavia ("La caccia - Io e i criminali di guerra", Carla Del Ponte e Chuck Sudetic, Feltrinelli, 2008). Nel libro l'ex-magistrata rivela di aver raccolto diversi indizi relativi a un traffico di organi che avrebbe avuto luogo nel Nord dell'Albania a opera di gruppi criminali appartenenti all'Esercito di liberazione del Kosovo (UCK). L'inchiesta sarebbe poi stata bloccata per carenza di collaborazione delle autorità albanesi e per difetto di competenza territoriale e temporale del TPIJ. La rivelazione, per il suo contenuto e a causa della fonte autorevole della rivelazione ha suscitato molto scalpore. Una mozione è stata presentata da parte di parecchi deputati dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa con la richiesta di allestire un rapporto in merito a queste accuse di gravissime violazioni dei diritti dell'Uomo. La Commissione delle questioni giuridiche e dei diritti dell'Uomo mi ha poi conferito l'incarico di procedere alle occorrenti raccolta di informazioni, di redigere un rapporto e di proporre un progetto di risoluzione.

Mi sono così recato a Belgrado, a Tirana e a Pristina dove ho incontrato ministri, autorità giudiziarie, organizzazioni non governative, rappresentanti delle famiglie degli scomparsi, giornalisti e rappresentanti della società civile. Mi sono procurato rapporti vari, pubblici e segreti, ho cercato sistematicamente persone che potevano darmi delle informazioni. I risultati di tutte queste ricerche sono contenute nel mio rapporto del 12 dicembre 2010, presentato poi alla Commissione delle questioni giuridiche e dei diritti dell'Uomo il 16 dicembre 2010 a Parigi. La versione finale del rapporto è del 7 gennaio 2011.

Come noto il 12 dicembre 2010 si svolgevano elezioni legislative anticipate in Kosovo. Subito, vi è stato chi ha voluto vedere in questa concomitanza un intervento intenzionale in una fase politica delicata del paese; tra questi anche autorevoli commentatori (o che si ritengono tali). Una semplice verifica avrebbe permesso di verificare che il mio rapporto era stato messo all'ordine del giorno prima che fosse fissata la data delle elezioni anticipate e che il regolamento dell'Assemblea mi imponeva di presentare il rapporto entro tale data. Vero è, che il rapporto avrebbe dovuto essere inviato ai membri della Commissione entro il 9 dicembre. Proprio per rispetto al corretto svolgimento delle elezioni (inficiate poi da gravi irregolarità, come rilevato dagli osservatori internazionali), il rapporto è stato inviato solo nella serata di domenica 12 dicembre, a elezioni concluse.

Ecco i link dei principali documenti:

- Rapporto del 7 gennaio 2011 in diverse lingue
- - Français      -- English     - - Deutsch (ufficiosa)     - Albanese (ufficiosa) 

Conferenza stampa del 16 dicembre a Parigi

- Verbale del dibattimento dinanzi all'Assemblea del 25 gennaio 2011

Risoluzione

Risultato del voto

Conferenza stampa del 25 gennaio 2011

Il 26 gennaio 2011, il collega Jean-Charles Gardetto ha presentato un rapporto sulla protezione dei testimoni nei Balcani. Nella parte dedicata al Kossovo emerge chiaramente come i testimoni non siano protetti e come la giustizia non sia possibile in tali condizioni.

Il rapporto ha suscitato un numero incredibile di articoli in tutta la stampa mondiale. Non è possibile citarli tutti. Indico una piccola selezione, forzatamente lacunosa.

- "Kosovo PM is head of human organ and arms, Council of Europe reports", Guardian, del 14 dicembre 2010

- "Die Vergangenheit holt Thaci ein", NZZ; del 16 dicembre 2010

- "Crimes de Premier Ministre", Le Temps; del 16 dicembre 2010

- "Dick Marty hat nur Platzpatronen", Sonntag, 19 dicembre 2010

- "Hashim Thaçi ou l'art de mêler le crime à la politique", Le Matin Dimanche, del 19 dicembre 2010

- "Ich weiss, Meine Zeugen schweigen aus Angst"; Sonntags Blick, del 19 dicembre 2010

- "Eine vorschnelle Anerkennung" (seguito da due opinioni dei Consiglieri nazioneli Ulrich Schlür et Geri Müller), Zentralschweiz am Sonntag, del 19 dicembre 2010

- "Dick Marty beleidigt unser Volk" (Intervista di B. Pacolli), Sonntag, del 19 dicembre 2010

- "Nachsicht um jeden Preis"; SonntagsZeitung, del 19 dicembre 2010

- "Ich handle für Kosovo", NZZ am Sonntag (intervista); del 19 dicembre 2010

- "Face à face" (due opinioni a confronto diChristophe Solioz - Kosovo: plus d'impunité - e di Nefal Maliqi - Coup dur pour la Diaspora-), Tribune de Genève, del 21 dicembre 2010

- "Die Schweiz muss Engagement in Kossovo überdenken", Basler Zeitung, del 22 dicembre 2010

- "Als wären sie jetzt alle plötzlich überrascht", Wochenzeitung, del 23 dicembre 2010

- "La implicaciò de Thaçi en el tràfic d'òrgans és creïble", AVUI; del 23 dicembre 2010

- "Dick Marty, un justicier contre la raison d'Etat"; Le Temps, del 24 dicembre 2010

- "Marty Vorgehen erinnert mich an Goebbels" (Intervista di H. Thaçi), Tages Anzeiger, del 29 dicembre 2010

- "Organ trafficking allegations against Kosovo PM need serious investigation with full cooperation of the EU and the USA", Open Democracy; del 29 dicembre 2010

- "Thaçi fâche les suisses", Le Matin, del 31 dicembre 2010

- "Ex-UNO Vertreter erhebt Vorwürfe gegen Kontaktgruppe ", Der Standard, del 4 gennaio 2011

- "Trafic d'organes au Kosovo: un rapport accablant", Le Monde Diplomatique, del 4 gennaio 2011

- "Tricky Dick", Weltwoche, del 6 gennaio 2011 (un bel esempio di malafede e di astio politico; si veda di seguito l'articolo dello stesso giornale de  3 febbraio che guarda caso, conferma il contenuto del mio rapporto!)

- "Neue Anschuldigungen im Kosovo-Organhandelskandal", NZZ; del 7 gennaio 2011

- "Les années suisses de Hashim Thaçi", Le Temps, dell' 8 gennaio 2011

- "Kosovo: un rapport accablant"; Le Courrier, dell' 8 gennaio 2011

- "The hidden crimes of Kosovo", The Washington Post, dell' 8 gennaio 2011

- "Guerra umanitaria in Kosovo? Hanno espiantato organi e trafficato deroga", Peacelimk, del 15 gennaio 2011

- "L'autre visage du Kosovo", Le Monde, del 17 gennaio 2011

- "Il répond aux Kosovars", Le Matin, del 19 gennaio 2011

- "Ho agito al servizio della verità"; La Regione", del 19 gennaio 2011

- "Marty und die Martyrer", NZZ; del 21 gennaio 2011

- "Les critiques qui me font le plus mal se sont celles qui viennent d'ci"; Le matin Dimanche, del 23 gennaio 2011

- "Report identifies Hashim Thaci as a big fish in organised crime", The Guardian; del 24 gennaio 2011

- " Des accusations de trafic d'organes minent la construction du Kosovo", Le Figaro, del 25 gennaio 2011

- "Report reignites Kosovo organ trafficking claim", BBC, del 25 gennaio 2011

"Kosovo Guardia : NATO-Dokumente belasten Thaci schwer", ATS/SDA del 25 gennaio 2011

- "Kosovo: la comunauté internationale a couvert les réseaux criminels de l'UCK", Jean-Arnault Dérens, Mediapart, 27 janvier 2011

- "Kosovos gefährlichster Mann mit Schweizer Vergangenheit", NZZ; del 28 gennaio 2011

- "Ich musste Thaci mit Namen nennen", Tages Anzeiger, del 28 gennaio 2011

- "Aussenpolitische Kommission lobt Dick Martys Arbeit"; Blick; del 1° febbraio 2011

- "Die Unantastbaren", Weltwoche, del 3 febbraio 2011

- "Schwieriger Zeugenshutz", Sonntags Zeitung, del 6 febbraio 2011

- "Risk to Witnesses Stalls Kosovo's Organ-Traffiking Probe", Time, del 9 febbraio 2011

- "Les deux Suisses du Kosovo", L'Hebdo, del 10 febbraio 2011 (L'autore, il deputato laborista britannico Denis Mc Shane ha sistematicamente e aspramente attaccato i miei rapporti rapporti; in occasione della presentazione del rapporto sulle prigioni della CIA, aveva definito la mia indagine "un tipico formaggio svizzero pieno di buchi). La redazione de L'Hebdo ha tralasciato, nella sua biografia, che Mc Shane è stato sospeso dal suo partito e non è più membro dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa: è indagato dalla polizia per spese abusive accollate al Parlamento: The Telegraph del 14 ottobre 2010)

- "The Culture of Impunity, NATO Style", Counter Punch Org; del 14 febbraio 2011

- "La Mafia au pouvoir" (Intervista di Pio Arlachi), RIA Novosti, del 14 febbraio 2011

- "Trafic d'organes au Kosovo: quelle est l'implication réelle de l'ONU ?"; France 24; del 16 febbraio 2011

- "Kosovo Rebels told UN of organ harvests"; The Associated Press, del 18 febbraio 2003

- "L'insabbiamento della Mafia del kosovo: la cultura dell'impunità in stile NATO"; Eurasia-Rivista, del 19 febbraio 2011

- "Is the mud sticking?", The Economist, del 24 febbraio 2011

- "Retour sur des crimes longtemps cachés; Au Kosovo, la sale guerre de l'UCK", Le Monde Diplomatique, del 2 marzo 2011

- "Unfair to Marty", lettera di Diana Johnstone in London Review of Books", del 3 marzo 2010

- "Kosovo victim testifies o torture in Albanian camp", AFP, del 16 marzo 2011

- "Kosovo: le procès des camps de l'UCK s'est ouvert à Pristina", Le Courrier des Balkans; del 17 marzo 2011

- "A Berne, on fête l'amitié américano-kosovare", Le Temps, del 17 marzo 2011

- "Jean-Arnault Dérens (interview): L'Union Européenne est bloquée par sa division sur le Kosovo", Toute l'Europe; del 22 marzo 2011

- "Crimes de guerre au Kosovo: des témoins sans aucune protection"; Courrier des Balkans; del 25 marzo 2011

- "Kosovo'a Mafia: How the US and allies ignore allegations of organized crime at the highest levels of a new democracy", Global Post, del 27 marzo 2011

- "Arlacchi: il Kosovo è uno sbaglio, l'EULEX un fallimento", Radio Srbija, del 27 marzo 2011

- "Albanische Familie klagt gegen Dick Marty"; 20 Minuten, del 31 marzo 2011

- "EU Mission "incapable of conducting organe probe", B-92 (intervista di Carla Del Ponte), del 7 aprile 2011

- "Deportationen unter den Augen der Bundeswehr?", NDR (Nord Deutsche Rundfunk), del 7 aprile 2011

- "Eulex in Kosovo: a shining symbol of incompetence", The Guardian, del 9 aprile 2011

- Tre articoli di El Paìs del 10 aprile 2011:
   - *Kosovo y el horror"
   - "El "Doctor Frankenstein" y sus 2.400 transplantes"
 
  - "Lo que dice el informe es una pura calumnia"

- "Ohne Zeugenschutz keine Gerechtigkeit", Neue Zürcher Zeitung, del 13 aprile 2011 

- "Kosovo: la mission de l'UE veut lever les soupçons sur le trafic d'organes", Le Monde; del 13 aprile 2011

- "Les spectres du Kosovo", Le Monde, del 13 aprile 2011, ripreso da Le Temps del 15 aprile 2011

- "Organ traffiking must be investigaded", B-92, del 19 aprile 2011

- "Mehr Rechtsstaatlichkeit für Kosovo", NZZ am Sonntag, del 24 aprile 2011

- "In einem beraubten Land", Der Tagesspiegel, del 12 ottobre 2011

- "Trafic d'organes au kosovo: essaie-t-on d'étouffer l'affaire?", Mondialisatio.ca, del 26 ottobre 2011

- "Trafic d'organes au Kosovo: l'enquête de Canal+", del 5 marzo 2012

- "Kosovo:l'UE réduit sa mission de police et justice, mais les enquêtes se poursuivent", Le Monde, del 25 maggio 2012

- "Kosovo: arrestato un cittadino israeliano", Rinascita, del 26 maggio 2012

- "Kosovo, un trou noir dans l'Europe (1): sur la piste de trafic d'organes", Jean-Arnault Dérens, Mediapart, 30 luglio 2012

- "Kosovo, un trou noir dans l'Europe (2):La conquète sanglante de l'UCK, Jean Arnault Dérens, Mediapart, 31 luglio 2012

- "Desperation, Greed and the Global Organ Trade", Der Spiegel, del 3 agosto 2012

- "Kosovo: un trou noir en Europe (3): Le rôle des services français", Jean-Arnault Dérens, Mediapart, 4 agosto 2012

- "Trafic d'organes au Kosovo: un nouveau scandale éclate en Allemagne", Le Courrier des Balkans, del 6 agosto 2012. Segnalo pure la reazione di Arnaud Danjean, citato in questi articoli pubblicati dal sito di informazione investigativa Mediapart. La reazione di Danjean è un diritto di risposta del 10 agosto 2012. Questo Danjean che lavorava per i servizi segreti francesi è stato attivo nei Balcani ed è amico di Thaci; ora è deputato di destra al Parlamento Europeo. Non è dunque caso che proprio lui mi abbia attaccato in occasione di una mia audizione davanti a una commissione del Parlamento Europeo! Raccomando pure di guardare il documentario  Special Investigation : Services Secrets - La part D'Ombre de la République didffuso dalla catena francese Canal+ il 23 maggio 2011.In questo filmato si riprendono importanti rivelazioni fatte da un ex capo dello stato maggiore dei servizi segreti francesi pubblicati in un libro: Pierre Siramy et Laurent Léger, 25 ans dans les services secrets, Flammarion, 2010.

- "Prosecution has new information in organ trade case", B92 (Politika(, del 29 agosto 2012

- "Ex-KLA to testify in Kosovo organ trafficking case",B92 (AFP) del 9 settembre 2012

- "La Serbie dit avoir un témoin du trafic d'organes au Kosovo", Nouvel Observateur (AFP), del 9 settembre 2012

-"Così espiantai un cuore senza anestesia", Corriere della Sera dell'11 settembre 2012
I quattro articoli che precedono si riferiscono a una testimonianza diffusa dalla TV serba. Sorprende che una tale testimonianza che si riferisce a una procedura penale pendente sia diffusa dalla televisione. Sorprendente e sconcertante.

- "Trafic d'organes au Kosovo: l'UE entrave l'enquète (Lavrov"; in RIA Novosti del 23 gennaio 2013

- "Justice borne pour les Balkans",  di Jean Arnault Dérens, in Le Monde Diplomatique di gennaio 2013

-"Kosovo: festeggiare l'anniversario dell'indipendenza, o del fallimento", East Journal del 18 febbraio 2013

- +Cinq médecins condamnés pour trafic d'organes international", Le Monde, del 29 aprile 2013

- "Brig up the Bodies", The New Yorker, del 6 maggio 2013

- "Kosovo: l'enquête sur le trafic d'organes s'élargit", RFI; del 9 maggio 2013

- "U.S. supports organ traffiking probe in kosovo", B92, del 10 maggio 2013

- "Le kosovo de Pierre Péan"; Le Nouvelliste, del 17 maggiuo 2013

- "Guerre du kosovo: un moment clef de notre histoire (Péan)"; Europe 1, del 20 maggio 2013

- "Pierre Péan et le Kosovo: une enquête bâclée pour un livre raté", di Jean Arnault Dérens, in Mediapart, 8 luglio 2013

- "Albanier Writer raises Storm in Kosovo", in Balkaninsight del 19 luglio 2013

- "La fausse normalisation et les vrais problèmes d'un Etat à la dérive", di Veton Surroi, in Le Courrier des Balkans, 10 ottobre 2013 (in lingua originale il 29 settembre 2013)

 

Segnalo anche il libro inchiesta di due giornalisti italiani:
Giuseppe CIULLA & Vittorio ROMANO, Lupi nella nebbia - Kosovo: l?ONU ostaggio di mafie e USA, Jaca Book; 2010 (vedi una recensione su LIBRE org)

il libro di un ufficiale italiano che ha prestato servizio in Kosovo
Antonio Evangelista, La torre dei crani, Editori Riuniti, 2007 (con la prefazione di Pino Arlacchi),

del noto giornalista e scrittore francese
Pierre Péan, Kosovo - Une guerre "Juste" pour un Etat mafieux, Fayard, 2013

nonché

il documentario "Verità sequestrate" a cura di Franca Verda Hunziker, presentato nell'ambito della trasmissione Falò del 5 maggio 2011; per questo documentario di grande valore umano, Franca Verda ha ricevuto il Premio di Giornalismo della Svizzera Italiana.

il documentario della SF 1 Rundschau dell' 11 maggio 2011

La trasmissione della prima rete radio francese France Inter del 14 aprile 2012 "Rendez-vous avec X - Le Kosovo"


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Kosovo, Eulex apre gli occhi sulla criminalità

Matteo Tacconi 22 ottobre 2013



Le ingenti risorse investite dall'Unione Europea nel Kosovo non hanno sinora intaccato la forza della locale criminalità e la dilagante corruzione nelle istituzioni. Il recente avvicendamento ai vertici di Eulex, e le pressioni di Berlino, potrebbero però migliorare l'efficacia della missione europea

Lo scorso novembre la Corte dei conti europea (Eca), con sede a Lussemburgo, ha messo nero su bianco ciò che già, in fin dei conti, si sapeva: l’Unione europea ha dirottato molte risorse finanziarie sul Kosovo e sulla sua missione in Kosovo (Eulex), senza che però la situazione sul fronte della lotta alla criminalità e alla corruzione, nell’ex provincia serba, sia mai realmente migliorata.
I magistrati contabili, oltre a snocciolare l’importo della pioggia di denaro arrivata a Pristina dal giorno dell’indipendenza, circa 700 milioni di euro, evidenziavano come i problemi a monte dell’inefficienza di Eulex, teoricamente il cane da guardia dello stato di diritto in Kosovo, fossero ascrivibili alla scarsa preparazione dei suoi dipendenti (2500 all’incirca). Il fatto è che gli stati membri, annotava la Corte dei conti dell’UE, inviano a Pristina magistrati, funzionari e poliziotti non propriamente qualificati.
«Il rapporto è ineccepibile. Per Eulex sono stati spesi troppi soldi. I salari e i per diem dei funzionari sono eccessivi e lo staff non è all’altezza della situazione, come puntualizzato dai giudici dell’Eca. Per chi lavora nella missione contano soprattutto il salario e la location. Come si spiega altrimenti l’esodo dei weekend, quando i dipendenti di Eulex lasciano Pristina e tornano nei loro paesi?», riferisce a Osservatorio Balcani e Caucaso un diplomatico occidentale con una lunga esperienza in Kosovo e un incarico attualmente importante a Pristina.  


Il sistema Thaci


Ma secondo la Eca il funzionamento deficitario di Eulex, il contingente civile più costoso mai dispiegato nella storia comunitaria, non dipende solo da vertici e quadri della missione. Incidono anche lo scarso coordinamento tra europei e americani in Kosovo, le note divisioni interne all’UE sul riconoscimento dell’ex provincia serba e il fatto che le autorità di Pristina non abbiano mai mostrato troppo interesse per il discorso della rule of law. Gli analisti non mancano mai di sottolinearlo, registrando che il fronte su cui i politici locali sembrano maggiormente impegnati è quello della gestione degli equilibri politico-economici a livello territoriale, il principale generatore di corruzione. «Tutto vero. Parlando con imprenditori, giornalisti, funzionari governativi e internazionali questo problema salta fuori di continuo, specialmente in riferimento al Partito democratico di Thaci, che in questi anni di governo ha occupato i ministeri, le università, le banche e le compagnie statali piazzando i suoi uomini nei posti chiave. Il sistema, considerando anche che il 60% dei posti di lavoro è nel pubblico impiego, è diventato ancora più distorto. Anche se Thaci dovesse perdere le prossime elezioni continuerebbe comunque a controllare il paese», dice la fonte diplomatica, che preferisce restare anonima.


Fine dell’inazione


Le ultime notizie dal Kosovo indicherebbero che è in corso qualche variazione sul copione. Eulex pare essersi scossa dal torpore. Nel corso degli ultimi mesi i magistrati europei hanno lanciato una serie di operazioni finalizzate a sradicare il bubbone della corruzione, vera e propria emergenza del paese: svilisce le buone pratiche, danneggia l’economia e il diritto, favorisce la criminalità organizzata. Le due principali iniziative su questo fronte, quanto meno in termini mediatici, sono state la condanna a cinque anni di Nazmi Mustafi per abuso d’ufficio e il rinvio a processo di Fatmir Limaj, accusato di essere a capo di un’organizzazione criminale dedita a estorcere tangenti.   
Nazmi Mustafi, ex direttore dell’agenzia governativa anti-corruzione è stato condannato lo scorso maggio. Era stato arrestato nell’aprile 2012 e il paradosso è che, secondo la ricostruzione dei magistrati, aveva chiesto denaro a individui sulla cui situazione economica la stessa agenzia da lui presieduta stava effettuando accertamenti.
Il caso di Fatmir Limaj potrebbe avere un’eco ancora più forte, se non altro perché Limaj (recentemente assolto nel processo che lo vedeva accusato

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COSA C'E' NEL CALCIO DI PEGGIO DELLA FALLOSITA' 


Da: Stefano Valsecchi

Oggetto: IMMAGINI IN MOVIMENTO NELLA MAGICA CELLULOIDE. DALLA BREBEMI A ROSIA MONTANA (II parte)

Data: 29 ottobre 2013 20.03.26 GMT+01.00


Molte fonti attribuiscono alla partita di calcio fra "Dinamo Zagabria" contro "Stella Rossa" di Belgrado, per la precisione il 13 maggio 1990 allo stadio di Zagabria, l'inizio simbolico della guerra in Jugoslavia (1991-1995). Come immagine in movimento da quella partita, mi è ancora ben viva durante gli scontri che avvennero fra le due tifoserie, il "calcio volante" che sferrò a un poliziotto jugoslavo il calciatore della "Dinamo ZagabriaZvonimir Boban, soprannome "Zorro" (sic).
Ricordo che Boban è attualmente commentatore di Sky Sport (no comment...), venne squalificato per sei mesi per quell'aggressione e non venne convocato dalla Federazione Jugoslava, per "le notti italiane" di Italia 90.
Per rimanere sul "Dio Pallone"... Brandovan, "enciclopedia storica del calcio jugoslavo" mi  ha ricordato anche l'episodio, di cui ero all'oscuro, che avvenne nel settembre 1990 a Spalato fra la locale "Hajduk Spalato" contro il "Partizan Belgrado". Il Partizan stava conducendo la partita con un bel sonoro due a zero, quando i "tifosi"... dell' Hajduk invasero il campo, cercando di linciare i giocatori della squadra serba. Approfitto della "enciclopedia storica" per chiedere lumi sulla squadra di calcio "FK Obilic", dove fu Presidente "il comandante Arkan" che portò la squadra a vincere nel 1998 il campionato nazionale. Brandovan mi racconta che  l'uscita dalla scena di Arkan, ha segnato anche l'inizio del declino calcistico del "FK Obilic", attualmente in un campionato delle serie inferiori (equivalente alla nostra vecchia C2)...

[per ricevere l'intero testo, richiederlo a: valsecchiste @ gmail.com]

Da: Ivan Pavicevac

Oggetto: Re: [CNJ] Fwd: ... DALLA BREBEMI A ROSIA MONTANA (II parte)

Data: 30 ottobre 2013 11.17.11 GMT+01.00


Grazie a Stefano di aver ricordato quella mascalzonata di Boban, divenuto poi nello Stato di Tudjman eroe nazionale. A suo tempo, vedendo Boban dialogare col guerrafondaio Pannella su Teleroma 56 - mi pare allora in mani del Partito Radicale - (avete notato che parlava sempre con la testa chinata?), scrissi una lettera a Boban (giocava nel "Bari"). Mi rispose telefonicamente l' allora sua fidanzata ora moglie...