Comunicato stampa
Informazione
Bosnia, minatori in sciopero si barricano sottoterra
Circa 150 minatori bosniaci si sono barricati per protesta all'interno di una galleria del sito estrattivo di Djurdjevik, nel nordest del paese: si tratta di una miniera di carbone nel quale lavorano più di 1000 persone e dal quale vengono estratte ogni anno 600.000 tonnellate di materiale che riforniscono la vicina città di Tuzla.
Ad aver scatenato lo sciopero è stata l'assunsione di un nuovo responsabile amministrativo per la miniera, una decisione che viola un accordo siglato precedentemente col governo nel quale si stabiliva che non sarebbero state assunte persone non legate alla produzione fino a quando gli stipendi dei minatori non fossero stati aumentati.
Da tempo i lavoratori di Djurdjevik domandano migliori condizioni di lavoro, aumenti salariali e una modernizzazione del sito estrattivo; a maggio la compagnia proprietaria della miniera aveva accettato un accordo col quale si impegnava ad aumentare le paghe dei minatori ma la firma del documento e il rispetto delle decisioni prese continuano ad essere rimandati ormai da mesi.
Già ad agosto erano scoppiate le prime proteste per il mancato rispetto degli accordi e l'assunzione del nuovo responsabile amministrativo ha fatto riaccendere la rabbia dei lavoratori di Djurdjevik che lunedì notte si sono barricati all'interno di una delle gallerie della miniera, a duecentocinquanta metri da terra, proclamando uno sciopero della fame e rifiutando gli aiuti e il cibo che gli venivano portati.
La protesta ha innervosito la compagnia, che ha accusato i lavoratori di scioperare 'illegalmente' perché il blocco dei lavori non è stato annunciato con 10 giorni di anticipo ma i minatori minacciano di voler andare avanti a oltranza fino a quando non otterranno quanto chiedono.
Katastrofalan bilans tajkunske privatizacije
Odgovorni urednik: Ivan Đerković
Privatizzazioni in Bosnia Erzegovina, un vero disastro
Proprietà di 15 miliardi vendute per 2, 3 miliardi
15 anni dopo proseguono gli scioperi quotidiani
Il fiasco della revisione in RS
Il potere ha reso possibile il saccheggio
Cosa fare?
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Scritto da Enrico Vigna
1993-2013: A vent'anni dal massacro della " Sacca di Medak", Croazia
[FOTO: "Sacca di Medak" nella Krajina, regione nel sud della Croazia:]
Settembre 1993 : esattamente venti anni fa, l’esercito secessionista croato, con più di 2.500 soldati, appoggiati da carri armati, lanciarazzi e artiglieria, “sfonda” le linee di resistenza a Medak, delle milizie volontarie di autodifesa della Repubblica Serba di Krajina e occupa la cittadina ed i villaggi a sud e a sud-est dalla città di Gospic e l’intera zona. In quell’area erano stanziate per l’ONU, come forze di interposizione tra le parti in conflitto, i soldati canadesi, alla richiesta di questi ultimi di essere presenti all’occupazione della città e dei villaggi, per proteggere i civili, ci fu il rifiuto dei secessionisti croati e solo dopo violenti scontri durati 16 ore tra canadesi e croati, con 27 miliziani croati uccisi, questi accettarono le ispezioni e i terribili sospetti delle forze canadesi di pace trovarono riscontro ( in questo caso va dato atto di una reale volontà di essere forza di pace neutrale, tant'è che il governo canadese ha decorato i propri soldati che parteciparono a quegli avvenimenti con coraggio e lealtà, fedeli ai propri compiti). In meno di 20 ore senza controllo di nessuno nella cittadina, i miliziani croati avevano già commesso innumerevoli crimini: massacri, incendi, violenze efferate contro vecchi, bambini, donne serbi e rom, mutilando e violentando ferocemente.
Il numero complessivo degli assassinii perpetrati in quei nove giorni, non è mai stato accertato con precisione, ufficialmente sono 88, di cui 18 donne, sei poliziotti ed il resto tutti civili, ventisei di essi erano anziani. Ma si parla di oltre cento, considerando i dispersi e scomparsi. Alcuni giorni dopo il massacro, le forze croate hanno consegnato ai serbi 52 corpi; membri delle forze di protezione dell’ONU (UNPROFOR) operanti nella zona, hanno consegnato altri 18 corpi trovati nei campi intorno a Medak, i quali erano mutilati e bruciati; altri 11 corpi furono trovati nascosti nella fossa delle fogne; negli anni, periodicamente furono ritrovati altri singoli corpi sparsi nella zona.
Le milizie secessioniste croate hanno dapprima saccheggiato e poi raso al suolo tutti e tre i villaggi intorno a Medak: Dioselo, Citluk e Pocitelj e dozzine di frazioni vicine, sono finite nella strategia di “terra bruciata” degli Ustascia croati.
Il portavoce UNPORFOR Shannon Boyd ha pubblicato un rapporto nella capitale croata, Zagabria, il 18 settembre 1993, nel quale dice: “...le truppe dell’UNPROFOR hanno trovato 11 piccoli villaggi nella valle di Medak, completamente distrutti (...). E’ stato verificato che la distruzione è sta ben organizzata, sistematica e totale. Le case sono state ridotte in macerie dalle detonazioni e gli animali morti hanno reso invivibile l’area..”.
Il massacro è durato dal 9 al 17 settembre 1993, il comandante in Croazia delle forze ONU, il Generale francese Jean Cot, ha detto che i battaglioni francese e canadese “ ...non potevano prevedere il massacro dei serbi, inclusi giovani e bambini, da parte dei croati...”, testimoniando che le truppe croate non avevano lasciato "...nemmeno un gatto vivo...” a Medak.
Nel rapporto dell’UNPORFOR pubblicato il 19 settembre 1993, il Generale Cot ha affermato: “...Non ho trovato segno di uomini o animali vivi nei diversi villaggi attraverso i quali siamo passati oggi. La distruzione è totale, deliberata e sistematica...”.
Il peacekeeper canadese, Tony Spiess, è stato uno dei tanti soldati canadesi che hanno sofferto di incubi, dopo essere stato testimone della ferocia delle milizie croate. “...La milizia croata cercava di impedire che le truppe canadesi potessero divulgare le notizie, circa le operazioni di pulizia etnica dei villaggi serbi che praticavano, dice Spiess, confermando i racconti ricostruiti nel libro del 2004, scritto da Carol Off e intitolato “I fantasmi di Medak Pocket: la storia della guerra segreta canadese...”.
Testimoni diretti della strage sono stati i soldati dei tre plotoni del Princess Patricia's Canadian Light Infantry, forze canadesi di pace, comandate dal tenente colonnello J. Kevin.: “... quando gli spari, i bombardamenti e il caos furono finalmente cessati a Medak, con nessuna vittima tra le file canadesi, una delle cose che Spiess ricorda di più era la puzza di morte proveniente dappertutto, uomini e cavalli.
“Quella puzza non se ne andrà mai”, ha detto.
Mentre Spiess ed un suo compagno canadese camminavano tra le macerie del villaggio serbo distrutto, i croati tentarono di fermarli, per non far loro vedere i corpi bruciati che erano ovunque.
"...Prima delle ore 10 del mattino, un ombrello denso di fumo copriva tutte le quattro cittadine della sacca di Medak, i croati hanno cercato di uccidere o distruggere tutto ciò che vi era nella loro scia..."
Spiess in modo angosciante ricorda"... i corpi di due giovani ragazze serbe legate a due seggiole a dondolo, con le braccia legate dietro alla schiena. Stavano ancora fumando...è stata una totale devastazione”, dice Spiess.
“...le ragazze erano state stuprate, poi uccise a colpi di pistola e poi bruciate”.
Il tenente colonnello J. Kevin dichiarò alla Reuters: "...alti ufficiali delle Nazioni Unite hanno valutato che ai soldati croati era stato ordinato dal comando più alto di distruggere quei villaggi. Questo poteva essere stato ordinato solo da generali di alto grado....".
"...Ademi dovrebbe essere chiamato a rendere conto", dice Kevin. "...Nessun soldato, degno di essere così chiamato, dovrebbe essere in grado di cavarsela con quello che è stato compiuto..."
"...Avremmo potuto vedere cosa stava succedendo dalle nostre postazioni sicure...", dice Kevin. " Ma i miei soldati sapevano che il loro ruolo era quello di proteggere i deboli e gli innocenti, e sono stati assolutamente ligi a questo loro dovere...".
Un altro testimone, l'ufficiale Green: "...Ogni edificio sul loro percorso era stato demolito e molti erano ancora fumanti. Cadaveri giacevano sul ciglio della strada, alcuni gravemente mutilati e altri bruciati e irriconoscibili.... Sapevamo che sarebbe stato brutto...", disse Green, "...ma le cose che abbiamo trovato e visto sono state peggio di qualsiasi cosa che ci aspettavamo..."
I canadesi hanno documentato tutto ciò che hanno visto. I rapporto di Kevin contribuirono a sollecitare il Tribunale Penale Internazionale per l'ex Jugoslavia di emettere un atto d'accusa, nel 2001 contro Ademi, con l'accusa di crimini contro l'umanità. Reso pubblico, il Rapporto è una lista brutale di omicidi e torture. Tra le vittime: Sara Krickovic, donna, 71 anni, gola tagliata; Pera Krajnovic, donna, 86, bruciata a morte; Andja Jovic, donna, 74 anni, picchiata e poi uccisa con proiettili. In tutto, le forze canadesi trovarono 16 cadaveri mutilati - alcuni con gli occhi levati.
Il Dott. Z. Karan specialista di medicina legale che ha esaminato i corpi mutilati scrisse nei referti: "...gli ematomi di sangue e le contusioni sono stati causati da colpi di uno strumento meccanico sordo...Le vittime venivano poi spinte nel fuoco, mentre ancora in vita. Molti avevano ferite da taglio ... Non è necessario commentare come i prigionieri sono stati trattati... "
L’unica sopravissuta, Ivanka Rajcevic, ha raccontato così gli eventi vissuti: “... io e mio figlio stavamo dormendo in casa. E’ stato intorno alle 6 della mattina quando una granata ha colpito una delle case che è andata immediatamente in fiamme. Ho chiamato mio figlio. Lui mi ha detto: mamma, non lasceremo la casa per causa dei bombardamenti...Poi sentito un Ustascia muoversi intorno alla casa. Si è avvicinato alla finestra e mi ha vista. Ha acceso una granata a mano e l’ha gettata in casa. Quando è esplosa è rimasto a guardare se mi aveva uccisa. Ero rimasta solo ferita, ma ho finto di essere morta. Allora è andato dietro alla casa e ha cominciato a sparare con un fucile automatico (...). Gli altri sono arrivati successivamente davanti alla casa su mezzi di trasporto e un carro armato. Non sono rimasti a lungo, ma quattro Ustascia sono rimasti davanti alla porta. Non parlavano la nostra lingua, credo parlassero tedesco (...probabilmente parlavano olandese, lingua simile al tedesco, infatti è stato successivamente accertato che 13 fascisti olandesi presero parte al massacro...). Quando altri due Ustascia si sono uniti a loro hanno chiesto all’interprete di tradurre. L’interprete ha detto:
"Questo è un villaggio serbo, tagliate tutte le gole, anche ai gatti! Uccidete tutto, niente deve rimanere dietro di noi, neppure i bambini...”.
Un certo numero di loro indossava maschere nere, una trentina di loro o forse di più. Quando si sono sparsi in tutto il villaggio ed hanno cominciato ad incendiare tutte le case, sono andata nell’altra camera per vedere se mio figlio fosse tornato indietro. Non c'era. Allora sono uscita dalla casa così che non mi potessero bruciare viva. A gattoni sano passata attraverso le staccionate di siepi per scappare.
Dietro ad una fitta siepe mi sono bendata la ferita e sono rimasta la' tutta la notte e tutto il giorno successivo....”
DOPO VENT'ANNI la Giustizia dell'occidente è stata fatta:
un solo colpevole condannato ad una pena di 6 anni di prigione.
A quel tempo la corte della Nato all'Aja, aveva annunciato i capi d’imputazione contro tre generali delle milizie secessioniste croate per il massacro di Medak Pocket: il kosovaro albanese Rahim Ademi e i croati Janko Bobetko e Mirko Norak, tutti accusati di crimini contro l’umanità e di violazione delle leggi e dei trattati di guerra.
Agim Ceku, un altro criminale di guerra kosovaro albanese, che comandava le truppe croate che massacrarono i serbi di Medak, non è mai stato accusato per aver commesso crimini di guerra. Al contrario gli fu persino data negli anni scorsi la presidenza del governo di transizione in Kosovo, sotto l’Amministrazione della Missione delle Nazioni Unite (UNMIK); in quanto è stato tra i più noti comandanti la guerriglia terrorista dell'UCK, nella provincia serba del Kosovo Metohija.
Secondo le testimonianze e le prove documentate presso l'UNPROFOR, le milizie e spesso anche civili croati“...hanno sistematicamente saccheggiato” la popolazione serba e i piccoli villaggi durante e dopo l’assalto delle forze militari, “... appropriandosi di beni personali, elettrodomestici, mobili, dalle case che stavano per essere distrutte; rubando animali ed attrezzature dalle fattorie, smantellando case e fabbricati e trasportando via tutto ciò con camion; hanno sistematicamente distrutto 164 case e approssimativamente 148 altri fabbricati (e tutto ciò che contenevano) con l’utilizzo di fuoco ed esplosivo..."..
La stessa ex Procuratrice Capo dell'Aja, Carla Del Ponte, ha dichiarato che, durante una settimana di orgia di sangue, le truppe croate hanno mutilato e ucciso contadini serbi “...sparando, accoltellando, tagliando dita, colpendo brutalmente col calcio del fucile, bruciando con sigarette, saltando sui corpi, legando i corpi a una macchina e trainandoli lungo la strada, effettuando mutilazioni e altre forme di torture...".
Per illustrare le crudeltà senza paragoni delle milizie croate, le accuse evidenziano il caso di due donne: Boja Pjevac, che, dopo essere stata stuprata, è stata mutilata e poi il suo corpo è stato sezionato e Boja Vujanvic che, dopo essere stata stuprata, è stata bruciata viva. e mentre lei agonizzava, intorno a lei i suoi carnefici ridevano e ballavano.
Anche quattro membri della 9° Brigata detta i "Lupi", ed un ex membro dei Servizi Militari Segreti croati sono ancora indagati a Zagabria, per crimini di guerra contro civili e prigionieri di guerra per gli eccidi di Medak: J. Krmpotic, uno dei comandanti la Brigata, I. Jurkovic, M. Petti e V. Solaja membri della stessa e K. Tomljenovic ex agente del SIS croato.
Krmpotic e Solaja erano stati testimoni di difesa nel processo del cosiddetto "gruppo Gospic", comandato dai generali Mirko Norac e Tihomir Oreskovic, che erano accusati di crimini di guerra nell'area di Gospic...GIA' per il 1991 e 1992.
Ma, alla fine, non è stato istituito alcun processo all'Aja contro i generali croati che hanno guidato l’eccidio contro i serbi di Medak Pocket.
Nel settembre del 2005 il Tribunale Penale dell'Aja ha trasferito il caso del massacro di Medak presso le autorità giudiziarie croate, che, prontamente hanno assolto Rahim Ademi e riconosciuto colpevole Mirko Norak con una vergognosa condanna a 6 anni di prigione, chiudendo così il fascicolo del massacro di Medak Pocket.
Un uomo condannato a sei anni di prigione per la distruzione di tre villaggi e 11 piccoli paesi rasi al suolo, 88 vite portate via nella maniera più feroce e per una sistematica persecuzione e liquidazione della popolazione serba ed anche rom nella regione.
....E quando e quanto si sono alzate forti le voci e l'indignazione dei pacifinti, dei "dirittumanisti", degli info/ disinformatori di casa nostra?!
In compenso uno dei massimi esponenti militari delle forze secessioniste croate, il kosovaro albanese Agim Ceku, ricercato e condannato come criminale di guerra in Serbia, poi diventato uno dei comandanti il terrorismo secessionista albanese in Kosovo....è stato ricevuto negli USA nel 2006 con i massimi onori.
[ FOTO: Qui sotto con C. Rice...]
A cura di Enrico Vigna, portavoce del Forum di Belgrado Italia
Settembre 2013
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Da: "Gilberto Vlaic" <gilberto.vlaic @ elettra.eu>Data: 27 agosto 2013 18.47.00 GMT+02.00Oggetto: Relazione economica sulle nostre famiglie in Serbia
Trieste, 27 agosto 2013
Care amiche e cari amici solidali, vi inviamo una delle periodiche relazioni sullo stato economico della Serbia e delle tante famiglie che sosteniamo.
Il prossimo viaggio per la consegna degli affidi a distanza sara’ effettuato tra il 17 e il 20 ottobre prossimo.
Invitiamo i sostenitori che non lo abbiano gia’ fatto versare per tempo le quote.
Abbiamo assoluto bisogno di incrementare il numero dei nostri sottoscrittori; abbiamo avuto alcune cancellazioni, dovute alla crisi economica che devasta il nostro Paese, ma non possiamo cancellare nessuno degli affidi in corso (forse uno solo) perche’ le situazioni delle famiglie che seguiamo non sono certamente migliorate! Al momento stiamo sostenendo 163 famiglie.
Inoltre durante il viaggio di ottobre dovremo prendere in carico almeno un nuovo progetto, forse due: il restauro di una scuola elementare e la ricostruzione dell’ambulatorio in un piccolo villaggio di campagna, e non riusciamo piu’ a far fronte a tutte le necessita’.
Contiamo sulla generosita’ e sulla solidarieta’ dei nostri lettori; chiedete di aderire alla nostra campagna ai vostri amici, ai vostri parenti, voi siete i migliori testimoni della serieta’ delle nostre azioni.
Un caro saluto a tutte/i voi.
Gilberto Vlaic
a nome della ONLUS Non Bombe Ma Solo Caramelle
Vi informiamo che stiamo caricando sulla nostra pagina facebook le fotografie relative e tre nuovi progetti, due realizzati ed uno in corso di realizzazione.
Potrete vedere che sono progetti onerosi, ma assolutamente necessari, ed e’ per questo che vi preghiamo caldamente di sostenerci!
www.facebook.com/nonbombemasolocaramelle
Serbian government reshuffled in preparation for assault on workers’ conditions
By Paul Mitchell
10 September 2013
The Serbian government was reshuffled last week in preparation for an assault on jobs, wages and pensions demanded by the European Union (EU) and the International Monetary Fund (IMF).
In early 2012, the IMF suspended a $1.3 billion loan to Serbia over delays to “structural reforms” and spending cuts. Since then, the IMF and EU have repeatedly warned that further support is dependent on cuts to the public sector and the pension system.
Other demands include “rigorous wage and employment policies” to end the “highly rigid and protected labour market”; acceleration of the privatisation programme; a strict limit on subsidies, particularly to agriculture; “targeting”, i.e., reducing, welfare benefits; increases to VAT and higher utility charges; and removing “excessive regulations” on businesses.
The Fiscal Council of Serbia—a three-member body appointed by parliament to monitor budget compliance—has parroted the IMF/EU demands. Council Chairman Pavle Petrovic declared, “Significant savings in 2013 and 2014 are impossible without control of salaries and pensions. ... The IMF said we have to freeze salaries in the public sector and drastically cut down expenditures...”
Seven of the 18 ministers in the new cabinet will be non-party technocrats. The three ministers belonging to the smallest party in the coalition, the United Regions of Serbia (URS), were ousted in the reshuffle, including Finance and Economy Minister Mladjan Dinkic. The URS, a group of economists and technocrats, has been part of every government since 2000, slavishly following IMF/EU dictates. They have been made the scapegoats for what First Deputy Prime Minister Aleksandar Vucic called the country’s “nightmare” economic situation.
Serbia went back into recession in 2012 and ended the year with the public debt at 62 percent of gross domestic product (GDP), well above the legal ceiling of 45 percent. The budget deficit could end up as high as 8 percent of GDP this year, compared to the target of 3.6 percent. Despite years of IMF economic “consolidation” measures in Serbia, the 2013 World Economic Forum report on global competitiveness, which ranks 148 countries, showed Serbia falling six places last year to 101st, its worst ever result.
In the reshuffle, Dinkic’s ministerial post was split in two, with 28-year-old Yale-educated Lazar Krstic leaving global consultancy firm McKinsey to become finance minister and consultant Sasa Radulovic, who has also studied and worked in the US, taking over as economy minister.
Krstic said he intended to introduce a “comprehensive” reform of the public sector and tax system, to “reduce, mostly eliminate, subsidies” for well over 100 loss-making state firms and “aggressively” tackle red tape so as to secure a new loan deal with the IMF. “We need to fix our house”, Krstic declared “We’re at the point where we have very little manoeuvering space. ... There is an awareness and an agreement that ... we’re at the point that we really need to do something serious to get the economy back on track and make it sustainable in the long term.”
It is a sign of the deep crisis in the country that the reshuffle comes just one year after elections led to the formation of a coalition government comprising the Serbian Progressive Party (SNS), the Socialist Party (SPS) and the URS. Having won 73, 44 and 14 parliamentary seats, respectively, they commanded a narrow 131 majority in the 250-seat parliament.
There was some initial concern within European ruling circles over the formation of an SNS-SPS coalition and the defeat of the openly pro-EU, pro-US Democratic Party, led by Boris Tadic. The SNS had split only in 2008 from the ultra-nationalist Radicals, led by Vojislav Seselj, now on trial at the International Criminal Tribunal in The Hague. The SPS is the direct successor to the League of Communists of Serbia, the official Stalinist party formerly led by Slobodan Milosevic.
However, under Seselj’s right-hand man, Tomislav Nikolic (now Serbian president), and Milosevic’s right-hand man, Ivica Dacic (now Serbian prime minister), the SNS and SPS have moderated their rhetoric, particularly over opposition to Kosovan independence from Serbia, and pursued a pro-EU policy.
In April 2013, the Serbian government approved an EU-brokered deal normalising relations with Kosovo. The agreement was called “historic” by European Commission President José Manuel Barroso. It cleared away the final obstacles to Serbia’s accession into the EU, and the first conference is planned to be held by January 2014.
In June, the government adopted a package of new “painful but necessary’’ austerity measures that included many of the IMF/EU demands, including slashing government expenditure by 40 percent, a “radical” structural reform of public services, and a new labour law.
These new measures will devastate the living standards of workers already amongst the most impoverished in Europe. Unemployment in Serbia is currently at 27 percent (much higher amongst young people), average salaries are a paltry €370 a month, and the minimum wage is €188—less than that in China.
At the same time, the cost of living has spiralled. Since May 2012, the increase in food prices has been almost 13 percent. In August, the price of electricity increased by around 11 percent for households, and the price of gas increased this month by 4.4 percent. About 10 percent of the Serbian population of 7,260,000 is below the poverty line, living on a monthly income of less than €80.
In the midst of such misery, some have done well. Serbia is the top destination for foreign direct investment in the Balkans, receiving $10 billion in 2007-2012—a quarter of the total—exceeding even EU members Bulgaria and Romania. Fiat has moved a large share of its production from Italy, citing low wages, well educated workers, generous tax incentives and, uniquely, free trade agreements with both the EU and Russia. Panasonic has set up a plant 110 kilometres from Belgrade, with its director Dirk Bantel explaining that Serbia offers a huge cost advantage over Germany, the destination of the factory’s total output.
Of central importance to the ruling elite have been the trade unions, whose role has been to disorient and disarm the working class.
Confederation of Autonomous Trade Unions of Serbia (CATUS) President Ljubisav Orbovic points to the dictatorial nature of the new measures, declaring that “social dialogue ... is now non-existent”, but his answer is, “... for the time being, it is too early to say what steps the union would take.”
Orbovic says labour reforms are not necessary because, “Up to now, there hasn’t been any obstacle to dismissals, and this can be verified by the fact that in the last couple of years, 500,000 jobs were lost”. He advises, “When it comes to enterprises in restructuring, those which can’t recover should be shut down, and those which are able to get back on their feet should be supported with a little help.”
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11 SETTEMBRE 1973: LA TRAGEDIA CILENA
Si yo a Cuba le cantara,
le cantara una canción,
tendría que ser un son,
un son revolucionario,
pie con pie, mano con mano,
corazón a corazón.
Como yo no toco el son
pero toco la guitarra,
que está justo en la batalla
de nuestra revolución,
será lo mismo que el son
qui hizo bailar a los gringos,
pero no somos guajiros,
nuestra sierra es la elección.
Victor JARA
L’11 settembre di 40 anni fa un complotto imperialista interrompeva nel sangue un sogno, il sogno cileno di una rivoluzione “democratica”, cioè della conquista del potere da parte delle sinistre tramite elezioni regolari. Questa sconfitta, oltre a provocare la morte di migliaia di cileni compreso il presidente Salvador Allende, ed a precipitare il Cile per quasi un ventennio in un incubo di violenze e di miseria, ebbe una forte ripercussione anche nei militanti di sinistra dei paesi europei, che avevano creduto nella rivoluzione legalitaria proposta da Allende e si sentirono essi stessi sconfitti nella lotta che avevano portato avanti, cioè la speranza di una vittoria elettorale che portasse al potere un governo di sinistra. Fu forse anche in seguito a quella tragedia che molti smisero di credere nella possibilità di un cambiamento radicale in seno alla democrazia istituzionale e forse fu anche questo uno dei motivi della recessione della sinistra dalla fine degli anni ‘70 in poi, recessione dalla quale non siamo ancora usciti.
Oggi intendiamo ricordare la figura di Salvador Allende e con lui ricordare anche tutti i suoi compagni di lotta, che pagarono con la vita, la carcerazione, le torture e l’esilio la loro fede nella possibilità di un cambiamento radicale ma pacifico.
Lo spirito con il quale l’Unidad Popular (la coalizione politica che faceva capo al candidato Presidente Salvador Allende), si presentava alle elezioni emerge chiaramente da alcuni versi della canzone scritta dal poeta e musicista Victor Jara che vi abbiamo proposto all’inizio; la canzone è dedicata a Cuba ed è un elogio della rivoluzione cubana, ma Jara fa un distinguo rispetto al modo di fare una rivoluzione: “pero no somos guajiros, nuestra Sierra es la eleccion”, canta, cioè: noi non siamo guerriglieri, non faremo la guerra di guerriglia, noi ci presenteremo alle elezioni e le vinceremo regolarmente.
Victor Jara, che non voleva essere un guerrigliero ma partecipare alle elezioni, fu bestialmente torturato e poi ucciso nei primi giorni del golpe dai criminali che non avevano accettato che il popolo vincesse le elezioni e pretendesse di governare il Paese.
Che il governo di Unidad Popular non dovesse durare lo avevano già deciso, ancora prima che la vittoria di Allende fosse compiuta, le alte sfere della CIA e le multinazionali che avevano i propri interessi nell’economia cilena. Infatti milioni di dollari furono versati dalla Cia e dalla Casa Bianca all’editore del quotidiano “el Mercurio” fin dal 1970 affinché il giornale attaccasse ogni giorno il governo di Allende.
Subito dopo le elezioni un infame crimine, l’assassinio del generale René Schneider fedele al governo eletto, iniziò la strategia della tensione in Cile.
E dato che la vittoria di Allende fu di misura, i problemi per la gestione della cosa pubblica si presentarono da subito, dato che il partito democristiano (di centro) si barcamenò tra i due schieramenti (sinistra e destra all’opposizione) ed alla fine, quando le cose iniziarono a mettersi male per il governo, gli tolse il sostegno politico e lo abbandonò al suo destino.
In questa sede non c’è lo spazio per riportare la documentazione relativa alle responsabilità statunitensi nel golpe in Cile ma vi invito a leggere il testo di Patricia Verdugo, “Salvador Allende. Anatomia di un complotto organizzato dalla CIA” ed. Baldini Castaldi Dalai, che spiega diffusamente come fu organizzato a tavolino il golpe che causò la morte di migliaia di cileni.
C’è un altro testo, che però è oggi più o meno introvabile: “L’imperialismo contro il Cile. Documenti segreti dell’ITT” sapere edizioni 1973, che riporta i documenti della multinazionale delle telecomunicazioni relativi al loro coinvolgimento nel golpe. Infatti lo stesso Allende aveva così denunciato in un intervento alle Nazioni Unite:
“L’ITT, una gigantesca multinazionale, ha iniziato,nello stesso momento in cui si conobbe la vittoria popolare, una minacciosa azione, in collusione con forze fasciste interne, per impedire che io mi insediassi alla presidenza. Signori delegati, io accuso, davanti alla coscienza del mondo, l’ITT di voler provocare nella mia patria una guerra civile!”
Inoltre è fondamentale la lettura di “Dal Cile” di Saverio Tutino (Mazzotta) che ricostruisce l’ultimo periodo del governo di Allende, quando la destra aveva scatenato tutta la propria forza di destabilizzazione, con le manifestazioni della buona borghesia che scendeva in piazza sbattendo casseruole per dimostrare che erano vuote e non c’era da mangiare; quando gli scioperi dei camionisti che bloccavano i rifornimenti alle città erano organizzati e foraggiati dagli stessi che spingevano in strada le casalinghe dei quartieri alti (che al mercato nero trovavano tutto quello che volevano, mentre era nei quartieri poveri che mancavano i mezzi di sussistenza, nonostante quanto facessero le associazioni di autogestione popolare). In quell’ultimo anno Allende si trovò anche a dover tenere a freno le associazioni di estrema sinistra che avrebbero voluto scegliere una via armata di resistenza e difesa del governo, cosa che il Presidente rifiutava sia per il suo attaccamento alla democrazia, sia perché comprendeva che sarebbe stato un suicidio; e d’altra parte è anche necessario fare piazza pulita delle accuse fatte “da sinistra” ad Allende di avere tradito i compagni più “estremisti” perché addirittura accoglieva in casa propria i militanti del MIR ricercati dalla polizia per evitare loro l’arresto.
Nonostante tutti i tentativi di destabilizzare la società cilena per ribaltare il governo di Allende, alle elezioni del marzo 1973 l’Unidad Popular ottenne ancora la maggioranza (nelle manifestazioni popolari a sostegno di Allende molti lavoratori marciavano con i cartelli “es un gobierno de mierda pero es mi gobierno”, a dimostrazione del fatto che l’alternativa avrebbe significato perdere tutto quello che si era riusciti a conquistare in quei tre anni) e fu questo sostegno popolare che costrinse l’imperialismo a cercare la via del golpe.
La mattina dell’11 settembre i vertici dell’esercito, che solo pochi giorni prima avevano assicurato la propria fedeltà di militare al governo legittimo, iniziarono la sollevazione a Valparaiso. E l’addetto navale degli USA in Cile, Patrick Ryan, informò il Pentagono la mattina dell’11 settembre 1973 con queste parole:
“Il nostro D-day è stato pressoché perfetto”.
Il resto è storia più o meno nota, e non approfondiremo in questa sede né la gestione del potere da parte di Pinochet, né le ripercussioni internazionali del Plan condor, la rete terroristica di cui fecero parte anche neofascisti italiani, che assassinò esuli latino americani in fuga dalle varie dittature in diversi Paesi esteri; né parleremo delle calunnie che ancora oggi vengono diffuse per infangare la figura di Allende.
Oggi ci piace ricordare il governo di Unidad Popular per una piccola, grandissima riforma: garantire un mezzo litro di latte quotidiano ad ogni bambino cileno, per dare anche i piccoli dei barrios di periferia la possibilità di nutrirsi meglio e di crescere al pari dei loro coetanei dei quartieri alti. Questo mezzo litro di latte è diventato un simbolo, il simbolo di un governo che vuole il bene del proprio popolo e che per garantirgli questo mezzo litro di latte quotidiano, così come tutte le altre riforme più “grandi” necessitava di enormi risorse, che poteva trovare solo nazionalizzando le ricchezze cilene. Perché solo se la ricchezza del Cile rimaneva al Cile (e per fare questo bisognava impedire alle multinazionali di depredarle), il Paese avrebbe potuto garantire il benessere a tutto il suo popolo e non solo alla minoranza di ricchi che vedeva i propri privilegi intaccati dalle scelte di Unidad Popular.
Così spiegava Allende in un’intervista rilasciata a Roberto Rossellini nella primavera del 1972:
“Noi definiamo l’imperialismo come l’estrema fase del capitalismo. È il capitale finanziario dei paesi industrializzati che cerca terreni di investimento nei paesi dove si possono ricavare maggiori profitti , ossia larghi margini di utile (…) i paesi in via di sviluppo sono paesi che vendono materie prime. Vendiamo a poco prezzo e compriamo a caro prezzo. Il processo di inflazione fa sì che noi siamo costretti a fornire sempre più materie prime per importare lo stesso quantitativo di prodotti finiti.
Nell’ultimo decennio è stato più quello che è uscito da questi paesi dell’America latina di quello che è entrato. E tutto questo è avvenuto per pagare crediti, profitti, ammortamenti, oltre ai contributi che vengono dati dall’America latina per prestiti agli organismi semi-statali o statali e per investimenti delle economie private. Questo dramma è quello che fa sì che l’America latina sia andata impoverendosi sempre più mentre si consolidava il capitale straniero particolarmente il capitale internazionale.
Questo l’intervento di Allende alle Nazioni Unite nel 1972:
“Ci troviamo davanti a un vero scontro frontale tra le grandi corporazioni internazionali e gli Stati.
Questi subiscono interferenze nelle decisioni fondamentali, politiche, economiche e militari da parte di organizzazioni mondiali che non dipendono da nessuno Stato.
Per le loro attività non rispondono a nessun governo e non sono sottoposte al controllo di nessun Parlamento e di nessuna istituzione che rappresenti l'interesse collettivo.
In poche parole la struttura politica del mondo sta per essere sconvolta.
Le grandi imprese multinazionali non solo attentano agli interessi dei Paesi in via di sviluppo, ma la loro azione incontrollata e dominatrice agisce anche nei paesi industrializzati in cui hanno sede.
La fiducia in noi stessi che incrementa la nostra fede nei grandi valori dell'umanità, ci da la certezza che questi valori dovranno prevalere e non potranno essere distrutti.”
Questo discorso, che durò soltanto due minuti, fu seguito da un applauso di un minuto: lo trovate su http://www.youtube.com/watch?v=1OyI326QdvA con i sottotitoli in italiano.
Dunque il golpe delle multinazionali e della CIA fu anche, simbolicamente, rivolto contro quel mezzo litro di latte quotidiano, perché non si poteva permettere di intaccare i privilegi dei pochi ricchi per dare la possibilità alla maggioranza povera di migliorare la propria condizione di vita. Ma questo discorso era stato ben capito dai lavoratori e dai proletari cileni, ed era questo il motivo del sostegno che Allende ebbe dal suo popolo, al quale rimase fortemente legato fino alla fine, come dimostrano le ultime parole che riuscì a far uscire dal palazzo della Moneda, dove aveva deciso di rimanere invece di tentare la fuga e dove rimase vittima dei golpisti. Che si sia suicidato o sia morto per mano degli insorti non ha importanza: la morte di Allende è comunque un crimine dell’imperialismo.
Quando seppe dell’inizio del golpe Allende inviò alle 7.55 un primo messaggio radio in cui chiedeva al popolo di restare unito, mantenere la calma evitando provocazioni e manifestava la propria fiducia nella fedeltà dell’esercito al governo legale; nei messaggi successivi appare come Allende si sia via via reso conto che la situazione stava precipitando e l’ultimo messaggio delle 9.30 ci mostra un uomo che pur sentendosi sconfitto e prossimo alla fine non viene meno alla propria coerenza ed integrità. Eccolo.
“Sicuramente questa sarà l’ultima opportunità in cui posso rivolgermi a voi.
La Forza Aerea ha bombardato le antenne di Radio Magallanes. Le mie parole non contengono amarezza bensì disinganno. Che siano esse un castigo morale per coloro che hanno tradito il giuramento: soldati del Cile, comandanti in capo titolari, l’ammiraglio Merino, che si è autodesignato comandante dell’Armata, oltre al signor Mendoza, vile generale che solo ieri manifestava fedeltà e lealtà al Governo, e che si è anche autonominato Direttore Generale dei carabinieri.
Di fronte a questi fatti non mi resta che dire ai lavoratori: Non rinuncerò!
Trovandomi in questa tappa della storia, pagherò con la vita la lealtà al popolo. E vi dico con certezza che il seme affidato alla coscienza degna di migliaia di Cileni, non potrà essere estirpato completamente.
Hanno la forza, potranno sottometterci, ma i processi sociali non si fermano né con il crimine né con la forza. La storia è nostra e la fanno i popoli. Lavoratori della mia Patria: voglio ringraziarvi per la lealtà che avete sempre avuto, per la fiducia che avete sempre riservato ad un uomo che fu solo interprete di un grande desiderio di giustizia, che giurò di rispettare la Costituzione e la Legge, e cosi fece.
In questo momento conclusivo, l’ultimo in cui posso rivolgermi a voi, voglio che traiate insegnamento dalla lezione: il capitale straniero, l’imperialismo, uniti alla reazione, crearono il clima affinché le Forze Armate rompessero la tradizione, quella che gli insegnò il generale Schneider e riaffermò il comandante Ayala, vittime dello stesso settore sociale che oggi starà aspettando, con aiuto straniero, di riconquistare il potere per continuare a difendere i loro profitti e i loro privilegi. (…) Dinanzi a tali fatti non posso dire che una sola parola ai lavoratori: (a questo punto la registrazione è confusa, si odono sempre più forti scoppi di bombe).
Sicuramente Radio Magallanes sarà zittita e il metallo tranquillo della mia voce non vi giungerà più. Non importa. Continuerete a sentirla. Starò sempre insieme a voi. Perlomeno il mio ricordo sarà quello di un uomo degno che fu leale con la Patria.
Il popolo deve difendersi ma non sacrificarsi.
Lavoratori della mia Patria, ho fede nel Cile e nel suo destino. Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento pretende di imporsi. Sappiate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l’uomo libero, per costruire una società migliore.
Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori!
Queste sono le mie ultime parole (si odono scoppi vicinissimi) e sono certo che il mio sacrificio non sarà invano, sono certo che, almeno, sarà una lezione morale che castigherà la fellonia, la codardia e il tradimento”.
I SATRAPI.
Nixon, Frei e Pinochet
fino ad oggi, fino a questo amaro
mese di settembre,
dell’anno 1973,
con Bordaberry, Garrastazu e Banzer
iene voraci
della nostra storia, roditori
delle bandiere conquistate
con tanto sangue e tanto fuoco,
impantanati nei loro orticelli,
predatori infernali
satrapi mille volte venduti
e traditori eccitati
dai lupi di New York,
macchine affamate di sofferenze,
macchiate dal sacrificio
dei loro popoli martirizzati,
mercanti prostitute
del pane e dell’aria d’America,
fogne, boia, branco
di cacicchi di lupanare
senza altra legge che la tortura
e la fame frustrata del popolo.
Pablo NERUDA
Claudia Cernigoi
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11/09, chi ha inventato le false telefonate dagli aerei?
Come promesso ai lettori di questo blog, continuo a informarli sulla prosecuzione dei lavori del ‘9/11 Consensus Panel‘, del quale faccio parte (colgo l’occasione per informare anche che due nuovi membri si sono aggiunti al panel e si tratta di Jonathan Cole, ingegnere civile, e di Daniele Ganser, storico, direttore del SIPER (Swiss Institute for Peace and Energy Research), docente dell’Università di San Gallo e dell’Università di Basilea) .
Questa volta il panel ha preso in esame la davvero straordinaria e singolare faccenda delle telefonate da tre dei quattro aerei che furono dirottati quella tragica mattina. L’accuratissima analisi dell’intera storia delle telefonate ha permesso al Panel di individuare ben 32 contraddizioni, alcune delle quali insormontabili, tra le versioni fornite dalle autorità (che infatti si sono ripetutamente contraddette) e le evidenze documentali raccolte.
Va ricordato qui che, per ben tre anni, dal 2001 al luglio del 2004, la storia delle telefonate cellulari in partenza dagli aerei dominò i racconti dei media americani e mondiali. Vennero pubblicati racconti e libri, migliaia di articoli. Quelle telefonate furono ritenute un fatto della realtà e date per scontate. Ci fu perfino un film, quello sul volo UA 93, interamente basato su alcune di quelle telefonate. Va detto subito che sia l’FBI che il famoso o famigerato ‘9/11 Commission Report‘ del 2004 accettarono ufficialmente che da tre dei quattro aerei partirono telefonate dai cellulari. Poiché la credibilità del ‘9/11 Commission Report‘ dipende pesantemente da questa narrazione, è evidente che una zero credibilità delle telefonate è uguale alla zero credibilità del rapporto. Ed è esattamente questo che il Panel ha potuto acclarare.
Non c’è spazio qui per passare in rassegna tutte le meticolose ricostruzioni delle telefonate (Todd Beamer dal UA93; Barbara Olson dal AA77; Peter Hanson dal UA 175; Jeremy Glick dal UA93; Mark Bingham dal UA93, Renee May, hostess, dal AA77; Brian Sweeney dal UA175; Thomas E.Burnett, 4 telefonate, UA93; Sandra Bradshaw, hostess, dal UA93; Elizabeth Wainio dal UA93; Mario Britton dal UA93, in tutto 35 telefonate). Qui voglio solo soffermarmi su due personaggi-protagonisti di queste “telefonate”. Chi vorrà andare a verificare la fondatezza delle nostre conclusioni può consultare suhttp://www.consensus911.org.
Il primo fu Todd Beamer che, nella vulgata dei media, fu colui che pronunciò la famosa frase : “let’s roll”, il grido di battaglia che avrebbe innescato la rivolta dei passeggeri del volo UA93. Secondo la telefonista che raccolse la telefonata, Lisa Jefferson, Beamer le sembrò stranamente tranquillo, date le circostanze. Al punto che la Jefferson riferisce all’FBI di avere avuto il sospetto che si trattasse di una finta telefonata (crank call), dato il carattere “metodico e razionale” dell’interlocutore che “stava per morire”. La telefonata durò ben 13 minuti. Fatto singolare, perché in quelle condizioni, con un numero enorme di chiamate, i centralini sovraccarichi, molte linee saltavano. Ma, ancora più singolare – sempre dal racconto della Jefferson, intervistata dall’FBI – la linea telefonica rimase in funzione per 15 minuti dopo che l’aereo era precipitato. Ma sarebbe da aggiungere il non trascurabile dettaglio che Beamer parlò per 13 minuti con ben due diverse operatrici del centralino e, quando la Jefferson gli propose di collegarlo con la moglie Lisa, in attesa di partorire il terzo figlio in gennaio, rispose: “No, no, non voglio turbarla senza motivo”. Beamer aggiunse: “Voglio solo parlare con qualcuno per fare in modo che si sappia cosa sta accadendo”. Come non avesse parenti o amici con cui parlare.
L’altra telefonista, Phyllis Johnson, non risulta che sia stata intervistata dall’FBI e, alla fine dei conti, non esiste nessun modo di confermare senza equivoci che la persona che parlò con entrambe fosse effettivamente Todd Beamer. La chiamata non fu registrata né dalle due operatrici, né dall’AOSC (Airfone Operations Surveillance Center). Che dire? Ce n’è quanto basta per un centinaio d’interrogativi. Ma ne aggiungiamo ancora uno, che a me pare perfino più decisivo dei precedenti. Il 29 settembre 2001 l’FBI ricevette una dettagliata registrazione dell’ufficio della Verizon (l’operatore telefonico del cellulare di Todd Beamer) , dalla quale risultò che quel cellulare fece 18 telefonate dopo (sottolineo: dopo) che l’aereo UA93 era caduto, cioè dopo le 10:03 di quella mattina. Come concludere? Resta solo l’ipotesi che il cellulare non fosse a bordo dell’UA93 insieme a Todd Beamer, oppure che l’aereo che precipitò in un campo della Pennsylvania non fosse il volo UA93.
Di fronte a questa serie di problemi irrisolvibili, l’FBI tira fuori (sotto giuramento questa volta) un’altra versione. Lo fa durante il processo a Zakharias Moussaoui, nel 2006, affermando che tutte le telefonate, tranne due, non erano state fatte da cellulari. Le due chiamate sarebbero state fatte simultaneamente dal volo UA93 alle ore 9:58, da due assistenti di volo, E.Felt e Cee Cee Lyle. Entrambe risulterebbero fatte da una delle toilettes di bordo, quando l’aereo si trovava a 5000 piedi di quota (circa 1500 metri), cioè a un’altezza compatibile con le possibilità tecniche di trasmissione esistenti nel 2001.
Ma c’è un altro problema: nemmeno queste due telefonate furono fatte da cellulari. Nonostante un accurato studio di tutti i cellulari dei passeggeri e dell’equipaggio di quel volo, non si è trovata nei tabulati corrispondenti alcuna chiamata alle ore 9:58, né alcuna certificazione della durata delle chiamate, né traccia, di conseguenza dei numeri telefonici cui sarebbero state indirizzate. Conclusione: tutte le storie riferite a telefonate da cellulari a bordo degli aerei sono false, poiché quelle telefonate non sono mai esistite.
E veniamo ora alle telefonate più clamorose (nel senso che fecero clamore in tutto il mondo, producendo enorme emozione): quelle di Barbara Olson, notissima commentatrice televisiva, da bordo del volo AA77. Secondo la testimonianza del marito, Theodore Olson (non si trascuri che egli era il Procuratore Generale degli Stati Uniti), Barbara lo chiamò due volte, circa mezz’ora prima che l’aereo si schiantasse sul Pentagono. Fu la CNN a dare per prima questa notizia. Ted Olson fu chiaro: la moglie lo chiamava da un cellulare..
Da notare che le telefonate della Olson sono le uniche fonti che parlano dell’armamento di cui disponevano i terroristi (tagliacarte) e dunque le rivelazioni di Ted Olson sono cruciali per la ricostruzione della vicenda. Tant’è vero che esse sono state un pilastro per l’intero resoconto ufficiale. Ted Olson cambiò versione, in seguito, ripetutamente. Ma resta agli atti che egli disse all’FBI che la prima chiamata durò “circa un minuto”. Al Larry King Show disse poi che la seconda chiamata durò “due, o tre, o quattro minuti”.
Ci sono però almeno quattro gravi problemi che minacciano alla radice la storia raccontata da Ted Olson. Il primo viene dall’FBI che, nel 2004, inequivocabilmente dichiara: “Tutte le telefonate dal volo AA77 furono effettuate tramite il sistema telefonico di bordo”. Bugiardo Olson?
Purtroppo anche l’FBI risulta bugiarda. Nel 2006 un funzionario della American Airlines dichiara (processo a Mousaoui) che “Nessun Boeing 757 aveva telefoni dietro i sedili prima del settembre 2001. I passeggeri del volo AA77 usarono i loro cellulari”. C’è un’altra conferma di questa affermazione, ed è nel manuale di servizio del Boeing 757, datato 28 gennaio 2001: “Il sistema telefonico per passeggeri è stato disattivato in base all’ordinanza Eco F0878”. Ci furono altre conferme dell’inesistenza di telefoni di bordo per passeggeri (vedi il sito http://Consensus911.org
Here is a recent article by Michael Parenti regarding the real story around Martin Luther King Jr.
Article is attached and also presented directly below.
Feel free to post and circulate.
I Have a Dream, a Blurred Vision
by Michael Parenti
The 50th anniversary of the March on Washington---in which Rev. Martin Luther King Jr. made his famed "I Have a Dream" speech---has recently won renewed attention from various print and electronic media in the United States. But the more attention given to King's extraordinary speech, the less we seem to know about King himself, the less aware we are about the serious challenges he was presenting, challenges that remain urgent and ignored to this very day.
The March on Washington took place on 28 August 1963. Despite repeated fear mongering by certain commentators and public officials who predicted there would be violence in the streets---over 250,000 people descended upon Washington D.C. in a massive show of unity and peaceful determination.
I was there. About two-thirds of the demonstrators were African-American, and about one-third were white. After all these years I still recall how gripped I was by the vast sweep of the crowd moving like democracy's infantry across the nation's capital, determined to awaken "our leaders" in Congress and the White House.
.
The high moment of the day was Martin Luther King's "I Have a Dream" speech. It was a call to freedom and enfranchisement for a people who had endured centuries of slavery followed by segregation and lynch-mob rule. In his speech King reminded us that "the Negro is still languishing in the corners of American society and finds himself an exile in his own land."
He went on: "The marvelous new militancy which has engulfed the Negro community must not lead us to distrust all white people, for many of our white brothers, as evidenced by their presence here today, have come to realize that their destiny is tied up with our destiny and their freedom is inextricably bound to our freedom."
King continued to stoke the new militancy: "We can never be satisfied as long as a Negro in Mississippi cannot vote and a Negro in New York believes he has nothing for which to vote. . . . Now is the time to rise from the dark and desolate valley of segregation to the sunlit path of racial justice."
Then came his smashing conclusion: "When we allow freedom to ring from every village and every hamlet, from every state and every city, we will be able to speed up that day when all of God's children," all colors and creeds "will be able to join hands and sing in the words of the old Negro spiritual, 'Free at last! free at last! thank God Almighty, we are free at last!'"
At this, the crowd exploded with thunderous applause and wild cheers. Many of us were left overwhelmed and misty eyed. For all its clichés and overdone metaphors, King's "I Have a Dream" speech remains a truly great oration.
So impressive is the speech, however, that commentators and pundits to this day have found it easy to focus safely upon it to the neglect of other vital social issues that engaged King.
The opinion-makers prefer to treat Martin Luther King as an inspirational icon rather than a radical leader. He has been domesticated and sanitized. Today the real King probably would not be invited to the White House because he is too far left, too much the agitator.
In 1967, he was becoming an increasingly serious problem for the defenders of privilege and profit. King came out against the Vietnam War that year, a fact that is seldom mentioned today. His stance discomforted many liberals (black and white) who felt they should concentrate on civil rights and not alienate potential supporters with anti-war issues. But for King, the U.S. government had become "the greatest purveyor of violence in the world," spending far more on death and destruction than on vital social programs.
He differed with those who believed we could resist violence and cruelty at home while resorting to violence and cruelty abroad. He condemned "those who make peaceful revolution impossible," those who "refuse to give up the privileges and pleasures that come from the immense profits from overseas investments . . . the individual capitalists who extract wealth" at the expense of other peoples and places.
By 1967 King was treading on dangerous ground. He was connecting the issues. He condemned "the triple evils of racism, economic exploitation, and militarism." The same interests that brought us slums also brought us wars, he argued, and they were getting richer for the doing.
By 1968, the year he was assassinated, King was also waging war against poverty. Civil rights, he dared to say, were linked to economic rights. He was planning a national occupation of Washington D.C., called the Poor People's Campaign. Again he was treading on dangerous ground bringing together working-class people of various ethnic groups.
These class demands go unmentioned in the usual MLK commemorations. The "I Have a Dream" oration now overshadows the other less known messages that King was putting forth not long before he was killed, including the search for economic justice for all working people. The great "dream speech" of 1963 serves less as an inspiration and more as a cloak covering his latter-day radical views regarding class struggle and anti-imperialism.
In 1968, at the age of 39, Martin Luther King was killed by a sniper's bullet while standing on the balcony of his motel room in Memphis, Tennessee. He was in Memphis to lend support to a sanitation workers strike, the very kind of thing his opponents were finding increasingly intolerable.
A penniless fugitive from the Missouri State Penitentiary, James Earl Ray, while being sought by the police, supposedly took it upon himself singlehandedly to make his way to Memphis where he somehow located King's motel balcony and shot him from a room across the courtyard. Then entirely on his own, supposedly with no visible financial support, the fugitive convict and newly established assassin made his way to England. Arrested in London at Heathrow Airport with substantial sums of cash in his pocket, Ray was extradited to the United States and charged with the crime. He was strongly advised by his lawyer to enter a guilty plea (to avoid the death penalty) and was sentenced to 99 years. Three days later he recanted his confession. Over the ensuing decades he made repeatedly unsuccessful efforts to withdraw his guilty plea and be tried by a jury. Ray died in prison in 1998, still proclaiming his innocence.
In 1986 King's birthday was established as a national holiday. Hundreds of streets in America have been renamed in his honor. There are annual commemorations. His resonant voice, memorable words and gripping cadence are played and replayed. But the politco-economic issues he highlighted continue to be passed over by mainstream leaders and commentators.
In addition, the opinion-makers who celebrate King's birthday every year and hail him as a monumental figure have nothing to say about the many unresolved questions related to his assassination. No one openly entertains the question of whether there were powerful people (certainly more powerful than James Earl Ray) who thought it necessary to do away with this popular leader because he had moved too far beyond "I Have a Dream."
_______
Michael Parenti is an award winning, internationally known author. His two most recent books are The Face of Imperialism (2011), and Waiting for Yesterday: Pages from a Street Kid's Life (2013), a memoir of his early life.
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di Fosco Giannini ( segretario regionale Marche PdCI) e Maurizio Belligoni ( segretario regionale Marche PRC)
Pubblicato su 2 settembre 2013 da Donne in rosso
http://donneinrosso.wordpress.com/2013/09/02/comunicato-dellunione-generale-delle-donne-siriane-sulla-probabile-aggressione-degli-usa-e-delloccidente-alla-nostra-cara-patria/
di Marcia Campos, Presidente della Federazione Democratica Internazionale delle Donne (Widf/Fdim)
San Paolo del Brasile, 2 settembre 2013
by Jean Bricmont - August 14, 2013
Oggetto: Martedì: ASSEMBLEA / DIBATTITO Fermiamo l'aggressione alla Siria
Data: 08 settembre 2013 09.36.54 GMT+02.00
ASSEMBLEA / DIBATTITO Fermiamo l'aggressione alla Siria
Martedì 10 settembre, ore 17, presso l'Università Centrale
Via Mezzocannone 16 (di fronte al Cinema ASTRA)
Dopo la Jugoslavia, l'Afghanistan, l'Iraq e la Libia, le maggiori potenze mondiali si apprestano ad aggredire un altro paese.
Ancora una volta si vuole giustificare questo attacco con micidiali armi di distruzioni di massa dietro le insegne ipocrite delle ragioni umanitarie.
Ma i veri motivi continuano ad essere quelli di rapina, saccheggio e sfruttamento per il profitto.
No all'aggressione alla Siria, con o senza ONU
Mobilitiamoci contro questo nuovo crimine
Rete NapoliNoWar
http://napolinowar.wordpress.com
Evento Facebook: https://www.facebook.com/events/1408455289381032/
Passaparola!
From: Agence Cubaine D´Information
Sent: Wednesday, August 28, 2013 5:54 PM
La Havane, 28 août (acn) Le ministère des Affaires étrangères de la
République de Cuba a fait la déclaration suivante concernant les menaces
croissantes contre la République de la Syrie, que nous reproduisons
ci-dessous.
Très alarmantes deviennent les récentes déclarations du gouvernement
américain et plusieurs alliés de l'OTAN exhortant à une action militaire
en Syrie, en ignorant les efforts de certains États pour parvenir à une
solution politique au conflit de cette nation arabe.
Nous devons rappeler que ceux qui plaident aujourd'hui pour une action
militaire contre la Syrie sont les mêmes pays qui ont commencé des guerres
sanglantes sans un mandat du Conseil de Sécurité des Nations Unies, par le
mensonge délibéré de l'existence d'armes de destruction massive en Syrie
ou sous prétexte de la protection civile, causant la mort de plusieurs
personnes innocentes y compris des enfants, qui ont été qualifiés comme
«dommages collatéraux».
L’appel pour attaquer la Syrie, est fait quand son Gouvernement a autorisé
la Mission de Recherche des Nations Unies sur l'utilisation présumée
d'armes chimiques dans le pays, qui a commencé les travaux sur le terrain.
Cuba condamne tout recours aux armes chimiques ou à autres de destruction
massive et elle est fermement attachée à la Convention sur l'interdiction
du Développement, la Production, le Stockage et de l'Emploi des Armes
Chimiques et sur leur Destruction, et le strict respect de ses dispositions.
L’informations disponible sur la crise en Syrie est fragmentée, imprécise
et sujette à de fréquentes manipulations.
Une agression contre la Syrie entraînerait de graves conséquences pour la
région déjà troublée du Moyen-Orient, serait une violation flagrante des
principes de la Charte des Nations Unies et du Droit International et elle
augmenterait les dangers pour la paix et la sécurité internationales.
Cuba réaffirme sa conviction qu'il est nécessaire de trouver une solution
politique et elle exprime sa ferme opposition à toute tentative de
déstabiliser l'indépendance, la souveraineté et l'intégrité territoriale
de la Syrie et l'autodétermination de son peuple.
La Havane, le 28 Août, 2013
---
http://www.voltairenet.org/article180035.html
Cuba appelle l’Assemblée générale de l’ONU à empêcher l’action militaire des États-Unis contre la Syrie
RÉSEAU VOLTAIRE | LA HAVANE (CUBA) | 2 SEPTEMBRE 2013
Déclaration du ministère des Affaires étrangères de Cuba sur la menace des États-Unis contre la Syrie
Le Ministère des Affaires étrangères de la République de Cuba a pris connaissance avec une profonde préoccupation de la déclaration formulée ce samedi 31 août par le président des États-Unis, Barack Obama, annonçant sa décision d’entreprendre des actions militaires contre la République Arabe Syrienne.
Sans laisser aucune marge aux démarches actuellement en cours pour arriver à une solution politique du conflit, sans présenter aucune preuve et avec un mépris total des opinions de nombreux pays, dont celles de certains de ses principaux alliés, et des Nations Unies, le président des États-Unis a annoncé sa décision de violer le Droit international et la Charte des Nations Unies, entrainant encore plus de morts et de destructions, provoquant en outre, inéluctablement, l’aggravation du conflit dont souffre cette nation arabe.
Le ministère des Affaires étrangères de la République de Cuba appelle les membres du Conseil de sécurité à honorer leur mandat, qui est d’empêcher toute rupture de la paix, et à stopper une intervention militaire qui menace la sécurité internationale dans une région du monde particulièrement volatile.
Cuba estime que l’Assemblée générale, seul organe des Nations Unies où sont représentés tous les États, a également pour responsabilité d’agir pour stopper l’agression, d’autant plus qu’en raison de la position prééminente des États-Unis au sein du Conseil de sécurité, il est fort probable que celui-ci se retrouve bloqué et ne puisse pas prendre de décision sur la question. L’Assemblée générale, dans l’exercice de ses prérogatives, doit donc se réunir d’urgence et prendre les mesures indispensables.
Le Secrétaire général des Nations Unies doit s’impliquer directement pour empêcher les actes que le président des États-Unis a présentés comme des faits presque inévitables.
Pour s’acquitter de l’énorme responsabilité qu’implique sa charge en ce qui concerne la sauvegarde de la paix et de la stabilité mondiales, il reviendrait au secrétaire général de l’Onu d’entreprendre auprès du gouvernement des États-Unis des démarches diplomatiques urgentes et vigoureuses.
Le G-20 va se réunir à Saint-Petersbourg, en Russie, le 5 et le 6 septembre. Ce forum, qui va rassembler nombre des principaux leaders du monde, ne saurait pas ne pas s’acquitter de l’obligation d’aborder avec le président des États-Unis la situation créée et d’entreprendre des actions concrètes pour la résoudre.
Sans tout ce qui est fait pour lui cacher la vérité et sans le flot gigantesque d’information tendancieuse, manipulée et incomplète dont il est submergé, le peuple des États-Unis, qui lors des guerres qui se sont succédées depuis celle du Vietnam jusqu’à nos jours a eu à endurer la mort de dizaines de milliers de ses jeunes, ne resterait certainement pas indifférent face à une nouvelle conflagration qui se traduira par une plus grande perte de vies humaines et, le moment venu, il se souviendra de la responsabilité des politiciens corrompus et des médias menteurs.
On peut se demander ce que va faire le Congrès des États-Unis, en reprenant ses travaux le 9 septembre, quand il aura à trancher entre le début d’une nouvelle guerre et la préservation de la paix internationale, entre la vie et la mort. Si, à l’instar du Parlement britannique, il rejette les visées agressives annoncées par le président, il fera une contribution surprenante et précieuse à la paix mondiale et au système politique controversé de son pays. S’il les approuve, il devra en assumer les conséquences face au verdict implacable de l’Histoire.
Cuba en appelle également aux leaders d’opinion des États-Unis et du monde pour empêcher que la loi de la jungle l’emporte sur la raison, pour empêcher le déclenchement d’attaques illégales contre d’autres pays, pour empêcher qu’on cherche à remplacer la diplomatie par la guerre.
Le ministère des Affaires étrangères lance aussi un appel à préserver la souveraineté, l’indépendance et l’intégrité territoriale de la Syrie et le droit de son peuple à l’autodétermination ainsi qu’à promouvoir le règlement du conflit par la voie diplomatique et sans effusion de sang.
Ministère des Affaires étrangères de la République de Cuba
Oggetto: I: Siria: le prime vittime di ogni guerra sono verità e umanità
Data: 31 agosto 2013 14.19.14 GMT+02.00
I tamburi dei signori della guerra rullano sul destino della Siria. Mentre sullo schermo di un pc in Italia quest'articolo sta prendendo forma, mentre miliardi di persone nel mondo stanno proseguendo (lì dove la miseria, l'impoverimento, le guerre e i tantissimi altri frutti della barbarie umana lo permettono) la loro vita quotidiana, nelle loro chiuse stanze i Signori della Guerra stanno elaborando strategie, meditando azioni belliche, disegnando traccianti e segnando punti sulle mappe. Discutono di numeri, bombe, aerei, su una mappa che appare la pista del monopoli o un plastico di Bruno Vespa. Ma non è così. Perché sotto quei punti, dietro quegli asettici numeri, son nascosti la vita e il destino di migliaia, forse milioni, di persone. La prima vittima di ogni guerra, qualsiasi guerra, è l'umanità, la vita assassinata. Possiamo nasconderci dietro tutte le retoriche perifrasi dell'immensa ricchezza semantica delle lingue occidentali, ma il significato è sempre quello: le guerre sono solo un immenso genocidio, le armi assassinano. I signori della guerra, e il main stream in servizio permanente, potranno alzare alta qualsiasi propaganda, ma non riusciranno mai a rispondere ad una domanda immediata, semplice e lineare: come si può "difendere i civili", "esportare la democrazia" o colpire un "tiranno" massacrando un popolo? Ogni nuova, crudele, macchina da guerra ancora una volta ci svela il vero volto delle nostre "democrazia", della nostra "civiltà". Se ancora una volta si ricorre ad una follia al di fuori della ragione (alienum est a ratione, come detto decenni fa), l'umanità non ha ancora compiuto alcun passo. Quale altra specie animale ha ideato qualcosa anche solo lontanamente paragonabile alla guerra? E' inutile invocare il progresso, la civiltà, lo sviluppo, la democrazia, la libertà. Sono tutte parole che suonano false se si pensa ancora che sia utile massacrare, uccidere, spargere sangue.
Ci stanno raccontando che la guerra civile è una fatalità, un mostro che non è stato possibile fermare prima e che nessun altro mezzo esiste oltre l'intervento bellico esterno. Le forniture di armi ai ribelli, gli affari dei mercanti di morte dimostrano esattamente il contrario: la guerra è stata fomentata, permessa, favorita da chi oggi afferma di essere costretto ad intervenire per fermarla. Continuano a raccontarci (esattamente come già ai tempi della Somalia, della Serbia, dell'Afghanistan, dell'Iraq e della Libia) che non ci sarebbe alternativa ad un intervento armato. Ed infatti non hanno mai speso nessuna parola, mai sostenuto in alcuna maniera Mussalah ("riconciliazione" in arabo), che da mesi tenta di costruire un'opzione nonviolenta alla guerra civile in corso.
Intanto, passano gli anni (e le guerre) e nessuno si prende la briga di andare a leggere cosa realmente dice il diritto internazionale (a partire dalla Carta di San Francisco, che esordisce con le parole "Noi popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra", e i "Covenants" del 1966 sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali dove leggiamo che "la guerra è vietata, anzi proscritta") , dove non esiste alcuna legittimità alla pretesa degli Stati Uniti di ergersi a gendarme e poliziotto del mondo con il potere di attaccare, bombardare, invadere altri Stati. Le uniche risposte le hanno fornite la "democratica"(esattamente come il mito dei progressisti europei Barack Obama) Madeleine Albright, quando considerò accettabile il quotidiano massacro di migliaia di iracheni per colpa dell'embargo, e l'Amministrazione Bush quando affermò che la guerra "contro il terrorismo" non si sarebbe fermata fin quando il resto del mondo non avesse accettato che gli USA potessero continuare a vivere secondo la loro volontà (quindi, fin quando tutto il resto del mondo non avesse accettato l'autorità imperiale a stelle e strisce e di fornire petrolio, altre fonti energetiche e tutto quello che l'Impero chiedeva a coloro che considera meno che sudditi).
La seconda vittima di ogni guerra è la verità, è la nuda realtà dei fatti. La guerra non accetta obiezioni, la macchina bellica non contempla nulla che non sia propaganda, yes-men, yes-women, collaborazionismo. Tutto dev'essere piegato ai suoi obiettivi, tutto quel che non è funzionale ai carri armati dei signori della guerra dev'essere manipolato, piegato, adattato, cancellato.
L'OPZIONE KOSOVO, LE BUFALE DI BUSH E BLAIR
In questi giorni ci stanno raccontando che Obama starebbe studiando un'opzione Kossovo per la Siria, la ripetizione del bombardamento su Belgrado del 1999. John Pilger in un articolo recente ( http://www.globalist.ch/Detail_News_Display?ID=48191&typeb=0&Venti-di-guerra-ricordando-le-bufale-del-Kosovo-) ha ripercorso tutte le tappe di quell'azione Nato, a partire dalle tante menzogne. La prima delle quali fu addossare alla delegazione serba la colpa della fine dei negoziati di Rambouillet, "dimenticandosi" che Madeleine Albright (quando ormai l'accordo era praticamente raggiunto) tentò di imporre l'occupazione militare di tutta la Jugoslavia da parte della NATO e degli USA. Blair e Clinton "giustificarono" il bombardamento di Belgrado (così chirurgico che, per bombardare 14 carrarmati, furono colpiti 372 centri industriali, la sede della televisione, ponti ed altri luoghi civili) con il massacro da parte delle milizie di Milosevic di almeno "225.000 uomini di etnia albanese di età compresa tra i 14 e i 59 anni". Dopo la fine dell'intervento armato l'FBI rimase diverse settimane in Kossovo senza trovare alcuna traccia di fosse comuni e di stermini di massa. Mentre, un anno dopo, il Tribunale Internazionale per i Crimini di Guerra (un ente di fatto istituito dalla Nato) affermò che il numero definitivo di corpi trovati nelle "fosse comuni" in Kosovo era 2.788, compresi i combattenti di entrambe le parti e i serbi e i rom uccisi dall'Esercito di Liberazione Albanese del Kosovo (KLA). Pilger sottolinea che "il Kosovo è oggi un criminoso e violento libero mercato di droga e prostituzione amministrato dalle Nazione Unite. Più di 200.000 serbi, rom, bosniaci, turchi, croati ed ebrei sono stati purificati etnicamente dal KLA mentre le forze della Nato rimanevano in attesa. Gli squadroni della morte della KLA hanno bruciato, saccheggiato o demolito 85 tra chiese ortodosse e monasteri, secondo quanto riportato dalle Nazioni Unite."
IL SOSTEGNO "INTERNAZIONALE" AI COMBATTENTI ANTI-ASSAD E LE FORNITURE DI ARMI EUROPEE
In Siria sta per scoppiare una nuova guerra. Nossignori, in Siria è già guerra da oltre due anni. Il Paese è già insanguinato dalla morte di migliaia di persone, vittime di un'atroce guerra civile. Una guerra civile dove le "Grandi Potenze" non arriveranno nelle prossime ore ma sono già presenti dall'inizio. Già un anno fa l'ottimo portale Sirialibia(http://http://www.sibialiria.org) ha redatto un elenco di tutti gli attori internazionali che stanno partecipando alla guerra civile in Siria. "Turchia e Libano del Nord (Tripoli e Akkar): offrono ospitalità a combattenti, servizi logistici e contrabbando di armi, spie e uomini; inoltre ospitano le famiglie dei combattenti siriani come rifugiati e le utilizzano presso i media; Qatar: finanzia sia l’approvvigionamento in armi che la disinformazione attraverso la sua tivù satellitare Al-Jazeera e altri canali (Al Jadeed in Libano, On Tv in Egitto, Orient Tv ospitata in Egitto e in altri paesi); Giordania: lavoro di intelligence, contrabbando di combattenti, ospitalità per le loro famiglie come rifugiati, e loro uso presso i media; Egitto, Tunisia, Libia, Afghanistan, Pakistan, Cecenia: forniscono combattenti jihadisti (fra gli altri il giornalista britannico Robert Fisk ne ha incontrati molti ad Aleppo); Francia e Gran Bretagna: lavoro di intelligence, telecomunicazioni high-tech e spionaggio." Il 28 Maggio di quest'anno la Rete Italiana per il Disarmo ha denunciato che i Paesi dell'Unione Europea hanno deciso di "cancellare l’embargo di armi verso la Siria" così da dare "la possibilità ai paesi membri di fornire armamenti ai ribelli in lotta con il regime di Assad".
A questo elenco andrebbe poi aggiunto il Sudan che, come denunciato dal Washington Post e dal settimanale Sud Sudanese The New Nation, fornisce armi ai "ribelli": armi automatiche, munizioni, fucili di precisione per i cecchini, missili anti carri armati, missili anti aerei FN-6 a ricerca automatica di calore, prodotti a Khartoum, acquistati dal Qatar e spedite in Siria tramite la Turchia.
L'Italia non è esente da questa partecipazione alla guerra civile siriana. Il 1° Agosto di due anni fa Giorgio Beretta denunciò su Unimondo (http://www.unimondo.org/Notizie/Siria-ministro-Frattini-quei-carro-armati-sparano-italiano-sui-civili-di-Hama-131207 ) che sui "carri armati T72 di fabbricazione sovietica" in dotazione all'esercito di Assad (e accusati di aver sparato sulla folla ad Hama nelle settimane precedenti) "sono da anni installati i sistemi di puntamento e di controllo del tiro TURMS-T" prodotti da Selex Galileo, ex Galileo Avionica, una controllata di Finmeccanica. Il 28 Agosto OPAL, l'Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa di Brescia, ha documentato che "Tranne quelle verso la Giordania e il Libano, le esportazioni dei paesi dell’Unione Europea di fucili, carabine, pistole e mitragliatrici sia automatiche che semiautomatiche verso le nazioni confinanti con la Siria sono raddoppiate o addirittura triplicate tra il 2010 e il 2011. Lo documentano i rapporti ufficiali dell’Unione Europea: la Turchia è passata dai poco più di 2,1 milioni di euro di importazioni di armi leggere europee del 2010 agli oltre 7,3 milioni del 2011; Israele da 6,6 milioni di euro ad oltre 11 milioni di euro e addirittura l’Iraq da meno 3,9 milioni di euro del 2010 a quasi 15 milioni nel 2011".
I MASSACRI E GLI STUPRI DEI "RIBELLI"
Ci hanno raccontato in questi mesi, e ancor più nelle ultime settimane e giorni, uno scontro tra il Male e il Bene, con i "ribelli" (sostenuti e fomentati dalle armi occidentali e delle petro-monarchie del Golfo Persico) civili, democratici, bastioni di civiltà. Nel luglio scorso sono nati in Siria i primi figli del jihad al nikah, il matrimonio ad ore che in alcuni casi rende lecito anche lo stupro. Nei mesi scorsi lo Sceicco wahabita Mohammed al-Arifi ha fatto un appello per l'arruolamento delle donne per la jihad in Siria ed emanato una fatwa per il jihad al nikah, un matrimonio che - dopo averlo "consumato" - i miliziani possono sciogliere (anche dopo poche ore appunto) ripetendo per tre volte la formula rituale del ripudio per annullare le nozze, così che queste vere e proprie "schiave del sesso" possano essere sposate da un altro miliziano. In tutto questo la volontà della donna non viene minimamente contemplata e, anzi, il jihad al nikah rende lecito al "marito temporaneo" lo stupro della donna che non volesse acconsentire. Nella notte tra il 22 e il 23 luglio a Khan al-Asal, un villaggio a maggioranza sciita e alawita a sud-ovest di Aleppo, è stato teatro di una terribile strage criminale. Secondo alcune dettagliate ricostruzioni (riportate al linkhttp://www.sibialiria.org/wordpress/?p=1821 ) affiliati allo Stato islamico dell'Iraq e del Levante, Jabhat al-Nusra e sostenitori del califfato islamico hanno dapprima attaccato e poi invaso il villaggio e, dopo aver massacrato i militari siriani, hanno ucciso tutti quelli che si trovavano per le strade, fatto irruzione nelle abitazioni e ucciso i giovani sparando alle loro teste, decapitato gli anziani e bruciato decine di donne, completando l'orrore criminale accanendosi sui corpi dei morti prima di gettarli in una fossa comune alla periferia del villaggio. Il quotidiano britannico Telegraph ha denunciato che a Deir Ezzor e Hassaké molti sono stati costretti a fuggire altrove, a convertirsi forzatamente o a “pagare per la rivoluzione". Un'altra strage (fonte: http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=1835 ) è stata compiuta da Jabhat al-Nusra, Liberi del Levante, Brigate dei Mouhajirin, Aquile del Levante, Aquile della dignità e Brigata dei libici in 10 villaggi abitati prevalentemente da alawiti tra Kafrayya, Talla, Barmasse, Anbaté e Beit Shokouhi. A Balluta la popolazione è stata radunata fuori dalle case e sono stati uccisi tutti i giovani e i bambini con coltelli di fronte alle loro famiglie. Ad Abu Mecca sono stati sgozzati tutti gli abitanti, così come ad Istarba.
LE ARMI CHIMICHE
I media main-stream, ripetendo quando affermato da Obama, Cameron, Hollande e Letta, ci hanno raccontato in queste ore che non è più possibile attendere e che la Siria ha varcato la "linea rossa" utilizzando armi chimiche per massacrare la propria popolazione. La "linea rossa" sarebbe stata attraversata con l'attacco del 21 Agosto alle 3 del mattino. Il video che da giorni le televisioni italiane ci stanno mostrando a tutte le ore è stato caricato su youtube il 20 agosto. Alcuni esperti di armi non convenzionali hanno notato che le persone riprese nel video non mostrano i sintomi di intossicazione da gas sarin e i soccorritori "non hanno protezioni, quindi la tossicità del prodotto è più bassa" (Gwyn Winfiled intervistato da Repubblica per esempio il 22 Agosto). Secondo Jean Pascal Zanders, esperto in armi chimiche e biologiche per l'istituto dell'Unione europea per la sicurezza, i soccorritori (equipaggiati e non protetti come vediamo nel video) sarebbero dovuti morire all'istante a loro volta. Medici Senza Frontiere, nel suo comunicato (http://medicisenzafrontiere.it/msfinforma/comunicati_stampa.asp?id=3220&ref=listaHomepage) del 24 Agosto riferisce semplicemente di aver avuto notizie (che non ha avuto modo di verificare, in quanto " il personale di MSF non è stato in grado di accedere alle strutture") di "un gran numero di pazienti giunti con sintomi quali convulsioni, eccesso di salivazione, pupille ristrette, visione offuscata e difficoltà respiratorie" sottolineando che "MSF non può né confermare scientificamente la causa di questi sintomi, né stabilire chi è responsabile per l'attacco". Ben diverso dalla conferma dell'uso di gas sarin da parte di Assad, come vorrebbero farci credere. Secondo Jean Pascal Zanders, esperto in armi chimiche e biologiche per l'istituto dell'Unione europea per la sicurezza, i soccorritori sarebbero dovuti morire all'istante a loro volta. SyriaTruth (un sito di oppositori ad Assad non armati, coordinato da un esule) riferisce di progetti organizzati dalle "brigate turkmene" di Latakia e Damasco, in particolare "la bandiera dell'Islam" e "le brigate dei discendenti del Profeta", e che i villaggi di Zamalka e Ein Tarma (dove si sarebbe verificata la strage) sono poco distanti dalle zone residenziali principali della capitale, abitate per lo più da siriani filogovernativi, e dall'aeroporto militare di Mezzeh. Su youtube si trova anche questo video http://www.youtube.com/watch?v=XPXwGKDrMQw&feature=share , nella cui didascalia leggiamo "Da una conversazione tra dirigenti della società di mercenari britannica "Britam Defence", pubblicata dal Daily Mail di Londra, viene la prova che gli Usa hanno sollecitato il Qatar a fornire armi chimiche ai "ribelli", in modo che gli Usa possano accusare il governo di Assad di ricorrere a tali armi, La fonte sono messaggi email tra i dirigenti di cui sopra scoperti da un hacker malesiano." Il rappresentante ufficiale del Ministero degli Affari Esteri della Russia presso l'ONU ha fornito foto scattate da satelliti russi che documentano che è stato lanciato un razzo che conteneva sostanze chimiche tossiche sulle zone orientali nei pressi di Damasco dalle aree occupate dai ribelli. Carla Del Ponte (ex procuratore capo del Tribunale penale internazionale) già nel maggio scorso dichiarava in un'intervista alla Radio Svizzera Italiana "Abbiamo potuto raccogliere alcune testimonianze sull'utilizzo di armi chimiche, e in particolare di gas nervino, ma non da parte delle autorità governative, bensì da parte degli oppositori, dei resistenti". All'inizio di giugno in Turchia sono stati arrestati alcuni guerriglieri appartenenti al Fronte al-Nusra (la principale formazione jihadista attiva in Siria) nelle cui abitazioni sono state rinvenute sostanze chimiche come il sarin.
IL MUOS E IL RISCHIO CHE LA SICILIA DIVENTI UNA BASE USA
L'ultima manipolazione da parte del Governo Italiano (il Ministro Bonino sono giorni che ripete "senza l'ONU l'Italia non partecipa") e dei media main stream è sulla partecipazione italiana. Tutti "dimenticano" che in Italia sono presenti diverse basi USA (che quindi rispondono al governo statunitense e non al Parlamento italiano). E ovviamente (dopo aver trasformato la straordinaria manifestazione del 9 Agosto scorso in una giornata di scontri violenti) senza minimamente citare il MUOS, la cui costruzione ha subito una fortissima accelerazione nei giorni scorsi ( http://www.nomuos.info/ricominciano-lavori-teniamo-alto-la-guardia/ ), dopo il precedente violento sgombero del presidio No Muos (https://www.youtube.com/watch?v=1iwa1Smd7MM&feature=youtube_gdata_player). L'accellerazione nella costruzione nel MUOS, la presenza di basi militari USA (attrezzate anche per i droni, gli aerei senza pilota) fanno temere che la Sicilia non sarà assolutamente estranea alla mobilitazione militare.E, anzi, così come avvenuto con la guerra in Libia (quando dall'isola partirono quasi tutte le operazioni) potrebbe essere una delle basi più importanti della "nuova" guerra USA. Si considerano i baluardi della civiltà e della democrazia nel mondo, proclamano altissima la bandiera della libertà, dei diritti umani e della libertà. La Sicilia mostra la realtà: violentano l'ambiente, mettono a rischio la salute, s'impongono manu militari sulle popolazioni. Rullano i tamburi di guerra e le infowar dominano il mondo dell'informazione...
Alessio Di Florio
Associazione Antimafie Rita Atria
Associazione Culturale Peppino Impastato
PeaceLink - Telematica per la Pace
abruzzo@...
http://www.ritaatria.it
http://www.peacelink.it/abruzzo
http://www.peppinoimpastato.com
Gearóid Ó Colmáin, Dissident Voice 8 agosto 2013
Anderson Cooper della CNN è stato scoperto fabbricare false notizie sulla Siria per giustificare l’intervento militare
JG Vibes, Intellihub, 30 agosto 2013
By WW Editor on August 31, 2013
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SocDem Head Says Slovenian Right Switching towards Pro-Fascism
Mémoire de la Seconde Guerre mondiale en Slovénie : la droite flirte avec les extrêmes
Igor Lukšič, le président du parti social-démocrate (SD), a vertement critiqué la présence de Janez Janša, l’ancien Premier ministre devenu chef de l’opposition, à la commémoration du 70ème anniversaire du mouvement pro-nazi des Domobranci. Igor Lukšič a déclaré que la droite slovène avait franchi la ligne rouge, qu’elle était passée de l’anti-communisme au fascisme.
Le 23 août a été choisi à l’échelle européenne pour devenir la journée en souvenir des victimes des régimes totalitaires. En 2012, le gouvernement de Janez Janša avait célébré cette date. Mais pour Igor Lukšič, cette journée est devenue un anniversaire pour la droite slovène, qui ne se contente plus de dénoncer le communisme. « Le problème de la droite slovène, c’est qu’elle est devenue fasciste. Rendre hommage aux Domobranci, c’est aller trop loin. Cet acte doit être dénoncé par les démocrates de Slovénie et de l’Union européenne ». Selon Igor Lukšič, c’est la première fois qu’un parti parlementaire célèbre la mémoire des Domobranci.
Le SDS de Janez Janša a répondu sur Twitter qu’il ne célébrait pas la mémoire des Domobranci mais de ceux « qui sont tombés sous les coups de l’Étoile rouge et de la Svastika ». Le SDS a également rappelé que les partis de gauche rendaient hommage aux régimes totalitaires, en montrant une photo d’Igor Lukšič à un concert du Pinko Tomažič Partisan Choir - un orchestre créé en Italie, près de Trieste, par d’anciens partisans yougoslaves - dans la Stožice Arena de Ljubljana, avec en toile de fond le drapeau des Partisans.
« Cette question n’est pas une simple bataille idéologique », poursuit Igor Lukšič, « les formations de droite soutiennent une partie de l’armée qui a collaboré avec l’occupant nazi et trahi le peuple slovène », avant d’appeler le SDS de Janez Janša à ne pas répéter en 2013 les erreurs de 1941. Pour Igor Lukšič, dont le parti est issu de l’ancienne Ligue des communistes, le SDS de Janša se radicalise car la droite perd du pouvoir en Europe.
Pour les autres partis, cette polémique est vaine et sans intérêt. Franc Bogovič, le président du Parti populaire (SLS) n’y voit qu’une partie de ping-pong idéologique entre le SD et le SDS. Le parti d’opposition Nouvelle Slovénie (NSi) a déclaré que le 23 août devrait être un jour pour condamner tous les crimes commis par les trois régimes totalitaires. « C’est la seule façon d’avancer vers la compréhension de notre histoire et la réconciliation nationale », soutient le NSi, qui demande aux autorités d’assurer de vraies sépultures aux victimes de tous les totalitarismes.
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7710
Serge Brammertz still won’t comment on Judge Harhoff letter controversy, but says court decision to acquit Serbian secret service officers was “unjust”.
The Hague tribunal prosecutor has announced that his office is to appeal against the recent acquittal of Serbian intelligence officials Jovica Stanisic and Franko Simatovic, and may also request a review of the appeals judgement that acquitted Croatian general Ante Gotovina last year...
"By any standard of due process of law... I would be entitled to have my views considered" – Judge Frederik Harhoff
Judge Frederik Harhoff has questioned last week’s decision to disqualify him from the Hague trial of Serbian nationalist politician Vojislav Seselj...
https://www.cnj.it/MILOS/testi.htm
Judge claims US and Israel pressed for release of Yugoslav war criminals
By Paul Mitchell
8 July 2013
A top Danish judge sitting on the International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia (ICTY), Frederik Harhoff, claims that the US and Israel pressed for the release of top-ranking Croatian and Serbian officers accused of war crimes.
Harhoff alleges that ICTY President Theodor Meron, a former legal counsel to the Israeli Foreign Ministry and former Counsellor on International Law in the US State Department, exerted “persistent” and “intense” pressure on other judges to recently acquit Croatian general Ante Gotovina and Assistant Interior Minister Mladen Markac, Yugoslav general Momcilo Perisic and Serbian intelligence officials Jovica Stanisic and Franko Simatovic. Harhoff said their release was contrary to the tribunal’s standard practice of holding military commanders responsible for crimes committed by their subordinates.
Western powers are concerned that if the standard became enshrined in international law, future military operations would be put in jeopardy and commanders would run the risk of being hauled in front of human rights courts accused of war crimes.
In a private memo addressed to 56 people, published in the Danish newspaper BT last month, Harhoff explained that the ICTY had created a “fairly firm legal practice” in relation to the responsibilities of top military chiefs.
“Right up until autumn 2012, it has been a more or less set practice at the court that military commanders were held responsible for war crimes that their subordinates committed during the war in the former Yugoslavia from 1992-95, when the Dayton Agreement brought an end to the war in December 1995.”
“Now apparently the commanders must have had a direct intention to commit crimes—and not just knowledge or suspicion that the crimes were or would be committed,” he continued.
“It would seem that the military establishment” in leading states such as Israel and the US “felt that the tribunal was getting too close to top-ranking military commands.”
Harhoff pondered, “Has an Israeli or American official influenced the American President of the tribunal to effect a change of course?”
“I am left with the distinctly unpleasant impression that the tribunal has shifted course as a result of the pressure from ‘the military establishment’ of certain powerful countries.”
By authorising the release of convicted criminals it would “in future and in the majority of cases allow the top-ranking person to go free. This means that American (and Israeli) commanders in chief can breathe a sigh of relief…”
Harhoff concluded, “The latest judgements here have brought me before a deep professional and moral dilemma, not previously faced. The worst of it is the suspicion that some of my colleagues have been behind a short-sighted political pressure that completely changes the premises of my work in my service to wisdom and the law.
US diplomatic cables from 2003 published by WikiLeaks appear to support Harhoff’s claims. They show that Meron was in constant contact with Pierre-Richard Prosper, who served as Ambassador-at-Large for War Crimes Issues under President George W. Bush from 2001 to 2005, discussing in depth the work of the ICTY and handing over confidential tribunal documents.
One describes Meron as “the tribunal’s pre-eminent supporter of United States government efforts,” and how he “responded positively to Prosper’s detailed explanation of US policy”. Meron was particularly critical of Chief Prosecutor Carla del Ponte, who had condemned recent statements made by US officials as “a direct interference in the work of the Tribunal and unacceptable,” and was asking US help in preventing her reappointment.
In another cable, the US was concerned that del Ponte was intending to indict 30 individuals, “all at the highest levels,” meaning that “that the indictees will be at the general or ministerial level or their equivalents (i.e. with respect to the KLA).” The CIA and European intelligence agencies backed the KLA and used it as a proxy to facilitate the plans of the US, using NATO as its military umbrella, to complete the dismemberment of Yugoslavia.
The publication of Harhoff’s email has created a crisis in the ICTY.
Last week, current ICTY chief prosecutor Serge Brammertz declared, “I understand the disappointment felt by many, especially survivor communities following the series of recent acquittals mentioned in Judge Harhoff’s letter. My office shares that disappointment.” Brammertz announced that his office is to appeal against the acquittal of Stanisic and Simatovic, and may also request a review of the Gotovina and Markac cases. He refused to comment on Harhoff’s email, saying he was “concerned about the destructive elements in the debate that has followed the letter’s publication” and that “it is not appropriate or helpful for this office to enter into the debate.”
Harhoff’s revelations have also led lawyers for the deceased Bosnian army commander Rasim Delic to request that his three-year jail sentence for the cruel treatment of Serb prisoners be “revised”. They said, “The publication of Judge Harhoff’s letter has unilaterally brought the reputation of the tribunal into significant disrepute and risks losing public confidence in the tribunal’s work…It is therefore the responsibility of the appeal’s chamber to rectify the fallout committed as a result of Judge Harhoff’s appearance of bias.”
A number of Balkan human rights organisations have also written to United Nations General Secretary Ban Ki-moon calling for an investigation into Harhoff’s claims, declaring, “Without such an enquiry... doubts about the fairness of ICTY judgments will permanently mar the work of this important institution of international law.”
Back in 2001, the WSWS warned, “The attempt to present the ICTY as a ‘first step’ towards a permanent court to punish the perpetrators of war crimes and human rights abuses does not stand up to examination.” It explained that the main instigator of the ICTY was the US, which consistently opposed the universal application of human rights laws, refusing to recognise the creation of the International Criminal Court unless its military forces were exempted from the jurisdiction of the proposed body.
It explained how US and European policy of dismembering Yugoslavia set the stage for a series of bloody civil wars, whose legacy was the creation of a series of mini-states, in which the Western powers exercise untrammelled economic and political control. The function of the ICTY was to provide a legal veneer for this predatory imperialist policy.
The author also recommends:
Croatian war criminals released after appeal by Western military chiefs
[11 December 2012]
Tribunale dell'Aja: il fattore Harhoff
Una lettera incendiaria
Uno scenario imbarazzante
Un tribunale è soltanto un tribunale
Aus Erfahrung mit NATO-Bomben
IMPERIJALISTI DALJE RUKE OD SIRIJE
Nova komunistička partija Jugoslavije (NKPJ) najoštrije osuđuje nove imperijalističke pritiske zapadnog imperijalizma na čelu sa SAD koji imaju za cilj pokretanje vojnih operacija protiv Sirije.
NATO pritisci i zveckanje oružjem uvod su u novu imperijalističku intervenciju zapadnog imperijalizma na čelu sa SAD-om. NATO pod komandom SAD davno je srušio međunarodni pravni poredak izgrađen posle Drugog svetskog rata i učinio OUN beznačajnom organizacijom. Optužbe i izgovori koji SAD koriste protiv Sirije tragično nas podsećaju na izgovore koji su predhodili monstruoznoj NATO agresiji protiv SR Jugoslavije 1999. godine. Isti model korišćen je i u slučajevima Avganistana, Iraka i Libije. Dosadašnji zapadni planovi imperijalističkih sila oko Sirije doživeli su poraz. Sirijska vojska nije poražena, a do nikakve pobune naroda Sirije nije došlo. SAD sada zbog neuspeha svojih planova i propasti scenarija destabilizacije i okupacije Sirije primorani su da se direktno umešaju. Za imperijalističke sile sada više nema drugog rešenja osim da izvedu direktne vojne napade na položaje sirijske vojske kako bi spasili svoje militantne saveznike, gomilu terorista, koji se gotovo svugde nalaze u obruču i preti im potpuni slom.
Napad na Siriju biće još jedan kriminalni akt koji krši međunarodni zakon.
Imperijalizam je najviši stadijum kapitalizma, izopačene anti-ljudske ekonomske doktrine koja sve svodi isključivo na brutalno ostvarenje profita. On punom snagom stupa na scenu onda kada se kapitalistički sistem već toliko proširio da dolazi do svojih krajnjih granica izdržljivosti.
Verujemo da će Sirija u slučaju agresije zapadnog imperijalizma predvođenog SAD biti novi Vijetnam, nova grobnica američkog imperijalizma.
NKPJ na predlog Komunističke partije Grčke potpisala je zajedničko saopštenje komunističkih i radničkih partija sveta protiv imperijalističke intervencije na Siriju.
NKPJ izražava punu podršku narodu Sirije u borbi za očuvanje svoje slobode i nezavisnoti i prava na izbor svog puta.
Sekretarijat NKPJ,
Beograd,
01.09.2013
Intervju s ambasadorom Sirije u Beogradu: "Sirija je socijalistička zemlja i kao takva je trn u oku ne samo zapadu, već i svim reakcionarnim i fundamentalističkim islamskim režimima"
V.R.:
Poštovani gospodine ambasadore, Vaša Ekselencijo, čast nam je što ste u ovom trenutku našli vremena da napravimo ovaj intervju. Voljeli bismo da nam nešto kažete o povijesti Sirije, jer malom broju ljudi je poznato da je sa teritorije današnje Sirije potekla ljudska civilizacija.
Sulejman Abu Dijab:
Da, Sirija je izvorište ljudske civilizacije. Prvo pismo u povijesti ljudske civilizacije je nastalo na teritoriju Sirije. Oko Alepa je prije više od 10 000 godina stvoren prvi silos za čuvanje pšenice. Prvi kotač je napravljen u Siriji, kao i prva glazba koja je nastala na instrumentima koje su stvorili preci današnjih Sirijaca. Damask je najstariji grad na svijetu. Također i prvo željezo je izliveno na teritoriju današnje Sirije. Mnogi smatraju da je i Isus Krist porijeklom iz Sirije, jer on nije govorio židovskim jezikom, već je govorio aramejskim jezikom koji se i danas koristi u mnogim mjestima oko Damaska. Također i veliki prorok Muhamed potječe iz plemena Kuraiši koje je obitavalo u blizini Damaska. Upravo zato svaki Sirijac je prije svega čovjek, a potom kršćanin, musliman ili židov. Sirijci, duboko svjesni svog porijekla i povijesti, nikada nisu bili niti ekstremisti, niti agresori i više od svega su cijenili mir i slogu.Poznato je da je sveti Pavao osnovao prvu kršćansku crkvu u Siriji i da su tada svi Sirijci bili pravoslavci, i sada je Sirija konglomerat više religija i da to mnogima smeta. Britanski znanstvenik Durant koji je autor knjige "Historija civilizacije " je rekao da svaki civiliziran čovjek ima dvije domovine. Jednu, svoju vlastitu i drugu Siriju. Upravo zbog toga su svi neprijatelji Sirije u isto vrijeme neprijatelji čovječanstva.
V.R.:
Vaša Ekselencijo, kakva je trenutna situacija u Siriji?
Sulejman Abu Dijab:
Narod Sirije je potpuno jedinstven sa svojom vojskom i rukovodstvom na čelu sa Bašarom al-Asadom. Prošlo je 2,5 godina kako zapad i ekstremni arapski režimi pod kontrolom zapada pokušavaju uništiti Siriju. Potrošili su više od 100 milijardi dolara, angažirali su preko 100 000 dobro opremljenih i obučenih ekstremista, terorista, plaćenika i patoloških ubojica iz cijelog svijeta. Pokrenuli su ogromnu propagandnu mašineriju protiv Sirije, tako da više od 150 tv kanala vrši neprekidnu kampanju protiv naše zemlje. Teroristi dobivaju svu moguću pomoć od strane zapada i reakcionarnih arapskih režima, ali nisu uspjeli poraziti sirijski narod i njegovu vojsku. Naprotiv, nalaze se pred slomom i zato ih je zapad morao spašavati od propasti izmišljajući da je sirijska vojska koristila bojne otrove. Čudno je da ti 'bojni otrovi' selektivno djeluju. Ne djeluju ni na sirijske vojnike, ni na ptice ni na životinje, djeluju samo na civile koji su pod okupacijom terorista. Ovo je samo jedna od već provjerenih laži koje se koriste da bi se napala neka zemlja. Isti scenarij po kojem je napadnuta Srbija, Irak, Afganistan, Libija, sada se primjenjuje prema Siriji. Naknadna 'pamet' zapada i priznanje da su 'pogrešno' obavješteni, ništa ne mijenja. Nevini stradaju.
V.R.:
Zbog čega su neki arapski režimi, Turska i Izrael protiv Sirije?
Sulejman Abu Dijab:
Sirija je socijalistička zemlja i kao takva je trn u oku ne samo zapadu, već i svim reakcionarnim i fundamentalističkim islamskim režimima. Što se tiče Izraela, sve ovo što se dešava, dešava se u korist Izraela. Izrael ne želi mir, ma koliko se u njega zaklinjao, a ni zapad ne želi mir na Bliskom istoku. Da SAD i ostale zapadne zemlje žele mir, onda bi natjerale Izrael da prihvati mir, kao i da poštuje Rezoluciju UN br.242 koja poziva Izrael da se povuče s okupiranih teritorija i da omogući formiranje Palestinske države. To bi i po Izrael bilo optimalno rješenje, jer bi se time omogućio mir cijeloj regiji Bliskog istoka. Međutim, to ne odgovara ni zapadu, ni Izraelu. Sve zemlje i sve organizacije Palestinaca koje su rekle NE zapadu i Izraelu moraju biti eliminirane i zato zapad i Izrael traže glavu predsjednika Sirije Bašara al-Asada, ali ne shvaćaju da Sirija nije samo Bašar, već da je to cijeli sirijski narod.
V.R:
Tko podržava teroriste unutar Sirije?
Sulejman Abu Dijab:
Na početku svih ovih događanja prije dvije i pol godine to su bile nenasilne demonstracije i zahtjevi jednog dijela sirijskog naroda za većom demokratizacijom društva, što je od rukovodstva Sirije prihvaćeno i stvoren je novi Ustav Sirije, reformirani mediji i pozvani su svi građani Sirije da daju prijedloge za razvoj Sirije. Time su demonstracije prestale, ali zapadu to nije bio cilj. Cilj je bio rušenje Sirije i dovođenje nekog podobnog režima, što je u jednom govoru predsjednik Bašar jasno sagledao. Pošto su samo neki marginalci i neke fundamentalističke grupe bile za to da oružjem ruše legitimne predstavnike naroda, zapad je iskoristio njih, ali pošto takvih u Siriji nije bilo mnogo, poslao im je pomoć od preko 100 000 terorista iz cijelog svijeta, a naročito terorista iz islamskih zemalja. Materijalnu pomoć i plaćanje teroristima su na sebe preuzeli reakcionarni fundamentalistički islamski režimi. Da nema moći novca zbog koga su plaćenici došli u Siriju, ne bi bilo ni rata u Siriji.
V.R.:
Da li vidite neke sličnosti između scenarija napada zapada na SR Jugoslaviju, odnosno Srbiju 1999. god. i sada na Siriju?
Sulejman Abu Dijab:
Kakva je razlika? Scenarij je potpuno isti. Montira se nekakva providna laž i onda se to iskoristi kao povod da se uništava zemlja. U slučaju Sirije izgleda da su bojni otrovi tako 'dobro i savršeno' napravljeni da djeluju selektivno. Slike koje su obišle svijet pokazuju amaterizam onih koji su montirali laži o upotrebi bojnih otrova.
V.R.:
Što će se desiti ako zapad napadne Siriju?
Sulejman Abu Dijab:
Branit ćemo se svim sredstvima. Naši nas prijatelji podržavaju u svemu, ali mi ne želimo da do takvog napada dođe, jer je regija Bliskog istoka već bačva baruta koja bi eksplodirala. Mi, Sirijci, smo bili uvijek za mir i nismo željeli nikakvo zlo bilo kome. Molimo Boga da do napada ne dođe, ali ako se moramo suočiti s napadom, mi ćemo se obraniti i pobjediti.
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petak, 30 avgust 2013 23:00
Dolazeći sirijski rat donosi toliko novih momenata u odnosu na prethodne da nam analogije neće biti od velike pomoći
1.
U novi rat Ameriku će uvesti predsednik koji je na to mesto došao predstavljajući se kao antipod svog ratobornog prethodnika i udahnjujući Americi nadu, izrečenu kao obećanje dubokih promena pred zidom do koga je zemlju doveo Buš mlađi sa svojim “ratovima protiv terorizma“. Danas rečenicu da “nije pitanje hoće li Sirija biti bombardovana, već kad će biti” izgovara čovek kome je, ne tako davno, Nobelova nagrada za mir dodeljena kao avans za ogromna očekivanja od njega. Istovremeno, ministarstvo vojske u novom američkom ratu vodiće Čak Hejgel, jedan od najubedljivijih kritičara Bušovih ratova u Avganistanu i Iraku, redak tip u vašingtonskom establišmentu koji se odvažio da kritikuje Izrael, gotovo jedini tamošnji zagovornik dijaloga sa Iranom – rečju, možda najneratoborniji šef Pentagona otkad Amerika ratuje izvan svojih granica. Diplomatsku podršku američkim raketama i avionima predvodiće vijetnamski veteran i protivnik intervencionističke politike Džon Keri, koji je prošle zime, dolazeći na čelo Stejt departmenta, uneo nešto nade u miran rasplet sirijskog konflikta kao čovek sa solidnom ličnom vezom sa Bašarom al Asadom. Konačno, na čelu generalštaba američke armije u sirijskom ratu biće general sa četiri zvezdice Martin Dempsi, koji je, protiveći se direktnom mešanju u rat, dao zabrinjavajući predračun, tvrdeći da će za tu avanturu trebati „stotine scenarija, hiljade vojnika i milijarde dolara“.
Nikad više golubova na vrhu Amerike, nikad manje podrške za neki rat među Amerikancima, i nikad ratobornija Amerika. Kako je to moguće?
2.
Odgovoru bi se mogao obradovati samo neko poput Ivice Dačića, kome se ne može prigovoriti da manje vodi Srbiju nego što Obama i njegovi izabranici vode SAD. Radi se o tome da Ameriku u novi veliki rat i novi veliki zločin manje nego ikad vodi njen politički vrh, što, naravno, ne umanjuje njegovo učešće i u ratu i u zločinu, pa samim tim ne umanjuje ni njegovu odgovornost. Vidljivije nego ikad pre, Ameriku u rat vodi njena mračna moć, centri odlučivanja kojima taj mandat nije dao američki narod.
Čitalac će reći da to i nije toliko novo i da je ta mračna moć – koju neki nazivaju vojno-industrijskim kompleksom iako je to malo redukovano gledanje na stvari – Ameriku, po svooj prilici, vodila i u prethodne ratove. To je tačno onoliko koliko je tačno da smo za američke zločine u Avganistanu i Iraku negde znali i pre Vikiliksa, ali nam ih je Džulijan Asanž učinio vidljivim, kao što smo slutili razmere kontrole interneta i rađanje jedne totalitarne sile i pre Edvarda Snoudena, ali nam je samo on to učinio jasno vidljivim. Jednako tome, sirijski rat čini vidljivijim onih američkih “jedan odsto”, koji i započinju ratove i istovremeno čiste račune svojih građana. I čini ih vidljivijim ne samo nama već i za tih američkih “99 odsto”, omraženijih u ostatku sveta više nego ikad u istoriji te države.
Ta vidljivost jeste važan aspekt produbljivanja zapadne krize, koja zbog Sirije postaje jasnija čak i pre prve rakete koja je pala na tu nesrećnu zemlju. Ta kriza danas se očituje i u pobuni britanskog parlamenta, koji je odbacio predlog Dejvida Kamerona za učešće u ratu te zemlje, koja je od 90-tih do danas češće nagovarala Ameriku da uđe u ratove nego što je pokušavala da je od njih odgovori, a da je dezertirala, kao sada, nije nikad. Iako nisam siguran da će London ostati na toj poziciji, iako je Olandu pošlo za rukom da bude veći Sarkozi od Sarkozija, Amerika je na vratima Sirije usamljenija nego ikad. I to u pošto je u Libiji Obama pronašao čarobnu formulu kako da u isto vreme bude i mirotvorac i ratonosac, tako što njegova zemlja, bar za onaj varljivi utisak oka nije bila u prvim redovima agresije, nego su tamo za nju trčali drugi. Naravno, i ovaj put Obama će pokušati da pronađe “srednje rešenje” planirajući organičene udare, koji bi trebalo da preokrenu stanje na terenu u korist sirijskih pobunjenika. Ali kao što ne može da zna gde će stvar otići posle prve rakete na Damasku, još manje može da zna gde će otići posle pethiljadite, dok mu situacija posle prvog oborenog američkog aviona može biti samo u mrklom mraku.
A sve to jeste jedna sasvim nova situacija, koja upućuje na to da će unutrašnji otpori na Zapadu agresiji na Siriju imati potencijal da budu najveći još od Vijetnamskog rata, i to sa veoma nepredvidivom političkom artikulacijom, konsekvencama i raspletima.
3.
Drugi novi momenat jeste taj što je sve prethodne američke ratove – od Pustinjske oluje do Libije –američka mračna moć vodila uz čisto osećanje sopstvene superiornosti, koje se na terenu pretvaralo u neku vrstu izrazitog misionarskog kompleksa. Taj kompleks biće prisutan i u ratu u Siriji, ali ovaj put nečist, prvi put kontaminiran samosvešću o američkoj slabosti ili, bolje rečeno, opadajućoj snazi.
Jer, dok pritiskaju Obamu da upali motore nad Sirijom, američki senatori glasaće o zakonu kojim će još jednom povećati dozvoljenu visinu ogromnog američkog duga. Ta kontradikcija misionara opadajuće snage sužava američke opcije, makar utoliko što Vašingtonu nameće svest o tome da, ako ne udari danas, sutra već može biti kasno jer će se klatno američke nemoći još više približiti svojoj amplitudi.
Zašto je to novo i važno? Zato što, ulazeći u sukobe vođeni svešću o sopstvenoj superiornosti, pred sobom možemo da vidimo granice dokle je moguće i dokle je smisleno ići. Sukobi u koje nas vode i slabost i saznanje da ćemo sutra biti još slabiji čine od nas neku vrstu Pepeljuge – koja ima svest o svojoj čaroliji, ali i svest da u jednom času od te čarolije neće ostati ništa, i da princa može osvojiti do ponoći ili nikad. Taj raskorak jeste neka vrsta panike koja nagriza našu trenutnu superiornost i, smanjujući racionalnost naših procena, pretvara nas u krčag koji ide na vodu dok se ne razbije.
Taj dualizam redukuje i najosnovnije američke opcije – ona više ne može nazad, i ona mora napred do kraja – i na Siriju, i na Iran, i na Kinu, i na Rusiju. Onaj koji ne može nazad i koji ne može da stane, nije vođen idejom o dobitku, već prokletstvom; taj nije pobednik ni kad je najjači jer taj sam sebi dolazi glave. I po tome je Sirija nešto novo, kao stanica sa koje povratka neće biti.
4.
Onaj ko, vođen prokletstvom a ne racionalnom procenom, ne može nazad, taj svojim protivnicima šalje jednostavnu i jasnu poruku: da, sklanjajući se, ništa neće izbeći.
Otuda je Srbe, pretučene i bombardovane, bilo lako ubediti da će, sklanjajući se, živeti bolje. Pa i Libijce, svet gotovo genetskog siromaštva koji se domogao pristojnog života, još je bilo moguće ubediti da će im bez Gadafija biti dobro. Ali ko danas u to može da ubedi Sirijce? Ko može da im obeća išta više od temeljnog pokolja ako polože oružje pred bašibozukom “Sirijske oslobodilačke armije”? Ima li glasa tog Alaha kome će Iranci poverovati da nisu oni na redu? Postoji li ijedan Kinez koji ne zna da će se američki finansijski minus zakrpiti samo ako on za svaki proizvedeni čip sebi odvoji za prinač, a ostatak šalje JP Morganu? Ima li nekog Rusa a da nije Navaljni koji ne zna da je rupa američkog duga tolika da ga može začepiti samo jedan Sibir sa svim svojim resursima?
Iako će svaka od tih zemalja koje su se našle na američkom putu bez povratka, u zavisnosti od svojih procena snage i taktičkih postavki, odabrati model svog učešća u sirijskom ratu, ne može biti nikakve sumnje da će svaka od njih uzeti svoje učešće. I to će biti sledeća novost sirijskog rata.
I zato će taj rat, ako dovoljno potraje, postati kao rat iz stripa: rat Sublimiranog Zla, koje se u tom obliku pojavilo prvi put posle sloma nemačkih nacista, i rat Sila Ujedinjenog Dobra, koje se od tog zla brane. A, ako potraje još više, tada će se i zapadna civilizacija, svet mnogostrukih identiteta, sve više redukovati na identitet pljačkaške civilizacije i totalitarnog poretka. Taj momenat će ključno doprineti da će otpor Americi, čak i ako ne bude vidljiv onoliko koliko bismo možda želeli, biti organiizovaniji nego ikad pre. Pred porukama sirijskog rata i najavom duge ledene globalne noći i pas i mačka počeće zajedno da spavaju. Ako se razumemo.
5.
Šta će Sirija značiti za Srbiju? Mnogo više nego što se može pročitati u srpskim medijima, neuporedivo više od ćutanja srpskih političara o Siriji. Možda će se veći deo srpske sudbine odlučivati pod Damaskom nego što se odlučivalo pod Carigradom 1453. Šta mi možemo tu da uradimo? Ne više od toga da se molimo za Sile Dobra protiv Sila Zla, živo strepeći zbog toga što deo granica između tih sila prelazi posredi nas.
Šira verzija teksta objavljenog u “Novinama Novosadskim”
Objavljeno 31/08/2013
16.30 – Tači: Akcija u Siriji neophodna
Međunarodna vojna intervencija u Siriji je neophodna, ocenio je danas u pisanom saopštenju kosovski premijer Hašim Tači. „Rat u Siriji, u kojoj je samo tokom poslednjih nekoliko dana izgubilo živote više od hiljadu ljudi, među kojima i stotine dece, najbolje ukazuje na potrebu za međunarodnom intervencijom u toj zemlji. Iako su Kosovo i Sirija dva različita slučaja, humanitarna intervencija se pokazuje kao jedinstveno, pravedno, humano rešenje kojim se podržava demokratija u svetu“, smatra kosovski premijer.“Intervencija, kojom bi se sprečili napadi (sirijskog predsednika) Bašara el-Asada na sopstveni narod je neophodna, kao pružanje podrške sirijskom narodu u njegovoj borbi za slobodu, demokratsko društvo, vladavinu zakona i zaštitu ljudskih prava“, naveo je Tači u saopštenju koje je prenela agencija MIA.
20.46 – Vlada Crne Gore najoštrije osudila hemijski napad u Siriji!
Vlada Crne Gore najoštrije je osudila „upotrebu hemijskog naoružanja koju je počinio sirijski režim“, za šta, kako se navodi u saopštenju, postoje osnovane indicije. Upotreba te vrste naoružanja predstavlja “užasavajući zločin protiv čovečnosti, usmeren protiv civila”, navodi se u saopštenju, koje prenose Vijesti. U potpunosti podržavamo stavove članica Saveta bezbednosti Ujedinjenih nacija, zemalja članica Evropske unije i drugih najvažnijih centara međunarodne zajednice da je neophodno što pre okončati istragu o ovom slučaju, te da se nasilje i ispaštanje nevinih civila moraju obustaviti”, navodi se u saopštenju. Crna Gora je, kako se navodi, bila jedna od 37 zemalja kosponzora koje su podržale inicijativu Velike Britanije upućenu Generalnom sekretaru UN sa zahtevom da inspektori UN obave istragu, kako bi se došlo do pouzdanijih saznanja o karakteru i počiniocima zločina. Crna Gora se nada da će se u nastavku razgovora u Savetu bezbednosti i drugim centrima međunarodne politike što pre doći do odgovarajućeg, na međunarodnom pravu zasnovanog i, po mogućnosti, usaglašenog odgovora međunarodne zajednice na necivilizacijski čin upotrebe hemijskog naoružanja, kako bi oni koji su odgovorni snosili odgovarajuće posledice za taj čin, navodi se u saopštenju Vlade Crne Gore.
1. I cadaveri mutilati
Cos’era avvenuto in realtà? Avvalendosi dell’analisi di Debord relativa alla «società dello spettacolo», un illustre filosofo italiano (Giorgio Agamben) ha sintetizzato in modo magistrale la vicenda di cui qui si tratta:
«Per la prima volta nella storia dell’umanità, dei cadaveri appena sepolti o allineati sui tavoli delle morgues [degli obitori] sono stati dissepolti in fretta e torturati per simulare davanti alle telecamere il genocidio che doveva legittimare il nuovo regime. Ciò che tutto il mondo vedeva in diretta come la verità vera sugli schermi televisivi, era l’assoluta non-verità; e, benché la falsificazione fosse a tratti evidente, essa era tuttavia autentificata come vera dal sistema mondiale dei media, perché fosse chiaro che il vero non era ormai che un momento del movimento necessario del falso. Così verità e falsità diventavano indiscernibili e lo spettacolo si legittimava unicamente mediante lo spettacolo.
Timisoara è, in questo senso, l’Auschwitz della società dello spettacolo: e come è stato detto che, dopo Auschwitz, è impossibile scrivere e pensare come prima, così, dopo Timisoara, non sarà più possibile guardare uno schermo televisivo nello stesso modo» (Agamben 1996, p. 67).
Il 1989 è l’anno in cui il passaggio dalla società dello spettacolo allo spettacolo come tecnica di guerra si manifestava su scala planetaria. Alcune settimane prima del colpo di Stato ovvero della «rivoluzione da Cinecittà» in Romania (Fejtö 1994, p. 263), il 17 novembre 1989 la «rivoluzione di velluto» trionfava a Praga agitando una parola d’ordine gandhiana: «Amore e Verità». In realtà, un ruolo decisivo svolgeva la diffusione della notizia falsa secondo cui uno studente era stato «brutalmente ucciso» dalla polizia. A vent’anni di distanza lo rivela, compiaciuto, «un giornalista e leader della dissidenza, Jan Urban», protagonista della manipolazione: la sua «menzogna» aveva avuto il merito di suscitare l’indignazione di massa e il crollo di un regime già pericolante (Bilefsky 2009). Qualcosa di simile avviene in Cina: l’8 aprile 1989 Hu Yaobang, segretario del PCC sino al gennaio di due anni prima, viene colto da infarto nel corso di una riunione dell’Ufficio Politico e muore una settimana dopo. Dalla folla di piazza Tienanmen il suo decesso viene collegato al duro conflitto politico emerso anche nel corso di quella riunione (Domenach, Richer 1995, p. 550); in qualche modo egli diviene la vittima del sistema che si tratta di rovesciare. In tutti e tre i casi, l’invenzione e la denuncia di un crimine sono chiamate a suscitare l’ondata di indignazione di cui il movimento di rivolta ha bisogno. Se consegue il pieno successo in Cecoslovacchia e Romania (dove il regime socialista aveva fatto seguito all’avanzata dell’Armata Rossa), questa strategia fallisce nella Repubblica popolare cinese scaturita da una grande rivoluzione nazionale e sociale. Ed ecco che tale fallimento diviene il punto di partenza di una nuova e più massiccia guerra mediatica, che è scatenata da una superpotenza la quale non tollera rivali o potenziali rivali e che è tuttora in pieno svolgimento. Resta fermo che a definire la svolta storica è in primo luogo Timisoara, «l’Auschwitz della società dello spettacolo».
2. «Reclamizzare i neonati» e il cormorano
Due anni dopo, nel 1991, interveniva la prima guerra del Golfo. Un coraggioso giornalista statunitense ha chiarito in che modo si è verificata «la vittoria del Pentagono sui media» ovvero la «colossale disfatta dei media a opera del governo degli Stati Uniti» (Macarthur 1992, pp. 208 e 22).
Nel 1991 la situazione non era facile per il Pentagono (e per la Casa Bianca). Si trattava di convincere della necessità della guerra un popolo su cui pesava ancora il ricordo del Vietnam. E allora? Accorgimenti vari riducono drasticamente la possibilità per i giornalisti di parlare direttamente coi soldati o di riferire direttamente dal fronte. Nella misura del possibile tutto dev’essere filtrato: il puzzo della morte e soprattutto il sangue, le sofferenze e le lacrime della popolazione civile non devono fare irruzione nelle case dei cittadini degli USA (e degli abitanti del mondo intero) come ai tempi della guerra del Vietnam. Ma il problema centrale e di più difficile soluzione è un altro: in che modo demonizzare l’Irak di Saddam Hussein, che ancora qualche anno prima si era reso benemerito, agli occhi degli USA, aggredendo l’Iran scaturito dalla rivoluzione islamica e antiamericana del 1979 e incline a far proseliti nel Medio Oriente. La demonizzazione sarebbe risultata tanto più efficace se al tempo stesso si fosse resa angelica la vittima. Operazione tutt’altro che agevole, e non solo per il fatto che dura o impietosa era in Kuwait la repressione di ogni forma di opposizione. C’era qualcosa di peggio. A svolgere i lavori più umili erano gli emigrati, sottoposti a una «schiavitù di fatto», e a una schiavitù di fatto che assumeva spesso forme sadiche: non suscitavano particolare emozione i casi di «serbi scaraventati giù dal terrazzo, bruciati o accecati o picchiati a morte» (Macarthur 1992, pp. 44-45).
E, tuttavia... Generosamente o favolosamente ricompensata, un’agenzia pubblicitaria trovava un rimedio a tutto. Essa denunciava il fatto che i soldati irakeni tagliavano le «orecchie» ai kuwaitiani che resistevano. Ma il colpo di teatro di questa campagna era un altro: gli invasori avevano fatto irruzione in un ospedale «rimuovendo 312 neonati dalle loro incubatrici e lasciandoli morire sul freddo pavimento dell’ospedale di Kuwait City» (Macarthur 1992, p. 54). Sbandierata ripetutamente dal presidente Bush sr., ribadita dal Congresso, avallata dalla stampa più autorevole e persino da Amnesty International, questa notizia così orripilante ma anche così circonstanziata da indicare con assoluta precisione il numero dei morti, non poteva non provocare una travolgente ondata di indignazione: Saddam era il nuovo Hitler, la guerra contro di lui era non solo necessaria ma anche urgente e coloro che a essa si opponevano o recalcitravano erano da considerare quali complici più o meno consapevoli del nuovo Hitler! La notizia era ovviamente un’invenzione sapientemente prodotta e diffusa, ma proprio per questo l’agenzia pubblicitaria aveva ben meritato il suo denaro.
La ricostruzione di questa vicenda è contenuta in un capitolo del libro qui citato dal titolo calzante: «Reclamizzare i neonati» (Selling Babies). Per la verità, a essere «reclamizzati» non furono soltanto i neonati. Proprio agli inizi delle operazioni belliche veniva diffusa in tutto il mondo l’immagine di un cormorano che affogava nel petrolio sgorgante dai pozzi fatti saltare dall’Irak. Verità o manipolazione? A provocare la catastrofe ecologica era stato Saddam? E ci sono realmente cormorani in quella regione del globo e in quella stagione dell’anno? L’ondata dell’indignazione, autentica e sapientemente manipolata, travolgeva le ultime resistenze razionali.
3. La produzione del falso, il terrorismo dell’indignazione e lo scatenamento della guerra
Facciamo un ulteriore salto in avanti di alcuni anni e giungiamo così alla dissoluzione o piuttosto, allo smembramento della Jugoslavia. Contro la Serbia, che storicamente era stata la protagonista del processo di unificazione di questo paese multietnico, nei mesi che precedono i bombardamenti veri e propri si scatenano una dopo l’altra ondate di bombardamenti multimediali. Nell’agosto del 1998, un giornalista americano e uno tedesco «riferiscono dell’esistenza di fosse comuni con 500 cadaveri di albanesi tra cui 430 bambini nei pressi di Orahovac, dove si è duramente combattuto. La notizia è ripresa da altri giornali occidentali con grande rilievo. Ma è tutto falso, come dimostra una missione d’osservazione della Ue» (Morozzo Della Rocca 1999, p. 17).
Non per questo fa fabbrica del falso entrava in crisi. Agli inizi del 1999 i media occidentali cominciavano a tempestare l’opinione pubblica internazionale con le foto di cadaveri ammassati al fondo di un dirupo e talvolta decapitati e mutilati; le didascalie e gli articoli che accompagnavano tali immagini proclamavano che si trattava di civili albanesi inermi massacrati dai serbi. Sennonché:
«Il massacro di Racak è raccapricciante, con mutilazioni e teste mozzate. E’ una scena ideale per suscitare lo sdegno dell’opinione pubblica internazionale. Qualcosa appare strano nelle modalità dell’eccidio. I serbi abitualmente uccidono senza procedere a mutilazioni [...] Come la guerra di Bosnia insegna, le denunce di efferatezze sui corpi, segni di torture, decapitazioni, sono una diffusa arma di propaganda [...] Forse non i serbi ma i guerriglieri albanesi hanno mutilato i corpi» (Morozzo Della Rocca 1999, p. 249).
O, forse, i cadaveri delle vittime di uno degli innumerevoli scontri tra gruppi armati erano stati sottoposti a un successivo trattamento, in modo da far credere a un’esecuzione a freddo e a uno scatenamento di furia bestiale, di cui era immediatamente accusato il paese che la NATO si apprestava a bombardare (Saillot 2010, pp. 11-18).
La messa in scena di Racak era solo l’apice di una campagna di disinformazione ostinata e spietata. Qualche anno prima, il bombardamento del mercato di Sarajevo aveva consentito alla NATO di ergersi a suprema istanza morale, che non poteva permettersi di lasciare impunite le «atrocità» serbe. Ai giorni nostri si può leggere persino sul «Corriere della Sera» che «fu una bomba di assai dubbia paternità a fare strage nel mercato di Sarajevo facendo scattare l’intervento NATO» (Venturini 2013). Con questo precedente alle spalle, Racak ci appare oggi come una sorta di riedizione di Timisoara, una riedizione prolungatasi per alcuni anni. E, tuttavia, anche in questo caso il successo non mancava. L’illustre filosofo che nel 1990 aveva denunciato «l’Auschwitz della società dello spettacolo» verificatasi a Timisoara cinque anni dopo si accodava al coro dominante, tuonando in modo manicheo contro «il repentino slittamento delle classi dirigenti ex comuniste nel razzismo più estremo (come in Serbia, col programma di “pulizia etnica”)» (Agamben 1995, pp. 134-35). Dopo aver acutamente analizzato la tragica indiscernibilità di «verità e falsità» nell’ambito della società dello spettacolo, egli finiva col confermarla involontariamente, accogliendo in modo sbrigativo la versione (ovvero la propaganda di guerra) diffusa dal «sistema mondiale dei media», da lui precedentemente additato come fonte principale della manipolazione; dopo aver denunciato la riduzione del «vero» a «momento del movimento necessario del falso», operata dalla società dello spettacolo, egli si limitava a conferire una parvenza di profondità filosofica a questo «vero» ridotto per l’appunto a «momento del movimento necessario del falso».
Per un altro verso, un elemento della guerra contro la Jugoslavia, più che a Timisoara, ci riconduce alla prima guerra del Golfo. È il ruolo svolto dalle public relations:
«Milosevic è un uomo schivo, non ama la pubblicità, non ama mostrarsi o tenere discorsi in pubblico. Sembra che alle prime avvisaglie di disgregazione della Jugoslavia, la Ruder&Finn, compagnia di pubbliche relazioni che stava lavorando per il Kuwait nel 1991, gli si presentasse offrendo i suoi servizi. Fu congedata. Ruder&Finn venne assunta invece immediatamente dalla Croazia, dai musulmani di Bosnia e dagli albanesi del Kosovo per 17 milioni di dollari all’anno, per proteggere e incentivare l’immagine dei tre gruppi. E fece un ottimo lavoro!
James Harf, direttore di Ruder&Finn Global Public Affairs, in un’intervista [...] affermava: “Abbiamo potuto far coincidere nell’opinione pubblica serbi e nazisti [...] Noi siamo dei professionisti. abbiamo un lavoro da fare e lo facciamo. Non siamo pagati per fare la morale”» (Toschi Marazzani Visconti 1999, p. 31).
Veniamo ora alla seconda guerra del Golfo: nei primi giorni del febbraio 2003 il segretario di Stato USA, Colin Powell, mostrava alla platea del Consiglio di Sicurezza dell’ONU le immagini dei laboratori mobili per la produzione di armi chimiche e biologiche, di cui l’Irak sarebbe stato in possesso. Qualche tempo dopo il primo ministro inglese, Tony Blair, rincarava la dose: non solo Saddam aveva quelle armi, ma aveva già elaborato piani per usarle ed era in grado di attivarle «in 45 minuti». E di nuovo lo spettacolo, più ancora che preludio alla guerra, costituiva il primo atto di guerra, mettendo in guardia contro un nemico di cui il genere umano doveva assolutamente sbarazzarsi.
Ma l’arsenale delle armi della menzogna messe in atto o ponte per l’uso andava ben oltre. Al fine di «screditare il leader iracheno agli occhi del suo stesso popolo» la Cia si proponeva di «diffondere a Bagdad un filmato in cui veniva rivelato che Saddam era gay. Il video avrebbe dovuto mostrare il dittatore iracheno mentre faceva sesso con un ragazzo. “Doveva sembrare ripreso da una telecamera nascosta, come se si trattasse di una registrazione clandestina». A essere studiata era anche «l’ipotesi di interrompere le trasmissioni della televisione irachena con una finta edizione straordinaria del telegiornale contenente l’annuncio che Saddam aveva dato le dimissioni e che tutto il potere era stato preso dal suo temuto e odiato figlio Uday» (Franceschini 2010).
Se il Male dev’essere mostrato e bollato in tutto il suo orrore, il Bene deve risultare in tutto il suo fulgore. Nel dicembre 1992, i marines statunitensi sbarcavano sulla spiaggia di Mogadiscio. Per l’esattezza vi sbarcavano due volte, e la ripetizione dell’operazione non era dovuta a impreviste difficoltà militari o logistiche. Occorreva dimostrare al mondo che, prima ancora di essere un corpo militare di élite, i marines erano un’organizzazione benefica e caritatevole che riportava la speranza e il sorriso al popolo somalo devastato dalla miseria e dalla fame. La ripetizione dello sbarco-spettacolo doveva emendarlo dei suoi dettagli errati o difettosi. Un giornalista e testimone spiegava:
«Tutto quello che sta accadendo in Somalia e che avverrà nelle prossime settimane è uno show militar-diplomatico [...] Una nuova epoca nella storia della politica e della guerra è cominciata davvero, nella bizzarra notte di Mogadiscio [...] L’ “Operazione Speranza” è stata la prima operazione militare non soltanto ripresa in diretta dalle telecamere, ma pensata, costruita e organizzata come uno show televisivo» (Zucconi 1992).
Mogadiscio era il pendant di Timisoara. A pochi anni di distanza dalla rappresentazione del Male (il comunismo che finalmente crollava) faceva seguito la rappresentazione del Bene (l’Impero americano che emergeva dal trionfo conseguito nella guerra fredda). Sono ormai chiari gli elementi costitutivi della guerra-spettacolo e del suo successo.
Riferimenti bibliografici
Giorgio Agamben 1995
Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino
Giorgio Agamben 1996
Mezzi senza fine. Note sulla politica, Bollati Boringhieri, Torino
Dan Bilefsky 2009
A rumor that set off the Velvet Revolution, in «International Herald Tribune» del 18 novembre, pp. 1 e 4
Jean-Luc Domenach, Philippe Richer 1995
La Chine, Seuil, Paris
François Fejtö 1994 (in collaborazione con Ewa Kulesza-Mietkowski)
La fin des démocraties populaires (1992), tr. it., di Marisa Aboaf, La fine delle democrazie popolari. L’Europa orientale dopo la rivoluzione del 1989, Mondadori, Milano
Enrico Franceschini 2010
La Cia girò un video gay per far cadere Saddam, «la Repubblica», 28 maggio, p. 23
John R. Macarthur 1992
Second Front. Censorship and Propaganda in the Gulf War, Hill and Wang, New York
Roberto Morozzo Della Rocca 1999
La via verso la guerra, in Supplemento al n. 1 (Quaderni Speciali) di «Limes. Rivista Italiana di Geopolitica», pp. 11-26
Fréderic Saillot 2010
Racak. De l’utilité des massacres, tome II, L’Hermattan, Paris
Jean Toschi Marazzani Visconti 1999
Milosevic visto da vicino, Supplemento al n. 1 (Quaderni Speciali) di «Limes. Rivista Italiana di Geopolitica», pp. 27- 34
Franco Venturini 2013
Le vittime e il potere atroce delle immagini, in «Corriere della Sera» del 22 agosto, pp. 1 e 11
Vittorio Zucconi 1992
Quello sbarco da farsa sotto i riflettori TV, in «la Repubblica» del 10 dicembre
Con preghiera di cortese pubblicazione
Sabato 7 settembre, alle ore 11 presso il bar Knulp di via Madonna del Mare 7, a Trieste, si terrà una conferenza stampa a cura della Redazione del sito www.diecifebbraio.info, nel corso della quale verrà esposta un’analisi sulla controversa vicenda della strage di Vergarolla.
Saranno presenti le ricercatrici storiche Alessandra Kersevan e Claudia Cernigoi
Associazione slovena di cultura “Tabor” - Biblioteca Pinko Tomažič e compagni - ANPI provinciale di Trieste, Opicina, 2004, pp. 320.