Informazione


(in english:
«The Nato-aggression against Yugoslavia from 1999 was a model of the new wars of conquest»
“Humanitarian interventions” as a pretext for deployment of US-troops - Interview with Živadin Jovanovic, Former Minister of Foreign Affairs of the Federal Repbulic of Yugoslavia, presently Chairman of the Belgrade Forum for a World of Equals

auf deutsch:
«Die Nato-Aggression gegen Jugoslawien von 1999 war ein Modell der neuen Eroberungskriege»
«Humanitäre Interventionen» als Vorwand für Stationierung von US-Truppen - Interview mit Živadin Jovanovic, ehemaliger Aussenminister der Bundesrepublik Jugoslawien, heute Präsident des Belgrade Forum for a World of Equals
http://www.zeit-fragen.ch/index.php?id=1403

en francais:
«L’agression de l’OTAN contre la Yougoslavie en 1999 était un modèle des nouvelles guerres de conquête»
«Interventions humanitaires» – prétexte pour le stationnement de troupes américaines - Interview de Živadin Jovanovic, ancien ministre des Affaires étrangères de la République fédérale de Yougoslavie
http://www.horizons-et-debats.ch/index.php?id=3886 )



Živadin Jovanovic: «L’aggressione NATO contro la Jugoslavia del 1999 fu un modello delle nuove guerre di conquista»

29 Aprile 2013

da www.horizons-et-debats.ch | Traduzione di Anna Migliaccio per Marx21.it

«Interventi umanitari: pretesti per lo stazionamento delle truppe americane>

Intervista a Živadin Jovanovic, già ministro degli Affari Esteri della Repubblica federale di Jugoslavia, oggi presidente di Belgrade Forum for a World of Equals.

In senso lato, si deve considerare come l’aggressione della NATO abbia segnato un cambiamento strategico nell’essenza dell’Alleanza atlantica: essa ha abbandonato la politica di difesa ed ha introdotto una politica offensiva (aggressiva), autorizzando sé stessa ad intervenire in qualunque momento ed in qualunque punto del globo. L’ONU e il suo Consiglio di sicurezza sono stati cortocircuitati, il diritto internazionale e la giustizia violate. 

Dibattiti e Orizzonti: 

Signor Jovanovic, potrebbe presentarsi brevemente ai nostri lettori e dirci qualcosa di sé stesso e della sua carriera?


Živadin Jovanovic: Nel 1961, ho terminato i miei studi alla Facoltà di Diritto dell’Università di Belgrado, dal 1961 al 1964 ero nell’Amministrazione del distretto della città di Novi Belgrade; dal 1964 al 2000 ho servito presso il servizio diplomatico della Repubblica Federale socialista di Yougoslavie (a partire dal 1992 Repubblica federale di Yugo­slavia, dal 1988 al 1993 sono stato ambasciatore a Luanda/Angola, dal 1995 al 1998 ministro degli affari esteri supplente e dal 1998 al 2000 ministro degli affari esteri). Dal 1996 al 2002 sono stato vice presidente dl Partito socialista della Serbia per gli affari esteri; nel 1996 membro del Parlamento serbo e nel 2000 del Parlamento della Repubblica federale di Yugoslavia. I libri che ho scritto sono: «The Bridges» (2002); «Abolishing the State» (2003); «The Kosovo Mirror» (2006).

Živadin Jovanovic: Nel 1961, ho terminato i miei studi alla Facoltà di Diritto dell’Università di Belgrado, dal 1961 al 1964 ero nell’Amministrazione del distretto della città di Novi Belgrade; dal 1964 al 2000 ho servito presso il servizio diplomatico della Repubblica Federale socialista di Yougoslavie (a partire dal 1992 Repubblica federale di Yugo­slavia, dal 1988 al 1993 sono stato ambasciatore a Luanda/Angola, dal 1995 al 1998 ministro degli affari esteri supplente e dal 1998 al 2000 ministro degli affari esteri). Dal 1996 al 2002 sono stato vice presidente dl Partito socialista della Serbia per gli affari esteri; nel 1996 membro del Parlamento serbo e nel 2000 del Parlamento della Repubblica federale di Yugoslavia. I libri che ho scritto sono: «The Bridges» (2002); «Abolishing the State» (2003); «The Kosovo Mirror» (2006). 

Dopo aver lasciato il Ministero degli affari esteri nel 2000, siete stato legato al «Belgrade Forum for a World of Equals». Attualmente siete il Presidente di questa associazione. Quali sono i vostri obiettivi essenziali? 

Gli obiettivi essenziali sono il contributo alla pace, alla tolleranza e la collaborazione sulla base dell’eguaglianza tra gli individui, le nazioni e gli Stati. Noi ci impegniamo per il rispetto del diritto internazionale. Dei principi alla base della relazioni internazionali e del ruolo delle Nazioni Unite. Il ricorso alla violenza o la minaccia di utilizzarla non sono affatto mezzi appropriati per la soluzione dei problemi internazionali. Siamo dell’avviso che non esistono guerre “umanitarie”. Tutte le aggressioni a cominciare da quella della NATO contro la Serbia (RFY) del 1999 furono, a prescindere dalle dichiarazioni formali ed ufficiali, delle guerre di conquista, condotte per ragioni geo -strategiche altre per profitti economici. Noi sosteniamo i diritti dell’uomo secondo la Carta dell’ONU – ivi compresi i diritti sociali economici e culturali e i diritti alla salute, al lavoro, e altri diritti umani. 

Cerchiamo di raggiungere i nostri obiettivi per mezzo di dibattiti pubblici, conferenze, e tavole rotonde, seminari su scala nazionale e internazionale. Il Forum coopera con diverse associazioni che perseguono obiettivi simili – in Serbia, nella regione e a livello mondiale. 

Abbiamo visto qualche libro molto interessante edito dal Belgrado Forum. Come fate a sostenere la vostra attività di editori? 

Il Forum ha pubblicato circa 70 libri su diversi argomenti, nazionali ed internazionali, sulla politica dello sviluppo nelle condizioni di crisi, sullo statuto di Kosovo e Métochie e sul tribunale dell’Aia concernente la politica NATO nei Balcani, sulla politica estera della Serbia, sul terrorismo internazionale e sul ruolo degli intellettuali. Alcuni nostri libri sono stati diffusi in un gran numero di paesi su tutti i continenti. C’é, per esempio: «Nato Aggression – the Twilight of the West». A causa degli scarsi mezzi finanziari purtroppo solo pochi dei nostri libri sono apparsi in altre lingue. .

Solo in quest’ultimo mese abbiamo pubblicato tre nuovi libri – uno dedicato al grande filosofo e membro dell’Accademia Mihailo Marcovic, che è stato uno dei cofondatori del Belgrade Forum; il secondo reca il titolo di «Da Norimberga a La Haye» e il terzo «Dall’aggressione alla secessione».* La presentazione dei libri nelle diverse città della Serbia ed hanno avuto notevole successo.Tutte le nostre attività di scrittura e pubblicazione poggiano su lavoro volontario. Non abbiamo mai avuto e non abbiamo nessuno che sia remunerato tra i quadri del Forum. L’auto finanziamento dei membri e le donazioni dopo la diaspora serba sono le ricette principali del Forum. 

Avete citato la promozione della pace come uno dei vostri temi principali. Ma i popoli della vostra regione sono stati vittime di guerre nell’ultimo decennio del XX secolo. 

E’ vero. I popoli dell’ex –Yugoslavia hanno sofferto enormemente, prima per le guerre civili in Bosnia e in Croazia (dal 1992 al 1995), poi seguite dall’aggressione della NATO (1999), seguita dalle sanzioni e dall’isolamento ecc. Gran parte della popolazione soffre tutt’oggi. Pensate per esempio alla vita di quasi mezzo milione di rifugiati ed espatriati che vivono solo in Serbia ai quali non è consentito tornare alle loro case in Croazia o in Kosovo e Métochie. Le conseguenze sono tutt’ora dolorose e lo saranno ancora in futuro. Che dire delle conseguenze delle bombe con proiettili all’uranio impoverito che la NATO ha utilizzato nel 1999 e mietono ancora numerose vittime e le mieteranno ancora nei secoli. La storia ci darà la prova che i popoli della ex - Yugoslavia sono stati le vittime della concezione del Nuovo ordine mondiale che poggia in realtà sul potere e l’espansione.

Pensa esistano fattori locali frammisti ad altri venuti dall’esterno responsabili della frammentazione della Yugoslavia?

L’influenza delle popolazioni locali non può essere trascurata. Queste hanno evidentemente le loro responsabilità di essersi prestate a compromessi. Ma le analisi dominanti paiono non prestare alcuna attenzione al ruolo negativo dei fattori esterni Abbiamo oggi sufficienti prove che certe potenze avevano progetti fin dal 1976 e 1977 su come i territori della Repubblica federata socialista di Yugoslavia dovevano essere riorganizzati, in altri termini smantellati e spartiti in funzione dei loro interessi. Dopo la morte di Tito hanno incoraggiato nazionalismo e separatismo tra le diverse Repubbliche Yugoslave, ma anche il separatismo e il terrorismo nella provincia serba del Kosovo e Métochie, politicamente, finanziariamente e con la logistica e la propaganda. Più tardi certe potenze sono intervenute nelle guerre civili, sostenendo una parte contro l’altra. Questi paesi hanno sostenuto apertamente la separazione della Slovenia e della Croazia e hanno armato la Croazia e la Bosnia anche durante l’embargo dell’ONU e hanno favorito l’ingresso di mercenari tra cui i Moudjahidin. D’altra parte la Serbia e il Monténégro sono stati isolati, sanzionati e stigmatizzati. Li hanno trattati come se fossero i soli responsabili della guerra civile. Ciò non è fondato sui fatti ed è stato propizio ad estendere il conflitto. 

Le conseguenze? Invece di uno Stato ne hanno sei, non certo solidi dal punto di vista economico. Degli Stati marionette ed un settimo che sarà creato a breve. 18 governatorati, sei eserciti sei servizi diplomatici etc. La spesa pubblica nel 1990 per tutta la RFSY era di 13,5 miliardi è aumentata fino al 2012 a oltre 200 miliardi di euro! Alcuni di tali stati sono divenuti totalmente dipendenti dal punto di vista finanziario. A chi giova tutto questo? Fino al 1990,non esisteva nella regione una sola base militare straniera.. Oggi ne esistono una serie, tutte degli USA delle quali Camp Bondsteel è la più grande d’Europa.2 Per che farne? A che servono? A 18 anni dagli accordi di Dayton, la Bosnia non è tutt’ora in grado di funzionare; l’antica Repubblica yugoslava di Macedonia (FYROM, Former Yugoslav Republic of Macedonia) non è in grado di funzionare, dieci anni dopo gli Accordi quadro di Ohrid e continua ad essere attraversata da divisioni e tensioni etniche profonde. 14 anni dopo la Risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell’ONU, lo statuto di Kosovo e Métochie è senza soluzione. Sali Berisha di Tirana e Hashim Thaci di Pristina applaudono pubblicamente alla creazione di una così detta Grande Albania. Altri problemi pressanti sono la disoccupazione tra il 30% e il 70%, la povertà di centinaia di migliaia di rifugiati e di espatriati, la criminalità organizzata internazionale, fondata sul commercio di organi umani, le droghe, le armi, gli immigrati, dando un’immagine di insicurezza della Yugoslavia. Chi dunque ha tratto profitto dalla sua frammentazione? 

Ha menzionato l’intervento della NATO. Che opinione se ne è fatta a distanza di 14 anni?

La mia opinione non è mutata. E’ stato un attacco criminale, illegale, immorale, contro uno Stato europeo sovrano. Illegale, perché ha violato tutti i principi fondamentali del diritto internazionale, tanto della Carta dell’ONU, quanto degli Accordi di Helsinki e molte altre convenzioni internazionali. E’ stata eseguita senza il mandato del Consiglio di sicurezza. Criminale perché si è abbattuto anzitutto sulle popolazioni e le infrastrutture civili e con armi vietate come quelle chimiche, le bombe caricate con sotto munizioni di proiettili di uranio impoverito. Immorale perché fondata su pretesti falsi e faziosi. I dirigenti della NATO sono responsabili della morte di 4.000 persone e 10000 feriti civili. I danni materiali ammontano a 100 miliardi di dollari. L’aggressione della NATO non ha portato soluzioni ma ha creato nuovi problemi. E’ stata una guerra di conquista e non un “intervento umanitario”. 

Potrebbe precisare?

Ho già menzionato alcune conseguenze dirette. In senso più ampio occorre considerare che l’aggressione della NATO segna un cambiamento strategico nell’essenza dell’alleanza: essa ha abbandonato la sua politica di difesa ed ha introdotto una politica offensiva (aggressiva) autorizzandosi ad intervenire in ogni momento su ogni punto del globo. L’ONU, più precisamente il Consiglio di sicurezza, è stato corto circuitato e il diritto internazionale e la giustizia violati. 3 E’ stata la prima guerra lungamente preparata sul suolo europeo dopo la Seconda Guerra mondiale. E’ stata la dimostrazione del potere degli Stati Uniti in Europa, l’espansione verso l’Est, una giustificazione per le ambizioni della NATO, anche dopo la fine del Patto di Varsavia ed un precursore di interventi futuri (Afghanistan, Iraq, Libia). E’ stata una guerra orchestrata e diretta da una potenza extra europea con la conseguenza che essa resterà a lungo sul suolo europeo. L’aggressione ha inoltre segnato un cambiamento della politica tedesca dopo la Seconda Guerra Mondiale. Partecipando attivamente all’aggressione della NATO contro la Serbia, la Germania si è allontanata dalla propria Costituzione ed ha aperto le porte per facilitare la militarizzazione e giocare un ruolo nei conflitti che si svolgono ben lontano dal suo territorio.

Oggi abbiamo sul suolo europeo un numero di basi militari molto maggiore che durante la Guerra fredda. Dopo l’aggressione della NATO contro la Serbia le basi militari sono sorte ovunque. Come si spiega l’esportazione della democrazia e nel contempo l’esportazione delle basi militari? Fino ad ora non ho trovato spiegazioni convincenti e mi pare che qualcosa non quadra.

Qual è la sua opinione sul futuro della Bosnia?

La Bosnia Herzégovina in quanto era una tra le dieci repubbliche RFSY, fu basata sull’eguaglianza costituzionale di tre popoli avendo ciascuno un diritto di veto – Musulmani , les Serbi e Croati. E’ la ragione per cui si chiamava la «Piccola Yougoslavia». Quando nel 1992 il principio costituzionale del consenso è stato violato perché musulmani e croati si sono pronunciati a favore della separazione hanno ignorato l’opzione dei serbi di restare nell’alveo della Yugoslavia, la guerra civile è scoppiata. L’accordo di pace di Dayton non è stato un successo semplicemente perché ha confermato nuovamente quel principio di eguaglianza dei tre popoli costituenti, l’uguaglianza delle due unità (la Fédérazione musulmano-croata e la Répubblica Srpska) e il principio del consenso.4 > Questi principi fondamentali sono stati inscritti nella Costituzione che rappresenta parte integrale dell’Accordo.

La fonte principale della crisi attuale è nello sforzo dei dirigenti musulmani di Sarajevo di abolire il principio del consenso e creare uno Stato unitario sotto la loro supremazia. Inoltre, essi vogliono cambiare la ripartizione ddel territorio garantita dalla’accordo di Dayton secondo il quale la Fédérazione musulmano-croata controlla il 51% e la Répubblica Srpska il 49% di tutto il territorio. Per render il problema ancora più difficile, i musulmani continuano a beneficiare per le loro esigenze, evidentemente contenute negli Accordi di Dayton, del sostegno di qualche centro decisionale, in primo luogo di Washington e Berlino. Sul perché vogliano indebolire la Répubblica Srpska e rafforzare i Musulmani, preferisco non fare commenti. Questi centri mettono del pari sotto pressione i dirigenti serbi affinché essi disciplinino I dirigenti di Banja Luka affinché essi accettino contro il proprio interesse una revisione di Dayton e della Costituzione. La Serbia, come garante degli Accordi di Dayton non ha affatto il potere di influenzare i dirigenti della Répubblica Srpska e secondariamente non è interesse della Serbia destabilizzare la Répubblica Srpska provocando così tensioni interne ed una nuova spirale etniche o anche conflitti armati nel suo vicinato. Credo si debba lasciare alla Bosnia Herzégovina il compito di trovare una soluzione politica che corrisponda agli interessi dei tre popoli costitutivi e delle due unità eguali nei diritti. L’Accordo di Dayton non è perfetto. Ma probabilmente non esiste un compromesso migliore. Bruxelles ritiene che una centralizzazione del potere a Sarajevo migliorerebbe l’efficacia dell’amministrazione statale. I sostenitori di tale opinione paiono non vedere che è il principio del consenso e della decentralizzazione che hanno condotto al ristabilirsi della pace e al mantenimento dell’integrità statale e che ha rianimato un sentimento di libertà e di democrazia. Finalmente, ritengo, l’Ufficio dell’Alta Rappresentanza dopo avere accentrato in sé per 17 anni potere legislativo, esecutivo e giudiziario è diventato un anacronismo che deve essere dissolto. La Bosnia Herzégovina è il solo membro dell’ONU (e nel contempo del Consiglio di sicurezza) de l’OSCE e di altre organizzazioni dove l’Alta Rappresentanza legifera e nomina Presidenti, Primi ministri e Ministri. La Serbia è un piccolo paese che ama la pace e non ha una storia imperiale né ambizioni imperialiste, e deve a nostro avviso restare neutrale come la Svizzera. Per quanto concerne i diritti umani, lottiamo per la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dell’ONU del 1948, la quale esige il rispetto di tutti i diritti incluso quello alla cooperazione. 

I miei colleghi di «Horizons et débats» hanno dichiarato un giorno che la Serbia è stata una spina nella coscienza di tutto il mondo occidentale. Che ne pensa?

Ciò che posso dire è che i dirigenti e i politici di certi paesi europei sono stati lungi dall’essere neutrali, costruttivi e moralmente corretti durante la crisi yugoslava e kosovara. Qualcuno ha partecipato attivamente all’aggressione della NATO, e ha provocato seri problemi per tutta l’Europa. Come gli Stati Uniti, conoscevano il finanziamento, il traffico d’armi dei terroristi albanesi e dei separatisti del Kosovo e Métochie da parte dei loro Stati. Documenti del Consiglio di sicurezza lo confermano.5 Nemmeno io sono imparziale, ma sono certamente sincero. A mio avviso di poche cose del loro ruolo in Europa possono andare fieri la Serbia e i serbi negli ultimi vent’anni. Sono stato sorpreso dall’ampiezza delle deformazioni, dei doppi standard e delle prese di posizione immorali da parte di certi politici europei che rappresentano i valori e la civiltà europea. Oggi sarebbe superfluo parlarne se non si potessero trarre lezioni dal passato. Sfortunatamente, i nuovi politici di questi paesi perseguono la medesima politica e con gli stessi metodi disonesti verso la Serbia. I Governi dei grandi paesi occidentali iniziano una campagna di propaganda abominevole contro la Serbia fondata su pregiudizi, invenzioni menzognere o banali menzogne. Mi riferisco per esempio all’invenzione di sana pianta del così detto «Piano a Ferro di cavallo» del ministro tedesco della difesa Rudolf Scharping.6 Il così detto massacro di civili di Raçak, che servì da giustificazione all’inizio dell’aggressione militare che si rivelò falso. Il rapporto stilato da un’equipe internazionale di esperti di medicina legale sotto la direzione del medico finlandese, Helen Ranta, la quale agiva sotto il controllo dell’UE non è mai stato pubblicato. Pare si sia smarrito da qualche parte a Bruxelles!7 

Quali lezioni può trarre, per sé, e per il mondo dall’aggressione della NATO?

L’aggressione della NATO contro la Repubblica federale di Yugoslavia del 1999 è stato un modello di nuova guerra di conquista sotto lo slogan di «intervento umanitario». E’ stata una guerra di conquista per prendere alla Serbia le sue province del Kosovo e Métochie e per stazionare, per ragioni strategiche, delle truppe degli Stati Uniti. E’ stato un precedente, cui sono seguiti altri. A mio avviso è attualmente del tutto inaccettabile esportare il sistema della società capitalista fiondato unicamente sulla dottrina di Washington, comme quella che nel corso degli anni 1960 concerneva l’esportazione del sistema socialista, fondato sulla dottrina di Mosca. La libertà di scelta dovrebbe essere sovrana in ogni paese. Non è giusto dividere i popoli, come se Dio avesse donato a qualcuno l’arbitrio di decidere ciò che è bene per tutte le nazioni del mondo. La storia ci insegna, almeno in Europa, che una simile ideologia è fonte di enormi danni. 

I problemi del Kosovo e Métochie sono vecchi come il mondo e profondamente radicati. Le province dello stato Serbo sono la culla della cultura serba così come della religione e della sua identità nazionale. Vi si trovano ancora circa 1300 conventi e chiese medievali alcune dichiarate patrimonio dellumanità dall’UNESCO. Oltre 150 sono state distrutte dai vandali e dagli estremisti. Sarebbe troppo semplice pretendere che I problemi di fondo si situassero nel dominio dei diritti umani degli albanesi. Per risolvere i problemi essenziali, che stanno a mio avviso nella volontà di espansione territoriale degli albanesi sostenuta dai paesi occidentali – in primo luogo gli Stati Uniti, la Germani e la Gran Bretagna –occorrerebbe qualche saggezza da parte degli attori politici, ma anche una visione a lungo termine e della pazienza, qualità particolarmente deficitarie. Resto persuaso che esiste una soluzione fondata su un compromesso basato sulla Risoluzione 1244 del Consigli odi sicurezza del 10 giugno 1999. Questa risoluzione, come altre precedenti, garantisce la sovranità e l’integrità della Repubblica federale yugoslava (distaccata dalla Serbia) e l’autonomia del Kosovo e Métochie in seno alla Federazione yugoslava e della Serbia. Nel tempo sono stati commessi numerosi fatti gravi, da parte di quel che chiamiamo comunità internazionale, ivi compresa l’UE, come da parte delle autorità serbe. Si possono considerare questi errori come gravi deviazioni dalla Risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Nel marzo 2008, i dirigenti albanesi a Pristina hanno dichiarato la secessione unilaterale ed illegale della provincia dalla Serbia ed hanno proclamato la pretesa Répubblica del Kosovo. Mentre la provincia si trova tutt’ora sotto il mandato del Consiglio di sicurezza dell’ONU, quest’ultimo non ha reagito. Gli Stati Uniti, la Germania, la Turchia, e la Gran Bretagna hanno riconosciuto immediatamente la separazione. Presenti 22 dei 27 membri dell’UE8 hanno seguito il movimento. La Serbia non ha riconosciuto la separazione del 17% del proprio territorio, e ritengo non lo farà in futuro. La gran parte dei membri dell’ONU, dei quali due dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza, la Russia e la Cina, non l’hanno riconosciuta. L’anno scorso un dialogo tra rappresentanti di Belgrado e Pristina concernente qualche aspetto concreto che tocca la vita quotidiana della popolazione è stato avviato sotto l’egida dell’UE. Può essere un bene, nella misura in cui non costituisca pregiudizio negativo per il problema principale – le statuto della provincia come previsto nella Risoluzione 1244. Personalmente auspico che il dialogo verta su un calendario che assicuri il libero ritorno dei 250’000 Serbi e gli altri Non-Albanesi nelle loro terre, poiché vivono attualmente in condizioni miserevoli in diverse città di Serbia e Monténégro. Sfortunatamente tale questione non trova posto nell’ordine del giorno vuoi per l’assenza di interesse da parte di Pristina, ma anche a causa della politica dei due pesi e due misure dell’Occidente. Una soluzione imposta alla Serbia con la forza o l’inganno non è possibile. Io credo che “il mercato” di cui parlano certi paesi occidentali non abbia diritto di cambiare il territorio (Kosovo) contro l’adesione all’UE (della Serbia) a svantaggio di investimenti stranieri – che sarebbe logico, visto lo stato di degradazione dell’economia serba – si avviasse. Sarebbe disonesto, non equilibrato, inaccettabile per i serbi, conoscendone la storia e la fierezza. 

Quali sono le relazioni tra Serbia e l ’UE? 

L’UE è tradizionalmente il principale partner economico della Serbia. Le relazioni storiche sociali e culturali restano molto forti. Centinaia di migliaia di serbi e loro discendenti vivono e lavorano nei paesi membri del’UE. La Serbia è candidata per l’adesione all’UE. Questo si riflette nella politica “del bastone e della carota” nei confronti della Serbia in una lista infinita di condizioni mai poste ai candidati. L’UE esige che «la Serbia normalizzi le sue relazioni con il Kosovo». Finché Belgrado reagisce, dichiarando di non accettare di riconoscere il Kosovo, i commissari di Bruxelles pretendono che l’UE non chieda che il sistema di controllo delle frontiere integrato (Integrated Border Management IBM) ai confini del, la sigla di un accordo di buon vicinato, il cambio delle diplomazie, che la Serbia non impedisca l’adesione del Kosovo all’ONU, etc.! Rimarchiamo la portata di tale ipocrisia. Si esige attraverso note diplomatiche o altre prese di posizione scritte concernenti un riconoscimento, ma delle relazioni tali e quali tra stati sovrani! Io sostengo una stretta cooperazione tra la Serbia e l’UE in tutti i campi ove siano interessi comuni, senza ostacoli: la libera circolazione delle merci dei capitali delle persone e delle informazioni. Considerato il fatto che l’UE non tratta la Serbia come un partner sovrano, la Serbia dovrebbe adottare una politica di buon vicinato con l’UE e mettere da parte la politica attuale, che definisce adesione all’UE come unica soluzione. Non è nell’interesse della Serbia lasciare troppo per ricevere meno. Uno spirito di apertura e cooperazione senza ostacoli amministrativi, invece che relazioni di buon vicinato tra Serbia e UE sarebbero una base sensata per il futuro a medio termine. 

Come la Germania, la Svizzera e altri paesi europei potrebbero contribuire a migliorare le sorti del vostro popolo?

La via migliore per sostenere la Serbia ma insieme la mutua assistenza in Europa e addivenire ai veri valori della nostra civiltà, consiste nel dire sempre la verità, opponendosi ad ogni forma di deformazione, di mezze verità e immoralità. La Serbia e la nazione serba sono parte integrante dell’Europa, della sua cultura e del suo sviluppo e civilizzazione. E’ così e resterà così in futuro. I popoli hanno radici profonde ed una statura che non può trasformarsi dalla mattina alla sera. Dal canto mio sarei felice si smettesse di considerare la Serbia attraverso i pregiudizi e le caratterizzazioni parziali e rimpiazzarle con analisi equilibrate ed imparziali. 

Abbiamo appreso che il «Belgrado Forum» sarà parte di una importante conferenza internazionale a Belgrado nel marzo prossimo.

Questo forum ed altre associazioni indipendenti e prive di pregiudizi in Serbia organizzano una conferenza internazionale sotto il titolo «Aggressione, militarizzazione e crisi planetaria» che avrà luogo il 22 e 23 marzo 2014 à Belgrado. Questa conferenza ed altri eventi dello stesso tipo celebrano il 15° anniversario del’attacco della NATO contro la Serbia e servirà ad onorare la memoria delle vittime. Ci prefiggiamo di invitare scienziati ed intellettuali d’Europa ma anche di altri paesi che tratteranno di interventi militari aumento delle spese militari e militarizzazione delle decisioni politiche e della crisi nel mondo, che non è a nostro avviso solo una crisi finanziaria ed economica ma una crisi dell’ordine mondiale. 

Signor Jovanovic, La ringraziamo di questo incontro. 

Note 

1 Solo la Bosnia e l’Herzégovina hanno un governo centrale, due governi, uno per ciascuna entità, e 10 governi cantonali in seno alla Federazione della Bosnia-Herzégovina. 
2 «La guerra contro la Repubblica Federale di Yugoslavia fu condotta per correggere un errore strategico del generale Eisenhower durante la Seconda Guerra mondiale. Per ragioni strategiche, occorreva stabilizzare lo stazionamento delle truppe americane in quella regione.» citazione dalla lettera di Willy Wimmer, indirizzata al cancelliere tedesco Gerhard Schröder il 2 maggio 2000. 
3 «La forza deve primeggiare sul diritto. Là dove il diritto internazionale sbarra la strada, occorre

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Per compiacersi gli americani

1) Lettera al presidente Napolitano
Sulla grazia concessa al colonnello americano Joseph Romano: "Non c'era modo peggiore di chiudere la Sua presidenza" (ergo: non c'era altro modo per replicarla) - di Sergio Finardi

2) La fiducia arriva dagli Usa
Enrico Letta ha ricevuto l'unica fiducia che conta: quella del segretario di stato Usa John Kerry - di Manlio Dinucci

3) FLASHBACK: Rogo Moby Prince, la «nave fantasma» era americana
... e stava scaricando armi. Nell’incendio a Livorno 140 morti, 30 i sardi - di Piero Mannironi


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USA - mondo

Nessuna clemenza per la pratica delle rendition

Sergio Finardi

Su Il Manifesto del 9.4.2013 - www.ilmanifesto.it

Lettera al presidente Napolitano. La grazia concessa al colonnello americano Joseph Romano, condannato dalla Corte d’Appello di Milano per il rapimento di Abu Omar, è basata su presupposti non veritieri

Gentile presidente Napolitano, leggo nel comunicato del Quirinale sulla grazia concessa all'oggi colonnello Joseph L. Romano: «Il presidente Usa Barack Obama, subito dopo la sua elezione, ha posto fine a un approccio alle sfide della sicurezza nazionale, legato ad un preciso e tragico momento storico e concretatosi in pratiche ritenute dall'Italia e dalla Unione europea non compatibili con i principi fondamentali di uno stato di diritto». Nessuna delle due parti di cui è costituita la frase a lei attribuita è vera. Innanzitutto non è che l'Italia e l'Unione europea «ritengono» le «pratiche» statunitensi delle extraordinary renditions «non compatibili» con lo stato di diritto, è che ci sono due convenzioni internazionali - firmate anche dagli Stati uniti - a proibire tassativamente quelle pratiche, in qualsiasi circostanza. E quelle «pratiche», signor presidente, hanno riguardato il rapimento e la tortura di migliaia di persone. In secondo luogo - e principalmente - il presidente statunitense Obama non solo non ha mantenuto le sue promesse elettorali relative alla chiusura dell'infame Guantanamo e di molti altri luoghi (non più) segreti di detenzione indefinita e senza processo - cosa gravissima per un premio Nobel per la Pace, premio datogli anche sulla speranza che le mantenesse tali promesse - ma ha opposto ogni possibile ostacolo alla conoscenza della verità. Obama ha infatti reso ancora più difficile scoprire la verità sul programma delle renditions e sulle reali circostanze relative a migliaia di rapimenti. Ha poi esplicitamente sollevato dalle loro responsabilità sia chi ha dato ordini illegali sia chi li ha eseguiti, ordini che non avrebbero mai dovuto essere portati avanti. Obama ha inoltre nominato come suoi consiglieri o in posizioni-chiave della sua Amministrazione, uomini coinvolti fino al collo in quello che lei definisce «approccio alle sfide della sicurezza» e che è stato ed è invece una serie di politiche iniziate non dopo gli eventi del Settembre 2001, ma sotto il presidente Clinton, chiara dimostrazione del disprezzo totale che gli Stati uniti hanno del diritto internazionale e della sovranità degli altri Paesi, inclusi gli alleati, quando ritengono utile violarli entrambi. Queste nomine hanno compreso persone quali John Owen Brennan, ora direttore della Cia, la cui precedente candidatura era stata silurata dal Senato statunitense nella prima amministrazione Obama proprio perché coinvolto pienamente nel programma delle renditions . Quello stesso Brennan che si è poi distinto come il più forte sostenitore dell'uso dei droni, che in 90 attacchi hanno smembrato tremila pachistani civili (« collateral damages »), tra cui molti bambini e donne, anche recentissimamente. O come il generale Stanley Allen McChrystal, nominato nel 2009 capo della missione Isaf in Afghanistan, ma comandante nel 2003-2005 delle forze speciali conosciute con la sigla Task Force 6-26, responsabili di orrende torture di prigionieri iracheni a Camp Nema, base militare di Baghdad, torture emerse in ogni particolare nelle inchieste del New York Times e di Human Rights Watch del 2006. A questo si aggiunga che in queste settimane l'Amministrazione Obama ha ordinato l'alimentazione forzata (con un tubo diretto allo stomaco) di 128 prigionieri di Camp 6 - tra quelli ancora detenuti a Guantanamo - che hanno dichiarato lo sciopero della fame per protestare, per l'ennesima volta, 11 anni di detenzione senza processo e senza accuse. Non meno importante, il fatto che l'Fbi di Obama si sta distinguendo per la persecuzione accanita e in molti casi abnorme delle organizzazioni e degli individui che hanno guidato le proteste contro la continuazione di fatto delle guerre di Bush o hanno - come il soldato Bradley Manning - contribuito a rivelare le attività criminali perpetrate dagli Stati uniti in Iraq e in Afghanistan. Gentile presidente, voglio sperare che lei sia stato male consigliato e informato. Voglio però anche dirle che il suo gesto di clemenza virtuale per un fuggitivo, militare consapevolmente coinvolto nel rapimento di Abu Omar (e probabilmente di altri, dato il ruolo ricoperto), suona insopportabile e profondamente offensivo per chi abbia a cuore la sovranità e la magistratura italiane, per chi non abbia dimenticato come gli Stati uniti abbiano risposto alla richiesta di verità sull'uccisione di Nicola Calipari e il ferimento di Giuliana Sgrena e Andrea Carpani, infine per persone come chi le scrive. Persone di molte nazionalità diverse che si sono unite e hanno messo a disposizione le loro professionalità (e spesso le loro carriere) in anni di ricerca per svelare e far finire le orribili pratiche legate al programma delle extraordinary renditions - dalle nostre prime denunce del 2004 a quelle sul coinvolgimento dei governi europei del 2006 (compresa l'Italia, proprio su queste pagine), allo svelamento nel 2008 delle tante prigioni-tortura installate dalla Cia in vari Paesi europei. Proprio venerdì, l'alta commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani, Navy Pillay, ha criticato duramente l'Amministrazione Obama, si legge nel comunicato «per la continua, indefinita incarcerazione di molti prigionieri (che è) chiaramente contraria alle leggi internazionali». «Dobbiamo essere chiari (...), gli Stati uniti sono non solo in violazione delle proprie promesse, ma anche delle leggi e standard internazionali che sono obbligati a rispettare». Di quale «por fine» da parte di Obama parla, signor presidente? Non c'era modo peggiore di chiudere la Sua presidenza.


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RUBRICA - L'ARTE DELLA GUERRA

La fiducia arriva dagli Usa

Manlio Dinucci

Su Il Manifesto del 30.4.2013 - www.ilmanifesto.it


Enrico Letta ha ricevuto la fiducia: quella del segretario di stato Usa John Kerry che, ancor prima che la votasse il parlamento italiano, si è congratulato per la nascita del nuovo governo. Fiducia ben meritata. Enrico Letta, garantisce John Kerry, è «un amico buono e fidato degli Stati uniti, che ha dimostrato in tutta la sua carriera un fermo impegno nella nostra partnership transatlantica». Il governo Letta, sottolinea Kerry, assicurerà il proseguimento della «nostra stretta cooperazione su molte pressanti questioni in tutto il mondo». È quindi il segretario di stato Usa a trattare un tema fondamentale che i partiti italiani hanno cancellato dal dibattito e dai programmi con cui si sono presentati agli elettori: la politica estera e militare dell'Italia. Il perché è chiaro: Pd, Pdl e Scelta Civica hanno su ciò la stessa posizione. Possiamo dunque essere sicuri che l'Italia continuerà ad essere base avanzata delle operazioni militari Usa/Nato in Medio Oriente e Africa: dopo la guerra alla Libia, si sta conducendo quella in Siria, mentre si prepara l'attacco all'Iran. E, in barba al Trattato di non-proliferazione, resteranno sul nostro territorio le bombe nucleari che gli Usa hanno deciso di potenziare. Allo stesso tempo l'Italia continuerà a inviare forze militari all'estero, anche in Afghanistan dove la Nato manterrà propri contingenti dopo il «ritiro» nel 2014. Aumenterà di conseguenza la spesa militare, in cui l'Italia si colloca al decimo posto mondiale con 70 milioni di euro al giorno spesi con denaro pubblico in forze armate, armi e missioni militari all'estero. A rafforzare la fiducia di John Kerry che l'Italia resterà alleato fidato sotto comando Usa è la nomina di Emma Bonino a ministro degli esteri. La Bonino, sottolineano a Washington, è una ex allieva del Dipartimento di stato, presso cui ha frequentato un corso di formazione (International Visitor Leadership Program). Brillante allieva. Ha sostenuto i bombardamenti della Nato sull'ex Jugoslavia; ha sostenuto la guerra in Afghanistan, dichiarando che «non si può parlare di occupazione: qui c'è una forza multinazionale» e che «un'occasione militare può condurre alla democrazia»; ha accusato Gino Strada di «atteggiamento ambiguo, tra l'umanitario e il politico». Ha sostenuto la guerra in Iraq, affermando che «non c'era alternativa per sconvolgere la rete terroristica» dopo l'11 settembre e ha definito «irresponsabili» i manifestanti contro la guarra. E, in veste di vice-presidente del Senato, è stata tra i più accesi sostenitori della guerra alla Libia, chiedendo nel febbraio 2011 la sospensione del trattato bilaterale perché «lega le mani all'Italia nel prestare soccorso alla popolazione civile», «soccorso» arrivato subito dopo con i cacciabombardieri. La Bonino potrà contare sui corsi di «peacekeeping» della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa (già diretta da Maria Chiara Carrozza ora ministro dell'istruzione), che vengono tenuti anche in Africa. A quando, dopo quella in Libia, la prossima operazione di «peacekeeping»?


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Rogo Moby Prince, la «nave fantasma» era americana


I figli del comandante Chessa non si sono arresi all’archiviazione: un team forense ha rivisto tutti gli atti. La nave fantasma fuggita era Usa e stava scaricando armi. Nell’incendio a Livorno 140 morti, 30 i sardi

di Piero Mannironi - 9 aprile 2013


SASSARI. Quella sentenza di archiviazione fu vissuta dai familiari delle vittime come un doloroso tradimento. L’inchiesta-bis sulla tragedia del Moby Prince, la più grave della storia della marineria civile italiana, aveva infatti creato un clima di grande speranza, la convinzione che finalmente la magistratura sarebbe riuscita a penetrare il buio groviglio dentro il quale si nascondeva la verità. E invece, nel 2010 arrivò l’archiviazione che consegnò il caso alla tremenda banalitàý di un incidente navale provocato «dall'errore umano» e da una «concatenazione casuale di eventi». I figli del comandante Ugo Chessa non si sono arresi e hanno affidato a un team di esperti di ingegneria forense di Milano coordinati da Gabriele Bardazza, la revisione di tutti gli elementi processuali, chiedendogli di rileggerli con l’aiuto di nuove e sofisticate tecnologie. Ed ecco, proprio alla vigilia del 22esimo anniversario del rogo che costò la vita a 140 persone, il colpo di scena.
Due soprattutto gli elementi nuovi che impongono una revisione della ricostruzione degli eventi. Il primo è la posizione del Moby Prince e quella della petroliera Agip Abruzzo la sera del 10 aprile ’91. Rivedendo e filtrando alcuni filmati amatoriali, il perito è riuscito a provare che il Moby speronò la petroliera non uscendo dal porto nella sua rotta verso Olbia, ma tentando di rientrare a Livorno. Il che comporterebbe un interrogativo obbligato: perché Ugo Chessa aveva ordinato l’inversione di rotta? Forse perché era successo qualcosa che poteva aver messo a rischio la sicurezza della nave? Magari una collisione con una terza nave rimasta finora fuori dalla scena?
La risposta potrebbe essere legata al secondo clamoroso elemento scoperto dal perito: la misteriosa nave Theresa II, che si allontanò a tutta velocità dopo una comunicazione criptica con una sconosciuta “Nave uno”, ha finalmente un nome. «Dalle nostre comparazioni - spiega Gabriele Bardazza - si evince che Theresa II altro non è che è Gallant 2, una delle navi militarizzate americane che quella notte erano impegnate nel trasporto di armi nella base Usa di Camp Darby. Resta da capire il motivo per cui il comandante abbia ritenuto di non utilizzare via radio il proprio identificativo, ma abbia usato un nome in codice. Come resta da spiegare il fatto che i periti del tribunale non si siano mai preoccupati di analizzare a fondo le registrazioni per chiarire chi fosse Theresa II, nonostante nell’inchiesta di questa nave fantasma si sia parlato a lungo». Dunque, la voce misteriosa che comunicò con la “Nave uno” sarebbe quella del comandante greco Theodossiou della Gallant 2.
Forse i nuovi elementi potranno dissipare la nebbia che, dal 10 aprile 1991, avvolge la storia del traghetto partito da Livorno per Olbia e mai approdato in Sardegna. Con un carico umano di gente comune, di piccoli sogni e di quotidianità, di ritorni e di speranze. 140 vite divorate dalle fiamme, incredibilmente annientate a poche miglia dal molo dopo lacollisione con la petroliera Agip Abruzzo poco prima delle 22,30.
A far aprire l’inchiesta-bis era stata un’istanza dell’avvocato Carlo Palermo, legale dei figli del comandante del Moby Prince, Ugo Chessa. Palermo non basò il suo ricorso su fantasiose deduzioni o nuove rivelazioni, ma molto più semplicemente cucì con pignoleria e con infinita pazienza testimonianze dimenticate, atti incongruenti o addirittura documenti misteriosamente scomparsi. La sua ipotesi è che il Moby Prince sia finito in mezzo a un frenetico traffico di armi che, quella sera, animava il porto di Livorno. Un traffico «coperto», cioé segreto, probabilmente organizzato dalle autorità militari statunitensi e autorizzato da quelle italiane.
Per l’avvocato della famiglia Chessa, il punto di partenza era stato la testimonianza di un tenente della Guardia di finanza, Cesare Gentile, che la sera del 10 aprile era uscito dal porto su una motovedetta pochi minuti dopo la collisione: alle 22,35. Gentile, nella sua deposizione davanti ai giudici del tribunale di Livorno, aveva parlato con grande precisione delle operazioni di carico e scarico di armi, che erano in corso nel porto da una nave mercantile “militarizzata”. Cioè da una nave affittata dal governo statunitense per trasportare armi e munizioni. Quello era l’ultimo giorno di “Desert Storm”, la prima guerra del Golfo, e dall’Iraq tornava in Europa l’arsenale americano. Le armi erano ufficialmente destinate alla base Usa di Camp Darby, tra Livorno e Pisa. Ma le armi scaricate quella notte dalla nave americana non sono mai finite nella base di Camp Darby. Avrebbero infatti dovuto transitare su delle chiatte nel canale di Navicello, sbarrato dal ponte mobile di Calabrone. Ebbene, tra le 15,45 del 10 aprile e le 9,10 dell’11, c’è la prova che il ponte rimase abbassato. Quindi, quelle armi sono finite da qualche altra parte.



(srpskohrvatski / italiano)

Sui risultati del censimento 2011 in Croazia

1) La Nazionalità dà i numeri. I risultati del censimento del 2011 in Croazia (Luka Bogdanić)
2) SRBI PO POPISU STANOVNIŠTVA U HRVATSKOJ (Savo Štrbac)


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http://www.istitutodipolitica.it/wordpress/2013/02/04/la-nazionalita-da-i-numeri-i-risultati-del-censimento-del-2011-in-croazia/

di Luka Bogdanić

Circa un mese fa sono usciti i primi dati del censimento sulla popolazione in Croazia del 2011. Si tratta di dati parziali, relativi solo ad alcuni parametri: età, sesso, nazionalità e numero degli abitanti. Così apprendiamo che secondo il censimento del 2011, nella Repubblica di Croazia vivono 4.284.889 persone, di cui 2.066.335 sono maschi e 2.218.554 femmine, mentre l’età media della popolazione è di 41.7 anni. La città più grande è Zagabria con 790.017 abitanti, seguita da Spalato con 178.102 e Fiume con 128.624 abitanti.

Per la prima volta il numero di oltre sessantacinquenni ha superato il numero di quelli che ne hanno meno di 14 anni. In concreto, gli over 65 sono 106.205 in più. Se poi si analizza questo dato separando gli uomini dalle donne, il risultato è ancora più incisivo: ci sono 144.722 donne over 65 in più delle ragazzine sotto i 14 anni. In generale, una donna su cinque ha più di 65 anni. Insomma, la Croazia, almeno dal punto di vista dell’età, è un paese che si avvicina molto ai trend dei paesi più sviluppati dell’Unione Europea.

I serbi sono ancora la minoranza nazionale più grande del paese e rappresentano il 4,36% della popolazione, mentre nel 2001 (un anno dopo la morte di Tudjman) erano il 4,54%. In altre parole, in 10 anni il numero dei serbi è diminuito da 201.631 a 186.663, cioè del 7,4%. Si tratta di una diminuzione quasi nulla in paragone a quella che è avvenuta tra 1991-2001. Nel 1991 i serbi rappresentavano il 12,2 % della popolazione in Croazia (erano cioè 581.663), e nel 2001 erano rimasti in solo 201.631, ridotti al 4,45 %. Questo è il bilancio della politica nazionalista di Tudjman e della guerra civile.

Allora, come mai il numero dei serbi è ancora in diminuzione, anche se da anni non sono più in atto le pulizie etniche? A questa domanda si può rispondere in due modi complementari. Prima di tutto bisogna ammettere che ancora oggi essere un serbo in Croazia non è una posizione invidiabile. Ma per comprendere il calo di numero dei serbi, bisogna tenere presente il modo in cui è concepita l’identità nazionale nei Balcani, poiché la diminuzione dei serbi non indica che essi emigrano, ma semplicemente che smettono di essere serbi. Allo stesso modo in 32 anni è “scomparsa” la percentuale di 8,2% dei cittadini che 1981 si dichiaravano jugoslavi.

In realtà, il numero di serbi in Croazia, per vari motivi, fluttuava un po’ da sempre. Così nel 1981 (un anno dopo la morte di Tito) i serbi erano l’11,5%. Un lieve aumento di questi tra 1981 e 1991 (dall’11,5 % al 12,2%), è spiegabile attraverso il calo di coloro che si dichiaravano jugoslavi.

Inoltre, è interessante che il numero degli jugoslavi (e questi potevano essere croati, serbi, bosniaci, o gente nata da matrimoni misti, ma anche chiunque sia e di qualunque origine fosse) scendeva regolarmente nelle stagioni in cui fioriva il nazionalismo. Così ad esempio, nel 1971 coloro che si dichiaravano jugoslavi in Croazia erano soltanto il 1,9%, mentre nel 1981 il loro numero era cresciuto a 8,2%, il che faceva della Croazia la Repubblica con maggior numero di cittadini che si sentissero jugoslavi; essa era seguita da Bosnia ed Erzegovina, in cui gli jugoslavi erano il 7,9% della popolazione. Soltanto nella regione autonoma della Vojvodina gli jugoslavi ammontavano all’8,2%. In Serbia, senza le regioni autonome del Kosovo e della Vojvodina, la percentuale degli jugoslavi era del 4,8 %. Già nel 1991 coloro che si dichiaravano tali in Croazia non superava il 2,22 %. Com’è possibile questa fluttuazione d’identità nazionale, se si esclude la pulizia etnica degli anni Novanta?

Prima di tutto, per risponderne, bisogna tenere presente che la domanda che si poneva alla gente durante il censimento non era di natura linguistica; cioè non si chiedeva quale è la tua lingua madre, ma di quale nazionalità sei. Nei territori dell’ex Jugoslavia si appartiene ad una nazionalità non in virtù della lingua, ma in virtù del proprio sentimento d’appartenenza. Così era prima nella Jugoslava socialista e così è rimasto ancora oggi in Croazia. Inoltre è da rilevare che non è contemplato il concetto di minoranza linguistica, come lo è in Italia.

Questo in virtù del fatto che serbi e croati parlano la stessa lingua e precisamente in molti posti, città e villaggi in cui convivono da secoli, parlano anche lo stesso dialetto. La paradossalità del parametro linguistico, si evince benissimo se si tiene presente che serbo e croato si differenziano nella versione parlata dai serbi o quella parlata dai croati, meno di quanto si differenziano i dialetti italiani dal nord al sud. La principale differenza sta nel fatto che i serbi in generale, ma non sempre, usano l’alfabeto cirillico, mentre i croati usano esclusivamente l’alfabeto latino. La stessa lingua, con minime differenze, quasi dialettali-regionali, è parlata in Montenegro e Bosnia ed Erzegovina. A prescindere da questa ovvietà, dal 1991 in Croazia, ma anche in altre repubbliche, è in atto una forte propaganda a favore di una sorta di autarchia linguistica, che lavora per aumentare le diversità dei modi di parlare. Di conseguenza, la stessa denominazione serbo-croato o croato-serbo, è stata demonizzata. Tenendo a mente questo fatto, il censimento del 2011 si presenta ancora più caustico se letto sotto la luce del parametro linguistico poiché: 4.096.306 di persone hanno dichiarato come madre lingua il croato, 3.059 hanno detto di essere di madre lingua croato-serba, 16.856 di essere di madre lingua bosniaca, 876 di essere di quella montenegrina, 52.879 di essere di lingua serba e 7.822 di essere di madre lingua serbo-croata. Insomma, il censimento registra ben 6 modi di denominare la stessa lingua!

Nelle percentuali si ha la seguente situazione: il 95,60% ha dichiarato come propria madre lingua il croato, l’1,2 % serbo e lo 0,07% il croato-serbo. L’ultimo dato è abbastanza paradossale, poiché nel 2001 coloro che dichiararono il croato-serbo come madre lingua erano solo lo 0,05%. In altre parole, la gente che parla croato-serbo aumenta.

Se è da credere al censimento del 1991 (fatto con la guerra quasi in atto), quando i serbi in Croazia risultavano essere il 12,6 %, solo il 4,33% di popolazione complessiva della Croazia dichiarava come madre lingua il serbo, mentre il 6,03% dichiarava il serbo-croato e il 3,49% il croato-serbo.

La maggiore differenza tra le due popolazioni, ed a volte unica, è la religione (in particolare nei luoghi in cui da secoli convivono assieme). I serbi sono ortodossi e i croati cattolici. Dalla differenza religiosa derivano maggiori o minori diversità relative ad usi, costumi e tradizioni. Se si guarda all’ultimo censimento, diventa evidente che il numero degli ortodossi e dei serbi coincide alquanto. Gli ortodossi sono il 4,44 %, mentre i serbi sono il 4,35%. Ammesso, ma non concesso, che la religione per la maggior parte rappresenti la tradizione e la cultura (quasi nel senso Crociano, per cui “tutti siamo cristiani”) e non tanto la fede, cioè l’effettiva devozione religiosa, non si può negare l’esistenza di serbi che si dichiarano atei. Secondo il censimento del 2011, in Croazia ci sono 19.394 serbi atei e agnostici, come pure 16.647 croati ortodossi, ma anche 2.391 serbi cattolici. Per capire quanto è in fin dei conti arbitraria l’autodeterminazione nazionale nei Balcani, poiché non è fondata né sulla lingua né sull’origine etnica (almeno per gli slavi), e non é concepita neppure come cittadinanza, è istruttivo il caso degli ebrei.

Nel 2011 si sono dichiarati cittadini di nazionalità ebraica 509 persone, di cui 14 di religione cattolica, 3 ortodossa, 1 protestante, 3 appartenenti alle altre religioni cristiane, 266 hanno dichiarato di essere di religione ebraica, 2 di appartenere alle religioni orientali, 2 ad altre religioni non meglio classificate, 30 hanno dichiarato di essere agnostici, 147 di essere atei, 39 non hanno dichiarato la loro apparenza religiosa e 2 persone hanno dichiarato convinzioni che sono state classificate come sconosciute. Per avere un quadro completo bisogna, però, aggiungere alle 509 persone di nazionalità ebraica, altre 536 persone che hanno dichiarato di essere di nazionalità croata, ma di fede ebraica.

Insomma, alla domanda quanti sono gli ebrei in Croazia, si può rispondere solo se si precisa cosa s’ intenda per ebreo. In altre parole, se si volesse trarre il parametro d’ebraicità dal censimento, si cadrebbe in circolo vizioso. Paradossalmente, i fatti empirici in questo caso non aiutano.

Escludendo le minoranze nazionali d’origine non slava (italiani, ungheresi, albanesi e romeni o altri ceppi slavi come ucraini, russi e cechi) è veramente difficile capire dove passa la linea di distinzione tra la nazionalità dei serbi, dei croati e dei bosniaci.

Questa difficoltà non deriva solo dal fatto che le nazioni sono comunità immaginarie, e quelle slave del sud anche immaginate, ma anche perché le vicissitudini della storia hanno determinato nei Balcani un altro modo di concepire l’identità nazionale, diverso da quello che si è affermato nell’Europa Occidentale. In realtà, la gente, rispondendo alla domanda a quale religione appartiene, risponde sulla propria origine religiosa piuttosto che in merito alle proprie effettive convinzioni religiose. Infatti, solo se si parla di tradizione religiosa è possibile capire la vera ragione per cui in Croazia l’86,28 % della popolazioni si è dichiarata cattolica.

Le ragioni di una tale importanza del fattore religioso nell’autodeterminazione nazionale vanno cercate nel sistema amministrativo dell’Impero Ottomano. In questo non esisteva la distinzione tra leggi secolari e quelle religiose, e l’Impero suddivideva le popolazioni nei millet in base alla religione. Si trattava di comunità religiose non territoriali, che conservavano il privilegio di amministrare da sole la propria legge.

Come scrive B. Jezernik in Europa Selvaggia “I giaours (infedeli) erano soggetti a seguaci del Profeta, ma […] godevano di una relativa indipendenza e potevano conservare la nazionalità, lingua e usanze proprie. Tali eccezionali circostanze storiche spiegano perché per i cristiani il patriottismo consisteva essenzialmente nell’attaccamento alle proprie comunità religiose” [Torino, 2010, p. 239]. D’altra parte, i turchi erano una casta superiore, e per farne parte bastava abbracciare la religione musulmana. Sempre secondo Jezernik, che riporta le impressioni di viaggiatori occidentali dell’Ottocento nei Balcani, non era raro imbattersi in due fratelli che si dichiaravano di due nazionalità diverse, come pure si potevano trovare quelli che si proclamavano greci, “anche se non parlava una parola di quella lingua” [p. 241]. Gli occidentali ritenevano strano questo modo di “concepire la nazionalità, e si meravigliavano che nei Balcani fosse determinata dall’apparenza religiosa, e non da criteri etno-linguistici” [p. 239]. Per loro era come se si “considerasse irlandese un londinese di religione cattolica romana, o scozzese un presbiteriano che abita a New York, di origini tedesche” [ibidem].

Insomma nei Balcani abbiamo a che fare con un modo molto antico di concepire l’identità nazionale, il quale a priori non porta a seclusione, né è intollerante, che però difficilmente si sposa con i modi di concepire l’identità su cui si basano agli assetti istituzional-politici tipici dell’Occidente. Nella storia possiamo trovare almeno alcuni tentativi di modernizzazione-occidentalizzazione delle diversità nazionali nei Balcani occidentali. Il primo è quello della Jugoslavia regia (1918-41), nella quale si cercava d’imporre l’identità jugoslava a tutti partendo dall’elemento linguistico, a prescindere dalle reali diversità soprattutto economiche e materiali, ma anche storiche.

Il secondo è quello basato sulla pulizia etnica (ispirata al modello nazista), messa in atto dagli ustascia croati e dei cetnici serbi nel periodo 1941-45. Così ad esempio, durante lo Stato fantoccio croato, i serbi della Croazia, oltre ad essere fisicamente eliminati nei campi di sterminio assieme ai rom ed gli ebrei, sono stati pure forzatamente convertiti al cattolicesimo e il terzo rimanente della popolazione serba veniva dichiarato croato di religione ortodossa (in attesa di una assimilazione).

Il terzo tentativo di modernizzazione-risoluzione della questione nazionale era quello socialista, in cui da una parte l’identità nazionale rimaneva concepita in modo tradizionale e si cercava di garantirne lo sviluppo, ma dall’altra si volevano armonizzare le diversità attraverso la partecipazione ad una comune cultura socialista. Quest’ultima era concepita come l’universale all’interno del quale si potevano realizzare le diversità particolari, senza entrare in conflitto, poiché unite da una cultura superiore e universale, appunto dalla cultura internazionalista e socialista. Questa era il vero collante della seconda Jugoslavia.

Fallita la superiore identità comune, fallì anche questo progetto. Le pulizie etniche degli anni Novanta del Novecento in questo senso non sono altro che la brutale prova che la storia non si può cancellare, né ignorare, se non ad altissimi costi, poiché il districarsi degli interessi non avviene quasi mai pacificamente e senza vittime umane. D’altra parte, alcuni politici che erano al potere in Croazia negli anni Novanta, combinando la pulizia etnica al concetto di spostamento delle popolazioni, hanno ottenuto quello che neppure gli ustascia erano riusciti a fare, cioè una Croazia etnicamente omogenea, o quasi.


(Febbraio 2013)


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http://www.veritas.org.rs/savo-strbac-19-12-2012-srbi-po-popisu-stanovnistva-u-hrvatskoj/

SRBI PO POPISU STANOVNIŠTVA U HRVATSKOJ

Savo Štrbac, 19.12.2012.

Konačno su, nakon više od godinu i po dana, objavljeni rezultati popisa stanovništva u Hrvatskojoj u 2011. godini. S obzirom na drastične razlike između predhodna dva popisa, nas krajiške Srbe najviše je interesovao broj naših sunarodnika u ukupnoj populaciji u RH.

Naime, prema podacima Državnog zavoda za statistiku RH (DSZ RH), na  popisu stanovništva u Hrvatskoj iz 1991. godine, od ukupno 4.784.265 stanovnika, Srba je bilo 581.663 (12,2 %) a Jugoslovena 106.041, među kojima je, s čime su saglasni i hrvatski demografi, bilo 60-70% Srba, tako da je broj Srba, i po hrvatskim statističkim podacima, bio veći od 600.000 hiljada. Deset godina kasnije, na popisu stanovništva u RH iz 2001. godine, takođe prema podacima DSZ RH, popisano je 201.631 Srba (4,54 %) i manje od 200 (dvijestotine) Jugoslovena.

Dakle, prema prostoj računici između ta dva popisa za više od 400.000 smanjen je broj Srba u Hrvatskoj. To je rezulatat velikog broja izbjeglih i proganinih, koji su se raspršili po cijelom svijetu, ali i rezultat stradalih u ratu i umrlih u poraću, kao i pohrvaćivanja i pokatoličavanja u toku rata i poraća.

Procjene izbjeglih/prognanih Srba okupljenih oko Veritas-a o broju Srba u novom desetogodišnjem popisu stanovništva su bile veoma pesimistične, a zasnivali smo ih na sljedećim činjenicama:

Srpsko stanovništvo u Hrvatskoj koje je poslije rata 90-tih ostalo ili se vratilo iz izbjeglištva/progonstva, bilo je pretežno staračko, koje je umiralo brže od prosjeka u okruženju, koliko zbog starosti, toliko i zbog životnih (ne)uslova;

Vanjska migracija stanovništva u RH, koju je od 2002. pratio DSZ RH, pokazivao je da se od 2002-2009. (za 2010. podaci tada još nisu bili dostupni) iz Srbije, gdje je utočište našlo više od 300.000 hiljada Srba izbjeglih/proganinih iz RH, u Hrvatsku  doselilo svega 11.218, a iz Hrvatske u Srbiju odselilo 20.683 lica. Iako se ne govori o njihovoj nacionalnosti, podrazumjeva se da su u pitanju skoro isključivo Srbi.

Obeshrabrivalo je i to što je samo u 2002. i 2003. broj doseljnih iz Srbije bio nešto veći od broja odseljenih u Srbiju, a od 2003. konstantno je rastao broj odseljenih u odnosu na broj doseljnih, što je kulminiralo u 2009.,  kada je broj odseljenih u Srbiju iznosio 4.458 u odnosu na 755 doseljenih u obratnom smjeru;

Srbima nije išla u korist ni zakonska odredba po kojoj u ukupan broj stanovništva neće biti uključena lica koja su u RH imali prebivalište, a u kritično vrijeme (31.03.2011.) su bile odsutne duže od jedne godine ili su namjeravale biti odsutne duže od jedne godine, a u RH ne dolaze nedjeljno. Ova odredba je uglavnom pogađala Srbe koji su imali prebivalište (ličnu kartu) a živjeli su van Hrvatske, rasuti po cijelom svijetu,  a nisu bili u mogućnosti da nedjeljno navraćaju u Hrvatsku.

Upravo na osnovu iznesenih podataka i činjenica i procjenjivali smo da će broj  Srba u Hrvatskoj, nakon novog popisa, dostići, ako ne i prestići, plan prvog predsejdnika RH Franje Tuđmana iz ranih 90-tih da će pitanje Srba u RH biti riješeno kada se njihov broj svede na 3%.

Dugo očekivani rezultat glasi: prema popisu stanovništva iz 2011. godine u Hrvatskoj živi 186.633 Srba ili 4,36 odsto, što je za 14.998 manje nego prije deset godina.

S obzirom da su naše procjene bile daleko pesimističnije, ovaj broj me je, iskreno rečeno, iznenadio u pozitivnom smislu i odmah sam počeo tražiti “rezervoare” za toliki broj Srba. Pošto ih očito nije bilo među novim povratnicima, a još manje u natalitetu između dva posljednja popisa, pronašao sam ih u kategoriji “ne izjašnjavaju se”, u kojoj  ih je po popisu iz 2001. bilo 130.985 (2,95 %) a po novom 93.018 (2,17 %). Računao sam da su se “pritajeni” Srbi sa predposljednjeg popisa “ohrabrili” pozivima svoje crkve i srpskih organizacija, koje su ih u prilično agresivnoj kampanji pozivale “da se slobodno i bez straha odazovu predstojećem popisu stanovništva, izjašnjavajući se na njemu kao Srbi pravoslavne vjere“.

I taman kada sam pomislio da smo pogriješili u procjenama o učešću Srba u novom popisu stanovništva u RH, pročitah u “Jutarnjem listu” izjavu neimenovanog sagovornika iz DZS RH da su i “popis i obrada podataka vođeni amaterski” i “da svaki upućeniji stručnjak ima pravo da sumnja u dobijene rezultate”. Tu sumnju mi ovih dana potkrijepi i jedan Srbin, koji sve ove godine živi među povratnicima i bavi se  humanitarnimradom, primjedbom da Srba na terenu nema toliko na koliko ukazuje objavljeni rezultat popisa.

A onda se sjetih da je Hrvatska u decembru prošle godine potpisala Pristupni sporazum sa EU i da je već određen i datum njenog prijema u tu asocijaciju za 1. jul iduće godine pod uslovom da ga do tada ratifikuju svih 27 članica. Do sada je to uradilo 20 članica dok to još nisu učinile Velika Britanija, Francuska, Njemačka, Belgija, Holandija, Danska i Slovenija. Da je Hrvatska i ovakve podatke o učešću Srba u posljednjem popisu stanovništva ranije objavila, a trebala je s obzirom da je popis obavljen u aprilu 2011. godine, možda bi ih i neka članica EU upitala šta bi sa povratkom Srba, u šta je i EU uložila mnogo para.

A da je “pravde i poštenja” trebale bi preostale članice prije ratifikacije i na osnovu objavljenih podataka, bez obzira da li odražavaju stvarno stanje,  pitati Hrvatsku  “gdje se to dedoše toliki Srbi”. Mi Krajišnici upravo to i očekujemo od vodećih evropskih demokratija i “rodonačelnika” EU  kao što su Francuska, Njemačka i Velika Britanija.

 

Beograd, 19.12. 2012.

Savo Štrbac




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Niente libro, solo moschetto

1) Vicenza 4 MAGGIO: GIORNATA DI LOTTA contro la base USA "Dal Molin - Del Din"
2) L'italiano perfetto? Niente libro, solo moschetto (Redazione Contropiano)
3) Ecco a cosa servono le larghe intese in Italia: 70 atomiche Usa custodite in Italia saranno adeguate per il lancio con gli F-35

... e con Emma Bonino Ministro degli Esteri, AUGURI! ...


=== 1 ===

VICENZA SABATO 4 MAGGIO

MANIFESTAZIONE popolare contro USARMY

ore 10.00  presso la stazione ferroviaria (lato viale Dalmazia), dietro lo striscione che avrà la scritta:

LA CRISI E’ DEL CAPITALE. LA GUERRA ANCHE.

NO ai LICENZIAMENTI. NO alle BASI

Il 25 aprile a Vicenza si è svolta una assemblea pubblica regionale col titolo “DALLA CRISI ALLA GUERRA?”.   Hanno partecipato attivamente più di trenta rappresentanti e/o aderenti a molte realtà organizzate e no delle province di Vicenza Padova e Venezia; molti altri  hanno aderito all’appello di convocazione pur non potendo essere presenti.

Il dibattito ha verificato una  sostanziale convergenza di vedute in tutta l’area della “sinistra di classe”, pur con diverse sottolineature: sia rispetto alle cause generali dell’attuale crisi sistemica e alle relazioni fra gli aspetti economici, politici e militari della lotta epocale in corso (nonostante le “alleanze” di facciata) fra i gruppi dirigenti del capitale imperialista - in particolare quelli con base negli USA e nella UE (Italia compresa) -, sia rispetto alle tragiche conseguenze di tutto ciò per le classi lavoratrici e popolari, specie nei paesi meno “competitivi”, in termini non solo di perdita dei diritti conquistati nel passato, ma di aumento di povertà, emarginazione e imbarbarimento della vita sociale e civile - “guerre fra poveri” indotte dai ricatti padronali e dalla complicità dei partiti e sindacati “di regime” -. 

Su queste basi si sono valutate le difficoltà, ma anche la necessità e le possibilità di superare schematismi e atteggiamenti autoreferenziali per uscire dall’isolamento e costituire un fronte unico resistenziale che possa contribuire nel concreto - non solo nell’immaginario di pochi - a (ri)connettere le lotte del lavoro e sociali, indirizzandole verso la Liberazione dalla barbarie in cui ci sta portando questo modo di produzione in decadenza, il capitalismo.
Questo a partire da SABATO 4 MAGGIO, partecipando in modo organizzato alla manifestazione di VICENZA per “visitare” la nuova base di guerra USARMY AFRICOM, il mostro che occupa 700.000 mq dell’ex aeroporto Dal Molin con 800.000 mc di cemento, appena finito di costruire e pronto per ospitare altri duemila parà “pronti all’uso”, completando l’imposizione di fatto sull’intero territorio cittadino (e sugli stessi abitanti) della servitù militare - per di più verso una potenza straniera, per evidenti scopi di guerra e con danni ambientali irreversibili -. Costruita sì, ma non accettata.  Questo sarà solo l’inizio di una campagna di mobilitazione e di lotta che i vicentini non “schiavizzati” stanno preparando per i prossimi mesi.
Siete tutte/i invitati a diffondere in modo più allargato possibile questo comunicato/appello
e ovviamente a partecipare più numerosi possibile insieme e dietro lo striscione comune


evento Facebook: https://www.facebook.com/events/617379128292238

per contatti: vicenza@...


=== 2 ===

http://www.contropiano.org/news-politica/item/15946-litaliano-perfetto?-niente-libro-solo-moschetto

Mercoledì 17 Aprile 2013 11:59

immagine: Spesa militare in % del PIL 1995-2010 (fonte: SIPRI)
http://www.contropiano.org/media/k2/items/cache/965ea8280b8e466d22fe759e62309bf3_L.jpg


Quasi in testa nelle spese militari, ultimi in istruzione e cultura. L'identikit di un paese governato in modo infame e suicida.

Nessuna classifica è neutrale, né perfetta. Ma mettendone insieme due o tre, o anche di più, ne viene fuori un quadro abbastanza nitido di un paese e della sua classe politica. Se parliamo di spese, infatti, parliamo di “scelte politiche”. Si spende di più per quello che è considerato più importante, di meno per quel che non interessa. Una questione di “valori” politici ed etici, progettuali, che presiede alla distribuzione dello “sforzo”.

Per esempio. L'Italia è penultima in Europa per la percentuale di spesa pubblica destinata alla cultura: appena l'1,1%, a fronte della media del 2,2% dei 27 Paesi dell'Ue, matematicamente il doppio. Dietro di noi c'è solo la Grecia, ma negli utlimi tre anni Atene non ha più avuto una politica economica appena appena discrezionale. I governi italiani, dunque, l'hanno ridotta per scelta quasi libera. In fondo, siamo anche l'unico paese del mondo industrializzato ad avere avuto un ministro dell'economia che dichiarava “la cultura non si mangia” (Giulio Tremonti). Lo avessero pensato i predecessori, staremmo ancora a dipingere cervi nelle grotte...

In compenso, nel 2012 l’Italia è salita al decimo posto nel mondo – quarta in Europa - tra i paesi con le più alte spese militari. Eravamo undicesimi, nel 2011; si vede che il governo “tecnico” ci ha messo del suo. 34 miliardi di dollari l'anno, ovvero 26 miliardi di euro, 70 milioni al giorno. Mentre tagliava tutto, aumentava la spesa militare (acquisto di F35, missioni all'estero, ecc). Il dato viene dal Sipri, istituto internazionale con sede a Stoccolma.

Ma l'Italia dà un grande contributo anche ai profitti finanziari. Il 17,3% della spesa pubblica se ne va infatti per il pagamento degli interessi sul debito. Peggio, ancora una volta, stanno solo Grecia (24,6%), Cipro (24,1%) e Ungheria (17,5%).

L'identikit di questo paese ne esce quindi fuori nitido: si impegna come servo militare dell'imperislismo più forte (è il più fedele esecutore europeo degli ordini Usa, dopo la Gran Bretagna), ha deciso di mantenere nell'ignoranza perenne la propria popolazione tagliando il cordone ombelicale con la propria storia culturale trimillenaria, si svena per pagare interessi su un debito che (al 130% del Pil) ognun sa che non potrà mai essere restituito.

Nessun libro, ma solo moschetto! Neanche il fascismo era arrivato a tanto...


=== 3 ===

http://www.peacelink.it/disarmo/a/38315.html

Piano di riarmo nucleare, Obama e Napolitano a braccetto


Ecco a cosa servono le larghe intese in Italia


The Guardian: 70 atomiche Usa custodite in Italia saranno adeguate per il lancio con gli F-35
23 aprile 2013 - Alessandro Marescotti


C'era chi pensava che i poteri forti fossero scesi in campo per l'Ilva e che le larghe intese servissero a queste operazioni a metà fra la politica e l'economia.

C'era chi pensava - continuando su questa linea - che le larghe intese servissero alla TAV e alle grandi opere.

C'era chi pensava che Napolitano fosse il presidente della guerra in Afghanistan e che le larghe intese servissero a puntellare una guerra Nato che va sempre peggio.

Ma non era prevedibile che di mezzo ci fossero anche le armi atomiche.

Ora lo sappiamo: gli USA rendono compatibili le atomiche in Italia con gli F-35, lo rivela The Guardian.

«Si tratta di un aumento significativo del livello di capacità per il dispositivo nucleare degli Usa di base in Europa», ha detto Hans Kristensen, della Federation of Nuclear Scientists, scrive il Guardian, «e va in direzione opposta rispetto all'impegno preso da Obama nel 2010 di non dispiegare nuove armi nucleari».

Napolitano, Berlusconi, Monti e quello che sarà il prossimo segretario del PD serviranno a saldare il patto di ferro con il "Premio Nobel per la Pace" che rilancia le armi atomiche in Italia mentre da tempo se ne chiedeva lo smantellamento.


Vedi anche:

http://www.peacelink.it/disarmo/a/38314.html

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http://www.repubblica.it/esteri/2013/04/21/news/usa_11_miliardi_per_adeguare_le_atomiche_agli_f-35-57197605/

Guardian: 70 atomiche Usa custodite in Italia
saranno adeguate per il lancio con gli F-35


A sorpresa rispetto agli impegni di Obama sul disarmo, il Pentagono stanzia 11 miliardi di dollari per interventi di 'ammodernamento' dei 200 ordigni B61 ospitati da basi Nato europee: 50 sono ad Aviano, 20 a Ghedi. L'operazione ruota intorno al controverso caccia-bombardiere di ultima generazione


ROMA - Dagli Usa arriva un apparente voltafaccia rispetto agli impegni di Barack Obama verso il disarmo nucleare. Il Pentagono si appresta infatti a spendere 11 miliardi di dollari per ammodernare 200 ordigni nucleari tattici B61 allocati in Europa per trasformarli in "bombe atomiche intelligenti (teleguidate)" sganciabili dal controverso caccia di ultima generazione F-35, di cui si doterà anche l'Italia. E' quanto rivela il britannico Guardian.

Le B61 sono ordigni americani conservati negli arsenali Nato europei. Sono 'nascosti' in Belgio, Olanda, Germania, Turchia, ma anche in Italia sul cui territorio sono ancora presenti 90 di questi ordigni (70 secondo le ultimissime stime): 50 ad Aviano in Friuli e 40 (20) a Ghedi, in provincia di Brescia.

Si tratta di atomiche piuttosto antiquate, ma sempre armi di distruzione di massa, realizzate alla fine degli anni Sessanta: pesano fino 320 kg, sono lunghe 3,56 metri ed hanno un diametro di 33 cm. La loro potenza massima è di 340 chilotoni (oltre 30 volte la bomba di Hiroshima) ma quelle depositate in Europa, il modello B61 Mk12, si fermano a 50 chilotoni (un chilotone corrisponde alla potenza esplosiva di 1.000 tonnellate di tritolo).

Degli 11 miliardi di dollari stanziati, il Pentagono - che nel 2010 si era impegnato a ridurre il numero degli ordigni atomici e a non svilupparne di nuovi - ne spenderà 10 per prolungare la vita operativa delle B61 e uno per dotare ogni ordigno di alette di coda per trasformarle in bombe atomiche guidate. Alla fine le 200 nuove B61 saranno pronte tra il 2019 e il 2020 in tempo per essere usate dal discusso caccia-bombardiere 'invisibile' F-35.

Quello degli F-35 rappresenta il più ambizioso e costoso programma della storia militare non solo statunitense:2.443 aerei per 323 miliardi di dollari.L'Italia ha di recente confermato il proprio impegno all'acquisto, pur riducendo gli ordini a 90 esemplari.

In teoria un F-35 potrebbe penetrare indisturbato (perchè non rilevabile ai radar) lo spazio aereo di qualsiasi nazione e sganciare una di queste bombe atomiche tattiche. A quanto riferisce il Guardian, secondo l'amministrazione Obama, l'aggiunta delle alette di coda per rendere indirizzabili (Gbu) le B61 non rappresenta "un significativo cambiamento per cui non viola gli impegni del 2010".

(21 aprile 2013)




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LA FISSAZIONE DI STELIO SPADARO


Da:  Claudia Cernigoi <nuovaalabarda @ gmail.com>

Oggetto:  lettera alle Segnalazioni

Data:  29 aprile 2013 15.09.30 GMT+02.00

A:  piccolo @ ilpiccolo.it, segreteria.redazione @ ilpiccolo.it

Nel consueto (nel senso che si ripete di anno in anno) intervento di Stelio Spadaro (quest’anno assieme a Lorenzo Nuovo) relativamente all’importanza dell’insurrezione del CLN triestino il 30/4/45, leggiamo anche che “i CLN triestini (sic) erano ignorati od ostacolati dal CLN Alta Italia che dava per scontato che la Resistenza dovesse essere affidata all’esercito di Liberazione sloveno e croato” e che “del quarto CLN giuliano non facevano parte gli uomini del Partito Comunista” perché “il PCI era nella sostanza schierato dall’altra parte” (anche se il testo può dare adito al dubbio che il PCI sostenesse i nazifascisti, per “altra parte” i due autori intendono gli Alleati jugoslavi).

Vanno quindi chiarite alcune cose. La prima è che il CLNAI, in quanto organo di governo dell’Italia antifascista riconosciuto dagli Alleati, aveva (giustamente) invitato il CLN triestino a collaborare con il Fronte di liberazione facente riferimento alla Jugoslavia di Tito, governo riconosciuto dalle nazioni alleate. Ed il CLN di Trieste, se voleva avere un riconoscimento internazionale dalla compagine antinazifascista, doveva giocoforza collaborare con l’Esercito di liberazione jugoslavo e (a Trieste) con il Fronte di Liberazione – Osvobodilna Fronta sloveno.

Però questa direttiva politica non era stata raccolta dal CLN giuliano (come si può facilmente vedere negli scritti di Giovanni Paladin, don Marzari, Giuliano Gaeta ed altri), che nell’estate del 1944 fece di tutto per creare delle fratture con l’OF, il che provocò anche l’allontanamento dal CLN del Partito comunista.

E quando, un paio di mesi dopo, il delegato comunista Giuseppe (Pino) Gustincich, cercò un contatto con il CLN giuliano, ecco come lo accolse don Edoardo Marzari, presidente e tesoriere del CLN giuliano, rappresentante della Democrazia cristiana.

“… in settembre (1944, ndr) mi si presentò a Trieste un certo Pino Gustincich, dicendo di essere stato designato a rappresentare i comunisti però non solo italiani ma anche sloveni. Gli risposi che il CLN era italiano e che non era ammissibile una rappresentanza slava in seno ad esso, esistendo già per gli slavi un loro proprio organo. Egli replicò che le direttive erano state cambiate e che solo a quella condizione il PC poteva far parte del CLN. Risposi che allora il posto del PC sarebbe stato vacante e così di fatto avvenne in seguito e ogni cosa si svolse fino alla liberazione e oltre senza la partecipazione del PCI” (“I cattolici triestini nella Resistenza”, Del Bianco, Udine 1960, p. 30).

Quindi, stando alle affermazioni di don Marzari, non è stato il Partito comunista triestino a non voler entrare nel CLN giuliano, ma il CLN giuliano a rifiutare, dopo avere disatteso le direttive del CLNAI, l’adesione del Partito comunista.

Un tanto per correttezza nei confronti dei combattenti per la Liberazione di Trieste.


Claudia Cernigoi

Trieste




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(italiano / slovenscina)

Banda Collotti: Banditi, ki so zastopali institucijo

1) OGGI a Trieste: Presentazione del libro LA BANDA COLLOTTI di C. Cernigoi. Una nota dell'Autrice 
2) Claudia Cernigoi o svoji knjigi La »Banda Collotti« o posebnem inšpektoratu javne varnosti (Primorski Dnevnik)


=== 1 ===


Trieste, sabato 27 aprile 2013
ore 18.30
, Casa del popolo di Sottolongera (via Masaccio 34, autobus 35)

Presentazione del libro:

LA BANDA COLLOTTI
Storia di un corpo di repressione al confine orientale, 1942-1945

di C. Cernigoi
(Udine: KappaVu, 2013)

alla presenza dell'Autrice.

Nota dell’autrice:

Ho cominciato a scrivere questo libro più di dieci anni fa, pensando all'inizio di farne un breve dossier, come quelli che pubblico per la Nuova Alabarda. Avevo iniziato riordinando un po' di documenti storici e di testimonianze e poi, andando avanti, mi sono accorta che mentre scrivevo la storia del corpo di repressione avevo iniziato a ricostruire anche una parte della storia della Resistenza di queste terre, e così ho proseguito raccogliendo altri documenti, ma soprattutto testimonianze di persone che avevano vissuto quei momenti e me ne hanno resa partecipe. Così ne è uscito un libro piuttosto corposo, ricerca che per me ha significato non solo conoscere fatti storici ma anche entrare in contatto con tante persone che avevano lottato e sofferto per la libertà, ed alla fine ne sono uscita più ricca interiormente. Ringrazio ancora tutti coloro che mi hanno aiutata e che sono ricordati all'inizio del libro, e mando un pensiero particolare agli ex prigionieri che hanno accettato di visitare la sede di via Cologna, dove erano stati detenuti e torturati, per ricostruire con noi, che "viviamo tranquilli nelle nostre tiepide case" quei tempi terribili che non abbiamo vissuto, noi che grazie al sacrificio di persone come loro oggi possiamo vivere liberamente.



=== 2 ===


Banditi, ki so zastopali institucijo


Claudia Cernigoi o svoji knjigi La »Banda Collotti« o posebnem inšpektoratu javne varnosti

sobota, 20. aprila 2013




V četrtek so v novinarskem krožku predstavili knjigo Claudie Cernigoi La Banda Collotti« o posebnem inšpektoratu javne varnosti (založba Kappavu iz Vidma). Pogovorili smo se z avtorico, ki je svoje delo predstavila skupaj z Alessandro Kersevan in Ljubomirjem Sušićem.


Kaj prinaša nova knjiga o posebnem inšpektoratu policije?
To je študija o represivnem organu, ga je leta 1942 ustanovilo italijansko notranje ministrstvo, da bi zajezilo partizansko gibanje v Julijski krajini. O zloglasnem inšpektoratu je bilo v Trstu veliko govora, žal pa se je o njem malo pisalo. Hotela sem zapolniti vrzel, saj me tema zelo zanima.

Je to prva knjiga na to temo?
Da. Objavljenih je bilo nekaj člankov in publikacij, to je pa prva specifična študija o inšpektoratu.

Katere vire ste uporabili?
Prvi vir je bil Deželni inštitut za zgodovino osvobodilnega gibanja v FJK. Potem sem šla na Odsek za zgodovino Narodne in študijske knjižnice v Petronijevi ulici ...

Dokler je bil še odprt.
Da, k sreči mi je uspelo proučiti nekaj gradiva, predvsem iz Bubničevega arhiva. Potem so še državna arhiva v Trstu in Rimu, državni arhiv v Ljubljani (o prijavah na račun vojnih zločincev iz posebnega inšpektorata), arhiv tržaškega VZPI-ANPI (fascikel z dokumenti, ki so jih zasegli po Collottijevi aretaciji v Carboneri), razne knjige, nekaj podatkov pa mi je posredoval Vincenzo Cerceo, ki je prebral dnevnike Diega de Henriqueza v tržaških mestnih muzejih. Pomembno mesto pa zasedajo številni intervjuji, ki sem jih opravila z osebami, ki so doživele tedanje grozote. Pričevanja sem povezala z zapisniki posameznih zaslišanj.

Ali ste intervjuvali veliko ljudi?
Da, iz Furlanije-Julijske krajine in Veneta, kjer so prijeli Gaetana Collottija. Govorila sem tudi z osebo, ki je bila takrat na območju njegove aretacije. Prav posebno pa je pričevanje ženske, ki so jo odvedli na sedež inšpektorata v Ul. Bellosguardo, ko je bila stara osem let. Nje niso mučili, stik s Collottijem pa se ji je vtisnil v spomin. Spraševal jo je o njenih starših. V knjigi posvečam posebno pozornost človeški plati.

Kaj vas je najbolj presunilo med raziskovanjem?
V prvi vrsti to, da je bila struktura inšpektorata zelo organizirana. Giuseppe Gueli, ki je vodil inšpektorat, je imel v mislih sodoben model protigverilske represije. Osupljiva sta število ljudi, ki jih je obravnaval inšpektorat in odstotek smrtnih žrtev - zaradi mučenja ali pa odhoda v taborišče. Večina tamkajšnjih policistov pa je po vojni ostalo v službi in nekateri so se v drugih mestih povzpeli celo do kvestorskega položaja.

S Collottijem so v Venetu zajeli tudi Slovenca Rada Seliškarja. Kdo je bil?
Seliškar je bil ljubljanski prostovoljec, ki je zapustil partizane in se pridružil posebnemu inšpektoratu, vendar zgodba ni jasna. Njegova zaročenka je zatrjevala, da je v resnici pod krinko še vedno sodeloval s partizani, drugi viri pa postavljajo v dvom to razlago, češ da je bil kolaboracionist. Dopisi so na Odseku za zgodovino NŠK. V Venetu so Collottija in Seliškarja na koncu baje ustrelili.

V naslovu je Collottijeva tolpa v narekovajih. Ali ste s tem želeli poudariti, da je šlo v resnici za državni organ?
Vsi jo poznajo kot Banda Collotti, čeprav je bila to institucija. Predstavniki te institucije pa so se dejansko obnašali kot banditi. Na to je med prvimi opozarjal Borštan Jordan Zahar, ki sem ga intervjuvala.


Več v tiskani izdaji Primorskega dnevnika








Another Massive Failure by the International Criminal Tribunal

APRIL 17, 2013

Neither Justice Nor Reconciliation


by DIANA JOHNSTONE

Paris.


Do international criminal tribunals contribute to reconciliation between parties to armed conflicts? On April 10, the question was discussed during a “thematic debate” at the United Nations General Assembly – but not by everybody.

The United States boycotted the affair.
Why? It was organized by a Serb.

Richard Dicker of Human Rights Watch took on the task of warning people away in an article in the Huffington Post. The debate “will serve up a revisionist denial of the worst killings in Europe since the end of World War II”, he announced, adding that “it is unlikely much thoughtful discussion will occur.”

The Serb organizing the conference was Vuk Jeremic, who used to be Serbia’s foreign minister before becoming current president of the UN General Assembly, a position which allows such special thematic debates to be organized. With the moral weight of Human Rights Watch behind him, Dicker wrote that “the government Jeremic served is dominated by the nationalist Serbian Radical Party (SRP), whose founder, Vojislav Seselj, is on trial at the International Criminal Tribunal on Former Yugoslavia” (ICTY). Dicker accused Jeremic of deciding to “organize a ‘debate’ to serve as cover for an auto-da-fe of the tribunal.”

Take that, you Serbs! We know what you’re up to! Except that, incidentally, there has never been a Serbian government dominated by the Serbian Radical Party. That party ceased to exist during the ongoing decade-long incarceration without trial of its leader Seselj – which is perhaps precisely why Seselj is being kept indefinitely in The Hague. The government Jeremic served was in fact the submissively pro-Western Democratic Party government of President Boris Tadic, which spent its years in office doing everything it could to please its tormenters in the European Union, the United States and the Tribunal. But never mind the facts: those Serbs are all alike, extreme nationalists, of course.

Having disposed of the Serbian sponsors, Dicker concluded: “Countries with a more constructive agenda need to find a way to debate these and other lessons as we near the 20th anniversary of the Yugoslavia tribunal.”

Of course, Human Rights Watch could have brought its “constructive” views to the April 10 conference. All that was needed was for its executive director Kenneth Roth to accept the invitation from Jeremic, who also invited other champions of the ICTY.
Erin Pelton, spokeswoman for the U.S. Mission to the United Nations, said the United States would not participate in the “unbalanced, inflammatory” meeting. Indeed, why should the Superpower that has systematically ensured its own immunity from the International Criminal Court discuss international criminal law with indictable riffraff?
So the debate was left to those beyond the pale of “the International Community” – such secondary countries as Argentina, South Africa, Russia, China, Cuba, India, Algeria, Turkey, Brazil, etc., etc.

Jeremic posed the paramount issue of the conference in his introductory remarks: “how international criminal justice can help reconcile former adversaries in post-conflict, transitional societies.” He ventured to suggest that: “Reconciliation will come about when all the parties to a conflict are ready to speak the truth to each other. Honoring all the victims is at the heart of this endeavor… Reconciliation is in its essence about the future, about making sure we do not allow yesterday’s tragedies to circumscribe our ability to reach out to each other, and work together for a better, more inclusive tomorrow.”

Not much of an “auto-da-fe”.

This was soon followed by the dreaded moment of scandal when the current President of Serbia, Tomislav Nikolic, delivered his speech. “U.S. boycotts U.N. forum over agenda set by Serb”, headlined the International Herald Tribune, noting that: “Critics took offense that

General Assembly president, Vuk Jeremic, whose antipathy toward the Yugoslavia tribunal is well known, had invited as keynote speaker the like-minded president of Serbia, Tomislav Nikolic, but not the victims of Balkans atrocities …” What Nikolic himself actually said was not reported.

So, addressing only the majority of the world that lies beyond the pale, Nikolic said that Serbia yearned for reconciliation with its neighbors with whom it used to live in the same country. But he was “deeply convinced that the Hague Tribunal has only done harm to this process and that it has probably caused an unnecessary delay that will be carried over to the next generation.”

The one-sided focus of the Tribunal on crimes by Serbs stands in the way of reconciliation, he said. The extreme imbalance between convictions of Serbs and other parties to the tragic conflicts indicates an effort to establish the conclusion that the Serbian side alone was carrying out murder and genocide while the others were passively going about their daily business.

“It is not true that in this war that destroyed us all only one side was getting killed and the other side was doing the killings”, he said, blaming the ICTY for a “lack of objectivity and impartiality”.

Nikolic recalled Serbia’s extraordinary cooperation with the Tribunal over the years, extraditing 46 defendants, including two former presidents, government ministers, three army chiefs of staff and several police and army generals, including the director of intelligence service which, Nikolic stressed, has never been done by any other country. Serbia has “almost given up sovereignty,” relieving more than 750 witnesses from the obligation to safeguard state secrets and opening its archives to prosecutors.
In return, crimes against Serbs have been almost entirely ignored by the prosecution, and the few prosecutions of the most notorious crimes of ethnic cleansing of Serbs have ended in acquittal on appeal.

The verdicts reached by the Tribunal are making the Serbian people feel frustrated and depressed while creating feelings of exaltation and triumph among Croats and Bosnian Muslims, he said. In the absence of a balanced truth, “any reconciliation will be imposed and insincere.” A convincing court “cannot be fair to some and unfair to others.” No real reconciliation is possible when one nation is made to feel that it is the victim of a great injustice, while giving the other side a feeling of great triumph.

Of the refusal of ICTY representatives to attend the conference Nikolic said that “if they did not respect the most ancient legal rule, ‘Audiatur et altera pars’ (hear the other side too), how can we expect even a minimum of law and justice of them?”

Following statements by representatives of participating countries, the conference heard discussion by two expert panels, made up of a total of two Serbs and eight speakers from the United States, the United Kingdom and Canada.

Savo Strbac, a Bosnian Serb who has collected data on war deaths, used statistics to show that the Tribunal had unfairly prosecuted a disproportionate number of Serbs. William Schabas, an American defender of the ICTY, replied that the 1945 Nuremberg Tribunal was, after all, even more one-sided against the Germans. He thus confirmed exactly what the Serbs object to, namely that the Tribunal was set up at the start of the Yugoslav wars of disintegration to put political pressure on the Serbian side, after Germany and the United States, for contrasting reasons, had decided to back the Croatian and Bosnian Muslim separatists against the Serbs. The ICTY was used as a constant threat to the Serbs, the party most opposed to dismantling Yugoslavia. The prosecution of members of the secessionist national groups have been token at best.
The second Serb panelist, Cedomir Antic, noted that over 70% of Serbs have a negative view of the Tribunal, but other national groups are not satisfied either. He protested that the underlying identification of Serbia with Nazi Germany was unfounded and unjust. By developing a condemnation of Serbia’s entire historic culture, the ICTY has even fostered hatred of their own country among some Serbs. Serbs are accused of hating others, but self-hatred is welcomed.

It is striking that not long after World War II, which left over 60 million dead, the Federal Republic of Germany was cozily rehabilitated into the West, economically and militarily, whereas years after the end of an incomparably smaller localized war, Serbia remains a criminalized pariah.

The reason for this ongoing stigmatization of Serbia lies in the need to justify the 1999 Kosovo war.

At one point, a Cuban delegate asked Canadian panelist General Lewis MacKenzie,
who commanded UN peacekeeping forces in Sarajevo during the Bosnian phase of the wars: what was the real reason that NATO bombed Serbia for 78 days in 1999? General MacKenzie replied candidly that it was because NATO was celebrating its fiftieth anniversary, the Soviet bloc had collapsed, and “NATO was looking for work”.
The 1999 bombing of Kosovo was blatantly illegal – an act of aggression, without U.N. Security Council mandate, carried out with impunity against a country that posed no threat whatsoever to any NATO member.

As Cedomir Antic observed, the nature of the Tribunal is proven by the fact that it refused to indict anyone in NATO for its illegal crime of aggression against Serbia, or for its crimes in bombing schools, hospitals and other civilian targets.

International lawyer Matthew Parish raised the problem of international criminal law “stealing ground from historians”. The “fog of war” makes it hard to know what is going on, and justice pretends to give final answers, he observed.

ICTY indictments and convictions are designed to give answers that are clearly oriented in a way to support the NATO pretext that the bombing of Serbia was a “humanitarian” war to save potential victims (Kosovo Albanians) from a hypothetical threat of “genocide”. That version casts the Serbs as villains, with all other parties as innocent victims.

U.S. leaders wanted to give NATO a new mission, and claiming to “save the Kosovars” from genocide was an ideal pretext. The main task of The Hague Tribunal for crimes in former Yugoslavia is to shore up that pretext. NATO powers proposed it, fund it, choose or vet its personnel. Quite naturally, it follows and confirms the NATO interpretation of events. The interpretation must be preserved above all because Kosovo as the “good, humanitarian war” still continues to serve as model for whatever other war the US or NATO may choose to undertake on a similar pretext.

It remained for British scholar John Laughland to conclude the debates with a scathing intellectual critique of the very principle of international criminal tribunals.

Laughland argued that the whole system is a fundamental mistake which overlooks the fact that the legal right to administer justice is the definitive characteristic of statehood which cannot rightly be usurped by such floating entities:

“This unimpeachable right to administer punishment is enjoyed by the state under very clear conditions, namely that this right is exercised in return for general protection of law-abiding citizens. The right derives, in other words, from the social contract. That social contract is systemically broken by international tribunals which offer no protection in return for the punishment they administer because they are not part of a state and have no police force. Not embedded in the structures of statehood, international criminal courts are a perfect example of power without responsibility.”

Laughland expressed his conviction that “the United Nations system is itself endangered by these developments and by the rise of that interventionism which international criminal justice embodies.”

To promote reconciliation, it would be necessary, Laughland maintained, to return to “the lost art of peace” which, until the early twentieth century, was exemplified in the amnesty clauses included in all peace treaties. Amnesty was not an individual forgetting, but an official act of sovereign states to put hostilities behind them and make a fresh start on friendly terms.

Ignoring all such issues, the mainstream media, in its indigent reporting, focused on the absent victims. Bosnian Muslim activist Munira Subasic was lengthily interviewed by the Associated Press, calling on emotion to trump reason with references to Srebrenica, genocide, rape, evil.

“As a victim of genocide, Subasic said, ‘I will never forgive. I will never forget’,” AP reported.

It was a final proof of the failure of the International Criminal Tribunal on former Yugoslavia to advance reconciliation.


DIANA JOHNSTONE is the author of Fools Crusade: Yugoslavia, NATO and Western Delusions. She can be reached at  diana.josto@...



(english / srpskohrvatski)

Remembering Milica Rakic

1) Anniversary of death of 3-year-old victim of NATO bombing
2) ПОНИЖАВА ЖРТВЕ, ХВАЛИ УБИЦЕ! (SUBNOR - NATO victims commemorated in Kragujevac, too)
3) The Nato-aggression against Yugoslavia, a model of the new wars of conquest - Interview with Živadin Jovanovic
4) The Nato-Aggression against the Federal Republic of Yugoslavia in 1999 - by Milica Radojkovic-Hänsel
5) LINKS: More relevant articles published by the Swiss magazine Current Concerns


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B92 - April 17, 2013


Anniversary of death of 3-year-old victim of NATO bombing


BELGRADE: Today marks 14 years since the death on April 17, 1999, of three-year-old Milica Rakić, killed during a NATO air raid.

The child was fatally injured in the bathroom of her home, when a shrapnel from a cluster bomb hit her in the head.

The apartment building where her family lives is located some six kilometers from the military airport in the Belgrade suburb of Batajnica.

The traces of the damage done by the bomb are still visible on the facade around the bathroom window. The family decided not to repair the wall, as a reminder of the horrific crime.

The toddler’s death became the symbol of the suffering of the Serbian people during the war that NATO waged against the country in the spring of 1999.


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Крагујевац



ПОНИЖАВА ЖРТВЕ, ХВАЛИ УБИЦЕ!

Поводом низа оглашавања на интернетској мрежи Саше Миленића, народног посланика, функционера УРС и председника Скупштине Крагујевца, да је „НАТО ОСЛОБОДИО СРБИЈУ“, о чему су писали многи медији, реаговали су Окружни одбор СУБНОР Шумадије и Градски одбор СУБНОР Крагујевца.

Текст саопштења о понашању Саше Миленића доносимо у целости.

„У историји Србије и српског народа сарадници окупатора и домаћи издајници увек су бирали и бирају тренутке за своје деловање када Србија и њено руководство доносе судбоносне одлуке за очување суверенитета, територијалног интегритета, и у овом тренутку одбране Косова и Метохије.

На овај начин не бирајући средства покушавају да умање напоре председника Републике, Владе и Скупштине Р. Србије као и огромну подршку народа да очувају целовитост Србије али и да заштите неалбански живаљ на територији КиМ који је опет нажалост мета „ Милосрдног анђела “.

Призивајући снаге НАТО-а које су по њему ослободиле Србију он поново убија све патриоте и родољубе кроз нашу историју који су за слободу, част и достојанство отаџбине дали највећу цену, свој живот.

Изгледа да г. Миленић жели поново да убије малу Милицу Ракић из Батајнице, повреди душе и срца њених родитеља, Сашу Васиљевића, војника из Крагујевца који је бранећи Свету српску земљу КиМ погинуо од авијације НАТО-а, као и његове погинуле саборце из Крагујевца : Виријевић Зорана, Милошевић Милосава, Милутиновић Златка, Милутиновић Драгана, Пантовић Ђорђа, Петковић Божа, Урошевић Душана, Жикић Карађорђевић Љиљану, Заграђанин Славољуба, Илић Радишу, Крстић Горана, Миленковић Јовицу, Миловановић Горана, Цветковић Зорана, Коматовић Сашу, Јокић Милана, Станојловић Владана, и све остале часне патроте и родољубе из Републике Србије који су били жртве НАТО алијансе у борби против исте.

Господин Миленић заборавља да сви они који се стављају на страну „ Милосрдног анђела “ заправо желе да омаловаже и повреде историјско сећање и памћење на јунаке са Мишара, Цера, Колубаре, Солунског фронта, Кадињаче, Неретве, Сутјеске, Кошара, и још многих епопеја из наше слободољубиве историје.

Изгледа да сви они који раде против Србије и њених народа заборављају величину једног професора гимназије из Крагујевца, Милоја Павловића, металског радника Тозе Драговића, студента Наде Наумовић, који су пред окупатором и њиховим слугама уздигнуте главе отишли у смрт.

Деловање издајника и слуга окупатора и њихов непријатељски рад увек су били препознатљиви у нашем народу и осуђивани, односно стављани на стуб срама.

Сви они који су се отворено ставили, и стављају у службу непријатеља српског народа себи дају за право да су носиоци култа Немањића и Светог Саве, при чему заборављају да су то највеће светиње и заклетва српског народа и православља, заправо да је православље очувало српски идентитет у вишевековним борбама за слободу.

Американофила и оних који су призивали и призивају НАТО да бомбардује Србију и комада њену територију има још у Србији, али без обзира на њихов број и њихово непријатељско деловање препознати су и не могу осујетити напоре државног руководства Србије и подршку патриота и родољуба, грађана Србије, за очувањем слободе, части и достојантва Србије“ – стоји у саопштењу Окружног одбора СУБНОР-а Шумадије и Градског одбора СУБНОР-а Крагујевца.


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Current Concerns No 13, 28 March 2013

«In a broader sense it should be noted that NATO aggression marked a strategic change in its nature: it abandoned the defensive and adopted an offensive (aggressive) policy, authorizing itself to intervene any time at any spot on the globe. The UN, especially the UN Security Council, had been disabled; international law and justice disregarded.»


The Nato-aggression against Yugoslavia from 1999 was a model of the new wars of conquest»

“Humanitarian interventions” as a pretext for deployment of US-troops

Interview with Živadin Jovanovic, Former Minister of Foreign Affairs of the Federal Repbulic of Yugoslavia, presently Chairman of the Belgrade Forum for a World of Equals

Current Concerns: Mr. Jovanovic, can you present yourself shortly for our readers and give us some information about yourself and your career?

Živadin Jovanovic: In 1961 I graduated from the Faculty of Law at the University of Belgrade; from 1961 to 1964 I was at the District Administration of New Belgrade [a municipality of Belgrade]; from 1964–2000 I was in the diplomatic service of the Socialist Federal Republic of Yugoslavia SFRY (since 1992 Federal Republic of Yugoslavia FRY): from 1988–1993 as Ambassador in Luanda, Angola, from 1995-1998 as Assistant Minister of Foreign Affairs, and from 1988–2000 as Minister of Foreign Affairs. From1996-2002 I was Vice Chairman of the Socialist Party of Serbia for Foreign Affairs; 1996 I was Member of Parliament to the Parliament of Serbia and in 2000 to the Federal Parliament of Yugoslavia (2000). Books that I wrote are:  “The Bridges” (2002), “Abolishing the State” (2003), “The Kosovo Mirror” (2006).

After leaving the Ministry of Foreign Affairs in November 2000 you joined the Belgrade Forum for a World of Equals. Now you are the Chairman of this Association. What are your priorities?

The priorities of the Forum are: the promotion of peace, tolerance and cooperation based on equality among individuals, nations, and states. We stand for full respect of the international law, the basic principles of international relations and the role of the United Nations. Use or threats of use of force and military aggressions are not admissible means in solving international problems. We consider that there are no “humanitarian” wars, or interventions. All interventions beginning with the NATO aggression against Serbia (FRY) in 1999 up to now, regardless on their formal,  public explanations, have been wars of conquest, some of them for geo-strategic, some for economic benefits. We promote human rights in their entirety, according to the UN-declaration – including social, economic, cultural, health, employment and other human rights.
 We try to meet our objectives through various public debates, conferences, round tables, seminars, on national and international levels. The Forum cooperates with associations of similar aims, within Serbia, the region and worldwide.

We have seen some of very interesting books published by Belgrade Forum. How do you manage to maintain your publishing activity?

The Forum has published about 70 books on different national and international issues, from development policy in conditions of crisis, the status of Kosovo and Metohija and the Hague Tribunal to the NATO policy in the Balkans, on the foreign policy of Serbia, on International terrorism and on the role of intellectuals. Some of our books have been distributed in many countries in all continents. This is the case, for example, of the book titled “NATO Aggression – the Twilight of the West”. Unfortunately, for the lack of resources, only a few of our books have been published in foreign languages. 
Last month only we published three new books – one devoted to the great Serbian philosopher and academician Mihailo Markovic, who was one of the co-founders of the Belgrade Forum,  the other titled “From Nuremberg to Hague” and a third “From Aggression to Secession”.* Promotions of our books in various towns in Serbia attract significant attention.
All our activities, including writing and publishing, are entirely based on voluntary work. We never had, nor do we have today, a single person paid for the work done within the Forum. Membership fees and donations, mainly from Serbian diaspora, are main sources of the Forum’s income.

You have mentioned promotion of peace to be one of your key objectives. But peoples of your region have been victims of wars in the last decade of the 20th century.

True. The peoples of former Yugoslavia have suffered immensely, first, from the civil wars in Bosnia and Croatia (1992-1995), then from the military aggression of NATO (1999), from sanctions and isolation and so on. Great many of them continue to suffer today. Consider, for example, the life of close to half a million of refugees and displaced persons living in Serbia only, who are not permitted to return to their homes in Croatia or in Kosovo and Metohija. Consequences are still painful and will continue long in the future. What to say of the consequences of cassette bombs and missiles with depleted uranium used by NATO in 1999 taking daily tolls in human lives today and in centuries to come. History will prove that the peoples of former Yugoslavia have been victims of the concept of the so called New World Order which in fact has been based on the policy of domination and exploitation.

Do you suggest that the foreign factors are responsible for the break-up of Yugoslavia, and not local ones?

Local factors cannot be amnestied; they do bear their responsibility, of course, for not being prepared to compromise. But the prevailing analyses seem to be lacking due attention to the negative role of external factors. Now we have enough proofs that certain European powers already in 1976 and 1977 had plans on how to “rearrange” the territory of SFRY, in other words, how to divide, or fragment it in order to suit their own interests.After Tito’s death, nationalism and separatism in various Yugoslav republics, as well as separatism and terrorism in the Serbian Province of Kosovo and Metohija, had been encouraged, even assisted politically, financially, logistically and propaganda-wise. Later on certain mighty countries have been involved in the civil wars helping one against the other side. Those countries almost openly had been supporting a secession of Slovenia and Croatia, arming Croatia and Bosnia even during the UN arms embargo, encouraging and facilitating the incoming of mercenaries, including Mujahidin. On the other side Serbia and Montenegro had been under isolation, sanctions and stigmatization. They had been treated as the only ones responsible for the civil wars. That was not based on facts, nor helpful in extinguishing the fire.

Results?

In the place of one state, now there are six, economically unsustainable, puppet states, plus a seventh one in the offing, 18 governments1, six armies, six diplomatic services, etc. Foreign debt, which in 1990 amounted to about 13.5 billion for the whole of the SFRY rose in 2012 to about 200 billion of Euro for the six former Yugoslav republics! Some of them became financially enslaved. Who has benefited from this? Until 1990 there was not a single foreign military basis in the region. Today, there are a number of foreign, mainly USA, bases, Bondsteel in Kosovo and Metohija being the largest in Europe.2 To do what? To benefit whom? Bosnia almost 18 years after the Dayton Accords is not functional; ten years after the Ohrid Accords the Former Yugoslav Republic of Macedonia (FYROM) is not functional and continues to be faced with profound ethnic divisions and tensions. The status of Kosovo and Metohija even14 years after UN Security Council Resolution 1244 still remains unresolved. Tirana`s Sali Berisha and Prishtinas Hashim Thaci are publically advocating for the establishment of so called Greater Albania. Other burning problems like unemployment ranging from 30 to 70 per cent, poverty, hundreds of thousands of refugees and displaced persons, international organized crime, including trafficking of human organs, drugs, arms and immigrants, make the picture of post Yugoslavia’s reality grim and uncertain. 
So, who has really benefited from the fragmentation of Yugoslavia? 

Mentioning NATO intervention what are your views now, 14 years after?

My views have not changed. This was an illegal, criminal and immoral attack on a sovereign European state. Illegal because it violated all basic principles of international law, including the UN Charter, the Helsinki Final Act and many international conventions. It was undertaken without permission of the UN Security Council. Criminal, because it was directed mainly against civilians, civilian infrastructure, using forbidden armament such as chemical, cassette bombs and missiles with depleted uranium. Immoral, because it was based on false pretentions and on untruths. The leaders of NATO are responsible first of all for killing of close to 4.000 and for wounding about 10.000 of persons, two thirds of whom were civilians. Direct material damages amounted to over 100 billions of US dollars. The NATO aggression solved nothing, but it has provoked many new problems. It was a war of conquest and not a “humanitarian intervention”.

Can you be more specific?

I have already mentioned some direct consequences. In a broader sense it should be noted that NATO aggression marked a strategic change in its nature: it abandoned the defensive and adopted an offensive (aggressive) policy, authorizing itself to intervene any time at any spot on the globe. The UN, especially the UN Security Council, had been disabled; international law and justice disregarded.3
This was a long prepared first war on Europe’s soil after the Second World War. It was a demonstration of US domination in Europe, an expansion toward East, a justification of spending on NATO even after the dissolution ofthe Warsaw Pact, a precedent for future interventions (Afghanistan, Iraq, Libya). 
It was the war imposed and directed by a non-European power with the consequence that it to stay on Europe`s soil for a long time.
The Aggression had marked a strategic change in Germany’s policy adopted after Second World War. By taking active part in NATO’s aggression against Serbia (FRY) Germany deviated from its own constitution and widely opened the door for combat roles away from its territory, and for militarization.
Today we have on European soil more military bases than at the peak of the Cold War. Mushrooming of military bases started after the NATO aggression on Serbia (FRY). How to explain the expansion of democracy all over the Continent and the proliferation of military bases at the same time? I have not heard any convincing explanation. Something seems to be wrong.

And what is your opinion on the future of Bosnia?

Bosnia and Herzegovina had existed as one of the six republics of SFRY based on constituent equality of three peoples each having a right of veto – Muslims, Serbs and Croats. In that regard, it was considered being “small Yugoslavia”. When in 1992 the constitutional principle of consensus was violated in the way that Muslims and Croats declared for secession ignoring the Serbs option to stay within Yugoslavia, civil war erupted. The Dayton peace Accords were a success only because they reaffirmed the principle of equality of the three constituent peoples, the equality of the two entities (Moslem-Croat Federation and Republica Srpska) and the principle of consensus.4 These basic principles were enshrined in the Constitution which is an integral part of the Accords.
The main source of the current crisis is the ambition of the Moslem leaders in Sarajevo to abolish the principle of consensus and to make a unitary state under their domination. In addition, they would like also to change the division of the territory guaranteed by Dayton Accords according to which the Muslim-Croat Federation controls 51 and Republica Srpska 49 percent of the whole territory. To make the problem more difficult, Muslims for their claims which obviously are contrary to Dayton stipulations, continue to enjoy support from some power centres, primarily from Washington and Berlin. Why they want to further weaken the Republica Srpska and strengthen the Moslems, I would rather not comment. These centres even pressurize Serbia’s leaders to discipline the leaders in Banja Luka so that they accept a revision of Dayton and the Constitution contrary to their interests which are internationally guaranteed. Serbia as guarantor of the Dayton Accords, firstly, has no power to impose anything on the leadership of Republica Srpska and, secondly, it is not in Serbia’s interest to weaken the Republica Srpska thus provoking internal tensions and a renewed spiral of ethnic tensions and even clashes in their own neighbourhood.
I believe that Bosnia and Herzegovina should be left alone to politically find solutions that suite the interests of the three equal constituent peoples and the two equal entities.  The Dayton Accords are not perfect. But there could hardly be a better compromise then the Dayton Accords. Brussels claims that a centralization of power in Sarajevo would apparently upgrade efficiency of the state administration. Authors of this view seem to be disregarding that it is the principle of consensus and decentralization which led to re-establishing of peace, the maintaining of integrity and providing the sense of freedom and democracy. Finally, in my opinion, the Office of the High Representative after 17 years of being at the same time Law-making, Prosecution and Judiciary has become an anachronism and should be disbanded. Bosnia and Herzegovina is the only member of the UN (even a member of the Security Council), the OSCE and other organizations, where a High Representative enacts laws, removes presidents, prime ministers and ministers!
Serbia, being a small, peace loving country, having neither an imperial history nor imperial ambitions today, in our opinion, should remain a neutral country, something like Switzerland. Concerning human rights, we stand for the concept of the UN Universal Declaration of Human Rights (1948) which demands respect of all human rights including the one to cooperate.

My colleagues of CC once said that Serbia is a thorn in the conscience of the Western world. What is your opinion on this?

What I can say is that the leaders and politicians of certain European countries have been far from neutral, constructive or moral during the Yugoslav and Kosovo crisis. Some of them actively advocated and participated in the NATO aggression which left serious long term problems for the whole of Europe. Together with leaders of the USA, they at least knew about financing, training and arming Albanian terrorists and separatists in Kosovo and Metohija from their states. UN Security Council documents confirm this.5 I may not be quite objective, but I am certainly sincere. In my opinion, there is little to be proud of Europe’s role toward Serbia and Serbs in the last 20 years. I have been surprised by the measure of distortions, double standards and immoral statements practiced by certain politicians who represent European values and civilization. And it would not be worth talking about it today, if the lessons had been drawn from the past. Unfortunately, new politicians of those countries continue with the same policies and the same dishonest methods toward Serbia.
Governments of leading western countries initiated an outrageous anti-Serbian propaganda campaign based on prejudices, dishonest fabrications and even on ordinary lies. I still remember, for example, the invention of the German defense minister Rudolf Scharping6 of the alleged “Horse shoe plan”. The so called “massacre of civilians” in Racak which served as a justification for the start of the military aggression also proved to be false. The report of the findings of the international forensic experts team headed by the Finish doctor Helen Ranta, which acted under EU auspices, has never been published. Apparently, it was lost somewhere in Brussels!7

What are the lessons of the NATO aggression for you and the world?

The NATO aggression against Serbia (FRY) in 1999 was a model of the new wars of conquest covered by the phrase “humanitarian intervention”. Everybody by now should know that this was not “humanitarian intervention” and that there are no “humanitarian wars”. That was a war of conquest to take away from Serbia its province of Kosovo and Metohija and to install there USA troops for strategic reasons. This was a precedent which was followed according to my opinion to export the capitalistic social system based on single Washington’s doctrine, which is equally unacceptable today as it was unacceptable to export of the socialist system based on Moscow’s doctrine in the sixties of the last century. Freedom of choice should be the sovereign right of every country. It is not right to divide peoples as if some have a right granted to them by Good to decide on what is good even for every other nation in the world. History has thought, at least us in Europe, that such ideology would be a source of great danger.

Where is the solution for the Kosovo issue?

The Problems of Kosovo and Metohija are centuries long, deep rooted ones. The Province is the birth place of the Serbian state, its culture, religion and national identity.  About 1.300 medieval monasteries and churches, including some UNESCO proclaimed as world heritage, are still found there. Over 150 have been destroyed by vandals and extremists. To say that the basic problems there have been in the field of human rights of Albanians would be a simplification. To solve the essential problems which I believe are in territorial expansionism of Albanians supported by western countries, primarily by the USA, Germany and Great Britain, all political actors need wisdom, long term view and patience, qualities that seem to be astonishingly in deficit.
I still believe in a compromise solution based on UN Security Council Resolution 1244 of June 10th, 1999. That resolution, like a number of other UN Security Council decisions preceding it, has repeatedly guaranteed the sovereignty and territorial integrity of FRY (succeed by Serbia) and substantial autonomy for Kosovo and Metohija within FRY (Serbia). In the meantime great many serious mistakes have been committed, first and foremost, by the so called international community, including EU, then by Serbian authorities. Those mistakes generally can be summed up as serious deviation from the UN Security Council Resolution 1244. In March 2008, the Albanian leadership in Prishtina, declared the illegal, unilateral secession of the Province from Serbia, proclaiming the so called Republic of Kosovo. While the Province even today remains under UN Security Council mandate, the UN has not reacted. The USA, Germany, Turkey, Great Britain almost immediately recognized this secession. By now, 22 out of 27 EU members8 followed the suite. Serbia has not, and I believe, shall not recognize secession of 17 percent of its territory. Most of the UN members, including two, out of five, permanent members of the Security Council, Russia and China, have not.
Last year the dialog has started under the EU auspices between representatives of Belgrade and Prishtina on solving some concrete issues concerning everyday life of citizens. This may be good presumed it does not prejudice the key issue – the status of the Province as envisaged by UN Security Council Resolution 1244. I personally would like to see that the dialog produces the time table for free and safe return to their homes of about 250 000 Serbs and other non-Albanians who live in miserable conditions in various towns of Serbia and Montenegro. Unfortunately, so far, this issue has not come to the agenda, partially because of the lack of interest of Prishtina, partially because of the double standard policy of the West.
There is no viable solution imposed by force or by blackmailing Serbia’s government. The so called deal sponsored by certain western countries – territory (Kosovo) for membership (of Serbia) in EU and more foreign investments – may seem logic considering Serbia’s economy in shambles, but I do not believe it would work. It would not be fair, not balanced. It would not be acceptable by Serbs knowing their history, culture and pride.

What is the relationship between Serbia and the EU?

The EU is traditionally the most important economic partner of Serbia. Historic, social and cultural links remain strong. Hundreds of thousands of Serbian citizens and their descendants work and live in EU member countries. Serbia is a candidate for membership in EU. This is reflected in applying the method of “carrot and stick”, in an endless list of conditions towards Serbia which have not been applied, nor are they applied now to any other candidate country. The EU expects Serbia to “normalize relations with Kosovo”. When Belgrade reacts that it will never recognize Kosovo, Brussels’ commissars react that this is “not yet on the agenda”, that the EU demands “only” the IBM (integrated border management) system on the borders with Kosovo, dissolution of Serbia’s institutions in Kosovo, notably in Northern Kosovo, signing of an agreement on good neighbourly relations, exchange of ambassadors, then that Serbia does not obstruct Kosovo’s membership in the UN, and alike! Imagine that dimension of hypocrisy. They do not demand a diplomatic note, or any written statement on recognition, but they certainly demand relations equaling those between sovereign states!
I support close cooperation between Serbia and the EU in all fields of mutual interest without any obstacles: free flow of goods, capital, people, information. Having regard that the EU at present does not treat Serbia as sovereign partner, Serbia should adopt a policy of good neighbourly relations with the EU and freeze the present policy defining membership in the EU as the only alternative. It cannot be in the best interest of Serbia to give away more for less. Openness, cooperation without any administrative obstacles and a good neighbourly relation between Serbia and the EU would be quite a reasonable approach for the foreseeable future.

How can we in Germany, Switzerland and other European countries help that your people are better in every way?

The best way to help not Serbia only, but the understanding in Europe and a return to the real values of our civilization, is to always defend the truth, to avert distortion, semi-truths and immorality of all kinds. Serbia and the Serbian nation have always through history been part and parcel of Europe, its culture, progress and civilization; this is the same today and, I believe, it will stay so in the future. Nations have deep roots and faces that do not change overnight. In my opinion it would be useful if any prejudicing and one sided views characteristic of the public approaches to Serbia and Serbs in the recent past would be replaced by more balanced and non biased views.

We understand that the Belgrade Forum will be hosting an important international conference next March in Belgrade?

The Forum and some other independent, non partisan associations in Serbia are planning an international conference under the title “Aggressions, militarization and world crises”, to be held in Belgrade, March 22 and 23rd, 2014. This conference and other accompanying events will mark the 15th anniversary of the beginning of the 1999 NATO-aggression against Serbia (FRY) and pay honour to the victims of the aggression. We plan to invite prominent scholars and intellectuals from European and other countries to address the burning issues of military interventionism, expansion of military budgets, the militarization of political decision making and the world crisis which, in our opinion is not only a financial and economic, but also a crisis of the international world order.    •


1    Bosnia and Herzegovina having one central government, two governments of the entities and plus 10 cantons governments in the Federation of Bosnia and Herzegovina
2    “The war against Yugoslavia was waged in order to correct the mistake of general Eisenhower made during the Second World War. For strategic reasons it was necessary to station American soldiers there afterwards”. Willy Wimmer, letter to Chancellor Gerhard Schroeder, dated May 2nd, 2000, Aktualna pitanja spoljne politike (Current Foreign policy issues), Belgrade Forum for a World of Equals, Belgrade, 2007, p. 76-77.
3    “Force should be above the law. Wherever the law stands on the way, it should be removed”, Willy Wimmer: Letter to Chancellor Gerhard Schroder on USA NATO policy, dated May 2nd, 2000. Current  issues of Foreign Policy, p. 77, The Belgrade Forum for a World of Equals, Belgrade, 2007.
4    At the same time, the Dayton Accords established two entities – Federation of Bosnia and Herzegovina (Muslims and Croats) and Republic of Srpska – placing all essential constitutional rights and responsibilities in their hands.
5    THE UN Security Council “decides that all the states…shall prevent armament and training for terrorist activities in this area” (Kosovo and Metohija, note of the author), UN Security Council Resolution No. 1160, of March 31st, 1998. Also, the UN Security Council  “demands that all states use all the means in accordance with their internal laws and relevant international laws in order to prevent  use of funds collected in their territories , in the way which is contrary to the resolution 1160 (1998)”, UN Security Council  Resolution 1199, dated September 23rd, 1998.
6    German defence minister Rudolf Shaping presented at the press conference held April 7, 1999, an alleged plan of Yugoslav forces to ethnically cleanse Albanians from Kosovo and Metohija, the  existence of which was not supported by the German intelligence service and which later proved to be false.
7     Something similar happened with the Report of Yasushi Akashi who was a UN Special Representative for Bosnia and Herzegovina of May 1992.). Report noted, among others, two important facts: first, that the most of the Yugoslav Army (JNA) was withdrawn and second, that withdrawal of Croatian Army from Bosnia has not occurred. Akashi`s report however was not distributed to the members of UN SC until after the most severe sanctions against FR of Yugoslavia were imposed on May 30th, 1992. , UN SC resolution 757. (See SG Report S24049, May 30th, 1992, para 6 and para 9).
    Spain, Romania, Slovak Republic, Greece and Cyprus have not recognized.

* “From Nuremberg to Le Hague”  ISBN 978-86-83965-7-3 [in serbian language]
“From Aggression to Secession”  ISBN 978-86-83965-9-7 [in serbian language]



=== 4 ===


Current Concerns No 13, 28 March 2013

The Nato-Aggression against the Federal Republic of Yugoslavia in 1999

by Milica Radojkovic-Hänsel

Fourteen years ago, after the negotiation conferences in Rambouillet and Paris between 6th and 23rd February 1999, the global media informed the general public that “the Serbian delegation did not accept the offered agreement and rather qualified it as null and void”, while indicating that allegedly the so-called Contact Group for Yugoslavia stood behind the agreement. This body consisted of four NATO country-members plus Russia, but Russia rejected to endorse the military section (Annex B) of the offered agreement – a fact hidden in the media information. 
What had actually taken place in Rambouillet and Paris and what did the “Annex B” exactly say? The then US State Secretary,Madeleine Albright claimed that “the military portion of the agreement was practically the essence of the agreement offered in Rambouillet” which was unacceptable for the delegation from FR Yugoslavia. 
Zivadin Jovanovic, the then Yugoslav Minister of Foreign Affairs, said in his interview to Politika, the Belgrade daily, of 6th February 2013, that “in Rambouillet no attempt was made to reach accord, nor were there any negotiations or an agreement”. Yugoslav delegation was invited to Rambouillett to participate in the negotiations with the Albanians’ delegation from Kosovo.
It seems true that indeed no negotiations have taken place. This conclusion derives on basis of several statements made by some western officials, including, among others, the then Chairman of the Organization for Security and Cooperation in Europe(OSCE), the Norwegian Minister of Foreign Affairs.
The biased writing of western press and the partial claims by the western politicians about “the failure in the negotiations through non-acceptance of the political document about broad autonomy for Kosovo” on the part of Yugoslav side was meant to support the preparation of public opinion for the military aggression of the North-Atlantic Treaty Organization (NATO) that had already been planned for October 1998, but was postponed for obvious reasons until 24th March 1999. The truth is that the Yugoslavian delegation has requested several times, as indicated in its written communications to the negotiation mediators, direct negotiations between the Yugoslav and Kosovo delegations, which is a fact proven by the official documents. Christopher Hill, the American representative in the negotiations, claimed in his response to such requests, that the Kosovo delegation “did not want direct negotiations”. “It became clear to all of us then that direct dialogue was not suitable for the Americans and that this was the real reason why the direct contact was not taking place”, Jovanovic points out. “It would be quite hard to believe, in case that the Americans had really wanted direct negotiations, that the Kosovo delegation would not accept their request”, he added.
Global media and the then western officials have also intentionally misinterpreted the alleged rejection by Yugoslavia to allow “installation of peace-keeping forces in Kosovo (and Metohija)”. However, the truth is that the Yugoslav delegation did accept the political portions of the Rambouillet draft agreement, but not its “Annex B” with the Points 2, 5 and 7 that proposed and required a military occupation of the entire territory of FR Yugoslavia (i.e. Serbia with 2 autonomous provinces, and Montenegro).  Therefore, the global public opinion was an object of manipulated information which told that Serbs were “rejecting arrival of peace-keeping forces in Kosovo (and Metohija)”. 
But, what are “peace-keeping forces” really in international practice and law? In international practice they imply the forces under United Nations (UN) Administration (also called “Blue Helmets”), consisting of troops provided by the UN member countries and not by NATO troops.
To understand what exactly caused FR Yugoslavia to reject the military portion of the document offered in Rambouillet, one has to read its provisions: (I) The NATO troops are allowed to freely and without charges to use any and all land, water and air spaces and equipments; (II) Their soldiers will enjoy diplomatic immunity and will not be held responsible for any damage made on the territory of FR Yugoslavia under civil and/or criminal laws; (III) their soldiers may carry weapons on them even when wearing civil attire; (IV) Their soldiers may at any time take for use the entire electro-magnetic space of FRY, that is, the TV and radio frequencies, police and ambulance frequencies, civil protection and other frequencies, without announcement or any fee or charges whatsoever; V) Their soldiers may at any time arrest any citizen on the FRY territory, without any warrant or decision of a court or any FRY authority. 
Global media, particularly those in the NATO countries, and the then American and European officials, have withheld the truth about the content of the military document by charging the leaders of Serbia and Yugoslav President for “the lack of cooperation in the efforts to find a peaceful solution”. Just like in Rambouillet, “the Paris Conference also was not an event witnessing any serious ‘attempt’ for accord, negotiations or agreement”.  American envoy, Christopher Hill, only required from the Yugoslav delegation to sign the text he had prepared and served on the table on basis of the ‘take it or leave it’ principle”, says Former Minister Zivadin Jovanovic.   
In addition to numerous condemnations concerning the draft agreement text offered, that were expressed by renowned global law experts, a special attention is drawn to the evaluation of the document provided in an interview to the Daily Telegraph (London) by the former US Secretary of State, Henry Kissinger on 27th June 1999. He said, “The Rambouillet draft agreement text, requiring stationing of NATO troops throughout Yugoslavia, was a provocation. It served as a pretext for the launching of a bombing campaign. The Rambouillet document was such that no Serb could accept it. That horrible document should have not been submitted”. These words indicate, among other things, that the 1999 aggression against FR Yugoslavia was in fact presented in the western media as an epilogue reflected through the launching of the new interventionist strategy of NATO led by USA. This strategy was officially inaugurated at NATO meeting in Washington on 25th April 1999, that is, at the time of actual aggression against FRY.
In the aggression against FRY the NATO was changed from a defensive alliance into an aggressive one with the self-proclaimed right to intervene as a military force throughout the world. Furthermore, the judgement of the Yugoslav leaders implementing the country’s official policy was correct in saying that one of the goals of this particular aggression was establishment of a precedent for military actions across the world without any decision of the UN and by violation of the UN Charter. This judgement was verified at the conference of NATO member states and membership candidates held in Bratislava in April 2000. The conference was organized just a few months after the aggression against FR Yugoslavia by the State Department and the American Enterprise Institute of the Republican Party, and was attended by some very high officials (government representatives and ministers of foreign affairs and defense) of NATO member states and membership candidates. The main topics at the conference were the Balkans and expansion of NATO. In his written summary of the conference conclusions sent to the Chancellor of Germany, Gerhard Schroeder, on 2nd May 2000, Willy Wimmer, the then member of German Parliament (Bundestag) and Chairman of the Parliamentary Assembly of the OESC, claimed that by the NATO attack on FRY, according to the admittance by USA, a precedent was established in order to be used whenever necessary. “It is understood that it is all about an excess that can be referred to at any time”, Wimmer explained one of the crucial conclusions. It was actually a retroactive confirmation that the real goal of the Rambouillet talks was not to allow any direct negotiations between the involved parties (Serbs and Albanians) or any political solution, but rather to ensure a pretext for the aggression, as Henry Kissinger indicated quite well (“It was just a pretext to launch the bombing campaign”).
Next, Willy Wimmer points out in his written communication that “the war against FR Yugoslavia was waged to rectify the wrong decision made by General Dwight Eisenhower in World War Two”. Consequently, for strategic reasons American troops need to be stationed over there, so as to compensate for what was not done in 1945 (Point 4 of his letter). By building the Bondstill Military Base in Kosovo – the largest one in Europe, Americans have practically materialized their position at the Bratislava conference about “their need to station American soldiers in that space, for strategic reasons”. Wimmer’s letter also asserts (under Point 1), “The organizers of this conference have requested that international recognition of the independent state of Kosovo should be accomplished as fast as possible by the countries making the circle of allied states”, whereas “Serbia (the successor of Yugoslavia) must be permanently excluded from the European development course” (according to Wimmer, probably for the purpose of unhampered military presence of USA in the Balkans). Willy Wimmer also claims, “The assertion that NATO had violated all international rules, and particularly all relevant provisions of international law, during the attack against FR Yugoslavia, has not been contradicted” (Point 11). The text also says that “the American side is aware and prepared, in the global context and to achieve its own goals, to undermine the order of international law”, meaning that international law is considered an obstacle for the planned expansion of NATO. And Wimmer then ends his letter with the following words, “Force has to stand above law”.    •

Mr Gerhard Schroeder, MP
Chancellor of the Federal Republic of Germany,
Federal Chancellery,
Schlossplatz 1, 10178 Berlin
Berlin, 05-02-2000

Dear Chancellor,

Last weekend, I was in the Slovakian capital of Bratislava, where I had the opportunity to participate in a conference jointly organized by the US State Department and the American Enterprise Institute (the institute of the Republican Party foreign policy) with focus on the themes of the Balkan and NATO enlargement.
The event was attended by high-ranking personalities already reflected in the presence of several prime ministers and foreign and defense ministers from the region. Of the many important issues that could be dealt with under that topic, some deserve particularly to be reported. 
1.    The organizers requested that the Allies achieve recognition of the independence of the state of Kosovo, according to international law.1
2.    The organizers declared that the Federal Republic of Yugoslavia was beyond any jurisdiction, in particular beyond the Final Act of Helsinki.2
3.    The European legal system is an obstacle to the implementation of NATO plans. The American legal system was more suitable for this, even when being used in Europe. 
4. &nbs

(Message over 64 KB, truncated)



Altre iniziative per la Liberazione 

1) DUE LIBRI KAPPAVU:
- Cividale del Friuli 24/4: pres. del nuovo libro su FRANC URSIC JOSKO
- Trieste / Trst 27/4: presentazione de LA BANDA COLLOTTI di C. Cernigoi

2) TRE RAPPRESENTAZIONI DI "DRUG GOJKO":
a Orte (VT, 25/4), Civitella d'Agliano (VT, 28/4), Parma (30/4)

3) AFFILE: ZINGARETTI, SOSPENDIAMO FINANZIAMENTO PER MAUSOLEO GRAZIANI


=== 1 ===

Cividale del Friuli (UD), 24 aprile 2013
ore 20:30, presso la sala della Società Operaia 
piazza Foro Giulio Cesare, 14

presentazione del libro di Zdravko Likar

FRANC URSIC JOSKO
Un partigiano sloveno della Soska Dolina/Valle dell'Isonzo

Udine: KappaVu, 2013
trad. Adriano Qualizza/Hvalica 

partecipano assieme all'Autore:
il traduttore Adriano Qualizza/Hvalica
l'editrice Alessandra Kersevan

organizza:
Circolo Culturale Iskra
in collaborazione con:
ANPI di Cividale
Kulturno Drustvo / Circolo di Cultura "Ivan Trinko"

INGRESSO GRATUITO

---

Trst/Trieste, 27 aprile 2013 
ore 18.30, Casa del popolo di Sottolongera (via Masaccio 34, autobus 35)

presentazione del libro di Claudia Cernigoi 

LA BANDA COLLOTTI
Storia di un corpo di repressione al confine orientale, 1942-1945
  
Udine: KappaVu, 2013

alla presenza dell'autrice


=== 2 ===

DRUG GOJKO

MONOLOGO DI PIETRO BENEDETTI
REGIA DI ELENA MOZZETTA

UNO SPETTACOLO PRODOTTO DAL CP ANPI VITERBO
TRATTO DAI RACCONTI DI NELLO MARIGNOLI, PARTIGIANO VITERBESE COMBATTENTE IN JUGOSLAVIA

IDEATO DA GIULIANO CALISTI E SILVIO ANTONINI
TESTI TEATRALI - PIETRO BENEDETTI
CONSULENZA LETTERARIA - ANTONELLO RICCI
MUSICHE - BEVANO QUARTET E FIORE BENIGNI
FOTO - DANIELE VITA

E le stelle si poggiarono al suolo
Erano ali di insetti illuminate dai riflettori
Si sentiva vibrare il dolore di quella tragedia che la storia umana portava con sé
Solo un muro e il palcoscenico
Come nella vita dopo la guerra
Le mura e la città vuota che a caro prezzo pagava la sommessa commedia della libertà.
(Veronica Pacifico, 13 agosto 2012) 

Drug Gojko (Compagno Gojko) narra, sottoforma di monologo, le vicende di Nello Marignoli, classe 1923, gommista viterbese, radiotelegrafista della Marina militare italiana sul fronte greco - albanese e, a seguito dell’8 settembre 1943, Combattente partigiano nell’Esercito popolare di liberazione jugoslavo. Lo spettacolo, che si avvale della testimonianza diretta di Marignoli, riguarda la storia locale, nazionale ed europea assieme, nel dramma individuale e collettivo della Seconda guerra mondiale. Una storia militare, civile e sociale, riassunta nei trascorsi di un artigiano, vulcanizzatore, del Novecento, rievocati con un innato stile narrativo emozionante quanto privo di retorica. 

(maggiori informazioni sullo spettacolo: https://www.cnj.it/CULTURA/druggojko.htm)


sarà rappresentato...


... a ORTE (VT), giovedì 25 aprile 2013 

ore 18:30 presso la  "Festa LiberaMusica" in Piazza Belvedere


... a CIVITELLA D'AGLIANO (VT), domenica 28 aprile 2013

ore 18.00, Palazzo della Cultura, via Gugliemo Marconi

Nell’Ambito della IX ed. della rassegna RESIST, coordinata dal Cp Arci Viterbo, l’associazione Fata Morgana, in collaborazione con il Cp Anpi
INGRESSO LIBERO
evento facebook: http://www.facebook.com/events/315204131941613


... a PARMA, martedì 30 aprile 2013

ore 21.00, Casa della Musica, Piazzale San Francesco 1


=== 3 ===

---------- Messaggio inoltrato ----------
Da: anpi-roma @ libero.it 
Date: 22 aprile 2013 15:21
Oggetto: I: AFFILE: ZINGARETTI, SOSPENDIAMO FINANZIAMENTO PER MAUSOLEO GRAZIANI

AFFILE: ZINGARETTI, SOSPENDIAMO FINANZIAMENTO PER MAUSOLEO GRAZIANI

“Ho chiesto agli uffici regionali di sospendere il finanziamento concesso al Comune di Affile, originariamente destinato al ‘completamento del Parco Rodimonte’ e alla ‘realizzazione di un monumento al soldato’, cioè al milite ignoto. Il Comune impropriamente ha poi deciso di dedicarlo a Rodolfo Graziani.
A parte le palesi violazioni rispetto all’utilizzo del finanziamento pubblico, la nostra amministrazione non avallerà mai qualsiasi tentativo di distorsione o falsificazione della memoria storica, tanto più nel caso di una figura come quella del generale Graziani, su cui la storia ha già emesso da tempo il suo giudizio: per i crimini di guerra compiuti nel corso dell’aggressione coloniale nei confronti dell’Etiopia, con l’uso di gas, bombardamenti indiscriminati e rappresaglie contro la popolazione civile, con la costruzione di campi di concentramento, con la reclusione coatta delle popolazioni nomadi; per il suo sostegno indiscusso al regime fascista e al proseguimento della guerra affianco alla Germania nazista fino all’ultimo giorno nella Repubblica di Salò; per il suo apporto convinto alla guerra civile contro la Resistenza, da cui mai prese le distanze e che gli valse una condanna a 19 anni di reclusione con l’accusa di collaborazionismo,  mentre rimasero pendenti i suoi trascorsi in Africa e le accuse di crimini contro l’umanità a lui rivolte da più parti.
Già sei mesi fa, quando non ero ancora presidente della Regione, avevo chiesto un passo indietro. A questo punto non possiamo che prendere atto della palese illegittimità del comportamento del Comune di Affile, sospendendo l’erogazione del saldo di 180mila euro per la realizzazione dell’opera fino al ripristino della proposta progettuale originariamente finanziata. Questo vuol dire apportare delle modifiche strutturali al monumento e intitolarlo come originariamente concordato ‘al soldato’, facendo scomparire qualsiasi riferimento a Rodolfo Graziani e cancellando questa provocazione, che rappresenta non solo un atto scorretto dal punto di vista legale e amministrativo, ma  un’inaccettabile offesa alla libertà, alla democrazia e alla memoria di tutti gli italiani”.
  
Lo dichiara in una nota il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti.
  
22 aprile 2013




[Sull'irredentismo pan-albanese, cui il riconoscimento diplomatico "della Kosova" da parte italiana ha dato un contributo sostanziale, si veda anche il recente articolo della stessa giornalista:

Albania: la rinascita nazionalista (29 gennaio 2013)
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/Albania-la-rinascita-nazionalista-129024

od anche tutta la documentazione raccolta alla nostra pagina tematica:
https://www.cnj.it/documentazione/kosova.htm ]


http://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/Ideologie-l-Albania-naturale-134125/(from)/newsletter

Ideologie: l'Albania naturale



Minaccia una nuova guerra nei Balcani, saluta Facebook che “ha reso gli albanesi più albanesi" e si paragona a Gesù Cristo. Ed è tra i politici albanesi più presenti in tv del momento. Un'intervista a Koço Danaj, ideologo dell'Albania naturale

Cosa intende con la definizione Albania naturale?
E’ una nozione che ho creato nel 2006. Con Albania naturale si intende l’Albania nei suoi confini naturali. Dal momento che i vicini dell’Albania temono il termine Grande Albania, o Albania etnica, siamo costretti a ricorrere al diritto naturale. Vogliamo avere un nostro stato che coincida con i nostri confini naturali, come tutti gli altri stati in Europa.

Lei ha iniziato a parlare pubblicamente di questo concetto nel 2006. All’epoca parlare di unione dei territori albanesi in Albania era un tabù…
All’inizio in molti erano perplessi ma poi hanno iniziato ad abituarsi a questo termine e all’idea dell’unione delle terre albanesi. Ho iniziato a pubblicizzare quest’idea pubblicando il libro “Condannati a unirsi” dove parlavo della necessità degli albanesi di integrarsi nell’UE non come delle provincie neo ottomane, ma come uno stato moderno.
In seguito ho pubblicato la “Piattaforma per l’Albania naturale” in cui trattavo la questione dell’unione dei territori che oggi non si fa più intraprendendo una guerra, ma la si fa a tavolino, negoziando, confrontando i fatti.
Ho invitato tutti i vicini a riflettere, e l’ho pubblicato tra l’altro anche in serbo e in greco. Finora sono state pubblicate centinaia di commenti nei media serbi e greci sull’Albania naturale.

In cosa consiste la sua piattaforma per l’Albania naturale?
Noi dobbiamo attenerci all’indipendenza dei territori albanesi che ha proclamato Ismail Qemali nel 1912. Non riconosciamo la Conferenza di Londra del 1913, poiché si tratta di una menzogna, di un grande inganno nei confronti del popolo albanese e dell’opinione internazionale. Ci sono dei materiali a provare questo, come le memorie di Edward Grey. Chi vi ha partecipato dice che non si trattava di una conferenza poiché nessun protocollo è stato osservato. Si univano di pomeriggio, bevevano del tè e discutevano sul da farsi. Così sorseggiando il tè hanno smembrato una nazione.
In precedenza era stata proclamata l’indipendenza dell’Albania e le grandi potenze erano state avvisate. A Londra nessuno ha però preso in considerazione tale atto giuridico.
Ora, 100 anni dopo, noi vogliamo denunciare la cosiddetta Conferenza di Londra. Questa è la via giuridica che proponiamo. Altrimenti finiremo per avere una guerra e nessuno ha interesse a provocare una nuova guerra nei Balcani. Tutti vogliamo la pace e pace vuol dire l’unione degli albanesi in un unico stato. Ormai anche il premier Berisha parla di questo, e la questione è diventata politica.

Perché vi fate avanti proprio ora?
Perché tutto avviene nel momento opportuno. Gli albanesi hanno accettato il pluralismo, la libera circolazione delle persone e delle merci. Gli albanesi viaggiando liberamente per il mondo si sono conosciuti tra di loro. E hanno visto che siamo una nazione, proprio come dicevano le canzoni e i poemi nazionali. Hanno capito che il Kosovo è una regione dell’Albania, proprio come la Laberia è una regione dell’Albania del sud.
Nel periodo che va dal ’97 al ’98 ai tempi dell’UCK, gli albanesi si sono incontrati e si sono resi conto che siamo una nazione ma non siamo uniti. Sono stato in continuo contatto con i leader degli albanesi oltre confine in quegli anni, ed è da quelle osservazioni che è nata la piattaforma per l’Albania naturale.
Grazie a Facebook inoltre gli albanesi stanno diventando sempre più albanesi. La mia storia è un po’ come quella di Gesù Cristo, che dopo tutto era un rivoluzionario. E’ stato perseguitato lui e i suoi seguaci, ma 400 anni dopo il cristianesimo è diventato religione di stato. Quindi noi siamo missionari.

Come pensa di denunciare la Conferenza di Londra? Ha un precedente a cui si riferisce?
Ad esempio è stato annullato il trattato di Versailles che ha creato il Regno di Serbi, Croati e Sloveni con lo smembramento della Jugoslavia. Io ho già consegnato il materiale all’Aja e l’hanno anche accettato. Ma ora sta al governo albanese, poiché secondo la procedura tocca ai governi continuare questi processi. E questo non è più il mio problema. Spero che il governo albanese faccia la scelta giusta altrimenti ci sarà una guerra. Questo è quanto dicono i sondaggi. In base ai sondaggi Gallup l’86% dei kosovari vogliono l’unione con l’Albania, il 68% in Albania, e stranamente a Tirana è ben il 74% della popolazione che preferisce la nazione all'essere cosmopoliti.

Come spiega questo fatto?
Perché a Tirana si è concentrata tutta una generazione che si è laureata all’estero e studiando all’estero ha provato anche il razzismo, l’albanofobia e sono stati costretti anche a chiudere un occhio e a fare lavori umili. Un’élite giovane, che non ha accettato di fare l’inferiore all’estero. E ora sono tutti attivi, scrivono nei media, partecipano. Non hanno più il complesso di tornare in Albania e di lottare per l’Albania.
Oggi in Albania c’è una nuova generazione che ha studiato all’estero, ha conseguito dei dottorati nelle migliori scuole, e parla 5 o 6 lingue. E loro sono molto più nazionalisti di me. Io non mi ritengo un nazionalista, ma mia figlia per esempio si è laureata in Svizzera, parla 6 lingue, ed è una nazionalista e membro di Vetevendosje. Ai suoi occhi io sono un pacifista. Quindi l’alternativa è accettare le mie tesi, o confrontarsi con la nuova generazione che non esclude la guerra come alternativa. Il mio dovere è quello di avvisare.

Lei dice di non essere nazionalista. Cosa vuol dire essere nazionalisti?
Esser nazionalisti vuol dire odiare la cultura del vicino. Questo non è il mio caso, io amo Dritero Agolli e Danilo Kiš alla stessa maniera. Io non sono anti niente. Io sono solo pro albanese. Questo è europeismo. La penserebbe allo stesso modo un cittadino francese.

Lei non si fa problemi a parlare della guerra come alternativa…
A me non interessa cosa succederà. Questo non è il mio problema dal momento che io non sono un arbitro internazionale. Ma accetto gli USA, Bruxelles, la Russia come arbitri internazionali per risolvere la questione albanese. Noi vogliamo aprire un processo all’Aja contro la Conferenza di Londra. C’è chi dice: se il Kosovo si unisce all’Albania cosa accadrà con la Republika Srpska? Non vedo che problema ci sarebbe se la Republika Srpska si unisse alla Serbia.

Con chi si alleerà alle prossime elezioni?
Io non faccio a gara con nessuno. Per me gli albanesi sono albanesi. Io faccio a gara con i vicini. Abbiamo ottimi rapporti con chiunque si schieri a favore dell’Albania naturale. Fino alla realizzazione dell’Albania naturale non noterò altre differenze. Facciamo una moratoria politica. Basta che uno sia per l’Albania naturale, quindi siamo aperti a tutti i patti convenienti in quest'ottica.

Come viene accolta l’idea dell’Albania Naturale a livello internazionale?
La accetteranno. Entro il 2015 si avrà un’Albania naturale integrata. Entro il centenario della data in cui la nazione albanese è stata smembrata del tutto.

Però non si direbbe. I rappresentanti internazionali a Tirana hanno più volte sconsigliato la carta del nazionalismo...
E allora ci sarà una guerra. E ci finirà in mezzo anche Bruxelles. Tutta l’UE giace in una crisi economica che potrebbe trovare sfogo in una nuova guerra nei Balcani. I nostri giovani sono pronti a fare la guerra.

Ma pensa che gli albanesi siano in grado di affrontare un conflitto armato?
Non ha nessuna importanza se si è pronti ad affrontare la guerra. A confrontarsi con il conflitto ci sarà sempre Bruxelles. Non sono stati gli albanesi a bombardare la Jugoslavia nel ’99. Noi non siamo l’arbitro, noi siamo le vittime e le vittime ricorrono al radicalismo se non ottengono sostegno internazionale. Ma io sono convinto che nel 2013 il Kosovo si unirà all’Albania.

Pensa che Bruxelles sosterrebbe gli albanesi se causano un nuovo conflitto nei Balcani?
Gli albanesi hanno il sostegno dell’Europa, degli Usa, della Turchia, anche se la Turchia non ci interessa, perché non è giusto farci passare per musulmani se in realtà non lo siamo.

Però nella costituzione del Kosovo sta scritto nero su bianco che il Kosovo non si può unire a nessuno stato balcanico…
Il parlamento del Kosovo deciderebbe di unirsi all’Albania. Nel preambolo della costituzione albanese viene espresso esplicitamente il diritto degli albanesi di unire i territori. Naturalmente gli esperti della NATO e di Bruxelles ne sono a conoscenza. E non l’hanno fatto eliminare. Finché questo è in vigore abbiamo il diritto di pretendere l’unione. Si farà una confederazione con un presidente comune. La stessa cosa avverrà con la Macedonia. Non ci vuole niente a disfare la Macedonia.

In Kosovo però alcuni sarebbero contrari, denunciando i rapporti verticali tra Tirana e Pristina.
Quelli che sostengono la nazione kosovara non mi preoccupano. Se loro dicono che appartengono alla nazione kosovara allora io appartengo alla nazione lab dell’Albania del sud. Noi siamo pluralisti all’interno dell’albanità. Quelli che sostengono la nazione kosovara sono comunque miei amici.

E quindi cosa vuol dire essere albanese?
Essere albanese vuol dire accettare l’atto giuridico del 28 novembre 1912. Inoltre accettare che a fondare la NATO è stato Skanderbeg con la sua alleanza che ha fatto con Ferdinando di Napoli. Quindi vedere se stessi come attori delle sorti dell’Europa, non come quelli che sono arrivati per ultimi.

Quali sarebbero i vantaggi dell’unione del Kosovo con l’Albania?
Ci sarebbe la pace nei Balcani. Non avremo le dogane, non avremo barriere.

Che bisogno c’è di puntare alla trasformazione dei confini, se questi sono ostacoli che si possono superare con la liberazione del movimento delle merci tra l’Albania e il Kosovo?
Questa è solo una modalità. E’ secondaria. Quella che conta è l’unione politica. Noi siamo l’unico paese in Europa che confina con se stesso.

“Confinare con se stessi” è qualcosa che dicono anche in Serbia, anche in Ungheria. Le minoranze oltre confine sono un fenomeno normalissimo in tutta l’Europa...
No, non è vero. Allora mettiamola così, non c’è nessuno stato in Europa dove i 2/3 della nazione siano al di fuori dei confini.

Ma sarà gestibile uno stato del genere tenendo conto che sia a Tirana che a Pristina la conflittualità tra i politici è molto acuta e spesso destabilizzante?
Tutto questa sparirà. L’unione sarà un toccasana per questo problema. Immaginate ad esempio Hashim Thaçi a condurre la campagna elettorale a Valona. Sarà molto difficile per lui, si impegnerà molto. Immaginate Edi Rama a candidarsi a Drenica, o Ali Ahmeti a Tepelena. Sarà solo un po’ più facile per Berisha, dato che lo ammirano in Kosovo, e lo conoscono in tutta l’Albania.

E quindi vincerà sempre Berisha?
No. Perché non Albin Kurti? O altri delle generazioni più giovani.

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Chi è chi 
Koço Danaj classe 1951 ha occupato diverse cariche importanti all'interno del Partito Comunista durante il regime di Enver Hoxha. Negli anni '90 è stato attivo come studioso e analista politico in Albania, e nella diaspora kosovara. Ha pubblicato diversi libri che propongono le tesi del nazionalismo albanese e l'unione di tutte le terre albanesi in un unico stato. Molto discusso in particolare "Piattaforma per l'Albania Naturale". Si presenterà nelle prossime elezioni con la Lista per l'Albania naturale.
Questa pubblicazione [Osservatorio Balcani Caucaso] è stata prodotta con il contributo dell'Unione Europea



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Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS
https://www.cnj.it/
http://www.facebook.com/cnj.onlus/

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Kosovo: Clearest Example Of West Flouting International Law 

1) Message by Zivadin Jovanovic (31 March 2013)
2) Kosovo is Serbia, territorial integrity must be respected (John Robles, 21/4/2013)


=== 1 ===

Ova poruka na srpskohrvatskom: ПОРУКА ЖИВАДИНА ЈОВАНОВИЋА
http://www.beoforum.rs/saopstenja-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/474-poruka-zivadina-jovanovica.html
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http://www.beoforum.rs/en/comments-belgrade-forum-for-the-world-of-equals/301-message-by-zivadin-jovanovic.html

Message by Zivadin Jovanovic


31 March 2013


By the looks of it, it seems that in Brussels one can easily sign anything today, tomorrow or the day after, or give, disown, commit, or pledge anything, however Serbia stands there to gain nothing from anyone, for quite a long while. The Date is a delusion of negotiators and a mock concession of Brussels. Berlin is readying for the elections, Brussels’ commissionaires and institutions have long-term agendas crammed with topics such as the uncertain outlooks of the monetary union, of Spain, Portugal, Greece, Cyprus, Slovenia etc, whereas Washington and London are preoccupied with Syria, Iran, North Korea, the Pacific, Africa, and so on and so forth.

For so long as Brussels stage belongs to Merkel and Cameron, whose attitudes towards Serbia are clearly on an ultimatum-note, whereas towards Thaci are parentally protective, Serbia has nothing to look for there, nothing to gain, but rather everything to give and surrender, to humiliate herself and consent to being humiliated. As indeed is the case all the times, not only in Brussels but even in Belgrade.

United Kingdom and Germany, supported by the US, have been instigating separatisms of former Yugoslav Republics, funding, and even supplying arms to them. The SFRY was dismembered at their tracks, on the way paved by the European Union in its former capacity of the European Economic Communities. You may recall that Budimir Lončar, then Minister of Foreign Affairs in the SFRY, claimed that the EEC was the only way out of the Yugoslav crisis. What happened next with Yugoslavia, what happened with the State Union of Serbia and Montenegro? Have we so quickly forgotten that-time predecessors of the current commissionaires? The above states plus some others have been for decades encouraging, funding, arming and training Albanian terrorists in the KLA. This month fourteen years ago, they committed an armed aggression (NATO) against Serbia (the FRY). It was for sure a war of aggression whose imminent objective was forcible seizure of Kosovo and Metohija, under wider purpose of furthering the strategy of enslaving the Balkans and incursion towards the East. This objective was not fully completed, whereas the strategy still remains under question-mark.

This is why those same states, ever since then to the presently ongoing so-called negotiations in Brussels, seek to legalize both the aggression which was a crime, and seizure of a part of state territory. During 2008, they were among the first ones to recognize the illegally proclaimed secession of Pristina. During the so-called negotiations in Brussels these states, together with the USA, act as key advocates and protectors of Thaci. Again in Brussels, Thaci does not bother to negotiate. Having experiences from Rambouillet of 1999 and Vienna of 2006/07, Thaci is waiting for Belgrade to give it all to him on a silver platter, including the North of the Province.

To ask for any sort of assurances today from the UK and Germany is tantamount to taking the word of Thaci. One should not be surprised how well-coordinate they act, given that they are allies in the war against Serbia.

The Erdut Accords of 1995 which provided for the Association of Serbian Municipalities in Slavonia was supported by guarantees of numerous countries and organizations. Whatever had happened with its implementation? Is there not the entire EU standing behind the “status neutral” EULEX, and yet, what demonstrates EULEX’ status neutrality? Could it be its input, ever since its illegal deployment through its subsequent legalization to date, in developing ‘independent Kosovo’!?

I beseech you all to go back to the guarantees of the UN Security Council and Resolution 1244. They are less than ideal, however there is nothing better. They are far more, and better by far, than the assurances you have requested from the above mentioned states protecting Thaci and independent Kosovo and Metohija. And what could possibly the ministers of those states be guaranteeing – but the fact that Kosovo and Metohija is an independent state in which Serbs make a national minority!? They were the first ones to give such guarantee back in 2008!

I am sorry to see, day in day out, how you keep showering the nation by catastrophic statements, ranging from Serbia having allegedly lost it all so there is nothing else to lose, that any option is bad for Serbia, that Serbia must reach an agreement in these moot negotiations, that there will be no more money for salaries and pensions, that there is no option left to protect Serbian interests, and so on, and so forth. You should at least be aware that these statements, in addition to spreading defeatism and despair, also contribute to encouraging the other party/parties to entrench in their positions, thus simply shattering the bargaining position of Serbia.

I also wish to ask you to stop referring to Tadić, if any possible, as the one who had obligated you by the UN General Assembly Resolution on EU’s mediation role, or by Borko’s arrangements on introducing the border towards Serbia. The cited Resolution is of technical character, whereas Borko’s arrangements were founded neither on international law nor on Serbia’s national legislation and, as such, do not create international legal obligations for Serbia. Your reference to them is less than a suitable argument for serious statesmen. Especially before the history.

True, it is inconvenient, difficult, even dramatic to make a shift in one’s approach, especially having in mind all the concessions given so far, however the point of time, circumstances and actors are as they are, and cannot be chosen or avoided. If there is anyone faced with dilemma on what is more important, and what is the benchmark for determining the seriousness of state and its statesmen – whether it is a technical resolution of the General Assembly or the legally binding Resolution 1244 adopted by the Security Council, than it is a worrisome indication of something is seriously wrong. The only international legal grounds and obligation for all State Parties to the World Organization is Security Council Resolution 1244. It is utmost irresponsible to push aside UN Security Council Resolution 1244, and even worse to refer to it only for the sake of producing a concession in favor of Priština, or when Germany or another great power need it to assert that “they respect the territorial integrity of Kosovo”.

One does not protect the nation by confrontation, yet neither does one protect it by constant giving in, and especially not so by agreeing to dismantle governmental institutions of Serbia in the north of Kosovo and Metohija. When a public statement is made that the acceptance of Thaci’s claims and the continuous concessions actually protect the citizens in the Province, both Serbs and the other ones, does this mean that Serbia is in fact blackmailed with safety and lives of its citizens – and that this is the reason why Serbia must agree to anything requested? And anyhow, is Serbia blackmailed with anything, by anyone? If Serbia and her negotiators in Brussels are indeed blackmailed, that it would be a decent thing to communicate this to the public – who, how, and with what, blackmails either Serbia or her negotiators – with safety of citizens, new sanctions, withholding any new institutions … or anything else? In this case, it would not any longer be a remit of negotiators but rather of institutions, first and foremost of the National Assembly. On the other hand, if there is no blackmail, it is all the easier and better to go back to the law and the UN Security Council.

Another frequent thesis for the public is realism and realistic situation. Stopping short from an explicit statement, the subtext message is that “because we lost it all”, because we have been self-deceived for years, because we have a poor Constitution, plus many more similar ‘arguments’ – now we have to give way, give in, accept the unacceptable and the humiliating, to label as compromise what actually amounts to clear loss, to make one-sided concessions, etc. It seems to me there is abundance, if not in excess, of reasons to say – it is not realism, and it is not only realistic what claim representatives of Germany, the UK and the US, and echoes Thaci.

A reality is the existence of Serbian governmental institutions in Kosovo and Metohija; another reality is that some 250,000 Serbs and other non-Albanians have been waiting for 15 years, clinging to the principles of humanism, rule of law, and European standards, to return safely and securely to their homes in Kosovo and Metohija; reality are UN SC Resolution 1244 and the Constitution of Serbia – no mater how supposedly poor in someone’s opinion the latter may be; reality is that Europe and the EU of today, let alone the world, are somewhat different than during the previous century’s 90ies.

This proves that reality is not unambiguous, and especially not so when portrayed as do actors and persons who are not best known in Serbia for their objectivity and impartiality. Will or will not the UK, Germany and the US observe the decision of the UN SC for which they also voted, is a matter of their attitude towards the principles of the international affairs, towards the World Organization and ultimately towards the fundamental values of the contemporary civilization. Yet, Serbia should ask for what she is entitled to pursuant to the international laws, rather then rubber-stamp the stereotype stances of those who simply cannot break free from centuries long practice of applying dictate and ultimatum. The irony is that positions of the Serbia’s opponents are being presented to the Serbian public as positions of the responsible statesmen who do not wish to hold back anything from their fellow citizens!

The public is being presented with comparisons between the present day and the times of Dayton and Rambouillet. The fact is that, back in Dayton, we negotiated as our that-time state had been under sanctions and under suspension in the United Nations, the OSCE and other international organizations. Still, we managed to have the Republika of Srpska preserved and acknowledged. We have further been requested to open negotiations on Kosovo and Metohija. Yugoslav-Serbian delegation refused. We asked the organizers to proceed according to the invitation and the agenda, which contained a single point – to put the end to the civil war and make peace in Bosnia and Herzegovina. The organizer complied, and we produced a signed peace treaty for Bosnia and Herzegovina.

In Rambouillet there were no negotiating as these were not convenient for the US, the UK and the EU. They only needed another show to convince their public that the only remaining option was armed assault. According to their confession, “In Rambouillet, we set the bar so high that Milošević could not clear it”. The Rambouillet Show was set after the NATO Council had already made decision on armed aggression. This NATO ultimatum to concede unconditional surrender and subsequent occupation of the entire Serbia and Montenegro (the FRY) was more severe that the Austro-Hungarian ultimatum of 1914. Their ultimatum was rejected, because no sovereign state would ever accept what was tabled then and there. This is a sort of confession, too. The current ultimatum sent by the US and Germany via Ashton to Brussels – has to be refuted as well.

We are aware of the present day relations and trends, as opposed to those back in 1995 and 1999. Let’s spell it out, at the times of Dayton and Rambouillet there were no BRICS countries, nor G-20, nor the Shanghai Cooperation Organization, nor credit lines from China and Russia and other countries.

Therefore, do not scare the people, because the people got inured to intimidations and, in spite of it all, had sharpened its critical discerning skills. Even with the country’s poverty, unemployment and hunger, we still do not have to blindly follow the offers of potentially better life in turn for the renouncing of our very self, our history and Kosovo and Metohija.

Show some courage by turning to yourselves, to Serbia and to true friends. This will be neither autarchy nor isolationism nor “shooting in own foot” – this will be restoring our self-esteem and preparation for genuine partnership with others. This is the only way we can count on becoming better understood and respected and offered cooperation on an equal footing with Berlin, London, Washington and Brussels. Together with the majority which has always been respecting Serbia.



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http://rickrozoff.wordpress.com/2013/04/21/kosovo-clearest-example-of-west-flaunting-international-law/

Voice of Russia - April 21, 2013


Kosovo is Serbia, territorial integrity must be respected

John Robles


Serbia is on the verge of recognizing the legitimacy of the illegal breakaway territory of Kosovo and expanding Kosovo’s authority. According to many Serbians and analysts this may lead to the eventual disintegration of Serbia as a sovereign state. Kosovo’s declaration of independence was an illegal act and the support by the West in redefining Serbian borders is a clear act of international aggression. Whether a forced border change in Serbia is carried out by economic pressure from the European Union or by the military aggression of NATO, it is still illegal and contrary to international law.

The maintaining of the territorial integrity of sovereign nations is enshrined in international law and the United Nations Charter and is an integral part of every country’s right to security, self-government and maintaining its existence. Every country has the right to use force if necessary to protect its sovereign territory both from internal and external threats and under international law the imposition by force of a border change is an act of aggression. Therefore the campaign by the West in attempting to bring about an independent state in Serbia runs contrary to the United Nations Charter and international law and is illegal and must no longer be supported.

With regards to Serbia and the self-declared “independent state” of Kosovo, the fact that the West is imposing a forced border change, militarily through its surrogates NATO and KFOR, extra-legally through its police arm EULEX, extra-judicially through the International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia (ICTY) and economically and politically through the European Union, is an affront to all the principles of international law and international conventions with regard to territorial integrity.

All of these bodies together, acting under the cover of law, are in fact acting illegally to impose a Western-conceived plan for the Balkans and a reassignment of territory which also runs counter to all agreements reached after World War II with regard to territorial changes.

Of course when dealing with the issue academically, the West’s hypocrisy is none the more clear than it is when looking at the situation surrounding Kosovo and the fallacy of the West’s entire adventure in the former Yugoslavia. This hypocrisy can be seen when it comes to sovereign territories such as Las Malvinas, Palestine, Puerto Rico, the Koreas and a host of other locations.

Forcing a border change or outright denying the sovereignty of nation states is an extreme example of Western meddling but it is the clearest example of Western flaunting of international law when it comes to promoting its own interests.

The international community and United Nations member countries should be up in arms over Serbia being forced by the European Union into accepting and recognizing the forceful border change taking place within its sovereign territory. Whether that force be military or economic (it is a matter for academic debate which is more illegal when the goal is forced border change) it must not be allowed to continue and all parties placing pressure on Serbia to accept an internal border change to its sovereign territory must cease and desist immediately.

If the world community allows the West and its geopolitical architects to get away with redefining the borders of Serbia it is allowing a dangerous precedent that will make it much easier the next time they target a country for territorial transformation.

Serbia is a broken and devastated country which makes the leadership more susceptible to western manipulation and it has been kept unstable and marginalized for so long by an ongoing and conscious Western effort that the Serbian people have little recourse to defend themselves against this attack by the West.

The united Nations and the international community must pull together and support Serbia and support its right to maintain its territorial integrity, otherwise the whole concept of the United Nations and international law is a farce and the two are in fact only tools for use by the West when they see fit to use them for their own ends.

Western hypocrisy is also clear when it comes to allowing Israel to continue building illegal settlements in Palestinian territory, arming terrorists to bring about regime change in Syria and in countries such as Puerto Rico, that the U.S. deems are not intelligent enough to govern themselves.

States that have supported and promoted the secession of Kosovo from Serbia should, in reality, face sanctions from the UN and member countries. However the United Nations has shown, time and time again, that it is merely an instrument of the West and will continue to be thus as long as it is funded by and based in the United States of America.

In my opinion the Russian Federation, the People’s Republic of China, Venezuela and all other countries that have independent foreign policies must pull together and do more to assist the Serbian government and the Serbian people in saving their country from the eventual complete destruction of their sovereign state which a recognition of Kosovo will lead to.

If there was more economic and political assistance perhaps Serbian politicians would not be forced to look to the European Union to solve the country’s economic woes and more energetic moves could be made to return Kosovo to Serbia.

With regard to the current residents of Kosovo claiming it is their nation state, they must be integrated into Serbian society and the international community should aid in that integration, not allow for the separation and breaking up of the country. This was not done by the West because Serbia was aligned with Russia and therefore was a “problem” country that they had to destroy.

Lastly if the international community continues to support the independence of Kosovo and the violations of international law that are ongoing there, then they should do the same if, for example, the State of Texas decides to secede from the United States. If you think this sounds ludicrous then you understand the hypocrisy of the situation in Serbia with regards to Kosovo. Kosovo is Serbia and territorial integrity must be respected and protected, no matter how small or weak a country may be.






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Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS
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I TEDESCHI DETTANO LE CONDIZIONI AI SERBI - CHE ANNO ERA?


Schockenhoff: La Serbia deve adempiere alle condizioni

I rappresentanti della coalizione al potere in Germania CDU-CSU hanno dichiarato nel Bundestag che non hanno cambiato la loro posizione che la Serbia deve adempiere a sette condizioni che Berlino ha imposto alla Serbia prima dell’inizio ufficiale della trattative sull’adsione all’Unione europea. Il sostituto capo di quello schieramento Andreas Schockenhoff ha detto che prima di tutto deve esere raggiunto un accordo scritto tra Belgrado e Pristina e che deve essere varato un chiaro piano per la sua implementazione, il quale includerà anche la relazione sul monitoraggio da parte dell’Unione europea. Per la decisione positiva dei democristiani nel Bundestag sono necessarie anche buona collaborazione con il tribunale dell’Aja e la riconciliazione regionale, ha dichiarato Schockenhoff.

da www.glassrbije.org - 19. 04. 2013. - 20:03