Informazione

(srpskohrvatski / italiano)

Accordo Belgrado-Pristina ?

1) "L'urlo del Kosovo" è in Serbia! (LINKS)
2) Interpretazioni discordanti sull' accordo Belgrado-Pristina (Glassrbije.org)
3) NKPJ: BURŽOASKA VLADA PRIZNALA “NEZAVISNOST” I OKUPACIJU KOSOVA


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Da: Alessandro Di Meo <alessandro.di.meo @ uniroma2.it>
Data: 19 aprile 2013 16.52.02 GMT+02.00
Oggetto: "L'urlo del Kosovo" è in Serbia!


cari tutti, 
su: http://unsorrisoperognilacrima.blogspot.com
un breve resoconto della presentazione del mio libro "L'urlo del Kosovo" in versione in lingua serba "Urlik sa Kosova".
Il libro è stato presentato il 9 aprile a Kraljevo, presso la Biblioteca Nazionale e l'11 aprile a Belgrado, presso l'associazione degli scrittori serbi.
Le due serate sono state citate in articoli di quotidiani (Vecerni Novosti, Ansamed e, venerdì prossimo, su Pecat) e su due televisioni serbe, una di Kraljevo l'altra nazionale (Rts, sabato in "Dobro jutro Srbija").
Per chi vuole, riporto i link relativi (il primo di ANSAmed è in italiano)

ARTICOLI GIORNALI:

http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/rubriche/cultura/2013/04/12/Libri-Belgrado-urlo-Kosovo-Alessandro-Meo_8541598.html 

http://www.novosti.rs/vesti/naslovna/drustvo/aktuelno.290.html:429272-Alesandro-di-Meo-Srbi-se-nikada-nisu-savili 

https://www.facebook.com/velikameduza?ref=tn_tnmn#!/photo.php?fbid=10200431188775595&set=a.10200431188495588.1073741825.1632588395&type=1&theater 

VIDEO:

http://www.katv.rs/index.php?option=com_content&view=article&id=2540:predstavljen-urlik-sa-kosova-alesandra-di-mea&catid=71:2013-tv-prilozi-u-aprilu&Itemid=18 

http://www.youtube.com/watch?v=t2vQ7nI_G1E


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Belgrado e Pristina hanno raggiunto l’accordo

19. 04. 2013. - 20:05  L’alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera e la sicurezza Catherine Ashton ha dichiarato che le trattative tra Belgrado e Pristina che si conducevano a Bruxelles sono terminate e che entrambe le parti hanno siglato l’accordo. Il premier serbo Ivica Dacic ha dichiarato che tutte le richieste di Belgrado sono state accettate. Ho posto la mia firma sotto l’accordo. Nei prossimi giorni le due parti comunicheranno se l’accordo sarà accettato o meno, ha detto Dacic. Anche il primo vice premier serbo Aleksandar Vucic ha confermato che tutte le proposte della delegazione serba sono state accettate.

Dacic: ho posto la mia firma sotto l’accordo

19. 04. 2013. - 20:06 
Il premier serbo Ivica Dacic ha dichiarato a Bruxelles di aver siglato l’accordo con Pristina, nel quale sono state accettate tutte le richieste di Belgrado. Lunedì prossimo Belgrado darà la risposta finale al capo della diplomazia europea Catherine Ashton. Alla nostra delegazione è stata presentata l’offerta migliore. Nel corso delle trattative con Pristina non ci è stata data mai una offerta così buona. Nell’accordo è rimasto il nono punto che riguarda la polizia e la nomina del comandante della polizia serba. Dal punto 14 è stata cancellata la frase che la Serbia non deve bloccare l’adesione del Kosovo alle istituzioni internazionali. È stato precisato che Belgrado non ostacolerà l’avvicinamento del Kosovo all’Unione europea, ha detto Dacic. L’accordo non è stato siglato in modo definitivo. Nei prossimi giorni le due parti comunicheranno se l’accordo sarà acettato o meno. Dopo le sedute del Partito Progressista Serbo e gli altri partiti della maggioranza l’esecutivo serbo avrà la posizoone definitiva sull’accordo, il quale sarà accettato o respinto all’unanimità, ha dichiarato Dacic.

Ashton: accordo rappresenta la rottura con il passato

19. 04. 2013.   L’alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera e la sicurezza Catherine Ashton ha comunicato oggi che le trattative tra Belgrado e Pristina che si conducevano a Bruxelles sono terminate e che entrambe le parti hanno siglato l’accordo, il quale ha aperto la strada alla rottura con il passato. L’Ashton, la quale è stata la mediatrice di 10 round delle trattative, si è congratulata con il premier serbo Ivica Dacic e il premier kosovaro Hashim Taci, perché hanno dimostrato il coraggio e la determinazione. Lei ha detto che il raggiunguimento dell’accordo tra Belgrado e Pristina è un importante passo sulla strada del loro avvicinamento all’Unione europea.

Rappresentanti dell’Ue: accordo storico

19. 04. 2013. - 20:08 
Le più alte cariche politiche dell’Unione europea hanno salutato il raggiungimento dell’accordo storico tra Belgrado e Pristina, ed hanno sottolineato la sua importanza per la regione e l’Europa. Il presidente del Consiglio europeo Hermann van Rompej si è congratulato con entrambe le parti e la meditarice Catherine Ashton, perché nella decima round delle trattative sono stati conseguiti risultati decisivi. Il capo della commissione europea Jose Manuel Barroso ha detto che l’accordo storico tra Belgrado e Pristina incentiverà l’avvicinamento dell’intera regione all’Unione europea. Il commissario per allargamento dell’Unione europea Stefan File ha dichiarato che d’ora in poi entrambe le parti avranno il pieno appoggio di Bruxelles. Il presidente del parlamentro europeo Martin Schulz ha detto che dopo le trattative lunghe e intense è stato fatto un importante passo in avanti.


Rasmussen: NATO appoggerà accordo

19. 04. 2013. - 20:09 
Il segretario generale della NATO Anders von Rasmusen ha dichiarato che la NATO è disposta ad appoggiare l’implementazione dell’accordo tra Belgrado e Pristina. L’accordo che è stato raggiunto a Bruxelles ha un’importanza storica per la pace nella regione e la sua stabilità. Esso incentiverà le integrazioni europee ed atlantiche della regione, ha dichiarato Rasmusen. La NATO appoggerà il futuro accordo nell’ambito del suo mandato che le è stato conferito dalle Nazioni Unite, ha dichiarato Rasmusen.

Vulin: L' accordo non è stato siglato in modo definitivo

19. 04. 2013. - 20:11
Il capo dell’Ufficio dell’esecutivo serbo per il Kosovo Aleksandar Vulin ha dichiarato che oggi a Bruxelles è stato raggiunto l’accordo tra Belgrado e Pristrina. L’accordo non è stato siglato in modo definitivo. Gli organi rispettivìi dello Stato e l’esecutivo esprimeranno il loro giudizio al riguardo e soltanto dopo l’accordo potrà essere firmato definitivamente, ha dichiaratro Vulin. Il premier Ivica Dacic ha posto le sue iniziali e non la sua firma. Sull’abbozzo di accordo scrive che abbiamo preso in considerazione questo documento e che esso non è stato firmato, ha dichiarato Vulin.


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BURŽOASKA VLADA PRIZNALA “NEZAVISNOST” I OKUPACIJU KOSOVA


Nova komunistička partija Jugoslavije (NKPJ) najoštrije osuđuje buržoasku Vladu Srbije zbog sramnog postizanja sporazuma u Briselu sa predstavnicima marionetskog i kvislinškog režima u Prištini. Na taj način buržoaski pro-imperijalistički režim u Beogradu je priznao “nezavisnost” Kosova i Metohije, odrekao se dela teritorije Srbije i formalno priznao kapitulaciju pred zapadnim imperijalističkim okupatorima južne srpske pokarajine. Stoga NKPJ traži od Vlade Srbije i drugih državnih organa da odbace sporazum iz Brisela postignut pod pritiskom imperijalističke tamnice naroda Evropske unije.


“Sporazum” postignut u Briselu faktički predstavlja nacionalnu izdaju i predaju građana Srbije na Kosovu i Metohiji na milost i nemilost zapadnim imeprijalistima i albanskim separatistima. NKPJ ocenjuje da je Vlada Srbije povukla ovakav potez zarad ulaska Srbije u imperijalističku tamnicu naroda EU čiji je jedini cilj da bogati postanu još bogatiji a siromašni još siromašniji.

Besmislene su i apsurdne tvrdnje predstavnika pro-imperijalističkog buržoaskog režima u Beogradu da će njegovi predlozi koji su ugrađeni u sporazum zaštititi interese srpskog naroda i drugih nealbanaca na Kosovu. Stvaranje takozvane “Zajednice srpskih opština” neće garantovati nikakve slobode i prava građanima koji žive na toj teritoriji jer će ona biti podređena izdajničkim i marionetskim vlastima u Prištini koje bespogovorno slušaju sva naređenja zapadnih imperijalističkih okupatora. To što će Srbi na Kosovu imati pravo da predlažu imena regionalnih policijskih komadanata i što na severu pokrajine neće biti prisutna takozvana kosovska vojska takođe ne predstavlja nikakvu garanciju srpskom življu i ostalim građanima koji su u potpunosti prepušteni na milost i nemilost okupatoru i njihovim slugama.

NKPJ poručuje da aktuelno stanje treba nazvati pravim rečima, a to je da je Kosovo i Metohija okupirano od strane zapadnih imperijalista i albanskih separatista. Na Kosovu su od strane Vašingtona i Brisela podjednako okupirani i Srbi i Albanci. Potezima koje je povukla, buržoaska Vlada Srbije je faktički priznala “nezavisnost” Kosova i Metohije i prihvatila okupaciju južne srpske pokrajine. Narod naše zemlje nikada nije trpeo okupatore. Kako nije trpeo tursku i austro-ugarsku okupaciju, tako nije trpeo ni naci-fašističku okupaciju u Drugom svetskom ratu pa tako i danas sa prezirom gleda na okupaciju južne srpske pokrajine. Kako nije prihvatila imeprijalističko razbijanje naše socijalističke domovine SFR Jugoslavije kao i zločinačku agresiju i razbijanje SR Jugoslavije, NKPJ u potpunosti odbacuje imperijalističku okupaciju Kosova i Metohije. Albanski i srpski narod kao i svi drugi narodi koji žive na toj teritoriji ne mogu biti slobodni dok je Kosovo pod okupacijom zapadnog imperijalizma i njegovih marioneta u Prištini. Srpski i albanski narod treba da slede svetli primer bratstva i jedinstva i revolta prema okupatorima koji su u Drugom svetskom ratu pružili partizanski heroji Boro i Ramiz. Tek nakon što okupatorske trupe NATO napuste teritoriju Kosova i Metohije stvoriće se uslovi za slobodniji i srećniji život svih njenih građana u sastavu matice Srbije. U slučaju da buržoaska pro-imperijalistička Vlada Srbije potvrdi “sporazum” iz Brisela, koji se kosi sa svim odredbama Ustava na koji se režim poziva, NKPJ smatra da će to biti još jedan razlog više za njenu momentalnu ostavku.

Dole sa antinarodnim briselskim sporazumom!

Stop okupaciji Kosova i Metohije!

NATO napolje iz Srbije!

Živela borba jugoslovenskih naroda protiv imperijalizma!

Sekretarijat Nove komunističke partije Jugoslavije,

Beograd,

19.april 2013. godine






I GORANCI/GORANI del Kosovo Metohija: chi sono


Prendendo spunto da una nuova adozione che la nostra Associazione ha assunto nell’ultimo viaggio, di una famiglia Goranci/Gorani del Kosovo Metohija, profuga a Nis, vedere i dettagli al fondo, proponiamo una sintetica scheda su questa minoranza che abitava il Kosovo da centinaia di anni e che oggi è parte della pulizia etnica avvenuta in quella provincia serba, anch’essi perseguitati e in gran parte costretti a fuggire dalle violenze dei separatisti albanesi. I pochi rimasti condividono con i serbi la realtà dell’apartheid, della discriminazione e della vita rinchiusi nelle enclavi.
 

I GORANCI/GORANI del Kosovo Metohija:  chi sono


I Gorani sono una comunità slava musulmana che proviene e risiedeva principalmente nella zona montuosa del Kosovo e più a sud nel comune di Dragas (regione Prizren), dove costituiva tra il 30/ 40% della popolazione locale. I Gorani vivevano anche in tre villaggi al confine con l'ex Repubblica Yugoslava di Macedonia e in nove villaggi al confine con l'Albania.
La comunità proviene e prende il nome dalla zona di Gora, che è una parola slava che significa montagna; la regione di Gora comprende i comuni di  Dragas in Kosovo, il comune di Shishtavec in Albania e la zona intorno le montagne Šar in Macedonia; 

sono di religione musulmana e hanno una cultura popolare ricca e varia, nell’ultimo censimento della Jugoslavia, si dichiararono  musulmani per nazionalità. I Gorani sono serbi che si sono convertiti all'Islam in epoca ottomana; tuttavia questo popolo non nega le proprie radici serbe, tranne una esigua minoranza che si definisce con radici bosniache.

Il nome dei Gorani a seconda delle traduzioni, (in cirillico: Горанци), o Goranci- "Goranski" (cirillico: Горански), significa abitanti delle montagne; un'altra definizione di questo popolo è "Našinci" che letteralmente significa "la nostra gente".  Essi sono anche noti tra gli albanesi confinanti, con nomi diversi, "Torbeshë" e "Poturë". Parlano  una lingua slava, un dialetto che è vicino alla lingua macedone, il dialetto Gora, che è chiamato da molti Gorani anche come "Našinski"( la nostra lingua); è 'considerato da molti come una via di mezzo  tra il  dialetto macedone ed il serbo ed è spesso chiamato dialetto Torlak. Pur rimanendo una lingua a base slava, ci sono numerose parole  prese dalle altre lingue, e il dialetto è stato fortemente influenzato dal turco, arabo, bulgaro e albanese.
La musica tradizionale popolare Goranci include un ballo chiamato "Kolo" ('cerchio'), che è una danza tradizionalmente serba, che si balla appunto in cerchio, basata sui movimenti del piede: si inizia sempre con il piede destro e si muove in un senso antiorario. Il Kolo è di solito accompagnato da musica strumentale fatta spesso con un Zurle o Kaval e il Tupan o Davul, le danze sono poco accompagnate da canti, come invece avviene piu’ frequentemente nel Kolo piu’ propriamente serbo.

                                                                               
[FOTO: La loro celebrazione annuale più grande è Durđevdan ( San Giorgio ) il 5 e 6 maggio.]

                                        
La regione Gora, è menzionata nel 1348 in un editto del re serbo Stefan Dušan, indicata come sette villaggi popolati dai Gorani che erano nell’area del Monastero di S. Arcangelo a Prizren in quel momento. La zona chiamata Gora è stata poi popolata da molti slavi durante le loro migrazioni nel sesto e settimo secolo. Meno di un secolo dopo, anche i Bulgari invasero la regione e poi si stabilirono nella zona. Nel 1455, Gora fu conquistata dai turchi ottomani e divenne un protettorato  del Beylerbeylik ( Signore) di Rumelia, parte del Sangiaccato. Il processo di assimilazione nella società ottomana cominciò da lì, per lo più alla fine del 16 ° secolo. E seguendo la tendenza di molte comunità balcaniche, quanto forzate o necessarie alla sopravvivenza fa parte della storia,  la conversione da Bogomili ( che era una setta eretica cristiana) avvenne attraverso il processo di islamizzazione, con decine di moschee che spuntarono in tutta la regione di Gora; i Gorani continuarono comunque  a mantenere una sorta di ibridismo religioso, da un lato solidamente musulmani , dall’altro continuarono ad osservare una serie di tradizioni bogomile e a celebrarne le festività, con il rispetto dei giorni dei loro santi ed il loro rispetto. 
A causa della posizione geografica molto isolata ed impervia di Gora, il terreno difficilmente accessibile aiutò sempre i Gorani nel resistere alle varie invasioni. Vi furono molte migrazioni per sfuggire all'invasione ottomana, migrazioni che si sono ripetute per diversi secoli da allora in poi. Le migrazioni da Gora durante l'epoca ottomana portarono a due ondate significative: la prima verso Prizren e Sirinić, e l'altra verso Tetovo in Macedonia. Quest'ultima ha popolato gli insediamenti macedoni a Dolno, Palčište e Tearce. I loro discendenti ancora popolano quella parte della Repubblica di Macedonia. Coloni Gorani anche emigrarono verso il versante orientale delle Montagne Šar formando i villaggi di Urvič e Jelovjane.
Nella prima guerra balcanica nel 1912, l'esercito serbo occupò la Gora; nella prima guerra mondiale 1915-1918 Gora fu conquistata dagli Imperi Centrali e assegnata ai bulgari (fino a maggio 1916) e agli austro-ungarici (fino a ottobre 1918) della zona. Dopo il 1918 furono integrati nel Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. I problemi durante la prima guerra mondiale, nonché il periodo difficile tra 1919-1920 sono stati caratterizzati dalla siccità, causando carestia e molta povertà per i Gorani. Con la decisione della Società delle Nazioni, nel 1925, su richiesta dell’ Italia fascista, nonostante la volontà della locale comunità Gorani  di rimanere insieme; il confine definitivo con l'Albania fu ridefinito e con esso, oltre 15.000 Gorani dovettero restare nei confini dell'Albania con i loro 9 villaggi: Börje, Zapod, Košarište, Novo Selo, Orgosta, Orešek, Pakiša, Crneljevo e Šištevac.

All'inizio degli anni ‘50, a causa della situazione economica difficile, molti Gorani migrarono verso altre parti del Kosovo, il maggior numero andarono nella città di Priština, dove molti di essi si definirono bosniaci o non dichiararono la loro appartenenza etnica. Ma anche a Kosovo Polje, Gracanica, Ugljare, Pec, vi sono minori comunità di questo piccolo popolo.
Nel 1999, dopo la campagna di bombardamenti della NATO contro la Jugoslavia, la Missione delle Nazioni Unite nel Kosovo (UNMIK) ha assunto l’amministrazione internazionale della provincia serba del Kosovo; la questione dei Diritti per la comunità Gorani fu ridefinita, ridisegnando i confini interni della provincia, in modo che la maggioranza Gorani nei comuni del loro territorio abitato da secoli ( con una presenza di circa 70.000 persone), non esisteva più e si scoprì che in Dragas ora gli albanesi erano in maggioranza; poi la Gora ha subito massicce ( così come tutto il Kosovo) migrazioni di albanesi dall'Albania, e denunce di uccisioni e persecuzioni di Gorani da parte dei paramilitari albanesi , sono state successivamente accertate dalle forze internazionali. 
Nel 2007 le istituzioni indipendentiste kosovare hanno aperto una scuola a Dragas per insegnare la lingua bosniaca, che ha suscitato sbigottimento tra la minoranza Gorani, aggiunto al fatto che vi si insegna che i Gorani sono albanesi. Quasi tutti hanno rifiutato di mandare i loro figli a scuola per le coercizioni di assimilazione forzata e fanno le scuole dentro le loro case in modo indipendente. Per la sicurezza la zona e‘ sotto competenza di reparti turchi e del comando tedesco. E proprio un Maggiore turco ha dichiarato in una intervista pubblica, con uno sguardo fiero sul suo volto, nello sbigottimento generale dei presenti, che: ”... da quando sono arrivati i turchi hanno gia’circonciso oltre 200 bambini musulmani, contribuendo così notevolmente all'assistenza umanitaria ed alla loro salute...“.                                                                                                                                                                                            

E‘ un popolo di  grandi e lunghe tradizioni fondate sull’onore e sul rispetto, come valori fondanti la Comunita’; sempre difficili storicamente, per svariati motivi sono  stati i rapporti con gli albanesi; essi sono un autentico popolo delle montagne. Sono i  testimoni e i custodi di una memoria storica di secoli in quella regione per secoli hanno difeso la loro terra da tutte le invasioni straniere.
Negli ultimi dieci anni hanno dovuto subire come i serbi e le altre minoranze del Kosovo, persecuzioni, assassinii e intimidazioni dai terroristi secessionisti albanesi, anche perche’ essi non hanno sostenuto la distruzione della Jugoslavia, per questo sono stati bollati come serbi e collaborazionisti, seppur musulmani. 
La KFOR ha sempre tenuto chiuso intenzionalmente ai Gorani  il confine del Kosovo con la Macedonia, per motivi politici. Questo è un problema per loro molto grave, in quanto la maggior parte dei villaggi Gorani insieme, sono più grandi del comune di Dragas, ora occupata da coloni albanesi non del Kosovo e controllata militarmente dalla polizia ex UCK ed hanno necessità di sbocchi economici più larghi. Per i Gorani il commercio verso e dalla Macedonia e’ sempre stato vitale per la loro economia di comunita’ e di sviluppo, e storicamente questo scambio e’ stato secolare e usuale.
I Gorani sono falegnami specializzati, agricoltori e per la maggior parte pastori. Sono anche famosi come pasticceri  soprattutto per la  baklava e khalva (dolci di tradizione turca). Le donne praticano ancora l’arte del ricamo a mano. Nella storia dei Balcani essi sono sempre stati considerati come un popolo fiero, laborioso e di grande dignita’.   


I Diritti... fino al 1999,  delle minoranze nazionali nel Kosovo Metohija, provincia della repubblica Federale Jugoslava, Serbia.... :

Nell'articolo 11 della Costituzione della Repubblica Federale Jugoslava ( articolo mai modificato), venivano riconosciuti e garantiti i Diritti di tutte le minoranze nazionali, alla difesa, sviluppo e affermazione dei loro valori etnici, culturali, di lingua e delle altre specificità, dell'uso dei propri simboli nazionali, in accordo con le leggi del Diritto Internazionale.
Negli articoli 45 e 47, sono garantite la libertà di espressione delle culture ed identità nazionali di appartenenza; l'uso della propria lingua ed alfabeti. I membri delle minoranze nazionali hanno il diritto, in accordo con le leggi nazionali, di formare organizzazioni ed associazioni culturali e formative, su base volontaria, finanziate ed assistite dallo stato.
Nell'articolo 46, i membri delle minoranze nazionali avevano il diritto alla scolarizzazione nella propria lingua, con insegnanti della propria comunità, in tutti i livelli scolastici.

I Gorani nel “ Kosovo liberato” odierno
Come si deduce da queste parole raccolte da Raffaele Coniglio (project manager per conto della Provincia di Gorizia in Kosovo), “... a distanza di oltre 10 anni dallo scoppio della guerra tra ... Sia i rom che i gorani, sono stati accusati dagli albanesi di essere stati, prima e durante gli anni della guerra, alleati dei serbi, motivo per il quale sono finiti con l’essere facile bersaglio delle rivendicazioni albanesi. A detta di Sadat, muratore per 8 mesi in un paese vicino Siena, “il clima che si respira a Dragash è ben diverso da quello che uno straniero possa capire. Apparentemente tutto sembra tranquillo tra albanesi e gorani. Ma noi sappiamo bene che i Balcani non sono democratici. Ci aspettiamo ritorsioni da parte albanese. Aspettano che gli internazionali vadano via per cacciarci da qui...”, dice sicuro. 

Lento esodo del popolo della montagna, i Gorani minacciati lasciano il Kosovo  

di  Matt Robinson, Reuters  - febbraio 2008


“ ...L'uomo si è presentato come lo storico del villaggio, raggiungendomi con nella giacca un quaderno scarabocchiato con i dati della popolazione Gorani del Kosovo.
I dati hanno mostrato un drastico calo dal 1991, quando la Jugoslavia cominciò a lacerarsi e a dividersi tra i vari popoli. 
"Stiamo lentamente scomparendo», sussurra un uomo seduto accanto a lui nel Cafe Nuno.
Il villaggio di Brod si trova a 1.500 metri nelle montagne Sar nella punta meridionale del Kosovo, la provincia separatista dovrebbe dichiarare l'indipendenza dalla Serbia in questo fine settimana.
I suoi abitanti sono Gorani, una minoranza etnica che condivide la fede islamica del Kosovo con due milioni di albanesi, ma l'identità è slava e la lingua è del governo serbo.
Gli albanesi sono diffidenti della loro affinità con i serbi. E i Gorani hanno perso il loro naturale protettore, quando la NATO ha strappato il controllo del Kosovo alla Serbia....
Circa due terzi dei Gorani che vivevano in Kosovo prima della guerra sono già scappati verso i paesi vicini, scacciati dalla paura,  povertà e dalla disoccupazione che sono le cicatrici della regione.
Coloro che sono rimasti si sentono emarginati, determinati a insegnare ai loro figli il serbo, ma in grado di comprendere la lingua albanese delle nuove autorità del Kosovo.


UNA COMUNITÀ ORFANA
"Independenti o dipendenti, poco importa", ha detto un uomo che si è identificato come Bajram. "Non abbiamo lavoro. Non sappiamo cosa fare. Viviamo in una totale insicurezza, e i nostri spazi vitali diventano sempre più ridotti."
Seduto nel suo caffè, Husen Sütrak concorda. "Alla gente non importa chi sta per dichiarare e che cosa. Il nostro popolo ha solo bisogno di sopravvivere," ha detto. "Nessuno stato mi ha mai dato niente. Nessuno è mai venuto a offrirmi aiuto."
Nel caffè di Brod, uomini giocano a carte e guardano la Serbia contro la Russia in Coppa Davis. Il clima rigido fa stare dentro le case e solo i bambini corrono per le strade acciottolate.
La mancanza di segnale del telefono cellulare o di trasmissione della rete televisiva pubblica del Kosovo aumentano il senso di isolamento.
Più di 1.500 persone vivevano in Brod nel 1991. Ora sono poco più di 800. Attraverso la finestra della caffetteria Sütrak, la bandiera turca vola dalla moschea e sul muro c’è scritto  "Bosnia".
"Non sono albanese, non sono serbo", ha detto il fratello di Sütrak, che ha chiesto di non essere nominato. "Siamo come un bambino senza genitori..." ha detto. "Quando un bambino è senza genitori, si rivolge a chi gli offre la salvezza...".


COSA PENSAVANO I GORANI DELLA PACE KFOR IN KOSOVO... NEL 1999, ad un mese dalla fine dei bombardamenti della NATO


Intervista del quotidiano tedesco "Junge Welt" con Orhan Ilijaci Dragas

(Il Presidente dell'Organizzazione Nazionale dei Gorani che era il loro rappresentante nella delegazione jugoslava alle trattative di Rambouillet)

D. I Gorani sono una popolazione slava che vive in Jugoslavia. Quanti Gorani ci vivono, e quanti di loro in Kosovo?
R. I Gorani vivono nella parte meridionale del Kosovo, a 37 km di distanza da Prizren (nella Municipalita' di Gora). I Gorani parlano una lingua slava e vivono in Kosovo da quando in questa regione vivono gli slavi, quindi dal settimo secolo.  A Gora e nel resto del Kosovo tra i 60 e gli 80mila. Gora e' un posto particolare. Sia dal punto di vista geografico che da quello etnico. La nostra lingua e' una antica lingua slava, e' un dialetto serbo. La nostra Associazione e' l'organizzazione nazionale dei Gorani, che unisce tutti i Gorani indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa o politica.
D. Storicamente i Gorani sono stati sottoposti a qualche forma di discriminazione?
R. Si, ci e' successo. Nei secoli scorsi i Gorani si sono convertiti all'Islam, ma alla fine degli '50 di questo secolo, i funzionari albanesi del Kosovo hanno cercato di assimilare i Gorani. Questo non e' loro riuscito, ma sono riusciti a cambiare i cognomi dei Gorani in cognomi albanesi. Pero' i Gorani hanno conservato la cultura, la tradizione e la lingua slava.
D. Il livello di vita dei Gorani e' diverso da quello degli altri?
R. Il livello di vita e' uguale a quello delle altre persone che vivono inKosovo ed in Jugoslavia. Noi viviamo insieme ad appartenenti di altre religioni e di altro orientamento politico.
D. Lo stato jugoslavo vi sostiene finanziariamente?
R. Di questi tempi e' molto difficile finanziariamente. Tuttavia i Gorani esistono nel quadro della Repubblica Federale di Jugoslavia. Come anche tutti gli altri cittadini, i Gorani sono sostenuti dallo Stato. Questa era fino ad oggi la situazione in Kosovo.
D. Negli ultimi anni i Gorani sono stati discriminati in qualche maniera?
R. No, finanziariamente non siamo stati svantaggiati, benche' non fossimo proprio in cima alla lista delle priorita'. I Gorani sono stati riconosciuti come nazionalita' da poco tempo. 
D. Che effetti ha avuto la guerra sulla vita dei Gorani in Kosovo?
R. In una situazione normale avremmo parlato delle prospettive. Ma la situazione attuale ci costringe a parlare delle nostre paure. La zona di Gora dovrebbe essere sotto il controllo dei soldati tedeschi della NATO. Nei loro piani tuttavia non siamo stati affatto considerati. Benche' nel frattempo i soldati tedeschi si siano installati nel paese di Dragas, le milizie dell'UCK si aggirano liberamente e terrorizzano gli abitanti del luogo. Questo probabilmente si deve alla cattiva coordinazione tra il Comando di Prizren ed i soldati tedeschi sul campo.
D. Vi risulta che l'UCK venga disarmato dalla KFOR?
R. Non solo non viene disarmato, ma al contrario: l'UCK si aggira liberamente e costringe la popolazione a consegnare le armi da caccia. Naturalmente abbiamo paura che i conflitti che in questo modo si scatenano destabilizzeranno ulteriormente la situazione in Kosovo.
D. Cosa pensano i Gorani della politica di Milosevic?
R. I Gorani sono impegnati in molti partiti politici. Nelle ultime elezioni la maggioranza dei voti dei Gorani e' andata alla Sinistra Unita [JUL] e al Partito di Vuk Draskovic [SPO].
D. Lei crede che anche in futuro le diverse etnie del Kosovo potranno vivere insieme?
R. La nostra Associazione si battera' per un Kosovo multietnico, per la convivenza delle molte popolazioni del Kosovo. Bisogna rispettare i diritti umani di tutti quelli che vivono in Kosovo. Faremo tutto affinche' il Kosovo rimanga multietnico.
D. I Gorani sono scappati da Gora?
R. Grazie all'impegno della nostra Associazione siamo riusciti ad impedire che le persone lasciassero Gora. Se tuttavia non si giungesse alla smilitarizzazione delle unita' paramilitari, non sappiamo se incomincera' pure la cacciata e la fuga. Noi ci appelliamo al governo tedesco, affinche' attui il disarmo dell'UCK e lo porti a compimento, cosicche' si giunga ad una pacificazione e ad una stabilizzazione.
D. Per "unita' paramilitari" intende l'UCK?
R. Intendo in primo luogo l'UCK. Ma se la situazione non migliora temiamo che anche i Gorani prenderanno le armi, il che naturalmente condurrebbe ad una catastrofe.

(A. Wedekind; su "Junge Welt", 21/7/1999),  (vedere anche archivio CRJ- CNJ)

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“Dopo la guerra” (Film/documentario)


Un interessante e importante film/documentario, girato dopo l’aggressione NATO, con circa 9 mesi di ricerca e di riprese sulle montagne del Kosovo e di altri 3 mesi di post-produzione. Il film è stato impostato con la comunità Gorani in Kosovo slavo-musulmana, la cui voce non è stata sentita molto dalla fine della guerra.

Il regista è  Srđan KECA, realizzato da Srđan Keca e David Solomon; produzione: Atelier Varan Belgrade
Nel filmato si descrive questo piccolo e dignitoso popolo che vive nel cuore dei Balcani: i Gorani. Descrive la vita sulle montagne di Gora che li aveva tenuti insieme e protetti per secoli; è sempre stata la loro casa, Gora, in alto, tra le splendide montagne del sud del Kosovo, tra le frontiere con Macedonia e Albania.
La guerra del Kosovo del 1999 portò sconvolgimenti in questi fiabeschi luoghi. I Gorani, che avevano sostenuto principalmente la parte serba ed la Repubblica Federale Jugoslava, ora sono rimasto soli, circondati  e assedaiti da una maggioranza albanese ostile e minacciosa, con propri ricordi bui della guerra. Quando diventa troppo difficile da vivere sotto questa nuvola di morte, molti lasciano Gora per sempre, alla ricerca di una nuova vita.
Insieme ad alcuni degli abitanti rimasti di un villaggio Gorani vicino al confine albanese, incontrano due vecchie donne allegre, Sheap un ragazzo e suo zio Sultan, un negoziante, il muezzin, e le mucche che disobbedienti in giro per il paese per conto proprio. E 'solo una questione di tempo, quando il vento silenzioso, ma spietato li porterà via, come è stato per tanti altri, lì non c’è più futuro per essi. 
 
A cura di Enrico Vigna di SOS Yugoslavia-Kosovo Metohija e portavoce del Forum Belgrado Italia


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S.O.S. KOSOVO METOHIJA 

S.O.S. Yugoslavia – ONLUS  -  Via Reggio 14 10153  Torino, Italia 
              
Scheda Adozione Progetto Kosovo

Famiglia KALINKA BAJRAM

È una famiglia di Goranaka, sono scappati dal paese vicino Dragas, Kosovo.
Vivono in 2 piccole camere 2x4 e sono 10 in famiglia.
Non hanno il bagno, ma una piccola gabinetto nel giardino.
Sono persone molto oneste e come lavoro vendono semi di zucche e noccioline per strada ed è l’unico mantenimento che hanno.
Il padre ha una pensione di nemmeno 80 euro.
Scappando hanno trovato rifugio a Nis ed i loro nomi sono:
-KALINKA BAJRAM         (1945)
-KALINKA IBA                  (1947)    moglie
-KALINKA SEJRAM          (1968)    figlio più grande
-KALINKA NASER            (1971)    figlio più piccolo
-KALINKA PEMBA           (1971)    nuora del figlio più grande
-MIRVETA                        (1973)    nuora del figlio più giovane è incinta
DENIL (2001) – ALEN (2006) – SANEL (2010) figli del figlio più grande
I loro vicini sono molto solidali perché visto che loro dormivano in una stanza piccola in 10, gli permettono di dormire in una delle loro stanze della casa accanto.




(slovenscina / italiano)

Altre iniziative segnalate per il 25 Aprile

1) Viterbo 21/4: Presentazione del libro di Massimo Recchioni
FRANCESCO MORANINO, IL COMANDANTE «GEMISTO»

2) Lucinico (GO) 24/4: STORIE RESISTENTI: ELISABETTA LISA DEROS
Partigiana combattente nelle fila della Brigata Garibaldi Natisone

3) Vicenza 25/4: Per contribuire alla giornata di lotta del 4 maggio contro la base usa "Dal Molin - Del Din"
DALLA CRISI ALLA GUERRA? ASSEMBLEA PUBBLICA REGIONALE

4) Trieste/Trst 25/4, Risiera di San Sabba: Pesmi, besede in cvetje za 25.april / Canzoni,parole e fiori per il 25 aprile”


RICORDIAMO INOLTRE:

Parma 24/4: Anton Vratuša - un partigiano tra Jugoslavia e Italia 
https://www.cnj.it/INIZIATIVE/index.htm#parma240413

Lubiana/Ljubljana 27/4: CONCERTO... per pane, pace e libertà / KONCERT... za svobodo, za kruh
https://www.cnj.it/INIZIATIVE/iniziative.htm#ljubljana270413


=== 1 ===

---------- Messaggio inoltrato ----------
Da: anpi.vt@...
Oggetto: Presentazione Moranino a Viterbo


domenica 21 aprile 2013, ore 18,00
Spazio Arci Il Biancovolta
via delle Piagge, 23, Viterbo

Nell’Ambito della IX ed. della rassegna Resist, coordinata dal Cp Arci

Il Cp Anpi presenta  

FRANCESCO MORANINO, IL COMANDANTE «GEMISTO»
Un processo alla Resistenza

di Massimo RECCHIONI
(Roma, DeriveApprodi, 2013, pp. 208) 

Ne discute con l’autore: Silvio ANTONINI (Presidente Anpi Cp Viterbo)

La storia del processo al partigiano Francesco Moranino, il comandante «Gemisto», primo parlamentare della storia della Repubblica a subire l’autorizzazione a procedere e all’arresto. Come in molti altri casi, Moranino fu indagato per fatti accaduti durante la guerra di Liberazione solo dopo le elezioni dell’aprile del 1948 che segnarono la sconfitta del Fronte popolare delle sinistre. Alla fine del processo – istruito e dibattuto da pubblici ministeri e giudici che avevano operato durante il regime fascista – venne condannato all’ergastolo per omicidio plurimo. Per evitare di scontare la condanna dovette espatriare in Cecoslovacchia da dove prese il via la sua straordinaria esperienza di militante comunista internazionalista tra Praga, Berlino Est, Budapest, Cuba, Bucarest.
Il libro di Recchioni contestualizza storicamente gli eventi che furono alla base della condanna di Moranino, inserendoli nel complesso contesto politico della Guerra fredda, spiegando come quella vicenda processuale fosse in realtà la metafora di un processo giudiziario molto più generale che mirava alla criminalizzazione della componente maggioritaria comunista della Resistenza, oltre che a minare la forza organizzativa e la grande autorevolezza di cui il Partito comunista godeva presso ampi strati popolari. Il lavoro di Recchioni – che poggia su una ricchissima documentazione testimoniale recente e inedita di ex partigiani, sugli archivi dei familiari di Moranino, oltre che sui verbali delle sedute parlamentari, materiali processuali e iconografici – è un importante contributo alla ricostruzione storica del nostro travagliato Secondo dopoguerra.

Massimo Recchioni (1959) è il principale promotore della Sezione ceca dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia. Si dedica ad attività politiche, giornalistiche, socio-culturali e associative
.

Un’ora prima della presentazione, alle 17,00, sarà inaugurata la mostra VARSAVIA BLUES di Pasquale ALTIERI, sulla Resistenza del Ghetto di Varsavia contro i nazisti. 



=== 2 ===

Lucinico (GO), mercoledì 24 aprile 2013
ore 18:00 - Centro Civico, Piazza San Giorgio 37

ANPI Sezione di Gorizia
Vsedrzavno Zdruzenje Partizanov Italije - Sekcija Gorica

68.mo Anniversario della Liberazione

STORIE RESISTENTI: ELISABETTA LISA DEROS

Partigiana combattente nelle fila della Brigata Garibaldi Natisone

Interverranno: Liliana Ferrari, Anna Di Gianantonio, Alessandro Morena


=== 3 ===

Per contribuire alla giornata di lotta del 4 maggio contro la base usa "Dal Molin - Del Din"
GiovedÌ 25 Aprile 2013  alle 17
presso la sala della circoscrizione Laghetto, via lago di Fogliano, Vicenza
DALLA CRISI ALLA GUERRA?
ASSEMBLEA PUBBLICA REGIONALE
 
Il 25 APRILE in tutta Italia si celebra la “festa della Liberazione”.  È giusto e doveroso infatti ricordare la fine di quella immane tragedia che fu la II guerra mondiale, con la sconfitta del criminale Asse nazi-fascista ad opera delle potenze “liberatrici” alleate.
Ma un contributo fondamentale  alla liberazione dal nazismo e dal fascismo lo diedero le lotte partigiane nei vari paesi. Donne e uomini, operai, contadini, insegnanti, piccola borghesia  si ribellarono agli occupatori e ai loro servi collaborazionisti, a costo di enormi sacrifici.
La Resistenza partigiana fu la vera lotta di Liberazione.  Quanto poi  da quella importante lotta  sia stato  conquistato, è sotto gli occhi di tutti. Da quasi settanta anni  gli USA hanno consolidato il loro potere militare, ancora oggi indiscutibile,  spedendo truppe e armamenti in giro per il pianeta. Ufficialmente per “difendere la democrazia” nei paesi “liberati”; in pratica per difendere la supremazia della loro economia  e della finanza basata sul dollaro.
 
Ma da cinque anni il sistema capitalistico, in  Nordamerica come in Europa,  è di nuovo in crisi.  
Una crisi altrettanto distruttiva di quella del 1929, che finì solo con la seconda guerra mondiale, grazie agli investimenti per il riarmo prima e per la ricostruzione poi.
Oggi come allora la crisi mette in discussione l'ordine globale, esaspera la concorrenza tra le potenze imperialiste, scatena le guerre economiche per la conquista dei mercati, incentiva le avventure militari per il controllo delle aree di influenza.
 
In questo scontro l'Italia è allo stesso tempo parte del polo imperialista europeo e paese sottoposto alla servitù militare nei confronti della superpotenza Usa di cui ospita oltre cento tra basi e installazioni militari.
Vicenza, con le sue  tre basi americane da un lato (Del Din/Dal Molin, Ederle e Pluto), da dove partono i parà armati fino ai denti per “difendere la pace e la libertà”  in Irak, Afganistan ecc., e  la caserma della Gendarmeria Europea  dall'altra, che addestra i comandanti delle polizie nazionali per compiti di “ordine interno”, esemplifica con chiarezza questa duplice occupazione da parte di due sistemi politici (gli USA e la UE) entrambi dominati da ristrette oligarchie che li governano in nome e per conto delle grandi banche e delle imprese multinazionali.
 
E le vittime predestinate sono i lavoratori e le classi popolari. Oggi basta guardarsi attorno per vedere le macerie anche nel nostro paese: milioni di disoccupati, milioni in cassa integrazione, milioni a stipendi  e pensioni da fame, oltre mezzo milione che da luglio non ricevono  soldi dalla cassa integrazione in deroga.
Ma in varie parti del mondo,  anche  in paesi nostri vicini, stanno scoppiando nuove lotte di liberazione.
E’ necessario costruire una prospettiva diversa dalla barbarie in cui ci vogliono far precipitare i padroni del mondo.
 
Di tutto questo discuteremo non a caso il 25 aprile, 68° anniversario della vittoria della Resistenza.
Discuteremo  della manifestazione del 4 maggio, data in cui il comando USARMY  vuole invitare i cittadini a visitare la nuova base appena finita di costruire,  come  momento di pacificazione, di “accoglienza”,  di accettazione della loro vittoria.
Costruita si  ma non accettata. Intitolata dal  fascista La Russa ad  un “partigiano” collaborazionista.
Con gli occupanti nessuna collaborazione, ma nuova liberazione.
Oggi come allora la liberazione dalla crisi, dalla guerra, dalla barbarie è possibile solo  con la costruzione di un mondo diverso liberato dallo sfruttamento e dall'oppressione.
 
USARMY GO HOME! Liberiamoci dalla Nato e dai diktat dell'Unione Europea
 
USB Vicenza - Rete Disarmiamoli VI – Sinistra Critica Veneto – Rete dei Comunisti Padova





=== 4 ===

Per Trieste si vedano anche: 68° anniversario della Liberazione - appuntamenti culturali
http://www.retecivica.trieste.it/triestecultura/new/news_libero.asp?pagina=vis_articolo.asp&link=1082&tipo=articoli_eventi&ids=13


Concerto in Risiera - Koncert v Rižarni

Trieste, Giovedì 25 aprile 2013 ore 10.00
Risiera di San Sabba

Ob 68.letnici OSVOBODITVE

Pesmi, besede in cvetje za 25.april

Tržaški partizanski pevski zbor Pinko Tomažič čuti kot svojo dolžnost, da se ob 25.aprilu, dnevu zmage nad nacifašizmom , s pesmijo spomni vseh, ki so se borili v narodnoosvobodilnem boju in žrtvovali svoja življenja, zato da bi lahko bodoče generacije živele v miru in v boljšem, ter pravičnejšem svetu.

V ta namen prireja zbor krajši koncert, ki se bo, v ČETRTEK 25.aprila okrog 12.00.ure (po uradni slovesnosti) vršil v notranjosti Rižarne, pri Sv.Soboti. Namen organizatorjev je s pesmijo in recitacijo iz obdobja narodoosvobodilnega boja posredovati vrednote miru, svobode, bratstva in solidarnosti; vrednote, na katerih je zgrajena naša Republika, ki je nastala iz upora nacifašizmu .

Udeležence vabimo, da prinesejo s seboj cvet, v poklon in spomin vsem ki so umrli pod zločinsko roko nacističnih morilcev in njihovih fašističnih sodelavcev.
____________________________________

68° ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE

“Canzoni,parole e fiori per il 25 aprile”

Il Coro Partigiano Triestino Pinko Tomažič, ritiene doveroso, in occasione del 25 aprile Festa della Liberazione dal nazifascismo, ricordare con le proprie canzoni, Chi nella Resistenza lottò e donò la propria vita, affinchè le future generazioni potessero vivere in pace in un mondo migliore e più giusto.

Pertanto il Coro P.Tomažič ha deciso di tenere un breve concerto all’interno del Monumento Nazionale della Risiera di San Sabba GIOVEDI'25 APRILE verso le ore 12.00 (dopo la cerimonia ufficiale).

L’intento degli organizzatori è quello di proporre attraverso i canti e le parole della Resistenza valori come la pace, la libertà, la fratellanza e la solidarietà, che sono i principi fondanti della nostra Repubblica, nata proprio dalla Resistenza.

Si invitano i partecipanti a portare un fiore da deporre presso la lapide che custodisce le ceneri di quelle migliaia di donne e di uomini barbaramente eliminati dagli assassini nazisti con l’aiuto dei loro collaboratori fascisti.





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Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS
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Parma, mercoledì 24 aprile 2013
alle ore 21.00 presso l'Istituto Storico della Resistenza - vicolo delle Asse


** CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE
sabato 20 aprile alle 11 nella sede dell'ANPI di Parma di piazzale Barbieri **



Anton Vratuša - un partigiano tra Jugoslavia e Italia

Presentazione del libro di A. VRATUŠA
«DALLE CATENE ALLA LIBERTA’» 
La «Rabska Brigada», una brigata partigiana nata in un campo di concentramento fascista
(Udine, KappaVu 2011)

Anton Vratuša, oggi novantottenne, nato nel 1915 a Lubiana, antifascista, fu internato dal fascismo, occupante la Slovenia, in campi di concentramento, in particolare in quello                                 di Arbe (Rab) dal luglio 1942 al settembre ’43. Nel campo si formò la brigata partigiana «Rabska Brigada» di sloveni, croati, ebrei, della quale egli fu vicecomandante. Vratuša è stato poi rappresentante della Resistenza slovena in Italia presso il CLN Alta Italia. A guerra terminata ha ricoperto diversi importanti incarichi nella Repubblica 
jugoslava, politico, diplomatico, uomo di cultura, professore alle Università di Lubiana e Belgrado.

Il suo libro "Dalle catene alla libertà" verrà presentato da Gabriella Manelli, presidente dell'ANPI provinciale di Parma, Andrea Martocchia, segretario del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia, Marco Minardi, direttore dell'Istituto Storico della Resistenza di Parma.
Se le condizioni di salute glielo permetteranno, alla presentazione interverrà l'autore stesso Anton Vratuša.

L'iniziativa è promossa dal Comitato per le celebrazioni del 25 Aprile
(ALPI - ANPI - ANPC - ANED - ANPPIA)

Co-promuovono: CNJ-onlus, Comitato antifascista e per la memoria storica di Parma


SCARICA LA LOCANDINA: https://www.cnj.it/INIZIATIVE/volantini/parma240413.jpg

Vai alla scheda del libro di Vratuša: https://www.cnj.it/documentazione/bibliografia.htm#vratusa2011

Evento facebook: http://www.facebook.com/events/133169310203061/




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(srpskohrvatski / italiano)

Il fascismo antiserbo

1) La Serbia rifiuta le imposizioni della UE circa il Kosovo e cambia rotta (Enrico Vigna)
2) Антисрпски фашизам (Андреј Фајгељ)


=== 1 ===

La Serbia rifiuta le imposizioni della UE circa il Kosovo e cambia rotta.

di Enrico Vigna

Dopo una lunga seduta del Parlamento il governo di Belgrado, il 2 aprile, ha dichiarato di "non poter accettare le soluzioni proposte perché non garantiscono la sicurezza e i diritti umani dei serbi del Kosovo".



Quattordici anni dopo la vittoria della coalizione militare più potente della storia, la NATO, aveva cercato attraverso l’Unione Europea di imporre alla Serbia, una nuova Rambouillet, un’ennesima capitolazione: la rinuncia definitiva di una parte del suo territorio, la regione del Kosovo, il cuore della sua storia e identità nazionale e spirituale.

Dopo la “guerra umanitaria” del 1999, dopo la creazione dello stato fantoccio di “Kosova”, guidato dai terroristi dell’UCK, dopo l’installazione per 99 anni, della più grande base militare USA dai tempi del Vietnam: Camp Bondsteel in Kosovo, l’UE aveva posto l’ingiunzione dell’accettazione dello status quo del narcostato Kosovo albanese ( di fatto un protettorato NATO), come precondizione per entrare...in Europa. L'accettazione che tutte le comunità serbe e non albanesi ( le enclavi) del Kosovo, accettassero l'autorità istituzionale del governo di Pristina; proposta serba di negoziare una forma di autonomia per tali comuni è stata respinta, chiedendo al contrario lo smantellamento completo di tutte le "strutture parallele" nel nord del Kosovo, che in qualche modo hanno permesso finora di proteggere e salvaguardare gli abitanti dalla pulizia etnica applicata nelle altre aree. "L'umiliazione della Serbia non può essere la soluzione per il Kosovo", ha dichiarato I.Dacic, Primo Ministro serbo; ha inoltre detto che la leadership serba vuole continuare il dialogo con Pristina, ma non ci potrà mai essere un accordo per l'indipendenza del Kosovo, per questo, non potrà essere raggiunta facilmente un intesa.

La Serbia ha scelto il Kosovo: attraverso pressioni e ricatti, Dacic ha detto in un'intervista, "...ci offrivano soltanto una capitolazione"; Pristina rifiuta la concessione di una qualsiasi autonomia alle municipalità serbe del Nord, come per esempio la creazione di una polizia e di tribunali serbi nei comuni autonomi; a questo punto messa di fronte all'alternativa fra abbandonare del tutto la sua gente nel Kosovo o rinunciare alla prospettiva europea, la Serbia ha scelto di dire "no" a BruxellesCon questa risposta si apre una situazione del tutto nuova e complessa sotto molti punti di vista: C. Ashton, la rappresentante della politica estera della UE, aveva detto dopo l'ultimo incontro che la Ue non si sarebbe più occupata della vicenda Kosovo e dei negoziati cui si stava lavorando da più di due anni, riguardanti le dogane, la libera circolazione, i diritti civili e umani, le forniture elettriche, le telecomunicazioni. Ora bisognerà vedere se dopo il "no" della Serbia a pretese e pressioni ritenute inaccettabili , l'Unione europea deciderà di cambiare atteggiamento e costringere la leadership di Pristina ad accettare un negoziato equo e rispettoso degli interessi reciproci per non aprire una crisi foriera di gravissimi pericoli; Dacic ha dichiarato che: ...è comunque intenzione della Serbia di continuare il dialogo per cercare di raggiungere una soluzione sostenibile e condivisa... con Pristina, ma non saranno mai d'accordo per l'indipendenza del Kosovo...”.

Certamente non sarà sufficiente il rifiuto di Belgrado a Bruxelles per non perdere il Kosovo, si aprono scenari di conflittualità da ambo le parti, lo dimostra il fatto che, in previsione di violenze le forze USA nel Kosovo hanno dispiegato la loro Brigata 525 che è specializzata in operazioni anti-sommossa; e le preoccupazioni da parte dei serbo kosovari sono che la NATO potrebbe cercare di sfruttare qualche “incidente”, come pretesto per occupare le zone settentrionali, con la partecipazione delle forze di sicurezza del Kosovo “indipendente ». Sono già previste nei prossimi giorni, manifestazioni degli albanesi kosovari a Mitrovica sud, che potrebbero essere utilizzate per causare un'esplosione generale e giustificare l’occupazione militare del nord del Kosovo. Così come non va mai dimenticata la delicata e difficile situazione delle enclavi situate nel sud del Kosovo, totalmente isolate e circondate dall’ostilità degli estremisti albanesi.

Scenari di gravi e dure conseguenze A questo punto il governo del presidente Nikolic è quindi in una posizione molto delicata perché si trova realisticamente esposto ad una destabilizzazione, interna, attraverso le forze filo occidentali disgregatrici ed antinazionali ( sia politiche che i vari movimenti e ONG promossi e finanziati dall’ Occidente) ed esterna, attraverso i ricatti dell’isolamento diplomatico ed economico che i paesi occidentali sicuramente cercheranno di attuare ed imporre alla Serbia.

Come ha dichiarato a Belgrado Marko Djuric, consigliere per la politica estera del presidente serbo: “...il paese si trova in una posizione drammaticamente difficile...I cittadini devono sapere che ci troveremo ad affrontare gravi conseguenze, perché dall'altra parte non erano pronti per un compromesso onorevole...". Dopo nove mesi di governo questa coalizione fondata sostanzialmente sulle forze del Partito Progressista Serbo ( nazionalismo moderato) e del Partito Socialista, ha gettato le basi per un rinnovamento della politica in Serbia, basato soprattutto su scelte di difesa dell’interesse nazionale in tutti i campi e la ricerca di nuovi prospettive per trovare una ripresa politica, economica, sociale e culturale per il popolo serbo. Le perplessità sono molte e addirittura fino al 2 aprile le comunità dei serbo kosovari erano molto scettiche ed anche dure verso Belgrado, temendo la svendita del Kosovo per“comprarsi” l’Europa. E’ chiaro che, alla luce di questa scelta forte e cruciale per le prospettive future a tutto campo, il governo serbo ha riacquistato ancora maggiore credibilità e fiducia nelle classi popolari della Serbia e del Kosovo Metohija. Secondo un sondaggio di marzo fatto da Belgrado Plus Faktor, il Partito progressista guidato da A. Vulic, sarebbe sostenuto dal 38,6 per cento degli elettori, se le elezioni si fossero svolte nel mese; mentre i Socialisti sarebbe al terzo posto, con il 13,6 per cento di sostegno; il Partito Democratico, il partito di opposizione filo occidentale, che ha perso le elezioni lo scorso anno ha attualmente un supporto del 14,8 per cento, secondo l'indagine, che aveva un margine di errore di 3 punti percentuali. Alla luce dei nuovi avvenimenti, sicuramente la popolarità della coalizione è cresciuta, in quanto in molti settori patriottici della società serba c’erano molte critiche ed attacchi proprio legati alla questione Kosovo.


Una conseguenziale svolta geostrategica e geopolitica

Il rifiuto dell’accettazione delle condizioni imposte, come anche dichiarato da M. Djuric, consigliere del governo, disegna scenari gravidi di incognite circa i passi che a livello internazionale, il blocco occidentale nel suo complesso intraprenderà. Nel frattempo, il "no" è stato fortemente sostenuto dalla Russia, vista la drammatica situazione economica e sociale in Serbia; il "no" potrebbe sembrare un suicidio poiché ora il governo serbo deve trovare altre sponde in termini di investimenti, accordi economici e scambi commerciali; oltrechè politiche, date le prevedibili ritorsioni e tentativi di isolamento della cosiddetta comunità internazionale occidentale, che verranno tentate.

Le vicende intorno alla questione del Kosovo hanno un‘importanza strategica per l'intera regione balcanica e non solo, oltre al destino futuro della stessa Serbia. Il nodo Kosovo va ben al di là della situazione specifica della provincia, delle sue risorse minerarie o energetiche, dei “diritti umani” dei kosovari albanesi, in gioco c’è la posizione geostrategica della’area ed il ruolo geopolitico futuro di essa. In realtà quest’area può diventare una carta strategica vincente e di primaria importanza, sia per la Russia che per la Cina, che potrebbero rientrare in gioco come area di influenza in questa regione, dopo esserne state estromesse, di fatto, nel 1999. Per esempio il progetto del futuro gasdotto South Stream che, se evitasse il pasaggio attraverso la Croazia, da un lato metterebbe in crisi i piani economici del governo croato e dell’UE, e nello stesso tempo sarebbe un rovesciamento politico di tutti i piani strategici nei Balcani, in quanto con questa mossa la Serbia avrebbe da una parte nuovi investimenti e possibilità di sviluppo economico ( di cui ha un bisogno disperato), e dall’altra non sarebbe più uniformata politicamente allo scacchiere occidentale e NATO.

Quasi come una conferma di questa lettura, pochi giorni dopo il “no” alle condizioni imposte nel negoziato da Bruxelles, il Primo Ministro serbo I. Dacic è volato a Mosca con una ampia delegazione per incontri e scambi di “opinione” sulla situazione e discutere di investimenti russi in Serbia. Il Primo Ministro russo Medvedev ed anche il Presidente Putin avevano pubblicamente dichiarato sia prima che dopo la decisione del governo serbo che avrebbero comunque sostenuto ogni decisione di Belgrado.

Il primo ministro della Serbia, Dacic nella sua prima dichiarazione a Mosca ha detto che: “...Senza la Russia abbiamo perso la battaglia e che la Serbia si trova in una situazione difficile, ed il sostegno russo è prezioso, poiché la Russia è il migliore amico del popolo serbo... Vi saluto nel nome del popolo serbo e di tutta la Serbia. Grazie per il vostro sostegno di principio intorno alla lotta per la salvaguardia del nostro territorio, il Kosovo...”, ha detto Dacic. Ha poi sottolineato che "...se la Russia fosse stata questa molto tempo fa ( ndt quattordici anni fa ) non avremmo perso la battaglia..." Ha anche detto che: “... ulteriori passi d’ora in poi sarebbero stati coordinati con Mosca..”.

Il premier serbo ha ringraziato la Russia per i grandi aiuti umanitari al Kosovo e ha aggiunto: “...

Abbiamo bisogno di aiutare la nostra gente in Kosovo per sopravvivere a questo periodo difficile. La proposta per risolvere la questione del Kosovo che ci hanno offerto non era giusta né equa. Dobbiamo pesare ogni mossa per non far diventare il diritto internazionale un giocattolo. Pertanto, abbiamo bisogno di un migliore coordinamento con Mosca...”

Dal canto suo V. Putin ha dichiarato: “...Siamo lieti che i rapporti sono molto buoni. ..Russia e Serbia hanno sempre avuto ottimi rapporti e sono vicini, sia spiritualmente che politicamente. Siamo lieti che l’intesa sia a tutti i livelli e sia molto buona... “. Ribadendo che: “... la Russia è il più grande investitore in Serbia, e abbiamo una grande quantità di progetti interessanti insieme....”. Aggiungendo che dopo il declino dello scorso anno dei rapporti commerciali, ora sono di nuovo in aumento.

Il Primo Ministro D. Medvedev ha dichiarato che: “... la Serbia è stata e continuerà ad essere un partner chiave della Russia, così come l'amicizia tra i due popoli che grandemente influenza le relazioni tra i nostri paesi...”. I due primi ministri hanno convenuto che gli scambi tra i due paesi devono essere aumentati, anche con i grandi progetti economici del settore energetico, e Dacic ha ringraziato la Federazione russa e ha deciso di contribuire a finanziare il costo di costruzione di "South Stream" che dovrebbe ora attraversare la Serbia, abbandonando il precedente percorso attraverso la Croazia . I leader di "Gazprom" e la Serbia hanno raggiunto un accordo, per il progetto in cui l'azienda statale russa investirà 1.700.000.000 di dollari per la costruzione del gasdotto "South Stream" per il tratto serbo.

Nell’accordo è anche stato stabilito il contenimento delle tariffe del gas in futuro, per ripagare i costi di costruzione che saranno sostenuti dalla Serbia, oltre a garantire i servizi di Gazprom per i clienti dell'Europa meridionale, tra cui la Serbia sarà inclusa . I lavori di costruzione sono previsti iniziare nel dicembre 2013. Gazprom ha anche confermato che la sua azienda, non indebiterà lo Stato serbo, essa coprirà i costi del progetto, avendo la Serbia ottenuto un prestito di 500.000.000 di dollari dopo l'incontro con Medvedev. La Serbia secondo l'accordo, fornirà il 30 per cento degli investimenti. La società russa finanzierà la costruzione e la Serbia avrà la sua quota di diritti da riscuotere per il transito del gas attraverso il paese. La Russia ha già accettato di fornire fino a 1,5 miliardi di metri cubi di gas l'anno per la Serbia entro 10 anni. Il gas sarà trasportato attraverso il percorso esistente e in futuro sarà trasportato attraverso il South Stream. Altri aspetti degli accordi stabiliti nella visita a Mosca sono: l’adozione dell’abolizione di tariffe doganali per le esportazioni verso la Russia di automobili, zucchero, formaggio e sigarette. Con la più grande Banca della Russia si è parlato di una linea di credito speciale per le imprese serbe di esportazione in Russia. E’ stato anche firmato un accordo per un prestito russo di mezzo miliardo di dollari per sostenere il bilancio della Serbia, con la prima tranche di 300 milioni da versare subito, l'altra dopo che la Serbia avrà concluso un accordo di stabilizzazione con l'FMI. Il prestito è concesso per 10 anni con un tasso di interesse del 3,5 per cento. Inoltre, altri accordi sono stati firmati nel settore dei trasporti ferroviari e nel settore militare.

Al suo ritorno a Belgrado il premier serbo Ivica Dacic ha detto che: “... c'è una nuova era nelle relazioni tra la Serbia e la Russia, aggiungendo che la Serbia non sarà più sola sulla scena internazionale quando si tratterà di Kosovo e Metohija (Kim)...Sono fiducioso che questo sarà di grande aiuto per contribuire a far capire loro (i leader dei paesi dell'Unione europea e degli Stati Uniti), che abbiamo qualcuno dietro di noi, perché mi sembrava che la Serbia sia stata sola sulla scena internazionale, circondata da paesi che sono, o membri della NATO o si stanno dirigendo verso la NATO e l'Unione europea ", ha detto Dacic alla Radio Televisione della Serbia. "...Il presidente russo Vladimir Putin e il primo ministro Dmitry Medvedev non hanno detto una parola circa l’eventualità che la Serbia dovesse dirigersi verso l'Unione Europea o meno. Continuano a dire che questa è una nostra scelta, ma questo non significa che dobbiamo dimenticare che la Russia è il nostro più grande e primo amico. Questa è la nostra politica ufficiale e questo è come intendiamo noi le relazioni di fiducia.. "ha concluso Dacic.

Ora non resta che aspettare l’evoluzione della situazione e mantenere alta l’informazione circa il Kosovo e la Solidarietà verso la resistenza all’arroganza e violenza delle autorità secessioniste e terroriste.


Aprile 2013 - Enrico Vigna, portavoce Forum Belgrado Italia



=== 2 ===

http://www.subnor.org.rs/prenosimo-3

Антисрпски фашизам


Пише: др Андреј Фајгељ


Ако у Европи постоји фашизам, то је антисрпски фашизам. У 21. веку, Срби су једини Европљани који живе под реалном претњом етнички мотивисаних убистава и чија култура и идентитет су предмет сталне дефамације.

Само у последњих годину дана, повратници на Косово и у Хрватску били су пребијани и убијани, на децу бацане бомбе, а снаге реда су бојевом муницијом пуцале на ненаоружане демонстранте.

Његош, застава, химна, храм Христа Спаса, фреска Бели анђео, реч „Метохија“ и ћирилична слова – чим је нешто српско, било је извиждано, забрањено и запаљено.

Идући даље у прошлост, преко погрома 2004. и ’99, етничког чишћења ’95. и великог повратка ’91, увиђамо да се ради о изворном облику фашизма на овим просторима. У периоду ’41-’45, оно што су нацизам и Аушвиц били за свет, за наш део Европе били су усташтво и Јасеновац. Оба покрета називамо фашистима, не толико по њиховом италијанском савезнику колико по мржњи и насиљу против умишљених непријатеља, у ствари недужих жртава. Зато је сасвим разумљиво што су антифашисти и борци за људска права широм Европе толико посвећени одбрани Срба, њихове културе и права... Стани мало... али уопште није тако!

ЋИРИЛИЦА НА УДАРУ

Напротив, антисрпски фашизам се традиционално игнорише још од завршетка II светског рата. Након 70 година, у прилици смо да упоредимо две стратегије: ћутање о антисрбизму и говорење о антисемитизму. Ћутање је за резултат имало заборав жртава и некажњивост злочинаца, а говорење свест да се злочини не смеју поновити и успешан рад на остварењу тог циља. Понекад помислим, да којим случајем локални фашисти поред заборавних Срба и Рома нису убијали и памтише Јевреје, данас нико не би ни знао за Јасеновац. Ћутање је, уместо да избрише усташке злочине, довело до ратова деведесетих у којима су их све стране опонашале. Довело је, у случају Срба, до мешања починилаца и жртава Холокауста.

Али до највеће патологије ћутање је довело – није тешко претпоставити – код самих жртава. Потиснути антисрпски фашизам је у српском друштву осветнички избио на најнеочекиванијим местима. У првој Србији појавили су се они који су на ужас предака и срамоту потомака поновили део гнусних злочина у име српства. Друга Србија је изнедрила чудовишни спој антисрпског фашизма и српског антифашизма.

Као што су усташе биле у стању да жигошу сваког Србина као непријатеља државе, ови „антифашисти“ су у стању да залепе етикету непријатеља цивилизације – фашисте – сваком ко негује српску културу. Актуелни напади на ћирилицу ујединили су српску левицу и хрватску екстремну десницу. Почело је нападима на Културни центар Новог Сада, чији нови ћирилички знак је представљен као кукасти крст. Наставило се тако што су се напади у Вуковару и Новом Саду подударали, често у дан. Када су поштоваоци Павелића и Готовине заказали велики протест против ћирилице непосредно пред обележавање Новосадске рације, позвао сам српске странке, декларативно антифашистичке, да се суздрже од напада. Није помогло, а ЛСВ је на свом скупу, док су владика и рабин држали помен жртвама, као по команди поновила дефамацију из Вуковара и повезала ћирилицу са силовањем.

ЋУТАЊЕ КАО УЉЕ НА ВАТРУ

Да ли је антисрпски фашизам мање опасан кад долази од Срба? Многи усташки кољачи су пореклом били Срби. Да ли је мање опасан кад долази од антифашиста? Стаљинове чистке су спровођене у име антифашизма. „Антифашисти“ о којима говорим, баш као и фашисти, већ јавно заступају насиље. Тако су у новосадском Скејт парку, једном од ретких места где се деци и младима промовише здрав живот, нацртали велики графит на којем један човек пребија другог палицом.

Ако слушамо учитељицу живота, наша лекција је болно јасна. Ћутање није лек на рану, већ уље на ватру. Оно нас је довело у тако дубоку кризу вредности да ни најосновније, попут људског живота, не важе једнако за све, да се и најјасније границе бришу, попут оне између фашизма и антифашизма. Пошто није осуђен ни кажњен, већ успешан у остваривању својих циљева, антисрпски фашизам је постао прихватљив. И то не само међу потомцима злочинаца, већ и у светској јавности, и што је најстрашније, међу потомцима жртава. Ревизионисти пишу нову историју и стварају нову културу, у којој је „за дом спремни“ прихватљив поздрав, а српска три прста су геноцидна. У којој су концерти извођача песме „Јасеновац и Градишка стара“ родољубиви, а „Марш на Дрину“ је фашистички. Најновији тренд на савременој друштвеној мрежи Твитер, „Мрзим Србију и њен народ“, обећава да нас након насилне прошлости чека забрињавајућа будућност.

Можда се питамо зашто свет ћути? Очи света су упрте у нас. Многи савезници су спремни да нас подрже, али нико није спреман да бије наше битке уместо нас. Ми морамо први осудити антисрпски фашизам, не обазирући се на лажне заставе, лоше навике и друге изговоре. Ако нисмо у стању да осудимо најгрубљи фашизам чије смо директне жртве, како ћемо осудити било који фашизам? Или, јеванђелским језиком: „Лицемере! Извади најпре брвно из ока свог, па ћеш онда видети извадити трун из ока брата свог.“ (Мт. 7:5).

Аутор је директор Културног центра Новог Сада




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(italiano / srpskohrvatski.
Sullo stesso argomento si vedano anche i nostri altri post precedenti:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7644
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7641 )

Podrška DNR Koreji

1) Articoli sulla RPD di Corea al sito CIVG
2) Podrška DNR Koreji, nuklearni rat nameću SAD (NKPJ)
3) Cosa c’è dietro il conflitto tra Stati Uniti e Corea del Nord? (di Jack A. Smith)


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http://www.civg.it/index.php?option=com_content&view=article&id=147:korea-notizie-aprile-2013&catid=2&Itemid=101

KOREA NOTIZIE

Aprile 2013

- La Corea è Una -

a cura del Comitato per la Pace e la Riunificazione della Corea di Torino e CIVG



SOMMARIO


§  Dichiarazione del portavoce del CPRK  ( Comitato per la Riunificazione Pacifica della Corea )

§  La stampa occidentale ha dichiarato guerra alla Korea del Sud, ma non la Korea del Nord

§  Incontro di preghiera speciale per la Pasqua a Pyongyang

§  Corea del Sud: Coalizione Azione per la Pace

§  Le relazioni Nord-Sud sono state messe in stato di guerra: dichiarazione speciale della Repubblica Democratica Popolare di Corea

§  Dichiarazione del Presidente del Comitato Centrale del Partito Socialdemocratico di Corea

§  Il quotidiano coreano Rodong Sinmun invita tutti i coreani a sollevarsi nella Guerra Patriottica per la Riunificazione


VAI AL SITO:
http://www.civg.it/index.php?option=com_content&view=article&id=147:korea-notizie-aprile-2013&catid=2&Itemid=101


=== 2 ===

http://www.nkpj.org.rs/clanci-la/clanak_id=24-la.php

Podrška DNR Koreji, nuklearni rat nameću SAD


Nova komunistička partija Jugoslavije (NKPJ) najoštrije osuđuje agresivno ponašanje Sjedinjenih Američkih Država i njenog satelita Južne Koreje kao i poteze koje povlači Japan a koji su preteći prema miroljubivoj Demokratskoj Narodnoj Republici Koreji i nameću joj nuklearni rat.



Potpuno je licemerno izveštavanje svetskih i srpskih buržoaskih medija koji za eskalaciju krize optužuju DNR Koreju bestidno ignorišući činjenicu da su svi potezi rukovodstva i vojske te zemlje samo reakcija na stalne manevre američkih i južnokorejskih trupa, dolazak u područje Korejskog poluostrva američkih nuklearnih aviona i brodova kao i na razmeštanje raketnog naoružanja Japana pod firmom "samoodbrane" a u stvari poteza urađenog u dogovoru sa imperijalističkim SAD da bi se dodatno zapretilo slobodoljubivom narodu DNR Koreje. Takođe potpuno su besmislene optužbe da je DNR Koreja opasnost za region i svet. Činjenice su sasvim drugačije, a one govore da jedinu pretnju predstavljaju interesi zapadnog imperijalizma predvođenog SAD i njene militarizovane marionete Južne Koreje a koji za cilj imaju uništenje DNR Koreje i rušenje socijalizma u toj zemlji.

SAD iz godine u godinu provociraju DNR Koreju koja je stoga primorana da značajni deo sredstava ulaže u izgradnju snažne obrane kako bi se mogla efikasno nositi s tim agresivnim pretnjama. Lenjin je govorio da revolucija vredi onoliko koliko je sposobna da se brani. U uslovima stalnih pretnji zapadnih imperijalista i južnokorejskih marioneta DNR Koreja je da bi zaštitila svoj suverenitet i svoje interese primorana da decenijama razvija vojnu snagu, uključujući tu i nuklearno oružje. S obzirom da su imperijalisti ti koji su još u vreme postojanja SSSR i socijalističkog bloka u Istočnoj Evropi nametnuli trku u nuklearnom naoružanju, opredeljenje DNR Koreje za razvoj nuklearnog oružja isključivo u svrhe odbrane svoje zemlje je pravilan potez i jedini jezik koji imperijalisti razumeju. NKPJ upozorava američke imperijaliste da prestanu sa daljim provokacijama jer ako se izazove sukob na Korejskom poluostrvu on bi sasvim sigurno dobio nuklearne konotacije što nije u bilo čijem interesu a isključivi krivac za takav razvoj situacije biće administracija u Vašingtonu predvođena predsednikom Barakom Obamom.

NKPJ daje punu podršku DNR Koreji i njenom rukovodstvu na čeli sa drugom Kim Džong Unom i u slučaju daljih pritisaka zapadnog imperijalizma organizovaće u Srbiji akcije solidarnosti sa tom socijalističkom zemljom, odnosno akcije protesta protiv ponašanja SAD i njegovog satelita Južne Koreje.

Imperijalisti dalje ruke od DNR Koreje!

Živela Radnička partija Koreje!

Živeo proleterski internacionalizam!


Sekratarijat Nove komunističke partije Jugoslavije

Beograd,

11. april 2013. godine


=== 3 ===

http://ciptagarelli.jimdo.com/2013/04/08/conflitto-usa-corea-del-nord/

I pericoli della guerra

Cosa c’è dietro il conflitto tra Stati Uniti e Corea del Nord?

di Jack A. Smith; da: rebelion.org (fonte: GlobalResearch); 7.4.2013

 


Cosa sta succedendo tra Stati Uniti e Corea del Nord, che questa settimana ha prodotto titoli come “Aumentano le tensioni in Corea” e “La Corea del Nord minaccia gli Stati Uniti”?
Il 30 marzo The New York Times informava: “Questa settimana il giovane dirigente della Corea del Nord, Kim Jung-un, ha ordinato ai suoi subordinati di prepararsi per un attacco con missili agli Stati Uniti. Si è mostrato in un centro di comando di fronte ad una mappa appesa al muro con il baldanzoso e improbabile titolo ‘Piani per attaccare il territorio degli Stati Uniti’. Alcuni giorni prima i suoi generali si sono vantati di aver sviluppato un’ogiva nucleare “stile coreano” che potrebbe essere utilizzata da un missile a largo raggio”.

 

Gli Stati Uniti sanno bene che le dichiarazioni della Corea del Nord non sono suffragate da un potere militare sufficiente a materializzare le sue minacce retoriche, ma la tensione sembra aumentare in tutti i modi. Che sta succedendo?
Devo tornare un poco indietro nel tempo per spiegare la situazione. 



Dalla fine della Guerra di Corea, 60 anni fa, il governo della Repubblica Popolare di Democratica della Corea del Nord (RPDCN o Corea del Nord) ha fatto ripetutamente sempre le stesse quattro proposte agli Stati Uniti:
1. Un trattato di pace per mettere fine alla Guerra di Corea;
2. La riunificazione della Corea “temporaneamente” divisa in Nord e Sud dal 1945;
3. Fine dell’occupazione statunitense della Corea del Sud e sospensione delle simulazioni di combattimento annuali della durata di un mese tra Stati Uniti e Corea del Nord;
4. Negoziati bilaterali tra Washington e Pyogyang per mettere fine alle tensioni nella penisola di Corea.

 

Nel corso degli anni gli Stati Uniti ed il loro protettorato sudcoreano hanno ogni volta rifiutato ognuna delle proposte. Di conseguenza la penisola è rimasta estremamente instaabile durante il decennio 1950.
Ora si è giunti al punto che Washington ha utilizzato le sue simulazioni di guerra annuali, che sono cominciati all’inizio di marzo, per organizzare una simulazione di attacco nucleare alla Corea del Nord, facendo alzare in volo due bombardieri B-2 Stealth con capacità nucleare sulla regione il 28 marzo. Tre giorni dopo la casa Bianca ha inviato nella Corea del Sud aerei da combattimenti “invisivili” F-22 Raptor, col che la tensione si è alzata ancor di più.

 

Vediamo cosa c’è dietro queste quattro proposte:

 

1. Gli Stati Uniti non vogliono firmare un trattato di pace per mettere fine alla Guerra di Corea. Hanno accettato solo un armistizio, che è una cessazione temporale del combattimento per accordo mutuo. Si riteneva che l’armistizio firmato il 27 luglio 1953 si sarebbe trasformato in trattato di pace nel momento in cui “si fosse raggiunto un accordo pacifico finale”. La mancanza di un trattato significa che la guerra può ricominciare in qualsiasi momento, La Corea del Nord non vuole una guerra con gli Stati Uniti, lo Stato con maggiore potere militare della storia. Vuole un trattato di pace.
2. Le due Coree esistono in conseguenza di un accordo tra l’Unione Sovietica (che divide una frontiera con la Corea e che durante la II° Guerra Mondiale aiutò la parte nord del paese a liberarsi dal Giappone) e gli Stati Uniti, che occuparono la parte sud. Nonostante che il socialismo prevalesse a nord ed il capitalismo al sud, la divisione non doveva essere permanente. Le due grandi potenze avrebbero dovuto ritirarsi nel giro di due anni e permettere che il paese si riunificasse. La Russia lo fece, gli Stati Uniti no. Arrivò allora la devastante guerra dei tre anni nel 1950. Da quella data la Corea del Nord ha fatto varie e diverse proposte per mettere fine ad una divisione che dura dal 1945. Credo che la più recente sia “un paese, due sistemi”. Ciò significa che, anche se le due parti si riunissero, il sud continuerebbe ad essere capitalista ed il nord socialista. Sarebbe difficile, ma non impossibile. Washington non lo vuole. Cerca di impadronirsi di tutta la penisola per portare il suo “ombrello” militare direttamente alla frontiera con la Cina, e anche con la Russia.
3. Dalla fine della guerra Washington ha mantenuto tra i 25.000 e i 40.000 soldati nella Corea del Sud. Insieme alle flotte, alle basi dei bombardieri nucleari e alle installazioni di truppe statunitensi molto vicine alla penisola, questi soldati continuano ad essere un memento di due cose. Una è che “possiamo schiacciare il nord” e l’altra è “La Corea del Sud ci appartiene”. Pyongyang la vede in questo modo (e molto di più da quando il presidente Obama ha deciso di puntare sull’Asia). Anche se questa svolta ha aspetti economici e commerciali, il suo proposito principale è aumentare il già considerevole potere militare nella regione per intensificare le minacce a Cina e Corea del Nord.
4. la Guerra di Corea fu sostanzialmente un conflitto tra la Repubblica Popolare Democratica della Corea del Nord e gli Stati Uniti. Cioè, per quanto altri paesi delle Nazioni Unite partecipassero alla guerra, gli Stati Uniti si fecero carico di essa, dominarono la lotta contro la Corea del Nord e furono responsabili della morte di milioni di coreani a nord della linea divisoria del 38° parallelo. E’ del tutto logico che Pyongyang cerchi di negoziare direttamente con Washington per risolvere le divergenze e raggiungere un accordo pacifico che porti ad un trattato. Gli Stati Uniti hanno sistematicamente rifiutato.

 

Questi quattro punti non sono nuovi. Furono fissati nel decennio 1950.

 

Nel 1970 visitai in tre occasioni la Repubblica Popolare Democratica della Corea del Nord, per un totale di otto settimane, come inviato del giornale statunitense The Guardian. Tutte le volte, durante i colloqui con i dirigenti, mi veniva fatta la richiesta di un trattato di pace, della ritirata delle truppe statunitensi del Sud e di negoziati diretti. Oggi la situazione è la stessa. Gli Stati Uniti non hanno ceduto di un pollice.

 

Perché no? Washington vuole liberarsi del regime comunista prima di permettere che la pace prevalga nella penisola. Altro che “uno Stato, due sistemi”! Vuole uno Stato che prometta lealtà … indovinate a chi?

 

Nel frattempo l’esistenza di una “bellicosa” Corea del Nord giustifica che Washington accerchi il sud con un autentico anello di potenza di fuoco nel nord-est del Pacifico sufficientemente vicino per bruciare la Cina, anche se non del tutto. Una “pericolosa” Repubblica Popolare Democratica della Corea del Nord è utile anche per mantenere il Giappone all’interno dell’orbita statunitense ed è anche un’altra scusa perché il precedentemente pacifico Giappone si vanti del suo già formidabile arsenale.

 

Riguardo a questo voglio citare un articolo di Christine Hong e di Hyung Le pubblicato il 15 febbraio in Foreign Policy in Focus:
Definire la Corea del Nord come la principale minaccia per la sicurezza della regione nasconde la natura falsa della politica del presidente statunitense Barak Obama nella regione, in concreto l’identità di quello che i suoi consiglieri chiamano ‘pazienza strategica’ da una parte e, dall’altra, l’atteggiamento militare e l’alleanza con i falchi regionali che è stata raggiunta. Esaminare la politica aggressiva di Obama rispetto alla Corea del Nord e le sue conseguenze è fondamentale per capire perché le dimostrazioni di potenza militare (della politica attraverso altri mezzi, con la parole di Karl von Klausevitz) sono le uniche vie di comunicazione che la Corea del Nord sembra avere con gli Stati Uniti in questo periodo”.

 

Riporto qui un’altra citazione di Brian Becker, della coalizione ANSWER:
Il Pentagono e l’esercito della Corea del Sud oggi (e nel corso dell’anno passato) hanno organizzato grandi simulazioni di guerra che riproducono l’invasione e il bombardamento della Corea del Nord. Pochi, negli Stati Uniti, conoscono la vera situazione. Il lavoro della macchina propagandistica di guerra è fatto per assicurarsi che il popolo statunitense non si unisca per esigere che cessino le pericolose e minacciose azioni del Pentagono nella Penisola di CoreaLa campagna di propaganda è ora in pieno svolgimento mentre il Pentagono sale la scala dell’intensificazione nella parte più militarizzata del pianeta.
La Corea del Nord è considerata il provocatore e l’aggressore ogni volta che afferma di aver diritto a difendere il proprio paese e di avere la capacità di farlo. Anche quando il Pentagono simula la distruzione nucleare di un paese che ha già tentato di bombardare fino a ridurlo all’Età della pietra, i mezzi di comunicazione di proprietà delle corporations caratterizzano quest’atto estremamente provocatorio come segno di determinazione e un mezzo difensivo.”.

 

Altra citazione di Stratfor, un servizio di intelligence privato che di solito se ne intende:
Gran parte del comportamento della Corea del Nord si può considerare retorico anche se, tuttavia, non è chiaro fino a dove vuole arrivare Pyongyang se continua a non poter forzare i negoziati attraverso la belligeranza”.
Qui si dà per scontato l’obiettivo di iniziare i negoziati.

 

La “bellicosità” di Pyongyang è quasi interamente verbale (forse vari decibels troppo alta per le nostre orecchie), ma la Corea del Nord è un piccolo paese in difficili circostanze che ben ricordano la straordinaria brutalità che Washington ha inflitto al territorio nel decennio del 1950. Milioni di coreani morirono. I “bombardamenti di saturazione” statunitensi furono criminali. La Corea del Nord è decisa a morire lottando se questo succederà nuovamente, ma spera che la sua preparazione (militare) impedisca la guerra e porti a negoziati e ad un trattato di pace.
Il suo grande e ben addestrato esercito è difensivo. Il fine dei missili che sta costruendo e del parlare di armi nucleari è, fondamentalmente, quello di spaventare il lupo che ha sulla porta di casa.

 

A breve termine, la retorica bruciante di Kim Jong-un è la risposta diretta alla simulazione di guerra di durata mensile di quest’anno da parte di Stati Uniti e Corea del Sud, che egli interpreta come un possibile preludio di un’altra guerra. Il proposito di Kim a lungo termine è creare una crisi sufficientemente inquietante perché gli Stati Uniti pervengano finalmente a negoziati bilaterali, e possibilmente ad un trattato di pace e all’uscita delle truppe straniere. Più avanti si potrà pensare ad una qualche forma di riunificazione, in negoziati tra ilo nord ed il sud.

 

Sospetto che l’attuale confronto si calmerà una volta che le simulazioni di guerra finiranno. Il governo Obama non ha intenzione di creare le condizioni per un trattato di pace, specialmente ora che l’attenzione della Casa Bianca sembra assorta nell’Est dell’Asia, dove percepisce un possibile pericolo per la sua supremazia geopolitica.

 

(*) Direttore di Activist Newsletter
 
(traduzione di Daniela Trollio
Centro di Iniziativa proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)




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A lire aussi les autres articles dans Horizons et débats (Zurich)
N°13, 1 avril 2013 ( http://www.horizons-et-debats.ch/index.php?id=3885 ):

«L’agression de l’OTAN contre la Yougoslavie en 1999 était un modèle des nouvelles guerres de conquête»
«Interventions humanitaires» – prétexte pour le stationnement de troupes américaines | Interview de Živadin Jovanovic, ancien ministre des Affaires étrangères de la République fédérale de Yougoslavie
http://www.horizons-et-debats.ch/index.php?id=3886

L’agression de l’OTAN contre la République fédérale de Yougoslavie de 1999
par Milica Radojkovic-Hänsel
http://www.horizons-et-debats.ch/index.php?id=3887

Dix ans déjà!
Extrait des actes du Congrès intitulé «Nato Aggression. The Twilight of the West»
http://www.horizons-et-debats.ch/index.php?id=3888

Les peuples qui n’ont pas d’histoire n’ont pas d’avenir
par Pierre-Henri Bunel, commandant, France
http://www.horizons-et-debats.ch/index.php?id=3889

Ne jamais oublier
Document final de la Conférence internationale de Belgrade | organisée les 23 et 24 mars 2009 à Belgrade
http://www.horizons-et-debats.ch/index.php?id=3890

AUF DEUTSCH: http://www.zeit-fragen.ch/index.php?id=1402
IN ENGLISH: http://www.currentconcerns.ch/index.php?id=2311


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http://www.horizons-et-debats.ch/index.php?id=3887

http://www.voltairenet.org/article178064.html

« LA PUISSANCE DOIT PRIMER SUR LE DROIT »

L’agression de l’OTAN contre la République fédérale de Yougoslavie de 1999


par Milica Radojkovic-Hänsel

La Serbie a t-elle été attaquée, en 1999 ? Pour répondre à la question, Milica Radojkovic-Hänsel convoque les documents d’époque (incluant la lettre de Willy Wimmer au chancelier Gerhard Shröder). Il met en évidence le caractère inadmissible des demandes de Rambouillet pour justifier une guerre déjà lancée.

RÉSEAU VOLTAIRE  | 11 AVRIL 2013

Il y a 14 ans – après les négociations de Rambouillet et Paris entre le 6 et le 23 février 1999 – les médias globaux avaient informé au public que « la délégation serbe n’a pas accepté l’accord offert et qu’elle l’a qualifié de ‘nul et non avenu’ ».
Les médias insinuaient, que le soi-disant Groupe de contact pour la Yougoslavie soutenait prétendument cet accord. Cette commission était composée de 4 pays membres de l’OTAN plus la Russie. Mais la Russie refusait d’approuver la partie militaire (annexe B) de cet accord – un fait qui à été caché par les informations des médias.
Qu’est-ce qui c’est réellement passé à Rambouillet et Paris et quels étaient les termes exacts de l’« annexe B » ?
Madeleine Albright, la secrétaire d’Etat états-unienne de l’époque, a prétendu que « la partie militaire de l’accord était pratiquement le noyau de l’accord offert à Rambouillet », lequel était inacceptable pour la délégation de la République fédérale de Yougoslavie.
Živadin Jovanovic, le ministre des Affaires étrangères yougoslave d’alors, a déclaré dans son interview avec le quotidien de Belgrade Politika, le 6 février 2013, qu’« à Rambouillet, il n’y a eu ni tentative d’atteindre un accord, ni de négociation, ni un accord ». La délégation yougoslave avait été invitée à Rambouillet afin de participer aux négociations avec la délégation albanaise du Kosovo.
Il semble exact qu’il n’y a effectivement pas eu de négociation. Cette conclusion peut être tirée des diverses prises de position de quelques représentants occidentaux, entre autres celles du président d’alors de l’Organisation pour la sécurité et la coopération en Europe (OSCE) et du ministre des Affaires étrangères norvégien.
L’information partisane de la presse occidentale et les affirmations partiales des politiciens occidentaux concernant « l’échec des négociations suite au refus du document politique demandant une large autonomie du Kosovo » par les représentants yougoslaves, visaient à préparer l’opinion publique à une agression militaire l’OTAN, agression qui était déjà planifiée pour octobre 1998 mais qui fut, pour des raisons évidentes, reportée au 24 mars 1999.
La seule chose vraie est que la délégation yougoslave avait prié à plusieurs fois de pouvoir négocier – ce qui ressort des messages écrits transmis aux négociateurs lors des pourparlers – des négociations directes entre les délégations yougoslave et kosovare.
Les documents officiels prouvent ce fait. Christopher Hill, le représentant des Etats-Unis à ces négociations, a prétendu dans sa réponse à de telles demandes que la délégation du Kosovo « ne voulait pas de négociations directes ». « Ainsi, il était clair pour nous tous que le dialogue directe ne convenait pas aux Américains et que c’était la véritable raison pour laquelle le contact direct n’a pas eu lieu », a déclaré Jovanovic. Et d’ajouter : « Il n’est point croyable que dans une situation, dans laquelle les Américains auraient vraiment voulu des négociations directes, la délégation du Kosovo n’aurait pas accepté cette demande. »
Les médias du monde et les représentant occidentaux ont sciemment mal interprété le refus prétendu de la Yougoslavie, de « l’établissement de troupes pour le maintien de la paix au Kosovo (et Métochie) ». La vérité par contre est que la délégation yougoslave avait accepté les parties politiques du projet d’accord de Rambouillet, mais pas son « annexe B » avec les points 2, 5 et 7, qui proposaient et demandaient l’occupation militaire de tout le territoire de la République fédérale de Yougoslavie d’antan (c’est-à-dire la Serbie avec deux provinces autonomes et le Monténégro). C’est pour cela que l’opinion publique du monde entier a été objet d’une manipulation médiatique, disant que les Serbes « refusaient des troupes de maintien de la paix au Kosovo (et Métochie) ».
Mais que sont les « forces de maintien de la paix » dans la pratique internationale et dans le droit international ? Dans la pratique internationale ce sont des troupes administrées par les Nations Unies (les Casques bleus) ; se sont des troupes, que les pays membres de l’ONU mettent à disposition. Ce ne sont pas des troupes de l’OTAN.
Afin de comprendre, ce qui a poussé la République fédérale de Yougoslavie à refuser la partie militaire du document présenté à Rambouillet, il est nécessaire de lire ses dispositions :
« (I) Les personnels de l’OTAN bénéficieront, tout comme leurs véhicules, navires, avions et équipement, d’un passage libre et sans restriction et d’un accès sans ambages dans toute la RFY, y compris l’espace aérien, les eaux territoriales associées et toutes les installations ;
(II) Les personnels de l’OTAN, en toutes circonstances et à tout moment, seront dispensés des juridictions des Parties, concernant toute agression civile, administrative, criminelle ou disciplinaire qu’ils sont susceptibles de commettre en RFY ;
(III) Les personnels militaires de l’OTAN devront normalement porter un uniforme, ils pourront posséder et porter une arme ;
(IV) Les Parties pourront, sur simple demande, accorder tous les services de télécommunication, y compris les services de diffusion, nécessaires à l’Opération, tels que définis par l’OTAN. Ceci comprendra le droit d’utiliser les moyens et services nécessaires pour assurer une capacité totale de communiquer et le droit d’utiliser tout le spectre électromagnétique à cette fin, gratuitement ;
(V) l’OTAN est autorisée à détenir des individus et, aussi vite que possible, à les remettre aux autorités concernées. »
Les médias du monde, surtout ceux des Etats membres de l’OTAN et les représentants d’alors des Etats-Unis et d’Europe, ont caché le contenu du document militaire, en reprochant aux dirigeants serbes et au président yougoslave « un manque de coopération dans les efforts, de trouver une solution pacifique ». Tout comme Rambouillet, « la Conférence de Paris n’était pas une réunion, dans laquelle on aurait pu voir un ‘effort’ sérieux pour arriver à une entente, des négociations ou un accord ». L’envoyé des Etats-Unis, Christopher Hill, exigea de la délégation yougoslave uniquement de signer le texte qu’il avait élaboré et mis sur table – selon le principe Take it or leave it, à expliqué l’ancien ministre Živadin Jovanovic.
Outre les nombreuses condamnations du projet d’accord exprimées par des experts en droit international, l’appréciation du document par l’ex secrétaire d’Etat US Henry Kissinger a fait l’objet d’une attention spéciale dans une interview accordée le 27 juin 1999 au Daily Telegraphde Londres. Il y avait alors déclaré :
« Le texte du projet de l’accord de Rambouillet, qui exigeait le stationnement de troupes de l’OTAN dans toute la Yougoslavie, était une provocation. Il a servi de prétexte pour commencer les bombardements. Le document de Rambouillet était formulé de telle manière qu’aucun Serbe ne pouvait l’accepter. »
Ces mots indiquent, entre autres, que l’agression de 1999 contre la République fédérale de Yougoslavie était présentée dans les médias occidentaux comme un épilogue, qui se retrouvait dans le lancement de la nouvelle stratégie interventionniste de l’OTAN sous la conduite des Etats-Unis. Cette stratégie a été officiellement introduite lors de la rencontre de l’OTAN qui s’est tenue le 25 avril 1999 à Washington, c’est-à-dire au moment même où l’agression contre la République fédérale de Yougoslavie avait lieu.
Avec l’agression contre la République fédérale de Yougoslavie, l’OTAN a muté d’une alliance défensive en une alliance agressive, qui s’arroge le droit d’intervenir partout dans le monde en tant que puissance militaire.
En outre, l’estimation des dirigeants yougoslaves en ce qui concerne la politique officielle du pays était juste, quand ils disaient qu’un des buts de cette agression était de créer un préjudice pour des actions militaires sans mandat de l’ONU et en violation de la charte de l’ONU dans le monde entier.
Cet avis a été confirmé lors de la conférence de pays membres de l’OTAN et des candidats à l’adhésion, qui a eu lieu en avril 2000 à Bratislava. La conférence avait été organisée par le Département d’Etat US et l’American Enterprise Institute du Parti républicain, seulement quelques mois après l’agression contre la République fédérale de Yougoslavie. Parmi les participants il y avait de très hauts fonctionnaires (des représentants gouvernementaux ainsi que des ministres des Affaires étrangères et de la Défense) des pays membres de l’OTAN et des candidats à l’adhésion.
Les sujets principaux à cette conférence étaient les Balkans et l’élargissement de l’OTAN. Dans son résumé écrit de la conférence du 2 mai 2000, résumé qu’il avait fait parvenir au chancelier allemand Gerhard Schröder, Willy Wimmer, alors membre du Bundestag et vice-président de l’Assemblée parlementaire de l’OSCE déclarait que, selon les Etats-Unis, l’attaque de l’OTAN contre la République fédérale de Yougoslavie constituait un précédent qui pourra être utilisé, à chaque fois qu’on en aura besoin. C’est qu’il signale dans la phrase : « bien sûr tel un précédent auquel chacun pourra se référer et le fera ».
Wimmer y expliquait une des conclusions décisives. Il s’agit d’une confirmation, rétroactive, que le véritable but des négociations de Rambouillet n’était pas de rendre possible de quelconques négociations directes entre les parties concernées (Serbes et Albanais) ou de trouver une quelconque solution politique, mais plutôt de créer un prétexte pour une agression, ce que Henry Kissinger avait déjà clairement signalé en 1999 (« Il a servi de prétexte pour le début des bombardements. »).
Dans son message écrit, Willy Wimmer fait remarquer ensuite que [selon l’organisateur lui-même] « la guerre contre la République fédérale de Yougoslavie a été menée pour corriger une décision erronée du général Eisenhower datant de la Seconde Guerre mondiale ». En conséquence, il fallait que des troupes US y soient stationnées, pour des raisons stratégiques, ce qui n’a pas été fait en 1945. Avec la construction de la base militaire Camp Bondsteel au Kosovo – la plus grande d’Europe – les Etats-Unis ont mis en pratique leur position exprimée lors de la Conférence de Bratislava, en prétendant que « pour des raisons stratégiques, il fallait stationner des soldats américains dans cette région ».
Dans sa lettre, Wimmer affirme aussi (point 1) : « Les organisateurs demandèrent de procéder aussi rapidement que possible au sein des alliés à la reconnaissance d’un Kosovo indépendant au niveau du droit international », pendant que « la Serbie (en tant qu’Etat successeur de la Yougoslavie) doit durablement rester en marge du développement européen », (selon Wimmer afin d’assurer la présence militaire US dans les Balkans).
En outre, Willy Wimmer revendique :
« La constatation du fait que l’OTAN avait agi contre toutes les règles internationales et avant tout contre les clauses impératives du droit international en attaquant la République fédérale de Yougoslavie, ne rencontra aucune opposition ». (Point 11)
Dans son texte, il est également écrit :
« La partie américaine semble vouloir, dans le contexte global et afin d’imposer ses buts, consciemment et volontairement faire sauter l’ordre juridique international résultant de deux guerres au dernier siècle »
Ce qui veut dire que le droit international est considéré comme un obstacle à l’élargissement prévu de l’OTAN.
Et Wimmer de terminer : « La puissance doit primer sur le droit. »

Texte intégral de la lettre adressée, le 2 mai 2000, au Chancelier de la République fédérale d’Allemagne, Gerhard Schöder, par Willy Wimmer, alors vice-président de l’Assemblée parlementaire de la OSCE

Lettre à Monsieur Gerhard Schröder, député au Bundestag 
Chancelier de la République fédérale allemande 
Chancellerie fédérale 
Schlossplatz 1, 1017 Berlin
Berlin, le 2 mai 2000
Monsieur le Chancelier,
A la fin de la semaine passée, j’ai eu l’occasion de participer à Bratislava, la capitale de la Slovaquie, à une conférence organisée conjointement par le Département d’Etat des Etats-Unis et l’American Enterprise Institute (l’Institut des Affaires étrangères du Parti républicain) ayant pour thèmes principaux les Balkans et l’extension de l’OTAN.
Des auditeurs de haut rang assistaient à la manifestation, ce dont témoignait la présence de nombreux Premiers ministres ainsi que de ministres des Affaires étrangères et de la Défense de la région. Parmi les nombreux points importants qui ont pu être traités dans le cadre du thème susmentionné, quelques-uns méritent particulièrement d’être cités :
  1. Les organisateurs demandèrent la reconnaissance par les alliés, aussi rapidement que possible, en droit international public, de l’Etat indépendant du Kosovo. [1]
  2. Les organisateurs déclarèrent que la République fédérale de Yougoslavie se situe en dehors de tout ordre juridique, avant tout de l’Acte final d’Helsinki. [2]
  3. L’ordre juridique européen s’oppose à la réalisation des idées de l’OTAN. L’ordre juridique américain peut plus facilement être appliqué en Europe.
  4. La guerre contre la République fédérale de Yougoslavie a été menée pour corriger une décision erronée du général Eisenhower durant la Seconde Guerre mondiale. Pour des raisons stratégiques, il fallait stationner des soldats américains dans cette région. [3]
  5. Les alliés européens ont participé à la guerre contre la Yougoslavie pour vaincre de facto le dilemme résultant du « nouveau concept stratégique » de l’Alliance, adopté en avril 1999, et du penchant des Européens en faveur d’un mandat préalable des Nations Unies ou de l’OSCE.
  6. En dépit de l’interprétation légaliste subséquente des Européens, selon laquelle il s’est agi, dans cette guerre contre la Yougoslavie, d’une tâche dépassant le champ d’action conventionnel de l’OTAN, nous sommes en présence d’un cas d’exception. C’est évidemment un précédent qui peut être invoqué en tout temps et par tout un chacun, et cela se produira aussi dans le futur. [4]
  7. Dans le cadre de l’élargissement de l’OTAN prévu à brève échéance, il s’agit de rétablir, entre la mer Baltique et l’Anatolie, la situation géopolitique telle qu’elle était à l’apogée de l’expansion romaine. [5]
  8. Pour réaliser cela, la Pologne doit être entourée au nord et au sud par des Etats voisins démocratiques, la Roumanie et la Bulgarie doivent être reliées à la Turquie par une liaison routière sûre et la Serbie (probablement pour assurer la présence militaire américaine) doit durablement rester en marge du développement européen.
  9. Au nord de la Pologne, il s’agit de maintenir un contrôle total de l’accès de Saint-Pétersbourg à la mer Baltique. [6]
  10. Dans chaque processus, la priorité doit revenir au droit à l’autodétermination, avant toutes autres dispositions et règles du droit international public. [7]
  11. La constatation que l’OTAN avait agi contre toutes les règles internationales et avant tout contre les clauses impératives du droit international en attaquant la République fédérale de Yougoslavie, ne rencontra aucune opposition. [8]
Vu les participants et les organisateurs, on ne peut s’empêcher, à l’issue de cette manifestation qui s’est déroulée en toute franchise, de procéder à une évaluation des déclarations faites à cette conférence.
La partie américaine semble vouloir, dans le contexte global et afin d’imposer ses buts, consciemment et volontairement faire sauter l’ordre juridique international résultant de deux guerres au dernier siècle. La puissance doit primer sur le droit. Là où le droit international fait obstacle, on l’élimine.
Lorsqu’un développement semblable frappa la Société des Nations, la Seconde Guerre mondiale pointait à l’horizon. On ne peut qu’appeler totalitaire une réflexion qui considère ses propres intérêts de façon aussi absolue.
Veuillez agréer, Monsieur le Chancelier, l’expression de mes sentiments distingués.
Willy Wimmer 
Membre du Bundestag 
Président du groupement régional de la CDU du Bas-Rhin, 
Vice-président de l’Assemblée parlementaire de l’OSCE


Le présent article a été rédigé sur la base de l’article d’Andreas Bracher « Was will die westliche Balkanpolitik ? » et des remarques d’Andreas Bracher, parus in Der Europäer Jg. 6, Nr. 1, Nov. 2001.

Les notes de bas de page sont d’Andreas Bracher.

Traduction : Horizons et débats

[1] Jusqu’à présent, le Kosovo teste formellement une province de la Serbie, qui est elle-même une République faisant partie de la Yougoslavie. Le maintien de ce statut avait été une condition préalable à la fin de la guerre dite du Kosovo de juin 1999. Officiellement, le maintien de ce statut fait jusqu’à aujourd’hui partie du programme de l’Occident.

[2] L’Acte final d’Helsinki : l’ordre dit de la CSCE, qui en avait établi en 1975 les bases pour une vie communautaire des Etats en Europe. Parmi ces bases figurait, entre autres, l’inviolabilité des frontières.

[3] Cela semble se rapporter à l’invasion des Alliés durant la Seconde Guerre mondiale. Churchill avait demandé entre autres une invasion alliée dans les Balkans. Au lieu de cela, Eisenhower ordonna, en tant que Chef suprême des forces alliées, un débarquement en Sicile (1943) et en France (1944). Par conséquent, il n’y a pas eu de forces d’occupation occidentales dans les Balkans.

[4] L’OTAN a mené la guerre du Kosovo de 1999 sans mandat de l’ONU. Un pareil mandat aurait correspondu aux desiderata des gouvernements européens, mais pas à ceux du gouvernement des Etats-Unis. Celui-ci aimerait agir de façon aussi autoritaire que possible et sans restrictions internationales. Ce qu’on entend manifestement sous points 5 et 6, c’est que dans cette guerre, 
a) les Etats européens ont surmonté leurs engagements envers leurs opinions publiques par rapport au mandat de l’ONU et 
b) que cela a créé un précédent pour des engagements futurs sans mandat de l’ONU.

[5] L’Empire romain n’a jamais atteint la mer Baltique. Pour autant que Wimmer ait rendu correctement les déclarations, on entend apparemment d’une part l’empire romain, d’autre part l’Eglise de Rome.

[6] Cela signifie donc qu’il faut couper la Russie de son accès à la mer Baltique et l’écarter ainsi de l’Europe.

[7] L’accent mis sur le droit à l’autodétermination montre à nouveau le wilsonianisme des Etats-Unis – d’après l’ancien président US Woodrow Wilson – qui était, selon Rudolf Steiner, un adversaire essentiel lors de la fondation de la triarticulation sociale. Steiner considérait que c’était un programme de « la destruction de la vie communautaire des peuples européens ». Celle-ci permet le démantèlement de presque tous les Etats européens par la mise en exergue des « problèmes de minorités ».

[8] Il semble que ce sont là des réactions à des remarques de Wimmer. Les participants à la conférence étaient parfaitement conscients de ces atteintes aux clauses du droit international public, mais elles leur étaient indifférentes.





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(italiano / english)

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Interpellanza 

Al  Presidente del Consiglio dei Ministri – Ministro pro tempore agli Esteri

presentata dal Movimento Cinque Stelle, firmata in ordine alfabetico da 53 senatori

Premesso che:

in Siria, da due anni, è in corso una guerra (90.000 morti, secondo l’ONU) determinata dall’irrompere di gruppi armati, provenienti da numerosi stati stranieri e foraggiati dall’Occidente e dalle Petromonarchie, che, impossessandosi delle giuste istanze di democrazia e partecipazione che erano alla base delle mobilitazioni del popolo siriano di qualche anno fa, stanno seminando il terrore con autobombe, assalti ad edifici governativi, uccisioni e rapimenti di inermi cittadini siriani “colpevoli” di non schierarsi con loro contro il governo di Bashar al-Assad;

i suddetti gruppi, tra l’altro di feroce “ideologia” jihadista e facenti parte della cosiddetta “Coalizione nazionale siriana” sono stati riconosciuti dal dimissionario Ministro Terzi come “unici rappresentanti del popolo siriano” per i quali (insieme alla diplomazia francese e inglese) ha recentemente proposto la fine ufficiale dell’embargo di armi decretato dalla Comunità Europea;

il 3 aprile di quest’anno quattro giornalisti di nazionalità italiana (Amedeo Ricucci, inviato Rai,; Elio Colavolpe, Andrea Vignali, e Susan Dabbous) sono stati rapiti nel nord della Siria da uno dei suddetti gruppi e tuttora sequestrati nella verosimile attesa di ricevere dal nostro governo soldi o armi;

il 4 aprile di quest’anno, la RAI e la Farnesina, verosimilmente per  non gettare cattiva luce sui suddetti gruppi armati, dichiarava, i suddetti giornalisti non già “rapiti” ma, bensì, pudicamente “trattenuti” e chiedeva agli organi di informazione un “silenzio stampa” prontamente ottenuto anche dai numerosi organi di informazione sempre pronti a invocare crociate;

che sono passati almeno sei giorni dal rapimento senza che il Governo si sia sentito in dovere di riferire al Parlamento su questo gravissimo episodio

 

si chiede di riferire con urgenza:

 

se il Governo italiano sta conducendo trattative con i suddetti gruppi armati per ottenere la pronta liberazione degli ostaggi;

 

se queste trattative prevedono l’invio di denaro o di armamenti.




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The petty-bourgeois “left” promotes the CIA war in Syria


By Alex Lantier 
12 April 2013


The petty-bourgeois “left” has reacted to the publication of detailed reports on the CIA’s role in backing Islamist forces in the US proxy war in Syria by intensifying their support for the war. Forces like the International Socialist Organization (ISO) in the United States and the New Anti-capitalist Party (NPA) in France are functioning as conscious propagandists for a neo-colonial CIA operation.

The ISO’s April 9 article by Yusef Khalil, “Why the Left must support Syria’s Revolution”—which cites Gayath Naïssé, one of the NPA’s main writers on Syria—begins by slandering opponents of the CIA war in Syria as supporters of Syrian President Bashar al-Assad.

Khalil begins, “’Airlift to Rebels in Syria Expands with CIA’s Help,’ screamed aNew York Times headline in late March. ‘Foreign intervention!,’ screamed back supporters of the Syrian dictator Bashar al-Assad.” He continues, “Some on the US and international left continue to cling to the idea that the regime presiding over this violence and repression is progressive—and that the uprising against it was engineered by Western governments.”


Khalil’s statement, which mocks the idea that Western imperialism is behind the Syrian war, stands in blatant contradiction to the widely-acknowledged fact that the CIA and its regional allies are arming the opposition to destabilize Syria and topple Assad. The implication that all opposition to the US war comes from “supporters of the Syrian dictator Bashar al-Assad” is a slander and a political lie. It is aimed at blocking a struggle to mobilize the working class in struggle against both the Assad regime and, above all, the intervention in Syria of the most ruthless sections of American imperialism.

By ruling out such a struggle, Khalil is supporting a bloody CIA operation and, behind it, the Middle East policy of US imperialism, whose war in Syria has had devastating consequences for the Syrian people.

Saudi Arabia, Jordan, Qatar, and Turkey helped purchase and transport a “cataract of weaponry” coordinated by the CIA into Syria, in the words of one US official cited in the Times ’ March article, which is friendly to the Syrian opposition. The paper “conservatively” estimates the quantity of munitions sent to Syria at 3,500 tons. In the ensuing fighting, some 70,000 Syrians have died, and nearly 5 million have been forced to flee their homes.

US foreign policy experts have stated that Washington’s shock troops are the Al Qaeda-linked Al Nusra Front, which still receives support apparently unhindered by the CIA—even though Washington declared Al Nusra a terrorist organization last December. (See also: Washington’s proxy in Syria: Al Qaeda )

The ISO statement makes clear that it supports the anti-Assad militias’ decision to take weapons from the CIA. Khalil writes, “The vital question facing the Syrian opposition is how to get aid from sources that can provide what the revolution needs, which is weapons, while maintaining independent Syrian decision-making. This is a tough question to answer, but not impossible.”

Khalil’s claim that one can maintain “independent Syrian decision-making” while taking arms from the CIA is an absurd fiction, concocted to disguise the fact that the ISO is supporting a war coordinated and organized by Washington.

As US officials speaking to the Times made clear, weapons shipments are closely overseen by the CIA. The Times writes, “American intelligence officers have helped the Arab governments shop for weapons, including a large procurement from Croatia, and have vetted rebel commanders and groups to determine who should receive the weapons as they arrive, according to American officials speaking on condition of anonymity.”

It adds that former CIA director David Petraeus was “instrumental in helping to get this aviation network moving and had prodded various countries to work together on it.”

The open support of the ISO and the European petty-bourgeois “left” for CIA-led wars is a culmination of their evolution as pro-imperialist bourgeois parties, operating in the periphery of the Democratic Party in the United States or of the social-democratic parties in Europe.

Staggered by the outbreak of a global economic crisis with the Wall Street crash of 2008, they have supported the ruling class in each country as they sought to impose the burden of the crisis on the working class. While they promoted sellouts by the union bureaucracy of workers struggles against austerity at home, their role abroad was even more nakedly aligned with imperialist policy.

After the outbreak of revolutionary struggles in the Tunisian and Egyptian working class in 2011, they supported US-led interventions to overthrow regimes Washington viewed as obstacles to its interests—first the 2011 war in Libya and then in Syria. They did so, falsely claiming that the forces that were carrying out these wars were revolutionary.

Khalil’s attempts to dress up the ISO’s pro-imperialist positions in a bit of “left” rhetoric, claiming that accepting CIA help was a revolutionary necessity, involve him in absurd falsifications.

He writes, “Syria’s revolutionaries—responding to the dictatorship’s violent crackdown—had to develop a popular armed resistance to defend themselves and defeat the forces of the regime. Large parts of the country, including major military bases and airports, have fallen from the government’s hands, but they remain under heavy bombardment. Nevertheless, in many of these areas, Syrians are experimenting with local self-government, now that the regime has lost its grip.”

The ISO’s fantasy that Syrians are now experimenting with radical forms of self-government under the jackboot of ultra-right, sectarian Islamist militias armed by the CIA is ludicrous. Syrian workers in opposition-controlled areas are either simply trying to survive as Islamist guerrillas loot their workplaces, schools, and homes, or are actively protesting the opposition’s thuggery.

A series of interviews in the Guardian with opposition militia forces in Aleppo last December laid out the basic character of the Islamist militias, who plunder the population for cash to buy CIA weapons. One militia commander said, “I liberate an area, I need resources and ammunition, so I start looting government properties. When this is finished, I turn to looting other properties and I become a thief.”

Another opposition official noted the death of an opposition fighter, Abu Jameel, in a fight with other militias over how to divide the loot from the seizure of a steel warehouse. He said, “To be killed because of a feud over loot is a disaster for the revolution. It is extremely sad. There is not one government institution or warehouse left standing in Aleppo. Everything has been looted. Everything is gone.”

Given Aleppo’s role as the center of Syria’s state-run pharmaceutical industry, the opposition’s raids on factories and other state facilities have had a devastating impact. Critical medicines are running out, notably diabetes medications and antibiotics. State flights carrying vaccines into Syria have been shot at, and chlorine for water purification is banned for import by the imperialist powers under the pretext that Assad could use it to create chemical weapons—resulting in a spread of water-borne diseases.

Abdul-Jabbar Akidi, a former Syrian army colonel and a leading official in the opposition’s military council in Aleppo, confessed that there is deep popular hostility in Aleppo to his forces: “Even the people are fed up with us. We were liberators, but now they denounce us and demonstrate against us.”

The ISO and the NPA have maintained a studious silence on popular protests against the Islamist, CIA-led opposition forces they have promoted. These protests are, however, one indication that a revolution based on the working class in Syria would take the form of an uprising against the opposition forces supported by Washington and the ISO, as well as against the Assad regime.

Struggling to find a bright side to the reactionary forces it is promoting in Syria, the ISO writes: “It would be wrong to reduce the Syrian Revolution to the question of the armed struggle and the role of imperialist powers in trying to shape and co-opt that struggle. Take the role of women in the uprising—something that has not been appreciated in the mainstream media. Women have been very active participants and leaders since the beginning … As a group of women activists in Aleppo wrote, ‘We will not wait until the regime falls to become active.’”

The ISO’s presentation of CIA-backed Islamic fundamentalists as defenders of women’s rights is absurd and repugnant. Should Al Qaeda-type forces conquer Syria with US and Saudi help, Syrian women—who largely lived in modern conditions under the secular Assad regime—will be forced to live under conditions like those faced by women under the Taliban regime in Afghanistan or in Saudi Arabia. There, women are considered legal minors and are denied basic rights, including the right to drive a car.

As it turns out, the Aleppo women activists the ISO cynically held up as examples of the opposition’s supposedly progressive character have not fared well. “In early March, the revolutionary local council in Aleppo was elected and didn’t include a single woman, despite some well-known female activists being nominated,” the ISO writes, complacently adding: “So there is—like everywhere in the world—some distance to go before women have equality in Syria.”

The ISO’s attempts to somewhat distance itself from Washington’s Middle East policy likewise reek of dishonesty and cynicism. Khalil writes, “Like every other regional and international power, the US government has its fingers in Syria. It is maneuvering to shape—and ultimately, to curtail—the Syrian Revolution … Throughout the carnage inflicted by the regime, the US has kept very tight limits on the support, especially the military support, it has provided.”

Khalil quotes the NPA’s Naïssé on the reasons for US involvement in Syria: “The major imperialist powers, led by the United States, have always supported what they call an ‘orderly transition’ in Syria, which means only superficial and partial changes to the structure of the regime. This is for geo-strategic reasons, including protecting the Zionist entity [i.e., Israel] and preventing the revolution from succeeding and spreading to the entire Arab east, including the reactionary oil monarchies.”

Leaving aside the false dichotomy Khalil establishes between US policy and the CIA-led war he calls “the Syrian Revolution,” these passages make one point clear: the policies supported by the ISO and the NPA are in fact entirely compatible with the strategy of American imperialism. These include keeping Persian Gulf oil revenues under the control of reactionary, pro-US monarchs, and maintaining the division of the Middle Eastern working class between Jewish and Muslim workers that is established by the existence of the Israeli state.

Although neither the ISO nor the NPA say it, the US war against Syria also aims to deprive Iran of its main regional ally, thereby facilitating US preparations for a major war against Iran. The ultimate goal of these operations is to ensure that Washington maintains and extends its hegemony over the oil-rich, strategically located Middle East. This goal is entirely supported by the petty-bourgeois “left” parties.

If Washington has concerns about the anti-Assad “rebels,” it is not that they are revolutionary. Rather, it fears that if it arms its Islamist proxies in Syria too heavily, they might turn these weapons over to dissident Islamist factions inside the unstable Persian Gulf monarchies, or use them to mount terrorist attacks on Israel or the United States.

Inside Syria itself, war unleashed by the CIA-backed opposition—recruited from layers of Syria’s Sunni Muslim majority discontented with the Assad regime, whose ruling personnel is drawn from the minority Alawites—has developed largely along sectarian lines. It is thus returning Syrian society to conditions that existed under French colonial rule in the early 20th century. At that time, French troops and proxy forces maintained French control of Syria by setting Christians, Druze, Sunni, Alawite, and other Syrians against each other.

The US-backed opposition is thus reactionary in the classical sense of the term: it returns society towards a more primitive and oppressive past.






Roma, Martedì 16 Aprile 2013
alle ore 19:00 presso il  "FORTE FANFULLA" 
Via Fanfulla da Lodi 5

DRUG GOJKO 

con Pietro Benedetti 
regia di Elena Mozzetta

Tratto dai racconti di Nello Marignoli, partigiano viterbese combattente in Jugoslavia. Drug Gojko narra, sotto forma di monologo, le vicende di Nello Marignoli, classe 1923, gommista viterbese, radiotelegrafista della Marina militare italiana sul fronte greco-albanese e, a seguito dell’8 settembre 1943, combattente partigiano nell’Esercito popolare di liberazione jugoslavo. Lo spettacolo, che si avvale della testimonianza diretta di Marignoli, riguarda la storia locale, nazionale ed europea assieme, nel dramma individuale e collettivo della Seconda guerra mondiale. Una storia militare, civile e sociale, riassunta nei trascorsi di un artigiano, vulcanizzatore, del Novecento, rievocati con un innato stile narrativo, emozionante quanto privo di retorica.


VAI ALLA PAGINA DEDICATA ALLO SPETTACOLO: https://www.cnj.it/CULTURA/druggojko.htm





(The original text, in english: 
Reflections on Yugoslavia’s socialist past and present-day colonization. The destruction of a nation
By Milina Jovanović, November 16, 2012
https://www.lifeinthemix.info/2012/11/reflections-yugoslavias-socialist-present-day-colonization/
or http://www.zcommunications.org/reflections-on-yugoslavia-s-socialist-past-and-present-day-colonization-by-milina-jovanovic 
or https://www.cnj.it/documentazione/interventi/milinajovanovic2012.htm

Cette article en langue francaise:
Bilan de la destruction d’un rêve - par Milina Jovanovic
http://michelcollon.info/Bilan-de-la-destruction-d-un-reve.html 
ou https://www.cnj.it/documentazione/interventi/milinajovanovic2012.htm )

http://www.marx21.it/internazionale/europa/22077-jugoslavia-bilancio-della-distruzione-di-un-sogno-.html

Jugoslavia. Bilancio della distruzione di un sogno

di Milina Jovanovic | da Traduzione dal francese di Anna Migliaccio per Marx21.it

In questo saggio presento le mie riflessioni personali sulla vita nell’ex Repubblica socialista federale di Jugoslavia e sulle tendenze attuali di privatizzazione e presa di controllo di risorse naturali, economiche e umane del paese.

Per 10 anni ho vissuto personalmente l’esperienza del migliore periodo del socialismo iugoslavo lavorando presso un organismo di studio e ricerca. Nelle pagine che seguono vorrei cercare di spiegare brevemente i principali aspetti ed istituzioni del sistema socio politico ed economico iugoslavo evocandone lo stile di vita e ciò che rappresentava per le diverse popolazioni del paese. Sette piccoli paesi, disorientati e colonizzati (ciò che resta della Jugoslavia) si battono oggi per sopravvivere stretti tra il loro passato unico ed un presente perturbato. Disperazione e apatia si mescolano alle guerre ed all’occupazione straniera. Nondimeno il popolo jugoslavo è duro a morire e lo proverò con qualche esempio di lotte operaie attuali e resistenza popolare.

La mia generazione ebbe l’opportunità di crescere a Belgrado nella Jugoslavia socialista. Come bambini di scuole elementari partecipavamo a momenti di autogestione. La scuola intera era all’epoca diretta dagli scolari dall’amministrazione all’educazione in classe dalla pulizia alla gestione delle cucine tutto gestito dagli studenti senza la presenza di adulti. Gli scolari applicavano ed adattavano i programmi mantenevano la regolarità degli orari facevano esposizioni e giudicavano i progressi dei loro compagni di studi. Mi ricordo perfettamente di tutte le volte in cui ho svolto il ruolo dei professori. Le note che davo ai compagni avevano lo stesso peso di quelle inflitte dai professori. Noi ci sentivamo abilitati, emancipati responsabili ed insieme interamente liberi. Andavamo a scuola a turni perché è provato che alcuni soggetti sono più ricettivi all’apprendimento al mattino ed altri al pomeriggio.

L’intera società poneva l’accento sullo sviluppo dei valori collettivi. Tutto ciò che si faceva a scuola era passato al vaglio, incluse le performances individuali, e discusso in presenza di genitori e studenti. Durante l’intera durata della mia formazione la mia generazione si è sentita al sicuro.

Prima del Movimento dei non allineati il solo scopo della jugoslavia era stato quello di insegnare alle nuove generazioni a difendere il proprio paese ma senza mai ingerire negli affari di altri paesi. La mia generazione non temeva il futuro. Crescevamo sereni e ottimisti avendo come unica priorità un discreto sviluppo personale e l’affrancamento dai retaggi del capitalismo e del patriarcato.

Come studentessa universitaria e più tardi come ricercatrice scientifica in materia di società ero convinta che una delle mie priorità fosse sviluppare un approccio critico al sistema socio economico e politico iugoslavo affinché esso potesse continuare ad evolvere. Forse la mia generazione fu l’ultima degli idealisti e sognatori jugoslavi.

La Jugoslavia non somigliava ad alcuno degli altri paesi delle storia recente. Me ne sono resa conto in maniera ben più profonda quando sono emigrata negli Stati Uniti. L’amico Andrej Grubacic l’ha scritto con eloquenza “La Jugoslavia per me e per quelli come me non era solo un Paese. Era un’idea”. L’immagine stessa dei Balcani è stata il progetto di un’esistenza interetnica, di uno spazio trans etnico e multiculturale di mondi differenti, un rifugio di pirati e ribelli, femministe e socialisti, antifascisti e partigiani, un luogo dove sognatori d’ogni sorta lottavano con forza contro la peninsularità provinciale, le occupazioni e gli interventi stranieri.” Come i miei genitori, credo anch’io ad una regione che riunisce diversi universi e dove tutti sono tutto. Non ho altra emozione che rancore verso tutti coloro che hanno contribuito a distruggere la Jugoslavia e sento la stessa cosa per coloro che oggi svendono ciò che ne è rimasto. Faccio parte di coloro che appoggiano le opinioni di M. Grubacic.

Il modello socialista iugoslavo.

Per certi versi il modello iugoslavo di socialismo è riconosciuto come unico anche da coloro che si oppongono a priori al socialismo. Purtroppo la gran parte dei saggi pubblicati in passato non hanno compreso questo carattere unico della Yugoslavia. Né i presupposti teorici, né la loro applicazione pratica sono ben noti in Occidente. Io non uso la formula “Yugoslavia comunista” perché questa assimila il modo di governo di un partito comunista al comunismo. Mi servo del termine comunista solo nel senso originario marxista di nuova formazione socio economica. Penso, infatti che la parola socialismo convenga meglio alla realtà sociale che esisteva in Yugoslavia tra il 1945 e il 1990. L’intera società socialista è transitoria e contiene elementi dei sistemi sociali antichi e nuovi.

La Yugoslavia socialista si fondava su molteplici principi di base, istituzioni e pratiche. I più importanti erano l’auto-gestione e la proprietà sociale. Il controllo sulle risorse locali era garantito da associazioni di produttori libere nel mondo del lavoro nel momento in cui il popolo partecipava direttamente al governo locale nelle sue associazioni di vicinato. La società aveva creato una particolare branca del diritto chiamata legge di auto gestione con corrispondenti tribunali. Taluni hanno criticato questo doppio diritto e l’abbondanza di leggi e regolamenti d’autogestione.  

E’ stato osservato che nessuno poteva possedere il frutto proveniente dalla proprietà privata ad esclusione che quello basato sul lavoro.

I teorici dell’auto gestione socialista arguiscono che questa poteva essere assicurata attraverso una forma unica di proprietà sociale. La proprietà sociale non è la stessa cosa che la proprietà di Stato. I mezzi di produzione, la terra le abitazioni le risorse naturali i beni pubblici l’arte i media e gli organismi d’insegnamento devono appartenere alla società nel suo complesso, a tutti e a nessuno in particolare. Solo un residuale 20% delle risorse agricole e delle piccole imprese permaneva in mani private. Le terre appartenenti ai contadini erano state limitate a dieci ettari per individuo.

La gran parte delle abitazioni erano costruite per I lavoratori e le loro famiglie. Secondo specifici criteri, si assegnavano gli alloggi ai lavoratori affinché li utilizzassero senza esserne proprietari. I loro figli e le successive generazioni potevano anche servirsene a propria volta senza averli in proprietà. Essi non erano affittuari. Questa forma giuridica è difficile da spiegare e travalica il punto di vista occidentale.

Nella Yugoslavia socialista un principio basilare era che i cittadini avevano il diritto inalienabile di controllo sulle risorse locali. Nelle libere associazioni di produttori i lavoratori avevano modo di assumere decisioni con cognizione di causa circa i bisogni, le risorse disponibili e dispensabili. Il popolo iugoslavo decideva delle sue risorse, dei suoi mezzi di produzione e della produzione stessa. Per esempio la produzione di energia elettrica è stata calcolata per molti decenni sulla base dei bisogni domestici. Fino agli anni 80 la gran parte dei prodotti iugoslavi era destinata all’uso interno e non all’esportazione. I documenti ufficiali mostrano che nell’arco di tempo tra gli anni 50 e gli anni 90 i partners commerciali abituali delle ex repubbliche iugoslave erano altre repubbliche iugoslave.

Oltre alla proprietà sociale l’altra istituzione fondamentale era l’autogestione. Le due cose erano ideali e principi base dell’intera organizzazione sociale. I gruppi di produzione libera (OUR) erano le unità di base del lavoro associativo ed erano organizzate a molteplici livelli. I lavoratori avevano deciso di lavorare insieme per rispondere ai propri comuni e difendere i loro interessi ed avevano creato tali associazioni. Essi lavoravano collettivamente utilizzando i mezzi sociali di produzione e i loro prodotti. Le associazioni di produttori liberi esistevano nell’ambito della produzione materiale ma anche dei servizi sociali, della cultura, dell’arte, dell’educazione e della sanità.

In alcune di esse le decisioni venivano assunte con referendum. I consigli operai si riunivano regolarmente per dirigere la quotidianità delle associazioni. 

Certi autori americani come Michael Albert (4) parlano spesso dell’economia partecipativa come fosse una novità. Essi riconoscono raramente il modello iugoslavo di autogestione esistente da oltre quarant’anni. Mio padre è stato un lavoratore e contemporaneamente un gestore della produzione. Nella mia gioventù ho potuto vedere l’autogestione in pratica e misurarne l’efficacia. Per esempio l’insieme dei membri di un’associazione si riuniva per scegliere i candidati al consiglio o pianificare la produzione annuale. E’ vero che con il trascorrere del tempo l’economia di mercato ed altri fattori hanno limitato il potere economico e politico dei lavoratori. Ma questo non deve diminuire il valore dell’esperienza iugoslava di auto gestione insieme teoria e prassi.

Le associazioni di vicinato (Mesna Zajednice) erano un altro tipo di unità di base di auto governo. La gente assumeva le decisioni concernenti la propria vita quotidiana ed il loro ambiente. Essi sceglievano i propri delegati al governo comunale e nazionale ed organizzavano le proprie condizioni di vita e di lavoro, il trattamento dei bisogni sociali, la cura dei bambini, l’educazione ecc. Ogni associazione aveva i propri statuti creati dagli abitanti della zona. Le decisioni importanti erano assunte con referendum.

Le comuni erano unità territoriali più grandi, fondate sui principi della Comune di Parigi (5),destinate ad assicurare il decentramento e la partecipazione diretta del popolo al suo auto governo. Le comuni, le province autonome le repubbliche e la Federazione erano interconnesse nella medesima piramide del sistema. Le costituzioni di tutte le repubbliche riconoscevano le comuni come unità di base socio politica d’una importanza capitale per i governi delle repubbliche e della Federazione. Lo scopo principale di tutte le strutture economiche e politiche della Yugoslavia socialista era quello d’assicurare a tutti i lavoratori le condizioni migliori di lavoro e di vita.  

Durante l’intero periodo socialista ed in particolare dagli anni 60 agli anni 80 la Yugoslavia è stata un paese prospero ove ciascuno vedeva garantiti il diritto di lavorare e di ricevere un salario adeguato e beneficiare d’una educazione di grande qualità fino al dottorato di un minimo di un mese di vacanze pagate e di congedo di malattia illimitato secondo i bisogni della propria salute. Di un congedo retribuito di maternità e paternità e di un diritto all’abitazione. (6) Inoltre la Yugoslavia è stata il solo paese al mondo ad avere inserito nella costituzione i diritti e le libertà delle donne. Le donne hanno fatto passi giganteschi nel campo dell’educazione e dell’impiego investendo in gran numero di ambiti tradizionalmente a dominanza maschile. La mia tesi di dottorato ha comparato il progresso delle donne in questi ambiti in Yugoslavia e d in California. I documenti che ho raccolto mostrano che le donne iugoslave sono riuscite a progredire e distruggere le abitudini patriarcali più delle californiane. (7)

Nello stesso periodo I trasporti pubblici funzionavano bene, la vita culturale ed artistica era fiorente ed anche su diversi aspetti all’avanguardia. Ogni evento culturale ed artistico era realizzato dal popolo. Non c’era cultura d’elite o arte d’elite. La partecipazione ad ogni manifestazione era a prezzo molto abbordabile. I bambini studiavano arte musica e diverse lingue straniere fin dalla più tenera età (già alla scuola d’infanzia). Nella tradizione originale del marxismo si ritiene che ogni persona debba essere elevata ad individuo ben sviluppato. Dalle scuole elementari abbiamo appreso ad equilibrare lavoro manuale e lavoro intellettuale e a resistere agli eccessi della specializzazione. La cultura generale era molto apprezzata. I corsi di storia e geografia comprendevano lezioni su tutti i continenti. Soprattutto nei primi anni persone di ogni età ed in particolare giovani lavoravano come volontari per costruire per costruire strade e ponti e piantumare alberi e foreste. Partecipare alle opere pubbliche offriva loro un sentimento di fierezza e forniva occasioni per nuove amicizie ed ampliamento degli orizzonti. La mia generazione aveva piani di formazione comprendenti gite di una settimana per fare conoscenza dei gioielli naturali di altre regioni. Il multiculturalismo iugoslavo è raramente compreso in occidente. Durante il periodo socialista c’era un gran numero di matrimoni misti e molti avevano abbracciato la causa della fraternità ed unità della Yugoslavia. La Yugoslavia socialista aveva buona reputazione nel mondo intero: è stata vista come membro essenziale tra le nazioni non allineate e partner importante delle relazioni internazionali.

Un incubo per I politici USA

Come ha spesso ripetuto Michael Parenti, essa (la Yugoslavia n.d.t) è l’esempio di un paese che indispone I politici americani soprattutto dopo gli anni 80. Questo genere di paese sfugge alla ricerca statunitense di dominio globale, ai progetti mondiali delle grandi compagnie e alla terzomondizzazione dell’intero pianeta. (8)

All’inizio degli anni 90 venne il tempo per gli USA ed I loro alleati NATO d’intervenire: hanno fatto di tutto incluso l’utilizzo della forza bruta per cancellare la Yugoslavia dalla carta d’Europa. La Yugoslavia (e soprattutto la Serbia e il Montenegro) che non hanno gettato via quel che restava del socialismo per instaurare il sistema del libero mercato. (9) Il suo smembramento e le guerre degli anni 90 non sono l’oggetto di questo saggio. Molte cose sono state scritte in proposito soprattutto per giustificare la guerra degli USA e della NATO, e l’occupazione che è seguita. Pertanto per un piccolo numero di ricercatori e di militanti appare evidente già negli anni 90 che l’obiettivo dell’impero mondiale è il medesimo in Yugoslavia come in altri paesi del globo. Cito ancora Parenti : “lo scopo degli USA è trasformare la Yugoslavia in un gruppo di piccoli principati aventi le seguenti caratteristiche: a) l’incapacità di fissare obiettivi di sviluppo indipendente e proprio b) risorse naturali interamente accessibili agli appetiti delle grandi compagnie internazionali ivi compresa l’enorme ricchezza di miniere del Kosovo ; una popolazione impoverita ma istruita e qualificata che lavora per salari appena sufficienti alla sopravvivenza, una mano d’opera a buon mercato adatta a ridurre i salari in Europa occidentale d) lo smantellamento delle industri e petrolifere d’ingegneria e minerarie farmaceutiche navali automobilistiche e agricole così da non costituire più concorrenza per i produttori occidentali. 

Gli Stati Uniti e la NATO hanno avuto altri vantaggi dalla distruzione della Yugoslavia che consideravano come una potenza regionale e come il germe di una federazione balcanica. Essi sapevano che la loro presenza fisica nella penisola balcanica avrebbe portato vantaggi supplementari quali il migliore controllo delle risorse e dello sviluppo europeo, dei traffici di eroina e di organi umani, e du pipeline del mar Caspio. Le così dette missioni di pace sono diventate programmi di occupazione garantite dalla costruzione di basi militare permanete e centri di detenzione.

Sotto molti punti di vista gli USA e l’Unione europea hanno ottenuto molti degli obiettivi prefissati. Durante l’ultima visita nella mia città natale ho visto ovunque nuove costruzioni. Ma l’occupazione completa, così come la demoralizzazione totale del popolo, non sono facili da realizzare con i balcanici. Nel suo film documentario “The Weight of Chains”, il serbo-canadese Boris Malagurski ha mostrato che molti popoli si risvegliano rendendosi conto che l’economia di mercato e il dominio straniero non sono nulla di positivo. Ciò che attraversa tutti i paesi della ex Yugoslavia e che gli ideologi del libero mercato hanno chiamato “iugonostalgie” si rafforza con la coscienza della grave perdita. C’è l’affermazione di una memoria collettiva del popolo, e la prova che le opposizioni esistono nella loro unità dialettica certe forze sociali lottano per l’ingresso in Europa altre si battono per ritrovare le loro tradizioni socialiste e mantenere l’indipendenza. 

I popoli iugoslavi non hanno potuto valorizzare la loro esperienza positiva del socialismo. Le ideologie imposte che glorificano i valori capitalisti e il consumismo i vantaggi dell’Europa e i progetti di affari internazionali sono influenti, ma un significativo numero di lavoratori tentano di riconquistare il proprio potere, battendosi contro le privatizzazioni, la disoccupazione e le misure d’austerità. La resistenza non è mai cessata.

L’avanzata dell’impero globale

Il programma neo coloniale si è sviluppato nel corso degli ultimi anni. Da qualche mese ho potuto osservarlo a Belgrado.

Passeggiavo per la città inciampando nelle numerose banche straniere.

In certi quartieri sono ad ogni angolo di strada con le loro entrate attaccate le une alle altre. Il numero degli uffici di cambio si è moltiplicato dagli anni 90. A questo corrisponde al dominio UE e dell’alta finanza internazionale sulle finanze serbe. I bancari serbi lavorano di malumore e appaiono scontenti delle condizioni di lavoro che gli vengono imposte.  

Gli effetti dell’ideologia capitalista di moda che glorifica i consumi sono chiaramente visibili nelle strade nei negozi, nelle istituzioni e nei media. Ogni anno si accresce il numero dei ristoranti “fast food”. I prodotti malsani hanno invaso il mercato serbo e l’importazione di OGM, benché il governo neghi di averli autorizzati Lo stesso per i cibi pieni di ormoni e batteri infettivi. Il risultato è che ci sono molti più cittadini in sovrappeso per le strade di Belgrado. Questo appare ancora un problema marginale perché i cittadini camminano molto e praticano jogging, ciclismo e yoga. L’aspetto più preoccupante è l’aumento dei quaranta o cinquantenni che soffrono di ipertensione e disturbi cardiovascolari.

Le compagnie straniere hanno acquistato molte società precedentemente iugoslave o serbe. La privatizzazione delle risorse è un esempio evidente di tale processo. Rosa Water è una società Coca-Cola ellenica; Voda Voda è la proprietaria di d’Arteska International Co., BB Minaqua Co. È collegata alla tedesca Krones, l’italiana Sidel e Thomson Machinery per la sua produzione a Cipro. Anche se molte di queste compagnie affermano di utilizzare condimenti “ecologici”, come la bottiglia Rosa a base vegetale, gli imballaggi in plastica lasciano filtrare sostanze chimiche tossiche nell’acqua delle bottiglie che molti Belgradesi oggi acquistano. In passato l’acqua del rubinetto era di gran lunga migliore, e nessuno pensava di avere bisogno d’acqua in bottiglia. Negli anni 90 tutte le bibite erano in bottiglie di vetro. 

Le industri di abbigliamento e cosmesi sono di proprietà straniera o sono serbe acquistate da stranieri. Se si considera il mercato dei prodotti di abbigliamento per bambini e prodotti per l’infanzia, i prodotti di bellezza e gli alimenti si trova un miscuglio di march esteri noti che approfittano dell’apertura di questi mercati: Avent, Disney, Chicco, Graco, Bertoni, Peg-Perego, Bambino, Pavlogal, Humana, Frutek, Hipp, Nestlé, Juvitana, Bebelac.

Kosili e Dr. Pavlovic sono delle eccezioni. Prima della guerra non avevamo che sparute firme italiane di prodotti per l’infanzia, mentre oggi Nestlé e Disney sono abbondantemente presenti. Anche le società serbe si danno nomi anglofoni come Beba Kids o Just Click, etc.

La marca belgradese Dahlia Cosmetics fabbricava prodotti a base minerale e vegetale. Oggi è privatizzata e, come dice il suo sito internet, è posseduta al 100% dalla belgradese Bechemija. Che a sua volta è stata formata da una fusione tra Delta de Zrenjanin e la slovena Sanpionka. Nel corso di tali privatizzazioni e fusioni migliaia di operai hanno perso il posto di lavoro. E’ difficile non immaginare che Dahlia abbia rimpiazzato I prodotti naturali con quelli sintetici. Basta leggere le etichette per porsi la legittima domanda.


("La pura verità sulle organizzazioni non governative in Russia: sono spie al servizio di paesi stranieri". Lo dice Putin, rivolgendosi alla Merkel più che esplicitamente. Su questa problematica, e le nuove strategie eversive del neocolonialismo - disinformazione e attivismo "a libro paga" - si veda anche tutta la documentazione raccolta alla nostra pagina: https://www.cnj.it/documentazione/eversione.htm )



Prava istina o nevladinim organizacijama u Rusiji





D. Marjanović
vrijeme objave: Ponedjeljak - 08. Travanj 2013 | 12:15
FOTO: Ruski predsjednik Vladimir Putin u razgovoru za njemačku TV postaju ARD

Njemačka
 kancelarka Angela Merkel pozvala je Rusiju da "daju priliku" nevladinim organizacijama. Izjava dolazi za vrijeme posjete ruskog predsjednika Vladimira Putina Njemačkoj, u vrijeme kada je Rusija pokrenula nekoliko istraga o radu nevladinih organizacija (opširnijeNjemačka ljuta zbog ruskih pretraga nevladinih organizacija koje Rusija naziva "stranim agentima").

Očekivano, potezi protiv nevladinih organizacija izazvali su salvu kritika od strane Zapada, no Putin brani svoje stajalište: "Rusi imaju pravo znati koje nevladine organizacije su primale strani novac i za koje svrhe", rekao je u razgovoru za njemačku TV postaju ARD. Podsjetimo, Putin je uveo zakon kojime se strane nevladine organizacije u Rusiji klasificiraju kao "strani agenti".

Zanimljivo je kako su zapadne sile nervozno reagirale na sve veći otpor Moskve protiv izuzetno utjecajnih nevladinih organizacija u Rusiji. Nužno je postaviti pitanje - zašto? Stvar je zapravo poprilično jednostavna i svodi se na slanje veće količine novca organizacijama koje zauzvrat djeluju u interesu stranih interesa, što političkih što gospodarskih. Iste organizacije i skupine stajale su iza tzv. "Narančastih revolucija" koje su dovele do rušenja niza nepodobnih vlada diljem istočne Europe (opširnije o temi:Narančaste revolucije, pro-zapadni "profesionalni" aktivizam i otpor protiv takvih tendencija).

Prije nekoliko dana WikiLeaks je otkrio kako se upravo putem nevladinih organizacija pokušala destabilizirati vlast Huga Chaveza u Venezueli (vidiNovi Wikileaks dokumenti otkrivaju kako je SAD planirao destabilizirati vlast Huga Chaveza "u pet točaka" putem američke ambasade i USAID-a). Nije tajna kako je administracija Vladimira Putina u Rusiji također izuzetno "nepodobna" situacija za zapadne interese. Rusija je gospodarski sve snažnija, uz Kinu je glavna predstavnica bloka BRICS, promovira mir i diplomaciju u svijetu, a to je ogromna prepreka zapadnom militarizmu koji sve snažnije promovira konflikte na svjetskoj pozornici. U konačnici tu je Sirija, bastion arapskog sekularizma i anti-imperijalističkog otpora, koja bi već davno bila sravnana sa zemljom, kao i susjedni Irak, da nisu agresivne sile ovog puta dočekane uz najveći ruski otpor još od raspada SSSR-a.

Netko će reći kako ove geostrateške teme nemaju neke veze s radom nevladinih organizacija u Rusiji, i bio bi poprilično u krivu. Da se Rusija ponaša onako kako Zapad želi, iste organizacije u Rusiji ne bi niti postojale, bar ne u tolikom broju. Čitatelji s ovih prostora mogli bi se ponekad osvrnuti i na retrospektivu nama poznatijih događanja - recimo nagli usponi i padovi popularnih medija koji su napuhani većinom stranim novcem kako bi odradili svoju privremenu misiju te iščezli s pozornice kada njihov rad više nije potreban.

Osvrnimo se na još neke zanimljive detalje u intervjuu Putina za tv postaju ARD. Razgovor s ruskim predsjednikom je vodio novinar Jorg Schonenborn.

Jorg Schonenborn: "Gospodine predsjedniče, nisam upoznat da su se ikada ovakva pretraživanja i zaplijene u uredima nevladinih organizacija događala u SAD-u. Prema našem mišljenju termin "strani agent", kako se ove organizacije sada naziva, zvuči kao nešto iz doba Hladnog rata."
Vladimir Putin: "Onda dopustite da pojasnim. Kao prvo, SAD ima sličan zakon, koji je još od onda na snazi. Pokazati ću Vam jedan dokument kojime je, ne tako davno, u američkom ministarstvu pravosuđa zahtijevano od nevladine organizacije da pošalje dokumente u kojima se potvrđuje da su aktivnosti financirane izvana, popis je vrlo dugačak.

Mi smo usvojili sličan zakon koji ništa ne zabranjuje, da naglasim ovo, naš zakon ništa ne zabranjuje, niti ograničava ili bilo koga zatvara. Organizacije koje su financirane izvana imaju pravo baviti se svojim aktivnostima, uključujući i političkim aktivnostima. Jedina stvar koju mi želimo znati je tko prima novac i otkuda novac dolazi. Ponavljam - ovaj zakon nije nekakva naša inovacija.

Zašto nam je danas to bitno? Što mislite koliki je broj ruskih nevladinih organizacija danas u Europi? Imate li neke ideje?"

Jorg Schonenborn: "Bojim se da nemam te informacije gospodine predsjedniče."
Vladimir Putin: "Onda dajte da Vam kažem. Jedna takva organizacija radi u Parizu, još jedna u SAD-u. I to je to. Postoje samo dvije ruske nevladine organizacije koje rade vani - jedna u SAD-u i jedna u Europi.

S druge strane 654 nevladinih organizacija trenutačno djeluju u Rusiji, koje su sve financirane, ispostavlja se, izvana. 654 organizacija.. to je zaista velika mreža diljem države. Tijekom samo zadnjih 4 mjeseci otkako je novi zakon usvojen, računi ovih organizacija su se povećali za... što mislite, koliko novca su primili? 28,3 milijarde rubalja, to je gotovo 1 milijarda USD.

Ove organizacije uključene su u unutarnje političke aktivnosti. Zar ne bi naš narod trebao biti informiran o tome tko dobiva taj novac i s kojim ciljem? Naglasio bih još jednu stvar - i želim da znate ovo, želim da narodi Europe, uključujući Njemačku, znaju ovo - nitko ovim organizacijama ne zabranjuje njihov rad. Samo ih tražimo da priznaju: "Da, upleteni smo u političke aktivnosti i dobivamo novac izvana". Javnost ima pravo znati ovo. 

Nema potrebe strašiti ljude pričajući o tome kako se ljude privodi, imovina zaplijenjuje, mada je zapljena imovine razuman potez ukoliko su ovi ljudi prekršili zakone. Neke administrativne sankcije su predviđene u ovim situacijama, no smatram kako je sve ovo prihvatljivo u civiliziranom društvu. 

Pogledajmo sada koje sve dokumente naša organizacija u SAD-u mora priložiti. Obratite pozornost na to tko traži ove dokumente, tko je potpisan na dnu stranice. Američki Ured protiv Špijunaže. Ne ured državnog odvjetnika, nego protušpijunski ured pri Američkom Ministarstvu Pravosuđa. Ovo je službeni dokument koji je dostavljen u organizaciju. Također pogledajte popis pitanja koja postavljaju. Ovo je demokracija?"
U ovih nekoliko rečenica ruski predsjednik odlično je objasnio stajalište Moskve koje je u ovom slučaju apsolutno pravično. Nažalost, kako je rekao i Putin, mnogi stanovnici Europe jednostavno nisu upoznati s činjenicom da Europa i SAD imaju gotovo 700 svojih nevladinih organizacija diljem Rusije dok Rusija ima svega jednu u Parizu i jednu u SAD-u. Ruski narod, kao i svi narodi, ima pravo znati tko financira tolike brojne nevladine organizacije, tko podupire "petu kolonu" unutar Rusije, jer kada bi znali - a zahvaljujući novom zakonu uskoro će i znati - teško da bi se politički priklanjali istima. 

Zanimljivo kako i uz sve milijarde dolara koje stižu iz Europe i SAD-a, "strani agenti" nisu uspjeli destabilizirati ovu administraciju i poljuljati potporu ruskog naroda za istu. I povrh svega njemačka kancelarka proziva Putina da "pruži priliku" nevladinim organizacijama? Nema sumnje kako im je prilika i pružena i ako žele mogu raditi i dalje, ali uz transparentnu politiku po pitanju financiranja. Pitanje je da li im se u tom slučaju uopće isplati djelovati? Jer esencija nevladinih organizacija je uvijek bila prikazivati njihovo djelovanje kao "autentično", domaće, narodno, a zapravo se radi o čistoj izdaji vlastitih nacionalnih interesa za interese stranih sila, tj. isključivo za novac.






(Sulla disinformazione strategica contro la Corea del Nord si vedano anche i video-editoriali di Mario Albanesi per Teleambiente:
nonché gli articoli da noi già diffusi: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7641 )


Background to the Korean crisis


1) The Dangers of War: What is Behind the US-North Korea Conflict?
By Jack A. Smith - Global Research

2) Washington’s lies exposed: Background to the Korean crisis
By Fred Goldstein - Workers Word



=== 1 ===

(segnalato da Andrea D., che ringraziamo)


The Dangers of War: What is Behind the US-North Korea Conflict?


Global Research, April 01, 2013

What’s happening between the U.S. and North Korea to produce such headlines this week as “Korean Tensions Escalate,” and  “North Korea Threatens U.S.”?

The New York Times reported March 30:

“This week, North Korea’s young leader, Kim Jung-un, ordered his underlings to prepare for a missile attack on the United States. He appeared at a command center in front of a wall map with the bold, unlikely title, ‘Plans to Attack the Mainland U.S.’ Earlier in the month, his generals boasted of developing a ‘Korean-style’ nuclear warhead that could be fitted atop a long-range missile.”

The U.S. is well aware North Korea’s statements are not backed up by sufficient military power to implement its rhetorical threats, but appears to be escalating tensions all the same. What’s up? I’ll have to go back a bit to explain the situation.

Since the end of the Korean War 60 years ago, the government of the Democratic People’s Republic of Korea (DPRK or North Korea) has repeatedly put forward virtually the same four proposals to the United States. They are:

1. A peace treaty to end the Korean War.

2. The reunification of Korea, which has been “temporarily” divided into North and South since 1945.

3. An end to the U.S. occupation of South Korea and a discontinuation of annual month-long U.S-South Korean war games.

4. Bilateral talks between Washington and Pyongyang to end tensions on the Korean peninsula.

 The U.S. and its South Korean protectorate have rejected each proposal over the years. As a consequence, the peninsula has remained extremely unstable since the 1950s. It has now reached the point where Washington has used this year’s war games, which began in early March, as a vehicle for staging a mock nuclear attack on North Korea by flying two nuclear-capable B-2 Stealth bombers over the region March 28. Three days later, the White House ordered F-22 Raptor stealth fighter jets to South Korea, a further escalation of tensions.

Here is what is behind the four proposals.

 1. The U.S. refuses to sign a peace treaty to end the Korean War. It has only agreed to an armistice. An armistice is a temporary cessation of fighting by mutual consent. The armistice signed July 27, 1953, was supposed to transform into a peace treaty when “a final peaceful settlement is achieved.” The lack of a treaty means war could resume at any moment.  North Korea does not want a war with the U.S., history’s most powerful military state. It wants a peace treaty.

 2. Two Koreas exist as the product of an agreement between the USSR (which borderd Korea and helped to liberate the northern part of country from Japan in World War II) and the U.S., which occupied the southern half.  Although socialism prevailed in the north and capitalism in the south, it was not to be a permanent split. The two big powers were to withdraw after a couple of years, allowing the country to reunify. Russia did so; the U.S. didn’t. Then came the devastating three-year war in 1950. Since then, North Korea has made several different proposals to end the separation that has lasted since 1945. The most recent proposal, I believe, is “one country two systems.” This means that while both halves unify, the south remains capitalist and the north remains socialist. It will be difficult but not impossible. Washington does not want this. It seeks the whole peninsula, bringing its military apparatus directly to the border with China, and Russia as well.

3. Washington has kept between 25,000 and over 40,000 troops in South Korea since the end of the war. They remain — along with America’s fleets, nuclear bomber bases and troop installations in close proximity to the peninsula — a reminder of two things. One is that “We can crush the north.” The other is “We own South Korea.” Pyongyang sees it that way — all the more so since President Obama decided to “pivot” to Asia. While the pivot contains an economic and trade aspect, its primary purpose is to increase America’s already substantial military power in the region in order to intensify the threat to China and North Korea.

4. The Korean War was basically a conflict between the DPRK and the U.S. That is, while a number of UN countries fought in the war, the U.S. was in charge, dominated the fighting against North Korea and was responsible for the deaths of millions of Koreans north of the 38th parallel dividing line. It is entirely logical that Pyongyang seeks talks directly with Washington to resolve differences and reach a peaceful settlement leading toward a treaty. The U.S. has consistently refused.

These four points are not new. They were put forward in the 1950s. I visited the Democratic People’s Republic of Korea as a journalist for the (U.S.) Guardian newspaper three times during the 1970s for a total of eight weeks. Time after time, in discussions with officials, I was asked about a peace treaty, reunification, withdrawal of U.S. troops from the south, and face-to-face talks. The situation is the same today. The U.S. won’t budge.

Why not? Washington wants to get rid of the communist regime before allowing peace to prevail on the peninsula. No “one state, two systems” for Uncle Sam, by jingo! He wants one state that pledges allegiance to — guess who?

In the interim, the existence of a “bellicose” North Korea justifies Washington’s surrounding the north with a veritable ring of firepower in the northwest Pacific close enough to almost, but not quite, singe China. A “dangerous” DPRK is also useful in keeping Japan well within the U.S. orbit. It also is another excuse for once-pacifist Japan to boost its already formidable arsenal.

In this connection I’ll quote from a Feb. 15 article from Foreign Policy in Focus byChristine Hong and Hyun Le: “Framing of North Korea as the region’s foremost security threat obscures the disingenuous nature of U.S. President Barack Obama’s policy in the region, specifically the identity between what his advisers dub ‘strategic patience,’ on the one hand, and his forward-deployed military posture and alliance with regional hawks on the other. Examining Obama’s aggressive North Korea policy and its consequences is crucial to understanding why demonstrations of military might — of politics by other means, to borrow from Carl von Clausewitz — are the only avenues of communication North Korea appears to have with the United States at this juncture.”

Here’s another quote from ANSWER Coalition leader Brian Becker:

“The Pentagon and the South Korean military today —and throughout the past year — have been staging massive war games that simulate the invasion and bombing of North Korea. Few people in the United States know the real situation. The work of the war propaganda machine is designed to make sure that the American people do not join together to demand an end to the dangerous and threatening actions of the Pentagon on the Korean Peninsula.

“The propaganda campaign is in full swing now as the Pentagon climbs the escalation ladder in the most militarized part of the planet. North Korea is depicted as the provocateur and aggressor whenever it asserts that they have the right and capability to defend their country. Even as the Pentagon simulates the nuclear destruction of a country that it had already tried to bomb into the Stone Age, the corporate-owned media characterizes this extremely provocative act as a sign of resolve and a measure of self-defense.”

And from Stratfor, the private intelligence service that is often in the know:

“Much of North Korea’s behavior can be considered rhetorical, but it is nonetheless unclear how far Pyongyang is willing to go if it still cannot force negotiations through belligerence.”

The objective of initiating negotiations is here taken for granted.

Pyongyang’s “bellicosity” is almost entirely verbal — several decibels too loud for our ears, perhaps — but North Korea is a small country in difficult circumstances that well remembers the extraordinary brutality Washington visited up the territory in the 1950s. Millions of Koreans died. TheU.S. carpet bombings were criminal. North Korea is determined to go down fighting if it happens again, but hope their preparedness will avoid war and lead to talks and a treatry.

Their large and well-trained army is for defense. The purpose of the rockets they are building and their talk about nuclear weapons is principally to scare away the wolf at the door.

In the short run, the recent inflammatory rhetoric from Kim Jong-un is in direct response to this year’s month-long U.S.-South Korea war games, which he interprets as a possible prelude for another war. Kim’s longer run purpose is to create a sufficiently worrisome crisis that the U.S. finally agrees to bilateral talks and possibly a peace treaty and removal of foreign troops. Some form of reunification could come later in talks between north and south.

I suspect the present confrontations will simmer down after the war games end. The Obama Administration has no intention to create the conditions leading to a peace treaty — especially now that White House attention seems riveted on East Asia where it perceives an eventual risk to its global geopolitical supremacy.

Jack A. Smith, editor of Activist Newsletter

Copyright © 2013 Global Research


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Washington’s lies exposed: Background to the Korean crisis


By Fred Goldstein on April 9, 2013

To listen to the U.S. government and the big business media talk about how the Pentagon is sending all its firepower to the north Pacific to protect Washington and its allies, you would think that the real threat in the world was the Democratic People’s Republic of Korea — north Korea — a country with 25 million people.

You would not know that the Pentagon colossus has 6,000 nuclear weapons and a war machine bigger and more powerful than the rest of the world’s militaries combined, with military bases in over 100 countries.

You might think that it was the DPRK that had 25 military bases in Mexico or Canada poised to invade the U.S., or that the DPRK has 1,000 nuclear missiles in the region capable of targeting every major city in the U.S. You might think the DPRK was carrying out war exercises on the U.S. border, with tens of thousands of troops practicing the invasion and occupation of Washington and the rest of the country.

Is Washington’s alarm caused by the DPRK air force flying nuclear-capable stealth bombers near the Canadian border, simulating nuclear bomb drops? Are the DPRK’s naval forces carrying out exercises with missile ships, amphibious landing vehicles, destroyers and anti-missile defense systems in the Chesapeake Bay, practicing for landing and occupation?

Nope. It’s just the other way around.

The Pentagon has sent its forces halfway around the world to waters and land surrounding the DPRK. They are doing all the above, “practicing” for the destruction of the DPRK and the overthrow of its socialist government.

In an article entitled “North Korea May Actually Think a War Is Coming,” cnbc.com, no friend of the DPRK, on Feb. 22 refuted the idea that the leadership of the DPRK is just drumming up war and/or imagining things.

U.S. escalated war exercises

The article pointed out that the DPRK’s military defensive activities have been driven by reality. For example:

“The first joint military exercises between the U.S. and South Korea since the death of Kim Jong-il suddenly changed their nature, with new war games including preemptive artillery attacks on North Korea.

“Another amphibious landing operation simulation took on vastly larger proportions following Kim Jong-il’s death.”  The sheer amount of equipment deployed was amazing: 13 naval vessels, 52 armored vessels, 40 fighter jets and 9,000 U.S. troops.

“South Korean officials began talking of Kim Jong-il’s death as a prime opportunity to pursue a regime-change strategy.

“South Korea unveiled a new cruise missile that could launch a strike inside North Korea and is working fast to increase its full-battery range to strike anywhere inside North Korea.

“South Korea openly began discussing asymmetric warfare against North Korea.

“The U.S. military’s Key Resolve Foal Eagle computerized war simulation games suddenly changed, too, simulating the deployment of 100,000 South Korean troops on North Korean territory following a regime change.

“Japan was brought on board, allowing the U.S. to deploy a second advanced missile defense radar system on its territory and the two carried out unprecedented war games.

“It is also not lost on anyone that despite what on the surface appears to be the U.S.’ complete lack of interest in a new South Korean naval base that is in the works, this base will essentially serve as an integrated missile defense system run by the U.S. military and housing Aegis destroyers.”

Success of DPRK nuclear tests threw off imperialist war plans

So the plan to overthrow the government of the DPRK has been in the works since the death of the previous leader of the country, Kim Jong Il, in 2012. This was regarded as an opening by U.S. imperialism, its south Korean puppet regime and its imperialist allies in Tokyo to seize the DPRK by military force and reunify the country on a capitalist basis.

They have been actively planning this for months. But the DPRK’s successful tests of nuclear weapons and a missile delivery system in February of this year threw off the plans of the unholy Pentagon-created alliance of Washington, Tokyo and Seoul, which then drastically escalated the level of their menacing joint war “games.”

It is perfectly clear from these circumstances why the Workers’ Party of Korea in its March plenum of this year declared that the DPRK has “a new strategic line on carrying out economic construction and building nuclear armed forces simultaneously under the prevailing situation.” (www.kcna.co, March 31)

Nuclear deterrent not a ‘bargaining chip’

The KCNA release stressed that “the party’s new line is not a temporary countermeasure for coping with the rapidly changing situation but a strategic line. …

“The nuclear weapons of Songu Korea are not goods for getting U.S. dollars and they are neither a political bargaining chip nor a thing for economic dealings to put on the table of negotiations aimed at forcing the DPRK to disarm itself. …

“The DPRK’s nuclear armed forces represents the nation’s life, which can never be abandoned as long the imperialists and nuclear threats exist on earth.”

There were many very important resolutions passed at the Party’s plenary session on the economic development of the country, including developing light industry, agriculture and electrification. But the central resolution has served notice on Washington, the U.N. Security Council, Tokyo and Seoul that the DPRK is not willing to re-enter the U.S.-sponsored “negotiating process” of maneuver and deceit, whose guiding aim since 1994 has been to keep the DPRK from gaining any type of nuclear capability while Washington builds up its military forces in the region.

1994 Agreed Upon Framework and U.S. deception

Washington claims to be acting in “defense,” but it is because of actions by the Pentagon that the DPRK has had to develop a nuclear deterrent.

In 1994, after the Clinton administration went to the brink of war against the DPRK, Washington and Pyongyang signed the Agreed Upon Framework, under which the DPRK was to refrain from nuclear development and Washington would end economic sanctions, contribute financial aid, aid to agricultural development, would build light water nuclear reactors to provide electricity and would provide fuel oil until the reactors were completed and operating. Tokyo and Seoul were supposed to participate in the project.

The two countries were pledged to a nonhostile relationship and to the normalization of relations.

Clinton only agreed to the Framework because the USSR had collapsed, the DPRK’s legendary founder Kim Il Sung had just died in 1994, and Washington was expecting the government and the socialist system  to collapse long before the agreement was to be carried out.

But the years passed and the DPRK survived under the leadership of Kim Jung Il, despite all the hardships caused by the collapse of the USSR and natural disasters that threatened the food supply. Neither the government nor the socialist system collapsed, due both to the leadership and to the determination of the masses to withstand all the difficulties they faced.

The U.S. sanctions were not ended; the fuel oil lagged far behind in delivery, through cold winters; no work was done on the light water reactors. Yet the DPRK kept its end of the bargain and refrained from nuclear development, both peaceful and military.

Meanwhile, Washington continued with “war games” in the south,  reorganizing its forces in the region to be in a better defensive and offensive military position. The DPRK watched the U.S. nuclear monster getting more and more threatening.

‘Axis of Evil’ threats

In January 2002, President George W. Bush declared that the DPRK was part of an “axis of evil” along with Iraq and Iran. Members of this supposed “axis of evil” were subject to preemptive U.S. military attack. In its Nuclear Posture Review later that year revising U.S. nuclear policy, the Bush administration declared that the DPRK , among others, could be subject to a first strike nuclear attack.

So much for “nonhostile” relations.

The light water nuclear reactors that were fundamental to the agreement were supposed to have been operational by 2003. But they were not started until August 2002 and were abandoned at the end of the year, when the U.S. tried to frame up the DPRK with false charges that it was developing nuclear fuel.

Due to the betrayal of the U.S., the Agreed Upon Framework collapsed by 2003. The DPRK withdrew from the Nuclear Non-Proliferation Treaty and embarked upon its own nuclear development. But it had lost almost a decade of development of a nuclear military deterrent, while the military threats to its existence increased. Washington had bombed Iraq and overthrown its government. It was threatening Iran. Developing a deterrent became urgent.

Even after this record of betrayal, the DPRK agreed to six-party talks in 2003 that also involved China, the U.S., Japan, Russia and south Korea.  Under pressure, the DPRK in 2005 once again agreed to suspend its nuclear development in retur

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