Informazione


(In english: Manufacturing Failed States - by Edward S. Herman, Z Magazine, september 2012
En francais: Produire des « Etats Ratés » - par Ed Herman, Z Magazine, septembre 2012
http://www.michelcollon.info/Produire-des-Etats-Rates.html?lang=fr 
or http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7440 )

http://www.resistenze.org/sito/os/mp/osmpci24-011565.htm

Traduzione dal francese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare 
 
Produrre Stati falliti
 
di Ed Herman (*)
 
09/09/2012
 
Durante la guerra del Vietnam, sopra l'ingresso di una base americana si poteva leggere: "Killing is our business, and business is good" (Uccidere è il nostro mestiere e gli affari vanno bene"). E in effetti, gli affari andarono molto bene in Vietnam (così come in Cambogia, Laos e Corea), dove si contarono a milioni i civili uccisi. In realtà gli affari si mantennero buoni, anche dopo la guerra del Vietnam.
 
I massacri sono continuati in tutti i continenti, sia direttamente che tramite "proxies" [mercenari], ovunque la "sicurezza nazionale" degli Stati Uniti bisognasse di basi, guarnigioni, assassini, invasioni, campagne di bombardamenti o di sostenere regimi assassini e autentiche reti terroristiche transnazionali, in risposta alla "minaccia terroristica" che continua a sfidare il povero "pietoso gigante". Nel suo eccellente libro sull'ingerenza degli Stati Uniti in Brasile (United States Penetration of Brazil, Pennsylvania University Press, 1977), Jan Knippers Black aveva dimostrato già anni fa, come l'accezione sorprendentemente elastica del concetto di "sicurezza nazionale" può essere estesa, in funzione di quale nazione, quale classe sociale o istituzione si riferisca. Al punto che proprio "coloro la cui ricchezza e potere dovrebbe in linea di principio garantire la sicurezza, sono quelli maggiormente paranoici e che, con i loro frenetici sforzi per garantire la propria sicurezza, generano loro stessi la loro propria [parziale] distruzione". (La sua opera affrontava il pericolo di sviluppare una democrazia sociale in Brasile nel 1960, e la sua repressione attraverso il sostegno degli Stati Uniti alla controrivoluzione e all'instaurazione di una dittatura militare). Aggiungete a ciò la necessità per gli imprenditori legati al complesso militare-industriale di promuovere le missioni per giustificare un aumento dei bilanci della difesa e la piena cooperazione dei mass media a questa attività, e otterrete una realtà terrificante.
 
In realtà il suddetto gigante falsamente paranoico si è impegnato a capofitto nella produzione di pretesti per credibili minacce, soprattutto dopo il crollo dell'"impero del male", che il paese aveva sempre sostenuto di "contenere". Grazie a dio, dopo alcuni tentativi episodici di focalizzare l'attenzione sul narco-terrorismo e sulle armi di distruzioni di massa di Saddam Hussein, il terrorismo islamico è caduto dal cielo per offrire alla defunta minaccia un degno successore, derivante naturalmente dall'ostilità del mondo arabo alle libertà americane e dal suo rifiuto di consentire la possibilità a Israele di negoziare la pace e risolvere pacificamente i suoi disaccordi con i palestinesi.
 
Oltre a rendere più efficaci i massacri e il soldo dei mercenari che ne deriva, gli Stati Uniti sono diventati de facto il più maggior produttore di Stati falliti, su scala industriale. Per Stato fallito, intendo uno Stato che, dopo esser stato schiacciato militarmente o reso ingovernabile a causa di una destabilizzazione politica o economica che lo getti nel caos, ha quasi sicuramente perso la capacità (o il diritto) di ricostruirsi e di soddisfare le legittime aspirazioni dei suoi cittadini. Naturalmente, questa abilità degli Stati Uniti non nasce ieri: come dimostra la storia di Haiti, della Repubblica Dominicana, di El Salvador, del Guatemala o degli Stati dell'Indocina, dove i massacri hanno funzionato così bene. Inoltre, abbiamo visto di recente una recrudescenza incredibile nella produzione di Stati falliti, di tanto in tanto senza ecatombe, come ad esempio nelle repubbliche ex-sovietiche e in tutta una serie di paesi dell'Europa dell'est, dove la riduzione dei salari e l'aumento vertiginoso del tasso di mortalità sono frutto diretto dalla "terapia d'urto" e del saccheggio generalizzato e semi-legale dell'economia e delle risorse, da parte di élite sostenute dall'Occidente, ma anche più o meno organizzate e sostenute a livello locale (privatizzazioni a tutto campo, corruzione a livelli esorbitanti).
 
Un'altra cascata di Stati falliti origina dagli "interventi umanitari" e dai cambi di regime guidati dalla NATO e dagli Stati Uniti in modo più aggressivo che mai dopo il crollo dell'Unione Sovietica (vale a dire dopo la scomparsa di una "forza di contenimento" estremamente importante anche se molto limitata). Qui, l'intervento umanitario in Jugoslavia è servito da modello. Bosnia, Serbia e Kosovo sono diventati Stati falliti, altri sono usciti stremati, tutti assoggettati all'Occidente o alla sua pietà: una base militare statunitense monumentale è sorta da subito in Kosovo, eretta sulle rovine di quello che un tempo era uno Stato socialdemocratico indipendente. Questa bella dimostrazione di merito per l'intervento imperialista ha inaugurato la produzione di una nuova serie di stati falliti: Afghanistan, Pakistan, Somalia, Iraq, Repubblica Democratica del Congo, Libia, mentre oggi è in corso un programma simile in Siria e un altro si appresta per la gestione della cosiddetta "minaccia iraniana", nel tentativo di far rivivere i giorni felici della dittatura filo-occidentale dello Shah.
 
Questi fallimenti programmati hanno di solito in comune i segni caratteristici della politica imperiale e una proiezione di potenza dell'impero. Il copione prevede: la comparsa e/o legittimazione (o riconoscimento ufficiale) di una ribellione etnica armata che si atteggia a vittima, la quale conduce contro le autorità del proprio paese azioni terroristiche volte a provocare apertamente una reazione violenta da parte delle forze governative e che invoca immancabilmente le forze dell'impero a soccorrerla. Mercenari stranieri vengono generalmente assoldati per aiutare i ribelli, mercenari e ribelli indigeni vengono armati, addestrati e sostenuti logisticamente dalle potenze imperiali. Queste ultime si impegnano a incoraggiare e sostenere le iniziative dei ribelli il tanto per giustificare la destabilizzazione, i bombardamenti e, infine, il rovesciamento del regime bersaglio.
 
Il processo è stato eclatante durante tutto il periodo dello smantellamento della Jugoslavia e nella produzione di Stati falliti che seguirono. Le potenze della NATO, mirando alla disgregazione della Jugoslavia e al crollo della sua componente più importante e indipendente, vale a dire la Serbia, hanno incoraggiato alla ribellione gli elementi nazionalisti delle altre repubbliche della federazione, per le quali il sostegno o l'impegno militare della NATO sul terreno era un fatto acquisito. Il conflitto fu lungo e virò verso la pulizia etnica, ma per quanto concerne la distruzione della Jugoslavia e la produzione di Stati falliti, fu un successo (vedi Herman e Peterson, The Dismantling of Yugoslavia, Monthly Review, ottobre 2007). Stranamente, è con l'approvazione e la collaborazione dell'amministrazione Clinton e dell'Iran che si importarono tra gli altri mercenari, degli elementi di Al Qaeda in Bosnia e poi in Kosovo, per aiutare a combattere il paese obiettivo: la Repubblica di Serbia. Ma Al-Qaeda appariva anche tra le fila dei "combattenti per la libertà" impegnati nella campagna di Libia, ed è anche un componente riconosciuto (ora perfino dal New York Times, anche se con un po' di ritardo) del cambiamento di regime programmato in Siria (Rod Nordland, Al Qaeda Taking Deadly New Role in Syria Conflict»New York Times, 24 luglio 2012). Certo, Al Qaeda era precedentemente stata al centro del cambiamento di regime in Afghanistan [1996] e un elemento chiave nella svolta dell'11 settembre (Bin Laden, capo dei ribelli sauditi di primo piano, dapprima sostenuto dagli Stati Uniti, si sarebbe poi rivoltato contro di loro, da cui venne demonizzato ed eliminato).
 
Questi programmi comportano sempre una gestione sapiente delle atrocità, che permette di accusare il governo aggredito di aver commesso atti di violenza gravi contro i ribelli e i loro sostenitori, così da demonizzarlo efficacemente per giustificare un intervento massiccio. Questo metodo ha avuto un ruolo fondamentale durante le guerre di dissoluzione della Jugoslavia, e probabilmente ancora di più nella campagna di Libia e di quella in Siria. E' un metodo che deve molto anche alla mobilitazione delle organizzazioni internazionali che sono attivamente coinvolte in questa demonizzazione denunciando le atrocità attribuite ai leader riconosciuti, perseguendoli e condannandoli penalmente. Nel caso della Jugoslavia, il Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia (ICTY), istituito dalle Nazioni Unite, ha lavorato mano nella mano con le potenze della NATO per assicurare che la sola messa in stato d'accusa delle autorità serbe fosse sufficiente a giustificare qualsiasi azione che gli Stati Uniti e la NATO avessero deciso di intraprendere. Esempio mirabile di questa meccanica, la messa in stato di accusa di Milosevic da parte del Procuratore del ICTY, lanciata proprio quando (nel maggio 1999) la NATO decideva di bombardare deliberatamente le infrastrutture civili serbe per accelerare la resa della Serbia, bombardamenti che costituivano crimini di guerra condotti in piena violazione della Carta delle Nazioni Unite. Eppure fu proprio il processo a Milosevic che permise ai media di distogliere l'attenzione pubblica dagli abusi illegali della NATO.
 
Allo stesso modo, alla vigilia dell'attacco alla Libia da parte della NATO, il procuratore della Corte penale internazionale (CPI) si affrettò a promuovere un'azione giudiziaria contro Muammar Gheddafi senza aver mai chiesto un'indagine indipendente, rendendo di pubblico dominio che la Corte penale internazionale non aveva perseguito nessun altro che i leader africani non allineati con l'Occidente. Questo modo curioso di "gestione della legalità" è una risorsa preziosa per i poteri imperiali ed è estremamente utile in un contesto di cambiamento di regime, come nella produzione di Stati falliti.
 
Sono anche coinvolte delle organizzazioni umanitarie o di "promozione della democrazia" apparentemente indipendenti, come Human Rights Watch, l'International Crisis Group e l'Open Society Institute, che regolarmente si uniscono alla processione imperiale, facendo l'inventario dei soli crimini correlati al regime obiettivo e ai suoi dirigenti: cosa che contribuisce in modo significativo alla polarizzazione dei media. L'insieme consente di creare un ambiente morale favorevole a un intervento più aggressivo in nome della difesa delle vittime.
 
Poi si aggiunge che, nei paesi occidentali, le denunce o le accuse di atrocità - che rafforzano le immagini di vedove in lutto e rifugiati indigenti, le prove apparentemente attendibili di abusi odiosi e l'emergere di un consenso attorno alla "responsabilità di proteggere" le vittime del conflitto - commuove profondamente gran parte dei circoli di sinistra e libertari. Molti di loro vengono ad ululare con i lupi contro il regime bersaglio, ed esigono l'intervento umanitario. Gli altri in genere sprofondano nel silenzio, certo perplesso, ma pregno soprattutto della paura di essere accusati di sostenere il "dittatore". L'argomento degli interventisti è che, a costo di apparire sostenitori dell'espansionismo imperialista, talvolta occorre fare un'eccezione se le cose sono particolarmente gravi e se tutti sono indignati e chiedono un intervento. Ma bisogna, per dimostrarsi autenticamente di sinistra, tentare una micro-gestione degli interventi per contenere l'attacco imperiale, esigendo per esempio che ci si attenga all'interdizione di una no-fly zone come in Libia.
 
Ma gli Stati Uniti stessi non sono che un caso, dei peggio riusciti, di produzione di tali Stati falliti. Ovviamente, nessuna potenza straniera li ha mai schiacciati militarmente, ma la base della sua popolazione ha pagato un tributo pesante al sistema di guerra permanente. Qui, l'elite militare, così come i suoi alleati nel mondo dell'industria, della politica, della finanza, dei media e gli intellettuali, hanno contribuito ampiamente ad aggravare la povertà e il disagio generalizzato dovuto alla disintegrazione dei servizi pubblici e all'impoverimento del paese; la classe dirigente, paralizzata e compromessa, è incapace di rispondere adeguatamente alle esigenze e alle aspettative dei suoi cittadini, nonostante il costante aumento della produttività pro capite del PNL. Le eccedenze sono completamente dirottate verso il sistema di guerra permanente e dal consumo e l'arricchimento di una piccola minoranza, che lotta in modo aggressivo per realizzare la captazione non solo delle eccedenze, ma fino al trasferimento diretto delle entrate, delle proprietà e dei diritti pubblici della stragrande maggioranza dei suoi concittadini (in difficoltà). In quanto Stato fallito, come in molti altri campi, gli Stati Uniti sono una nazione senza dubbio d'eccezione!

 
(*) Edward S. Herman è professore emerito di Finanza alla Wharton School, University of Pennsylvania. Economista e analista di media di fama internazionale, è autore di numerosi libri tra cui:Corporate Control, Corporate Power (1981), Demonstration Elections (1984, con Frank Brodhead), The Real Terror Network (1982), Triumph of the Market (1995), The Global Media (1997, con Robert McChesney), The Myth of The Liberal Media : an Edward Herman Reader (1999) e Degraded Capability : The Media and the Kosovo Crisis (2000). La sua opera più nota, Manufacturing Consent (con Noam Chomsky), pubblicata nel 1988, è stata ristampata negli Stati Uniti nel 2002 e nel 2008 nel Regno Unito.



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INIZIATIVE SEGNALATE

1) Milano e dintorni 1-7/10: Appuntamenti con Paul POLANSKY 
2) Guastalla (RE) 6/10: Iniziativa con G. SCOTTI a vent'anni dallo scoppio della guerra in Bosnia
3) Padova 9/10: Videoproiezione in esterni su Bogdan BOGDANOVIĆ


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Milano e dintorni 1-7/10: Appuntamenti con Paul POLANSKY

 POESIA PER RESTARE UMANI

PAUL POLANSKY: Arrivato dagli States in Spagna quasi 50 anni fa per scappare alla guerra del Vietnam, girerà l'Europa alla ricerca delle sue radici vichinghe, diventando un personaggio tanto famoso quanto scomodo: la voce dei dimenticati.
Giornalista, poeta, scrittore, fotografo, regista e antropologo di fama internazionale, ma anche ex pugile e giocatore di football americano...
Agli inizi degli anni '90 inizia un lungo percorso di ricerca sulle origini della propria famiglia, durante il quale scopre docum
enti che permettono di riportare alla luce l'esistenza del campo di concentramento di Lety, in Repubblica Ceca, che oggi è un allevamento di maiali. Le testimonianze raccolte lo rendono inviso al governo ceco.
Nel 1999 viene ingaggiato dalle Nazioni Unite e inviato nel Kosovo come intermediario tra le istituzioni e i gruppi rom perseguitati. Lotterà per 11 anni perché i Rom, cacciati dagli estremisti albanesi, possano uscire dai campi profughi, costruiti su terreni altamente inquinati da piombo e metalli pesanti.
Nel 2004 è insignito del premio Human Rights Award, consegnatogli direttamente da Günter Grass. Nel 2005 il suo film-documentario Gipsy Blood, visibile su youtube, è premiato al Golden Wheel International Film Festival di Skopje.
Attualmente risiede a Nish, in Serbia, dove prosegue la sua attività per i diritti umani, tramite l'associazione Kosovo Roma Refugee Foundation.

SETTIMANA MILANESE

* 1 ottobre Ore 21.00 Reading presso CAM Ponte delle Gabelle, via san Marco 45 (ingresso libero).
* 2 ottobre Ore 21.00 Reading presso circolo "Via d'Acqua", viale Bligny 84 PAVIA (ingresso con tessera Arci ed offerta libera a sostegno per l'iniziativa)
* 3 ottobre Ore 16.00 visita agli insediamenti rom in zona Cavriana-Forlanini. Ore 21.00 Reading presso Libreria Popolare in via Tadino 18 (ingresso libero).
* 4 ottobre Pomeriggio (orario da definire): visita al villaggio rom di via Idro, seguita da Reading alle ore 21.00 (ingresso libero). Alle 20.00 sarà possibile cenare al Social Rom (CENA SOLO SU PRENOTAZIONE, 347-717.96.02 oppure info@...).
* 5 ottobre Pomeriggio (orario da definire): visita al campo sinti Terradeo a Buccinasco. Ore 21.00 Reading a Corsico presso la Biblioteca comunale di via Buonarroti n. 8 (ingresso libero).
* 6 ottobre Pomeriggio (orario da definire): visita al campo di Monte Bisbino (Milano-Baranzate).
* 7 ottobre Ore 21.30 Reading all'enoteca Ligera via Padova 133 (ingresso libero).

Organizzano: LA CONTA di Milano, ApertaMente di Buccinasco, FAREPOESIA di Pavia e Mahalla con il concorso delle comunità rom e sinte locali - per informazioni: 347-717.96.02 oppure info@...

(pagina Facebook: http://www.facebook.com/events/306574316116547/ )


=== 2 ===

Sabato 6 Ottobre
Guastalla (RE), Chalet lido Po ore 21,00

Don’t Forget ( non dimenticare )

A Vent'anni dallo scoppio della guerra in Bosnia

iniziativa organizzata dall'associazione MirniMost di Guastalla RE - www.mirnimost.org

Interverranno:

Giacomo Scotti - giornalista del Manifesto, scrittore, poeta, attivista dei diritti umani

Jasna Jugo - cittadina di Mostar, ha vissuto il periodo della guerra fratricida. Di religione mussulmana, con la sua associazione KOS opera a favore delle vittime della guerra

Sejla Hodzic - project manager, lavora per associazioni di volontariato

La città di Mostar è situata nel cuore dell’Erzegovina, sulle rive del fiume Neretva, uno dei corsi d’acqua più belli della Jugoslavia: scorre tra vallate e si getta nell’Adriatico. Il fiume con le sue acque azzurre ha ispirato numerose leggende e favole popolari, poeti e scrittori... Attualmente la popolazione è di 126.000 abitanti, di cui il 60% croati (di religione cattolica), meno del 40% bosgnacchi (di religione mussulmana); a queste si aggiungono minoranze etniche tra cui quella serba (di religione ortodossa) e rom (di religione mussulmana).
Mostar prima della guerra veniva chiamata “la rossa“ per l’importante contributo dato dai suoi cittadini alla resistenza partigiana del Maresciallo J.B.Tito contro l’esercito invasore Nazi- Fascista appoggiato dagli Ustasca di Ante Pavelic - il regime sanguinario (con campi di sterminio come Jasenovac ) dello stato fantoccio croato.
La composizione della popolazione prima della guerra degli anni '90 era: 34 % mussulmani, 33% croati, 18 % serbi, più un 12 % che si dichiaravano jugoslavi, non appartenenti a nessuna etnia. Vi era una percentuale altissima di matrimoni misti...
Mostar è stata una delle città martiri della guerra degli anni '90. Il suo ponte ottomano era un simbolo di convivenza che doveva perciò essere distrutto...


=== 3 ===

Passaggi artistici
Il contemporaneo nei luoghi storici - Porte e bastioni di Padova

Martedi 9 ottobre ore 21

Porta San Giovanni
Viaggio nella Memoria di un paese che non c'è più con Bogdan BOGDANOVIĆ

Videoproiezione in esterni di Bruno Maran


Dall’ambito di un uso militare al passaggio controllato delle merci e delle persone, dalla chiusura difensiva all’apertura al via vai quotidiano, le porte delle città hanno svolto molteplici funzioni. Emerge pertanto la volontà e la necessità di conservare le nostre città anche attraverso i loro simboli, per evitare che esse sprofondino in un tetro anonimato, in un'abitudine visiva foriera di un annullamento delle loro caratteristiche peculiari.
Oggi diventano il proscenio per una installazione visiva: una proiezione sulla facciata della porta medioevale di un video fotografico, che ripercorre un “viaggio nella Memoria” attraverso le opere di Bogdan Bogdanović. Dalla memoria di un passato, più o meno vicino, al nostro presente a ricordare che tutti gli edifici storici hanno un valore intrinseco, che può essere utilizzato per conoscere oltre alla loro storia anche la Storia dei nostri tempi. Memoria, che si rifà alle opere dell’architetto Bogdan Bogdanović, che, con la sua straordinaria creatività, ha realizzato grandi monumenti rievocativi della Storia e degli eventi fondanti lo Stato socialista jugoslavo, ormai scomparso, con sempre vivo il pensiero del presente.

www.artcontroluce.it
http://padovacultura.padovanet.it - info 049 8204546

In caso di maltempo l'evento si svolgerà all'interno della Porta

(pagina Facebook: http://www.facebook.com/events/283662701743208/ )



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(english / italiano)

UNITA' E FRATELLANZA

I soldati di tante diverse repubbliche jugoslave si sono ritrovati insieme fianco a fianco... in Afghanistan la scorsa settimana, quando un elicottero dell'esercito croato ha prelevato e portato in salvo 38 di loro, provenienti da Croazia, Macedonia, Montenegro e Bosnia (ed anche alcuni albanesi) per sottrarli all'ira dei locali che protestavano contro il film blasfemo su Maometto. L'operazione di salvataggio da una base di Kabul accerchiata verso un'altra a Bagram è stata compiuta dall'elicottero croato anziché dagli USA, che hanno così evitato di correre il pericolo di un abbattimento per salvare la vita a soldati non statunitensi bensì balcanici, per loro quindi pura carne da macello.

http://www.novinite.com/view_news.php?id=143401

Sofia News Agency - September 20, 2012

Croatian Army Rescues Balkan Soldiers from Afghanistan

A helicopter unit of the Croatian army has rescued 38 beseiged soldiers from different Balkan countries in Afghanistan, writes the Croatian paper Jutarnji List Thursday.
The drama unfolded on Tuesday amidst boiling tensions around the "Innocence of Muslims" film that provoked the ire of Muslims in various countries, who saw it as insulting to the Prophet Mohammed.
The 38 soldiers from Croatia, Macedonia, Montenegro, Bosnia and Herzegovina, and Albania had to be transported from a base in Kabul to Bagram Air Base.
The servicemen were blocked by rioting protesters in their base and the Croatian unit was the only one that was ready to respond, after helicopters from the US and elsewhere were banned from flying in.
...

[source: Stop NATO e-mail list http://groups.yahoo.com/group/stopnato/messages ]




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(un articolo di J. Tkalec sulla crisi in Italia)


ITALIJA: POLITIKA SPALJENE ZEMLJE


Posted by Novi Plamen on September 19, 2012

”Udar na industrijsku kičmu Italije nikada nije bio jači. Neki ekonomisti govore da je situacija usporediva s onom kad je Italija izgubila II svjetski rat i bila poharana od Nijemaca i od bombi. Najveća željezara u toj zemlji, kao i u ovom dijelu Evrope zatvara se s pravom, jer je godinama trovala ne samo svoje radnike nego i građane Taranta, lijepog južnjačkog gradića. U njoj rade tisuće radnika, koji se još nadaju u sanaciju problema i ozdravljenje tog industrijskog giganta, ali sudske odluke su svakog dana sve drastičnije, a tko da se bori protiv permanentnog trovanja ljudi? Radnici nemaju mnogo šta birati: crkavati od zagađenja ili od gubitka posla i izvora sredstava za život nije baš neka dilema…”

piše Jasna Tkalec

Oko rada, radničke klase, intelektualnih radnika odnosno svih onih koji žive od vlastitog rada, a ne od otetog, ukradenog ili opljačkanog bogatstva, vodi se politika spaljene zemlje. To je poznata ratna taktika, a primjenjivali su je nacisti u Sovjeskom Savezu i svugdje gdje je bio jak pokret otpora, kako bi se onima koji ne poginu od napada, oduzela svaka šansa preživljavanja. Osujetiti postojanje boraca na tom području i onemogućiti borbu. Baš to se ovih dana događa talijanskim radnicima i samoj Italiji. Uništiti industrijski i radni potencijal neke zemlje znači uništiti tu zemlju i to za više genracija.
Monti i njegovi ministri mogu govoriti što hoće – da spasavaju zemlju od bankrota ili da ista ne dođe u poziciju Grčke ili Španije: kad više ne bude u zemlji rada i radnog krvotoka, kolanja proizvoda kroz industrijsku mrežu zemlje, zar će se  zemlja «spasiti» propasti, čak i ako agencije za «rating» budu zadovoljene?
Udar na industrijsku kičmu Italije nikada nije bio jači. Neki ekonomisti govore da je situacija usporediva s onom kad je Italija izgubila II svjetski rat i bila poharana od Nijemaca i od bombi. Najveća željezara u toj zemlji, kao i u ovom dijelu Evrope zatvara se s pravom, jer je godinama trovala ne samo svoje radnike nego i građane Taranta, lijepog južnjačkog gradića. U njoj rade tisuće radnika, koji se još nadaju u sanaciju problema i ozdravljenje tog industrijskog giganta, ali sudske odluke su svakog dana sve drastičnije, a tko da se bori protiv permanentnog trovanja ljudi? Radnici nemaju mnogo šta birati: crkavati od zagađenja ili od gubitka posla i izvora sredstava za život nije baš neka dilema… Istovremeno štrajkaju posljednji rudari u zemlji, kopači ugljena na Sardiniji, jer taj nije nikome više potrban. Sišli su i u jame na dubini od 400 metara ispod zemlje i prijete da će tamo ostati, dok se ne pronađe neko rješenje, ali izlaz iz situacije nije na pomolu, a oni s dinamitom u jamama, ipak će morat odustati i izići na površinu kao «suvišni ljudski materijal». Još je gora priča s tvornicom Alcoa na istom otoku, koja je proizvodila aluminij, strateški materijal, za jednu američku multinacionalnu firmu. Ali multinacionalka gubi novac, firma nije više rentabilna, nju se sudbina sardinskih radnika ne tiče. Firma odlazi tamo gdje će proizvodnja – od energije do ljudskog rada – biti jeftinija. Talijanska država, jer je u više navrata pokušavala da održi fabriku otvorenom, davala velike pozajmice firmi, još je oglobljena od EU,  budući da po liberalno-liberističkoj ideologiji, koja prevladava u toj evropskoj nad-državi u nastajanju, državi dopušteno isključivo donošenje zakona koji omogućuju slobodu poslovanja firmi, no ona se nikako ne smije miješati u rad i ili novčano pomagati poduzeća. Stoga je državi Italiji, kao i za premašenu proizvodnju mlijeka prije nekoliko godina, od strane EU naplaćena masna globa.

Maleno nije lijepo
A kako ni jedna nevolja ne dolazi sama, odjednom je došao u pitanje ne samo rad FIAT-ovih sukurzala na jugu zemlje, nego i rad i život matične fabrike automobila u Torinu. I ona se bori za vlastiti opstanak. U krizi se automobili malo kupuju, FIAT-ovi automobili se nikako ne prodaju, tvornica svaki dan stvara gubitke, a njen slavom ovjenčani manager Marchion jednostavno izjavljuje kako on ne može raditi gubeći novac, pa suvremenom Lingottu, ogromnom FIAT-ovom postrojenju u Torinu, koje je kroz cijelo dvadeseto stoljeće imalo ulogu protagoniste na  historijskoj sceni razvoja zemlje – naročito krajem pedesetih i šezdesetih godina minulog vijeka, kad se na sjever preselila sva radna snaga s juga zemlje – prijeti neslavan kraj. Postupno zatvaranje, ako ne i potpuni krah. Već se zatvorilo niz pratećih tvornica, koje su izrađivale izvjesne unutarnje dijelove automobila, pa su očajni radnici stalno na cesti, penju se na tornjeve ili se polijevaju benzinom i prijete da će se zapaliti, no ni to ne pomaže. Pokoji nesretnik, koji je to učinio, preminuo je u bolnici i oko toga ni mediji nisu dizali previše galame. Tim prije što primat smrtnih slučajeva nemaju nesreće na radu, sramno učestale u Italiji, već samoubojstva sitnih poduzetnika, vlasnika mikroindustrije sa sjevera zemlje, koja ipak čini 85% industrijskog tkiva zemlje. To su nevelike fabričice, koje su se razvijale kroz nekolikogeneracija, a koje ne mogu preživjeti krizu, jer su daleko neotpornije od krupnijih industrijskih pogona. U tome se Italija razlikuje od Francuske, čiji je najveći dio industrije u vlasništvu velikih kompanija. One kad zaglave uzrokuju ozbiljne nesreće, ali zaglavljuju teže. Porodične fabrike u krizi krahiraju i umiru kao muhe pred zimu, poričući nekadašnji razvikani slogan: «Maleno je lijepo». U prošlim vremenima te su manufakturne industrije, s velikim brojem vrlo marljivih i visoko osposobljenih zanatskih radnika, bile kupovane od strane velike industrije, naročito u sektoru prehrabenih proizvoda. Pa je fabriku vrlo cijenjene «nutelle» (marmelade od lješnjaka») Ferrero «pojela» poznata fabrika čokolade, sladoledarnice preuzela Nestle itd. Međutim industriju precizne mehanike nema tko kupi – u tom vidu nju više nitko ne treba. Visoka i stalno sve savršenija tehnologija preuzima ljudski rad i vještine ljudskih ruku. Čak je u Brazilu, koji je imao vrlo jeftinu radnu snagu, u automobilskoj industriji odavna primjećeno kako se rad mašina daleko više isplati od najjeftinijeg ljudskog rada. Zato se pomor fabričica i pogona nastavlja, a bez posla ostaju ne samo nekvalificirani ili nisko kvalificirani radnici, koji po mišljenju sadašnje vlade isuviše «emotivno» reagiraju, već i kognitivni radnici, visoko tehnološki obrazovana radna snaga, koja se bavi softwerima i sličnim.
Fabrika Nokia zatvara vlastiti pogon. Zapošljava isključivo inžinjere, stručnjake za elektroniku, njih nekoliko stotina. No firma namjerava izmjestiti fabriku u Portugal ili u istočnu Evropu. Inženjerima je jednostavno kazala: ukoliko sami dadnete otkaz, dobit ćete otpremninu. Ukoliko ne, dobit ćete otkaz, a za otpremninu se tužite na sudu… pa ako je dobijete… kroz kojih desetak godina… možda će se stvar riješiti. Čini se da je pogon Siemensa u južnoj Italiji izmislio daleko bolji način: odjednom je kazao svim zaposlenima uMessini na Siciliji (također tako zvanoj «kognitivnoj radnoj  snazi» t-tehničkoj inteligenciji) da za 10 dana moraju svi do jednog doći u Milano, u novi pogon pokraj željezničke stanice Lambrate. Tko ne dođe – gotovo je – ostaje bez posla. Kako u toj tvornici rade mnogi zaposleni po posebnom članu radnom zakonodavstva, koji favorizira osobe s invaliditetom ili kronično bolesne osobe, odnosno one koje imaju takve članove u porodici to je još ovakvo naglo premještanje još manje izvedivo, pogotovo ukoliko se uzme u obzir da je cijena stana u Milanu i do deset puta viša no u Messini. Zaposleni smatraju da se jednostavno radi o «kamufliranim otpuštanjima». Izmislim uvjet koji je za zaposlene neispunjuiv, pa ih zatim otpustim, jer nisu udovoljili zadanom uslovu. Jasno, čitavi advokatski timovi, koji se bave radnim ugovorima, upošljavanjem i otpuštanjem s gledišta profita poslodavaca i gazda, usavršili su «finte» obračunavanja sa zaposlenima… odnosno kako da ih se što prije riješe, kad im više ne trebaju, uz najmanji mogući trošak. To je pollitika «spaljene zemlje», koja je tim žešća što se svim silama nastoje izbaciti iz igre sindikati. Marchion je u FIAT-u zabranio sindikate: raspisao je referendum, koji je svaki radnik morao pojedinačno «izglasati», odnosno izjasniti se i potpisati, da pristaje na ovu točku radnog ugovora. Radnici su pognuli glave i potpisivali. Petoricu radnika najborbenijeg sindikata metalskih radnika, FIOM-a, jednostavno je izbacio s posla. Ni nakon sudske odluke FIAT-ova tvornica ih nije htjela ponovo uzeti na rad. Pustila ih je u pogone tek prije kojih mjesec dana, na osnovu odluke Vrhovnog suda. Izgleda da im je sreća i radost bila kratkog vijeka, jer će se pogoni u koje su ipak primljeni zatvoriti, a radnici FIAT-a i pratećih industrija definitivno mogu definitivno ostati bez posla.

Ne dajte da vas zavedu!
Osim ogromne ljudske tragedije, jer svi ti ljudi imaju porodice i djecu, to je kolosalno upropaštavanje stečenih vještina i znanja. Te hiljade inžinjera, specijaliziranih radnika ili radnika u pogonima posjedovali su znanje i vještine, koja nisu stekli u jedan dan. Za ovladavanje njima proliveno je mnogo znoja.  Koga to briga? Upotrebljena roba odlazi na odlagališta smeća. No šta uraditi s odlagalištima ljudi? S ljudima koji su postali višak i čija znanja treba baciti u smeće? Koliko će vještina, znanja, radnih sposobnosti i života ljudi poropasti zbog ove radne katastrofe zemlje? Kamo će ljudi, i najviše obrazovani, ukoliko su prevalili pedesetu? Njiih više nitko neće, a u Evropi i nemaju kud. Sindikati više nisu u stanju da ih brane, a Fornero, ministarka rada u novoj vladi, izjavljuje kako je rad privilegija, a ne nužno pravo, iako u ustavu zemlje piše upravo suprotno. Za privredni debakl zemlje Monti optužuje (kao zastarjelu i prevazeđenu, dakle kočnicu razvoja) Povelju o radnim pravima, koja je smatrana jednom od velikih civilizacijskih i radnih dostignuća. Sad sve to lijepo treba odbacutu i poreći, zalupiti vrata prošlosti i krenuti… kamo? Politika spaljene zemlje imala je za cilj da uništi otpor. Čini se da nije uspijevala, čak ni nacistima.
Masovno otpuštanje radnika, zatvaranje proizvodnih pogona, lomljenje proizvodnih snaga zemlje u cilju vrhovnog diktata tržišta odnosno kapitala na kraju krajeva ugrozit će, sasvim sigurno, i sam taj kapital. No ne znači da neće slomiti mnoge živote. I sama ideja o nepotrebnosti ljudskog rada i o neprikosnovenom komandnom položaju i apsolutnoj supremaciji tržišta, jednako je glupa i zločinačka, koliko i ideja o supremaciji rasa. No ovu bi se danas malo tko usudio braniti, dok je ona o tržišnoj supremaciji stekla popriličan broj pristaša. Prijevarne riječi i pohvalne nakane uglađene evropske birokracije i i librerala-liberista ne jamče sretan rasplet. Iza njih se kriju brutalne politike uništavanja ljudskog rada i ljudskog dostojanstva. Ne dajte da vas zavedu!


Da: comitatocontrolaguerramilano <comitatocontrolaguerramilano@...>
Data: 19 settembre 2012 19.59.40 GMT+02.00
Oggetto: I: ATTENZIONE LA MANIFESTAZIONE DI DOMANI E' SPOSTATA IN PIAZZA FONTANA ORE 18



ATTENZIONE!!! IL PRESIDIO E' STATO SPOSTATO IN PIAZZA FONTANA!!!!!

GIOVEDI' 20 settembre 2012 - ORE 18.00
PRESIDIO-MANIFESTAZIONE
GIÙ LE MANI DALLA SIRIA!
MILANO - PIAZZA FONTANA
"L'Italia ripudia la guerra come strumento d'offesa alla libertà degli altri popoli
e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali."
Costituzione della Repubblica Italiana - Art.11


Il Comitato contro la guerra Milano invita tutti i sostenitori del popolo siriano ad unirsi in una protesta forte e urgente per far sentire la propria voce in difesa della sovranità e dell'indipendenza siriana. Stanno continuando a giungere le adesioni di comitati e associazioni, alcune di carattere nazionale, all'iniziativa che vuole riaffermare il dettato costituzionale dell'articolo 11.

Poiché uomini italiani stanno agendo da tempo sul terreno siriano, così come nelle ultime ore sta emergendo anche attraverso trasmissioni televisive, il Comitato contro la guerra di Milano vuole dire con chiarezza al Governo che, con la violazione ormai evidente della sovranità della Siria, nessuna ipotesi ulteriore di escalation come la "no fly zone" può essere esaminata, senza doverla considerare un vero e proprio atto di guerra. Se a ciò si aggiunge che la signora Fornero ha invitato i disabili a farsi l'assicurazione privata, se si pensa alla questione degli esodati, se insomma si considera la situazione complessiva del nostro paese, si può ragionevolmente ritenere che, con disinvoltura, siamo già all'interno del conflitto siriano attraverso l'appoggio nascosto che stiamo dando ad una parte dei belligeranti, e naturalmente molti non ne sono al corrente. È qui che si inserisce la parola d'ordine:

NON UN SOLDO PER LA GUERRA! GIÙ LE MANI DALLA SIRIA!

A fronte della pretesa mancanza di risorse vogliamo dire al governo di rinunciare alle idee di guerra di aggressione che si sentono già ventilare.

Noi lo faremo, insieme ai numerosi cittadini e organizzazioni che stanno aderendo al nostro appello, con il presidio-manifestazione di giovedì 20 settembre alle ore 18.00 in piazza FONTANA a Milano.

Per info e adesioni: comitatocontrolaguerramilano@... - http://comitatocontrolaguerramilano.blogspot.it/ -

cell. 3383899559


Rete No War saluta ed appoggia il presidio organizzato dal Comitato contro la guerra di Milano

Comunicato

È inammissibile e gravissimo che il mondo, soprattutto quello del pacifismo e di gran parte della sinistra, tentenni, fino all'immobilismo, di fronte ad una vera e propria invasione in atto in Siria - Paese sovrano - ad opera di forze straniere per nulla interessate alle sorti del popolo siriano, alla sua autodeterminazione, o alle sue richieste di maggiore democraticità.

Ci sono tanti modi per insanguinare un Paese. La guerra in Siria c'è già: l'ingerenza esterna da parte delle potenze occidentali e petromonarchiche hanno alimentato una devastante guerra per procura, con la fornitura di finanziamenti, armi, combattenti, consiglieri e appoggio diplomatico.Wikileaks ha messo in luce la presenza in Siria della quinta colonna USA diretta a destabilizzare e provocare la crisi del regime di Assad, già molti anni prima della cosiddetta Primavera araba.

Non stiamo negando l'esistenza in Siria di proteste popolari pacifiche iniziate nel 2011. Ma per capire le reazioni del governo siriano a quelle proteste, bisogna comprendere il contesto di destabilizzazione pluriennale in cui doveva agire.

I grandi media occidentali, per mesi e mesi hanno taciuto sulla presenza di guerriglieri armati mescolati tra le folle pacifiche, dipingendo un regime cruento che si accanisce sul suo stesso popolo. Cosi, ancora una volta i cittadini dell'Occidente si sarebbero convinti che bisognava intervenire per fermare il massacro.

Oggi quelle milizie anti-regime, in gran parte straniere, così imponenti da travolgere e surclassare l'opposizione pacifica siriana, ha trascinato il Paese in una guerra civile in cui nessuno sa, nemmeno l'ONU, quanti morti siano da addebitare all'esercito siriano e quanti ai ribelli armati.

La cultura della guerra non cerca la verità ma solo pretesti per poter procedere con il beneplacito di quelle forze politiche e sociali che tradizionalmente si mobilitavano per la pace e contro l'imperialismo.

Noi di Rete No War siamo impegnati in un lavoro che vuole smontare le menzogne e mettere in luce le omissioni dei grandi media, funzionali ad ogni intervento di guerra.

Sulla Siria, spingiamo affinché l'Italia ed il resto del mondo ascolti e sostenga il movimento di riconciliazione dal basso"Mussalaha", nato spontaneamente dalla società civile siriana e dal suo bisogno assoluto di pace. Mussalaha non accetta che il suo Paese venga dilaniato da una guerra confessionale e smembrato al suo interno. Vuole essere un tentativo del tutto siriano che conduca alla pacificazione, unica strada possibile per una pace autentica perché libera da ingerenze e pressioni esterne.

Rete No War saluta ed appoggia il presidio a S. Babila [ il presidio è stato spostato in Piazza Fontana] organizzato dal Comitato contro la guerra, di Milano, e si unisce a tutte le persone, collettivi, movimenti che oggi si trovano insieme in questa Piazza e che ancora credono nei principi di non ingerenza, sovranità territoriale ed autodeterminazione dei popoli come deterrenti imprescindibili della guerra, in ogni sua forma.



L'internazionalismo e la solidarietà fra i popoli sono la nostra arma contro le guerre imperialiste
Giù le mani dalla Siria!
Fuori i fascisti comunque camuffati dalle mobilitazioni antimperialiste!
Denunciamo la complicità e la subalternità della sinistra con l'elmetto !



La Rete dei Comunisti aderisce alla manifestazione "Giù le mani dalla Siria" indetta dal Comitato Contro la Guerra di Milano per il 20 settembre alle ore 18 in piazza San Babila.

Al tempo stesso mettiamo in guardia quanti si oppongono all'aggressione imperialista contro i popoli del Medio Oriente sull'opera d'infiltrazione delle forze neofasciste.
Forza Nuova, Eurasia, Fronte Sociale Nazionale hanno dato il loro strumentale contributo alla realizzazione della manifestazione sulla Siria il 20 settembre a Roma in piazza Montecitorio, insieme a parti della Comunità Siriana che vogliamo credere all'oscuro dell'appartenenza neofascista di alcuni oratori.
Quella dei neofascisti è un'operazione che distorce la realtà siriana e fornisce ulteriori elementi ai detrattori della mobilitazione contro l'aggressione al popolo siriano e del fronte di resistenza antimperialista.

Sosteniamo l'impegno del Comitato Contro la Guerra di Milano, che risponde all'appello "Giù le mani dalla Siria", firmato da oltre 40 strutture e organizzazioni della sinistra di classe e del pacifismo più coerentemente indipendente dal centro sinistra.
Come Rete dei Comunisti rilanciamo l'invito a partecipare alla riunione nazionale del 30 settembre a Roma in via Giolitti 231 alle ore 10, riunione che vuole essere un momento di confronto tra le diverse strutture che condividono l'appello "Giù le mani dalla Siria" rispetto allo scenario di guerra del Mediterraneo.


E' ormai evidente che la crisi economica sta incrementando la competizione all'interno e all'esterno delle aree valutarie europea e statunitense, delocalizzando la guerra e lo scontro nelle periferie produttive.
Il Mediterraneo, così strategico, è oggi uno dei teatri di questa lotta per l'accaparramento e il pieno sfruttamento delle risorse. In questo scenario si sono inserite le monarchie del Gulf Cooperation Council, Qatar, Oman e Arabia Saudita, che hanno investito i frutti del surplus petrolifero proprio nelle economie dei paesi del Medio Oriente e del Nord Africa.
Questo ha dato vita ad un processo che nel corso degli anni ha visto crescere e consolidarsi interessi economici e politici, tra le borghesie islamiche locali e i finanziatori di Riad, del Qatar, di Londra, di Roma e di Washington.
L'Islam politico rappresenta, in Tunisia, in Egitto e in Turchia, l'egemonia politica della borghesia locale, ognuna con un suo specifico modello di apertura al capitalismo. A entrare nella globalizzazione capitalista è il modello corporativo ed interclassista "islamico", che nega e sopprime le differenze di classe.
Con il discorso tenuto al Cairo il 4 giugno 2009, Obama ha avviato il processo di sdoganamento dell'Islam politico, riconoscendo in primo luogo la Fratellanza Musulmana e segnando la riapertura della storica alleanza con i network islamici che era entrata in crisi con l'invasione NATO dell'Afghanistan e con l'11 settembre.

Ma l'alleanza tra i diversi network islamici sostenuti dalle petromonarchie e gli imperialismi UE e USA è una coalizione conflittuale proprio perché al suo interno convivono interessi coincidenti e divergenze.

Tuttavia questa coalizione in una prima fase è riuscita a raccogliere una serie di significativi successi.
Grazie alla vittoria elettorale islamico sunnita, ha capitalizzato le proteste sociali e politiche delle rivolte arabe in Egitto e Tunisia, ha represso la rivolta popolare nel Bahrein, ha preso il potere a Tripoli, ha espulso dall'agenda politica la Palestina (cosa molto gradita agli USA e a Israele) e ora punta alla destabilizzazione della Siria e dell'Iran.
Questa fase sembrava rilanciare un Islam politico in grado di garantire un quadro politico stabile, utile alle relazioni commerciali e allo sfruttamento di risorse da parte delle imprese straniere.
Ma le proteste sociali e politiche non si sono mai fermate.
Da giugno a settembre di quest'anno, le città tunisine di Sfax, Sidi Buoazid e Monastir sono state percorse da scioperi e manifestazioni in difesa della laicità e contro le politiche economiche del FMI e del governo dell'islamica Al Ennahda. Lo stesso anche in Egitto, dove il governo Morsi si sta scontrando con una serie di scioperi e di proteste da parte di una popolazione che sente drammaticamente il peso della crisi economica.

Sono stati i recenti assalti alle ambasciate occidentali, con l'uccisione dell'ambasciatore statunitense a Bengasi, a rendere più evidente che innanzitutto la situazione è tutt'altro che pacificata; in secondo luogo, c'è un pezzo del network islamico, fortemente radicato nella società, in conflitto aperto con l'imperialismo occidentale; terzo, questo filone islamico "salafita" è in competizione violenta anche con la Fratellanza Musulmana e l'Islam politico moderato.

Lo scontro all'interno dell'alleanza tra imperialismi e Islam politico reazionario non nega la natura neocoloniale delle politiche dell'Unione Europea e degli USA, nè rende meno reazionario il progetto dell'Islam politico sunnita e wahabita.

Sul processo che sta ridisegnando in senso neocoloniale e reazionario l'area del Mediterraneo c'è il silenzio colpevole e complice della sinistra del primo mondo. La sinistra eurocentrica è talmente vile e collusa con le compatibilità del suo imperialismo che o giustifica apertamente gli interventi neocoloniali o lavora alla smobilitazione delle iniziative contro la guerra, dichiarando che non si possono difendere le dittature….. scomode all'occidente.

Questa complicità, o nel migliore dei casi subalternità, consente al governo Monti, attraverso il suo Ministro degli Esteri Terzi, di avere una politica aggressiva non solo contro la Siria e l'Iran ma contro i paesi che confliggono con gli interessi dell'UE.

Compagni,
nel momento in cui la competizione internazionale cresce, e le tensioni nel Mediterraneo sono una drammatica conferma, la classe dirigente italiana spinge per inserire sempre di più l'Italia nei meccanismi della NATO e del nascente esercito europeo, per giocare un ruolo da protagonista nella competizione internazionale; rilanciare la lotta contro la NATO e contro le aggressioni imperialiste è sempre più necessario.

La Rete dei Comunisti
www.retedeicomunisti.org

www.contropiano.org

L'articolo che segue, pur contenendo elementi interpretativi criticabili (il nuovo governo serbo definito di centrodestra come se il precedente fosse stato di centrosinistra, mentre vale casomai il contrario; l'uso acritico delle patenti di affidabilità per i governi, secondo una tipica concezione colonialista; e così via), è di notevole interesse in giorni in cui la stessa FIAT è al centro di polemiche in Italia per i suoi comportamenti  altrettanto sprezzanti. (a cura di IS)


Fiat e Serbia, a velocità moderata

Jacopo Corsini

12 settembre 2012

Ad agosto le prime auto prodotte sono arrivate in Italia. La nuova FIAT 500L è targata Serbia, ma non sono stati facili questi ultimi mesi di collaborazione tra l'industria torinese e i partner serbi. Una rassegna


Nel settembre del 2008 l’amministratore delegato della FIAT, Sergio Marchionne, e il ministro dell’Economia serbo, Mlađan Dinkić, firmarono un accordo di cooperazione che prevedeva investimenti per circa un miliardo di euro e la creazione di una Joint Venture, la Fijat Automobili Srbije (FAS), per i due terzi di proprietà della FIAT e per la parte restante di proprietà dello Stato serbo. FAS si impegnava a rilevare il patrimonio della Zastava, la gloriosa e famosa (almeno in Jugoslavia) industria automobilistica, in particolare il complesso produttivo situato nei pressi della città di Kragujevac, a 150 chilometri a sud di Belgrado, nella Serbia centrale.

Numerosi sono i vantaggi di cui ha goduto e gode ancora oggi il gruppo FIAT dalla cooperazione con la Serbia, in particolare sfruttando (come tante altre compagnie italiane) la politica del “red carpet” seguita per anni dal governo di Belgrado: bassa tassazione ed esenzione in alcuni campi, generosi incentivi fiscali, sostegno alle imprese che avrebbero creato occupazione, free tax zone. Generosi aiuti sono arrivati anche da Bruxelles in particolare dalla BEI, la Banca Europea per gli Investimenti, che erogò alcune centinaia di milioni di euro in favore della riqualificazione del complesso industriale Zastava a Kragujevac, seriamente danneggiata durante i bombardamenti NATO del 1999.

Da quel momento iniziarono gli investimenti e l’ammodernamento dell’impianto e nel marzo del 2012 la nuova 500L, ovvero una versione più “allungata” del modello 500, venne presentata al Salone internazionale dell’auto di Ginevra, alla presenza dell’amministratore delegato del gruppo torinese e del presidente serbo, il quale avrebbe giocato (come già fece nel 2008) la carta Kragujevac per attirare consensi (questa volta senza successo) in vista dell’imminente tornata elettorale di maggio.

Ad aprile fu lo stesso Marchionne che, apponendo la propria sigla con pennarello indelebile ad una delle prime 500L uscite dallo stabilimento serbo, disse: “Il fatto che abbiamo deciso di operare qui è il chiaro riconoscimento dell'affidabilità della Serbia”.

Da poche settimane è iniziata la produzione di massa e a metà agosto il primo carico di autovetture è stato imbarcato al porto montenegrino di Bar diretto verso Bari. Secondo i dati forniti dalla FIAT, ad oggi la capacità produttiva degli impianti di Kragujevac si aggira attorno alle 700 autovetture al giorno e si prevede di raggiungere la quota di 30.000 esemplari prodotti prima della fine del 2012 ed impiegare almeno 2.400 operai. Il prezzo di questa monovolume, destinata principalmente al mercato italiano, partirà da circa 15.500 € e sarà disponibile con tre diverse motorizzazioni: benzina 1.4 da 95 CV, Twinair 0.9 da 105 CV e diesel 1.3 Multijet da 85 CV.

Irritazione della Fiat ai ritardi della Serbia

Tutto sembra far pensare ad un “success case”, a un caso di successo di investimenti stranieri in Serbia che avrebbero portato nuova occupazione e una boccata d’ossigeno all’economia in affanno di questo Paese. Molti dubbi invece sono sorti negli ultimi mesi tra gli investitori stranieri, soprattutto dopo la vittoria della coalizione di centro destra alle elezioni di maggio. Le divergenze tra Torino e Belgrado sono state rese pubbliche dal quotidiano serbo Press, durante la prima metà di agosto. Secondo il giornale di Belgrado, mentre la FIAT stava rispettando gli impegni presi e regolarmente effettuando gli investimenti pianificati, il precedente governo serbo non aveva neppure iscritto a bilancio la prima tranche di 90 milioni di euro stabilita, su un totale di 200 milioni di investimenti previsti.

Ma i motivi di irritazione di Torino non finivano qua: fortissimi ritardi si stavano registrando anche nella costruzione di due nuovi tratti stradali, infrastrutture fondamentali per evitare che la piccola cittadina di Kragujevac vada in tilt quando la produzione dell’impianto sarà a pieno regime e per garantire il necessario trasporto di componenti e materiale da parte di decine di TIR giornalieri. E proprio da Kragujevac c’è chi soffiava sul fuoco, in particolare il suo primo cittadino, Verko Stevanović, il quale ha più volte dichiarato che la FIAT aveva tutto il diritto ad essere irritata col governo di Belgrado.

Il motivo principale di questi ritardi non sembrava essere una deliberata volontà politica da parte del nuovo governo serbo bensì le difficoltà economiche. Gli investimenti esteri in Serbia nel 2012 sono drasticamente diminuiti e la politica economica inaugurata dal nuovo esecutivo certamente non ha contribuito a migliorare la situazione. I primi di agosto il governatore della Banca Nazionale Serba è stato sostituito in quanto contrario ad assecondare i piani economici del presidente Nikolić mentre la stessa legge che regola il funzionamento dell’istituto centrale è stata stravolta per permetterne un ampio controllo politico da parte del parlamento. Le istituzioni finanziarie internazionali, da parte loro, si stanno mostrando sempre più reticenti a firmare nuovi accordi con Belgrado e pongono condizioni sempre più stringenti per la concessione di nuovi fondi.

Accordi e rassicurazione del nuovo governo

Lo scalpore suscitato da queste rivelazioni e l’irritazione registrata al di qua dell’Adriatico hanno dato i loro frutti: la settimana scorsa una delegazione guidata da Alfredo Altavilla, Head of Business Development Fiat S.p.A. e membro del Group Executive Council, ha incontrato a Belgrado il ministro dell’Economia Mlađan Dinkić, per cercare di trovare una soluzione condivisa. Alla fine, i delegati FIAT hanno accettato la proposta serba di dilazionare il pagamento in due tranche: la prima di 50 milioni da pagare entro quest'anno e i rimanenti 40 milioni nel 2013. Rassicurazioni sono state date anche riguardo le infrastrutture, in particolare riguardo gli ultimi chilometri mancanti dei nuovi tratti stradali necessari per garantire la regolare fornitura di materiali alle fabbriche di Kragujevac, i quali dovrebbero essere terminati rapidamente. A mettere la parola fine (per adesso) sulla questione ci ha pensato lo stesso Marchionne che si è recato il 4 settembre scorso in Serbia per una visita lampo agli impianti di Kragujevac dove ha incontrato il neo eletto Presidente Nikolić, in quello che è stato definito un normale incontro di routine per conoscere il nuovo esecutivo.

D'altronde Marchionne può solo rallegrarsi degli investimenti fatti in Serbia. Oltre agli incentivi elargiti dal governo di Belgrado, FAS ha ricevuto l’appoggio da parte dei sindacati i quali non hanno fatto troppe resistenze alla proposta del gruppo torinese di introdurre, per un periodo di prova di sei mesi, i nuovi turni giornalieri da 10 ore (e un giorno di riposo alla settimana in più), una “rivoluzione” decisa dal gruppo torinese al fine di aumentare la produttività. Ciò può essere spiegato facilmente dal fatto che oggi la disoccupazione in Serbia è endemica e costituisce il primo problema del Paese. Non sono mancate però le critiche: alcuni sindacati serbi hanno criticato l’accordo evidenziando quanto questo nuovo metodo possa diventare stancante e non più tollerabile quando la produzione avverrà a pieno regime.

Anche il ministro degli Esteri italiano, Giulio Terzi, aveva avuto occasione di tastare l’affidabilità della Serbia durante la visita a Belgrado di metà agosto. Diversamente da quanto ci si sarebbe potuto aspettare, al suo ritorno il ministro ha lanciato accorati incoraggiamenti a fare nuovi investimenti in Serbia, assieme ad affermazioni rassicuranti circa la grande affidabilità della nuova coalizione di governo di centro destra, la stessa che aveva sollevato non pochi timori in alcune cancellerie europee all'indomani dei risultati elettorali di maggio.

Dunque, nonostante la crisi, la mancanza di fondi e le nuove linee politiche di Belgrado, la Serbia continua ad essere considerata un interlocutore affidabile. Almeno fino a quando Belgrado continuerà a garantire condizioni economiche favorevoli agli investitori esteri.


Commenti
strategia
Venerdì, 14 Settembre 2012 09:00:01
milica

La Serbia deve pagare 200 milioni per 33% della fabbrica??????? E "bassa tassazione ed esenzione in alcuni campi, generosi incentivi fiscali, sostegno alle imprese che avrebbero creato occupazione, free tax zone". Ecco il motivo perchè il contratto con la Fiat era il segreto nazionale! Per pagare agli investitori stranieri la Serbia ha spremuto le PMI fino a perdere 680.000 posti di lavoro dal 2008 e 66.000 negli ultimi 6 mesi. Il risultato: lo stato sta facendo la bancarotta. Grande strategia economica!



CONTRO LA GUERRA SEMPRE! GIU' LE MANI DALLA SIRIA!  

GIOVEDI' 20
SETTEMBRE ore 18
PRESIDIO-MANIFESTAZIONE in Piazza S.BABILA  

E' in
atto una grande campagna di disinformazione fondata su menzogne per
farci accettare la partecipazione dell'Italia ad una aggressione
criminale contro un Paese sovrano come la Siria.   Le potenze della
NATO (Italia compresa) alleate alla monarchia dell' Arabia Saudita e
del Qatar, stanno cercando per motivi economici e geopolitici di
ridisegnare la mappa del Medio Oriente, questo non ha niente a che fare
con la "democratizzazione" come ci insegna la situazione in cui si
trovano Afghanistan, Iraq, Libia, dove ora regna povertà e violenza,
una grande parte della popolazione è morta o rimasta ferita sotto le
bombe, e tutto questo per arricchire alcuni Paesi dell'occidente come
durante il vecchio colonialismo.   Lo schema collaudato per raggiungere
questi obiettivi prevede la creazione del consenso popolare attraverso
la disinformazione in TV e sui giornali, per avvalorare la necessità di
un intervento armato dovuto a ragioni "umanitarie". Il cosiddetto
"intervento militare umanitario" ha sempre portato ad imponenti
violazioni dei diritti umani e all'azzeramento del fondamentale diritto
di autodeterminazione dei popoli.   Si mira ad insediare governi
fantoccio, come in Afghanistan o in Iraq, ancora più oppressivi dei
precedenti, anche contro le donne e le istanze di progresso,
l'importante è che siano leali e subordinati agli interessi
occidentali. Per ottenere questo risultato le potenze imperialiste
fomentano la violenza finanziando e armando i conflitti
interni  addirittura  inviando consiglieri militari, mercenari e
armamenti sofisticati.   Per la guerra all'IRAQ i cui motivi sono stati
completamente inventati sono morte centinaia di migliaia di civili
iracheni, si sono spesi centinaia di milioni di euro che avrebbero
dovuto essere spesi per la sanità, la scuola, i servizi sociali,  per
garantire il diritto alla casa e una vita più dignitosa per tutti.  


NON UN SOLDO PER LA GUERRA !  
"L'Italia ripudia la guerra come
strumento d'offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali" questo recita l'Art. 11
della nostra Costituzione nata dalla Resistenza.   Ci opponiamo fin da
ora alla "no fly zone" che è un intervento militare diretto, con
distruzioni e massacri di civili, come ben sappiamo. Vogliamo dal
Governo Monti, che ha tagliato le pensioni e i diritti dei lavoratori e
dei cittadini aumentando invece le spese militari, e dai Partiti che lo
sostengono in Parlamento, la cessazione immediata di qualsiasi appoggio
esterno ai belligeranti; da subito taglino le spese militari e  pongano
fine a tutte le missioni all'estero.   Noi organizzazioni e cittadini
di diverso orientamento e differenti sensibilità sentiamo il dovere di
chiamare alla mobilitazione contro la minaccia di guerra aperta alla
Siria e anche all'Iran, con grave pericolo di estensione del conflitto
difficile da prevedere.

Comitato contro la guerra Milano

Comitatocontrolaguerramilano@...  cell. 3383899559 http:
//comitatocontrolaguerramilano.blogspot.it/

E' IN CORSO LA RACCOLTA
ADESIONI, ad ora sono pervenute: Ass. "La Casa Rossa"; BDS Milano; CNJ
(Coord. Naz. Per la Jugoslavia); Centro Culturale Concetto Marchesi;
sito"Il Dialogo"; M. Gemma Dir. Rivista Online Marx21; Ass.ne Rachel
Corrie per la pace; Peacelink (Italia); Rete No War (Italia); Prof.
Domenico Losurdo; Sergio Ricaldone; Red por ti America (Italia); ALBAss.
ne per l'amicizia e sol. tra i popoli; Proletari Comunisti (Milano); A.
Catone Rivista Marx21; Forum Palestina; Centro di Iniziativa Proletaria
"G. Tagarelli"; Ass.ne di Amicizia Italia -Cuba (Milano); Sindacato USB
Lombardia; PdCI Milano;




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Ancora sugli onori al criminale nazifascista Graziani

1) Su queste cose non si gioca: Graziani è stato un criminale (R. Renzetti)
2) Affile, imbrattato mausoleo di Graziani (Il Messaggero, 12/9/2012)
3) Flashback: IL PIANO GRAZIANI (C. Cernigoi)

VIDEO: Mausoleo a Graziani, grande criminale di guerra

Sulla scandalosa vicenda del monumento eretto ad Affile (Roma) per celebrare il criminale di guerra nazifascista Rodolfo Graziani si vedano anche gli articoli precedentemente segnalati: 

Italian right wing honours fascist war criminal

Visnjica broj 896: ITALIANI BRAVA GENTE


=== 1 ===


di Roberto Renzetti

È molto grave che a 70 anni di distanza si debba ancora discutere delle responsabilità criminali di un personaggio come Rodolfo Graziani. Eppure è così. Il tutto inizia con la notizia che in un paesino della provincia di Roma, Affile, si è inaugurato l’11 agosto 2012 un monumento ("Onore e Ordine"), con parco di Radimonte annesso, dedicato alla memoria del suddetto criminale che aveva scelto per adozione quel piccolo centro. Per sommo sfregio, il tutto è costato alla comunità tra i 130 ed i 180 mila euro.

Da chiarire fino in fondo come sono arrivati i soldi alla giunta di destra di Affile. Il sindaco dice che i soldi per il parco sarebbero stati deliberati dalla ex giunta della Regione Lazio presieduta da Marrazzo (resta da capire se per il solo parco o anche per il monumento) con determinazione del febbraio 2010 per il «completamento del Parco Radimonte». Alcuni quotidiani hanno sostenuto invece che il finanziamento sia stato deliberato dall'attuale giunta Polverini.

Il sindaco è un furbetto perché avrebbe chiesto fondi per un monumento al Soldato senza specificare che ad Affile il Soldato è Graziani. Il sindaco è anche un nostalgico che ignora i trascorsi del truce Graziani affermando che è stato pluridecorato. E poiché coloro che ignorano in Italia sono la maggioranza, ogni tanto occorre rinfrescare la memoria a cominciare dal perché Graziani non è stato impiccato come i suoi sodali a Norimberga.

Infatti se in Germania qualcuno si azzardasse a commemorare appena con una lapide Goering o Rommel, verrebbe subito arrestato e gettato in prigione. Perché? Perché in quel Paese, finita la guerra si fece chiarezza con il Processo di Norimberga: da una parte i nazisti assassini, criminali da impiccare e dall’altra i cittadini che dovevano sapere quali erano i crimini di chi li aveva guidati per 12 anni.

In Italia niente Norimberga. Eppure di criminali ne abbiamo avuti! Caspita se ne abbiamo avuti! Ma chiarezza, appunto, non è stata mai fatta così che le italiche genti, ignoranti e smemorate, non sanno proprio cosa è accaduto, chi fu il criminale persecutore, chi il perseguitato. Ma perché da noi non si è fatta, non dico una Norimberga ma almeno una Frascati o una Valmontone? Perché i prodi e vigorosi americani avevano rapporti stretti con il Fascismo e con la Mafia.

Lo sbarco in Sicilia fu possibile senza gravi perdite perché guidato da Lucky Luciano. L’esercito USA avanzava preceduto da un carro armato su cui sventolava una bandiera azzurra. Era il segno di riconoscimento di Luciano ai picciotti. Gli yankee debbono passare e basta. E la mafia siciliana si organizzò perché nessuno si azzardasse a reagire. Per altri versi gli USA ebbero stretti rapporti con il fascista Junio Valerio Borghese, il comandante della X MAS (quel delinquente golpista del 1970, ricordate?). Doveva essere la testa di ponte che legava esercito USA e Fascisti.

Ma perché? Perché in Italia, contrariamente a quanto avvenne in Germania, vi era un forte movimento di resistenza a maggioranza comunista. Se l’Italia fosse stata liberata in queste condizioni e con i fascisti impiccati, come si sarebbe dovuto fare (come in Germania del resto), il Paese sarebbe diventato quasi certamente a guida comunista. Gli USA, prevedendo questo scenario e protetti dalla spartizione di Yalta, hanno difeso, sostenuto, foraggiato i fascisti (questo è il motivo della fucilazione immediata di Mussolini e gerarchi ... gli USA volevano quel prigioniero ma i partigiani sapevano di losche manovre che prevedevano addirittura un Mussolini reintegrato al potere).

Ebbene, tra i criminali fascisti, militari, da impiccare vi era Graziani (insieme a vari altri, come Roatta, Robotti, Badoglio, ...). Per quanto detto si salvarono, occorreva mantenere personaggi che avessero esperienza militare da usare eventualmente contro una sollevazione comunista.

Ma chi era Rodolfo Graziani? Molto in breve si può definire un macellaio con i deboli e dette sfoggio delle sue abilità a partire dalla Libia tra il 1921 ed il 1930 arrivando ad essere nominato da Mussolini in persona governatore della Cirenaica nel 1930 (incarico che mantenne fino al 1934). Si distinse per le deportazioni di massa e per sistemare centinaia di migliaia di libici, sospetti di collaborazione con la resistenza, in campi di concentramento (qui morirono decine di migliaia di persone per malattie e stenti e qui Graziani fu battezzato il macellaio di Fezzan.

Passò quindi a macellerie superiori durante la guerra d’Etiopia e la repressione della resistenza di quel Paese tra il 1935 ed il 1937. Utilizzò contro popolazioni inermi l’iprite, un gas micidiale, antesignano del napalm, del fosgene ed altri aggressivi chimici. Per titoli da carnefice conquistati sul campo fu nominato Maresciallo d’Italia e fu promosso viceré e comandante dell’esercito in Etiopia. Purtroppo scampò ad un attentato ma la sua tempra di valoroso si scatenò contro un monastero in cui presumeva si fossero rifugiati alcuni attentatori. Il risultato fu il massacro di circa 1500 monaci che seguì quello di varie migliaia di etiopi.

Tornato in Italia, nel 1938 firmò, insieme a Padre Agostino Gemelli e a tanti altri imbecilli, il Manifesto della Razza. Nel 1939 fu nominato da Mussolini Capo di Stato Maggiore dell’Esercito ed in questa veste inviato in Libia da dove ebbe l’ordine di invadere l’Egitto. Qui non si trattava più di combattere contro popolazioni male armate ma contro l’Esercito inglese. Ed infatti, nel 1940, fu duramente sconfitto per i suoi gravissimi errori tattici (oltre alle ingenti perdite, 130 mila dei nostri soldati furono catturati e tutto il materiale militare fu perduto).  Nel 1941 fu destituito per incapacità e codardia. Fu messo sotto processo (che in Italia non porta mai a nulla se è contro i potenti) e dimenticato per due anni.

La sua vita pubblica si concluse nel modo più inglorioso possibile: fu nominato Ministro della Guerra della Repubblica Sociale Italiana (RSI). Impose l’arruolamento obbligatorio pena la fucilazione per chi non si fosse subito presentato e firmò un manifesto di condanna a morte per ogni partigiano. Si arrese a Milano al IV Corpo d’Armata USA alla fine di aprile del 1945. Fu fatto prigioniero e vagò per varie carceri gestite da alleati. Nel 1948 fu condannato da un Tribunale italiano a 19 anni di reclusione (accusa solo di collaborazionismo con i tedeschi) con un condono spettacolare di 17 anni! Ciò gli permise di uscire subito dal carcere. Gli americani  e gli inglesi non fecero invece nulla contro Graziani perché non tennero in alcun conto tutta l’enorme quantità di documenti portati dal governo etiopico con particolare riferimento all’uso dei gas asfissianti (iprite).

Intanto Graziani aveva aderito al Movimento Sociale Italiano (MSI) costituitosi come erede del Fascismo nell’immediato dopoguerra. Nel 1953 divenne Presidente onorario di questo movimento ed in questa veste ricevette ad Affile, come no?, Andreotti, allora collaboratore di De Gasperi. I due si abbracciarono pubblicamente dando anche visiva mostra della continuità con il Fascismo.

In ogni caso le vicende del criminale Graziani meritano attenzione. Ho raccolto diversi articoli di vari storici e li propongo agli interessati: http://www.fisicamente.net/MEMORIA/index-1945.pdf.

(6 settembre 2012)


=== 2 ===


Affile, imbrattato mausoleo di Graziani
Montino: giusta espressione di dissenso


Rampelli: delinquenti. Per le scritte individuati e denunciati tre ragazzi


ROMA - Tre giovani di Subiaco sono stati denunciati con l'accusa di danneggiamento aggravato per aver imbrattato con vernicespray il mausoleo dedicato dal comune di Affile, in provincia di Roma, al generale repubblichino Rodolfo Graziani. Il sacrario dedicato al generale fascista, inaugurato lo scorso 11 agosto, aveva provocatopolemiche e sdegno in tutto il mondo.

Gli autori delle scritte sul sacrario dedicato al ministro della Guerra di Salò, noto anche per aver usato i gas contro libici ed etiopi e aver firmato il Manifesto della razza, sono stati hanno individuati i carabinieri della Compagnia di Subiaco. I militari dell'Arma, che hanno avviato indagini dopo una denuncia del sindaco di Affile, Ercole Viri, informa una nota dei militari, «sono riusciti in poche ore a scoprire gli autori delle scritte vandaliche fatte la notte scorsa con vernice spray sulle pareti del mausoleo e anche sugli scalini d'accesso. I tre - continua la nota - vestiti tutti di scuro, sono stati identificati mentre si stavano aggirando nei pressi di una via secondaria. Messi alle strette dai carabinieri hanno ammesso le proprie responsabilità. Tutti e tre sono stati denunciati con l'accusa di danneggiamento aggravato».

«La vergognosa campagna contro il Parco pubblico di Affile ha prodotto i primi suoi effetti. Un gruppo di delinquenti, coperto dalla notte, ha danneggiato il parco con vernici e scritte ingiuriose contro la Patria, il sindaco di Affile e Rodolfo Graziani», afferma in una nota il deputato del Pdl Fabio Rampelli. «Ognuno - prosegue - può avere le sue posizioni politiche, ma è necessario e doveroso condannare ogni forma di violenza e atti intimidatori, specie se compiuti contro rappresentanti pubblici e opere pubbliche. Siamo certi che il lavoro d'indagine che i carabinieri stanno conducendo in queste ore saprà rapidamente assicurare alla giustizia i responsabili».

«Prendo atto, e con piacere, che nel paese di Affile i giovani 
non la pensano come il Sindaco che ha voluto un sacrario per il generale fascista e repubblichino Rodolfo Graziani - commenta invece il capogrupo Pd in Regione, Esterino Montino -. Non mi pare che siamo di fronte ad atti di violenza, come dice il senatore Rampelli evidentemente d'accordo con questa opera della vergogna di cui hanno parlato i giornali di tutto il mondo oltre che quelli nazionali, ma ad una vivace e giovanile espressione di dissenso e rivendicazione dei valori della Costituzione italiana. Nulla di violento nemmeno nelle frasi scritte sul mausoleo con la bomboletta spray - continua Montino -. Penso che nei prossimi giorni mi recherò nel paese in Provincia di Roma per incontrare i cittadini. Quei ragazzi sono una speranza , non hanno imbrattato un luogo pubblico, non hanno usato violenza verso nessuno, ma rivendicato che la Costituzione prevede il reato di apologia del fascismo. Quel mausoleo questo è».

Mercoledì 12 Settembre 2012


=== 3 ===

Riproponiamo questo importante articolo, già messo in diffusione nel novembre dello scorso anno.


Claudia Cernigoi

IL PIANO GRAZIANI

Nel 1985 il giornalista Gaetano Contini pubblicò un “documento inedito” (1) redatto presumibilmente verso la fine del 1945 e firmato in calce da Aldo Gamba, all’epoca comandante del 1° Squadrone autonomo, un reparto della Polizia militare segreta sottoposto agli ordini del servizio segreto britannico FSS (Field Security section), con sede a Brescia (2).
Tale documento sarebbe stato scritto da un “informatore” di Gamba, che evidentemente lo ritenne attendibile se decise di inoltrarlo con la propria firma, ed è intitolato “Il piano Graziani per la resurrezione del fascismo”. 
L’informatore parte da una serie di circostanze: i documenti rinvenuti nell’archivio di Barracu (sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri della RSI, fucilato il 28/4/45 a Dongo) che fanno riferimento ad una organizzazione segreta costituita “per la salvezza del fascismo”; un considerevole deposito di armi trovato nello stabile di piazza San Sepolcro dove aveva avuto sede il Partito fascista; un altro arsenale scoperto pochi giorni prima a Trezzo d’Adda e quanto risultava da un processo svoltosi a Pavia “per documenti falsi” dove veniva confermata la “strabiliante offerta” avanzata dal maresciallo Rodolfo Graziani (allora ministro della guerra della RSI, già macchiatosi di crimini di guerra in Libia e in Africa Orientale) nel dicembre 1944 ai Comitati di liberazione (qui l’informatore non entra nei particolari ma si presume intenda parlare dei tentativi di collaborazione che delineeremo nell’esposizione successiva). 
L’informatore sostiene che questi dati “non hanno aperto che un sottile spiraglio di luce su un vasto diabolico progetto da lungo tempo predisposto e in esecuzione anche in tutto il periodo di lotta clandestino” ed a questo punto parla di una “riunione segreta” che si sarebbe svolta nell’ottobre del 1944 presso la sede della Legione Muti a Milano, riunione tenuta dal maresciallo Rodolfo Graziani alla quale presero parte “elementi politici” della RSI, che non erano “prefetti, gerarchi e pubblicisti”, ma i comandanti della legione Muti, delle Brigate nere, della GNR e due questori (uno dei due era il questore di Milano Larice, colui al quale Mussolini avrebbe consegnato una borsa prima di fuggire verso la Svizzera, con l’incarico di darla al comando della Brigata Garibaldi (3)), oltre ai capi dei servizi di spionaggio, i “torturatori e gli aguzzini”.
Graziani avrebbe loro delineato il progetto che intendeva realizzare, data ormai per sicura la sconfitta militare del fascismo, per la sopravvivenza politica del medesimo: le truppe germaniche si sarebbero ritirate, seguite dal grosso dell’esercito italiano, ma i “politici” (cioè i partecipanti alla riunione) sarebbero rimasti, “celandosi e camuffandosi per fare azione di sabotaggio nelle retrovie, opera di disgregazione all’interno dell’Italia” (sostanzialmente un progetto stay behind, ovvero la resistenza dietro le linee “nemiche”) perché (e qui l’informatore dice di riferire le parole di Graziani, da lui definito “iena”) “non è necessario vincere la guerra perché il fascismo e i fascisti possano, sia pure dietro altre bandiere, salvarsi”.
“Immettere il maggior numero di strumenti fascisti entro le nostre organizzazioni clandestine, mandando in galera gli antifascisti veri, scompigliando le loro trame, creare fino da allora forti posizioni fasciste entro le fila dell’antifascismo, preparare ingenti quantitativi di armi e denaro e poi, dopo il crollo del fascismo iscriversi in massa ai partiti antifascisti, sabotare ogni opera di ricostruzione, diffondere il malcontento, fomentare moti insurrezionali e preparare sotto qualsiasi insegna la resurrezione degli uomini e dei loro metodi fascisti”, scrive l’informatore. E poi riferisce le “particolareggiate, minutissime disposizioni” di Graziani: “organizzare delle bande armate che funzionino segretamente e che aggiungano altre distruzioni a quelle che prima di andarsene effettueranno i tedeschi, che esercitino in tutto il Paese il brigantaggio, che si mescolino alle manifestazioni popolari per suscitare torbidi. Ma soprattutto mimetizzati, penetrare nei partiti antifascisti e introdurvi fascisti a valanga, propugnare le tesi più paradossalmente radicali ed il più insano rivoluzionarismo, sabotare e screditare l’opera del governo e soffiare a più non posso in tutto il malcontento inevitabile”, in modo da suscitare “il rimpianto del fascismo” e permetterne il ritorno al potere.
Graziani avrebbe parlato anche delle “trattative che taluni elementi della corrente più moderata del fascismo, ed altri in malafede, cercavano di allacciare con gli esponenti della lotta clandestina, per addivenire ad un modus vivendi” che ponesse “tregua alla cruenta lotta fratricida”. Tali trattative, disse Graziani “vanno benissimo”, perché “dobbiamo avvicinare gli antifascisti, illudendoli con vaghi progetti di pace separata, di ritorno alla legalità ed alla libertà, di rivendicazioni socialiste, stabilire così molti contatti , scoprire le loro file ed i loro covi”, per poi arrivare ad una “notte di San Bartolomeo, con il preventivo sterminio dei preconizzati nostri successori” precisando però che “i tribuni” e “gli agitatori” andavano lasciati in pace perché “possono servire pure a noi”, ma per “decapitare il nemico” bisognava colpire “gli intellettuali veri, le competenze tecniche, le reali capacità politiche ed amministrative”.
Nel febbraio successivo, conclude l’informatore, si svolsero altre riunioni durante le quali Graziani avrebbe impartito gli stessi ordini a tutti gli iscritti, “raccomandando soprattutto la più vasta penetrazione entro i partiti antifascisti”. Di queste “tenebrose manovre”, aggiunge, sarebbe stato “tempestivamente” informato il SIM, invitato inoltre ad avvisare i partiti per sventare questo “tranello che si tendeva loro”. Ma i partiti invece “spalancarono senza alcuna precauzione le porte” ed il 25 aprile si videro “frotte di squadristi e di ex militari repubblichini tra i volontari della libertà”.

Fin qui il testo riportato nell’articolo di Contini. Altri dati in merito comparirebbero in un rapporto inviato a Mussolini dal Ministero dell’Interno (della RSI) il 21/3/45, con oggetto “costituzione di centri di spionaggio e di operazioni”, dove sarebbe scritto (4):
“il servizio politico della GNR ha creato nel suo seno un organismo speciale che funziona già e la cui potenza sarà accresciuta”. Questo servizio sarebbe composto da un ufficiale superiore (...) 16 osservatori corrieri, 18 agenti informatori per il territorio della RSI e 43 per “l’Italia invasa” (altri avrebbero detto “liberata”, ndr). “Ognuno di essi vive sotto una falsa identità scelta in modo da non destare alcun sospetto”. Il lavoro in atto al momento della redazione del rapporto sarebbe stato “l’insediamento di un gruppo incaricato della fabbricazione di carte e documenti falsi e alla creazione a Padova di un ufficio commerciale che assicuri la copertura ai nostri agenti”.
Gli autori di questo ultimo articolo commentano che Padova e il Veneto “venticinque anni dopo saranno al centro della strategia della tensione e dei suoi complotti, ed aggiungono che il rapporto avrebbe raccomandato, come coperture, “l’infiltrazione nel Partito comunista e nel CLN”. 
Sarebbe a questo punto necessario rileggere, tenendo presenti queste relazioni, tutta la storia della Resistenza e di quei fatti “strani” che accaddero a lato di essa, ma ci riserviamo di farlo in altra sede, più articolata. Ricordiamo soltanto che nell’Italia liberata dagli Alleati operarono da subito con attentati ed altre azioni armate, per destabilizzarne l’ancora precario equilibrio raggiunto, gli NP (Nuotatori Paracadutisti) della Decima Mas di Nino Buttazzoni, che nel dopoguerra fu contattato da agenti dei servizi statunitensi che gli offrirono una copertura (era ricercato per crimini di guerra) se avesse collaborato in funzione anticomunista.
Tornando alle infiltrazioni, ricordiamo la vicenda del “conte rosso”, Pietro Loredan, “partigiano” della zona di Treviso, i cui “occasionali rapporti con i partigiani erano guidati direttamente dai servizi segreti di Salò in piena applicazione, dunque, delle direttive contenute nel Piano Graziani” (5). 
Pietro Loredan, militante dell’ANPI e del PCI, risultò, in un appunto del SID del 1974, avere fatto parte di Ordine Nuovo nel periodo 1960-62 ed essersi iscritto nel 1968 al Partito comunista marxista leninista d’Italia, ed assieme al suo amico conte Giorgio Guarnieri (altro ex partigiano membro di una missione militare americana durante la guerra di liberazione) ebbe dei rapporti di affari con Giovanni Ventura ed i due “partigiani” utilizzarono le loro qualifiche per accreditare Ventura nell’ambiente della sinistra e favorirne la sua opera di infiltrazione (Ventura si iscrisse proprio al PC m-l per darsi una copertura a sinistra) (6). Inoltre alcune “voci” dissero che la villa di Loredan presso Treviso fosse servita come punto di ritrovo in preparazione del poi rientrato “golpe” di Borghese, ed in essa nel 1997, nel corso di lavori di restauro commissionati dal nuovo proprietario (l’industriale Benetton), fu trovato un deposito di armi.

Anche il ricercatore Giuseppe Casarrubea ha parlato del Piano Graziani, in relazione però alla vicenda di Salvatore Giuliano. Prima di essere ucciso, il “bandito” Gaspare Pisciotta aveva accennato ad un religioso, il frate benedettino Giuseppe Cornelio Biondi, che si sarebbe fatto pagare dalle autorità per la cattura di Giuliano ma “li avrebbe utilizzati per una colossale truffa a danno di un commerciante siciliano”. Biondi dipendeva da un monastero di Parma ma per un periodo aveva vissuto a Padova e Casarrubea scrive “Padova, ambiente frequentato dal monaco benedettino, era un centro di eversione anticomunista. Qui, il 21 marzo del 1945, in attuazione del piano Graziani, si era costituito il coordinamento della rete clandestina destinata ad operare dopo la sconfitta (...)” (7).

Facciamo ora un passo indietro, all’epoca in cui operava in Italia, come capo delle operazioni dell’OSS, il ventiduenne italo americano Max Biagio Corvo, che già dalla fine del 1942 aveva pianificato, con un dettagliato piano d’intelligence, l’occupazione della Sicilia dell’estate del ‘43 e la successiva liberazione dell’Italia. Corvo aveva arruolato i suoi più stretti collaboratori tra la cerchia di amici della propria città, Middletown, nel Connecticut, e tra essi vi era “Emilio Q. Daddario, atleta di eccezionali capacità della Wesleyan University” (8). L’università “wesleyana” fa riferimento alla chiesa metodista, all’interno della quale vi era una forte presenza massonica (9). 
Daddario, nome in codice “Mim”, arrivò a Palermo nel dicembre del 1943 ma rimase poco tempo negli uffici siciliani dell’Oss, dopo alcune settimane venne trasferito nel nuovo comando operativo di Brindisi con l’incarico di vice di Corvo. Nell’aprile del 1945 si trovava in Svizzera alle dirette dipendente di Allen Dulles, direttore dell’Oss per l’Europa e futuro capo della Cia. Corvo però lo richiamò in Italia per affidargli un compito assai delicato: la cattura di Mussolini e di alcuni ministri della Repubblica sociale di Salò in fuga sulle montagne piemontesi (10).
Lo storico Franco Fucci scrive che Daddario era stato reclutato “probabilmente per partecipare alle trattative di resa dei tedeschi in Italia” (e qui si inserisce l’Operazione Sunrise, cioè la trattativa condotta da Dulles, i servizi segreti svizzeri ed il comandante della SS Karl Wolff, che servì a mettere in salvo moltissimi criminali di guerra in cambio della rinuncia tedesca alla resistenza nel ridotto alpino); infatti il 27/4/45 fu tra coloro che presero in consegna a Como “tre importanti prigionieri di guerra il maresciallo Graziani, il generale Bonomi, dell’aviazione e il generale Sorrentino dell’esercito” e li portarono a Milano (11). 
Rodolfo Graziani fu posto in salvo da Daddario, con il consenso del generale Raffaele Cadorna (comandante in capo del CVL), leggiamo, e fu trasferito il 29/4/45 al comando del IV corpo d’armata corazzato americano di stanza a Ghedi (12) . 
Dopo la guerra Graziani scrisse una lettera direttamente a Daddario dal suo campo di prigionia ad Algeri il 15 giugno 1945, che riportiamo di seguito: 

Caro Capitano Daddario, 
le scrivo da questo campo. Desidero ringraziarti dal più profondo del cuore per quello che lei fece per me in quei momenti molto rischiosi. Non vi è alcun dubbio che io devo a lei la mia salvezza, durante i giorni del 26, 27, e 28 aprile. Per questo il mio cuore è pieno di ringraziamenti e gratitudine e non la dimenticherò mai per tutto il tempo che mi rimarrà di vivere, io sto bene in questo campo e vengo trattato con molto rispetto. Spero che Iddio mi assista per il futuro e che l’Umana Giustizia consideri il mio caso e lo giudichi con equità. La prego di scrivermi e assicurarmi che quanto le lasciai in consegna venne consegnato a destinazione. Mi faccia anche sapere se ha con lei il mio fedele Embaie (13) che la prego di proteggere e assistere. L’abbraccio caramente e non mi dimentichi. 
Vostro molto affettuosamente, Rodolfo Graziani.

A questo punto viene da chiedersi se tra le cose che Graziani “lasciò in consegna” a Daddario ci fossero anche le direttive del suo “piano”.


NOTE.
1) Documento pubblicato nella rivista “Storia Illustrata”, novembre 1985, dove leggiamo che è conservato nell’Archivio Centrale dello Stato di Roma, fondo Polizia Militare di Sicurezza, busta 2.
2) Contini scrive che la Fss era “dell’Oss” (la futura CIA), ma questo dato non è corretto.
3) In http://www.stampalternativa.it/wordpress/2007/06/04/tigre-dal-diario-in-poi-2/ ma si tratta di un dato senza conferma.
4) Usiamo il condizionale perché il testo che riportiamo è trascritto senza l’indicazione della posizione archivistica del documento in Italia Libera Civile E Laica = Italia Antifascista 21/3/11, “21 marzo 1945 – Salò, importantissimo documento dei servizi segreti della RSI da conoscere e condividere!!!”.
5) Così scrive Carlo Amabile nel sito www.misteriditalia.com.
6) “Del conte Guarnieri si era molto parlato durante l’inchiesta sulla cosiddetta pista nera, ed era stato indicato come il finanziatore di Freda e Ventura (...) si era poi accertata l’amicizia con Loredan, un nobile veneto che con i due neofascisti aveva avuto contatti diretti e frequenti”, leggiamo nel “Meridiano di Trieste” del 21/6/72. Guarnieri aveva anche una residenza a Trieste, e “il 14 maggio 1972, tre giorni prima di essere ucciso, il commissario Calabresi andò a Trieste per far visita al conte Guarnieri. L’accompagnava l’ex questore di Milano, Marcello Guida. Subito dopo i funerali, Guida tornò a Trieste da Guarnieri e stavolta si fece accompagnare dal prefetto di Milano, Libero Mazza” (M. Sassano, “La politica della strage”, Marsilio 1972, p. 168). Calabresi si fece accompagnare, oltre che da Guida, anche dal senatore democristiano Giuseppe Caron di Treviso, che era stato segretario del CLN della sua città.
7) https://casarrubea.wordpress.com/page/45/
8) Ezio Costanzo “Uno 007 in Sicilia”, “Repubblica” 20 luglio 2010.
9) In http://www.cassibilenelmondo.it/Max_Corvo.htm
10)Ezio Costanzo “Uno 007 in Sicilia”, “Repubblica” 20 luglio 2010.
11)F. Fucci, op. cit. p. 75.
12)http://www.treccani.it/enciclopedia/rodolfo-graziani_(Dizionario-Biografico)/ 
12)Embaie era un ascaro al servizio di Graziani.

novembre 2011




(Una rassegna dei finanziamenti NED in Serbia, diretti a 20 organizzazioni per una cifra totale che si aggira sul milione di dollari... Sullo stesso argomento si vedano anche i numerosi documenti e link raccolti alla pagina: https://www.cnj.it/documentazione/eversione.htm )


НЕД 20 невладиних организација у Србији финансирао са милион долара

СРБИЈА МЕЂУ 90 ЗЕМАЉА У КОЈИМА САД РЕАЛИЗУЈУ 1000 ПРОЈЕКАТА ПРЕКО НЕД ФОНДАЦИЈЕ


[PHOTO: Председник НЕД-а, Карл Гершман, уручује награду Џамелу Бетајебу, једном од вођа „арапског пролећа”]

  • У чему је логика ако се НУНС помаже са 31 500 долара, а НДНВ (Независно друштво новинара Војводине) са 289 800 долара?
  • Пешчаник 397 700 долара и Центар за међународно прививатно предузетништво (ЦИПЕ) са 256 569 долара - „тешкаши” по сумама којима је НЕД  помогао њихове активности

         ПРЕМА годишњем изваштају америчког НЕД (Национална задужбина за демократију) за 2011.годину, 20 невладиних организација у Србији примило је укупно милион долара за промоцију посебности „регија у Србији“, као што су Војводина и „Санџак“, за утицање на доношење закона, усмеравање новинара, борбу за децентрализацију, отварање форума о евро-атлантским интеграцијама.

         Ко финансира Независно удружење новинара Србије – НУНС, Истиномер, Пешчаник, Е-новине, НИП Врањске или ЈУКОМ - и зашто? Одговор стиже директно из пера америчких оснивача овог приватног фонда Конгреса САД.

         Асоцијација локалних независних медија „локал прес“

         40 000 долара

         Да настави са извештавањем о изазовима који су пред Србијом на путу демократске транзиције – на локалном нивоу. Зато ће 15 чланица Асоцијације произвести, разменити и објавити серију од 17 чланака у којима ће се разматрати различити аспекти процеса децентрализације у Србији и информисати грађане како (де)централизација утиче на њихове заједнице.

         Размена чланака, јавни округли сто и телевизијски програм ће проширити домет пројекта на целу земљу.

         Центар за развој цивилних ресурса

         40 586 долара

         Да настави да промовише слободу изражавања и поштовање различитости и људских права на југу Србије. Дата средства ће покрити оперативне трошкове алтернативног културног центра ове организације, који ће организовати серију од 16 дискусионих панела, округлих столова, изложби, радионица и јавних догађаја на тему људских права и недавних конфликата на Балкану.

         Центар за међународно прививатно предузетништво (ЦИПЕ)

         256 569 долара

         Да ојача „глас бизниса“ у „јавно – приватном дијалогу“ и да повећа капацитет српске пословне заједнице да учествује у процесу доношења закона.

         ЦИПЕ и његов партнер ће консултовати чланове регионалних трговинских комора о препрекама за обављање пословних активности и њиховим предлозима за реформе, помоћи ће им да се ангажују у лобистичким кампањама код владе и помоћи у надзирању статуса законодавних предлога.

         Центар за истраживање, транспарентност и одговорност

         48 750 долара

         Да промовише транспарентност и одговорност српског парламента.

         Центар ће надзирати заседања парламента, анализирати извештаје и ток рада парламента, пратити општи законодавни процес и трендове и бележити иступања индивидуалних посланика.

         Резултати надзора ће бити представљени на посебном сајту који ће бити повезан са револуционарним вебсајтом „Истиномер“ те организације.

         Центар ће такође организовати промотивне догађаје, држати прес-конференције и објављивати билтен ради даљег промовисања њених резултата у надзору.

         Центар је добио још 47 000 да настави да развија и промовише свој револуционарни веб сајтwww.istinomer.rs који служи као свеобухватна база података за проверу тачности политичких чињеница. Сајт пружа непартијска поређења и процене изјава  званичника и њихове наступе у Србији.

         Веб сајт ће бити проширен тако да укључи анализе које ће подносити НВО активисти и новинари у десет градова, које ће Центар обучити да надгледају рад и изјаве власти и званичника на локалном нивоу.

         Е новине

         41 850 долара

         Да промовишу више професионалне и етичке стандарде у новинарству у Србији и региону.

         Током девет месеци особље Е новина и новинари сарадници ће производити око 15 аналитичких текстова месечно за on line дневник www.e-novine.com како би подигли свест о улози медија током ратова деведесетих година, и како би охрабрили јавну дебату о тренутној медијској ситуацији у региону.

         Пешчаник

         397 700 долара

         Да настави да охрабрује јавну дебату о најважнијим друштвеним, политичким и економским темама везаним за српску демократску транзицију, као део популарног мултимедијалног програма који представља форум за отворену дискусију истакнутих законодаваца, грађанских и политичких лидера, новинара и академика. Пешчаник ће за ово користити НЕД фондове да настави са производњом свог највише рангираног недељног радио-програма и свог интерактивног политичког е–часописа: www.pescanik.net

         Отприлике 32 радио програма и 75 чланака ће бити произведени и објављени.

         НУНС

         31 500 долара

         Да настави да омогућава независно извештавање у Србији.

         Кроз свој Центар за истраживачко новинарство (ЦИНС), Удружење ће наставити да промовише концепт независног извештавања и повећати вештине младих новинара да производе квалитетне истраживачке чланке.

         ЦИНС ће огранизовати семинар, у трајању од 12 недеља, за истраживачко новинарство за 30 и приправништво за групу од 10 одабраних младих новинара. Најбољих пет ће добити стипендије да произведу истраживачке чланке.

         НДНВ (Независно друштво новинара Војводине)

         289 800 долара

         Да настави да обезбеђују форум за јавни дијалог о кључним питањима са којима се суочава српска демократска транзиција.

         НДВД ће организовати 6 панела о децентрализацији у Србији и одржаће тренинг-семинар за новинаре и уреднике који се баве овим темама.

         Додатно, НДВД ће надоградити и наставити да одржава веб сајт www.autonomija.info , важан извор вести и форум за јавну дебату.

         ЈУКОМ (Комитет правника за људска права)

         44 700 долара

         Да отвори дебату и промовишу идеје уставне реформе у Србији. ЈУКОМ ће анализирати недостатке актуелног устава у погледу владавине, владавине закона и људских права и предлагати амандмане који су неопходни да се устав поравна са ЕУ стандардима.

         Са партнерским организацијама, ЈУКОМ ће јавно промовисати своје закључке и заговарати усвајање препоручених амандмана.

         Миленијум

         29 900 долара

         Да настави промоцију демократских вредности и да настави да подстиче јавну дебату међу грађанима централне Србије о најважнијим социјалним, економским и политичким темама у вези са евро-атлантским интегацијама Србије.

         Миленијум ће организовати серију од 15 филмских пројекција и ТВ дебата у 9 различитих српских градова, што ће омогућити форум за отворену дискусију истакнутих законодаваца, грађанских и политичких лидера, новинара и интелектуалаца пред живом публиком.

         Национална коалиција за децентрализацију

         43 950 долара

         Да настави да унапређује процес децентрализације у Србији изграђујући подршку јавности за реформу локалне власти и децентрализацију.

         Користећи моћ нових и традиционалних медија, коалиција ће организовати мултимедијалну кампању, осмишљену да мотивише обичне грађане да учествују у процесу унапређивања децентрализације.

         Кампања ће укључити серију ТВ програма „он лајн“ такмичење, штампане и електронске билтене и друге форме отварања ка грађанима и њиховим изабраним представницима.

         НИП Врањске

         20 000 долара

         Да истраже, произведу и објаве 24 велике теме односно чланке који се тичу кључних политичких, социјалних и економских питања од значаја за етничке заједнице на југу Србије.

         Нудећи висококвалитетне, избалансиране и актуелне информације од општег интереса за све грађане, Врањске ће наставити да подстичу дијалог и граде поверење између албанске и српске заједнице у овој проблематичној регији.

         Школа новинарства Нови Сад

         58 000 долара

         Да спроведе широку кампању која има за циљ подизање јавне свести о превази корупције у кључним јавним аренама – као што су политика, здравство и образовање.

         Кампања, која ће бити спроведена у 4 земље југоисточне Европе ће циљати на омладину и у њу ће бити укључене креативне студентске акције, медијске продукције и регионални форуми.

         У оквиру ширег, вишегодишњег пројекта, средства НЕД ће бити искоришћена за спровођење активности у Србији.

         Регионални центар за мањине

         29 800 долара

         А подигне јавну свест и охрабри адекватну примену антидискриминаторног законодавства у Србији. Центар ће организовати тренинге да изгради капацитете локалних организација за људска права који ће покретати питања дискриминаторног понашања и праксе, надгледати рад релевантних регулаторних тела, промовисати препоруке за унапређену примену закона,

         Истаживачки центар Лесковац

         38 000 долара

         Да настави да изграђује вештине студената активиста на југу Србије и да им омогући да играју значајнију улогу у промовисању питања који се односе на омладину у овом неразвијеном региону. Пројекат ће бити спроведен у две јужне општине Јабланица и Пчиња, укључиће три тренинга, 15 радионица, шестодневни семинар, серију средњошколских дебата, допуњених месечном публикацијом коју припреме учесници.

         Урбан ин

         38 000 долара

         Да охрабри јавну дебату о најважнијим политичким, економским и социјалним темама које се односе на проблематичну регију Санџака.

         Урбан ин ће организовати 8 јавних дебата, које ће бити ТВ емитоване и које ће омогућити форум за оторену дискусију власти, цивилних и политичких лидера, новинара и интелектуалаца пред живом публиком.

         Урбан ин ће организовати три догађаја за промоцију регионалног дијалога  и сарадње са активистима из суседних држава.

         Војвођанка – регионална женска иницијатива

         50 000 долара

         Да настави да подстиче јавну дебату о људским правима и да подижу свест о људским правима. Шесте године, Војвођанка ће организовати Фестивал људских права – VIVISECTfest у 13 градова у Србији.

         Храбрим коришћењем фотографија и документараца, фестивал даје јединствен оквир за дебату о питањима која су важна за демократизацију западног Балкана.

         Очекује се да ће више од 6000 људи посетити фестивал „Освајање слободе“ у 2011.

         Омладински центар ЦК 13

         26 986 долара

         Да спроведе мултимедијални програм едукације који промовише омладински активизам и поштовање различитости у српској покрајини Војводини.

         ЦК13 ће организовати серију од најмање 40 радионица, наступа, публикација и других активности, представљајући младим људима другачија средства за изражавање и обезбеђује им вештине да обликују јавну дебату на нов и креативан начин..

         Центар ће, такође, обезбедити форум за јавни дијалог о осетљивим питањима са којима се суочава омладина у Војводини.

         Иницијатива Зајечар

         48 900 долара

         Да настави да промовише омладински активизам у јужној Србији оснажујући средњошколске парламенте и омладинске НВО, омогућавајући им да играју значајнију улогу у питањима која се односе на омладину.

         Иницијатива ће организовати тренинге  да помогне младима да се више укључе у своју заједницу и дати мале донације до 3000 долара за око пет организација у тимочкој регији.

         Србија је, иначе, међу чак 90 земаља у којима САД реализују 1000 пројеката преко НЕД фондације.

 

           Диана Милошевић




Inizio messaggio inoltrato:

Da: "Comitato antifascista e per la memoria storica - Parma" <comitatoantifasc_pr @ alice.it>
Data: 11 settembre 2012 12.01.33 GMT+02.00
Oggetto: un altro 11 settembre


l'11 settembre 1973 in Cile il golpe fascista sostenuto dall'amministrazione USA, dal segretario di stato Henry Kissinger, che col massacro di migliaia di cileni pose fine al Governo di sinistra, democraticamente eletto, di Unidad Popular guidato da Salvador Allende. Un'esperienza politica avanzata di democrazia e socialismo, quella di Unidad Popular, che avrebbe potuto cambiare il corso della storia del Cile, avere ripercussioni internazionali, essere d'esempio per diversi altri Paesi del mondo.  
Nel gennaio '78 il Comune di Parma ha conferito la cittadinanza onoraria a Kortensia Bussi De Allende,  vedova del Presidente Allende, Luis Corvalan Lepe, segretario del Partito Comunista Cileno, Bernardo Leighton Guzman, dirigente antifascista della Democrazia Cristiana cilena.

Inti Illimani  "Ya parte el galgo terrible" (YouTube):  http://www.youtube.com/watch?v=6m_AotV9X1M

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Ma gli 11 settembre, entrambi, sono lontani


Posted By Gennaro Carotenuto On 11 settembre 2012

A 39 anni di distanza dall’11 settembre 1973 e 11 da quello del 2011 è oramai consolidato un dannoso antagonismo tra le due ricorrenze. Il ricordo dell’11 settembre 1973, l’abominio di un colpo di stato contro il governo democratico cileno presieduto da Salvador Allende, eterodiretto dagli Stati Uniti (nella foto il sicario Pinochet stringe la mano al mandante Kissinger), è osteggiato dal complesso mediatico-industriale fino a rappresentarne la volontà di commemorarlo come una provocazione, un’offesa alle vittime dell’11 settembre ‘ufficiale’.

Il ricordo del più grande singolo atto terroristico della Storia, quello di New York, continua intanto a essere rappresentato come il più straordinario esempio di “uso pubblico della Storia”. Appare sempre più chiaro che invece i due eventi sono intimamente legati e fondativi della nostra contemporaneità.

Un’ideologia iniqua, razzista e criminale, il neoconservatorismo, fu infatti capace di usare gli atti terroristici dell’11 come il nascente Terzo Reich fece con l’incendio del Reichstag nel 1933. Il terrorismo, come spesso accade, fu stabilizzante. Furono demonizzate, col pretesto di questo (Genova ne fu illuminante antefatto), le ragioni dei critici di un modello economico e sociale i guasti del quale erano già sotto gli occhi di tutti. Il delirio millenarista dei neoconservatori ebbe il pretesto per mettere a ferro e fuoco mezzo mondo. Ben peggio avrebbe fatto, basta ricordare l’allucinante “Asse del male latinoamericano da colpire” o i 40-50 paesi da attaccare millantati da Donald Rumsfeld, se ne avesse avuto il tempo.

Nel giro di pochi anni non un solo leader di quella stagione politica (Bush, Rumsfeld, Tony Blair, José María Aznar, Silvio Berlusconi), a dimostrare in che mani fossimo, mantiene un minimo di credibilità e onorabilità. Riuscirono solo, a prezzo d’inenarrabili tragedie, a dare ancora un po’ di benefit ai loro grandi elettori, stringendoci a coorte nella solidarietà a quel modello che ergevano a simbolo stesso di un Occidente sotto attacco, e che in quella identificazione veniva umiliato. Era così forte, stridente, volgare, la correlazione tra quegli attentati e l’uso pubblico di questi da essere per molti sospetta. Un decennio dopo, i fondamentalismi contrapposti, quello islamico e quello protestante, entrambi oscurantisti e suprematisti, sono impantanati. L’esportazione della Jihad attraverso le bombe non ha prosperato come non ha prosperato la pretesa di usare la supremazia militare per imporre il predominio degli Stati Uniti e dei satelliti di questo sul mondo.

In particolare per il fondamentalismo protestante la nemesi fu feroce. Pretendevano di usare l’11 settembre addirittura per far finire la Storia e imporre a tutto il pianeta il loro modello sociale ed economico e disporre, attraverso l’imposizione con la forza di governi servili (come col fallito golpe in Venezuela dell’11 aprile 2002), di risorse per un altro giro di giostra. Ancora questa settimana un povero cristo è morto a Guantanamo, la base militare statunitense in territorio cubano occupato illegalmente da più di mezzo secolo. Stava lì da oltre dieci anni e non era mai stato incriminato di alcunché, a dimostrazione che al neoconservatorismo di esportare democrazia e stato di diritto non importasse affatto.

La realtà li ha smentiti nelle loro frenesie da dottor Stranamore. Intere regioni del pianeta non rispondono più e quelle che rispondono, come l’Europa, sono in affanno. Neanche i talebani afghani sono stati sconfitti con le armi. I regimi rovesciati, dall’Iraq alla Libia, hanno lasciato spazio a simulacri di democrazia. L’Occidente, nel breve volgere di un decennio, non è più il centro del mondo ma un frammento del mondo multipolare. La Cina, l’India, interi continenti come l’America latina, concertano cammini autonomi senza riconoscere primogeniture. Di “nuovo secolo americano” non parla più nessuno. L’FMI, lungi dall’aver smesso di fare disastri, non è più egemone. Perfino il G8, che ancora a Genova si atteggiava a governo del mondo, è stato di fatto sostituito dal G20, istanza imperfetta ma più rappresentativa, in attesa che le Nazioni Unite cambino o periscano. Soprattutto, la crisi strutturale del modello neoliberale morde lo stesso Occidente. I tecnocrati chiamati al governo applicano le stesse ricette che hanno portato al disastro. Nelle periferie di questo, dal Messico alla Grecia, si palesa come incubo la fine del lavoro evocata da Jeremy Rifkin come sogno meno di vent’anni fa.

Lo spettro della fine del lavoro, che vuol dire fine dell’aspettativa di vita degna per moltitudini di persone, ci riporta al punto di partenza. Fu per risolvere armi alla mano il conflitto tra capitale e lavoro che fu bombardato il palazzo della Moneda a Santiago del Cile quell’11 settembre di 39 anni fa. Arrivarono i Chicago Boys, gli economisti neoliberali venuti dal Nord, che poterono sperimentare sulla carne viva dei lavoratori cileni torturati le loro teorie. Non risolsero ma pretesero di cancellare tale conflitto, incarnato dalla figura alta di Salvador Allende, come cancellarono le libertà sindacali e i diritti umani. Fu con le bombe alla Moneda che si aprì la stagione che portò al delirio d’onnipotenza neoconservatore, attraverso il reaganismo, il thatcherismo, il neoliberismo reale. Proprio in America latina arrivò a indurre carestie in paesi ricchissimi come l’Argentina. Infine, attraverso l’uso strumentale dell’11 settembre 2001, vollero le “guerre infinite” e seminarono la gramigna del nostro presente di declino.

Oggi, nonostante la figura di Allende si stagli ancora per etica, statura politica, visione della complessità, è lontano il Cile dell’Unidad Popular, il Cile dei sindacati e delle organizzazioni di classe, il Cile dell’universalità dei diritti al quale davamo il nome di Socialismo. È lontano ma è allo stesso tempo vicino, come testimoniano i governi integrazionisti latinoamericani e nello stesso Cile gli enormi movimenti studenteschi. È vicino perché, con quel golpe ignominioso, non fu messa fine a un’esperienza di governo in un paese periferico, ma si cancellò una possibilità concreta di progresso per sperimentare e imporre il modello che portò a infinite ingiustizie. È lontano l’11 settembre 1973, ma il Cile popolare ha ancora molto da insegnare. Al contrario il modello dell’11 settembre è davvero al capolinea.



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Skull and bones e la Massoneria contro il Cile?

Ricordando l’11 settembre 1973

di Claudia Cernigoi

La mattina dell’11 settembre 1973 a Santiago del Cile un colpo di stato militare, foraggiato dal governo degli Stati Uniti d’America, mise fino al sogno cileno, al governo progressista e riformista di Salvador Allende, che stava cercando di realizzare il socialismo con mezzi democratici.
Non gli fu permesso: nazionalizzare i mezzi di produzione sottraendoli ai capitalisti, soprattutto stranieri, per ridistribuire la ricchezza a tutto il popolo cileno in modo da garantire una vita decente a ciascuno, fu osare troppo. Allende fu ucciso dai golpisti mentre difendeva il proprio posto al palazzo presidenziale, migliaia di cittadini furono uccisi sommariamente in quei giorni, decine di migliaia imprigionati, torturati, internati in campi di detenzione. Erano sindacalisti, militanti, studenti, lavoratori, intellettuali, casalinghe, contadini. Ed il Cile precipitò in un incubo che durò per vent’anni.

I servizi statunitensi iniziarono a preparare la deposizione di Allende subito dopo la sua vittoria elettorale, (settembre 1970), dopo non essere riusciti ad impedirla. Il capo della stazione della Cia a Santiago nel 1970 era Dino Pionzio, un italo-americano membro dell’associazione Skull & Bones (letteralmente Teschio e Ossa, infatti il loro simbolo sembra quello dei pirati), una sorta di confraternita creata presso l’Università di Yale nel 1832, e della quale si dice sia il luogo in cui vengono formati coloro che sono destinati a determinare la politica degli Stati Uniti. Moltissimi dirigenti della Cia furono membri della Skull & Bones, così come ne fanno parte sia l’ex presidente George Bush, sia il suo concorrente democratico alle elezioni nel 2004, John Kerry.
Heinz Duthel, autore tedesco di una storia della Massoneria cita Pionzio come massone, particolare che ci ricorda che anche Allende era massone, così come era massone Pinochet, e che a questo proposito si dice che la responsabilità del golpe sarebbe da attribuire a Fidel Castro, iscritto alla stessa loggia di Allende e Pinochet, e che avrebbe detto ad Allende che poteva fidarsi del generale (teoria di Pierre Kalfon, più volte smentita).
In realtà noi abbiamo trovato che Allende era Maestro della Loggia Hiram 66 di Santiago (in “la Massoneria” delle edizioni Demetra) mentre Pinochet avrebbe aderito alla Loggia Vittoria n. 5 tra il 1941 ed il 1942 (“il Mastino” in http://www.papalepapale.com/develop/controstoria-imbarazzante-di-allende-massone-e-nazicomunista-parte-2/, articolo peraltro molto poco condivisibile), quindi se siano appartenuti alla stessa loggia può anche essere dubbio, però rimane il problema del ruolo che la massoneria ebbe nel golpe, considerando che alcuni fratelli massoni cospirarono per eliminare un altro fratello massone.
O forse furono proprio le scelte politiche ed economiche di Allende ad essere viste dai suoi confratelli come un tradimento nei confronti della comune consociazione, ed a provocare quindi una reazione così violenta ed efferata nei suoi confronti? 
Ricordiamo qui l’intervento di Allende alle Nazioni Unite nel 1972: 
“Ci troviamo davanti a un vero scontro frontale tra le grandi corporazioni internazionali e gli Stati.
Questi subiscono interferenze nelle decisioni fondamentali, politiche, economiche e militari da parte di organizzazioni mondiali che non dipendono da nessuno Stato.
Per le loro attività non rispondono a nessun governo e non sono sottoposte al controllo di nessun Parlamento e di nessuna istituzione che rappresenti l'interesse collettivo.
In poche parole la struttura politica del mondo sta per essere sconvolta.
Le grandi imprese multinazionali non solo attentano agli interessi dei Paesi in via di sviluppo, ma la loro azione incontrollata e dominatrice agisce anche nei paesi industrializzati in cui hanno sede.
La fiducia in noi stessi che incrementa la nostra fede nei grandi valori dell'umanità, ci da la certezza che questi valori dovranno prevalere e non potranno essere distrutti.”
Questo il motivo per cui Allende fu assassinato. Perché le “organizzazioni mondiali che non dipendono da nessuno Stato” non potevano permettere che la sua politica prendesse piede, non potevano permettere che si minassero i loro interessi.
Abbiamo voluto riproporre il discorso di Allende a distanza di quarant’anni perché ci sembra ancora del tutto attuale e condivisibile e per non perdere la memoria di un uomo coraggioso ed altruista, che il poeta uruguayano Mario Benedetti definì “uomo della pace”.

Settembre 2012





(The original version of this article, in english:
Manufacturing Failed States - by Edward S. Herman, Z Magazine, septembre 2012




9 septembre 2012

Pendant la Guerre du Vietnam, au-dessus de l’entrée d’une base américaine on pouvait lire : « Killing Is Our Business, and Business Is Good. » (« Tuer c’est notre affaire, et les affaires marchent fort »). Et en effet, les affaires marchaient vraiment très fort au Vietnam (de même qu’au Cambodge, au Laos ou en Corée), où on comptait par millions le nombre de civils tués. D’ailleurs elles se sont plutôt bien maintenues aussi après la Guerre du Vietnam.



Les massacres ont continué sur tous les continents, aussi bien directement que par l’entremise de « proxies » (1), partout où la « sécurité nationale » américaine avait besoin de bases, de garnisons, d’assassinats, d’invasions, de campagnes de bombardements, ou de sponsoriser des régimes assassins et d’authentiques réseaux et programmes terroristes trans-nationaux, pour répondre à la « menace terroriste » qui ne cesse de défier le pauvre « géant pitoyable » (2). Dans son excellent ouvrage sur l’ingérence des États-Unis au Brésil (United States Penetration of Brazil, Pennsylvania University Press, 1977), Jan Knippers Black montrait déjà il y a des années, combien l’acception merveilleusement élastique du concept de « sécurité nationale » peut être élargie, en fonction de ce qu’une nation, une classe sociale ou une institution estime qu’elle devrait pouvoir recouvrir. Au point que ce sont précisément « ceux dont la richesse et la puissance devraient en principe garantir la sécurité, qui sont en fait les plus paranoïaques et qui, par leurs efforts effrénés pour assurer leur sécurité, engendrent eux-mêmes leur propre [lot de] destruction ». (Son ouvrage traitait du risque d’apparition d’une démocratie sociale au Brésil dans les années 1960, et de son élimination grâce au soutien américain à une contre-révolution et à l’établissement d’une dictature militaire). Ajoutez à cela le besoin des entrepreneurs liés au complexe militaro-industriel, de favoriser des missions justifiant l’augmentation des budgets de défense, et la pleine et entière coopération des médias de masse à cette activité, et vous obtenez une terrifiante réalité.


En réalité ledit géant faussement paranoïaque s’est démené comme un beau diable pour produire des semblants de menaces à peu près crédibles, surtout depuis la chute de « l’empire du mal » que ce pays avait toujours prétendu « contenir ». Dieu merci, après quelques tentatives sporadiques de cristalliser l’attention sur le narco-terrorisme, puis sur les armes de destruction massive de Saddam Hussein, le terrorisme islamique tomba littéralement du ciel pour offrir à cette défunte menace un digne successeur, découlant tout naturellement de l’hostilité du monde arabe aux libertés américaines et de son refus de laisser à Israël la possibilité de négocier la paix et de régler pacifiquement ses désaccords avec les Palestiniens.


En plus d’optimiser les massacres et les ventes d’armes qui en découlent, les États-Unis devenaient ausside facto le premier producteur d’États ratés (3), à l’échelle industrielle. Par État raté, j’entends un État qui, après avoir été écrasé militairement ou rendu ingérable au moyen d’une déstabilisation économique ou politique et du chaos qui en résulte, a presque définitivement perdu la capacité (ou le droit) de se reconstruire et de répondre aux attentes légitimes de ses citoyens. Bien sûr, cette capacité de production des États-Unis ne date pas d’hier – comme le montre l’histoire d'Haïti, de la République Dominicaine, du Salvador, du Guatemala ou de ces États d’Indochine où les massacres marchaient si bien. On a d’ailleurs pu constater récemment une prodigieuse résurgence de cette production d’États ratés, occasionnellement sans hécatombes, comme par exemple dans les ex-républiques soviétiques et toute une kyrielle de pays d’Europe de l’Est, où la baisse des revenus et l’accroissement vertigineux du taux de mortalité découlent directement de la « thérapie de choc » et de la mise à sac généralisée et semi-légale de l’économie et des ressources, par une élite appuyée par l’Occident mais aussi plus ou moins organisée et soutenue localement (privatisation tous azimuts, dans des conditions de corruption optimales).


Une autre cascade d’États ratés découlait par ailleurs des « interventions humanitaires » et changements de régime menés par l’OTAN et les USA, plus agressivement que jamais depuis l’effondrement de l’Union Soviétique (c'est à dire depuis la disparition d’une « force d’endiguement » extrêmement importante bien que très limitée). Ici, l’intervention humanitaire en Yougoslavie a servi de modèle. La Bosnie, la Serbie et le Kosovo furent changés en États ratés, quelques autres s’en sortirent chancelants, tous assujettis à l’Occident ou à sa merci, avec en prime la création d’une base militaire US monumentale au Kosovo, le tout érigé sur les ruines de ce qui avait jadis été un État social démocrate indépendant. Cette belle démonstration des mérites d’une intervention impériale inaugura la production d’une nouvelle série d’États ratés : Afghanistan, Pakistan, Somalie, Irak, République Démocratique du Congo, Libye – avec un programme similaire déjà bien avancé aujourd’hui en Syrie et un autre visiblement en cours dans la gestion de la dite « menace iranienne », visant à renouer avec l’heureuse époque de la dictature pro-occidentale du Shah.


Ces échecs programmés ont généralement en commun les stigmates caractéristiques de la politique impériale et d’une projection de puissance de l’Empire. Ainsi par exemple l’émergence ou/et la légitimation (ou la reconnaissance officielle) d’une rébellion ethnique armée qui se pose en victime, mène contre les autorités de son pays des actions terroristes visant parfois ouvertement à provoquer une réaction violente des forces gouvernementales, et qui appelle systématiquement les forces de l’Empire à lui venir en aide. Des mercenaires étrangers sont généralement amenés à pied d’œuvre pour aider les rebelles ; rebelles indigènes et mercenaires étant généralement armés, entraînés et soutenus logistiquement par les puissances impériales. Ces dernières s’empressent bien sûr d’encourager et soutenir les initiatives des rebelles pour autant qu’elles leur paraissent propres à justifier la déstabilisation, le bombardement et finalement le renversement du régime cible.


Le procédé était flagrant durant toute la période du démantèlement de la Yougoslavie et dans la production des États ratés qui en sont issus. Les puissances de l’OTAN ayant alors pour objectif l’éclatement de la Yougoslavie et l’écrasement de sa composante la plus importante et la plus indépendante, à savoir la Serbie, elles encouragèrent à la rébellion les éléments nationalistes des autres républiques de la fédération, pour lesquelles le soutien voire l’engagement militaire de l’OTAN sur le terrain était naturellement acquis. Le conflit n’en fut que plus long et vira au nettoyage ethnique, mais pour ce qui est de la destruction de la Yougoslavie et de la production d’États ratés, ce fut une réussite (Cf. Herman et Peterson, « The Dismantling of Yugoslavia  », [Le démantèlement de la Yougoslavie], Monthly Review, octobre 2007). Assez curieusement, c’est avec l’aval et la coopération de l’administration Clinton et de l’Iran qu’on importa entre autres mercenaires, des éléments d’Al-Qaïda en Bosnie puis au Kosovo, pour aider à combattre le pays cible : la République Serbe (4). Mais Al-Qaïda comptait aussi parmi les rangs des « combattants de la liberté » engagés dans la campagne de Libye, et elle est aussi une composante notoire (même le New York Times le reconnaît désormais, fut-ce avec un peu de retard) du changement de régime programmé en Syrie (Rod Nordland, « Al Qaeda Taking Deadly New Role in Syria Conflict  », New York Times, 24 juillet 2012). Bien sûr, Al-Qaïda avait aussi été auparavant une pièce maîtresse du changement de régime [de 1996] (5) en Afghanistan, puis un élément clé du retournement de situation du 11 septembre (Ben Laden, leader rebelle saoudien de premier rang, d'abord sponsorisé par les États-Unis, puis lâché par ses sponsors, se serait ensuite retourné contre eux avant d’être diabolisé puis éliminé par ces derniers).


Ces programmes impliquent toujours une habile gestion des atrocités commises, qui permet de pouvoir accuser le gouvernement agressé d’avoir commis des actes de violence graves à l’encontre des rebelles et de leurs partisans, et ainsi de le diaboliser efficacement afin de pouvoir justifier une intervention plus massive. Cette méthode a joué un rôle clé pendant les guerres de démantèlement de la Yougoslavie, et probablement bien davantage encore dans la campagne de Libye et dans celle de Syrie. Elle doit d’ailleurs beaucoup à la mobilisation d’organisations internationales, qui prennent activement part à cette diabolisation en dénonçant les atrocités imputables au dirigeant visé, voire en le poursuivant et condamnant d’office au pénal. Dans le cas de la Yougoslavie, le Tribunal Pénal International pour l’ex Yougoslavie (TPIY), mis en place par l’ONU, travailla main dans main avec les puissances de l’OTAN pour s’assurer que la seule mise en accusation des autorités serbes suffirait à justifier toute action que les USA et l’OTAN décideraient d’entreprendre. Magnifique illustration cette mécanique, la mise en examen de Milosevic par le Procureur du TPIY fut lancée précisément au moment où (en mai 1999) l’OTAN décidait de bombarder délibérément les infrastructures civiles serbes pour accélérer la reddition de la Serbie – alors que ces bombardements mêmes étaient des crimes de guerre caractérisés menés en totale violation de la Charte des Nations Unies. Or c’est précisément le procès de Milosevic qui permit aux médias de détourner l’attention du public des exactions désobligeantes et illégales de l’OTAN.


De même, à la veille de l’agression de la Libye par l’OTAN, le procureur de la Cour Pénale Internationale (CPI) s’empressa de lancer des poursuites contre Mouammar Kadhafi sans même avoir jamais demandé le lancement d’une investigation indépendante, et alors qu’il était notoire que la CPI n’avait jusqu’ici jamais poursuivi personne d’autre que des chefs d’États africains non alignés sur l’Occident. Ce curieux mode de « gestion de la légalité » est un atout inestimable pour les puissances impériales et s’avère extrêmement utile dans la perspective d’un changement de régime comme dans la production d’États ratés.


Interviennent aussi des organisations humanitaires ou de « promotion de la démocratie », soi-disant indépendantes, à l’instar de Human Rights Watch, de l’International Crisis Group ou de l’Open Society Institute, qui régulièrement se joignent au cortège impérial en dressant l’inventaire des seuls crimes possiblement imputables au régime cible et à ses dirigeants, ce qui contribue notablement à radicaliser la polarisation des médias. L’ensemble permet la production d’un environnement moral favorable à une intervention plus agressive au nom de la défense des victimes.


S’ajoute ensuite le fait que, dans les pays occidentaux, les dénonciations ou allégations d’atrocités commises – que viennent renforcer les images de veuves éplorées et de réfugiés démunis, les preuves apparemment patentes d’exactions odieuses et l’émergence d’un consensus sur la « responsabilité de protéger » les populations victimes du conflit – émeuvent profondément une bonne partie des milieux libertaires et de gauche. Nombre d'entre eux en viennent alors à hurler avec les loups et à s’en prendre eux aussi au régime cible, pour exiger une intervention humanitaire. Les autres s’enfoncent généralement dans le mutisme, rendus perplexes, certes, mais craignant surtout de se voir accusés de « soutenir des dictateurs ». L’argument des interventionnistes est que, au risque de sembler soutenir l’expansion de l’impérialisme, on se doit de faire exception lorsque des choses particulièrement graves ont lieu et que tout le monde chez nous s’indigne et demande qu’on intervienne. Mais on se doit aussi, pour se montrer authentiquement de gauche, de tenter une micro-gestion de l’intervention pour contenir l’attaque impériale – en exigeant par exemple qu’on s’en tienne à une interdiction de survol en Libye (6).


Mais les États-Unis eux-mêmes ne sont pas l’une des moindres réussites de cette production d’États ratés. A l’évidence, aucune puissance étrangère ne les a jamais écrasés militairement, mais la base même de leur propre population a payé un tribut extrêmement lourd à leur système de guerre permanente. Ici, l’élite militaire, de même que ses alliés du monde de l’industrie, de la politique, de la finance, des médias et de l’intelligentsia, a très largement contribué à l’aggravation de la pauvreté et de la détresse généralisée, à la désintégration des services publics et à l’appauvrissement du pays, en maintenant la classe dirigeante, paralysée et compromise, dans l’incapacité de répondre correctement aux besoins et attentes de ses citoyens ordinaires, malgré l’augmentation constante de la productivité par tête et du PNB. Les excédents y sont intégralement captés par le système de guerre permanente et par la consommation et l’enrichissement d’une petite minorité qui – dans ce que Steven Pinker dans Better Angels of Our Nature appelle une période de « recivilisation » – combat agressivement pour pouvoir mener sa captation bien au-delà de la simple monopolisation des excédents, jusqu’au transfert direct des revenus, biens et droits publics de la vaste majorité de ses concitoyens (qui se démènent). En tant qu'État raté comme dans bien d’autres domaines, les États-Unis sont incontestablement une nation d’exception !



Traduit de l’Anglais par Dominique Arias pour Investigaction.

 

Notes :

(1) Ndt : Proxies, groupes paramilitaires ou mercenaires formés, armés, financés et soutenus ou dirigés par une ou plusieurs Grandes puissances pour déstabiliser un pays cible. Les conflits dits « de basse intensité » ou « dissymétriques » menés ainsi indirectement sont appelés « proxy wars  ». bien que souvent présentée comme telle, une proxy war est tout sauf une guerre civile.

(2) Ndt : Dans les médias et le cinéma américain, les États-Unis sont fréquemment représentés comme un pauvre « géant pitoyable », malhabile et balourd. Cette représentation permet de minorer les crimes de guerre et crimes contre l’humanité commis délibérément et sciemment par ce pays, en les faisant passer pour autant de bourdes et de maladresses parfaitement involontaires. Le terme « casualties »(négligences) désigne par exemple les victimes civiles d’exactions militaires, lorsque celles-ci sont commises par les USA ou leurs alliés.

(3) Ndt : États ratés (failed states), terme de diplomatie internationale qui désigne les États incapables de maintenir ou développer une économie saine, fait écho à « rogue states » (États voyous) et à « smartstates » (États malins : en l’occurrence ceux qui, à l’instar des États-Unis, évitent de déclencher et de mener officiellement eux-mêmes les guerres qui leur profitent.

(4) Cf. : Unholy Terror [terreur impie ou invraisemblable ou contre nature, l'acception de Unholy étant très large], de John Schindler, article particulièrement démonstratif sur ce sujet et qui, de fait, n’apparaît plus nulle part, sauf sur Z-Magazine ! Voir ici mon « Safari Journalism : Schindler’s Unholy Terror versus the Sarajevo Safari’s Mythical Multi-Ethnic Project  »Z Magazine, avril 2008.

(5) Ndt : Afghanistan :

  • Renversement de la monarchie 1978
  • Invasion soviétique en soutien au nouveau régime : 1979-1989
  • Guerre civile pro/anti-islamistes :1990-1996
  • Coup d’État et prise de pouvoir des Talibans : 1996
  • Début de l'intervention de Ben Laden dans le conflit : 1984
  • Création d’Al-Qaïda : 1987

(6) Cf. Gilbert Achcar, « A legitimate and necessary debate from an anti-imperialist perspective » [Un débat légitime et nécessaire à partir d’une perspective anti-impérialiste], ZNet, 25 mars 2011 ; et ma réponse dans « Gilbert Achcar’s Defense of Humanitarian Intervention  » [Gilbert Achar prenant la défense d’une intervention humanitaire], MRZine, 8 avril 2011, concernant « les finasseries de la gauche impérialiste ».

 

Edward S. Herman est Professeur Émérite de Finance à la Wharton School, Université de Pennsylvanie. Économiste et analyste des médias de renommée internationale, il est l’auteur de nombreux ouvrages dont : Corporate Control, Corporate Power (1981), Demonstration Elections (1984, avec Frank Brodhead),The Real Terror Network (1982), Triumph of the Market (1995), The Global Media (1997, avec Robert McChesney), The Myth of The Liberal Media : an Edward Herman Reader (1999) et Degraded Capability : The Media and the Kosovo Crisis (2000). Son ouvrage le plus connu, Manufacturing Consent (avec Noam Chomsky), paru en 1988, a été réédité 2002 aux USA puis en 2008 au Royaume Uni.

 

Source : Z Magazine, septembre 2012.





RITORNO SUL LUOGO DEL DELITTO

08-SET-12 20:05 

ANSA/ S.EGIDIO: DA DOMANI A SARAJEVO MEETING RELIGIONI, APRE MONTI

MINISTRO RICCARDI E VERTICI COMUNITA' OGGI RICEVUTI DAL PAPA (dell'inviato Fausto Gasparroni) (ANSA) - SARAJEVO, 8 SET - A due decenni dall'inizio dell' assedio che in quasi quattro anni, tra il 1992 e il 1996, lascio' oltre 12 mila morti e provoco' ferite non ancora rimarginate nel cuore dei Balcani, Sarajevo si propone come citta' della pace e del dialogo tra culture e religioni diverse. Si svolge da domani a martedi' nella capitale bosniaca, infatti, il meeting internazionale per la pace ''Vivere insieme e' il futuro - Religioni e culture in dialogo'', ''il piu' grande avvenimento di dialogo religioso e politico dalla guerra ad oggi'', promosso dalla Comunita' di Sant'Egidio in stretta collaborazione con l'arcidiocesi di Sarajevo, col patriarcato serbo ortodosso e con le locali comunita' islamica ed ebraica. E quanto l'incontro internazionale tocchi nodi cruciali del futuro europeo e dell'integrazione sociale e politica del continente nel delicato momento della crisi economica, e' sottolineato anche dal fatto che alla giornata di apertura interverranno personalita' della politica come il premier Mario Monti e il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy. Nel pomeriggio di domani, dopo l'assemblea di apertura e dopo l'introduzione del ministro della cooperazione internazionale e dell'integrazione Andrea Riccardi, fondatore della Comunita' di Sant'Egidio, Monti, proveniente dal Forum di Cernobbio, interverra' su ''Crisi e speranza nel mondo della globalizzazione''. Van Rompuy, invece, su ''La civilta' europea del vivere insieme''. Partecipazioni, quelle di Monti e Van Rompuy, che dimostrano che questa ''non e' solo l'Europa dell' euro, ma l'Europa della cultura''. Oggi intanto, alla vigilia dell'incontro che rinnova lo ''spirito di Assisi'' proprio nella citta' martire della guerra dei Balcani, Riccardi, con mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio della Famiglia e assistente spirituale di Sant' Egidio, e il presidente della Comunita' Marco Impagliazzo, e' stato ricevuto a Castel Gandolfo da Benedetto XVI: un'udienza in cui si e' potuto parlare col Papa - peraltro in partenza la prossima settimana per il Libano - dei temi del Meeting, voluto ogni anno da Sant'Egidio sull'onda della storica preghiera di Assisi del 1986 di Giovanni Paolo II con i leader di tutte le religioni mondiali. ''Il dialogo tra i credenti e le religioni - ha detto al Sir Mario Marazziti, portavoce della Comunita' di Sant'Egidio - non ha paura di confrontarsi con il conflitto e con le difficolta' ma si chiede in maniera profonda come le religioni possono contribuire a cambiare il profondo della storia dell'uomo. Siamo in un momento nel Mediterraneo e nei Balcani dove il vivere insieme non sembra possibile ma e' la necessita' di tutti i giorni. Anche se ci sono difficolta', qui da Sarajevo le religioni si prendono la responsabilita' di lanciare un segnale di riconciliazione che in questo momento le classi politiche fanno fatica a fare''. L'incontro di Sarajevo, insomma, vuole riaffermare la cultura del vivere insieme come valore europeo e proposta dell'Europa al mondo intero. Gia' oggi, un evento di valore storico e' stata la partecipazione del patriarca della Chiesa serba ortodossa Irinej alla messa celebrata in cattedrale dal cardinale arcivescovo Vinko Puljic. Irinej, primo rappresentante serbo ortodosso in Bosnia dal periodo della guerra, ha anche pronunciato un saluto. Domani, inoltre, nel primo dei tre giorni che prevedono 30 tavole rotonde sui temi principali del dialogo ecumenico ed interreligioso, della convivenza e della ricerca di pace nelle societa' contemporanee, un atto altamente simbolico sara' la consegna di una copia della celebre Haggadah di Sarajevo (tipo di narrazione del Talmud e di parte della liturgia ebraica, salvato dai musulmani dalla distruzione) da parte della comunita' islamica di Bosnia Erzegovina agli inviati del Gran Rabbinato di Israele e ai rappresentanti della comunita' ebraica mondiale. (ANSA). 

(segnalato da Claudia C.
Sul ruolo delle religioni nello squartamento della Jugoslavia si veda anche la vignetta di Milena Čubraković: