Informazione



Siria, la Jugoslavia araba del Medio Oriente

Nicola Nasser* 
Pravda, 2 novembre 2011

Circondata dal membro veterano turco della NATO a nord, dal partner israeliano della NATO e dalle flotte della marina dei suoi Stati membri, che pattugliano il Mediterraneo, ad ovest, dal partner giordano dell’Alleanza a sud, e ad est dall’Iraq che ospita una missione della NATO, di cui dovrebbe diventare il 12° partner arabo, e nuotando solitario in un mare di alleati strategici arabi e israeliano degli Stati Uniti, il regime del presidente siriano Bashar al-Assad si erge come la Jugoslavia del Medio Oriente, che è stata raggiunta dall’espansione verso sud della Organizzazione del Trattato Nord Atlantico, così come dal “nuovo ordine mondiale”, progettato dalla potenza unipolare degli Stati Uniti; escluso come corpo estraneo regionale, o raggiungendo Iraq e Libia bombardate fino a tornare all’età medievale.
Dopo l’ultimo loro successo militare nell’aprire il cancello libico sull’Africa,  sembra che degli Stati Uniti siano sul punto di assumere il 13° “partner” arabo della NATO, permettendo così di spostare il quartier generale di Africom dalla Germania al continente, dopo la rimozione del regime di Gheddafi, che si oppose sia a questa mossa e che all’Unione per il Mediterraneo (MU) francese, una rimozione che è di per sé, per tutte le ragioni realpolitiche, un avvertimento minaccioso alla vicina Algeria affinché ammorbidisca la sua opposizione  sull’installazione in Africa di Africom e all’espansione verso sud della NATO, e a togliere qualsiasi riserva mentale sulla rinascita della MU, che ha perso il suo co-presidente egiziano, assieme al presidente Nicolas Sarkozy, con la rimozione dell’ex presidente Hosni Mubarak dal potere a Cairo.
Gli Stati Uniti e la NATO sono pronti ora a spostare l’attenzione dal Nord Africa arabo al Levante arabo, per affrontare l’ultimo ostacolo siriano alla loro egemonia regionale. L’amministrazione del presidente Barak Obama sembra ormai decisa a spezzare il regime di al-Assad, allontanandosi dalla politica decennale di gestione delle crisi, perseguita dalle precedenti amministrazioni degli Stati Uniti nei confronti della Siria, che si trova ora nel Medio Oriente come l’ex Jugoslavia si trovava sulla scia del crollo dell’Unione Sovietica, quando una serie di guerre etniche e religiose la rovinarono, creando dai suoi rottami vari stati nuovi, fino a quando il nucleo serbo dell’unione jugoslava venne bombardata dalla NATO nel 1999, per far della Serbia ora un possibile membro dell’alleanza.
Tuttavia fattori strategici geopolitici internazionali e regionali stanno trasformando la Siria in una linea rossa, che potrebbe inaugurare una nuova era di ordine mondiale multipolare che ponga fine all’ordine unipolare degli Stati Uniti, se l’alleanza guidata dagli Stati Uniti non riuscirà a cambiare il regime siriano, o alla completa egemonia regionale USA – NATO, ciò che potrebbe precludere il risultato tanto atteso, in caso di successo, sono:
- Internamente, le infrastrutture dello Stato sono forti, i militari, la sicurezza, la dirigenza diplomatica e politica sono coerenti, unificate e potenti, ed economicamente lo Stato non è gravato dal debito estero ed è autosufficiente per quanto riguarda prodotti petroliferi, alimentari e di consumo. Imporre un completo assedio per soffocare economicamente e diplomaticamente il Paese sembra impossibile. La cosa più importante politicamente è il fatto che la diversità pluralistica delle grandi minoranze religiose e settarie siriane, priva l’opposizione più importante, quella dell’organizzazione islamista dei Fratelli musulmani, del ruolo guida di cui gode nelle proteste di quella che è stata definita “primavera araba” in Tunisia, Egitto e Yemen.
- Contrariamente alle analisi occidentali, che prevedono che il cambiamento dei regimi della “primavera araba” sia un disco motivante per un cambiamento simile in Siria, tali cambiamenti sono stati dei cattivi esempi per i siriani. La distruzione delle infrastrutture dello stato, specialmente in Iraq e Libia, e la cessione del processo decisionale nazionale alla NATO e agli Stati Uniti, almeno per gratitudine verso i loro ruoli nel cambiamento, non sono considerate dalla stragrande maggioranza dei siriani, compresa l’opposizione tradizionale nel paese, un prezzo accettabile e fattibile per il cambiamento e la riforma. L’esimio giornalista veterano egiziano e internazionale, Mohammed Hassanein Heikal, in un’intervista al canale satellitare arabo del Qatar, al-Jazeera, citava i cattivi esempi iracheni e libici, per spiegare l’alienazione della classe media siriana nelle principali città dal sostegno alle proteste che esigono il cambiamento del regime, ed aveva anche accusato al-Jazeera di “istigazione” contro il regime siriano di al-Assad.
- Questa situazione complessiva interna continua a scoraggiare un intervento esterno, da un lato, e dall’altro spiega perché l’opposizione abbia finora fallito nel lanciare anche una sola protesta da milioni di persone nelle strade, come era ed è il caso di Tunisia, Egitto, Bahrain e Yemen, soprattutto nei centri abitati più importanti come la capitale Damasco, Aleppo, che ospitano una decina di milioni di persone.
- Inoltre, l’uscita di una minoranza di islamisti armati, che presumibilmente avrebbe difeso i manifestanti, è fallita, alienando il pubblico in generale, le minoranze, in particolare, ed evidenziando le loro fonti esterne di finanziamento e di armamento, in tal modo sostenendo l’accusa del regime dell’esistenza di una “cospirazione” esterna, ma soprattutto deviando i riflettori dei media dalle proteste pacifiche, indebolendo queste proteste e allontanando sempre più persone dall’unirsi a loro per paura della sicurezza personale, come dimostrato dalla grande diminuzione di manifestanti, e trascinando l’opposizione in battaglia, dove il regime è sicuramente più forte, almeno in assenza di intervento militare esterno, che non è prossimo in un futuro prevedibile; un fatto che è stato confermato nella capitale libica, Tripoli, il 31 ottobre, dal segretario generale della NATO Anders Fogh Rasmussen: “La NATO non ha alcuna intenzione (di intervenire). Posso assolutamente escluderlo“, riferiva la Reuters .
- Geopoliticamente, è vero che le potenze occidentali dopo la Prima guerra mondiale riuscirono a ridurre la Siria storica alla sua dimensione attuale, ma l’ideologia siriana pan-araba e la sua influenza si basano ancora sulla Siria storica, ed è ancora coerente con ciò che il defunto studioso di Princeton, Philip K. Hitti aveva chiamato (citato da Robert D. Kaplan su Foreign Policy del 21 aprile 2011) “Grande Siria” – l’antecedente storico della moderna Repubblica – “il più grande piccolo paese sulla mappa, di dimensioni microscopiche, ma dall’influenza cosmica“, che comprende nella sua geografia, alla confluenza di Europa, Asia e Africa, “la storia del mondo civilizzato in miniatura“. Kaplan ha commentato: “Questa non è un’esagerazione, perché non lo sono i disordini in corso in Siria, molto più importanti di quanto abbiamo visto nei disordini in tutto il Medio Oriente.” Il cambiamento di regime in Siria non porterà sicurezza e stabilità nella regione, al contrario, si aprirà un vaso di Pandora regionale. Il presidente siriano al-Assad è assai ben consapevole di questa realtà geopolitica, quando ha detto in Gran Bretagna, in una recente intervista al Sunday Telegraph che la Siria “è una (regione) linea di faglia, e se salti sul suolo, causerai un terremoto“.
- Le ripercussioni regionali di una guerra civile in Siria sono un fattore deterrente, sia contro la militarizzazione delle proteste pacifiche pro-riforma che gli interventi militari a sostegno delle stesse. Pertanto, quando la NATO e gli Stati Uniti fanno pressione o incoraggiano i loro alleati regionali Turchia e paesi arabi del CCG a fomentare conflitti settari sunniti contro l’alleato siriano dell’Iran sciita, come un preludio di guerra civile per il solo  pretesto di un intervento militare, in realtà giocano con il fuoco regionale, che non salverà né i responsabili, né gli interessi “vitali” dei loro sponsor USA-NATO.
- A livello regionale, la possibile perdita per l’Iran del suo ponte siriano sul Mediterraneo, mentre le sue rotte strategiche sul mare potrebbero facilmente essere chiuse nel Golfo, nel Mare Arabico, nello Stretto di Bab-el-Mandeb, nel mar Rosso e nel Canale di Suez da parte della quinta e sesta flotte degli Stati Uniti, nonché dalle flotte degli Stati membri della NATO e d’Israele, e dei governi pro-USA che si affacciano su queste rotte marittime; allora è la linea rossa iraniana il cui sconfinamento potrebbe creare una situazione gravida di rischi potenziali di una guerra regionale.
- Anche Livello regionale, a meno della decisione di Stati Uniti e NATO di andare in guerra contro l’Iran e la Siria, l’intervento militare in Siria non sarebbe all’ordine del giorno, a meno che non ci siano garanzie che Israele resti fuori dalla portata della prevedibile rappresaglia iraniana e siriana.
- I tempi dello spostamento dell’attenzione sulla Siria di USA – NATO coincidono con il punto morto del processo di pace palestinese – israeliano e col fallimento di Barak Obama nel mantenere le sue promesse verso i suoi alleati arabi, allontanando il più moderato di loro, vale a dire il presidente palestinese Mahmoud Abbas, che è ancora in rotta di collisione con lo sponsor statunitense della campagna internazionale contro il suo processo per garantirsi, in ritardo, il riconoscimento della Palestina come membro a pieno titolo delle Nazioni Unite. Il fallimento della mediazione di pace degli Stati Uniti è più controproducente del processo di pace israelo-siriano. Il regime di al-Assad andò al potere con un colpo di stato, con il preciso intento di essere coinvolto nel processo di pace sponsorizzato dagli Stati Uniti in Medio Oriente. Più di quaranta anni dopo gli Stati Uniti vi sono ancora impegnati. Questo fallimento erode l’influenza degli arabi moderati filo-USA, ponendosi come il più grande ostacolo alla costruzione di un fronte israelo-statunitense-arabo contro l’Iran, che è una priorità regionale statunitense e israeliana, aggiunge munizioni e forze al protagonista siriano. L’accordo di riconciliazione di Abbas con un Hamas basato in Siria, è un buon esempio per riflettere su questo contesto, un altro è l’ultima opzione pronunciata dal leader palestinese di sciogliere l’Autorità dell’auto-governo palestinese sotto l’occupazione militare israeliana, cosa che sarebbe un colpo mortale al processo di pace arabo – israeliano.
- Il fallimento della “sponsorizzazione” degli Stati Uniti è stato un fattore importante che ha contribuito ai cambiamenti della “primavera araba” sulla catena di regimi arabi filo-USA di Egitto, Tunisia e Yemen. Tuttavia, questo fallimento rafforza l’ideologia della “resistenza” della Siria, giustifica il suo coordinamento strategico difensivo con l’Iran, rafforza il sostegno popolare a entrambi i paesi nella regione, e dà credibilità alla tesi del regime di Damasco, secondo cui gli Stati Uniti e la NATO stanno alimentando le proteste siriane in nome del cambiamento e della riforma, ma in realtà sfruttando queste proteste “per cambiare il regime” e sostituirlo con uno più disposto ad accettare l’imposizione dei dettati per la pace israelo – statunitense.
- Il ritiro programmato delle forze di combattimento statunitensi dall’Iraq entro la fine dell’anno, è un altro fattore regionale negativo contro l’intervento militare in Siria. Il ritiro senza dubbio lascerà l’Iraq nel quadro di un regime pro – Iran. Il primo ministro Nouri al-Maliki è tra coloro che si oppongono al cambio di regime in Siria, proprio a causa dell’influenza iraniana. L’Iraq sta ormai apertamente sostituendo la Turchia come profondità strategica del suo vicino siriano, fornendo un collegamento strategico tra gli alleati Damasco e Teheran, dopo l’inversione di rotta della Turchia sulla sua “cooperazione strategica” con la Siria, dopo nove anni di “rapporti a zero problemi” con i vicini arabi e islamici, e la sua adesione ai piani della NATO e degli Stati Uniti sulla Siria come membro e alleata rispettivamente.
- A livello internazionale, gli ultimi veti russi e cinesi al Consiglio di Sicurezza dell’ONU sono un’indicazione sufficiente che lo sforzo di Stati Uniti – NATO per cambiare il regime siriano ha superato un’altra linea rossa. Perdendo le sue infrastrutture marittime in Siria, la Russia resterebbe esclusa dal Mar Mediterraneo, che lo renderebbe un lago della NATO e degli Stati Uniti. La Cina, il cui vantaggio competitivo in Africa viene messo in discussione a seguito del cambiamento di regime in Libia, vedrebbe la caduta della Siria, divenendo una base di lancio di Stati Uniti – NATO contro l’Iran, una minaccia reale per la sua competitiva partnership con l’Iran. Cacciando Pechino anche dall’Iran, l’emergente gigante economico cinese sarebbe alla mercé dei partner della NATO, se riuscissero a garantirsi il controllo di Iran e Siria, perché questo  garantirebbe anche il controllo delle riserve strategiche di petrolio in Medio Oriente e Asia centrale. Questo è assolutamente una linea rossa cinese.
- Diplomaticamente, i piani di intervento militare in Siria di USA – NATO, hanno visto negata qualsiasi copertura di legittimità delle Nazioni Unite dai veti russi e cinesi. La legittimità della Lega Araba è ancora carente; per congelare l’adesione di uno Stato membro, come nel caso della Libia, ha bisogno di un consenso che non è in vista.
Due opzioni
Questo è il contesto geopolitico strategico nel quale la trasformazione pro-democrazia siriana sta cercando disperatamente di sopravvivere ai mezzi non democratici di Stati Uniti – NATO per costringere la Siria alla conformità. Sia l’opposizione tradizionale nel paese che il regime al potere hanno quasi un consenso sulle riforme e ai cambiamenti fondamentali che porteranno la Siria a essere ciò che viene oggi definita “seconda repubblica”, attraverso il dialogo.
Sia questa opposizione che il regime, sono contro la militarizzazione delle proteste popolari pacifiche che richiedono riforme e cambiamento, e sono più risolutamente contrarie all’intervento straniero in qualsiasi forma, ed entrambe sono alla ricerca di unità nazionale interna, nonché del supporto estero al pacchetto di riforme che includono l’eliminazione della legge marziale, la limitazione del ruolo dell’intelligence dello Stato sulla sicurezza nazionale, l’abilitazione della società civile, il contrasto alla corruzione politica ed economica, pluralismo politico, elezioni, cambiando delle leggi elettorale, sui partiti e i media, bilanciamento tra esecutivo e legislativo, promozione della magistratura e dello Stato di diritto, e soprattutto, fine del monopolio costituzionale del potere del Partito Baath. Il Carnegie Endowment nella sua “Riforma in Siria: tra il modello cinese e il cambio di regime” del luglio 2006, aveva proposto la maggior parte delle riforme. In meno di sei mesi, il presidente al-Assad ha già emesso i decreti presidenziali che attuano tutte queste riforme.
Tuttavia l’asse dei sostenitori della “responsabilità di proteggere” di Stati Uniti – NATO persiste nel creare fatti sul terreno che comportino l’intervento straniero e li metta in grado di scambiare il loro sostegno a questo pacchetto di riforme interne a un cambiamento dall’esterno dell’agenda politica siriana che ha alimentato, nel corso di quattro decenni di governo al-Assad, la sua rete di alleanze regionali e internazionali hanno permesso alla Siria di mantenere una opzione di difesa nella sua lotta 40ennale per liberare le alture del Golan siriane occupate dagli israeliani, e di rimanere salda contro la dettatura di condizioni a Damasco per fare la pace con Israele, secondo termini israeliani.
Questi fattori negativi lasciano agli Stati Uniti e alla NATO due opzioni:
Primo, fare pressioni sul membro della NATO, la Turchia, affinché abbandoni i suoi nove anni di rapporti a “zero” problemi con i suoi vicini regionali, come descritto da Liam Stack sul New York Times, del 27 ottobre, mentre “ospita un gruppo armato di opposizione che conduce un’insurrezione ... nel mezzo di una più ampia campagna turca per minare il governo di Assad“, nel suo vicino meridionale siriano, la stessa ragione per cui la Turchia da anni conduce incursioni militari in Iraq, e del perché Ankara era sull’orlo della guerra con la Siria, alla fine degli anni ’90.
Secondo, aumentare la militarizzazione delle proteste pacifiche. Il 14 agosto 2011, il notiziario d’intelligence israeliano Debka aveva riferito che gli sviluppi in Siria erano al punto di una vera e propria insurrezione armata, integrata da “combattenti per la libertà” islamisti segretamente supportati, addestrati ed equipaggiati da potenze straniere. Secondo fonti di intelligence israeliane: il quartier generale della NATO a Bruxelles e l’alto comando turco, elaborano piani ... per armare i ribelli con armi controcarro ed anti-elicotteri ... Gli strateghi della NATO stanno pensando a riversare grandi quantità di missili anti-tank e anti-aereo, mortai e mitragliatrici pesanti nei centri di protesta ... La consegna di armi ai ribelli è prevista via terra, vale a dire attraverso la Turchia e sotto la protezione dell’esercito turco ... Secondo fonti israeliane, che restano da verificare, la NATO e l’alto comando turco, contemplano anche lo sviluppo di una “jihad” che comporta l’arruolamento di migliaia di “combattenti per la libertà” islamisti, cosa che ricorda l’arruolamento dei mujahideen per condurre la jihad (guerra santa) della CIA nel periodo di massimo splendore della guerra sovietico-afghana ... è stato anche discusso a Bruxelles e Ankara, affermano le nostre fonti, una campagna per arruolare migliaia di volontari musulmani nei paesi del Medio Oriente e del mondo musulmano, per combattere a fianco dei ribelli siriani. L’esercito turco avrebbe ospitato, addestrato questi volontari e garantito il loro passaggio in Siria!
L’editorialista del Washington Post del 28 settembre 2011, ha fatto una previsione: “La comparsa di tali forze non può essere benaccolta, neanche da coloro che sperano di porre fine al regime di Assad“.
Tuttavia, gli Stati Uniti e la NATO sembrano correre contro il tempo nel perseguire esattamente questo obiettivo, attraverso queste due opzioni, per impedire l’attuazione del pacchetto di riforme siriane, fino a quando il regime al potere sarà costretto a scambiare il suo sostegno a queste riforme con la conformità nell’agenda della politica estera siriana.
Ma poiché la politica estera siriana, come la politica estera di tutti i paesi, serve le prerogative interne in primo luogo, nel caso siriano la liberazione delle terre siriane occupate da Israele, la Siria non è tenuta ad adempiere tale scambio. Pertanto, la “resistenza” siriana continua, e con essa il conflitto regionale.
Nick Cohen ha scritto sul The Jewish Chronicle del 30 agosto 2011: “La Siria è una storia che grida la prima pagina. Ma non sta ricevendo l’interesse che si merita.” Cohen ha ragione, ma deve ancora affrontare la Siria da un approccio completamente diverso.
*Nicola Nasser è un veterano del giornalismo arabo di Bir Zeit, in Cisgiordania, nei territori palestinesi occupati da Israele.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora



Da un ventennio l'Italia pratica politiche guerrafondaie in totale e flagrante spregio del diritto internazionale e nazionale, a partire dalla propria Carta Costituzionale. I giornalisti nostrani, violando il proprio codice deontologico, sussiegosamente preparano la mobilitazione bellica delle masse e si assoggettano all' "embargo" su tutte le notizie e gli approfondimenti che non contribuiscono ad aizzare l'opinione pubblica contro il nemico di turno. Quei professionisti onesti, nei quali la coscienza democratica prevale sulla vigliacca ed egoistica sete di carriera e di denaro, sono fatti oggetto di campagne intimidatorie degne dell'altro oscuro Ventennio vissuto dal nostro paese. 
Tra questi ultimi va annoverata Marinella Correggia, animatrice da alcuni mesi di una importante iniziativa di critica alla informazione "embedded" propinataci dapprima sulla Libia ed ora sulla Siria: il sito di controinformazione e analisi www.sibialiria.org . Il blocco guerrafondaio che attacca Marinella Correggia è composto soprattutto da quegli elementi sciovinisti di ex-sinistra oramai arruolati nel CNS. Il loro unico sogno è quello di vedere Assad linciato brutalmente come già Gheddafi e Saddam; e per esaudire tale desiderio non solo godono dell'informazione falsificata e della propaganda di guerra, ma passerebbero sul cadavere di chiunque osi metterla in discussione. (a cura di Italo Slavo)

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Lettera di denuncia del danno morale e materiale inflittomi pubblicamente da alcune persone per il mio impegno contro la guerra in Siria con la richiesta che ritirino pubblicamente le accuse
Marinella Correggia,  16.06.2012
 
Mi ritengo gravemente danneggiata sul piano umano e materiale da reiterati “articoli” o interventi su facebook e su blog (un parziale elenco si trova più oltre) contro il mio impegno assolutamente gratuito e a mie spese benché quasi a tempo pieno, un impegno contro le guerre e i loro devastanti effetti, impegno iniziato nel 1990-91, e ultimamente volto a scongiurare la guerra Nato in Libia prima e in Siria ora, grazie a una intossicazione mediatica senza pari, alla quale gli autori delle ingiurie nei miei confronti collaborano (nel loro piccolo) e che io da molto tempo cerco di contrastare (nel mio piccolissimo).
Ecco alcuni degli articoli e interventi ai quali mi riferisco (ringrazio chi me li ha segnalati poiché non sono su facebook e la mia navigazione internet non si riferisce a siti di opinione). La libertà di giudizio non deve però arrivare a una disinformazione infamante. Invito le persone e i siti o blog o gruppi facebook nominati a ritirare al più presto le accuse e a scusarsi:
- - Scritto apparso sul sito Vicino Oriente a firma Monti Germano che mi accusa di essere al servizio del regime di Assad e mi affianca a gruppi di estrema destra (accuse entrambe ridicole per chiunque mi conosca; ma non è il caso dell’autore). L’articolo è stato ripreso dal sito di Amedeo Ricucci.
- - L’intervento della signora Aya Homsi nel gruppo facebook “Vogliamo una Siria libera” che fiancheggia il CNS (Consiglio nazionale siriano) e l’Esercito siriano libero; la signora afferma che se io scrivo quel che scrivo è perché “ne traggo un profitto”.
- - Le accuse di essere “embedded” rivoltemi pubblicamente dal signor Enrico De Angelis che lavora al Cairo per un centro di ricerca francese.
1. Gli attacchi ingiuriosi si riferiscono alla ricerca e divulgazione che compio e che in parte viene pubblicata sul sito dedicato www.sibialiria.org. Come chiunque può vedere il sito non dice nemmeno una parola a favore del governo siriano. Ma analizza in tanti episodi i cortocircuiti della disinformazione attuata sin dai massimi livelli (settori dell’Onu che attingono a fonti di parte), la quale sta portando Occidente e petromonarchie a un altro intervento con pretesti “umanitari”, reso possibile dalla creazione del consenso che manipola una realtà di scontri settari con interferenze esterne pesanti fomentati e la fa diventare “un intero popolo massacrato da un dittatore”. Riporto anche testimonianze dirette con nomi e cognomi di vittime alle quali nessuno presta attenzione. Il mio attivismo consiste non tanto nello scrivere articoli (questo non prenderebbe tanto tempo) quanto soprattutto nel networking nazionale e internazionale (rispetto a militanti, siti, gruppi politici, media alternativi) al quale dedico molte ore al giorno; per non dire delle numerose manifestazioni, sit in eccetera nei quali mi attivo da oltre un anno. Ma questo è sconosciuto a chi mi attacca.
2. E’ un grande dolore essere accusati – per la prima volta da quando ho iniziato l’attivismo pacifista nel 1991 - di “pacifismo nero” da parte di persone (vedi oltre) che sostenevano indirettamente i cosiddetti “ribelli” libici, le cui gesta razziste, violente, repressive dei diritti umani, e che ora sostengono il Consiglio Nazionale Siriano (CNS), il quale è finanziato da stati come Qatar e Arabia Saudita, oltre alle potenze occidentali (“dimmi chi ti finanzia e ti dirò chi sei”) e per questo invece di muoversi su una vera strada negoziale chiede ufficialmente interventi armati esterni da parte dei suoi alleati stati capitalisti e sostiene il cosiddetto Esercito siriano libero, delle cui gesta riferiscono ormai gli stessi media mainstream. E’ sorprendente che al tempo stesso i suoi “attivisti” siano presi come fonte di notizie...
3. E’ vergognoso che mi si accusi sul gruppo facebook “Vogliamo una Siria libera” di trarre profitto dai miei scritti. E’ l’esatto contrario, come sa chiunque mi conosca. E’ infatti notevole e ormai quasi insostenibile il danno materiale che traggo dall’impegno per la pace, a causa di (1) mancati introiti dalle mie attività lavorative, pressoché abbandonate da un anno per mancanza di tempo dovendo/volendo dedicarmi solo a questo impegno antiguerra, 2) spese di viaggi in loco (Libia e Siria), e di telefono. A questo si aggiungerà ora 3) il pregiudizio a mie attività future nel campo dell'ecologia di giustizia, a causa di questa diffamazione nei miei confronti. Di pagato in relazione alla Siria ho scritto solo un reportage con foto, per un totale di circa 300 euro. Il resto è stato gratuito e, ripeto, con spese a mio carico. E con una perdita di tempo che mi rallenta diversi progetti anche editoriali. La mia ostinazione è giustificata solo dal non voler vedere più il mio paese partire a bombardare altrui popoli (con effetti che ho verificato in loco più volte) con pretesti umanitari veicolati da menzogne assordanti. Mi muove il desiderio che quella alla Libia sia stata L’ultima delle (nostre) guerre di bombardamenti e massacri. Ma grazie a tanta gente non sarà così.
4. Per me questo è il naturale seguito di un impegno contro le guerre occidentali iniziato nel 1991 e sempre gratuito e autofinanziato (dalle mie attività di autrice di libri e articoli in materia di ecologia, rapporti Nord-Sud, rispetto dei viventi). L’indignazione per il ruolo bellico del paese nel quale purtroppo vivo mi ha portata a essere presente sia in Iraq che in Jugoslavia che in Libia durante i bombardamenti e non certo come inviata di guerra (!) ma come militante. Dal 1991 (prima guerra del Golfo) la propaganda mediatica e la disinformazione creano consenso a interventi bellici. Ora, accertare la verità è cosa difficile, ma cogliere le menzogne e la disinformazione lo è meno. Prende solo molto tempo
5. Con l’occasione denuncio l’opera di demonizzazione contro chiunque esca dal coro assordante e faccia notare esempi lapalissiani di propaganda pro-bellica a tutti i livelli. E’ additato e oltraggiato anche l’impegno di diversi attivisti della Rete NoWar di cui faccio parte.


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Solidarietà alla giornalista e pacifista Marinella Correggia

In questi giorni abbiamo assistito, allibiti, ad una serie di attacchi alla nostra collega Marinella Correggia, giornalista, pacifista dal 1991 e componente di lunga data della Rete NoWar - Roma.   Attacchi che respingiamo con sdegno perché infondati, strumentali e meschinamente ad personam.

Il lavoro che Marinella porta avanti da diversi anni, insieme ad alcuni di noi della Rete, è quello di smontare le bugie contenute in quel diluvio di notizie sensazionalistiche che i mass media usano regolarmente, si direbbe ad arte, per convincerci di sostenere interventi armati in paesi terzi.   Il suo è un lavoro di "pacifismo militante giornalistico", gratuito e a sue spese (e quindi niente affatto “per conto terzi”).

Marinella, nello smontare le falsificazioni dei mass media, dà senz'altro fastidio a qualcuno, non abbiamo dubbi.  E non solo ai giornalisti interessati, ma anche e soprattutto ai ceti dominanti che cercano di promuovere, per profitto, le guerre di conquista fatte passare per interventi "umanitari" in Libia, in Afghanistan, in Iraq, nell'ex-Jugoslavia, ora in Siria.  Marinella sembra infastidire persino molti opinionisti politici che amano dipingere i conflitti in corso in modo semplicistico e del tutto subalterno ai mass media: "popoli coraggiosi che affrontano spontaneamente e a mani nude spietati dittatori i quali, assetati di sangue, non esitano a bombardarli".  Marinella guasta la festa, scoprendo e documentando come, dietro queste sollevazioni senz'altro coraggiose e soggettivamente spontanee, ci siano anche registi occulti che armano i settori più estremisti, inviano nel paese in questione guerriglieri mercenari per aizzare il dittatore di turno e, quindi, provocano guerre civili per giustificare poi i loro interventi "umanitari" a suon di bombe.   E che usano dunque, come i loro "apologeti de facto", questi opinionisti e questi giornalisti compiacenti.

Marinella li denuncia, documenti alla mano; non sorprende, dunque, che qualcuno di loro, per stizza o per partito preso, denuncia Marinella -- e, non avendo documenti di appoggio, ricorre all'insinuazione e all'attribuzione di intenti.  Ma ora basta.  Continuare a spargere queste denigrazioni potrebbe danneggiare seriamente l'attività giornalistica di Marinella.  Pertanto avvertiamo chi vorrebbe continuare a farlo che saremo solidali con Marinella nella tutela del suo nome e della sua professionalità.

Roma, 19 giugno 2012 
                                                 
Rete NoWar – Roma


Firmatari: Nella Ginatempo,  Alessandro Marescotti,  Giulietto Chiesa,  Ufficio Centrale di Alternativa. Claudia Fanti e la redazione Adista,  Giovanni Sarubbi,  Sergio Cararo,  Mila Pernice,  Maurizio Musolino,  Loretta Mussi,  Alessandra Capone,  Alessandro Di Meo,  Andrea Dominici,  Anita Fisicaro,  Anna Farkas,  Antonella Recchia,  Antonio Deplano,  Armando Tolu,  Bassam Saleh,   Blanca Clemente, Luisa Morgantini, Bruna Felici,  Carla Razzano,  David Lifodi,  Dominique Sbiroli,  Enrica Paccoi,  Enza Biancongino,  Enzo Brandi,  Ernesto Celestini,  Flavia Lepre,  Francesco Lussone,  Franco Maresca,  Gianfranco Landi,  Haysha Moore,  Jasmina Radivojevic,  Laura Tussi,  Luciano Manna,  Mahamid Souad, Marco Benevento,  Marco Palombo,  Marco Papacci,  Marco Santopadre,  Maria Antonietta Polidori,  Maria Cristina Lauretti,  Mario Schena,  Marta Turilli,  Massimo Fofi,  Mirella Retico,  Ornella Sangiovanni,  Paola Tiberi,  Patrick Boylan,   Patrizia Cecconi,  Piero Pagliani,  Pietro Raitano,  Pilar Castel,  Roberto  Battiglia,   Roberto  Luchetti,  Rosa Maria Coppolino,  Samantha Mengarelli,  Sancia Gaetani,  Simona Ricciardelli,  Stefania Limiti,  Stefania Russo,  Tiziano Cavalieri,  Tullio Cardia, Francesco Santoianni,  Angelica Romano, Simona Ricciardelli. Francesco Lussone




Da: Iniziativa PARTIGIANI! <partigiani7maggio @ tiscali.it>

Oggetto: Fermo 23/6, Sinalunga 30/6: I PARTIGIANI JUGOSLAVI NELLA RESISTENZA ITALIANA

Data: 18 giugno 2012 12.14.03 GMT+02.00



I PARTIGIANI JUGOSLAVI NELLA RESISTENZA ITALIANA
Storie e memorie di una vicenda ignorata

Roma, Odradek, 2011
pp.348 - euro 23,00

Per informazioni sul libro si vedano:


Novità: 

# E' in corso di pubblicazione su “Italia contemporanea” ( http://www.francoangeli.it/riviste/sommario.asp?IDRivista=164 ) l'articolo:

Gaetano Colantuono
"La presenza di partigiani jugoslavi nella Puglia centrale (1943-1945). Il caso del comune di Grumo Appula"

Abstract:
L’autore analizza i caratteri della presenza di ex internati, profughi e partigiani jugoslavi in Italia meridionale – e delle memorie che di essa permangono – nel comune di Grumo Appula, situato nella Puglia centrale, dal settembre 1943 alla fine della seconda guerra mondiale. Sono qui sviluppati e approfonditi i risultati di una laboriosa ricostruzione delle vicende dei gruppi jugoslavi attivi nella lotta partigiana in Italia, esposte nel volume collettaneo I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana. Storie e memorie di una vicenda ignorata. Sulla base del riesame di fonti di varia natura, il saggio conferma l’importante ruolo svolto dalla Puglia sia come duplice retrovia per coloro che avevano combattuto lungo l’Appennino e per quanti combattevano nei Balcani (luogo di cure mediche, di reclutamento, di addestramento, di formazione delle Brigate d’oltremare che successivamente si sarebbero unite all’Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia) sia come area di complessa mediazione fra i diversi soggetti attivi nel periodo dell’occupazione alleata.

# La giunta di San Severino intitola due vie agli eroi della Resistenza
Al comando dell'istriano Mario Depangher molti erano gli antifascisti jugoslavi, sfuggiti dai campi di concentramento fascisti della nostra Penisola

# In Facebook, le nuove segnalazioni sui Partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana d'ora in poi appaiono tutte alla pagina:

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Fermo, sabato 23 giugno 2012
alle 18:00 presso il B.U.C. Machinery del Conservatorio, Via dell'Università 16

nell'ambito delle iniziative per il 68.mo anniversario della Liberazione di Fermo e del Fermano

Saluti del Sindaco e delle Autorità

Presentazione dei volumi
I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana
di Andrea Martocchia, ed. Odradek
e
La sentenza
di Valerio Varesi, ed. Frassinelli

Saranno presenti gli autori. Coordina Samuele Biondi, Presidente ANPI Fermo

scarica la locandina:

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Sinalunga (SI), sabato 30 giugno 2012
alle ore 18:00 presso la libreria della Festa Democratica di Pieve di Sinalunga (zona Stadio) 

 Presentazione del volume

I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana
Storie e memorie di una vicenda ignorata

di e con il dr. Andrea Martocchia

in collaborazione con ANPI Sinalunga


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(srpskohrvatski / english / italiano)

Missione coloniale-suicida in Kosovo

0) Roma 23/6: Ci metto la faccia! 

1) NOTIZIE / NOVOSTI (Fonte / izvor: www.glassrbije.org)
2) Slučajno se ubio italijanski pripadnik KFOR-a / Forse suicida il soldato italiano morto oggi in Kosovo
3) Il Kosovo Metohija a 13 anni dalla fine dell’aggressione NATO (E. Vigna)
4) What Is NATO/KFOR Really Doing In Kosovo? (John Robles)


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da Alessandro Di Meo riceviamo via Facebook:
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Ci metto la faccia! 

Iniziativa a sostegno dei bambini serbi del Kosovo e Metohija promosso da“Un Ponte per...” 

SABATO 23 GIUGNO 
dalle ore 16.00 in poi a Grottaferrata (Rm)
presso Agricoltura Capodarco via del Grottino snc, 
Presentazione iniziativa a sostegno di famiglie e bambini serbi del Kosovo e Metohija (zona di Gnjilane)

Partecipazione musicale di 
Aloha –Yampapaya world music 
Sacchi -Ranieri-Segnegni Trio Jazz 
Temperanova (bossanova) 
I Musicanti Rudari(musica balcanica) 
Massimo Carrano (multipercussioni) 
Michele Martino (Mediterrafrica) 
Rusty Bluesy ensemble (blues ) 
Radici... ritrovare nell’antica musica nera... la forza di liberazione 
per le schiavitù di oggi... (spiritual) 

Proiezione video "Tempo di digiumo" e brevi letture di Alessandro Di Meo (ass. Un Ponte per...) 

A fine serata Gran falo’ della Notte di San Giovanni 
Stand gastronomici con degustazione di piatti tipici 

Un ringraziamento speciale a Guido Manzi per il service 
(Kirghisa Suono www.kirghisa.it
Per info: 0694549191 segreteria@...


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NOTIZIE / NOVOSTI
Fonte / izvor: www.glassrbije.org

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[Sintesi: Anniversario  dell' Accordo di Kumanovo - Il 9 giugno, verso le ore 22, all'aeroporto sportivo di "Acitepe" vicino Kumanovo, in Macedonia, viene firmato l'accordo tecnico-militare per una soluzione pacifica della crisi del Kosmet. Con la Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle N.U. il Kosmet rimane parte integrante della Serbia. Nei precedenti 78 giorni di bombardamenti contro la R.F. di Jugoslavia, iniziati il 24 marzo 1999, erano state assassinate più di 2000 persone, mentre quasi 5000 erano state ferite...]

Godišnjica Kumanovskog sporazuma

Sub, 09/06/2012 

Na današnji dan pre 13 godina, predstavnici SR Jugoslavije i NATO-a potpisali su u Kumanovu, Vojno-tehnički sporazum o povlačenju jugoslovenske vojske i policije sa Kosova i Metohije. Time su okončani napadi NATO-a na Saveznu Republiku Jugoslaviju, a na Kosmetu su, na osnovu Rezolucije 1244 Saveta bezbednosti UN, raspoređene međunarodne snage. Dan posle potpisivanja sporazuma, prestalo je Nato bombardovanje Jugoslavije posle 78 dana, a snage Vojske Jugoslavije i MUP-a Srbije počele su povlačenje sa Kosova i Metohije, koje je prema sporazumu trajalo 11 dana. Kumanovskim sporazumom stvorena je i Kopnena zona bezbednosti, koja je formalno još uvek na snazi, čija je dubina pet kilometara, od administrativne linije pokrajine i centralne Srbije. U Nato bombardovanju SRJ koje je počelo 24. marta 1999. više od 2.000 ljudi je poginulo, a gotovo 5.000 ranjeno. Teško su oštećeni infrastruktura, privredni objekti, škole, zdravstvene ustanove, medijske kuće i spomenici kulture.


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[Sintesi: Caro è il prezzo dell' "indipendenza" - Pristina sta pagando a caro prezzo per la sua cosiddetta indipendenza. Ai tanti diplomatici occidentali che hanno già intascato riccamente il loro ingaggio nella realizzazione del progetto del cosiddetto Kosovo indipendente si è aggiunto anche il comandante in pensione Wesley Clark (il bombarolo), interessato alle risorse di carbone nella Regione...]

Visoka cena „nezavisnosti“

Sre, 13/06/2012

Priština, čini se, skupo plaća svoju tzv. nezavisnost. Brojnim zapadnim diplomatama koji su već bogato naplatili svoj angažman na realizaciji projekta tzv. nezavisnog Kosova pridružio se i penzionisani američki general Vesli Klark, koji je posebno zainteresovan za rezerve uglja u Pokrajini. I dok oni zgrću bogatstvo, na Kosovu i Metohiji su sve prisutniji korupcija i organizovani kriminal, a građani sve dublje tonu u siromaštvo, o čemu najbolje govore visoka stopa nezaposlenosti i konstantan pad životnog standarda.

Nije tajna da su tokom proteklih 12 godina mnoge zapadne diplomate vodile veoma uspešan biznis na Kosovu i Metohiji, što im je donelo zaradu od nekoliko stotina miliona dolara. Među njima su bivša američka državna sekretarka Medlin Olbrajt i nekadašnji šef UNMIK-a Bernar Kušner, koji su vodili glavnu reč u telekomunikacionim poslovima. Prema navodima nekih beogradskih listova, Kušner je imao ključnu ulogu u stvaranju prvog i najvećeg operatera mobilne telefonije na Kosmetu “Valja” - konzorcijuma PTT Kosova i francuskog “Alkatela”, sa godišnjim prihodom od 200 miliona dolara."Olbrajt grupa" je 2004. godine preuzela posao specijalnog savetnika predsednika Upravnog odbora "Ipko neta", koju su 1999. godine usred bombardovanja bivše Jugoslavije formirali niko drugi nego čelnici Međunarodnog komiteta za pomoć ugroženima. "Ipko net" je posle dolaska NATO na Kosmet, uz Kušnerov blagoslov, potpisao ekskluzivni ugovor sa Kosovskom energetskom korporacijom, o korišćenju infrastrukture, što mu je omogućilo da postane prvi internet-provajder koji je pokrivao 70 odsto teritorije pokrajine.

Veslija Klarka, u vreme bombardovanja SRJ komandant NATO snaga, a sada rukovodioca kanadske energetske korporacije "Eviditi“ interesuju isključivo rezerve uglja na Kosmetu, iz kojih bi se, kako se procenjuje, dobijalo oko 100 hiljada barela sintetičke nafte dnevno. Ta vest, koju je objavio portal „Život na Kosovu“, možda i ne bi privukla pažnju domaće javnosti, da zakoniti vlasnik tog rudnog bogatstva, kao uostalom svih energetskih potencijala i telekomunikacione infrasturkture, nije upravo Republika Srbija. Prema podacima beogradskog Geozavoda za istraživanje mineralnih sirovina, koji od 2006. godine radi u sklopu Geoinstituta reč je o 7 do 12 milijardi tona uglja u kosmetskom basenu i oko dve milijarde tona u Metohiji. S ozbirom na to može se pretpostaviti koliko je Srbija u proteklih 12 godina izgubila zbog nerešenog kosmetskog problema, odnosno zbog činjenice da nad svojim sirovinskim i energetskim potencijalima u pokrajini nema nadležnosti.

S druge strane, ponovo se nameće zaključak da u osnovi tzv. projekta kosovske nezavisnosti ipak nisu ljudska prava, na čemu insistiraju prištinski mentori na Zapadu, nego strateški, a čini se, ponajviše lični interesi glavnih igrača u međunarodnim političkim i ekonomskim odnosima. Na to je još pre par godina otvoreno ukazao američki profesor Majkl Čosudovski iz Insituta Globar Researchs. On je tada, u svom autorskom tekstu, naveo da je priznanje nezavisnosti Kosmeta deo vojnog plana na realaciji SAD – NATO i da je bombardovanjem Srbije, posebno izgradnjom Bondstila na Kosovu, Amerika stvorila uslove za stalno vojno prisustvo u južnoj Evropi. Jer, kako navodi Čosudovski, jedan od ciljeva formiranja Bondstila je obezbeđivanje projekta izgradnje strateškog naftovoda između Albanije, Makedonije i Bugarske, koji bi naftu iz Kaspijskog jezera trebalo da sprovede do Jadrana, tačnije do albanske luke Drač i dalje do zapadne Evrope i SAD. „Planovi za izgradnju Bondstila bili su poznati još 1997. godine, dve godine pre bombardovanja bivše Jugoslavije, i bili su ugrađeni u ugovor Ministarstva odbrane SAD i firme Kelog, Braun i Rut, ćerke firme petolejske kompanije Halibarton, na čijem čelu se tada nalazio Dik Čejni, kasnije potpredsednik SAD, navodi između ostalog Majkl Čosudovski.

U tom kontekstu, tzv. nezavisnost Kosmeta, čini se, skupo košta Prištinu, ali zbog toga najviše trpi Srbija, jer je očigledno da tu nije reč samo o pokušaju ugrožavanja njenog teritorijalnog integriteta, već o pokušaju nezakonitog prisvajanja i te kako značajnog sirovinskog i energetskog potencijala na Kosovu i Metohiji.

Piše Ivana Subašić


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KFOR: Chiuso il valico vicino Brnjak

16. 06. 2012. - 

Le forze militari internazionali in Kosovo e Metochia hanno comunicato di aver chiuso il valico alternativo nelle vicinanze di Brnjak, con l’obiettivo, come indicato, di prevenire i passaggi illegali della linea amministrativa tra il Kosovo e la Serbia centrale. Nel comunicato posto all’agenzia Tanjug, il Comando della KFOR ha spiegato che l’azione è stata compiuta con l’obiettivo di creare un ambiente sicuro e pacifico. La KFOR attualmente è impegnata nei dialoghi con i rappresentanti della popolazione locale e fa appello che ogni tipo di protesta sia pacifico e che non minacci la libertà di circolazione – viene indicato nel comunicato.

Kosovo settentrionale: serbi e KFOR si sono ritirati dalla strada a Štuoce

16. 06. 2012. - 18:57 -- MRS

Il traffico nel Kosovo settentrionale è stato normalizzato dopo che i serbi hanno interrotto il raduno sulla strada magistrale da Kosovska Mitrovica fino a Ribarić nel villaggio Štuoce, mentre i militari della KFOR hanno rimosso veicoli da combattimento dalla strada. I serbi da Ibarski Kolašin si sono ritirati dalla strada dopo che il presidente del comune di Zubin Potok, Slaviša Ristić, li ha invitati a sciogliersi. I militari italiani della KFOR si sono ritirati da Štuoce in una colonna formata da una quindicina di veicoli da combattimento. Slaviša Ristić ha dichiarato che i rappresentanti della KFOR gli hanno detto che non hanno ottenuto ordini per chiudere le altre strade alternative nel Kosovo settentrionale, eccetto la strada che porta vero il villaggio Banja. Loro hanno detto che quella direzione alternativa era troppo vicino al valico Brnjak e che perciò hanno dovuto chiuderlo e disabilitarlo per il traffico – ha detto Ristić. L’unica cosa che ci rimane è la lotta pacifica e decisiva, ha sottolineato il presidente del comune sperando che molti alla fine dovranno capire che i serbi dal Kosovo settentrionale non vogliono integrarsi nelle cosiddette istituzioni kosovare.

KFOR: La situazione nel Kosovo settentrionale è calma

16. 06. 2012. 

La situazione nel Kosovo settentrionale è calma, dopo che la KFOR ha chiuso la direzione stradale alternativa vicino a Brnjak – è stato comunicato dal Comando delle forze internazionali. I rappresentanti della KFOR hanno indicato che non possono confermare che durante l’incidente di stamane, nelle vicinanze di Brnjak, fosse stato ferito un civile che ha tentato di arrampicarsi sul veicolo di quella missione. I militari della KFOR hanno sparato tre pallottole di gomma in aria in modo da distogliere i manifestanti dall’arrampicarsi sui veicoli da combattimento – viene evidenziato nel comunicato. Il portavoce della KFOR, Marko Marsegna, ha invitato tutte le parti ad astenersi dalle mosse unilaterali, dalle dichiarazioni incendiarie e dalla violenza. Secondo le sue parole, la chiusura della strada alternativa e del passaggio è stata fatta in modo da permettere alle unità della KFOR di completare i loro compiti principali e di favorire le condizioni per un ambiente sicuro e pacifico.


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www.vesti-online.com

18. 06. 2012. 

Slučajno se ubio italijanski pripadnik Kfora


Italijanski pripadnik Kfora poginuo je zbog nestručnog rukovanja oružjem u bazi u selu Čabra u opštini Kosovska Mitrovica.

Sam sebe upucao u vojnoj bazi

Pored tela stradalog 26-godišnjeg vojnika pronađena je puška iz koje se, kako su pokazali prvi rezultati istrage, ubio, javili su prištiniski mediji.

Istraga će pokazati tačan uzrok smrti o čemu će biti izdato naknadno saopštenje. 

Kako prenosi radio KiM meštani sela Zupče kažu da se danas čuo jedan hitac iz punkta u kojem je smešten Kfor na putu Kosovska Mitrovica-Ribariće. Zatim je, kako su izvestili, doleteo jedan vojni helikopter sa medicinskim osobljem. 

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Morto un militare italiano della Nato in Kosovo: forse un suicidio

18 giugno 2012



Si chiamava Michele Padula, aveva 26 anni ed era originario di Montemesola (Taranto) il militare della Kfor, la Forza Nato in Kosovo, morto in una base del contingente italiano nel nord del Kosovo. La notizia, che si è diffusa oggi nel piccolo paese in provincia di Taranto, è stata confermata da fonti vicine alla famiglia.

Si tratterebbe di «un episodio drammatico di suicidio personale». Lo riferiscono a Tmnews fonti da Pristina precisando che «il militare è stato trovato morto stamattina» nella base italiana di stanza a Novo Selo, fra i villaggi di Zupc e Caber, non lontano da Kosovska Mitrovica. Se confermato, sarebbe il primo episodio di sucicidio di un militare italiano in Kosovo, dal dispiegamento della missione Nato, Kfor, nel 1999. Iso 182036 giu 12Si tratterebbe di un incidente, avvenuto .

All'interno del campo, è stato sentito un colpo d'arma da fuoco, e il soldato è stato trovato morto, con il suo fucile vicino.

In Kosovo ancora 5mila militari 
Sono circa 550 i militari italiani impegnati nell'operazione della Nato Kfor in Kosovo, cui partecipano attualmente 31 Paesi, con un impegno complessivo di forze che oggi ammonta a circa 5.500 unità. Il contingente nazionale è schierato a Pristina, Belo Polje, Decane e Dakovica.

L'Italia guida il Multinational Battle Group West nel quale sono inseriti anche i militari di Slovenia e Austria, attualmente strutturato su base 17 Reggimento Artiglieria Controaerei «sforzesca» di Sabaudia (Lt), il cui comando si trova a «Villaggio Italia», base italiana, a Belo Polje (Pec). 

Nell'ambito dell'area ovest del Paese opera, inoltre, un «Joint Regional Detachment» a conduzione nazionale che assicura il continuo monitoraggio delle attività sul terreno e il mantenimento dei collegamenti con le istituzioni locali e le altre organizzazioni internazionali. 

All'Aeronautica Militare è stata affidata la realizzazione e la gestione tecnico-operativa di una struttura aeroportuale all'interno dell'area di responsabilità del contingente nazionale nella zona di Dakovica.



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Il Kosovo Metohija a 13 anni dalla fine dell’aggressione NATO


La “questione Kosovo” continua ad essere, e sempre più, un nodo irrisolto della comunità internazionale occidentale, la quale pensava che con il raggiungimento della cosiddetta “indipendenza” imposta ed avallata finora da soli 89 paesi, ovviamente tutti i sudditi dell’impero, tra cui naturalmente l’Italia...ma pare che anche lo stato di Tonga stia per fare il grande passo...), si sarebbero assopite le forme di resistenza del popolo serbo kosovaro e delle altre minoranze perseguitate; ma non è stato così e lo dimostrano alcuni fatti chiarificatori di quanto sia pericolosa la situazione ed esposta a rischi per nuovi scenari di guerra e turbolenze.

Da ormai quasi nove mesi il nord del Kosovo è bloccato da decine di barricate erette dai serbi, che cercano di impedire il passaggio delle forze NATO_Eulex e della Polizia kosovara (KPS); nonostante decine di scontri con morti e decine di feriti, assalti per smantellarle vengono presidiate notte e giorno, e immediatamente rifatte se perse (... naturalmente il tutto nel più assoluto silenzio dei grandi media di informazione, vedere “Kosovo Notizie 5” del FBItalia).

Proprio nei giorni scorsi la KFOR ha attaccato una barricata per sgomberarla, ma la pronta mobilitazione e reazione di centinaia di serbi ha scatenato uno scontro che ha provocato otto feriti, quattro soldati americani e almeno quattro serbi. In questo clima Germania ed Austria hanno deciso di mandare altre truppe prevedendo una intensificazione delle lotte di resistenza.

Un altro dato su cui riflettere è il Referendum organizzato dalle municipalità serbe del Nord del Kosovo a febbraio, che ha confermato il rifiuto ad accettare le autorità di Pristina e l’esistenza del Kosovo indipendente. Il voto, dichiarato nullo da governo kosovaro e dalle autorità internazionali, ma nche, cosa più grave dal governo quisling serbo, segna però soprattutto un momento di rottura della comunità serba del nord con Belgrado, che temendo ripercussioni sul percorso di integrazione UE ha osteggiato il voto, facendo scendere in campo con ricatti, pressioni e minacce, anche l’allora presidente serbo filo occidentale Tadic.

Secondo i risultati ufficiali il 99.74% dei votanti ha detto “no” nel referendum organizzato in quattro municipalità del Nord del Kosovo. Il quesito su cui dovevano esprimersi era così formulato: “accettate le istituzioni della cosiddetta Repubblica del Kosovo?”

Nonostante il maltempo e l’ostilità di Belgrado, l’alta affluenza alle urne è stato un forte segnale di determinazione.

Altro dato è stata la “provocatoria” richiesta di decine di miglia di serbi kosovari di avere la cittadinanza russa, ritenendo che forse la Russia di Putin potrà avere più a cuore dei governanti filo occidentali di Belgrado, il destino e i diritti di propri cittadini.


Dalla parte albanese del Kosovo guidato dai criminali ( come documentato anche dall’Intelligence occidentale) ex UCK, si continua a gettare benzina sul fuoco con atti e dichiarazioni che alzano le tensioni; l’AKSH (Armata Nazionale Albanese) ha ufficialmente dichiarato a marzo, con un comunicato inviato ai media internazionali l’apertura di un ulteriore confronto con i serbi del Kosovo, nell’ottica di una nuova guerra per la riunificazione di tutti gli albanesi sotto un'unica bandiera, lo stesso primo ministro albanese Thaci ha pubblicamente dichiarato che concorda con questa visione. Mentre in Macedonia questi terroristi dell’AKSH, facenti parte del FBSH (Fronte Unito Nazionale Albanese), hanno attaccato negli ultimi mesi la comunità slava e macedone del paese, con attacchi terroristici che hanno provocato morti e numerosi feriti, costringendo il governo macedone ad indire un coprifuoco. La gravità di questo sta anche nel fatto che il Kosovo è il retrovia di questi terroristi, che dopo gli attacchi si rifugiano di là dal confine senza problemi.

Una ulteriore innalzamento della pericolosità di nuovi scenari di guerra è anche stata la notizia delle scorse settimane, della visita “fraterna e cameratesca”fatta in Kosovo, da una delegazione della cosiddetta “opposizione siriana”, che è giunta riconoscendo alla storia dell’UCK e del Kosovo secessionista un esempio per imparare: “...siamo venuti per imparare, voi possedete un esperienza che potrà esserci molto utile...abbiamo molto da imparare dalla vostra esperienza e dalle vostre capacità di internazionalizzare il vostro conflitto...”. Certo tra criminali ci si intende bene.

Ma la notizia più seria è che la cosiddetta opposizione siriana ha chiesto di poter usare le ex basi UCK, per addestrare i propri combattenti, naturalmente sotto l’addestramento dei capi militari terroristi UCK, che hanno insanguinato e massacrato la regione kosovara.


Qual è la situazione per i popoli che abitavano la provincia serba, dopo tredici anni di “ democrazia e libertà”? Penso si dovrebbe partire dalla dichiarazione che fece la DEA ( Agenzia Antidroga USA), che definì il Kosovo indipendente un “narcostato nel cuore dell’Europa”.

Questo staterello fantoccio, che si regge su due stampelle: una militare: ed è la presenza delle forze di occupazione NATO-Eulex, l’altra economica: ed è il fiorire e proliferare di tutte le attività criminose possibili: dal traffico di eroina, a quello delle donne, degli organi e delle armi.

Quest’area è diventata lo snodo tra Asia ed Europa dei più svariati traffici; dalle varie segnalazioni di molti rapporti di Intelligence, è ormai noto che le raffinerie presenti nella provincia producono oltre dieci tonnellate delle varie droghe, che arrivano poi nel continente soprattutto attraverso Montenegro ed Albania; ed anche lo smistamento delle ragazze avviate alla prostituzione, passa da lì (negli ultimi anni sono state decine le cosiddette “agenzie” chiuse a Pristina, dove venivano offerte e vendute ragazze dell’est ); così come, soprattutto per la clientela dei soldati occidentali lì presenti, si parla di circa 120 bordelli esistenti nella capitale kosovara ed altri 200 sparsi nella provincia.

Anche per il traffico di organi, di cui la mostruosità della famosa “casa gialla” di Burel in Albania è stato l’apice, ma che tuttora prosegue (...l’arresto proprio nelle scorse settimane del trafficante israeliano M. Harel, considerato la mente del traffico internazionale insieme ad altri albanesi locali.

...Nell’autobiografia dell’ex procuratrice Carla Del Ponte del Tribunale Internazionale dell’Aja per la ex Jugoslavia, che ha perseguito per anni, soprattutto i leaders serbi, per le varie guerre balcaniche, è scritto che i rapiti, furono prima rinchiusi in campi a Kukesh e Trpoje, poi dopo essere stati esaminati da dottori albanesi per poter verificare quali fossero i più sani e robusti, venivano portati a Burel e dintorni, nell’Albania centrale, dove erano ben rifocillati, curati e non torturati, in modo da essere pronti per la mutilazione degli organi.

La Del Ponte ha detto che una parte di questi era rinchiusa in una casa gialla, situata a circa 20 chilometri a sud della cittadina albanese di Burel, in una stanza vi era una specie di infermeria, dove venivano asportati gli organi ai prigionieri. Poi questi venivano spediti attraverso l’aeroporto Madre Teresa di Tirana, verso le destinazioni occidentali che avevano pagato per poter effettuare i trapianti. In questi campi vi erano anche molte donne provenienti dalle province kosovare, dalle

repubbliche ex jugoslave, dall’Albania, dalla Russia e altri paesi, anche a loro furono poi estratti gli organi prima di essere uccise...

Dal punto di vista dei diritti universali dell’uomo, per le minoranze non albanesi i dati riferiscono una situazione degradata e terribile, a cominciare dalla situazione delle enclavi, dove decine di migliaia di persone vivono in campi di concentramento a cielo aperto, senza diritti umani minimi garantiti: da quello del lavoro a quello della sanità, dai diritti civili e politici, da quelli per l’istruzione a quelli religiosi, dal diritto al ritorno dei 250.000 espulsi ed esiliati a quello di avere giustizia per i 1.300 serbi e non albanesi rapite ed assassinati dal 1999 ad oggi. Dal diritto alla libertà di movimento al riappropriamento delle proprie case e terre espropriate con la violenza dai terroristi: nel Kosovo liberato e democratico sono TUTTI NEGATI e VIOLATI, compresa la risoluzione ONU 1244 del 1999.

Dal punto di vista sociale la situazione nella provincia serba resta devastata da tutti punti di vista, vige un economia drogata in tutti i sensi, essendo infatti fondata su capitali ed attività criminali, tutto il resto non può che essere marginale e secondario; così la grande maggioranza degli stessi albanesi kosovari onesti non legati agli interessi criminali, vive in una povertà profonda ed in condizioni difficili, con una disoccupazione che sfiora il 50%, le uniche industrie rapinate allo stato serbo come la Centrale elettrica o le miniere Trepca di Zvecan, la Ferronichel, le Poste Telekom del Kosovo (PTK) o il birrificio di Pec sono il bottino che le multinazionali occidentali hanno come premio per l’occupazione del Kosovo, in testa ovviamente USA, Francia, Germania e Gran Bretagna; quindi ulteriori licenziamenti e sfruttamento liberista selvaggio.

Certamente va rilevato che comunque vada, c’è e ci sarà un problema “Methoija”, di quelle migliaia di serbi kosovari cioè, che vivono nella parte del Kosovo a sud di Mitrovica, per essi che sopravvivono nelle enclavi circondati da odio, ostilità e violenze quotidiane, i problemi e le scelte da fare sono molto più complessi e delicati. E questo non è un problema da poco, perché rischia di spaccare la già debole comunità serba della provincia.


C’è un dato nuovo, che non potrà certamente rovesciare a breve termine, la realtà della provincia e del popolo serbo, ma è un dato che potrebbe in prospettiva risultare importante: è la presidenza della Serbia ottenuta nell’ultima tornata elettorale da T. Nikolic, figura non limpida nella progettualità politica, ma sicuramente migliore del quisling precedente B. Tadic, che comunque molto probabilmente, formerà con il suo partito i Democratici e i Socialisti del SPS, il nuovo governo.

Perlomeno Nikolic, rappresenta in una forma certamente moderata ma definita, un retroterra culturale e politico che ha nella difesa dell’identità, dell’interesse e sovranità nazionali i suoi cardini; ma nel panorama politico deficitario delle forze politiche serbe oggi, non è poco.

Probabilmente su questo si è basato l’elettorato serbo, di sicuro disilluso e non fiducioso in chissà che cosa, ma se almeno mantenesse anche solo alcuni punti della sua campagna elettorale, come freno alle politiche liberiste interne devastanti ed alle aggressioni economiche e di rapina della UE e del FMI, come un freno all’arroganza NATO e di riflesso nuove attenzioni al ruolo che una Russia forte e solida con Putin, potrebbe giocare nei Balcani, al fianco di una Serbia meno sottomessa e ricattata dai diktat delle lobby occidentali. Senza dimenticare il nodo dell’entrata nella UE e la questione NATO ( nelle scorse settimane un sondaggio ufficiale ha rivelato che oltre il 60% dei serbi è contrario all’alleanza militare atlantica.

In una fase come questa basterebbe solo un freno: se Nikolic mantenesse pure solo questo orientamento, anche per la questione Kosovo e per i serbi e le minoranze non albanesi della provincia kosovara, si potrebbe riaprire un barlume di speranza in un futuro meno cupo di quello che stanno vivendo e...meno solitudine. Una cosa è certa: il Kosovo resta una spina nel fianco dei politici “mercanti” di Belgrado, ma anche una spina nell’anima del popolo serbo intero.

“...Kosovo tredici anni dopo...

ma piange ancora, seppure senza più lacrime, il Kosovo Methoija assassinato, massacrato, violentato dall’arroganza NATOccidentale. Con esso piangono i 250.000 esiliati e profughi, i familiari dei 1300 rapiti, le vedove di guerra con i loro bambini oggi ragazzi.
Piange il Kosovo Methoija davanti alle tombe scoperchiate ed ai resti umani dati in pasto alle bestie che pascolano; davanti ai monasteri e alle chiese ortodosse bruciate e distrutte, dove oltre ai muri, la volontà era di sradicare memorie ed identità storiche antiche.
Piange il Kosovo Methoija e la NATO veglia ma tace con indifferenza...davanti alle macerie materiali e quelle nelle anime del popolo serbo.
Piange il Kosovo Methoija e noi con esso, uomini e donne alla ricerca della pace, della verità, della giustizia.
Piange il Kosovo Methoija ma non si è ancora arreso,seppure vessato e circondato nelle enclavi assediate da odio e ostilità; e noi con esso, nel resistere e perseverare al suo fianco nella limitatezza delle possibilità e forze, ma con coerenza e tenacia. Piange il Kosovo Methoija ma dalle barricate continua indomito a urlare e chiedere GIUSTIZIA.”

A cura di Enrico Vigna, portavoce del Forum Belgrado, per “Kosovo Notizie 6”

Info: sosyugoslavia @ libero.it


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http://english.ruvr.ru/2012_06_17/78430201/

Voice of Russia - June 17, 2012

What is NATO/KFOR really doing in Kosovo?

John Robles


What exactly is NATO doing in Kosovo? Who or what are they protecting and what are they stationed there for? When we look at what they have been doing since June of 1999, in reality it does not look good.

We must not forget that NATO is a military organization and military organizations are designed for one thing, the legalized killing of the opponents of a state. No matter how noble NATO tries to paint itself it is an organization that should have been disbanded at the end of the Cold War and it has in itself become one of the most destabilizing factors and causes of death and destruction in modern times.

We must also not forget that NATO operates as a proxy for the US in promoting US interests in areas of the world where the US can not rightfully interfere, although this in reality does little to stop them.

Putting aside for the moment the destruction of Afghanistan, Iraq, Libya, and other countries obliterated by Western “intervention,” let’s take a look for a moment at Kosovo.

What exactly is the US, I mean NATO, I mean KFOR, doing in Kosovo? What is their objective in the country? Who or what are they protecting and what are they stationed there for?

When we look at what they have been doing since June of 1999, in reality it does not look good.

Wanting to be fair and impartial when gathering material for this piece, one of the first places I went to was their own site. Not surprisingly it is filled with the usual Western catchphrases and pseudo-reasoning that many in the West gobble up to justify the killing and destruction they wreak on the world. Words and phrases like multi-ethnic force, assistance to civil authorities, civil protection and, my favorite sentence, “KFOR is cooperating with and assisting the UN, the EU and other international actors, as appropriate, to support the development of a stable, democratic, multi-ethnic and peaceful Kosovo.” Sounds good, but it is poppycock.

First of all who are these “other international actors”? The drug dealers and traffickers in human organs? The Mafia killers? The US imperial paymasters? The US-sponsored war criminals? As for a stable blah-blah multi-ethnic Kosovo, well, obviously, that means one free of Serbs, and this my dear reader is what it is all about.

Let’s go back in time a bit to February 2008. This was the month when, after protesters attacked the US Embassy in Belgrade, the former Bush administration finally admitted after starting two wars of aggression and the subsequent occupations of sovereign nations, the extensive use of torture, extraordinary renditions, the illegal prison at Guantanamo and extensive black sites worldwide, there was such a thing as international law.

The destruction, dismantling and dividing up of Yugoslavia into ethnically-pure sections was the crowning achievement of Hillary’s husband, former president Bill Clinton, so the final seal on the destruction of the former Yugoslavia, namely the “independence” of Kosovo, was something she wholeheartedly embraced. Like Hillary’s famous quote on the occasion of the death of Muammar Gaddafi, “we came, we saw, he died,” her statement on the occasion of Kosovo’s separation from Serbia also showed monumental callousness and complete disregard for human life and dignity.

Pretending to be so wise as to the local language, as her State Department did with the “overload” button disgrace, she used the Albanian word for Kosovo, “Kosova”; she referred to Kosovo by the Albanian spelling "Kosova" and stated: "It will allow the people of Kosova to finally live in their own democratic state. It will allow Kosova and Serbia to finally put a difficult chapter in their history behind them and to move forward." The only problem, it was ripping the heart out of the Serbian people.

According to Nebojsa Malic at Global Research.ca, there can be no doubt that the March 1999 attack on Yugoslavia was illegal. In an article the following articles, treaties and citations were listed.

Violated articles: 

Article 2, section 4 of the UN Charter clearly says: "All Members shall refrain in their international relations from the threat or use of force against the territorial integrity or political independence of any state…”

Article 53 (Chapter VIII) of the UN Charter clearly says that: "[N]o enforcement action shall be taken under regional arrangements or by regional agencies without the authorization of the Security Council".

From NATO's own charter, the North Atlantic Treaty of 1949, Article 1: "The Parties undertake...to settle any international dispute...by peaceful means…”

Article 7: "This Treaty...shall not be interpreted as affecting...the rights and obligations under the Charter of the Parties which are members of the United Nations, or the primary responsibility of the Security Council for the maintenance of international peace and security."

Other laws and treaties: the Helsinki Final Act of 1975 for violating the territorial integrity of a signatory state.

The 1980 Vienna Convention on the Law of Treaties for using coercion to compel a state to sign a treaty i.e., the Rambouillet ultimatum.

Finally, Yugoslavia did not attack any NATO member nor was it a security threat to any country in the region. What NATO perpetrated on March 24, 1999 was a war of aggression and a crime against humanity.

So if the invasion was illegal, then obviously the ensuing occupation was as well and everything KFOR/NATO/US is doing there is also illegal.

So what does KFOR do in Kosovo? With an almost total and complete media blackout, and I have seen this with my own eyes, there is little news we receive from the area. However the reports we get are of constant and methodical limitation to the freedom of movement and supplies to the Serbian population, in particular in Northern Kosovo, and reports of the continued practice of limiting Serbs to certain areas or ghettos, making them refugees in their own country. This serves to ethnically cleanse and divide the country along ethnic and racial lines, like most American cities, a comparison that I can not help but make.

KFOR also protects, enables and provides support for the belligerent side they have chosen to support in this conflict. What are the reasons? They are many but one of the main ones is money, huge money, which has been filling KFOR coffers for years on end, and according to countless media reports going back for years, from countless illicit sources. (That is a topic for a later discussion.)

On Friday there was another incident of KFOR opening fire, this time with rubber bullets, on peaceful Serbs as they blocked an important road and attempted to make Serbs accept Kosovo license plates for their cars, an obviously transparent attempt to make them recognize Kosovo as an independent entity.

A press release from the Raška-Prizren Eparchy stated that they are concerned about KFOR’s latest actions in northern Kosovo and stated “attempts to force the Serbs in the north to accept Kosovo license plates by using combat vehicles and blocking roads that are the main channel for supplies and medicines are creating a serious humanitarian crisis that could have immense consequences”.

The Eparchy also strongly urged all sides to work constructively to find solutions that contribute to the survival of the Serbian people in the entire territory of Kosovo and Metohija.

For the Serbian people, they are fighting for their very existence. For KFOR and the “West”, Kosovo is just another pawn in a filthy game of geopolitical influence and power. As soon as it is used up, or no longer needed, they will throw it away as well.





LJUBO CUPIC: una foto ritrovata



Sappiamo che questa foto che abbiamo recuperato [ http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2012/01/1942.jpg ] non è inedita (era già presente a pagina 73 di Report on italian crimes against Yugoslavia and its people [ http://www.diecifebbraio.info/2012/03/pubblicazioni-sui-crimini-italiani-in-jugoslavia/ ]), ma vale sicuramente la pena conoscerne la storia. Siamo nella primavera del 1942 nel Montenegro protettorato italiano sotto occupazione miltare, solo pochi mesi dopo l’invasione dell’aprile 1941 e la proclamazione nel luglio sucessivo del ”libero e indipendente” Regno del Montenegro che fece invece scatenare una vasta insurrezione popolare. In conseguenza di ciò venne nominato Governatore civile e militare  il Generale Alessandro Pirzio Biroli che attuò da quel momento una feroce repressione che comprendeva rastrellamenti su larga scala, bombardamenti e distruzione di interi villaggi, fucilazioni di massa non solo di partigiani ma anche di civili, donne e bambini compresi. In questa ottica fu particolarmente importante l’alleanza con i nazionalisti monarchici cetnici, ma per tutti questi crimini alla fine della guerra così come per tutti gli altri casi nei territori occupati lo Stato italiano non autorizzò mai l’estradizione dei colpevoli.

Tutto questo fece crescere la reazione partigiana e grosso ruolo ebbe nell’organizzazione delle formazioni il Partito Comunista. Come altri giovani anche il protagonista della nostra storia si unisce ai partigiani diventando in poco tempo comandante di un battaglione. Ljubo Cupic [ http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2012/01/ljubocupic.jpg ] era nato nel 1913 da una famiglia montenegrina emigrata in Nord America e all’età di 14 anni torna con i genitori in Montenegro. Terminati gli studi superiori si trasferisce a Belgrado dove studia legge e diventa membro del Partito Comunista Jugoslavo. Nel 1941, dopo la capitolazione del paese, torna in Montenegro per unirsi ai partigiani ma nell’aprile del 1942 viene catturato durante una battaglia dai cetnici e imprigionato. In carcere fu torturato, ma insieme ai suoi compagni riesce a resistere, sfidando apertamente e mettendo in ridicolo i cetnici nazionalisti come servi degli invasori e impedisce alla sua famiglia di muovere alcuna richiesta di grazia nei suoi confronti. Condannato a morte da un tribunale fantoccio assieme ad altri combattenti e comunisti, viene fucilato a Trebjšje, nei dintorni di Nikšić [il 9 maggio]. Il motivo che ha reso famoso il suo nome è la foto scattata dopo la condanna a morte, in un atteggiamento di aperto contrasto e derisione verso gli organizzatori del processo farsa, un sorriso di sfida alla morte che ha reso celebre quell’immagine.

Le ultime parole gridate contro i suoi carnefici ed alla popolazione costretta ad assistere alle esecuzioni di comunisti e patrioti, “Živjela slavna komunistićka partija!”, “Lunga vita al glorioso partito comunista!”, sembrano risaltare dalla foto che abbiamo pubblicato, dove si vedono in grande numero alpini e soldati italiani.

Un ulteriore motivo di interesse  per questa storia potrebbe venire, se confermato, da un articolo del giornale Vesti del 23 maggio 2010, dove viene pubblicata la foto numero 3 di questa serie di “Ricordo Comunista Fucilato 9.5.1942 XX Niksic M.Negro” [ http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2012/01/ljubocupic3.jpg ] e dove veniamo a conoscenza dell’autore di quegli scatti: Carlo Ravnich.

http://www.vesti-online.com/Stampano-izdanje/23-05-2010/Od-nasih-dopisnika/54926/Nasmejao-se-streljackom-vodu

All’epoca di questi scatti forse era ancora un soldato semplice con la passione per la fotografia, ma all’8 settembre 1943 Carlo Ravnich comandava il Gruppo artiglieria alpina “Aosta” che partecipò alla spontanea rivolta contro i nazisti. Successivamente comandò la Brigata partigiana Aosta e alla fine lo Stato Maggiore del nuovo Esercito Italiano lo nominò, con il grado di maggiore, a guidare l’intera Divisione italiana partigiana Garibaldi dal 2 luglio 1944 fino al rientro in Italia avvenuto l’8 marzo 1945.

In questa intervista del 1980 [ http://digilander.libero.it/lacorsainfinita/guerra2/personaggi/ravnich.htm ] Carlo Ravnich racconta la sua esperienza in Jugoslavia, mentre in questo articolo da Storia Illustrata n.284 del luglio 1981 [ http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2012/01/Storia-Rivelazione-del-Gen.-Ravnich-comandante-della-Garibaldi-in-Jugoslavia-1945.pdf ] con rivelazioni sulla “corsa per Trieste” ci sono numerosi scatti dello stesso autore, più una breve biografia.

Ljubo Cupic è stato nominato  eroe nazionale Jugoslavo  il 10 Luglio 1953.


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LINKS:

Biografija Čedomira-Ljuba Čupića

Sedam decenija osmjeha Ljuba Čupića
Polaganjem cvijeća i svečanim akademijama obilježen 9. maj, najsvečanije bilo u Nikšiću

Un articolo di viaggiareibalcani.it menziona Ljubo Cupic
http://www.viaggiareibalcani.it/articoli/144/sentieri-partigiani-in-montenegro-prima-parte.html
http://www.viaggiareibalcani.it/articoli/752/sentieri-partigiani-in-montenegro-seconda-parte.html

In rete si trovano immagini che mostrano la sua popolarità:

In Montenegro oggi la sua immagine viene utilizzata per promuovere il paese o per campagne politiche...




Appello dell’ANPI di Roma

NON SI DEVE CELEBRARE PUBBLICAMENTE CHI HA FATTO STRAGE DI PARTIGIANI E CIVILI ITALIANI, IN COLLABORAZIONE CON L’ OCCUPANTE NAZISTA

Il prossimo 19 giugno nella sala Pietro da Cortona dei Musei Capitolini sarà ospitata la terza edizione del “premio Duelli-Gallitto”, un evento dedicato alla memoria dell’ausiliaria scelta Raffaella Duelli e del comandante fascista Bartolo Gallitto, entrambi della X MAS, organizzato dall’associazione X flottiglia MAS e da quelle Campo della Memoria ed Armata Silente. Queste sono organizzazioni di chiara matrice nostalgica e revisionista, nate per celebrare la famigerata repubblica sociale italiana e riabilitare la dittatura fascista.
In particolare, l’associazione che promuove il premio è intitolata alla X MAS (anche se fittiziamente il nome fa riferimento a quello della struttura militare della Marina Reale, dalla quale prese il nome la formazione fascista), una delle più famigerate formazioni repubblichine attiva dal 1943 al 1945, che operò con i reparti nazisti sia in operazioni militari ed in attività antipartigiane, durante le quale impiegò metodi di repressione violenti e terroristici macchiandosi di numerosi crimini di guerra, sia in rastrellamenti e deportazioni di ebrei ed altri civili italiani. Essa fu fondata in seguito all'armistizio dell'8 settembre da Junio Valerio Borghese, condannato nel 1949 per concorso nell'omicidio di otto partigiani a Valmozzola e per il reato di collaborazione militare con i tedeschi per aver fatto eseguire ai suoi uomini continue e feroci azioni di rastrellamento ai danni dei partigiani che, di solito, si concludevano con la cattura, le sevizie particolarmente efferate, la deportazione e l'uccisione degli arrestati, allo scopo di rendere tranquille le retrovie dell'esercito invasore. Lo stesso Borghese fu poi tra i promotori del fallito colpo di stato del 1970.

Già è difficile giustificare perché una associazione che celebri questa famigerata formazione, in palese contrasto con la nostra Costituzione e le leggi della Repubblica Italiana, possa ancora essere tollerata ma è ancora più assurdo constatare che il sindaco Alemanno ne ospiti le iniziative nelle sale più prestigiose del Campidoglio.
La celebrazione di chi ha fatto, in collaborazione con i nazisti, strage di partigiani e civili italiani non deve avvenire nel silenzio dei democratici e degli antifascisti. L’ANPI si fa perciò promotrice, nello stesso giorno, di una manifestazione di tutti gli antifascisti romani ai piedi del Campidoglio, che denunci a tutta la città (che rischia di non accorgersene, come è successo per le edizioni degli scorsi due anni di questa squallida iniziativa) ed ai turisti che la visitano, questo scempio della memoria di una città Medaglia d’Oro della Resistenza, ribadendo altresì l’indegnità del sindaco che la governa. 
A questa manifestazione chiamiamo le forze politiche e sindacali, il mondo dell’associazionismo, la società civile, tutti i sinceri antifascisti che hanno partecipato alla grande, bellissima manifestazione del 25 aprile, i quali siamo convinti che aderiranno al nostro appello perché lo spirito antifascista è ancora forte a Roma. Il sit-in si svolgerà dalle h 16:30 del 19 giugno in Piazza Madonna di Loreto (a fianco della Colonna Traiana). Sempre il 19 giugno, alle 11:30 è convocata una conferenza stampa nella Sala Conferenze Stampa della Camera, che illustrerà le ragioni dell’iniziativa.

V.F. POLCARO
PRESIDENTE ANPI ROMA




(italiano / english / francais)

In Syria like in Kosovo


1) Market Economy for Syria
2) La NATO prepara una vasta operazione di intossicazione mediatica


More Links:

Houla massacre carried out by Free Syrian Army, according to Frankfurter Allgemeine Zeitung

Les « Amis de la Syrie » se partagent l’économie syrienne avant de l’avoir conquise



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Market Economy for Syria 

2012/05/30

DAMASCUS/BERLIN
 
(Own report) - Berlin is preparing for Syria's transformation to a liberal market economy. Under German leadership, a multinational "Working Group" began its work late last week. Immediately following the overthrow of the Assad regime, this "Working Group" is planning to launch urgent economic measures, including the coordination of aid projects and the implementation of economic reforms. Together with the United Arab Emirates, the German government is establishing a "secretariat," under the leadership of a German with Afghanistan experience. In cooperation with the Assad regime, Berlin had already promoted the Syrian economy's privatization. However, the nascent liberalization drove sectors of the population into bankruptcy, thereby contributing to insurgence against the regime. Berlin has already received first drafts for Syria's new economic order. They were written by an activist of the Syrian National Council (SNC), which is under strong criticism by a large part of the opposition because of the pre-eminence of the Muslim Brotherhood. Washington-based Syrian exile politicians hold leading positions in the SNC. They are demanding a Kosovo-style western intervention and consider Kosovo's KLA to be a model for the Syrian opposition.

Self-Empowered

Late last week, a multinational "Working Group," co-chaired by Germany, met for the first time in Abu Dhabi, with the aim of launching urgent economic measures for immediately following the overthrow of the Assad regime. The "Working Group on Economic Recovery and Development of the Friends of the Syrian People" was established April 1 in Istanbul by the "Group of Friends of the Syrian People," an alliance of western and pro-western countries, which support the Syrian opposition in the civil war and are cooperating mainly with the exiled Syrian National Council (SNC). The UN Security Council has neither legitimized the "Group of Friends of the Syrian People" nor this "Working Group on Economic Recovery and Development of the Friends of the Syrian People," which has empowered itself to serve as a "central forum" for launching necessary economic measures.[1]

Germany in Charge

According to German diplomat, Clemens von Goetze, who, along with a colleague from the United Arab Emirates, had co-chaired the meeting last week, the "Working Group" not only has plans for emergency aid for the immediate aftermath of the regime change, but he finds "it is a good time already to start now for a long-term perspective of the country once change comes in Syria."[2] The Marshall Plan, implemented by the United States after World War II, to provide the material foundation for the establishment of the Western alliance, serves as a model. The "Working Group" set up several sub-committees along the lines of special issues. The member countries have officially agreed on an international division of labor, with Germany in charge of "economic policy and reform." According to reports, the explicit goal is a "long term strategy" [3] for the transition "from a centralized economy to a market economy." The "Working Group" will set up a secretariat, with Germany and the United Arab Emirates each providing 600,000 Euros. It will be headed by Gunnar Wälzholz, of Germany, who had been the director of the Afghanistan branch of the German Development Bank (KFW).

Carrot and Stick

According to a participant at last week's meeting, the measures to be taken under German management will also include short-term goals. The economic projects are aimed at "attracting the silent sectors in Syria which did not completely join or which are still hesitant in supporting the revolt."[4] These projects are therefore a sort of counterpart to the economic sanctions, which are also aimed at inciting entrepreneurs, loyal to the regime, to change sides - under pressure rather than through incentive. Thus, the "Working Group" has declared that the sanctions can be lifted "as soon as their objectives have been achieved" - i.e. after Assad's overthrow, which would be facilitated if interested business circles would change sides.[5]

Consequences of Liberalization

For years, Berlin has been promoting the privatization of the Syrian economy, now being conferred to the "Working Group" - for an extended period in close cooperation with Assad's regime. In 2006, the German development organization GTZ (today GIZ) had initiated a special program entitled "Supporting economic reform in Syria." According to its description, "in 2000, the Syrian Government decided to switch to a social market economy," but "the institutions involved do not have sufficient knowledge," which is why the GTZ has to aid the government.[6] The reform's "expected impact on income and employment will improve the lives of the Syrian population," continues the GTZ - an prognosis that simply did not materialize. Quite to the contrary: the liberalization of the Syrian economy had "harmful effects" on the local manufacturing trade, as the International Crisis Group confirmed last year. For example in Duma, a suburb of Damascus, the residence or numerous artisans, who, facing ruin by the liberalization, renounced their loyalty to the regime.[7] In fact, today Duma is considered a hotbed of protest. Last January, the insurgents briefly took complete control of the town.

Visions

The SNC's "National Economic Vision" was presented in Abu Dhabi to the German led "Working Group" by Osama Kadi, executive director of SNC's Finance and Economic Affairs Bureau. This vision indicates that the liberalization would provide a higher living standard only "in the long run." A reliable framework for foreign investments must first be established, the productivity of Syrian workers must be increased, the establishment of industries, accelerated, the bank sector, reformed and new foreign business deals, sought. The "Marshall Syrian Recovery Plan," which should be implemented as soon as possible, could attract more direct investments from the West. The "Working Group's" German led "secretariat" will assist in the implementation of the plan, following Assad's overthrow and a regime change in Damascus.

As in Kosovo

The SNC, which is working in close cooperation with the West within the framework of the "Working Group" and whose staff members are willful candidates for future leadership positions, is heavily contested within the opposition. Secular oriented opponents of the regime are resolutely protesting the predominance of the Muslim Brotherhood in the SNC. Large sectors of the Syrian opposition are resenting the fact that leading SNC members are openly calling for western military intervention. For example, the National Coordination Committee (NCC), an alliance of oppositional forces inside Syria strictly opposes western military operations. The West hardly takes notice of the NCC. Radwan Ziadeh, the SNC's "Director of Foreign Relations," who, like SNC's economic specialist Osama Kadi, works for the Washington based Syrian Center for Political and Strategic Studies, has repeatedly pronounced himself in favor of Kosovo-style operations. "Kosovo shows how the west can intervene in Syria," declared Ziadeh, who had already visited Berlin's foreign ministry in July 2011, in the Financial Times last February.[8] Soon afterwards he explained that the Free Syrian Army militia plays the same role, as the KLA had in Kosovo.[9] Syrian oppositional forces recently visited Kosovo for instructions on KLA operations in 1999. (german-foreign-policy.com reported [10]). The "Houla massacre," to extend the metaphor, could take on the significance of the "Racak massacre" in early 1999. Soon after the "Racak massacre," evidence was uncovered pointing toward it having been a provocation to furnish a casus belli. It has never been credibly invalidated, but this did not hamper NATO's military intervention.

Further information and background to German policy toward Syria can be found here: War Threats against SyriaIran's Achilles HeelWar Scenarios for SyriaWar Scenarios for Syria (II) and With the UN toward Escalation.

[1] Chairman's Conclusions. Second Conference of The Group of Friends of the Syrian People, Istanbul, 1 April 2012
[2] Donors Mull Marshall Plan for Post-Conflict Syria; www.naharnet.com 25.05.2012
[3] Assad verbreitet Zuversicht; www.faz.net 24.05.2012
[4] Donors Mull Marshall Plan for Post-Conflict Syria; www.naharnet.com 25.05.2012
[5] Chairmen's Conclusions of the International Meeting of the Working Group on Economic Recovery and Development of the Group of Friends of the Syrian People, Abu Dhabi, 24 May 2012 
[6] Unterstützung der syrischen Wirtschaftsreform; www.gtz.de
[7] Popular Protest in North Africa and the Middle East (VI): The Syrian People's Slow Motion Revolution; International Crisis Group Middle East/North Africa Report No 108, 6 Juli 2011
[8] Kosovo shows how the West can intervene in Syria; www.ft.com 14.02.2012
[9] Radwan Ziadeh: Have We Learned Nothing From the Nineties? Syria is the Balkans All Over Again; www.tnr.com 22.03.2012
[10] see also With the UN toward Escalation


=== 2 ===

VIDEO : Thierry Meyssan sur le projet de coup d'État médiatique en Syrie
http://www.voltairenet.org/Video-Thierry-Meyssan-sur-le
 ]



La Nato  prepara una vasta operazione di intossicazione mediatica

di Thierry Meyssan * 10 giugno 2012, Réseau Voltaire

Alcuni Stati membri della Nato e del CCG (Consiglio di Cooperazione del Golfo) preparano un colpo di Stato e un genocidio settario in Siria. Se volete opporvi a questi crimini, muovetevi subito : fate circolare questo articolo in internet e allarmate i vostri rappresentanti nelle istituzioni democratiche.(t.m.)

Fra qualche giorno, forse a partire da venerdì 15 giugno a mezzogiorno, i siriani, accendendo i televisori, scopriranno che le loro emittenti abituali sono state rimpiazzate da trasmissioni mandate in onda dalla Cia. Vedranno dei filmati in cui truppe governative compiono massacri; vedranno manifestazioni popolari; vedranno ministri e generali mentre si dimettono; vedranno il presidente Assad darsi alla fuga e vedranno infine un nuovo governo installarsi nel palazzo presidenziale di Damasco. Ma saranno immagini false: realizzate dalla Cia. Parte in studi televisivi appositamente allestiti, come stiamo per vedere, e per il resto manipolate al computer ricorrendo ai cosiddetti effetti speciali.
Questa messinscena è direttamente condotta da Washington. Il regista-manipolatore è Ben Rhodes, consigliere aggiunto alla Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti. Obiettivo : demoralizzare i siriani per propiziare un colpo di Stato.
La Nato, che si scontra con il doppio veto della Russia e della Cina, riuscirebbe così a conquistare la Siria senza attaccarla illegalmente. Quale che sia il giudizio che si può formulare sugli avvenimenti attualmente in corso in Siria, un colpo di Stato metterebbe fine a ogni speranza di democratizzazione.
Molto ufficialmente, la Lega Araba ha chiesto agli operatori satellitari Arabsat e Nilesat di sospendere la ritrasmissione dei media siriani, sia pubblici sia privai: Syria TV, Al-Ekbariya, Ad-Dounia, Cham TV, eccetera. In questo modo le emittenti nazionali vengono accecate, perché in Siria non esiste una rete televisiva tradizionale (come l’analogico in Italia, ndt); per cui l’unico modo di vedere la televisione è la parabola, irraggiata appunto dai satelliti gestiti da Arabsat e Nilesat.
Non è la prima volta che dei golpisti disattivano dei satelliti: alla vigilia dell’aggressione alla Libia, la Lega Araba aveva censurato la televisione libica per impedire ai dirigenti della Jamahiriya (il governo di Gheddafi, ndt) di comunicare con il popolo.
Questa decisione ufficiale della Lega Araba è però soltanto la parte emersa dell’iceberg. Secondo nostre informazioni, infatti, nella scorsa settimana si sono svolte riunioni internazionali al fine di coordinare l’operazione di intossicazione mediatica. I primi due di questi incontri, a carattere tecnico, si sono svolti a Doha (Qatar); un terzo, politico, si è invece tenuto a Riyad, in Arabia Saudita.
Il primo incontro ha riunito i militari esperti in guerra psicologica, embedded (aggregati), alle redazioni di alcune reti televisive satellitari, come Al-Arabiya, Al-Jazeera, BBC, CNN, Fox, France 24, Future TV, MTV.
Anche questo arruolamento di militari nelle redazioni televisive non è una novità : è notorio che, dal 1998, ufficiali dell’United States Army’s Psychological Operations Unit (PSYOP) (la divisione di guerra psicologica dell’esercito americano, ndt) sono stati incorporati nella redazione della CNN; da allora, questa pratica è stata estesa, dalla Nato, ad altre emittenti strategiche.
Tutti questi “giornalisti in divisa” hanno redatto in anticipo una serie di false informazioni, secondo una traccia (storytelling) elaborata dall’équipe di Ben Rhodes (il citato regista-manipolatore) alla Casa Bianca. Per accreditare le loro menzogne, i manipolatori ricorrono a una sorta di tecnica autoreferenziale, dove ogni emittente coinvolta cita le menzogne di ogni altra per renderle tutte credibili agli occhi dei telespettatori.
Gli organizzatori della messinscena mediatica non si sono limitati a requisire le reti televisiva della Cia per la Siria e il Libano (Barada, Future TV, MTV, Orient News, Syria Chaab, Syria Alghad), ma anche una quarantina di catene religiose wahabite [1], che esorteranno i fedeli al massacro confessionale al grido di: «I cristiani a Beirut, gli alawiti nella fossa!».
La seconda delle tre riunioni preparatorie del golpe ha radunato ingegneri e tecnici per pianificare la fabbricazione dei filmati falsi, in parte  da realizzarsi tramite riprese filmiche (in studio o in esterno), il resto ricorrendo a immagini di sintesi computerizzata. A questo scopo sono stati allestiti, durante le ultime settimane, studi cinematografici in Arabia, dove sono stati ricostruiti i due palazzi presidenziali siriani e le piazze principali di Damasco, Alep e Homs. Studi cinematografici del genere esistevano già, a Doha (dove furono girate, con migliaia di comparse, le scene della conquista del palazzo di Gheddafi, ndt), ma questi impianti sono stati giudicati inadeguati alla manipolazione che si prepara in Siria.
Veniamo alla terza riunione preparatoria del golpe. Vi hanno partecipato il generale James B. Smith, ambasciatore degli Stati Uniti, un rappresentante della Gran Bretagna e il principe Bandar Bin Sultan (soprannominato dalla stampa americana «Bandar Bush», per via dell’abitudine del presidente George Bush padre di considerarlo proprio figlio adottivo).  In questa riunione ci si è occupati di coordinare l’azione dei media con quelle della cosiddetta Armata Siriana Libera (ASL), di cui i mercenari del principe Bandar costituiscono il grosso degli effettivi.
L’operazione golpista era in gestazione da mesi. Il Consiglio per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti l’ha fatta scattare dopo che il presidente russo Putin ha notificato alla Casa Bianca che la Russia si opporrebbe con la forza a ogni intervento militare illegale della Nato in Siria.
L’operazione comporta due iniziative simultanee : da un lato, diffondere false informazioni, dall’altro censurare ogni possibilità di controbatterle.
Il fatto di oscurare televisioni satellitari allo scopo di condurre una guerra non è nuovo, si diceva. Così, sotto la pressione di Israele, gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno via via neutralizzato le televisioni libanese, palestinese, irachena, libica e iraniana. Un oscuramento che non ha toccato le trasmissioni provenienti da alcun altro Paese.
Neppure la diffusione di notizie false è una novità. Per ben quattro volte vi si è fatto ricorso nell’ultimo decennio:
• Nel 1994, un’emittente di musica pop, Radio libre des Mille Collines (RTML), ha lanciato il segnale del genocidio ruandese esortando gli ascoltatori al grido di: «Uccidere gli scarafaggi!».
• Nel 2001 la Nato ha utilizzato i media per imporre la propria versione degli attentati dell’11 settembre e giustificare così l’aggressione all’Afghanistan e all’Iraq. Già all’epoca Ben Rhodes era stato incarico dall’amministrazione Bush di redigere il Rapporto della Commission Kean/Hamilton sugli attentati.
• Nel 2002 la Cia ha fatto ricorso a cinque reti televisive del Venezuela (Televen, Globovision, Meridiano, ValeTV e CMT) per far credere che erano state le oceaniche manifestazioni popolari a indurre alle dimissioni il presidente eletto, Hugo Chavez, mentre in realtà era caduto vittima di un colpo di Stato militare.
• Nel 2011, durante la battaglia di Tripoli, la Nato ha fatto realizzare in studio, e diffondere da Al-Jazeera et Al-Arabiya, immagini di ribelli libici che entravano nella piazza centrale della Capitale; in realtà i ribelli erano ancora lontani dalla città. Scopo della messinscena era persuadere il popolo che la guerra era ormai perduta e che dunque non aveva più senso continuare a resistere agli invasori.
Ormai i media non si limitano più a sostenere la guerra. La fanno.
Questo dispositivo di falsificazione mediatica viola i principi fondamentali del diritto internazionale. A cominciare dall’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, relativo al fatto «di ricevere e di diffondere, a prescindere dalle frontiere, le informazioni e le idee diffuse per qualsiasi strumento di espressione».
Soprattutto, l’offensiva mediatica degli Stati Uniti e dei loro alleati viola le risoluzioni dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, adottate all’indomani della Seconda guerra mondiale per prevenire le guerre. Le risoluzioni110381 e 819 bandiscono «gli ostacoli al libero scambio delle informazioni e delle idee» (nel nostro caso: l’oscuramento delle reti televisive siriane) e «la propaganda atta a provocare o incoraggiare ogni minaccia alla pace, o rottura della pace od ogni altro atto di aggressione».
Giuridicamente la propaganda di guerra è un crimine contro la pace, il più grave dei crimini, poiché rende possibili i crimini di guerra e i genocidi.

[1] Il wahabismo è la religione dell’Arabia Saudita e del Qatar, e dei loro sostenitori in Libano e in Siria. Gli alawiti sono i musulmani predominanti in Siria. La crociata lanciata dalle monarchie arabe contro la Siria si connota di “guerra agli infedeli”, primi fra tutti Assad, che è appunto alawita (ndt).

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Thierry Meyssan, intellettuale francese, presidente e fondatore di Réseau Voltaire e della Conferenza Axis for Peace, è docente di Relazioni Internazionali al Centro di studi strategici di Damasco. Ultima opera pubblicata in francese: L’Effroyable imposture : Tome 2, Manipulations et désinformations (éd. JP Bertand, 2007).

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Welcome to the Balkan Propaganda Machine

By David Gibbs

 

Some of the most salient events of the past 20 years were the NATO interventions in the Balkans, notably in Bosnia in 1995 and Kosovo in 1999. These interventions were crucial in reviving the importance of the North Atlantic Treaty Organization, an organization that previously had been seen as a Cold War anachronism, destined to irrelevance. After the Balkan interventions, NATO gained a renewed sense of purpose and prestige. And these interventions gave a whole new rationale for U.S. military action, which is increasingly viewed as a humanitarian enterprise, aimed at stopping ethnic cleansing, atrocities, genocide, crimes against women, and the like. The Balkan interventions laid the political groundwork for later intervention, most recently in Libya.

The Balkan story has nevertheless been distorted in public discussion. Important facts have been suppressed, notably that Western intervention in Yugoslavia was a major cause of the country’s breakup and made possible all the wars that followed. Later rounds of intervention in Bosnia and Kosovo helped intensify the violence and increase the destruction, a point that is well documented even if little known. And contrary to popular belief, the Serbs were not the only ethnic group that contributed to Yugoslavia’s demise.

What I term the “Balkan propaganda machine” comprises academics, journalists, and bloggers who hold tenaciously to a simplified version of the Balkan wars as being caused almost entirely by Serbs; they view the later NATO interventions against the Serbs positively. For these activists, the Balkan conflict has become a great crusade, one that defies rational analysis. Any deviation from the prescribed narrative is considered an act of immorality, deserving of punishment. In addition, this crusade dovetails nicely with a neoconservative political agenda, which celebrates the Balkan interventions as historic achievements for US hegemony.

A key figure in this propaganda effort is Marko Attila Hoare, a reader in history at Kingston University in England and a purported Balkan specialist. His technique is intimidation, a predilection that is shared by a wider community of propagandists with whom he collaborates. Hoare openly boasts that writers who disagree with his positions are “like lambs to the slaughter” who will surely “sacrifice any reputations they might have.” He is not subtle.

My own encounter with Hoare arose from my book First Do No Harm: Humanitarian Intervention and the Destruction of Yugoslavia, published by Vanderbilt University Press in 2009. Clearly, Hoare did not like the book, which was critical of the interventions. On his website, Hoare soon launched a blistering attack against me titled “The Bizarre World of Genocide Denial.”

The characterization of me as a genocide denier was quickly picked up by others on the Internet. An anonymous posting to the Srebrenica Genocide Blog referred to me as “David N. Gibbs, genocide denier.” According to another posting, at the website of the Congress of North American Bosniaks: “Gibbs’ pernicious denial of genocide calls into question not only his academic credibility, but his very qualifications to hold tenure at a university at all. … [Gibbs] has made a deliberate misinterpretation of facts.”

Yet another site, Balkan Witness, placed me on their long list of “war crimes deniers.” Several of these attacks prominently featured my photograph, presumably to ensure that their readers would recognize my face.

When I first saw Hoare’s attack, I was not unduly concerned, since it was written with such sensationalist language and key points used to sustain the attack were clearly false and easily provable as such. I wrote an extended response, in which I documented the falsity of Hoare’s claims, and expected this would end the matter. After all, a purveyor of obvious falsehoods would lose credibility — right? This turned out to be a naïve assumption in the irrational world of Internet chat rooms.

After I replied, Hoare began churning out new attacks against me. He made no serious effort to refute my evidence that his earlier attacks had been false; he simply created more extravagant falsehoods, often presented at great length. One of his reviews began by strongly implying that my book was the equivalent of The Protocols of the Elders of Zion and Nazi propaganda, along with an associated insinuation that I must be an anti-Semite. This was presented without a shred of evidence.

These incendiary references to anti-Semitism connect with the larger attack on me as a supposed genocide denier, and all this rhetoric serves to raise the emotionalism of the controversy — which is presumably Hoare’s overarching intention.

The insinuation that I am somehow an anti-Semite is ironic, given that I am a practicing Jew from a refugee background (my father was born in Berlin). I have no respect for Hoare’s manipulative use of the Holocaust to silence discussion on the Balkans, just as I have no respect for those who use the Holocaust to silence discussion on the Middle East.

In addition, Hoare repeatedly made claims about my writing that had no connection to anything I had actually written, and in several cases were the opposite of my stated views. What I present below about Hoare’s falsifications constitutes the proverbial tip of the iceberg. I could easily have provided more examples. Whether these resulted from incompetence or intentional deception is hard to say.

Particularly troubling was his repeated use of fake quotations from my work. The first example of fakery is a message that Hoare posted to an Internet discussion: “Your [Gibbs’] account of the background to the Srebrenica massacre presents the Muslims/Bosnian army as the ones principally guilty of the atrocities in the region, and of having ‘created the hatred’ there (pp. 153-154).”

Note that he attributes to me the phrase “created the hatred,” which is presented as a direct quote, with quotation marks. In reality, this phrase appears in none of my writings — not on the pages 153-154 that Hoare cites or anywhere else — and the essence of its meaning corresponds to nothing I have ever said. It is a fabrication.

At another point, Hoare attributes to me the phrase “creating the hatred,” again presented as a direct quote. The quote is once again a fabrication. And there is a third fake quote, which appears in the very title of one of Hoare’s attack reviews:“First Check Their Sources 2: The Myth that ‘Most of Bosnia Was Owned by the Serbs Before the War.’”

The first part of the title (“First Check Their Sources”) is a play on words from the title of my book, which is First Do No Harm. The embedded phrase in Hoare’s title (“Most of Bosnia Was Owned…”) is presented as a direct quote, with quotation marks. This quote is another fabrication, which falsifies both the literal wording of my book and also the substance of my stated views.

Over a period of two months, Hoare’s attacks against my work became voluminous. I found that Hoare could attack much faster than I could respond. He had a key advantage: whereas I felt a need to check the facts in my posts, Hoare seemed indifferent to whether his postings were true or false. He repeatedly contradicted himself. In the end, Hoare posted four extended attack reviews on his own website, totaling some 26 single-spaced pages when printed out. In addition, he followed up with numerous additional attacks on me in Internet chat rooms, which sparked yet further attacks by the anonymous posters who frequent such venues.

The tone became venomous, especially among the anonymous posters, some of whom clearly had emotional problems. Several of the posters reminded me of extremist figures I encounter in my home state, which I did not find reassuring. Attacks began appearing all over the Internet, each seeming to be more ludicrous than the last. A review of my book posted to BarnesAndNoble.com stated: “The author is a self-declared supporter of Serbia and Russia. … Gibbs’ friendship with KGB agent and The Guardian writer [name redacted] speak about the author.” In reality, I had never even heard of this person, whose name I have redacted to avoid repeating a slur.

The smears are having some effect. If one performs a Google search of my name, the various attack postings by Hoare and others are among the very first to emerge, and this has remained consistent over a period of many months. Thus, if anyone is interested in searching my work, “David N. Gibbs, genocide denier” is among the first hits.

This is not the first time that smear tactics have been used. If one peruses the various Balkan websites, one finds numerous attacks directed against large numbers of prominent academics, journalists, and public figures.

These smears are not just confined to the Internet. In 2005, The Guardianpublished an attack article on Noam Chomsky, which included a sensational allegation that Chomsky had denied that any massacre had occurred at Srebrenica.The Guardian’s main evidence was that Chomsky had referred to the Srebrenica massacre with quotation marks around the word “massacre.”

In reality, Chomsky had never used scare quotes to describe the Srebrenica massacre, and The Guardian’s allegation to the contrary was false (moreover, Chomsky had never denied that what happened at Srebrenica was a massacre). Because of this and other egregious flaws, The Guardian‘s editors retracted the article from their website and issued an apology. This episode proved a major embarrassment for the newspaper.

Hoare protested the editors’ decision to apologize, and he used extravagant language to make his points: the author of the Guardian attack on Chomsky had been “stabbed in the back” by the editors and subjected to “an unparalleled campaign of vilification.” In addition, Hoare insinuated that the editors were caving in to the “Milosevic lobby,” rather than responding to legitimate complaints about falsification. There was just one nagging problem: Hoare did not dispute that the article contained false information regarding Chomsky’s characterization of the Srebrenica massacre; instead, he dismissed the falsehood as “one small error of detail,” barely worthy of criticism.

This incident illustrates Hoare’s casual attitude regarding the importance of accuracy.

I have filed a complaint against Hoare with his home institution, Kingston University, requesting an apology for the multiple falsehoods in his attacks against me. Kingston’s dean of arts and social sciences, Martin McQuillan, perfunctorily acknowledged receiving my complaint over seven months ago. Apart from this, he has not responded to me.

Dean McQuillan’s failure to respond is curious. Repeatedly making up false statements and then declining to retract them — as Hoare has clearly done — seem like serious academic violations. Note that McQuillan has not denied my claims against Hoare, nor has he defended Hoare in any way; he has simply failed to respond.

Hoare probably feels protected by his association with a larger network of writers who share much of his perspective, especially among the Balkan diaspora in Britain and the U.S. Hoare is a former student of Yale professor Ivo Banac, who later became a minister in the Croatian government. He is also close to Josip Glaurdic, another former student of Banac and an up-and-coming figure among pro-Croatian academics. At various times, Hoare has been active in neoconservative political groups, notably the Henry Jackson Society, as well as the Bosnian Institute. The latter is directed by Hoare’s father (with his mother also listed on the Institute masthead as a consultant). Both organizations have been major sources of interventionist propaganda, influential on both sides of the Atlantic. In addition, Hoare has associated with academics at Oxford and Cambridge — partly through his parents’ Bosnian Institute network. His writing has appeared in David Horowitz’s FrontpageMag.com.

These connections no doubt give Hoare the confidence to undertake his attacks, which have been highly effective in intimidating free discussion.

Consider the 1995 Srebrenica massacre. The basic facts of the massacre — and that the Serb forces bear the overwhelming responsibility for perpetrating it — are widely acknowledged. However, there remains debate among legal specialists about whether this massacre should be classed as a genocide or a war crime, with no clear consensus on this question. By frivolously hurling the smear phrase “genocide denier” against critics, Hoare seeks to suppress this debate, in order to preserve a simplified version of the Srebrenica massacre and of the Balkan wars more generally.

And the circumstances that led to the massacre are considerably more complicated than is popularly believed. For example, there is little doubt that the Muslim government of Alija Izetbegović allowed Srebrenica to fall to Serb militias, as part of their policy of encouraging Serb atrocities and thus shocking the Western powers into intervening against the Serbs; in doing this, the government contributed to the massacre that followed. Yet these facts remain suppressed in public discussions of the Bosnia war, which typically celebrate the virtues of the Muslim government. Once again, the intimidation campaigns have obscured vital information.

In a sense, Hoare and his colleagues have no choice but to intimidate. They cannot sustain their claims about the Balkan wars through logical arguments, because the facts do not support their case. Hence, they resort to character assassinations, which serve to distract from the facts and debase public discussion.

The widespread use of character assassination to stifle discussion is not just confined to those who write on Yugoslavia. Indeed, this tactic has become standard practice among neoconservatives generally, a point recently emphasized by Harvard’s Stephen Walt:

U.S. neoconservatives have long demonstrated [that] the best defense is sometimes a good offense. No influential political faction in America is more willing to engage in character assassination and combative politics than they are. … I’m talking about the tendency to accuse those with whom they disagree of being unpatriotic, morally bankrupt, anti-Semitic, or whatever. Their willingness to play hardball intimidates a lot of people, which in turn protects them from a full accounting for their past actions.

The Balkan propaganda machine fits perfectly into this overall pattern. And like the neocons described above, Hoare seems to view himself as above accountability, even for his use of false statements and fake quotations.

I assume Hoare will respond in his usual way, by launching ever more vitriolic attacks against me, along with renewed allegations of genocide denial, insinuations of anti-Semitism, and the like. But before doing this, he might want to explain all the falsehoods that have so marred his previous efforts, as specified in my letter to Kingston University. And perhaps the Kingston administrators can explain whether they have any standards at all with respect to academic fraud.






Roma, venerdì 15 giugno 2012

alle ore 18,30 presso la libreria Koob, Via Luigi Poletti 2

Presentazione del libro

CRIMINALI DI GUERRA ITALIANI

di Davide Conti (Odradek 2011)

Ne discutono con l’autore

Marco De Paolis (Procuratore Militare di Roma) e Daniela Preziosi (Il Manifesto)

SCARICA LA LOCANDINA IN FORMATO PDFhttp://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2012/06/roma150612.pdf



(italiano / english / srpskohrvatski)

DALJE RUKE OD SIRIJE!

1) Da Srebrenica e Racak a Bengasi e Homs
Mahdi Darius Nazemroaya - 30.03.2012
2) La Russia protesta contro l’addestramento di fazioni siriane in Kosovo
Rete Voltaire - 28 maggio 2012
3)
Rebel groups in Syria backed by NATO?
Interview with Rick Rozoff,
 June 1, 2012
4) 
IMPERIJALISTI DALJE RUKE OD SIRIJE!
SKOJ - 2. jun 2012.
5) Sergey Lavrov on Annan plan
RT - June 9, 2012
6) Colpi di avvertimento russi
di Thierry Meyssan - 10.06.2012


MORE LINKS:

BBC News uses 'Iraq photo to illustrate Syrian massacre'

Sull'espulsione dell'ambasciatore siriano in Italia - di M. Musolino, dipartimento Esteri PdCI

Lettera aperta al Ministro degli Esteri: Massacro degli innocenti a Hulé (Siria), contraddizioni dei media e dei politici internazionali

Houla, l’unica cosa certa è l’orrore (e forse una prossima guerra) - di Marinella Correggia

Massacri attiraNato, Cuba, Miami, il Cns - di Marinella Correggia
http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=371

JUGOINFO LINKS:

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7354
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7350
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7339


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Da Srebrenica e Racak a Bengasi e Homs

Mahdi Darius Nazemroaya 
30.03.2012

Le guerre umanitarie sono una moderna forma di imperialismo. Il modello standard che gli Stati Uniti e i loro alleati utilizzano per attuarle è quello in cui si presume il genocidio e la pulizia etnica da parte di una coalizione di governi, organizzazioni dei media e organizzazioni non governative di facciata, preceduti da sanzioni, isolamento e intervento militare. Questo è il modus operandi post-Guerra Fredda degli Stati Uniti e della NATO.
Nella sua esecuzione, le Nazioni Unite vi hanno preso parte a causa del sequestro dei suoi incarichi e uffici da parte di Washington. Ora Kofi Annan è stato nominato al ruolo di mediazione in Siria, ma la sua posizione sul R2P non deve essere trascurata. Né deve esserlo neanche il fatto che gli Stati Uniti e i loro alleati non sono interessati a una pace mediata.

I semi erano in Iraq

Appena la Guerra Fredda cominciò a estinguersi, la NATO vide l’opportunità che derivava dal vuoto geo-politico che avrebbe lasciato il crollo dell’URSS e la dissoluzione del blocco orientale. Non solo la NATO iniziò a trasformandosi da organizzazione difensiva in un corpo militare offensivo, ma  iniziò ad abbracciare un mandato umanitario per questo scopo. E ‘attraverso questo abbraccio con l’umanitarismo che l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord fu in grado di trasformarsi in alleanza militare offensiva da difensiva  che si supponeva essere.
Ignota alla maggior parte delle persone, compresi gli esperti, la più grande operazione militare della NATO nel primo decennio dopo la Guerra Fredda, fu la guerra del Golfo. Il ruolo della NATO iniziò ufficiosamente nell’ombra e fu sulla base di ciò che la NATO, durante la guerra in Iraq e le operazioni militari coincidenti, si attivò in nome dell’”umanitarismo” nel Kurdistan iracheno, che a tempo, avrebbe preparato l’intervento umanitario della NATO nell’ex Jugoslavia. Le no-fly zone che furono create per motivi umanitari in Iraq, furono applicate anche nella ex Jugoslavia e, recentemente nel 2011, in Libia.

Jugoslavia: Srebrenica e Racak

L’11 luglio 1995 le forze serbo-bosniache avrebbero marciato nella cosiddetta zona di sicurezza delle Nazioni Unite di Srebrenica. La narrazione ufficiale della NATO è che le truppe delle Nazioni Unite avevano accettato di ritirarsi da Srebrenica e lasciare che le forze serbo-bosniache si prendessero cura dei bosniaci locali, ma che una volta che i serbi di Bosnia erano entrati nella zona, abbatterono circa 8.000 bosniaci. Questo sarebbe stato indicato come il peggior massacro in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale.
In realtà, gli eventi di Srebrenica sarebbero stati utilizzati e deformati per giustificare una massiccia risposta della NATO, sulla base dell’indignazione pubblica. I leader bosniaci si rifiutarono perfino di fornire alla Croce Rossa i nomi delle persone che erano fuggite da Srebrenica, facendo così gonfiare il numero di persone scomparse, e il numero dei morti, anche se in seguito si rivelò significativamente inferiore a quanto inizialmente riportato. I media ritennero che fosse arrivato il momento. Il più alto funzionario delle Nazioni Unite in Bosnia-Erzegovina, Philip Corwin, avrebbe anche prestato la sua voce a coloro che dicevano che i fatti di Srebrenica erano stati distorti per motivi politici e per suscitare l’intervento militare della NATO.
Bill Clinton aveva effettivamente avvertito Alija Izetbegovic che 5.000 bosniaci sarebbero dovuti essere sacrificati per spingere la NATO a intervenire nella guerra. Alcuni sopravvissuti della delegazione bosniaca di Srebrenica avevano dichiarato, su verbale, che Izerbegovic aveva detto che la NATO sarebbe intervenuta militarmente contro la Republika Srpska se almeno 5.000 cadaveri sarebbero stati trovati. La caduta di Srebrenica, un rapporto dell’ONU pubblicato il 15 novembre 1999, cita casualmente anche questo nel paragrafo 115. Il capo della polizia bosniaca di Srebrenica aveva anche confermato la richiesta di Clinton a Izetbegovic per un “sacrificio”, per  aprire le porte agli attacchi della NATO contro i serbo-bosniaci.
Nella guerra in Bosnia, atti orribili furono commessi da tutte le parti, ma il crimine dei serbo-bosniaci non era la pulizia etnica, per la NATO. Il crimine dei serbi di Bosnia era che stavano combattendo per mantenere la Jugoslavia.  Anche i croati e i bosniaci, in Croazia e Bosnia-Erzegovina, che avevano voluto preservare la Jugoslavia e la pace interetnica furono presi di mira, demonizzati  o uccisi. Ad esempio, il bosniaco Fikret Abdic fu accusato come criminale di guerra in Croazia, dopo esser fuggito in Bosnia-Erzegovina, e Josip Rejhl-Kir il capo della polizia croata di Osijek fu ucciso dai nazionalisti croati perché lavorava per preservare l’armonia tra croati e serbi di Croazia.
NATO è intervenuta in Bosnia-Erzegovina per cambiare l’equilibrio di potere. Il serbo-bosniaci erano la forza militare più forte. Se le potenze della NATO non internazionalizzavano i combattimenti ed intervenivano, i serbi bosniaci avrebbero preso il controllo del paese e l’avrebbero mantenuto come parte integrante della Jugoslavia. Questo avrebbe paralizzato o bloccato l’espansione euro-atlantica nei Balcani.
Il 15 gennaio 1999, i combattimenti a Racak tra le forze serbe e l’illegale Esercito di Liberazione del Kosovo, che lo stesso Dipartimento di Stato statunitense aveva etichettato come organizzazione terrorista, sarebbero stati utilizzati per dipingere la parvenza di un quadro di genocidio e pulizia etnica, per giustificare la guerra. A questo punto i serbi vennero demonizzati dalla NATO e dai media quali responsabili della pulizia etnica nella ex-Jugoslavia, così gli sforzi della NATO per diffamare i serbi furono relativamente facili. Era una questione di opinione pubblico su cui la Segretaria di Stato Madeline Albright e la leadership dell’UCK stavano lavorando, per creare un pretesto per l’intervento umanitario. Fu in questo contesto che gli Stati Uniti e la NATO avevano esercitato pressioni sulla Repubblica Federale di Jugoslavia per accettare un accordo in cui le loro forze militari avrebbero lasciato il Kosovo, ma permettendo all’UCK di continuare i suoi attacchi. Questo tipo di tensioni erano ciò che la NATO ha cercato di replicare in Siria, attraverso il cosiddetto Esercito Libero siriano, che in realtà è una organizzazione terroristica legata alla NATO e al Gulf Cooperation Council (GCC).

Arabdom: Libia e Siria

Nel 2011, la carta umanitaria sarebbe stata giocato ancora una volta dalla NATO. Il colonnello Gheddafi era stato accusato di massacrare il suo popolo, in particolare a Bengasi. Confezionato con affermazioni su attacchi di aviogetti e mercenari stranieri, venne chiesto alle Nazioni Unite di permettere agli Stati Uniti ed i suoi clienti della NATO di imporre un’altra no-fly zone, come in Jugoslavia, permettendo che un cambio di regime avvenisse a Tripoli.
In Siria, gli Stati Uniti e le sue coorti hanno cercato di utilizzare Homs come un’altra Srebrenica, Racak o Bengasi. Hanno cercato di usare la stessa tattica per acuire le tensioni. Gli Stati Uniti e i loro alleati vogliono costringere l’esercito siriano a smettere di combattere, mentre alle forze ribelli dell’Esercito libero siriano viene data una mano libera nel lanciare attacchi, proprio come hanno fatto con l’esercito jugoslavo e l’UCK. Le richieste dei russi e dei cinesi che entrambe le parti osservino un cessate il fuoco, invalidano questa strategia.
Ciò che ostacola un altro intervento è la fermezza di Mosca e Pechino al Consiglio di sicurezza dell’ONU, nonché la catena di alleanze che la Siria ha stretto con l’Iran. Damasco e i suoi alleati, tuttavia, dovrebbero essere cauti verso le trappole per trascinare politicamente e legalmente la Siria verso il basso, attraverso accordi unilaterali. Né i siriani dovrebbero riporre la loro fiducia nelle Nazioni Unite.

Kofi Annan e la responsabilità a proteggere (R2P)

Molti elogi vengono fatti a Kofi Annan inviato speciale della Lega Araba e delle Nazioni Unite. Ci dovrebbe essere, comunque, qualche cautela quando si tratta di Annan. A questo proposito, i suoi rapporti con l’intervento umanitario devono essere valutati.
Secondo Richard Holbrooke, intimamente collegato alla balcanizzazione della Jugoslavia, Annan è stata una delle figure più favorevoli alla politica estera degli Stati Uniti nei Balcani. Annan, in realtà, serve a collegare la responsabilità di proteggere (R2P) ai diplomatici canadesi. Inoltre, il signor Annan deve la sua ascesa agli Stati Uniti, agli eventi di Srebrenica e alla guerra nella ex Jugoslavia. Il segretario generale Boutros Boutros-Ghali venen dimesso dagli Stati Uniti per far posto ad Annan a capo delle Nazioni Unite.
Kofi Annan è anche apertamente favorevole alla R2P. Oggi era ad Ottawa come membro del seminario sulla R2P (La responsabilità a proteggere – 10 relazioni su: Riflessioni sul suo passato, presente e futuro) tenutosi presso l’Università di Ottawa il 4 novembre 2011. Prima del suo arrivo Allan Rock, il presidente dell’Università di Ottawa ed ex ambasciatore canadese alle Nazioni Unite, e Lloyd Axworthy presidente dell’Università di Winnipeg ed ex ministro degli esteri canadese, sostenitore della R2P e co-autore di un articolo sulla R2P sull’Ottawa Citizen del 25 ottobre 2011. Sia Axworthy, che sarà nel seminario con Annan, che Allan Rock, che ospiterà Annan presso il Centro per gli Studi di Politica Internazionale,  lodavano la guerra in Libia definendola una vittoria della R2P.
Al seminario, Annan dovrebbe inoltre essere affiancato dal parlamentare canadese  decisamente pro-NATO Christopher Alexander, del partito conservatore del Canada, al governo. Alexander è il segretario parlamentare di Peter MacKay. Mackay è l’attuale ministro della difesa del Canada e sostenitore dichiarato delle guerre contro la Siria e l’Iran. Christopher Alexander è stato anche inviato diplomatico canadese in Russia per diversi anni, ex ambasciatore canadese nell’Afghanistan presidiato dalla NATO e vicerappresentante speciale della Missione di Assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA). Il seminario sulla R2P è stato moderato da Lyse Doucet, un corrispondente della BBC e un amico di Alexander.
Ciò che è importante da notare del seminario sulla R2P presso l’Università di Ottawa, è che è favorevole alla R2P. Kofie Annan ha anche espresso il suo sostegno all’intervento militare della NATO in Libia. Alla domanda sulla Siria, nessuna risposta è stata data, ma la linea di Annan la supporta. Infine, sia Annan che Axworthy hanno proposto che le organizzazioni regionali dessero il mandato alla R2P. Ad esempio, l’Unione africana dovrebbe essere in grado di intervenire per conto della comunità internazionale nei paesi africani, come l’Uganda e il Sudan, o anche alla Lega Araba altresì dovrebbe essere conferito un mandato R2P in paesi come la Siria.
Questi punti sono dei fattori chiave. Non devono essere trascurati. L’imparzialità di Annan dovrebbe essere messa in discussione, soprattutto alla luce della posizione sulla Libia e delle sue opinioni a sostegno dell’intervento militare della NATO.

L’umanitarismo: Il volto dell’imperialismo moderno

Gli interventi militari della NATO in Jugoslavia erano invasioni coloniali mascherate con la farsa degli sforzi umanitari. Inoltre, ciò che ha fatto la NATO in Jugoslavia era far intervenire tramite fasi graduali un piano di frammentazione, per dividere e conquistare il paese. Secondo il generale John Galvin, ex comandante supremo della NATO, questo è stato fatto perché i funzionari della NATO sapevano che una vera e propria invasione, durante la disintegrazione del paese, si sarebbe tradotto in una guerriglia in massa, dai costi elevati per la NATO. Si può anche aggiungere che un intervento della NATO avrebbe anche avuto l’effetto inverso di unificare la Jugoslavia, invece di lasciare che lo Stato federale su dissolvesse.
All’inizio del 2011, sia la Libia che la Siria erano escluse dal Dialogo Mediterraneo della NATO e hanno avuto anche delle riserve sull’Unione per il Mediterraneo (Upm) dell’UE. Questo significa che effettivamente erano entrambe esterne all’espansione euro-atlantica. Mentre le proteste in Bahrain e Giordania passano inosservate, tutti gli occhi erano diretti sulla Libia e la Siria. Questo perché gli interessi imperialisti hanno sovvertito entrambi gli stati arabi.
L’atlantismo è in marcia. Le operazioni della NATO nei Balcani e nel mondo arabo hanno lo scopo di espandere la zona euro-atlantica. Il suo coinvolgimento nelle missioni dell’Unione africana in Africa orientale, è legato anche a questo. Per tutti gli osservatori danno uno sguardo dettagliato alla ristrutturazione degli stati vinti da parte della NATO, questo dovrebbe essere molto chiaro. L’umanitarismo è diventato il nuovo volto dell’imperialismo moderno.

La ripubblicazione è gradita con riferimento alla rivista on-line della Strategic Culture Foundation.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

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La Russia protesta contro l’addestramento di fazioni siriane in Kosovo


RETE VOLTAIRE  | 28 MAGGIO 2012

Il ministero degli Esteri russo ha esortatogli organismi internazionali che operano in Kosovo a garantire che la regione non diventi un campo di addestramento per i ribelli che operano in Siria.
Infatti una delegazione dell’opposizione siriana ha visitato il Kosovo ad aprile, per procedere ad un accordo formale sullo scambio di esperienze sulla guerriglia anti-governativa.
Secondo il ministero russo, le discussioni si sono incentrate non solo sul modo di organizzare la resistenza armata contro le autorità, ma anche sull’addestramento di attivisti siriani in Kosovo.
"Si prevede di utilizzare le aree (in Kosovo) che ricordano il terreno in Siria. La possibilità di creare campi di addestramento nelle vecchie basi dell’Esercito di Liberazione del Kosovo (KLA), è anch’essa in discussione."
"Trasformare il Kosovo in un campo di addestramento internazionale per i militanti, può diventare un serio fattore destabilizzante che potrebbe estendersi al di là dei Balcani (...) esortiamo le organizzazioni internazionali che operano in Kosovo a prendere tutte le misure necessarie per impedire questi progetti".
Alla fine degli anni ’90, le milizie etniche e settarie dell’UCK albanese avevano condotto una guerra separatista contro il governo del presidente Slobodan Milosevic. Le rappresaglie militari dello stato jugoslavo contro le azioni terroristiche organizzate dall’UCK, furono un pretesto per la prima azione militar-umanitaria nella storia della NATO. Dopo la caduta dello Stato nazionale, l’UCK aveva condotto una politica di pulizia etnica in Kosovo, accompagnata da una campagna di distruzione sistematica di chiese e monasteri cristiani ortodossi.
Presentandosi come musulmani sunniti, i combattenti dell’Esercito di Liberazione del Kosovo hanno iniziato a specializzarsi nello sfruttamento della prostituzione per finanziare le loro operazioni, prima di diversificare le loro attività nel traffico di eroina e nel commercio di organi.
Mentre il procuratore nazionale anti-mafia italiano Alberto Mariati, ha confermato che "l’UCK era legata alla mafia di Napoli, la camorra, e anche a quella della Puglia", Hashim Thaci, il gangster e leader kosovaro del braccio politico dell’UCK, è attualmente il primo ministro del Kosovo. [1]
Il successo folgorante dell’organizzazione e dei suoi dirigenti è dovuto al fatto che fin dal suo inizio, nel 1996, l’UCK è stata pilotata dai servizi segreti tedeschi e dalla NATO, che l’avevano addestrata in campi basati in Turchia e Albania [2].
Al momento, gli occidentali e l’UCK erano riusciti a neutralizzare la maggioranza politica dei musulmani in Kosovo, marginalizzando il leader pacifista kosovaro Ibrahim Rugova e assassinando quello moderato Ahmet Krasniqi.
Ieri in Afghanistan, Cecenia, Jugoslavia e Libia, in Siria oggi, la NATO appoggia sistematicamente i cosiddetti islamisti per strumentalizzare l’Islam e proteggere i propri interessi.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

[1] «Le gouvernement kosovar et le crime organisé», par Jürgen Roth, Réseau Voltaire, 8 avril 2008.

[2] «L’UÇK, une armée kosovare sous encadrement allemand», Réseau Voltaire, 15 avril 1999.



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http://english.ruvr.ru/2012_06_09/77630671/

Voice of Russia - June 9, 2012

Rebel groups in Syria backed by NATO?

John Robles

Interview with Rick Rozoff, the manager and the owner of the STOP NATO website and mailing list, and a regular contributor to the Voice of Russia.


Recorded on June 1, 2012
Audio at URL: http://english.ruvr.ru/2012_06_09/77630671/


Correction: For Operation Phoenix read Operation Cyclone


What correlations do you see between the situation going on in Syria and Kosovo? What do you know about rebel groups in Syria being funded and backed by NATO?

I mean, we all have heard, and it’s a matter of substantiating it, but I think we have enough proof already to establish the fact that...The parallel you Kosovo you draw is remarkable given what occurred early yesterday, where NATO troops and armored personnel carriers - vehicles - faced off against ethnic protesters in the north of Kosovo, firing live ammunition at them as well as deploying helicopters, gunships and so forth and what is currently going on in Syria.

As a matter of fact, the parallels are so striking at times as to suggest that the Western governments, those backing the so-called Free Syrian Army armed rebel forces inside Syria are playing from the same script as they did in Yugoslavia 13 years ago in support of the so-called Kosovo Liberation Army there.

And there are direct connections between the two of them. For example, last month, a self-proclaimed rebel leader or opposition leader, Syrian-born, one Ammar Abdulhamid, who has been living in Washington and was a former visiting fellow, visiting scholar at the Brookings Institution until recently, came to the United States as head of a delegation of opposition figures from Syria to visit with U.S. officials, government officials. And immediately afterwards he flew into Pristine, the capital of Kosovo, to meet with leaders of the government, who are former KLA fighters, such as Prime Minister Hashim Thaci and others, and quite bluntly told Associated Press in May that he was studying the Kosovo example to be replicated in Syria, even stating that he was particularly impressed with how the so-called Kosovo Liberation Army was able to integrate various armed groups - for which we can understand in many instances nothing more than criminal underworld
militias - into a fighting force, which was then coordinated with the United States and NATO during the bombing war against Yugoslavia in 1999.

So we have a direct connection there. And we can also base what’s going on in Syria with reports that fighters in Libya have joined rebel groups inside Syria, so that we have an international network of extremist fighters that first earned their stripes, if you will, in Afghanistan during the CIA Operation Cyclone against the government of Afghanistan and their Soviet backers in the 1980s. 

And I am thinking particularly of the commander of the Libyan rebel forces last year, Abdelhakim Belhadj, who had fought in Afghanistan with the Afghan mujahideen, who was rumored to have met with and collaborated with Mullah Omar of al-Qaeda, was subsequently interned as part of the extraordinary rendition program by the United States and returned to Libya, where he was a head of something called the Libyan Islamic Fighting Group, and then became the leader, became the top commander, of the Libyan rebels last year. And that forces loyal to him that had fought under his command are now in Syria is I think is a distinct possibility. So, we see the connections emerging, really of 30 years of the United States...

So, you are saying he was recruited and now his people are in Syria doing the U.S. government’s bidding?

There have been reports for several months that Libyan fighters, those who fought on behalf of the Transitional National Council and in coordination with both the NATO bombing campaign against Libya for six months last year but also with reports of British, French, Italian and other special operations troops as well as those from Arab Gulf states like Qatar and United Arab Emirates fighting in Libya, this would seem to be a model that can be exported to other countries and there have certainly been reports that Libyan and other foreign fighters have crossed the borders from Iraq and Lebanon into Syria to fight with the so-called Free Syrian Army.

Now with this massacre in Houla, the UN’s own observer said it was not the fault of Syrian forces. Despite that Hillary Clinton has been making comments and it seems like the U.S. in continuing with their own narrative.

I mean you're correct that the West, the U.S. in the first instance, and its Western European allies as well as Australia and Japan, which for all intents and purposes are a part of the West, have withdrawn their ambassadors or have expelled, rather, the Syrian ambassadors from their capitals.

And this is a concentrated effort to present the tragedy in Houla - and it is a tragedy that over 100 human lives were lost - as not only the work of the Syrian government, exclusively the work of the Syrian government, whereas Russia, China, Cuba and other countries have urged a methodical, dispassionate investigation into the events, as terrible as they are, to determine the actual cause and the actual perpetrators. So, nobody has a definitive answer to what occurred in Houla and until there is one...This is again evocative of what the U.S. did with Yugoslavia in January of 1999 around the so-called Racak massacre in Kosovo where the bodies of several dozen young ethnic Albanian men were identified as having been massacred by Serbian and Yugoslav security forces even though there are contradictory reports and the Serbian government’s position was these were KLA fighters who had been killed in action.

And the Russian Foreign Ministry a few weeks ago, perhaps less than that, maybe two and a half weeks ago, when the report surfaced of the Syrian delegation going to Kosovo that we spoke about a moment ago, denounced that, saying that in fact what the delegation was going there for was to study the example or receive actual military training for their fighters inside Kosovo with even the observation that some of the topographical similarities between the two countries would make Kosovo an ideal place to study the sort of guerrilla warfare that the KLA conducted in conjunction with NATO during the bombing of Yugoslavia 13 years ago.

Russian Foreign Ministry spokesman Alexander Lukashevich said that the Houla massacre would not have been possible if the perpetrators had not received arms and funding from abroad, meaning from the West.

That's self-evident. We know the Free Syrian Army, so-called, is harbored, is not only given refuge but presumably training and arms inside Turkey. A report of several months ago in the Daily Telegraph of Britain cited a member of the Syrian opposition boasting of having 15,000 fighters inside Turkey, which is a breach of interstate relations.


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IMPERIJALISTI DALJE RUKE OD SIRIJE!

Savez komunističke omladine Jugoslavije najoštrije osuđuje nove imperijalističke planove SAD i NATO alijanse uperene protiv Sirije. SKOJ naglašava da samo narod Sirije ima pravo da odlučuje o svojoj budućnosti bez mešanja sa strane, ekonomskih i vojnih pritisaka i nametanja rešenja spolja.

Izjave zapadnih zvaničnika o mogućnostima vojne intervencije protiv Sirije jasno govore o planovima NATO alijanse, SAD i EU uperenih na otvaranju novog ratnog žarišta, strahovitih razaranja i ubijanja naroda Sirije u cilju uspostavljanje kontrole nad Sirijom i širim regionom, njenim prirodnim bogatstvima i tržištem.

Osim najave moguće vojne intervencije koju je otvoreno najavio novi predsednik Francuske koji zastupa istu staru imperijalističku politiku Francuske, punu podršku dala je i državni sekretar SAD Hilari Klinton pozivajući na naoružavanje terorista u Siriji i zaštitu njihovih vojnih baza. Ovi potezi zapadnih imperijalističkih krugova jasan su pokazatelj ko stvarno stoji iza tzv. pobunjenika.

Postupci zapadnog kapitala oličeni u agresivnoj udarnoj pesnici - NATO alijansi jasno i nedvosmisleno pokazuju da se kapitalistička "demokratija" koju promovišu SAD i EU ne može humanizovati sve dok ona bude počivala na eksploataciji ljudi i profitu kao pokretaču svega.

Savez komunističke omladine Jugoslavije osuđuje najnovije zločine u Siriji i zahteva objektivnu istragu koja će naj verovatnije pre ili kasnije dovesti do istih onih pokretača rata u Jugoslaviji, Iraku i Libiji - zapadnih obaveštajnih službi.

Sekretarijat za međunarodne veze SKOJ-a
2. jun 2012.god.


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http://www.rt.com/news/lavrov-syria-opposition-military-476/

RT - June 9, 2012

Annan plan stalled because of those who support intervention, but plan ‘only chance for peace’ - Russian FM


External players provoke the opposition in Syria to continue military action; this may lead to a Libyan scenario, the Russian Foreign Minister warned.

The main reason the Annan peace plan is stalling is because those who support external intervention in Syria impede its implementation, said Sergey Lavrov.

Lavrov said the main reason why the Kofi Annan plan is not making progress is that certain parties “don’t like” the idea of the stabilization it would bring “during the initial period. They want the international community to be filled with indignation and start a full-blown intervention in Syria,” he said.

Lavrov has voiced concern about “the reaction on the part of some foreign players”, who, he said, “support armed groups of the opposition and at the same time demand that the international community take decisive steps to change the regime in Syria.”

He reiterated Russia’s position that it will “never agree to sanction the use of force in the UN Security Council”. He said that this would lead “to severe consequences for the entire Middle East region”.

Referring to the UN commissioner, Lavrov then gave some statistics, saying that the number of refugees from Syria currently stands at around 80,000. He stressed that these people all need support. 

The minister said that “in order to justify a foreign intervention they keep talking about the refugees from Syria. However, nobody talks about refugees inside Syria itself.” 

“This is similar to the former Yugoslavia. Does anybody think about the refugees from Serbia and Slovenia?” he enquired. 

The community, he stressed, should think more helping refugees. “According to some estimates, there are about a million refugees from Iraq and half a million Palestinians in Syria, and I don’t think people talk much about that,” Lavrov said.

Lavrov said the Syrian government is responsible for people’s security and human rights, as well as for everything that is going on in the country. 

Nevertheless, tragedies like Houla and the other numerous violent acts are a result of confrontation, which is increasingly actively supported by external forces. He also expressed concern over Russian experts coming under fire in Damascus on Saturday.

The Foreign Minister also touched on media coverage of the events in Syria, saying that “blocking Syrian government and private channels from broadcasting” does not “square well with freedom of speech.” He recalled the airstrikes on TV centers in Serbia’s Belgrade and Libya’s Tripoli. “We should all be on the same page regarding freedom of speech and how it should be respected by the international community to ensure access to information – no matter what kind of information it is,” Lavrov said.

Conference in Moscow to help implement Annan's plan

Moscow has proposed an international conference on the Syrian crisis with all key international players taking part.

Russia has expressed hope that all the parties that can influence the issue will take part, Foreign Minister Sergey Lavrov said following a UN session where the Secretary General announced that Syrian president Bashar al Assad had lost his legitimacy. 

“The conference should come under the UN umbrella,” said Lavrov, adding that the global discussion would not be a one-off event.

With some western countries calling to ban Iran from the international conference on Syria, Lavrov said to dismiss Tehran “would be thoughtless at the very least”.

Russia is seriously concerned about the increasing activity of international terrorists and extremist elements, Lavrov said.

The FM listed Qatar, Saudi Arabia, Lebanon, Jordan, Iraq, Turkey, Iran, the League of Arab States, the EU and the Organization of Islamic Cooperation among the “integral parts” to the process.

Also on Thursday Lavrov told journalists he guarantees that “there’ll be no mandate by the UN Security Council for a foreign intervention.”

The Russian Foreign Minister is currently speaking on Syria. More details are to follow.


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IL CONFLITTO SIRIANO POTREBBE DEGENERARE IN UNA GUERRA MONDIALE

Colpi di avvertimento russi


di Thierry Meyssan

La crisi siriana ha cambiato natura. Il processo di destabilizzazione che avrebbe dovuto spianare la strada ad una legittima azione militare dell’Alleanza Atlantica è fallito. Togliendosi la maschera, gli Stati Uniti hanno pubblicamente indicato la possibilità di attaccare la Siria senza l’approvazione del Consiglio di Sicurezza, come hanno fatto in Kosovo, facendo finta d’ignorare che la Russia di Vladimir Putin non è quella di Boris Eltsin. Dopo essersi assicurato il sostegno cinese, Mosca ha sparato due colpi di avvertimento in direzione di Washington. La continuazione delle violazioni del diritto internazionale da parte della NATO e del GCC, può ora aprire un conflitto mondiale.

RETE VOLTAIRE | DAMASCO (SIRIA)  | 10 GIUGNO 2012

Il presidente Vladimir Putin ha messo il suo terzo mandato sotto il segno della sovranità del suo paese contro le minacce lanciate direttamente contro la Federazione Russa dagli Stati Uniti e dalla NATO. Mosca ha ripetutamente condannato l’espansione della NATO, le basi militari sulle sue frontiere e lo schieramento della difesa antimissile, la distruzione della Libia e la destabilizzazione della Siria.
Nei giorni successivi alla sua investitura, Putin ha passato in rivista l’industria militare russa, le sue forze armate e il suo sistema di alleanze [1]. Ha continuato questa mobilitazione con la scelta di fare della Siria la linea rossa da non oltrepassare. Per lui, l’invasione della Libia da parte della NATO è paragonabile a quella della Cecoslovacchia da parte del Terzo Reich, e quello della Siria, se ciò dovesse accadere, sarebbe paragonabile a quella della Polonia che scatenò la seconda guerra mondiale.
Qualsiasi interpretazione di quanto sta accadendo nel Levante, in termini di rivoluzione/repressione interna siriana, non è solo falsa, ma impallidisce di fronte ai problemi reali e svela una mera comunicazione politica. La crisi siriana è soprattutto un palcoscenico del "rimodellamento del grande Medio Oriente", un altro tentativo di distruggere l’"Asse della Resistenza", e la prima guerra della "geopolitica del gas" [2]. La posta in gioco oggi in Siria, non è se Bashar al-Assad riesca a democratizzare le istituzioni da lui ereditate o se le monarchie del Golfo wahhabite riescano a distruggere l’ultimo regime laico nella regione e a imporre il loro bigottismo; ma quali frontiere separeranno i nuovi blocchi, la NATO (Organizzazione del Trattato Nord Atlantico) e la SCO (Shanghai Cooperation Organization) [3].
Alcuni dei nostri lettori probabilmente hanno sussultato alla lettura della frase precedente. Infatti, da mesi, i media occidentali e del Golfo martellano tutti i giorni sul fatto che il presidente Assad rappresenta una dittatura settaria a favore della minoranza alawita, mentre la sua opposizione armata incarna la democrazia pluralista. Uno sguardo sugli eventi è sufficiente per screditare questo travisamento. Bachar al-Assad ha indetto in successione le elezioni comunali, un referendum e le elezioni parlamentari. Tutti gli osservatori concordano sul fatto che le elezioni si sono svolte in modo sincero. La partecipazione popolare ha raggiunto oltre il 60%, anche se gli occidentali l’hanno descritta come una "farsa", e l’opposizione armata che sostengono ha impedito ai cittadini di andare alle urne nei quattro distretti sotto il loro controllo. Nel frattempo, l’opposizione armata ha aumentato le sue azioni non solo contro le forze di sicurezza, ma contro i civili e tutti i simboli multi-culturali e multi-confessionali. Hanno ucciso sunniti progressisti, poi hanno ucciso a caso alawiti e cristiani per forzare le loro famiglie a fuggire. Hanno bruciato più di 1500 scuole e chiese. Hanno proclamato l’effimero Emirato islamico indipendente di Bab Amr, dove hanno stabilito un tribunale rivoluzionario che ha condannato a morte più di 150 miscredenti, macellati uno per uno dal loro boia. E questo non è lo spettacolo pietoso di alcuni politici disonesti riunitisi nel Consiglio nazionale siriano in esilio, mostrando un progetto democratico di facciata estraneo alla realtà sul terreno dei crimini dell’esercito libero "siriano", che da molto tempo nascondeva la verità. Inoltre, chi può credere che il regime laico siriano, di cui l’esemplarità era celebre non molto tempo fa, sarebbe diventato una dittatura religiosa, mentre l’esercito libero "siriano", supportato dalle dittature wahhabite del Golfo e prono alle ingiunzioni dei predicatori takfiriti, sarebbe divenuto un esempio di pluralismo democratico?
L’evocazione da parte dei funzionari degli Stati Uniti di un possibile intervento internazionale al di fuori del mandato delle Nazioni Unite, il modo con cui la NATO aveva smembrato la Jugoslavia, ha provocato rabbia e preoccupazione a Mosca. La Federazione Russa, che finora era in una posizione difensiva, ha deciso di prendere l’iniziativa. Questo cambiamento strategico è causato dall’urgenza della prospettiva russa, e dall’evoluzione favorevole sul terreno in Siria [4].
Mosca ha proposto di istituire un Gruppo di contatto sulla Siria per riunire tutti gli Stati interessati, vale a dire gli Stati vicini, le potenze regionali e internazionali. Si tratta di sostituire con un forum per il dialogo l’attuale dispositivo belligerante creato dagli occidentali con il termine orwelliano di "Conferenza degli Amici della Siria".
La Russia continua a sostenere il Piano Annan, che in realtà è solo il recupero appena modificato del piano presentato da Sergej Lavrov alla Lega Araba. Si rammarica del fatto che questo piano non sia applicato, ma respinge la colpa sulle fazioni dell’opposizione che hanno preso le armi. Secondo A. K. Lukashevich, portavoce del ministero degli esteri, l’esercito libero "siriano" è un’organizzazione illegale secondo il diritto internazionale. Anche se assassina ogni giorno dai 20 ai 30 soldati siriani, è pubblicamente sostenuto dagli Stati della NATO e del GCC, in violazione del Piano Annan [5].
Posando come fautore della pace di fronte a una NATO guerrafondaia, Vladimir Putin ha chiesto alla CSTO di preparare lo schieramento dei "colbacchi blu" in Siria, sia per separare i belligeranti siriani che per combattere le forze straniere. Nikolaj Bordjuzha, segretario generale della CSTO, ha confermato che dispone di 20.000 uomini addestrati per questo tipo di missione e sono immediatamente disponibili. [6]
Questa sarebbe la prima volta che il CSTO dispiegherebbe una forza di pace al di fuori dello spazio ex sovietico. Punto sul vivo, il segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon ha cercato di sabotare questa iniziativa offrendosi improvvisamente di organizzare lui stesso un gruppo di contatto. Alla riunione a Washington del gruppo di lavoro sulle sanzioni della Conferenza degli Amici della Siria, la segretaria di stato degli USA Hillary Clinton ha ignorato la proposta russa e ha inasprito il sostegno al cambiamento di regime [7].
In Turchia, i parlamentari dell’opposizione hanno visitato i campi dei profughi siriani. Non hanno trovato più di mille rifugiati registrati dalle Nazioni Unite nel campo principale, ma al contrario, la presenza di un arsenale nel campo. Hanno poi interrogato all’Assemblea il primo ministro Recep Tayyip Erdogan chiedendogli di rivelare la quantità di aiuti umanitari accordati ai fantomatici rifugiati. I deputati ritengono che il campo profughi sia una copertura per una operazione militare segreta. Ospita in realtà dei combattenti, per lo più libici, che lo usano come base arretrata. I deputati hanno suggerito che questi combattenti sono coloro che hanno fatto irruzione nella zona, quando il massacro di Hula ha avuto luogo.
Queste informazioni confermano le accuse dell’ambasciatore russo al Consiglio di Sicurezza, Vitalij Churkin, secondo cui il rappresentante speciale di Ban Ki-moon in Libia, Ian Martin, ha utilizzato i mezzi delle Nazioni Unite destinati ai rifugiati, per inviare in Turchia i combattenti di al-Qaida [8].


L'articolo seguente apparirà nella sua versione originale, in lingua serbocroata, nel prossimo numero della rivista Novi Plamen - http://www.noviplamen.org/

Sport - ideologija u svom čistom obliku
(Traduzione a cura di CNJ-onlus)


Lo Sport – Ideologia nella sua forma pura


Ivan Ergić è un calciatore, un editorialista, un marxista. Ha giocato a calcio per squadre come la Juventus, il Basilea e il Bursaspor. Negli articoli per il giornale “Politika” ha contemplato la società da un angolo di vista particolare ed ha criticato apertamente l’industria dello sport. Più in generale, Ivan è un “insider” che ci presenta lo sport in un modo inusuale.


Le circostanze hanno fatto sì che io scriva già da parecchio tempo questi articoli sullo sport. Dico "le circostanze" perchè questa non sarebbe la mia prima tematica di interesse. A parte il tifo per le mie squadre del cuore nella pallacanestro e nel calcio, si potrebbe dire che sulle questioni sportive io dispongo d’un medio grado d’informazione. Sarebbe anche questa la causa per la quale i miei scritti parlano dello sport in quanto tale soltanto in misura minore. Sono più interessato allo sport come fenomeno sociale, alla maniera in cui la società si riflette nello sport, alla funzione dello sport nella riproduzione socio-economica. Mi interessano particolarmente queste tematiche dopo aver letto alcuni anni fa un pezzo di Ivan Ergić nel quotidiano “Politika”.

Ergić è nato a Sebenico. Durante la guerra nell'area ex jugoslava si trasferì a Šabac, dopodiché visse per tre anni a Pert, in Australia. Durante la sua carriera ha giocato il calcio per club come la Juventus e il Basilea. Scrive articoli nei quali ha un’atteggiamento critico verso l’industria dello sport. E' stato fra i primi a parlare della depressione cui sono soggetti gli sportivi professionisti d’oggi a causa del loro genere di vita.

Spesso trovo stereotipi che rappresentano Ivan come “il calciatore che pensa”. L'idea, molto in voga oggi, secondo cui i calciatori sarebbero soggetti non pensanti è causa di molte frustrazioni. Quando si tratta di Ivan Ergić sarebbe opportuno dire che lui è un calciatore che la pensa diversamente. E' molto cordiale ed è molto gradevole parlare con lui. Quando l’ho conosciuto di persona ho avuto l'impressione di conoscere un mio insider. Gli ho chiesto molte cose e a modo mio gli ho fatto una lunga intervista, che adesso abbiamo pubblicato, come potete vedere.


E' raro che gli sportivi s’interessino alle teorie sociali. Quello che nel tuo caso è ancora più interessante è che ti interessi al marxismo. Quando ti sei imbattuto nel marxismo per la prima volta?


Sono cresciuto in una famiglia partigiana. Il mio bisnonno era stato fucilato dai fascisti italiani, perchè era un partigiano che faceva delle azioni. Porto il nome Ivan a causa di Ivan Ribar [1], visto che sono nato nel centenario della sua nascita. Era dunque naturale ch’io crescessi nello spirito del socialismo e del sentimento positivo per la Jugoslavia, una idea che oggi, dalle nostre parti, i revisionisti della storia stanno sistematicamente distruggendo.

Da piccolo mi rimasero scolpite in mente le parole di mio babbo, che diceva che Marx era stato il più grande dei profeti, perchè aveva predetto che i soldi avrebbero distrutto l’umanità. Anche se non lo capivo allora, questo suo dire non era in alcun modo un dogmatismo imparato nelle riunioni del partito, ma un’opinione sagace e ragionevole. La mia esperienza di vita mi dice che si tratta di una grande verità. Ma vorrei sottolineare, visto che il marxismo ha diversi spessori, che mi riconosco più spesso nel "giovane Marx", con la sua teoria dell’alienazione, con la sua axiologia [2] umanistica; e negli ultimi tempi, leggendo Il Capitale, devo dire che mi trovo d’accordo con la maggior parte delle sue diagnosi. Meno d’accordo mi trovo con lo storicismo volgare, con il rapporto di struttura e sovrastruttura e la loro trasformazione nell’ideologia politica, anche se in tutto questo ci sono alcuni elementi di verità.


Nell’ultima partita della squadra nazionale in cui si cantava “Hej Sloveni” [3] tu eri l’unico giocatore a cantare quell’inno. Che cosa significa la Jugoslavia per te?


Per me la Jugoslavia è un ideale incompiuto. Essa era fraternità e unità, multiculturalità, multiconfessionalità, il senso dell’uguaglianza, e non soltanto dal punto di vista delle classi sociali, ma anche fra le nazioni e le etnie. Questo per l’Europa di oggi non è altro che una chimera, che non si realizzerà mai proprio a causa delle disuguaglianze, che si vedono meglio nei tempi di crisi (ad esempio il rapporto tra Grecia e Germania).

Naturalmente, non sono un utopista e conosco tutte le insufficienze ed errori di quel sistema, economici come pure politici. E nello stesso tempo non riduco la Jugoslavia, come fa la maggior parte degli jugonostgici, al mare, ai viaggi e al senso di sicurezza, tutte cose che potrebbero essere lo specchio di uno stato clientelare. Come uno che proviene da una famiglia operaia, che nella generazione precedente era stata una famiglia dei contadini, so benissimo che non esiste nessun sistema al mondo dove l’operaio e l’uomo comune siano stati più rispettati. Basti pensare alla tragedia dei minatori di Aleksinac: ai loro funerali il paese intero partecipò con una commozione profonda. Oggi una cosa del genere è impensabile.

Del resto, anche sul piano simbolico eravamo all’apice della lotta antimperialista, rappresentavamo il paese-guida per i popoli decolonizzati dell’Asia e dell’Africa e per le popolazioni arabe. Le nostre vie portavano i nomi di Patrice Lulumba, di Togliatti, di Che Guevara, di Lola Ribar. E oggi nelle nostre capitali vediamo i monumenti eretti ai monarchici e agli autocrati, come ad esempio il monumento ad Alijev nel centro di Belgrado. Si tratta oggi di uno pseudo-internazionalismo, un cosmopolitismo sostenuto dalle correnti culturali liberiste, dietro alle quali si nasconde il capitale con ambizioni imperialiste.


Il capitale sta anche dietro al calcio. Ed è interessante che ai tempi della crisi, quando soltanto il calcio europeo professionale contrae un debito annuale di 1,5 miliardi di Euro, gli investimenti in questo sport non vengono a mancare. Si tratta di un mercato enorme e degli interessi delle grandi corporazioni. In tutto questo, dov'è quello che era il punto di partenza – il gioco?


Chiunque ami il calcio ed abbia sviluppato un gusto calcistico si può accorgere che il calcio già da un pezzo non è più quello che era stato una volta. La mercificazione di tutto, si guardi anche soltanto nell’area della cultura, sta rovinando l’autenticità di ogni cosa. Il gioco in quanto tale è spostato su di un binario secondario, mentre predomina già da parecchio tempo la forza fisica, la resistenza, la tattica. Anziché al gioco, molta più attenzione è rivolta all’economia di un club calcistico, ai trasferimenti dei giocatori, alle speculazioni, al guadagno, agli scandali dei calciatori nella vita privata, alle baruffe, agli episodi di vandalismo delle gang giovanili, eccetera. Il calcio quindi fa parte dell’industria del divertimento.

Del resto, la valanga di soldi e il sollevamento di tutte le barriere ha condotto all’usanza che la selezione dei calciatori è fatta dal padrone della squadra, pieno di capricci, e non da un allenatore, che avrebbe il compito di comporre la squadra con razionalità e giudizio. Perciò il Barcellona è oggi una spina nell’occhio per l’industria del calcio. Quelli hanno dimostrato che senza molti soldi, con calciatori usciti dalla loro scuola e con una certa filosofia calcistica, si può fare la migliore squadra mai esistita – il Barca gioca vincendo e gioca un bel calcio, un calcio migliore di chiunque altro. Per questo lo disprezzano, visto che questo club sta diventando un simbolo, come lo sono stati gli anarchici di Catalogna, che furono per tutti una spina nell’occhio in quanto ipotesi alternativa in senso simbolico.


E come vedi in generale il ruolo dello sport nella società contemporanea?


Lo sport è l’ideologia allo stato puro e dicendo questo penso allo sport professionale di qualsiasi specie. Lo sport è quella pedagogia sociale che induce alla competizione, alla determinazione, alla vittoria, alla sconfitta, al sacrificio, alla perseveranza, alla lotta, quindi a tutto ciò che rappresenta il mercato, che è la più grande ideologia mai esistita. Lo sport è l’agitprop del mercato.

I bambini fin da piccoli vengono condizionati perché si sentano contenti quando vincono e umiliati quando perdono, e non soltanto nel senso della gara, ma anche in senso umano. Uno sguardo non-fenomenologico rivolto allo sport ci dice che esso avrebbe la funzione di incanalare le frustrazioni. Questa tesi di Freud non è diventata obsoleta per niente, come vorrebbe suggerire qualcheduno. Per me oggi è una cosa terribile che un club sportivo ha più membri e può mobilitare molta più gente dei sindacati.


Un grande ruolo in campo sportivo hanno i tifosi.


I tifosi purtroppo sono mutati in consumatori, il che è una conseguenza naturale della mercificazione. Quando soggiornavo a Basilea ho fatto amicizia con i tifosi e con gruppi di tifosi, andavo nelle tournée. A dire il vero, facevo un tentativo di avvicinare i tifosi, i giocatori ed il club, per quanto potevo fare nella mia posizione.

C’è una grande alienazione in questo campo: i tifosi generalmente guardano ai calciatori come a star viziate, mentre i calciatori pensano ai tifosi come a un male necessario - gran parte hanno un atteggiamento negativo e chiedono sacrifici ai giocatori. E' vero: noi giocatori siamo di passaggio, ma il club resta, però il club non è un’astrazione, il club è composto di gente reale, con valori reali con i quali i tifosi si identificano oppure no. Dunque, non deve esistere un rapporto di tifosi verso il club, ma un rapporto di uomini verso altri uomini, e questo non è un’utopia.


Parli di ideologia. Il calciatore da piccolo viene allenato, come gli altri sportivi, a funzionare secondo un dato schema. Non sarebbe questo il primo grado di un’ interpretazione ideologica?


Ogni industria cosciente di se produce un certo tipo d’uomo al quale trasferisce certi valori. La stessa vita dei calciatori ha una dimensione pedagogica, che ho menzionato. Così come è estetizzata la vita privata dei divi di Hollywood, le stesse regole valgono per un giocatore di calcio professionista. A lui sono permessi i capricci e le scenate. Tutti devono cercare di essere come lui. In un mio articolo ho scritto che il “sogno americano” oggi è stato sostituito dal “sogno sportivo”, un sogno che è molto più largo e più ampio. Naturalmente, si tralascia il fatto che soltanto una millesima parte dei giovanissimi può realizzarlo, mentre tutti gli altri sono condannati a rimanere nella miseria e nella povertà.

E' molto difficile resistere oggi agli schemi ideologici e pedagogici dello sport, che influiscono molto di più sui ragazzi che vanno a scuola, anche se la scuola pure punta ai parametri di efficacia e non all’autosufficienza dello studio e della creatività. Ma la stragrande parte dei giocatori di calcio è stata formata dall’ambiente in cui sono cresciuti, in condizioni di vita certe volte impietose che portano alla perdita della sensibilità. Lo sportivo ha il corpo modificato secondo le leggi sportive, il che è evidente, visto che succede con ogni tipo di attività che viene praticata dall’uomo: il posto di lavoro ed i suoi imperativi plasmano la sua fisionomia.


In tutta questa formazione ha un grande ruolo l’autorità dell’allenatore, che spesso è indiscussa. Come vedi tu la relazione fra il calciatore e l’allenatore e come commenti gli eventi legati ad Adem Ljaljić, che da una parte si trova contrapposto all’autorità degli allenatori e dall’altra parte non è nelle loro grazie?


Come in ogni posto di lavoro, l’autorità non si discute. Ma il fatto è che nella struttura gerarchica anche l’allenatore è sottomesso a qualcun altro. Cosi funziona il sistema.

L'episodio di Adem Ljaljić nella Fiorentina esemplifica in modo eccellente il caso d’un allenatore che è stato formato secondo le leggi della vanagloria, nonché la vanagloria d’un giocatore, di cui i mass-media e l’ambiente hanno già in giovanissima età fatto un piccolo dio. E' una cosa che ho visto ovunque io abbia giocato.

Lo stesso episodio dell'inno nazionale mostra un atteggiamento dell’allenatore molto maldestro verso una cosa che già da principio si presta bene alla politicizzazione. L’inno in se è abbastanza escludente, non parla della Serbia, ma dei Serbi e di dio. Queste parole in se e per se escludono le minoranze e gli atei, i quali, sono sicuro, tutti amano la Serbia forse più del resto dei cittadini serbi. Lo stesso Ljaljić giocando per la squadra nazionale dal suo decimo anno d’età, ha mostrato un patriottismo assai grande. Simili tendenze e politicizzazioni del genere le vedo dappertutto nel nostro ambiente.


E' noto che non hai un manager, che controlli da solo tutta la tua carriera: fatto che nel campo dal quale provieni rappresenta una vera rarità. Come ti sei deciso ad un passo simile? Questo atteggiamento ti ha complicato la vita o ti ha offerto delle possibilità migliori?


Non avere un manager di certo chiude molte porte, soprattutto se durante la carriera vai dicendo ad alta voce che la maggior parte di loro non sono altro che pescecani e parassiti. Se per questo sono stato punito e non ho potuto entrare in un club migliore, non lo so e non ha una grande importanza. Ho fatto tutto da solo e ho mantenuto un atteggiamento corretto verso i club che erano interessati a me come giocatore, ma non verso quelli che volevano entrare in giochi sporchi di spartizione dietro le quinte con agenti e manager. Purtroppo il sistema è stato costruito in modo che tutte le strade che portano verso i club devi percorrerle con i mediatori. Visto che conosco gente del cinema e della musica, posso affermare liberamente che così funziona l’industria del divertimento. Se si fa commercio con gente giovane ed i loro genitori disperati e inesperti, questo rappresenta un’ulteriore combinazione vincente per le agenzie.


E' chiaro che esistono moltissimi problemi e che sarebbe necessario un collegamento tra i diversi livelli. Che prospettiva c’è per un’organizzazione sindacale dei calciatori?


A livello globale esiste un sindacato che si chiama FIFAPro. Esso ha una sua agenzia in ogni Lega nazionale. Ma come ogni burocrazia, anche questo sindacato è alienato rispetto ai giocatori e gli stessi giocatori non hanno una coscienza precisa dei propri diritti. Il calciatore non può scegliere il periodo in cui giocare, ne' sul quale terreno giocare, non ha influenza sul calendario, cioè su quando e quanto a lungo possa stare in vacanza, e durante le vacanze generalmente ha l'obbligo di allenarsi. Tutto ciò porta all’esaurimento nervoso.

Però nel pubblico si è creata l’impressione che ogni esigenza ulteriore del calciatore è percepita come arroganza di qualcuno che guadagna tanto. Ma ai calciatori danno tanti soldi proprio affinché i miliardari e i milionari nelle cui mani è concentrata l'industria calcistica, queste divinità che hanno trasformato i tifosi in consumatori, siano esentati da ogni critica e da ogni responsabilità.


Nella campagna elettorale per le elezioni presidenziali in Francia una delle obiezioni fatte alla sinistra, che vorrebbe tassare drasticamente i ricchi, è stata che una politica fiscale simile avrebbe danneggato molto il calcio francese, visto che i calciatori, alla ricerca d’un guadagno migliore, sarebbero fuggiti dai club francesi. Quanto conosci degli eventi sulla scena politica mondiale e quanto è collegato il calcio, se lo è, alla politica?


Sto seguendo tutto ciò che capita nel mondo, soprattutto nella sinistra. Ma penso che globalmente le politiche economiche integrate dei governi, anche quelli di sinistra, si riducono a questioni di tecnica finanziaria. Sono assolutamente per la ripartizione e per l’autonomia delle istituzioni finanziarie, ma le economie devono ristrutturarsi in modo da produrre abbastanza per potersi mantenere, e non per finanziare le spese sociali e i servizi sociali con il debito, che poi dovranno pagare le generazioni future. Nel momento in cui sia lo Stato che la sua economia diventano più finanziarizzati, essi dovrebbero seguire politiche keynesiane per incitare la crescita, senza i tagli e le politiche di austerità richieste dai “tre grandi”.

Trovo molto positivo che la Francia, da grande potenza, vuole mettere in discussione le politiche economiche dell’UE, ma il cambiamento dovrebbe prodursi su di un livello più largo. Se soltanto un paese o due praticano una diversa allocazione delle tasse, questo porterebbe unicamente a indurre alla fuga i capitali. A livello globale il capitale sempre trova delle oasi. Questo non significa che bisogna rigettare una simile politica, ma che bisogna insistere sul suo allargamento in modo che siano indotti a politiche simili i paesi più sviluppati, cioè che essi siano costretti a fare ciò che finora non hanno fatto, per quanto riguarda le cause che ci hanno portato alla crisi.

Accennare alle conseguenze sul calcio può sembrare banale, ma proprio questo dimostra quanta importanza sociale ha acquisito il calcio e come è strumentalizzato dalla politica, la quale si serve anche del calcio per incutere timore.


Vladimir Simonović

(ex giocatore di pallacanestro)



[1] Ivan Lola Ribar, grande personalità del movimento partigiano jugoslavo.
[2] Sistema di valori.
[3] Inno nazionale jugoslavo.
(Note a cura di CNJ-onlus)





USA still playing anti-Serbian "card" against Europe

1) Yugoslavia’s lessons for Europe’s disunion (Charles Lane)
2) New President, Old Problems (Morton Abramowitz)
3) It is not a crisis, the bills have finally arrived!!! (Nada Pejnović)
4) Reputation of Council of Europe at stake (Nada Pejnovic and Timothy Bancroft-Hinchey)


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YUGOSLAVIA’S LESSONS FOR EUROPE’S DISUNION


By Charles Lane, Published: May 29 The Washington Post


Once upon a time in Europe, there was a confederation. It stretched from the Alps to the Adriatic and straddled the ancient line between Western Christendom and Byzantium.

The confederation promised an eternal end to the wars that had historically bedeviled its component peoples. It built goodwill and interdependence through a common currency and free movement of labor and capital.

Lane is a Post editorial writer, specializing in economic policy, financial issues and trade, and a contributor to the PostPartisan blog.

Espousing peace, equality and human rights, the confederation offered a “third way” between the callousness of American-style capitalism and the inefficiency of central planning.

It also offered an alternative power center to countries not content to choose their allies from among the United States, China and Russia.

But Yugoslavia collapsed in 1991, after more than a decade of steadily escalating strife. And its downfall was accompanied by renewed ethnic warfare even bloodier than the World War II-era fighting the postwar confederation was supposed to abolish.

I wouldn’t overstate the analogy between Yugoslavia and today’s troubled European Union. Yugoslav “market socialism” was more authoritarian than the social democracy of Europe. For all the talk of “brotherhood and unity” at home and “non-alignment” abroad, what really held Yugoslavia together was the iron fist of its chieftain, Josip Broz Tito, who died in 1980 and was succeeded by a succession of ineffectual, unelected bureaucrats.

The end of Soviet-U.S. competition relaxed the East-West tension that had helped force the Yugoslav peoples together from the outside.

But I wouldn’t understate the analogy, either. Like the European Union, Yugoslavia was constantly trying bureaucratic fixes for deep-rooted rivalries — between Albanians and Serbs, Serbs and Croatians. Leadership shuffles, duplicative institutions and constitutional rewrites papered over but never eliminated them, even though almost all Yugoslav nationalities spoke the same language.

Tito used debt-fueled economic growth to buy peace; when the bills came due, fiscal austerity added yet another political irritant.

So the crisis Europe faces today is not all that unprecedented. It is not merely a financial or economic one. The deeper question is how — or whether — any multinational confederation can survive in the land mass between the Urals and the Atlantic, long after the world war that originally justified it and the Cold War that helped perpetuate it. How is the E.U. to escape the fate of every previous empire and confederation in European history?

When viewed that way, Europe’s predicament looks difficult indeed.

Franco-German rivalry helped cause one continental bloodletting after another, the most monstrous of which was World War II. United Europe was supposed to tie France and postwar West Germany so tightly together, economically, that war would become impossible.

This was both a noble and, potentially at least, feasible project. But it is clear in hindsight that the authors of European unification have oversolved the original problem.

They could have had Franco-German peace without giving Spain and Finland a veto over policies that affect the German and French peoples, and vice versa. They could have had free trade and mobile capital without pretending that Greece and the Netherlands belong in a currency union.

Did the E.U. overexpand and overreach because France wanted a vehicle for its own unrealistic foreign policy ambitions? Or because poorer countries in Europe were eager for privileged access to Germany’s money? It hardly matters now.

The fact is, Europe is stuck with this confederation, yet it is no longer solvent, politically or economically.

Short-term efforts at muddling through occupy the continent’s politicians. But they are pushing against tectonic forces that are shifting against the E.U., just as surely as similar forces ground away at the Holy Roman Empire and Yugoslavia.

There are only two ways forward. One is breakup; though not likely to be as bloody as the Yugoslav meltdown, an E.U. collapse, even a gradual one, would impoverish the continent and leave a toxic residue of nationalist rancor.

The other choice, of course, is to follow the perennial prescription — “more Europe.” The only cure for the ills of today’s relatively loose confederation is a tighter one, it is said.

What this means in practice, however, is the surrender of more national sovereignty to Brussels, to include, for the first time, elected parliaments’ loss of control over basic financial decisions.

Nor will this cession of power be symmetrical: Germany and other wealthy nations will determine the new rules of the game and debtor nations will follow them — not uncomplainingly.

United Europe’s future, if it has one, looks more austere, more contentious and — above all — less democratic than its present. And I repeat: This is the optimistic scenario.


=== 2 ===


New President, Old Problems





Morton Abramowitz   

(The National Interest, June 1, 2012)

Unresolved tensions in Serbia threaten the Balkans' fragile stability.

This week, nationalist Tomislav Nikolic was installed as the new president of Serbia. EU and U.S. officials had hoped for the election of a leader who would ultimately move forward on the Kosovo issue, especially in light of Serbia’s potential accession to the EU. Whether such a leading politician can be found in Belgrade is questionable. But Nikolic is certainly not the West’s cup of tea.
Strong EU and U.S. support could not save former president Boris Tadic after he poorly managed the economy and led a party popularly perceived as corrupt. Instead, the hurly-burly of Serbian politics produced an electoral outcome neither foreseen nor desired by EU foreign-policy chief Lady Ashton. She pulled out all the stops to get Tadic reelected, including getting the Americans to force Kosovo’s government to accept a minor, unpopular deal with Serbia on their contentious border problem, which in turn allowed Tadic to begin negotiations on Serbia’s EU accession. But disgruntled Serbian voters had other ideas and elected Progressive Party leader Nikolic.
The West had treated Nikolic as something of a leper because of his close collaboration with Hague-Tribunal indicted war criminal Vojislav Seselj and his support of Serbian sovereignty over Kosovo—all despite the fact that he broke with Seselj, established his own political party and has strongly supported Serbia’s EU aspirations. His public position on Kosovo is no different than Tadic’s on the essential points. The EU may well have to deal with both men, since the election defeat has not necessarily ended Tadic’s political career. The parliamentary returns make it possible that the new Serbian government could be a coalition, with or without Nikolic’s party and with Tadic’s party playing a key role. Tadic could be prime minister and have more power than Nikolic if the president’s party is not in the coalition.
But EU accession will not be Serbia’s most pressing concern. Rather, the difficult task of preventing further economic deterioration must be the focus of any new government. The Greek debacle and the overall decline of the euro zone are wreaking havoc in the area. The worsening economy is the main reason Nikolic made his first visit to Moscow—to get financial assistance from Putin—although Nikolic also made clear his dedication to relations with the EU and to an early visit to Brussels. An invitation for Nikolic to visit Washington also might help smooth things over.

Rising Tensions in the Balkans
However great the new Serbian government’s attention to restoring the economy, it still must deal with the Kosovo problem: First, there is the very thorny problem of the future of the Serbs of North Kosovo. Ultimately, there must be a resolution of Kosovo’s status before Serbia is admitted to the EU.
The EU has a structural problem—five governments not recognizing Kosovo—making it difficult for Brussels to act vigorously. It is conceivable that may change, but Serb political leaders may believe the EU will do as it did with a divided Cyprus and let Serbia into the EU with the Kosovo-independence issue unresolved. Of course, all this is well down the pike, and much depends on events.
The EU hopes large financial aid and the promise of accession will eventually change the political climate within Serbia, making it possible for the political leadership to somehow tolerate Kosovo’s independence. But it’s doubtful that any major Serb political leader will accept that reality without at least some form of partition of the North of Kosovo. Not surprisingly, Nikolic—like his predecessor—keeps indicating that he will never recognize Kosovo’s independence. But he has also offered the prospect that the Serb people be given a referendum on EU membership and their attachment to Kosovo, which might turn out to be more realistic and different than Serbia’s frozen political leadership. That is Brussels’s hope in exporting the issue to the future. The EU refuses to play tough with Belgrade’s political class, which remains intent on preserving a bad past that has effectively vanished.
Meanwhile, that frequent instigator of change in the Balkans—violence—cannot be precluded. The most immediate problem is in Kosovo’s North, where the possibility of real hostilities remains. Much more is required for advancing Serbia-EU negotiations and deepening Kosovo’s relations with the EU. Even the agreements worked out before Serbia’s elections are hardly being enacted.
Difficulties in Kosovo stem from basic demographic realities: the population of perhaps thirty thousand Serbs wants no part of Kosovo or any tie to a Pristina that insists on exerting some degree of control. There is no magic wand, and partition of northern Kosovo—also the best option for the bigger independence problem—is unacceptable to the West. Thus, the next focus of EU-led negotiations on the North will be whether a plan for virtual autonomy of the Northern Serbs can be accepted by both parties. The EU will be working hard to buttress the Serbian position—and no longer limited by the recent Serbian election, the process may become explosive.
With these fundamental issues unresolved, the West could be in for another difficult ride in the Balkans. And no mention has been made of the instability in Macedonia and the long political deterioration in Bosnia amidst worsening economic prospects in the region. Nothing can be taken for granted with such continuing ethnic divides. Rightly or wrongly, hard decisions always can be avoided, as the West did at Dayton and at the end of the Kosovo war. Once again, it is the hour of Europe with the Americans tagging along, making the bet that time and money will solve the present difficulties.

Morton Abramowitz is a senior fellow at The Century Foundation and a member of The National Interest's advisory council. 


=== 3 ===

(sledeci tekst na srpskohrvatskom: 
Није криза, рачуни су коначно стигли на наплату!!!
http://www.beoforum.rs/forum-prenosi-beogradski-forum-za-svet-ravnopravnih/367-nije-kriza-racuni-su-konacno-stigli-na-naplatu.html )


It is not a crisis, the bills have finally arrived!!!


Every now and then we listen about one of the greatest economic crisis’s which hit the world at the end of 2008, and how we must save our state budgets, cut public spending, make all sorts of cuts in public administration, including the number of employees etc. To be honest, at first most of us believed in this fairy tale, repeated over and over again, in known and unknown public media. But let us just go a little bit back in time and we will see the naked truth, as it is, and the sad truth is the bills have finally arrived.

When we talk about an economy we must think of the income into any state budget and all its components, as well as about costs and payments the state has had to make for many services, in terms of goods and works. One would say that there is nothing unusual in this, but the general public has never been privy to seeingthe true cost in expenditure which occurredthrough the military intervention in foreign countries. It is evident that the tax payers were misled by the public media citing all sorts of “human rights” organizations which were mostly located in London and not in the country which was being invaded. That was the case of Libya and now Syria, how convenient, but let us go back now to the economy.

NATO through its acts of aggression against sovereign countries usedcostly long range weaponry, of which the aftermath was the land occupation of the country and deployment of military equipment, to supply the forces in the foreign zone or country etc. Now we are not talking about millions, now we are talking about billions of funds of tax payer’s money. Oh, I forgot to mention all donor conferences for the restoration of a crippled country through the destruction wrought by NATO. Now we come to the question, where does that money come from?It certainlyis not money earned by any Government from the private sector, or from any multinational company. The money used for all NATO aggressions is simply thatwhich has been taken from the citizen states, members of NATO. NATO does not care about any citizens of any country, NATO cares only about itself and about its masters’ interest.

Let me recall an anecdote. When during negotiations the representative of the strongest country was presented with a document signed on behalf of his country, he was asked why his government does not comply with the signed agreement, the answer that followed was striking: “The privilege of the mighty ones is to ignore even own signatures”. The privilege of the powerful then is to blackmail and to suppress other NATO member states, to do as it pleases, regardless of the impact on the weaker countries. Has anyone noticed that it is not feasible to negate your countries membership of NATO?

Membership in NATO means, besides the requirement of a 2% contribution of any given country’s GDP, deployment of military staff, equipment, donor conferences, grants, military members brought back to homeland in coffins, disabled military staff, in one word, a huge hole in the countries budget.

Nowadays we are talking about professionalism, transparency, accountability, values and principles the world desperately need. But the fact remains, whenever anyone in any specific country wants to find out exactly how much in fundinghas been contributed for NATO missions, the information has been declared as not permissible and secret. How come that does not surprise me at all?

So, lets once again get back to the economic crisis…. For more than a decade member states of NATO have spent more than they have had, destroying countries around the globe, starting with Serbia, then Iraq, Afghanistan, Libya and now they are trying to impose so called democracy in Syria, all at the expense of the citizens of NATO member states. That funding as an investment, will never came back to the source, besides the fact that the budgets of the member states have already been severely depleted.

Besides being a NATO member state, it is worth to mention that the Europeansreal economy was transferred to the East, and as a consequence Europe is nagging about Tiger economies. But who created them, and who is to blame??? Most European countries, instead of making products with new added value, they boosted countless bureaucracy, and through this made all kinds of other stupid mistakes, which will at the end fall on the backs of the common citizens, who were misled and misused for a greater cause because Europe was led by politicians and not by statesman. And at the end let me tell you the name of that greater cause “Our future is gone; it is not a crisis, as the bills have finally arrived”.

Nada Pejnović


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(sledeci tekst na srpskohrvatskom: 
Углед Савјета Европе на коцки!!!


Reputation of Council of Europe at stake


Those who followed and admired the Council of Europe suspect that in the middle of its reform, this Organization became impotent. Instead of achieving a stronger role to become a true warrior for human rights, democracy and the rule of law in the international arena, it became just another impotent bureaucratic institution unable to deal with questions such as what its members are doing outside borders of Europe.

The Council of Europe was founded on 5 May 1949 just after WWII. The oldest European institution seeks to develop throughout Europe common and democratic principles based on the European Convention on Human Rights and other reference texts on the protection of individuals. It is composed of Parliamentary Assembly and Congress of Local and regional democracy with representatives from all 47 member states. One of the bodies of Council of Europe is European Commission for Democracy through Law also so called Venice Commission and an independent body European Court of Human Rights.

The primary aim of the Council of Europe is to create a common democratic and legal area throughout the whole of the continent, ensuring respect for its fundamental values: human rights, democracy and the rule of law. The European Convention of Human Rights and its ratification is a prerequisite for joining the Council of Europe. It was adopted in 1950 and entered into force in 1953.

More than 200 conventions are a part of the Council of Europe legal framework. They are legally binding agreements with which a member state is obliged to comply once it has signed and ratified them. At the same time countries with observer status are: Holly See, Canada, Japan, Israel, Mexico and United States.

The top priority of the Council of Europe is to protect human rights, pluralist democracy and the rule of law. But after all that has happened in the last decade, the constituencies of Europe are left speechless for something went utterly wrong and here it shall be clearly shown what.

The ones who follow the work of the Council of Europe and the ones who admired its work cannot fight the feeling that in the middle of the reform of Council of Europe this Organization became impotent. Instead of achieving a stronger role to become a true warrior for human rights, democracy and the rule of law in the international arena, the Council of Europe became just another impotent bureaucratic institution dealing with less important issues rather than with burning questions like what its member states are doing outside borders of Europe. Has anyone asked themselves if hereto counties undermine the efforts, reputation and achievements of  the Council of Europe in general?

How can anyone justify the hypocrisy of Belgium, Bulgaria, Canada, Denmark, France, Greece, Italy, Netherlands, Norway, United Kingdom, Spain, Sweden, Turkey and Romania? In Europe they are obliged to respect human rights, democracy and rule of law but what about their accountability while participating in NATO aggression as listed below:

  • Belgium: 120 personnel, 6 aircraft, 1 vessel, 60 sorties
  • Bulgaria: 160 personnel, 1 vessel
  • Denmark: 120 personnel, 4 aircraft, 161 sorties
  • France: 800 personnel, 29 aircraft, 6 vessels, 1,200 sorties
  • Greece: 1 vessel
  • Italy: 12 aircraft, 4 vessels, 600 sorties
  • Netherlands: 200 personnel, 7 aircraft, 1 vessel
  • Norway: 140 personnel, 6 aircraft, 100 sorties
  • Romania: 205 personnel, 1 vessel
  • Spain: 500 personnel, 7 aircraft, 1 vessel
  • Sweden: 122 personnel, 8 aircraft, 78 sorties
  • Turkey: 7 aircraft, 6 vessels
  • UK: 1,300 personnel, 28 aircraft, 3 vessels, 18 cruise missiles, 1,300 sorties

Even though in the above-mentioned countries economic crisis resulted in lack of funds for health and social services, unemployment and increase of taxes, they still have the funds to finance war. How odd?

Let us go even further and see what was destroyed while "protecting civilians" in Libya as well as in key areas of Council of Europe, i.e. human rights, pluralist democracy and rule of law by date:

  • 30.04.2011. --- The bombing of the Downs Syndrome School in Tripoli (Children's rights)
  • 17.05.2011.---The NATO attack on Libya's Anti-Corruption Agency on May 17 (Fight against corruption)
  • 13.05.2011. The 11 imams (spiritual leaders of Islam) that were killed (Human rights*)
  • 12.06.2011. --- The bombing of the University of Tripoli. 22.06.2011. --- The bombing of the Great Man made Waterway irrigation system, which supplies most Libyans with their drinking water*
  • 24.07.2011. ---The bombing of the Hospital at Zliten. Resulting in the murder of a minimum, of 50 civilians many of them children*.

Or shall we go back in time and see what happened in Kosovo. "More than 80 Orthodox churches have been either completely destroyed or severely damaged since the end of the war. The ancient churches, many of which had survived 500 years of Ottoman Moslem rule, could not survive 8 months of the internationally guaranteed peace. Regretfully, all this happens in the presence of KFOR and UN[1]."

Even today, Serbs and Non-Albanians in Kosovo are just like clay pigeons under the so-called protection of KFOR. Statistical data on ethnic cleansing since KFOR came to this region look worse than a large-scale natural disaster aftermath. Not to mention violation of UN Resolution 1244 on a daily basis.

In Libya, a country which had the highest rates of human rights and development, the member states of the Council of Europe helped in organizing, instigating, assisting or participating in acts of civil strife or terrorist acts within territory of Libya directed towards deterioration of human rights and change of regime. How else can we explain introduction of Sharia law? Women's rights were protected by the former Constitution of Libya, but member states of Council of Europe which participated in NATO aggression in Libya with their military, political and mass media campaign did their best to erase any hope for better future.  

There is even proof that organizing, instigating, assisting and participating in acts of civil strife is institutionalized in the manual Special Forces Unconventional Warfare. Shall we go on?

One might call this vandalism with a mission regardless of the continent in which it happened. At the same time the Council of Europe criticized Russia for banning a gay parade or even worse, the inability of Bosnia and Herzegovina to implement judgment of ECHR in the "Sejdic Finci" case might result in suspension of its membership in Council of Europe.

Does this mean that killing of innocent children, civilians and disabled persons by member states of the Council of Europe in spreading human rights, democracy and the rule of law by bombing, financing terrorism and aggression is eligible and justifiable and inter alia shall not be addressed in the Council of Europe whereas a gay parade in Russia or the implementation of judgment in the "Sejdic Finci" case in Bosnia and Herzegovina are of utmost importance?

As it seems no-one even bothers to recall the judgment of The Republic of Nicaragua v. The United States of America..This was a 1984 case of the International Court of Justice (ICJ) in which the ICJ ruled in favor of Nicaragua and against the United States and awarded reparations to Nicaragua. The ICJ held that the U.S. had violated international law by supporting the Contras in their rebellion against the Nicaraguan government and by mining Nicaragua's harbors. The Court found in its verdict that the United States was "in breach of its obligations under customary international law not to use force against another State", "not to intervene in its affairs", "not to violate its sovereignty", "not to interrupt peaceful maritime commerce", and "in breach of its obligations under Article XIX of the Treaty of Friendship, Commerce and Navigation between the Parties signed at Managua on 21 January 1956."

The findings of the court are applicable in any similar situation and in any similar case, like Serbia, Afghanistan, Iraq and Libya. So, this means that the above-mentioned member states of Council of Europe beyond reasonable doubt regularly, willingly and intentionally violated international law. To get a clearer picture please note the article "Will the ICC react?".http://english.pravda.ru/opinion/columnists/16-11-2011/119646-indictment_second-0/

One cannot always be politically and diplomatically correct and from time to time one just has to look straight in the eyes to see the Truth, whether he/she likes it or not.  At the same time, one has to show the strength by defending rights and values. One may say that the Council of Europe has no such mechanisms to impose anything. That is quite understandable, for an Organization which defends human rights, democracy and the rule of law should never ever be politically involved in anything because those rights have nothing to do with politics. Those rights are a question of humanity, one cannot trade them nor calculate them.

When reputation is at stake, it is honorable and dignified to withdraw the signatures from signed memorandums of understanding and to declare them void rather than to silently watch destruction of work done in the last 60 years, or to be a silent participant in crimes and atrocities against humanity. Please spare us of futile excuses, do not even start, we have heard that one before.

There is always a way, it is only a question of will and innovation.


Written by:

Nada Pejnovic and Timothy Bancroft-Hinchey