Informazione


www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 29-02-12 - n. 398

 

Senato della Repubblica

 

Sandro Pertini commemora Giuseppe Stalin

 

06/03/1953

 

Signor Presidente, onorevoli colleghi il dolore e l'angoscia che sono in noi impediscono ogni frase retorica ed ogni accento polemico. Dinanzi a questa morte non si può rimanere che stupiti e costernati.

 

Stupiti, per la grandezza che questa figura assume nella morte. La morte la pone nella sua giusta luce; sicché uomini di ogni credo politico, amici ed avversari, debbono oggi riconoscere l'immensa statura di Giuseppe Stalin.

 

Egli è un gigante della storia e la sua memoria non conoscerà tramonto. Siamo costernati dinanzi a questa morte per il vuoto che Giuseppe Stalin lascia nel suo popolo e nella umanità intera. Signori, se abbandonate per un istante le vostre ostilità politiche, come le abbandono io in questo momento, dovete riconoscere con me che la vita di quest'uomo coincide per trent'anni con il corso dell'umanità stessa. Quattro tappe, soprattutto, della esistenza di Stalin rappresentano quattro pietre miliari della storia universale.

 

Ottobre 1917: questa data costituisce una svolta decisiva per la storia del mondo, come la costituì il 14 luglio 1789. Il 14 luglio 1789 si affermò e trionfò il Terzo Stato che dette una sua politica, economica e sociale, a tutto il secolo xix. L'ottobre 1917, segna l'affermazione vittoriosa del Quarto Stato, il quale soprattutto da quel giorno diviene da oggetto soggetto di storia. Per opera di quella vittoria l'utopia d'uri tempo diventa realtà e quella che era una speranza a sospingere le masse diseredate ed oppresse verso la mèta suprema diviene una certezza.

 

Altra tappa della vita di Giuseppe Stalin è, a mio avviso, l'edificazione socialista nella sua terra. Allora erano molti i pessimisti, gli scettici che dicevano che non sarebbe stato possibile edificare il socialismo in un paese solo. Invece questo Uomo, ereditando il pensiero e lo insegnamento di Lenin, riuscì a trasformare il suo popolo; riuscì a dargli anche una economia industriale, che sembrava un tempo un sogno ed una pazzia, sfruttando le immense ricchezze che il suolo della sua terra racchiudeva. Portò, così, il lavoratore sovietico, liberato da ogni catena, ad un alto livèllo di vita e di dignità umana. E, badate, signori, è stato questo sforzo gigantesco a costruire ed a consolidare quella cittadella, contro cui più tardi s'infrangerà la valanga nazista.

 

Ed ecco la terza tappa che rappresenta un'altra pietra miliare per l'unità e su cui deve essere scritta la parola « Stalingrado». Signori, voi tutti ricorderete le ore angosciose che abbiamo vissuto quando la valanga nazista si rovesciò sull'Unione Sovietica. Le armate naziste già scorgevano le torri del Cremlino e le vette del Caucaso. Ebbene, noi sentivamo che se, per dannata ipotesi, fosse crollata l'Unione Sovietica, con l'Unione Sovietica - non dimenticatelo voi che mi ascoltate - sarebbero crollate tutte le speranze di un trionfo della libertà sulla dittatura nazifascista. In quel momento sentivamo che uomini di tutti i credi politici trattenevano il respiro consapevoli che la loro sorte era legata alla sorte di Stalingrado. E Stalingrado diventò la Valmy della Rivoluzione d'Ottobre e al mondo attonito offrì il miracolo di una strepitosa vittoria, sotto la guida di Stalin. Allora comprendemmo che da Stalingrado aveva inizio la vittoria delle armi democratiche contro le armi della barbarie !

 

Vi è poi l'ultima tappa, signori; altra pietra miliare sul cammino dell'umanità. Se a me, umile e piccolo uomo di fronte a tanta grandezza, fosse concesso di scoprire su questa pietra dei nomi, tre ne scriverei : «Pace Roosevelt Stalin». Perchè, signori, oggi noi dobbiamo tutti riconoscere che lo sforzo che ha fatto questo uomo in questi ultimi anni è stato quello di gettare le fondamenta di una pace sicura e duratura. Ecco perchè egli si intese subito con un altro uomo che aveva indicato al suo ed agli altri popoli la strada da seguire dopo la guerra, se si voleva veramente avviare il mondo verso la pace e non verso un conflitto mondiale : Roosevelt. Non è vero che Roosevelt sia stato ingannato! Egli ha ascoltato semplicemente la sua coscienza, il suo grande spirito ; e ecco perchè si intese subito con Giuseppe Stalin.

 

E Giuseppe Stalin continuò su questa strada che era la strada della pace.

 

Per quale ragione, o signori, egli ebbe tanto a cuore questo bene prezioso? Vedete, chi come noi è stato nell'Unione Sovietica ha avuto la esatta impressione che i dirigenti della politica dell'Unione Sovietica sentono di doversi preoccupare non soltanto delle sorti del popolo lavoratore sovietico, ma anche delle sorti dei lavoratori di tutta la terra. Ecco perchè, o signori, noi respingiamo sdegnosi e sdegnati l'insinuazione fatta da un'alta autorità politica italiana ed apparsa stamani sui giornali e che cioè Giuseppe Stalin «non abbia avuto comprensione per il popolo lavoratore italiano». Le sorti del popolo lavoratore italiano stavano a cuore a Giuseppe Stalin come gli stavano a cuore le sorti del popolo suo e quelle di tutti i popoli della terra.

 

Egli si è sempre battuto per la pace, consapevole che coloro che pagano il più alto tributo di sangue e di sofferenze, nella guerra, sono i suoi contadini e gli operai. E da buon socialista egli sapeva che non si doveva volere la guerra per distruggere quanto la società attuale ha costruito, bensì si deve tendere a trasformare la vecchia società per edificarne una nuova. Questa è stata la sua volontà ferma ; per questo egli negli ultimi anni si è battuto. Ha sempre respinto ogni provocazione, ha sempre rinunciato ad atti di forza pur di difendere questo bene che appartiene non solo al suo popolo, ma a tutta l'umanità.

 

L'ultimo suo atto come statista fu precisamente un nuovo appello per la pace. Egli ha terminato bene la sua giornata, anche se troppo presto per noi e per le sorti del mondo. L'ultima sua parola è stata di pace. Ebbene, in questa ora per noi così triste, ci auguriamo che questo invito alla pace, che rispecchia la volontà di tutti i lavoratori della terra, non cada nel vuoto, ma venga raccolto da tutti coloro che hanno nelle mani le sorti dei popoli.


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Andrea Martocchia (*)

Il prolungato “Ottantanove” della Jugoslavia

saggio allegato agli Atti del Convegno "Target" (**)


INDICE:
1 – Tra terremoto ideologico e terremoto geopolitico 
2 – L'idea nazionale jugoslava 
3 – Economia socialista di mercato 
4 - Interpretazioni
5 – L' “insostenibilità geopolitica” della Jugoslavia 
6 – Un prolungato golpe liberista 
7 - Conclusioni 
Scheda: Cronologia jugoslava, 1989-1991 (con Jean Toschi Marazzani Visconti)


SCARICA IN FORMATO PDF: 
https://www.cnj.it/24MARZO99/2009/TARGET/ATTI/dvd_target/docs/martocchia_opuscolo.pdf

(*) segretario, Coord. Naz. Per la Jugoslavia - onlus 
(**) Meeting internazionale nel X Anniversario dei bombardamenti della NATO sulla Repubblica Federale di Jugoslavia - Vicenza 21-22/3/2009. Gli Atti sono online: https://www.cnj.it/24MARZO99/2009/TARGET/ATTI/atti.html


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(srpskohrvatski / italiano)


FIAT 500L... e gli attacchi ai lavoratori in Serbia si intensificano


1) Presentata a Ginevra la nuova 500 "Large"
da produrre a Kragujevac nella fabbrica Zastava *requisita a costo zero con tutti gli operai dentro* dalla FIAT nel 2010
2) Devastante de-industrializzazione in Serbia: Valjevo, Smederevo, Trstenik, Kragujevac
informazioni raccolte da Gilberto Vlaic al telefono con Rajko Blagojević della JSO-Zastava il 22/2/2012 e comunicato JSO del 24/2/2012
3) Lavoratori di Kragujevac deprivati dell'assicurazione sanitaria
solo a seguito di recentissimi scioperi hanno diritto al libretto sanitario... fino a giugno 2012. La solidarietà delle associazioni italiane operanti a Kragujevac


ALTRI LINK SEGNALATI:

DVOLIČNOSTI FIAT-A U SRBIJI I SINDIKATI
http://noviplamen.net/2012/02/08/dvolicnosti-fiat-a-u-srbiji-i-sindikati/
(testo originale:  Le ambiguità della Fiat in Serbia - di Enzo Mangini, 26/01/2012
http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/capitali/Le-ambiguita-della-Fiat-in-Serbia-12392 )

AGLI SMEMORATI RACCOMANDIAMO DI RILEGGERE:
FIAT Serbia. Un caso classico di imperialismo
di Andrea Catone (su L'ERNESTO 3/2010)
https://www.cnj.it/AMICIZIA/sindacale.htm#catone2010


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Presentata a Ginevra la nuova 500 "Large"

RASSEGNA STAMPA 
sull'annuncio del nuovo modello FIAT 500L, presentato in anteprima mondiale al Motor Show internazionale di Ginevra il 6 marzo 2012, che andrebbe in produzione a Kragujevac:

http://ujedinjeniregionisrbije.rs/2012/01/fijat-sumadinac-bice-fijat-500-l/
http://www.blic.rs/Auto/Noviteti/304987/Srpski-fijat-500L-Prve-zvanicne-fotografije
http://motori.corriere.it/motori/saloni/12_febbraio_02/nuova-fiat-500-l_2640c9b6-4d7f-11e1-bd39-8bec83f04289.shtml
http://www.repubblica.it/motori/attualita/2012/02/02/news/e_la_fiat_500_diventa_large_al_debutto_l_attesa_l-29196145/?ref=HRLV-5

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http://voiceofserbia.org/it/content/tadic-presentati-la-fiat-e-la-serbia

Tadic: Presentati la FIAT e la Serbia

06. 03. 2012. - 19:30 -- MRS

Alla 82esima Fiera internazionale dell’automobile a Ginevra oggi è stato presentato ufficialmente il nuovo modello della FIAT 500L che sarà prodotto negli stabilimenti della FIAT a Kragujevac in Serbia. Il Presidente serbo ha sottolineato a Ginevra che in questo modo è stata promossa anche l’economia serba. Questo modello sarà venduto in Europa e gli Stati Uniti. I cittadini serbi potranno avere la fiducia nel loro stato. La produzione del modello 500L aumenterà il Prodotto Interno Lordo della Serbia e la sua esportazione di un miliardo e mezzo di euro, ha detto Tadic. Egli ha precisato che durante il suo colloquio con il presidente della FIAT Sergio Marchionne è stato constatato che gli operai della fabbrica a Kragujevac dovranno lottaare per i posti di lavoro con la qualità del lavoro. Marchionne ha detto a Tadic che con la produzione a Kragujevac la FIAT desidera diventare più concorrente al mercato mondiale. Alla cerimonia della presentazione del modello 500L hanno presenziato anche il Ministro dell’Economia della Serbia Nebojsa Ciric, il sindaco di Kragujevac Verko Stefanovic e l’ambasciatore serbo in Svizzera Milan St. Protic. La compagnia FIAT-Chrysler ha comunicato che il prezzo del modello 500L si aggirerà intorno a 16.000 euro e che esso sarà prodotto in due versioni che consumeranno benzina e una che avrà il motore

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http://www.glassrbije.org/članak/tadić-u-ženevi-novi-početak-za-fiat-i-za-srbiju

Tadić u Ženevi: Novi početak za "FIAT" i za Srbiju

Uto, 06/03/2012 - 19:32 -- MRS

Projekat proizvodnje novog "FIAT"-ovog automobila "500-L" u fabrici u Kragujevcu predstavlja novi početak i za tu italijansku kompaniju i za Srbiju - izjavio je predsednik Republike Boris Tadić posle sastanka sa direktorom "FIAT-Krajsler" korporacije Serđom Markioneom, na Salonu automobila u Ženevi. Imamo odličnu saradnju kroz decenije, a sada se vraćamo proverenom partneru - istakao je Tadić. On je naglasio da će kompanija "FIAT-Srbija" i u budućnosti biti pouzdan privredni subjekat. Predsednik Tadić je dodao da sa Markioneom intenzivno razgovara o modalitetima dalje ekonomske saradnje, i to ne samo u autoindustriji.


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Devastante de-industrializzazione in Serbia

Da Gilberto Vlaic della onlus Non Bombe Ma Solo Caramelle riceviamo e diffondiamo:

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Al telefono con Rajko il 22 febbraio 2012


Ho parlato a lungo con Rajko ieri per discutere problemi connessi alla campagna affidi e nuovi progetti in una scuola primaria.

Mi ha fornito informazioni importanti sulla situazione economica generale e dalla Zastava in particolare, pregandomi di inviarle a tutti. Eccovi un riassunto.


Ci si aspetta un grosso calo (dell’ordine di 40-50 mila addetti) dell’occupazione industriale e dell’indotto in Serbia durante il 2012.

I punti di crisi più grandi sono dati da:


  1. fabbrica metalmeccanica Krusik (produce armi) di Valjevo; ha circa 3500 dipendenti diretti e versa in profonda crisi; il suo ruolo nell’economia della città di Valjevo, che ha circa 60.000 abitanti, è paragonabile a quello della Zastava a Kragujevac.

Ricordo che a Valjevo è stata delocalizzata la produzione di calze della Golden Lady che ha chiuso i propri stabilimenti in Emilia.

A questo riguardo Riccardo Iacona ha appena prodotto una puntata del suo programma Presa Diretta che è andato in onda su Rai 3 domenica scorsa 19 febbraio 2012; se non la avete vista potete usare questo indirizzo:

http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-681d9560-8816-4fda-bd7f-553fcdbe4a5d.html#p=0

Ve ne consiglio vivamente la visione dal minuto 57 e 40 per circa mezz’ora; molto interessanti le interviste al Ministro dell’economia Nebojsa Ciric e a un giornalista serbo dal minuto 1:21:40 fino al minuto 1:25:50.


  1. acciaieria di Smederevo, della quale avevo parlato nella relazione sulla situazione economica della Serbia che avevo spedito a tutti il 29 gennaio scorso. La US Steel che aveva comprato lo stabilimento nel 2003 ha appena abbandonato la Serbia; i lavoratori diretti che perderanno il posto sono circa 5.500, mentre le ripercussioni sull’indotto interesseranno almeno 10.000 lavoratori.


Per quanto riguarda Kragujevac, c’è un grave problema nel gruppo Zastava, dove per più di 2000 lavoratori (circa 6000 persone con i loro familiari) non vengono più pagati i contributi sanitari, per cui non hanno più alcun diritto (già ce ne erano pochi...) sul fronte della salute; è il sindacato che cerca di sostenere le spese per i medicinali dei lavoratori. 

I lavoratori di Zastava Armi hanno occupato il 21 gli uffici del servizio di assicurazione sanitaria e ci resteranno fino a che il problema non sarà risolto.

Il Sindacato ha mandato al Presidente della Repubblica e al Presidente del Consiglio dei Ministri il comunicato che vi allego, sia in serbo che tradotto in Italiano [si veda al punto 3].


Un cordiale saluto a tutte/i

Gilberto Vlaic

Trieste, 23 febbraio 2012


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JEDINSTVENA SINDIKALNA ORGANIZACIJA ZASTAVA
Adresa : Kosovska 4, 34000 Kragujevac
Telefon/Faks : 034/335 367 & 335 762
Elektronska posta : jsozastava @ open.telekom.rs

data: 24/2/2012

La situazione in Serbia è estremamente drammatica. La crisi economica mondiale ha contribuito al peggioramento della situazione economica e sociale. Si prevedono 50.000 licenziamenti nell’anno corrente e secondo alcune analisi se ne prevedono perfino 100.000. La situazione nell’istruzione rappresenterà un problema particolare perchè secondo i dati dell’Unesco la Serbia è tra i paesi europei che investono meno per l’istruzione.
Ufficialmente, due terzi delle scuole non sono in funzione, 40 % delle scuole non hanno acqua. Per i salari dei dipendenti viene speso il 95 % dal budget destinato per l’istruzione mentre dal resto per ogni allievo delle elementari e medie giornalmente vengono impiegati 13 dinari (0,1 euro).

Per quanto riguarda la situazione economica, sono colpite di più le città dove nel passato c’erano le aziende grandi – giganti che erano portatrici dello sviluppo delle città intere. Ecco alcuni esempi :

Kragujevac : All’ epoca nella Zastava di Kragujevac c’erano 36 000 lavoratori e con l’indotto in Serbia e tutta l’ex Jugoslavia il numero arrivava fino ai 200.000 lavoratori.
Dell’ex Zastava oggi sono rimaste 20 imprese con 7000 lavoratori mentre l’ex Zastava Automobili che prima dei bombardamenti aveva 13.500 lavoratori oggi esiste come FIAT AUTO Serbia con 1150 addetti.

Valjevo : Questa città con circa 95.000 abitanti dipendeva dall’azienda ˝Krusik˝ dove lavoravano circa 11.000 lavoratori. Producevano batterie, componenti in plastica, in metallo (fucinati) ed anche il programma per l’industria militare. Prima della privatizzazione questo complesso era composto da 12 fabbriche di cui parecchie privatizzate, la maggiorparte senza successo. Il numero totale degli impiegati in queste 12 fabbriche è ora di 2100 lavoratori. A Valjevo c’è una fabbrica di calze, ˝VALI˝, il proprietario italiano ha assunto circa 1800 lavoratori con salario medio di 25.000 dinari (pari ai 220 euro). Ha inziato la produzione 6 anni fa. Facciamo presente che in questa fabbrica non esiste il Sindacato.

Trstenik : In questa città con 30000 abitanti c’era all’epoca un gigante ˝PRVA PETOLETKA˝ con reparti anche fuori città con oltre 14 000 lavoratori. Molti lavoratori dai paesi nei dintorni viaggiavano a Trstenik a lavorare. Questa fabbrica, oltre il programma per l’industria militare, più precisamente le componenti per gli aerei, produceva anche componenti idrauliche e freni, servosterzi come pure il materiale idraulico completo. Oggi a ˝PRVA PETOLETKA˝ lavorano 3.500 lavoratori.

Smederevo : Nella città, con 95.000 abitanti, c’era la grande acciaieria ˝SARTID˝ (produzione acciai e lamiere) che dopo la privatizzazione e vendita alla compagnia americana ha cambiato nome in ˝U.S. STEEL˝. Si riteneva che questa era stata una delle migliori privatizzazioni in Serbia. Verso fine dell’anno passato dopo che era pubblicata la notizia sulla perdita giornaliera di circa mezzo milione di euro, gli americani hanno semplicemente abbandonato l’acciaieria. Ora è a carico del governo serbo con circa 5000 lavoratori ai quali nel periodo prossimo saranno dati i salari dal bilancio della Repubblica della Serbia, tutto con preoccupazione di una catastrofe sociale che potrebbe colpire questa città.


Segretario
Rajko Blagojevic


=== 3 ===

Lavoratori di Kragujevac deprivati dell'assicurazione sanitaria

[Originalni tekst / la versione originale del testo seguente è scaricabile da qui:
https://www.cnj.it/documentazione/EconomiaLavoro/SamostalniKrag220212.pdf ]

Ci rivolgiamo a voi a nome delle nostre aziende e dei nostri 2165 lavoratori, di cui 250 invalidi, e 4500 membri delle loro famiglie a causa dell’irrisolto problema dell’assicurazione sanitaria di quest’anno.

Le nostre fabbriche sono in ristrutturazione già da molto tempo e il lavoro si svolge in condizioni eccezionalmente difficili (per esempio senza riscaldamento e adeguate protezioni individuali); noi abbiamo sempre rispettato gli impegni lavorativi e tutti gli accordi presi con ministeri competenti e abbiamo cosi’ contribuito alla stabilità sia delle nostre fabbriche che più in generale del Paese.

Nonostante i frequenti contatti con i rappresentanti della Repubblica e con i ministeri di competenza la soluzione del problema dell’assicurazione sanitaria è solo all’inizio.

Chiediamo che sia risolto al più tardi entro il 27 di febbraio prossimo.

In caso contrario saremo costretti a radicalizzare la lotta sindacale che comprende il blocco degli istituti della città e dei punti nevralgici del traffico e infine la marcia degli operai a Belgrado.

Aspettiamo che entro la fine di questa settimana che ci convochiate per risolvere in maniera collegiale questo problema scottante.

Kragujevac, 22 febbraio 2012.


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A seguito delle mobilitazioni, a inizio marzo i lavoratori della Zastava hanno ottenuto il pagamento dell'assicurazione sanitaria fino a giugno prossimo: si legga l'articolo

RADNICIMA "ZASTAVE" OVERENE ZDRAVSTVENE KNJIŽICE DO JUNA
https://www.cnj.it/documentazione/EconomiaLavoro/docu0005.JPG

Si vedano anche le fotografie delle mobilitazioni:
https://www.cnj.it/documentazione/EconomiaLavoro/Photo0195.jpg
https://www.cnj.it/documentazione/EconomiaLavoro/Photo0197.jpg
https://www.cnj.it/documentazione/EconomiaLavoro/Photo0199.jpg
https://www.cnj.it/documentazione/EconomiaLavoro/Photo0202.jpg

Nel frattempo, un messaggio unitario di solidarietà era stato inviato dalle associazioni italiane che da anni operano a Kragujevac:

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Procitaj ovu izjavu na srpskohrvatskom: https://www.cnj.it/documentazione/EconomiaLavoro/comunicato010312.jpg

Comunicato

  1. Al Presidente della Repubblica di Serbia Tadic, al presidente del Consiglio dei MInistri Cvetkovic e al Ministro dell’Economia Ciric
  2. Ai Sindacati dei lavoratori del gruppo Zastava di Kragujevac

Le nostre associazioni agiscono da piu’ di dieci anni in Serbia, cercando di portare solidarieta’ materiale ai lavoratori e agli ex lavoratori del gruppo Zastava di Kragujevac e alle loro famiglie attraverso la forma degli affidi a distanza dei loro figli e piu’ generalmente sviluppando progetti che vadano incontro a reali bisogni sociali della popolazione nel campo della scuola, della salute e del disagio fisico e mentale, in modo da sostenere gli ultimi, quelli che non hanno voce.

Esprimiamo la nostra piu’ convinta solidarieta’ ai lavoratori del gruppo Zastava che sono in lotta per chiedere che a loro e alle loro loro famiglie venga garantito il diritto primario alla salute, attraverso il pagamento dei contributi sanitari.

Non riusciamo a capire come un Governo, cosi’ generoso nel sostenere gli investimenti esteri nel proprio Paese, attraverso la creazione di zone franche, l’esenzione dalle tasse, altissimi contributi economici per la creazione di posti di lavoro che non si sa quanto dureranno, non sia in grado (o non voglia) garantire ai propri cittadini i diritti fondamentali, tra cui quello alla salute.

Da diverse citta’ d’Italia, 1 marzo 2012

A,B,C Solidarieta’ e Pace, ONLUS di Roma
ALJ Aiutiamo la Jugoslavia ONLUS di Bologna
Associazione Adottanti di Torino
Associazione Mir Sada - Progetto per la Pace di Lecco
Associazione Most za Beograd - Un ponte per Belgrado in terra di Bari
Associazione SOS Yugoslavia di Torino
Associazione Zastava Brescia per la Solidarieta’ Internazionale ONLUS
Non bombe ma solo caramelle ONLUS di Trieste
Un ponte per... ONLUS di Roma


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(francais / english)

1) Romanian workers fight cuts, prefer socialism
2) Roumanie : manifestations contre les privatisations


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http://www.workers.org/2012/world/romania_0223/

Romanian workers fight cuts, prefer socialism

By Caleb T. Maupin 
Published Feb 20, 2012 10:26 AM

As imperialism emerged as a system, a few countries began to dominate and exploit the rest of the world. Among the first to be subjugated were the peoples of Eastern Europe. The vast natural resources and human labor to be found there have long been used to enrich capitalists elsewhere, while the people of Eastern Europe have lived in poverty.

The first and second world wars were caused by what V.I. Lenin called “inter-imperialist rivalries.” The ruling classes of Britain, France, Germany, Austria, Italy, Japan and the United States battled each other for the ability to exploit the peoples of the colonies and turn their labor and resources into profits.

In World War II, German imperialism invaded Eastern Europe and the Soviet Union, but Hitler’s armies were finally beaten back after enormous sacrifice and losses by the Soviet people. As the Red Army fought its way west, it liberated much of Eastern Europe from fascist regimes.

Romania embarks on socialist road

One of those countries, Romania, had been under fascist rule since 1940. Almost all Romanian socialists and communists in that period were either murdered, sent to concentration camps or fled to the USSR. In 1944, with Germany in retreat, the bourgeoisie of Romania defected from the Axis, brought back the monarchy and joined the Allies. But Soviet troops were occupying Romania. For two years it became a “people’s democracy,” in which the surviving communists attempted to share power with the anti-fascist capitalists and social-democrats. The monarchy remained, though stripped of its power.

However, this alliance was short-lived and unstable. By 1947, King Michael, a puppet of Western capitalists, was forced to flee. The banks, natural resources, factories, land and all other commanding heights of the economy were confiscated. The Romanian Workers Party, later renamed the Communist Party, abolished capitalism and began the struggle to construct socialism.

Even U.S. government sources have to admit that the Communist-led government immediately addressed the needs of the people. “Romania: A Country Study,” published by the Federal Research Division of the Library of Congress, confirms the many advances made during this period.

Between 1950 and 1971, the number of hospital beds per 1,000 people more than doubled in Romania. The number of doctors per 1,000 people increased by 25 percent. The infant mortality rate was reduced by more than 75 percent from 1950 to 1984.

In 1945, only 27 percent of the people were able to read and write. However, by 1966, “illiteracy was eradicated,” according to the Country Study.

By 1970, the number of teachers had tripled and the number of university professors in Romania had gone from only 2,000 before World War II to 13,000.

None of this was accomplished while foreign imperialists and capitalism dominated the country. Only when planning for human needs replaced capitalism were the Romanian working people able to advance so rapidly. The working-class government was able to mobilize the people to combat societal ills and create a better life, no longer restricted by the profit system.

However, in 1989 the Romanian working class suffered an extreme attack. After a right-wing coup d’etat and the execution of President Nicolae Ceausescu, a pro-Western capitalist government was created. The mines and factories of Romania were one by one sold off to the foreign imperialists.

There had no doubt been many problems and contradictions within the Romanian workers’ state that contributed to its eventual demise. The Ceausescu government was not consistently anti-imperialist, even entering into agreements with imperialist countries against other workers’ states. The government wound up heavily in debt to Western banks. It then cut the standard of living drastically in order to repay the debt, putting a heavy burden on the people. However, these departures from socialist development were not caused by the system but by the poverty and underdevelopment of Romania in a world dominated by imperialism.

When, after 1989, the capitalist profit system returned to Romania, unemployment, homelessness and attacks on social services returned with it.

The workers fight back

Some 48.7 percent of the youth in Romania today are at risk of poverty — the highest level in the European Union. (EUobserver.com, Feb. 8)

The health care system in Romania has been “on the verge of collapse.” The country’s hospitals are deeply in debt and routinely run out of basic supplies, such as stitches and antibiotics. (BBC News, Aug. 11, 2010)

Many Romanians have fled the country due to economic hardship. The population of Romania has actually decreased by 12 percent since 2002. (Daily Mail, Feb. 4)

As the global economic crisis unfolds, the capitalist government there, a tool of Western corporations, has responded with “austerity.” The wages of public sector workers have been cut by 25 percent. (Wall Street Journal Blog, Jan. 19)

Today, the revolutionary spirit that drove out the fascists and pushed socialist construction is re-emerging.

A law that would further privatize the health care system sparked uprisings throughout the country. Youth fought police in huge numbers and the controversial bill was scrapped.

Prime Minister Emil Boc, who led the push for cuts in social spending, had to resign on Feb. 6. The leadership of the growing revolt is unclear, but the sentiments are not. Austerity is being opposed by mass resistance.

A poll taken by the Center for the Study of Market and Opinion is quite fascinating. (See balkananalysis.com.) Although commissioned by an anti-communist foundation, the poll, taken in 2011, showed that “half the country” agreed that “life was better in Romania before 1989.” In addition, 61 percent said “communism is a good idea.”

An overwhelming 72 percent of respondents felt the state should provide employment — which the workers’ government did during the period of socialist construction, but the current government does not.

At this moment, Romania is once again a neocolony, owned and controlled by Western capitalists. It is saddled with $150 billion in foreign debt and austerity imposed from above. The polls and the massive upsurge and demonstrations show that many Romanian workers are clearly thinking about breaking their chains once again.


Articles copyright 1995-2012 Workers World. Verbatim copying and distribution of this entire article is permitted in any medium without royalty provided this notice is preserved. 

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=== 2 ===

http://www.michelcollon.info/Roumanie-manifestations.html?lang=fr

22 février 2012


Ambiance de crise en Roumanie où la révolte s’empare des habitants furieux. Le peuple de Bucarest et des autres villes s’oppose en effet à la politique inique du gouvernement, mise en œuvre pour satisfaire le diktat du Fonds monétaire international (FMI) et de l’Union européenne, en échange d’un prêt particulièrement onéreux.


La rage a explosé à cause des mesures draconiennes imposées par le FMI et la privatisation du système de santé voulues jusque-là par l’ex premier ministre Boc. Des dizaines de manifestants s’étaient donné rendez-vous à Bucarest le soir du 12 janvier pour crier leur colère. Les premiers affrontements avec la police commencèrent… Le mécontentement ne tarda pas à se transformer en révolte populaire et s’étend désormais aux autres villes du pays. Des milliers de manifestants ont répondu ainsi répondu à l’appel de la rue et ont bravé la police à Bucarest mais aussi Cluj, Iasi, Târgu-Mureş et beaucoup d’autres villes. Ces manifestations ont provoqué en quatre jours 70 blessés et plus de 250 arrestations.

 

Le 15 janvier, une foule impressionnante est descendue dans les rues de Bucarest pour réclamer le départ du Premier ministre, de son gouvernement et du Président, Traian Basescu. Le gouvernement lâcha du lest et annonça, temporairement, le retrait des réformes ayant trait au système de santé. Mais c’est bien la politique générale voulue par le gouvernement, soi-disant pour équilibrer les déficits publics et obtenir une aide du FMI, qui est mise en cause par les manifestants.

 

En 2010 déjà, le gouvernement avait abaissé de 15 % les retraites et diminué de 25 % le salaire des fonctionnaires, affamant ni plus ni moins le peuple dont les pensions de retraite avoisinent en moyenne les 160 euros mensuels quand les salaires ne dépassent pas les 350. Des mesures injustes dans le but d’obtenir du FMI et de l’UE un prêt de 20 milliards d’euros qui devrait permettre à la Roumanie, selon ce même gouvernement, de sortir de la crise et d’intégrer les pays « vertueux  » (selon les paramètres de l’UE), avec un niveau de déficit d’1,9 % par rapport au PIB (produit intérieur brut).

 

Dans les projets du gouvernement figure toujours un vaste programme en vue d’assainir les services de santé, avec, à la clé, une forte diminution d’effectifs dans les hôpitaux publics qui préfigurerait, selon les plus pessimistes (mais aussi les plus réalistes), une privatisation du secteur. Un choix que n’accepte pas le ministre de la santé, Raed Arafat, qui le critiquait lors d’un débat télévisé au cours duquel il a reçu un appel téléphonique en direct du président Basescu qui lui demandait de démissionner. Chose qu’a faite Arafat. « La goutte d’eau qui fait déborder le vase », selon un manifestant de Bucarest opposé aux choix gouvernementaux.

 

Pendant ce temps, le représentant en Roumanie du Fonds monétaire international et ex-ministre des finances, Mihai Tănăsescu, a souligné lors d’une entrevue donnée à une éminente radio privée que les marchés internationaux ne seraient pas influencés par le vaste mouvement de protestation si la Roumanie continue de suivre le pas des réformes mises en place. « Il s’agit certes d’un mécontentement accumulé sur la durée, et il représente une gêne imposée à la population qui a déjà beaucoup payé, mais ces réformées étaient nécessaires à la Roumanie », a commenté Tănăsescu. L’ex ministre a ajouté que les prochains temps seront durs pour la Roumanie, en raison de la dépendance des flux de capitaux provenant de l’étranger, et en particulier de la zone euro. Mais Tănăsescu a la mémoire courte et il devrait se rappeler les mesures draconiennes prises par son pays au cours des trois dernières années et qui ont provoqué ces révoltes populaires. Et il faut aussi souligner que ces mouvements contre le gouvernement et le président Tănăsescu n’ont jamais atteint un niveau aussi élevé depuis l’élection du chef de l’État, en 2004.

 

La crise semble irréversible, et le peuple roumain a raison de s’opposer aux mesures vexatoires d’un gouvernement et d’un président à la merci de grands organismes mondialistes qui sont littéralement en train d’appauvrir et de dépouiller la Roumanie. Emil Boc, membre et président du Parti démocrate-libéral (PDL), a dû démissionner le 6 février 2012 de ses fonctions de Premier ministre. Ce n’est, espérons-le, que le début de la chute des vendus.

 

Source : resistance-politique.fr



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(slovenscina / italiano)

Nuove segnalazioni su 10 Febbraio e dintorni

1) ROMA 3 MARZO: LA VERITA’ STORICA SULLE FOIBE
2) DELIRIO 2012. Rassegna di nuove "ciliegine" su "foibe" e confine orientale
3) RAI manipuliral s fotografijo slovenskih talcev
Reazioni in Slovenia a seguito del delirio revanscista di Bruno Vespa che Alessandra Kersevan ha osato "disturbare"
4) FARE RICERCA ONESTA. STORIA O “FOIBOLOGIA DI STATO”?
Nota a margine del libro "La Foiba dei miracoli" (Pol Vice)
5) Foibe: quale storia insegnare a scuola? (M. Barone)


LINK CONSIGLIATI:

CARTOGRAFIA PER PRINCIPIANTI
Per chi ignora, o vuole ignorare, “la complessa vicenda del confine orientale”, una selezione cartografica, da testi originali, per valutare l’evoluzione del confine orientale italiano tra occupazioni e guerre, con pubblicazioni sia dell’era fascista che relative alla guerra di liberazione nazionale jugoslava...
http://www.diecifebbraio.info/2012/02/cartografia-per-principianti/

DIECI FEBBRAIO MILLENOVECENTOQUARANTASETTE
Materiali di resistenza storica antifascista e internazionalista sulle questioni del confine orientale italiano
http://www.diecifebbraio.info/

LA PAGINA DI CNJ-ONLUS SULLA DISINFORMAZIONE STRATEGICA A PROPOSITO DI "FOIBE" E CONFINE ORIENTALE
https://www.cnj.it/documentazione/paginafoibe.htm


=== 1 ===

http://www.diecifebbraio.info/2012/03/roma-332012-la-verita-storica-sulle-foibe-contro-il-revisionismo-storico/

Sabato 3 Marzo 2012

alle ore 17.00

Via della Penitenza, 35 Roma

 
ASSOCIAZIONE ABITANTI IN TRASTEVERE

promuove:
 

LA VERITA’ STORICA SULLE FOIBE CONTRO IL REVISIONISMO STORICO  

Interverrà:

Lo Storico  Davide Conti della Fondazione Lelio Basso

che presenterà il suo libro: “L’occupazione italiana dei Balcani”

 

A finire, cena e canti partigiani.



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DELIRIO 2012. Rassegna di nuove "ciliegine" su "foibe" e confine orientale

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Cerimonia del Quirinale, 10 febbraio 2012: la II G.M. in Istria descritta come sequela di "aggressioni contro italiani inermi da parte di jugoslavi solo perché erano italiani"

<< ... L'intervento del ministro per la Cooperazione internazionale e lo sviluppo, Andrea Riccardi, che ha sottolineato quell’amnesia nata “dalle passioni e dalle lotte della Guerra fredda, ma oggi quel tempo è finito". Ed aggiunge: "Fu una storia terribile tra italiani d'Oriente e slavi d'Occidente in una terra con una complessa stratificazione etnica". Una storia, "ripetutasi fino a ieri nei Balcani", ha continuato. Negli anni della Seconda guerra mondiale si trattò di "aggressioni contro italiani inermi [SIC] da parte di jugoslavi solo perché erano italiani [SIC] e mettevano in discussione il controllo titoista - ha ribadito il ministro - oggi sappiamo del disegno stalinista [SIC] che usava le etnie per affermarsi" [SIC - sicuramente il ministro si riferiva al disegno nazifascista - quello si, "usava le etnie per affermarsi"]. >>
Secondo Raoul Pupo << “Il fascismo si è impegnato a realizzare la bonifica etnica, ma quel che ha ottenuto, è stato di decapitare, impoverire ed umiliare le comunità slovene e croate che nella loro maggioranza sono rimaste salde sul territorio. Il regime di Tito invece ha proclamato la fratellanza italo-slava, ma gli italiani sono stati costretti [SIC] ad andarsene al 90%”. >> Chiosa la commentatrice, legata alla lobby neoirredentista: "Lo stesso metodo ma con risultati ben diversi". E si sbaglia, sia sul metodo (pulizia etnica da una parte, fratellanza dall'altra) sia sui risultati (esiste tuttora una comunità italiana in Istria così come una comunità slovena in Friuli-Venezia Giulia).

Fonte: Giorno del Ricordo: la cerimonia del Quirinale - 10 febbraio 2012
http://www.anvgd.it/notizie/12602-10feb12-giorno-del-ricordo-la-cerimonia-del-quirinale.html

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Miracolosa moltiplicazione degli "infoibati" a Trieste

Da:  Claudia Cernigoi 
Oggetto:  la moltiplicazione degli infoibati tramite la proliferazione delle onorificenze
Data:  11 febbraio 2012 10.29.23 GMT+01.00

Nel corso delle celebrazioni per il Giorno del Ricordo a Trieste sono state conferite 5 onorificenze a discendenti di "infoibati", come previsto dalla legge. Si consideri che di questi 5 nominativi i seguenti erano già stati insigniti.
ANTONINI Antonino, avvocato, già insignito nel 2011 a Trieste. sempre tramite la figlia Antonini Maria Novella-
GHERSA Giulio, militare, già insignito a Trieste nel 2009 e nel 2011, nel 2011 tramite Ghersa Giulio, nel 2012 tramite le figlie Ghersa Onorina e Mirella e la nipote Beatrice.
Non è la prima volta che le onorificenze vengono conferite più volte alla stessa persona. Forse è anche per questo che è così difficile risalire ai nominativi.
 
Claudia Cernigoi

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Sul Piccolo la città di Novigrad viene italianizzata in "Novegradi"

Da:  Giorgio Ellero 
Oggetto: Miracoli dalmati: moltiplicazione di esuli e pesci - (fwd) Re: prosegue il delirio sul 10 febbraio...
Data: 9 febbraio 2012 22.14.00 GMT+01.00

Certe cose si possono leggere soltanto su Il Piccolo alla vigilia del pianto istriano. 
Succede che sulle rive dell'isola dalmata di Pag (ovviamente sulla pagina della provincia perduta Fiume Istria Dalmazia si scrive Pago, cioè pago domàn) causa il maltempo sono spiaggiati una quantità notevole di pesci morti, tipo miracolo dell nozze di Caanan. Vicino Zara, inoltre, hanno ritrovato pure una tartaruga 'caretta caretta', tanto caretta al giornalista estensore e firmatario dell'articolo che qui trova occasione di far bella figura chiamando la località 'Novegradi (Novigrad)' - così testuale sta scritto nall'articolo-, rivelando finalmente la reale origine toponomastica del luogo, ovviamente quindi italianissima terra perduta. Non sto smaltendo una brutta sbornia: potete verificare su Il Piccolo di oggi. Ripeto: l'articolo è correttamente firmato... 

Jure

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Finalmente dei numeri attendibili! (seee magari...)


Video di "destra razionale" (pensate se fossero "irrazionali...")
 
http://www.youtube.com/watch?v=4a9X1ft4wso
 
scrivono:
 
il genocidio italiano in Istria:
350.000 esuli
200.000 infoibati (tutti civili, eh!)
TOTALE 550.000 persone
 
quanti abitanti aveva l'Istria?
 
Secondo il censimento del 1936, in Istria c'era un totale di 296.460 abitanti, a Zara 25.302 e a Fiume ed isole quarnerine 56.249, per un totale di 378.011.
(censimento riservato Perselli, da quanto ho trovato in rete, che comprende in ogni caso anche sloveni e croati, e altre minoranze, non solo gli italofoni).
 
Claudia


=== 3 ===

RAIUNO 13 febbraio 2012: ALESSANDRA KERSEVAN A “PORTA A PORTA” SMONTA LA PROPAGANDA REVANSCISTA

RASSEGNA STAMPA:
http://www.primorski.eu/stories/alpejadran/202925/
http://www.siol.net/novice/slovenija/2012/02/manipulacija_s_fotografijo_streljanja_tudi_na_rai.aspx#disqus_thread
http://www.sta.si/vest.php?id=1726191
http://www.dnevnik.si/novice/svet/1042509739
http://www.slomedia.it/nezaslisano-italijansko-fasisticno-okupacijsko-vojsko-zamenjali-za-partizane

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http://www.rtvslo.si/svet/rai-manipuliral-s-fotografijo-slovenskih-talcev/276815

RAI manipuliral s fotografijo slovenskih talcev


Zgodovinarka Kersevan: ''V Italiji nihče ne ve nič o agresiji Italijanov nad Slovenci

14. februar 2012 ob 13:50,
zadnji poseg: 14. februar 2012 ob 17:25
Rim, Ljubljana - MMC RTV SLO


V oddaji italijanske televizije RAI so objavili fotografijo, na kateri piše Obsojeni na smrt, ker so bili Italijani, a na njej dejansko italijanski vojaki streljajo na slovenske talce.

Ob dnevu spominjanja na fojbe in eksodus Italijanov iz Istre so na italijanski televizijski mreži RAI posvetili celotno oddajo Porta a Porta temu dogodku, oddajo pa so naslovili ''Trst je naš''.

Med samo razpravo v oddaji je bila dolgo časa v ozadju sporna fotografija, ki pa v resnici prikazuje streljanje na slovenske talce v vasi Dane v Loški dolini 31. julija 1942.

V oddaji je bila med gosti tudi zgodovinarka iz Vidma Alessandra Kersevan, ki je voditelja oddaje Bruna Vespo večkrat opozorila na neskladje objavljene fotografije, a jo je ta glasno utišal z besedami: ''Lahko vi vodite oddajo in grem jaz iz studia'' in ''če ne verjame, da je ta fotografija pristna, za njeno objavo nisem odgovoren jaz''.

Kot je pisal Primorski dnevnik, so omenjeno fotografijo zasledili tudi na spletni strani desničarske Azione Universitaria. Sicer pa je lani plakat objavila občina Bastia Umbra, pojavil pa se je celo na strani italijanskega notranjega ministrstva. Takrat je zunanje ministrstvo Republike Slovenije poslalo uradno protestno noto takratnemu italijanskemu veleposlaniku Alessandru Pietromarchiju.

V Uniji Istranov, ki je bila lani povabljena na spominsko slovesnost v italijansko občino Bastia Umbria pri Assisiju, so za napako izvedli, ko je bil plakat že natisnjen. Zagotovili so tudi, da pri njeni objavi niso sodelovali.

Skrajna desnica skuša vplivati na prepričanje ljudi
Zakaj je znova prišlo do neljubega incidenta, smo na MMC-ju povprašali kar zgodovinarko, ki je sodelovala v oddaji, Alessandro Kersevan. Na vprašanja, zakaj so v oddaji sploh uporabili fotografijo, ki je v preteklosti že zanetila toliko prahu, je odgovorila, da je to delo skrajne desnice v Italiji, ki želi med ljudmi povzročiti zmedo in vplivati na njihovo prepričanje.

''V Italiji nihče ne ve nič o agresiji Italijanov nad Slovenci. Ne želijo, da bi ljudje izvedeli resnico in ne želijo, da bi govorili o tem, kar se je dogajalo v Jugoslaviji v štiridesetih letih prejšnjega stoletja. Govorijo le o nasilju, ki so ga povzročili partizani, ne pa tudi o nasilju, ki so ga nad partizani izvajali fašistični vojaki.''

Nad reakcijo voditelja Bruna Vespe, ki jo je ob njenem opozorilu, da je fotografija neustrezna, nadrl, ni bila presenečena. ''Bruna Vespo je že tako dolgo televizijski voditelj, da se zna izvleči iz takšnih situacij. Dejal je, da so vzeli fotografijo iz slovenskih knjig. A to ni pravi odgovor, saj je sliko v javnost plasiralo italijansko zunanje ministrstvo. Z njim so želeli razširiti napačne podatke, češ da so nasilje povzročili Slovenci in ne Italijani.''

Po besedah Kersevanove je fotografija le del propagande zunanjega ministrstva o tem, kaj se je dogajalo v fojbah v štiridesetih letih prejšnjega stoletja, ''v italijansko javno mnenje želijo vnesti le veliko zmede''.

Kje je slovenska vlada?
Sogovornica je izpostavila tudi to, da je zanimivo, da se na predvajano oddajo ni odzvala uradna slovenska politika. Alessandra Kersevan je za MMC dejala, da je oddaja vsebovala veliko netočnega gradiva - poleg omenjene fotografije, so predvajali tudi kratke filme, ki so vsebovali napačne podatke, ti pa so bili podani v nezgodovinskem kontekstu.

''Slovenska vlada bi lahko naredila več, da bi ljudje stvari razumeli. Morala bi poslati protestno noto na italijansko televizijo RAI, da bi ta popravila storjene napake in ne bi zavajala ljudi o tem, kaj se je v tistem času dogajalo med Slovenijo in Italijo,'' je še dodala Kersevanova.

Na MMC-ju smo vprašanje o morebitnem ukrepanju glede manipulacije s fotografijo poslali na slovensko ministrstvo za zunanje zadeve, kjer so nam obljubili, da nam bodo odgovor posredovali v sredo.

Katja Štok, Enej Česnik


=== 4 ===

http://www.diecifebbraio.info/2012/02/fare-ricerca-onesta/

FARE RICERCA ONESTA. STORIA O “FOIBOLOGIA DI STATO”?

Nota a margine del libro La Foiba dei miracoli*

 

Partiamo da qualche dato storico già noto a chi è informato correttamente.

In Istria durante la seconda guerra mondiale furono estratti da una ventina di foibe (cavità carsiche) più di 200 cadaveri, e altri furono segnalati ma non fu possibile il loro recupero. Ciò avvenne dopo il breve e confuso periodo del “potere popolare” (8 settembre – primi di ottobre 1943) subentrato alla disfatta del regime italo fascista sulle regioni a est dell’Adriatico, che non fece in tempo ad organizzarsi stabilmente perché dovette subito opporsi, senza successo, alla “operazione nubifragio”, cioè alla travolgente riconquista della regione da parte delle truppe tedesche (i cosiddetti “ribelli” uccisi o fatti prigionieri, secondo una fonte ufficiale di Berlino, furono 13.000; molti di loro erano di nazionalità italiana). Alla luce della ricerca storica successiva  «l’insieme di quegli episodi di “infoibamento” si può a ragione definire un eccidio. Ma le cause, le dimensioni e le modalità di esso furono “mostruosamente” ingigantite e distorte ad opera della propaganda nazifascista, allo scopo di giustificare e far dimenticare i crimini e i massacri perpetrati prima dal regime italo/fascista e poi dagli occupanti nazisti e dai loro fiancheggiatori» [La foiba...cit., p.27].

Alla fine della guerra si verificarono altri casi nella zona di Trieste e Gorizia. Alcuni (qualche decina) furono accertati o come omicidi politici (esecuzioni sommarie nell’ambito del fenomeno che fu chiamato “la resa dei conti”, che coinvolse tutta l’Alta Italia), o come vendette personali o anche delitti comuni (rapine ecc.); quasi tutti i colpevoli furono individuati, processati  e condannati (alcuni dalle stesse autorità militari jugoslave).  Ma moltissime furono le segnalazioni di “scomparsi” militari e civili, a seguito sia delle sanguinose battaglie che si svolsero in quelle zone negli ultimi giorni di guerra, sia degli arresti e degli internamenti (alcune migliaia) eseguiti nelle settimane successive da parte della polizia politica jugoslava. La drammatica mancanza di notizie sulla sorte dei propri cari fu un terreno ideale per seminare ancora in grande stile il terrorismo mediatico sulle “foibe” da parte degli ambienti nazionalisti italiani e della stampa legata al CLN anticomunista triestino. Così crebbe ancora a dismisura il numero dei presunti “infoibati”, e furono diffuse altre mitiche “leggende”, oltre a quelle che circolavano già dal ‘43, col sostegno di massicce campagne di propaganda.

Quelle angosciose notizie, sebbene quasi mai verificate né verificabili, riuscirono ad esasperare i sentimenti collettivi di terrore e di odio in quegli italiani giuliano dalmati che erano stati classe dominante e privilegiata durante il periodo del “fascismo di frontiera” e che si sentivano minacciati a morte dai tanto disprezzati “s-ciavi”, diventati “demoni slavo comunisti”  ed ora perfino vincitori nella guerra che avrebbe invece dovuto sancire il trionfo imperiale dell’Italia e la totale sottomissione (o espulsione) di quei “barbari”. Tutto ciò, sommandosi alle reali difficoltà della dura situazione postbellica in zone già povere, portò all’esodo di massa, con tutte le note conseguenze (cfr. Sandi Volk, Esuli a Trieste..., KappaVu 2004).

Tuttavia l’obiettivo principale dei neo irredentisti, cioè l’assegnazione all’Italia dei territori contesi, non fu raggiunto (salvo che per Trieste e dintorni).

Però è un dato di fatto che già nell’immediato dopoguerra le “sensazionali rivelazioni sulle foibe” già diffuse dagli agenti nazisti e dalla Xa MAS, opportunamente “aggiornate” e ulteriormente ampliate, furono usate anche al tavolo delle trattative di pace di Parigi dagli esponenti del  governo De Gasperi, come argomento “forte” a sostegno delle rivendicazioni di sovranità italiana sulle regioni del “confine orientale”. Esse infatti furono inserite in un dossier dal titolo Trattamento degli italiani da parte jugoslava dopo l’8 settembre 1943, che fu trasmesso dal Ministero Affari Esteri – Divisione Generale Affari Politici – alle ambasciate italiane di Washington, Londra e Parigi il 28 agosto 1946. In esso si afferma in sostanza che gli slavo-comunisti avevano “occupato” l’Istria e parte della Venezia Giulia, e che vi stavano compiendo una vero e proprio “genocidio” (già iniziato nel ’43) ai danni degli italiani là residenti.

Alcuni miti della “foibologia” riuscirono nei decenni successivi (pur con alterne fortune) a conquistare sempre più l’immaginario collettivo, anche perché qualche storico professionista compiacente (v. p. es. R. Pupo e R. Spazzali nel loro Foibe, B. Mondadori 2003) li accettò in quanto «informazioni date generalmente per acquisite» senza fare alcuna verifica critica, confermando così la loro presunzione di verità. Ma soprattutto furono i riconoscimenti ufficiali da parte delle autorità statali della “nuova” Repubblica che trasformarono le montature mediatiche in “verità inconfutabili”.

Un esempio emblematico in questo senso è quello del pozzo di Basovizza, dichiarato “monumento di interesse nazionale” negli anni ’80, nonostante  l’inconsistenza delle presunte “testimonianze”; nonostante le smentite delle stesse autorità alleate; nonostante l’evidenza dei risultati negativi di numerose esplorazioni e svuotamenti; nonostante, infine, che sulla lapide fatta porre dai “foibologi ufficiali” siano state scritte cifre “variabili” sia sulla profondità del pozzo (prima 250, poi 500, infine, nel 1997, 300 metri)  sia sulla quantità di “salme di infoibati” (“misurate” addirittura in metri cubi: prima 300 e poi 500), mostrando con evidenza quale fosse il grado di attendibilità delle informazioni. Eppure diversi Presidenti della Repubblica, a partire da Cossiga, andarono a celebrare solennemente, si badi bene, non i caduti nelle sanguinose battaglie  che ci furono in quella zona fra le formazioni tedesche in ritirata e quelle jugoslave negli ultimi giorni di guerra (i pochi resti trovati  nel pozzo furono infatti di militari di entrambi gli eserciti), ma i “martiri – italiani” che sarebbero stati gettati in quella “foiba” dal “furore slavo-comunista” (per saperne di più si legga Claudia Cernigoi,Operazione “FOIBE” tra storia e mito, Kappa Vu 2005).

Un altro “mito fondativo” della foibologia è quello nato nel 1945/46 con le prime “testimonianze di sopravvissuti”, che furono inserite nel dossier sopra citato e usate durante le trattative di pace a Parigi come “prove” a conferma delle tesi neo irredentiste italiane.

Abbiamo chiamato “Foiba dei miracoli” quella in cui, secondo tali racconti, all’alba di un giorno di maggio 1945 gli slavo-comunisti avrebbero gettato sei militari istriani della Milizia di difesa territoriale (Mdt), dopo averli arrestati nella zona di Pola, imprigionati e trasferiti in diverse località, sottoposti a una lunga serie di umiliazioni, persecuzioni e torture insieme con molti altri, infine portati sull’orlo della voragine e mitragliati (in alcune versioni si legge anche di una o due bombe a mano scoppiate nell’acqua profonda dove le vittime sarebbero precipitate). Nonostante tutto ciò uno degli “infoibaati” (oppure due, la cosa è controversa) si sarebbe salvato (ovviamente in modo miracoloso) e avrebbe raccontato la sua avventura alle autorità alleate (di Pola e/o di Trieste).

Il libro che ha questo titolo e che porta la mia firma  è il risultato di un percorso di ricerca collettiva di tutto il gruppo di Resistenza storica coordinato da Alessandra Kersevan, senza il cui determinante aiuto non avrei potuto nemmeno sperare di condurre a termine un lavoro così impegnativo. In esso non solo si dimostra la falsità dei fatti raccontati dai presunti “sopravvissuti”, ma si analizzano puntualmente sia l’intreccio delle loro vicende personali, sia i vari passaggi nella costruzione e nella gestione politica (e mediatica) del mito da parte dei soggetti interessati.

Non intendo qui fare una presentazione generale del libro, ma solo prenderne spunto per fare una riflessione sulla delicata questione del metodo e del ruolo degli storici in questo importante e controverso settore di ricerca.

Ebbene: com’è stata presentata questa vicenda negli ultimi anni dagli storici considerati più autorevoli sull’argomento? Come  sono state usate le fonti originarie?

Gianni Oliva all’inizio del suo libro Foibe, le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell’Istria [2002, pp. 17-18] riportò una dopo l’altra due “testimonianze dirette di sopravvissuti”. Il nome (impreciso) del primo testimone, “originario da Sissano” (vicno a Pola), era Giovanni Radetticchio [recte Radeticchio; altre volte compare “Radeticchi”, “Raddeticchio” ecc.; nel suo Genocidio... Il “grande foibologo” Marco Pirina loreinventò: lo chiamò “Antonio” e lo fece apparire come “unico superstite” nientemeno che dalla foiba di Vines, nel settembre del 1943!]. Di lui Oliva non dice nient’altro; si sa (da altre fonti) che nel 1944-45 era “milite del presidio di Marzana” e che “dopo aver lasciato la sua deposizione emigrò in Australia”. L’altro, invece, è l’ormai mitico protagonista di questa vicenda, da qualche anno giunto alla celebrità per essere l’unico “sopravvissuto alle foibe” ancora in vita: Graziano Udovisi (premiato nel 2005 con l’Oscar tv come “uomo dell’anno”, sull’onda delle celebrazioni ufficiali dei “martiri delle foibe”). Oliva scrive solo che era un “insegnante istriano”, tacendo ciò che lo stesso Udovisi dichiara con orgoglio, cioè che aveva aderito da sùbito alla Milizia fascista dopo l’8 settembre ’43 diventando ufficiale della Mdt e comandante di presidio a soli 19 anni.

I brevi racconti riportati da Oliva parlano  di due “prodigi” diversi avvenuti in due foibe separate: Radetticchio fu portato “in direzione di Arsia” e cadde “nell’acqua profonda”, Udovisi nei pressi di “Fianona” si salvò aggrappandosi a “un alberello sporgente” [Arsia/Raŝa e Fianona/Plomin sono due paesi nella zona di Albona/Labin, distanti fra loro circa 15 km]. Le fonti citate sono diverse. Vediamo la prima  in ordine di tempo: “L’eccezionale testimonianza di Giovanni Radetticchio – scrive Oliva – è stata pubblicata per la prima volta il 26 gennaio del 1946 sul periodico della Democrazia cristiana di Trieste La Prora, e in seguito frequentemente utilizzata dalla pubblicistica del dopoguerra”. Anche Raoul Pupo e Roberto Spazzali nel loro Foibe [cit., pp.98-100] presentano lo stesso testo (con lievi differenze), indicando come fonte La Prora, e anch’essi attribuiscono il racconto a Radeticchio.

Solo i lettori pignoli notano che la fonte diretta di entrambe le citazioni è il fascicolo Foibe ed esodo [allegato al n.3/1998 della rivista Tempi&Cultura]. Ma in realtà anche qui la “testimonianza di un sopravvissuto all’infoibamento ... relativa ad un fatto accaduto nel maggio 1945” non è ripresa direttamente da La Prora, bensì da un opuscolo che il “Cln dell’Istria” pubblicò fra la fine del ‘46 e l’inizio del ‘47 col titolo Foibe, la tragedia dell’Istria, su cui quel racconto “venne riportato integralmente” [così si legge su Tempi&Cultura]. Nel 1990 Roberto Spazzali l’aveva scritto nel suo Foibe, un dibattito ancora aperto [p.186]: “L’articolo pubblicato da La Prora e la vicenda narrata nell’occasione (comparve) pure su una pubblicazione curata dal Cln d’Istria sulle Foibe ... per divulgare lo stato politico presente nei territori occupati dalle forze militari jugoslave”.

Si diràa che servono queste “pignolerie”?

Il fatto è che il recupero della fonte primaria ci ha permesso di scoprire alcune “strane” cose che si sono rivelate di estremo interesse.

Primo: il Cln Istria dichiarò palesemente il falsola “testimonianza” pubblicata da La Prora non fu affattoriportata integralmente in quell’opuscolo di propaganda. Il racconto là inserito e presentato come quello “pubblicato dal giornale di Trieste La Prora, che ne garantisce l’autenticità, il 26 gennaio 1946”, in realtà ne è una drastica riduzione (poco più della metà), con ulteriori variazioni. Le omissioni e le modifiche più importanti riguardano la localizzazione della foiba: “da Fianona in direzione di Pozzo Littorio” (oggi Podlabin, è un sobborgo di Albona, costruito dal regime fascista) [cfr. La Prora] diventò “in direzione di Arsia”, senza alcuna indicazione precedente [Cln Istria]. E’ notevole che G. Oliva attribuisca le due foibe (di Fianona e di Arsia) separatamente ai “due sopravvissuti”, mentre nel 1946 l’episodio raccontato era lo stesso, solo con diverse indicazioni di luogo!

Ma ecco la seconda “stranezza”: sia l’articolo de La Prora, sia la sua riduzione del Clni  sono rigorosamente anonimi! In essi non appare affatto il nome del “testimone sopravvissuto” (nel primo è scritto solo che “l’originale, regolarmente firmato, si trova in nostro possesso”). Dunque gli storici Oliva, Pupo e Spazzali hanno “forzato” l’attribuzione di quel racconto a Radeticchio, senza fornire alcuna spiegazione.

Quanto al maestro ex tenente Udovisi, egli va sostenendo da decenni  in pubblico la sua “verità”, con crescente successo, anche se, oltre che decisamente incredibile, essa è in contrasto sia con gli storici citati, sia col racconto anonimo de La Prora, sia infine, e soprattutto, coi primi documenti riservati del 1945 (riprodotti integralmente e commentati nel nostro libro) dove appare la firma di Radeticchio  (peraltro anche qui storpiata, perciò di dubbia autenticità), dove chi racconta afferma di essersi salvato da solo, e dove Graziano Udovisi appare addirittura deceduto  nella foiba con gli altri!

Egli invece in sostanza afferma che lui e “un altro” si salvarono insieme, o più precisamente che lui aiutòl’amico ad arrampicarsi dopo averlo fortunosamente “abbrancato per i capelli”...

Siamo riusciti a risalire anche all’origine della “versione Udovisi”.  Nell’agosto 1945 il giovane ufficiale collaborazionista dei nazisti fu arrestato a Padova, dov’era fuggito con documenti falsi. Al processo (tenuto a Trieste  nel settembre 1946)  dovette difendersi da accuse di delazione, maltrattamento ed omicidio di prigionieri. Fu allora che presentò una dichiarazione, inserita dal giudice nella sentenza  (riportata nel libro): lì si legge che “nel maggio 1945 presentatosi ai comandi jugoslavi, come prescritto dai bandi, venne arrestato, deportato ed infine assieme ad altri cinque compagni portato dinanzi una foiba istriana per essere giustiziato. Però egli ed un altro compagno, riuscirono, svincolandosi dai ceppi, a gettarsi nella foiba incolumi, uscendone miracolosamente salvi”. Forse anche per questo la condanna fu lieve (“anni due, mesi undici, giorni 16 di reclusione”). Dopo di allora questa “memoria” del “sopravvissuto” Udovisi rimase sepolta  negli archivi, insieme con gli atti del processo, per molti decenni senza che lui o qualche “storico accreditato delle foibe” ne abbia mai fatto cenno (vi lascio immaginare perché).

Come si vede, questa vicenda è un enorme “pasticcio”. Siamo certi che esso non fu generato da una serie di “errori di memoria” o di incomprensioni in buona fede, ma è il risultato di una serie di depistaggi creati ad arte fin dall’inizio per motivi precisi (che analizziamo puntualmente nel libro). Comunque una cosa è chiara: evidentemente non ci si può fidare della storiografia prodotta fino ad ora su questo argomento, per quanto “autorevole” essa sia: sembra che anche gli storici più competenti e seri si lascino “menare per il naso” dai “foibologi”, o ne siano complici (per qualche ragione che qui non commentiamo).

Insomma, ai risultati di ricerche e studi rigorosi, che pure esistono, continua a sovrapporsi la propaganda politica, funzionale ad obiettivi nazionali(sti).  Solo che nel dopoguerra l’ambiente politico di appoggio al neo irredentismo ex fascista era quello dei democristiani anticomunisti; oggi è anche quello degli ex comunisti. Lascio a voi le riflessioni sulle cause di questo sorprendente “passaggio di consegne”. Dico solo che a mio avviso anche oggi, come allora, gli obiettivi nazionali della “operazione foibe” non sembrano limitarsi alla riabilitazione del fascismo di Salò, ma si inquadrano nel rilancio “bipartisan” della politica imperialista italiana, proiettata in particolare proprio verso i Balcani, come indicano le cronache recenti: si vedano la partecipazione diretta alla disgregazione della ex Jugoslavia, l’impegno militare e di penetrazione economica in Albania, ed ora il tentativo di avere un ruolo primario nella creazione del nuovo “protettorato” NATO in Kossovo.

Per questi gravi motivi probabilmente anche questo libro sul mito dei “sopravvissuti” avrà vita difficile. Ne siamo coscienti, ma non abbiamo rinunciato a farlo, perché siamo «convinti che lavorare per far emergere la verità può essere difficile e pericoloso, ma non è mai inutile.» [pag. 45].

Pol Vice                                                                               Maggio 2008

 

*: LA FOIBA DEI MIRACOLI, indagine sul mito dei “sopravvissuti”, ed. KappaVu Udine 2008


=== 5 ===

----- Messaggio inoltrato -----
Da: Marco Barone
Inviato:
 Mercoledì 15 Febbraio 2012 0:02
Oggetto: Foibe: quale storia insegnare a scuola?

L'argomento foibe è e deve essere sempre attuale.
E' compito dello studioso quello di andare alla

(Message over 64 KB, truncated)


ROMA Domenica, 4 marzo 2012
ore 18:00-21:00

Teatro Valle Occupato

Domenica 4 marzo siete invitati al Teatro Valle Occupato, dalle 18: 
"Porrajmos! Sterminio e resistenza del popolo rom".
Racconti, ritmi e vite.
Con le comunità rom e sinte per la prima volta sul palco, musiche di Assalti Frontali e Jovica Jovic (con i Muzikanti di Balval), le Chejà Chelen, Antun Blazevic (Theatre rom), Simonetta Salacone e tanti altri in arrivo!

Promuovono Associazione 21 luglio e Popica. 

L’ingresso è libero.
Per informazioni vai su www.21luglio.com 

---

MILANO Giovedi, 8 marzo 2012
ore 20:45

dall'Associazione La Conta per la "Festa delle donne":

Desideriamo invitarvi a partecipare alla serata 
“ROMNIA' E SINTE - Le donne 'zingare' tra pregiudizio e marginalità" 
in occasione della ricorrenza dell’8 MARZO 2012, giovedì 8/03/2012 alle ore 20,45, con ingresso libero e gratuito, alla CGIL Salone di Vittorio in Piazza Segesta 4, con ingresso da Via Albertinelli 14 (discesa passo carraio) a Milano

In particolare la serata sarà dedicata donne Rom e Sinti attraverso i racconti, le storie, le testimonianze di Dijana Pavlovic, attrice e mediatrice culturale, e di altre donne Rom e Sinti. Sarà serata di unità multiculturale ed inclusiva dei Rom e dei Sinti della nostra città e non solo, per conoscere meglio le loro passioni, la loro condizione e la loro cultura e per contribuire ad annullare il pregiudizio e la marginalità. La serata si concluderà con un buffet offerto a tutti i presenti.


=== * ===



E' nata indoona : chiama, videochiama e messaggia Gratis.
Scarica indoona per iPhone, Android e PC


(english / francais / italiano)

L'URLO DEL KOSOVO

1) Pisa 1/3: presentazione de L'Urlo del Kosovo
2) Haradinaj trial: scared witnesses continue to refuse to testimony
3) NEWS
- 15/1: Kosovo police, pan-albanian protesters clash near Serbian border
- 15/1: Albanian crime gangs top list of most feared foreign gangsters
- 31/1: Serb homes robbed, set on fire in Kosovo
- 15/2: Référendum : 99,74% des Serbes du nord du Kosovo disent « non » à Pristina
- 16/2: Lavrov: Kosovo referendum results “a signal to global community”
- 19/2: Démantèlement de barricades, blocage de routes et reprise du dialogue
3) Kosovo settentrionale: barricata di "no" contro Pristina - Tatjana Lazarević (OBC, 21 febbraio 2012)
4) Kosovo Serbs between Pristina, Belgrade and Brussels - Pyotr Iskanderov (VoR, 14 February 2012)


LINKS:

VIDEO: KOSOVO, LA DANZA DEGLI ANGELI
documentazione di Alessandro Di Meo (Un Ponte per...) divisa in 2 parti, sull'ultimo viaggio in Kosovo e Metohija a gennaio 2012
http://www.youtube.com/watch?v=fAeR9cW5olw
http://www.youtube.com/watch?v=UhcnbuU581g

Sui diritti umani dei serbi nella provincia del Kosovo e Metohija - di Zivadin Jovanovic
http://www.resistenze.org/sito/te/po/se/poseca31-010399.htm
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7262

JUGOINFO POSTS ON KOSOVO-SERBS DEMONSTRATIONS AGAINST NATO (2011):
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7119
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7151
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7157
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7175
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7196
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7199

50.000 Kosovo Serbs applying for Russian citizenship
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7217

What, really, is very bad in Kosovo?
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7231

La nostra pagina sulla questione dell'irredentismo pan-albanese oggi:
https://www.cnj.it/documentazione/kosova.htm

La nostra galleria fotografica sulla storia della Grande Albania nazifascista:
https://www.cnj.it/documentazione/KOSMET/foto.htm


=== 1 ===

(Per maggiori informazioni sul film e il libro L'URLO DEL KOSOVO si veda anche:
https://www.cnj.it/INIZIATIVE/urlokosovo.htm )


Programma iniziativa L'Urlo del Kosovo. Proiezione e dibattito.

1 mar Pisa, Cinema Arsenale, Vicolo Scaramucci 4 

ArsenaleNetwork propone:

L’urlo del Kosovo
di Alessandro di Meo

Giovedi 1 marzo alle 18.30 


Partecipano alla presentazione del dvd e del libro, l’autore e Martina Pignatti, Un ponte per...

Storie vere da cui è impossibili fuggire. L'urlo che la propaganda non riesce a coprire. Voci che spezzano il coro allineato del pregiudizio che è letale per le persone tanto quanto le scorie della "guerra umanitaria".

Il libro vuole essere una denuncia del dramma vissuto da migliaia di persone, in prevalenza serbe, cacciate da quella terra, il Kosovo e Metohija, dove hanno da sempre vissuto e convissuto con altre etnie.

Il documentario è un viaggio tra le conseguenze dei bombardamenti che nel 1999, per 78 giorni, hanno colpito quel che rimaneva della Jugoslavia. A oltre 10 anni di distanza, i problemi e le contraddizioni che la cosiddetta “guerra umanitaria” voleva risolvere si sono, in realtà, moltiplicate.


Puoi acquistare il libro+dvd "L'Urlo del Kosovo" sulla Bottega del Ponte, cliccando qui.
http://www.unponteper.it/bottega/description.php?II=315


info e contatti
www.arsenalecinema.it


=== 2 ===

IWPR’S ICTY TRIBUNAL UPDATE No. 729, February 24, 2012 
http://iwpr.net/

COURTSIDE

KEY WITNESS ABSENT FROM HARADINAJ TRIAL

Defence objects to suggestion evidence is heard through video link.

By Rachel Irwin

The conclusion of the prosecution’s case against ex-Kosovo prime
minister Ramush Haradinaj hung in the balance this week as a key
witness failed to show up and apparently refused to testify.

Witness 80, as he is called, failed to give testimony this week. The
same witness had refused to testify in the original 2007 proceedings
against Haradinaj, a former commander in the Kosovo Liberation Army,
KLA, and his two co-defendants Lahi Brahimaj and Idriz Balaj, also
ex-KLA members.

In 2008, Haradinaj was acquitted of all 37 counts against him, which
included the murder and torture of Serb civilians as well as of
suspected Albanian and Roma collaborators during the late nineties
conflict in Kosovo.

Balaj was acquitted, while Brahimaj was found guilty of cruel
treatment and torture and sentenced to six years in prison.

Prosecutors appealed against the acquittals, claiming that the trial
had been “infected” by witness intimidation. As a result, they said,
they were unable to secure the testimony of two key witnesses, one of
them being Witness 80.

The other witness, Shefqet Kabashi, was recently convicted of contempt
and could face further charges for once again refusing to answer
questions when he appeared in August as a witness in the retrial. (For
more, see Witness Refuses to Testify in Haradinaj Trial.)

The current partial retrial of the case stems from a July 2010 appeals
judgement which found that trial judges “failed to appreciate the
gravity of the threat that witness intimidation posed to the trial’s
integrity”, and that they placed too much emphasis “on ensuring that
the prosecution took no more than its pre-allotted time... irrespective
of the possibility of securing potentially important testimony”.

Appeals judges ruled that Haradinaj and Balaj should be retried on six
counts of murder, cruel treatment and torture, and Brahimaj retried on
four of those counts.

After a two-and-a-half month hiatus, the retrial convened this week
specifically to hear Witness 80 testify, but when the hearing began on
February 13, he was not there.

Prosecuting lawyer Paul Rogers alluded to a delay in “legal
proceedings” taking place in the country where the witness lives. As a
result, the witness was unable to travel to The Hague and might not be
available again until May.

This prompted a sharply-worded debate among the parties on how exactly
to proceed, given that the retrial has already lasted several months
and the three defendants have a right to be tried in a reasonable
amount of time.

Rogers alluded to the fact that the bench has already indicated it
wants to have Witness 80 appear in person in The Hague. But since this
would not possible any time soon, he said he had asked the defence to
“reconsider their objections to other methods of hearing evidence”
such as a video link.

Haradinaj’s lawyer, Ben Emmerson, completely rejected this suggestion
as “second-class justice”, and said that if Witness 80 could not
testify according to the current schedule, the prosecution should
close its case.

He also noted the effect of live confrontation on another protected
witness in the retrial, known by the number 81. [For more on his
testimony, see Tense Testimony In Haradinaj Trial.)

“Having seen the effect of live confrontation and cross-examination on
Witness 81, which, as we submit, has destroyed any scrap of
credibility that the witness may have entered courtroom with, to then
to proceed to a trial where a form of second-class justice is meted
out in respect of Witness 80, who gives evidence on the same counts...
and in circumstances where similar credibility challenges are to be
made, would be... grossly prejudicial to the accused,” Emmerson said.

In addition, he noted that in March, it would be seven years since
Haradinaj was indicted, and that “a surprising amount of the time that
has elapsed since then has been, in one way or another, attributable
to the refusal of this particular witness to testify, both in the
first trial ... and in these proceedings”.

Emmerson stressed that “nothing mentioned in private session
concerning the position in the country in which [Witness 80] resides,
in any sense justifies his unwillingness to attend and testify
voluntarily”. In fact, Emmerson said, “it demonstrates a resolute
commitment to non-cooperation” and “he is still saying that whatever
happens, he will not give evidence”.

The only option that would be fair, Emmerson said, would be to travel
to where the witness resided and attempt to hear his evidence there.

“I venture to suggest that the trial chamber would hesitate long and
hard before ordering that effort and expense for a witness who for
seven years has messed the tribunal about,” Emmerson continued, adding
later that these concerns were still “not good enough” a reason to
resort to video link testimony.

“We are dealing with a witness upon whom the case against my client
entirely hinges,” he concluded. “Where credibility is an issue, it’s
simply not enough to say a video link is as good... because it isn’t
and everyone knows it isn’t.”

Prosecuting lawyer Rogers disagreed, saying, “It has repeatedly been
held that this method of video conferencing does meet the interests of
justice and the rights of the accused.”

Presiding Judge Bakone Justice Moloto said a decision on the matter
would be delivered at a “later stage”.

Rachel Irwin is an IWPR reporter in The Hague.


=== 3 ===

Source of most following documents in english language is the Stop NATO e-mail list 
Archives and search engine: http://groups.yahoo.com/group/stopnato/messages
Website and articles: http://rickrozoff.wordpress.com

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http://www.google.com/hostednews/afp/article/ALeqM5iHacmMO074ZK0G4nWRQTjfKipdeA?docId=CNG.5ac8cc19445558189357128508908e39.8c1

Agence France-Presse - January 15, 2012

Kosovo police, protesters clash near Serbian border

By Ismet Hajdari 

PODUJEVO: Police used tear gas and a water cannon to disperse hundreds of Kosovo Albanians who tried to blockade the border with "enemy" Serbia, arresting 146 protesters.
At least 52 people, including 31 police officers, were injured in clashes at two border crossings, police said in a statement released in Pristina.
They said they were "forced to react" after being pelted with stones and metal objects by members of the Kosovo Albanian Self-Determination movement, which opposes any contact with Serbia.
Self-Determination, led by hardline opposition leader Albin Kurti, had announced plans to temporarily block the border in order to bar Serb products from entering the breakaway territory.
Kurti joined protesters waving Albanian flags, saying: "Serbia is an enemy country for Kosovo, that is why our motto is 'Serbia will not pass through'."
After an hours-long confrontation, police managed to disperse the protest and restore traffic on the road leading from the border to Pristina, allowing two trucks from Serbia across under police escort.
Police had earlier cordoned off the road outside the northern town of Podujevo, some six kilometers (four miles) from the border with Serbia, to prevent the movement from blocking two border posts.
In an initial clash, security forces pushed the crowd back with batons and pepper spray.
Later in the day police and protesters clashed also near another border post, Konculj, some 70 kilometers east of Pristina.
...

At a border post on the frontier with Albania, Kosovo police earlier stopped several busloads of Albanians on their way to join the protest, a spokesman told reporters in Pristina.
But, according to local media in Tirana, dozens of protesters nevertheless managed to break through and take part in the protest.
Belgrade and Pristina have been at loggerheads over bilateral trade ever since Kosovo, which has an ethnic Albanian majority, unilaterally proclaimed independence from Serbia in 2008.
However in September, after months of EU-mediated negotiations, the two sides agreed to implement a free trade agreement.
Neither Kosovo's minority Serbs nor Belgrade recognise Pristina's 2008 declaration of independence, accepted by most of the European Union and many other countries, considering Kosovo still to be a province of Serbia and the cradle of its nation and religion.

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http://www.deadlinenews.co.uk/2012/01/15/albanian-crime-gangs-top-list-of-most-feared-foreign-gangsters/

Deadline News - January 15, 2012

Albanian crime gangs top list of most feared foreign gangsters

By Peter Laing

AT least 25 foreign crime gangs are operating in Scotland, according to investigations by the country’s equivalent of the FBI.
Detectives are said to be particularly concerned about the arrival of the “ultra-violent” Albanian mafia.
Gangsters from the impoverished Balkan state have muscled in to Scotland’s drug and vice trades, according to the Scottish Crime and Drug Enforcement Agency (SCDEA).
The crime-fighting body ranks ethnic Albanian groups as among the “non-indigenous” gangsters posing the greatest threat.
Foreign gangs now make up almost 10% of all crime groups operating north of the border, according to work by the SCDEA.
They have identified 267 organised crime groups, of which at least 25 are from abroad.
Other nationalities include Chinese gangs behind cannabis farms and bootleg DVDs, Bangladeshis and Czechs involved in people smuggling, and Yardies from the Caribbean who specialise in selling crack and running prostitutes.
But it is Albanian gangs – known as the Mafia Shqiptare – that are causing particular concern.
The gangs are said to have been brutalised by the conflicts in the Balkans in the 1990s and sit on worldwide trade routes for guns, drugs and women.
The Mafia Shqiptare are believed to have taken over the sex trade in London’s Soho district and even reduced the power of the feared Italian Mafia in their own areas.
Stephen Whitelock, a Detective Chief Superintendent with the SCDEA, said: “We are noting the emergence of a number of crime groups from other countries operating in Scotland.
“This includes gangs from eastern Europe, southeast Asia – particularly Vietnam and China – as well as African countries.
“The Albanians are here now. Some of the individuals concerned are known to be capable of extreme violence.

Prostitution
“Albanian serious and organised crime groups have been know to be involved in prostitution, arms and drugs. They have been flagged up in our mapping exercise.”
He added: “We have a list of the top 20% most serious organised crime groups and, each of which is in the ownership of one of the forces or the agency. The Albanians are on that list.”
It is thought Albanian crime families arrived in the UK in the aftermath of the 1999 Kosovo war. The families are relatively small but strongly bonded by a code of honour and blood feuds.
As long ago as 2003, Luan Plakici, an Albanian from Montenegro, was jailed in Scotland for 10 years for trafficking women from Moldova.
Former SCDEA boss Graeme Pearson, now a Labour MSP, said: “The Albanians are a bit of a challenge because they have a military background in their homelands and their criminal elements have a very violent history. They are very difficult groups to penetrate.”

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http://www.b92.net/eng/news/crimes-article.php?yyyy=2012&mm=01&dd=31&nav_id=78556

Tanjug News Agency - January 31, 2012

Serb homes robbed, set on fire in Kosovo

GNJILANE: Two houses owned by Serbis in the village of Cernica near Gnjilane were robbed and set on fire last night, it has been confirmed.
A Kosovo police (KPS) spokesperson told Tanjug news agency that nobody was inside the buildings during the incident.
But Ismet Hasani "could not say what caused the fire", adding that it was promptly put out by firemen. 
The spokesperson however noted that KPS units investigated the scene "and opened the case". 
Local Serb media in that part of the province are reporting that the homes belonged to Ljubiša Spasić and Stanko Stanojević, who currently live and work in Switzerland along with their families. 
Cernica resident Srđan Menković said the homes were first robbed, while the fire "most likely came later and was the work of arsonists". 
"Almost everything was taken from the houses, they stole everything. It is getting worse by the day, robberies are ever more frequent, while police either cannot or will not do anything about it," said Milenković. 
Some 150 Serb families lived in the village prior to the war in 1999, while only about 30 remain today.

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http://balkans.courriers.info/article19254.html

Le Courrier des Balkans

Référendum : 99,74% des Serbes du nord du Kosovo disent « non » à Pristina

De notre envoyé spécial à Mitrovica
Mise en ligne : mercredi 15 février 2012

Les communes serbes du nord du Kosovo peuvent se féliciter d’avoir remporté leur pari. Malgré le froid, la neige et le désaveu de Belgrade, 75,28% des électeurs se sont rendus aux urnes, et ils ont été 99,74% à voter « non » aux institutions du Kosovo. En réponse, le Parlement du Kosovo avait déclaré mercredi que ce référendum était « illégal et anticonstitutionnel ». Par Jean-Arnault Dérens

Selon les premiers résultats annoncés peu après 23 heures mercredi soir, seuls 69 bulletins « oui » ont été déposés dans les urnes. Les résultats définitifs seront publiés dimanche.
Les communes serbes du nord du Kosovo ont donc remporté leur pari, et l’influence de Belgrade sur la région est sérieusement remise en cause. Tel est le principal enseignement du référendum organisé mardi et mercredi.
Le maire de Mitrovica, Krstimir Pantić, a expliqué que ce vote n’aurait effectivement « aucune conséquence légale », car il ne faisait que « confirmer les dispositions de la Constitution de la Serbie », mais qu’il constituait un « message clair » envoyé à la communauté internationale.
La participation a été particulièrement élevée dans la ville de Mitrovica, un peu plus faible dans les zones rurales, où la neige rendait très difficile tout accès à certains villages. Elle était aussi nettement plus faible à Leposavić, la seule commune dirigée par le Parti démocratique (DS), où le référendum n’était organisé que la seule journée de mercredi.
Aucun incident notable n’a été relevé, selon Ljubomir Radović, porte-parole des communes serbes. Aucune mission internationale n’est venue observer le référendum, seuls quelques observateurs de l’International Crisis Group se sont rendus dans deux bureaux de vote de Zvečan.
Le Parlement du Kosovo a adopté mercredi après-midi une résolution déclarant que le référendum était « illégal et anticonstitutionnel ».

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http://english.ruvr.ru/2012_02_16/66235369/

Russian Information Agency Novosti - February 16, 2012

Lavrov: Kosovo referendum results “a signal to global community”

The results of the referendum held on February 14-15 in Kosovo are “a signal to the international community” and to the parties in the Kosovo talks, which cannot be ignored, Russia’s Foreign Minister Sergey Lavrov said in Vienna on Thursday.
The referendum on the legitimacy Kosovo’s Albanian authorities was held in four Serbian communities in the north of the region on the initiative of the local authorities. The local residents were asked the following question “Do you accept the institutions of the so-called Republic of Kosovo?” According to the preliminary results, more than 99.5% of the voters said “No”.
“This was a signal to Pristina, Belgrade, a signal to those who wants the international involvement in the settlement of the numerous aspects of this problem to continue”, Lavrov said.

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http://balkans.courriers.info/article19285.html

Nord du Kosovo : démantèlement de barricades, blocage de routes et reprise du dialogue

B92 - 19 février 2012

Les troupes de la KFOR ont démantelé les barrages routiers de Jarinje et de Brnjak samedi dernier. Mais les Serbes du Kosovo ont érigé de nouvelles barricades, cette fois en Serbie centrale. Les négociations entre Belgrade et Pristina reprennent mardi à Bruxelles. Elles porteront sur la représentation du Kosovo dans les initiatives régionales.

« Nous avons nettoyé les routes conduisant aux carrefours de Jarinje et de Brnjak. Ces routes sont à présent ouvertes à la circulation », a annoncé samedi à Beta le porte-parole de la KFOR Uwe Nowitzki. Celui-ci a démenti les déclaration des Serbes de Leposavić qui ont affirmé que les routes de Rudnica à Jarinje et de Ribariće à Brnjak étaient bloquées et que les véhicules devaient toujours emprunter des routes alternatives. Celles-ci restent toutefois impraticables à cause de la neige.
Selon B92, les deux barricades démantelées ont été déplacées en Serbie centrale. La première, entre Raška et Leposavić, a été installée avant Jarinje ; la seconde, entre Ribariće et Zubin Potok, avant Brnjak.
À Bruxelles, la prochaine session du dialogue entre Belgrade et Pristina mené sous les auspices de l’Union européenne aura lieu mardi 21 février. Les pourparlers porteront sur la représentation du Kosovo dans les initiatives régionales. Une « pierre d’achoppemement », selon le chef de l’équipe serbe Borislav Stefanović, mais aussi l’une des conditions pour que la Serbie obtienne son statut de candidat à l’UE. Les négociateurs serbes, qui s’opposent à l’appellation « République du Kosovo », espèrent conclure un accord qui respecte la résolution 1244 du Conseil de sécurité des Nations unies, ainsi que la Constitution serbe.
Dimanche, le Premier ministre du Kosovo Hashim Thaçi a affirmé que le Kosovo serait représenté en tant qu’État indépendant et souverain, conformément à la déclaration d’indépendance, à la décision de la Cour internationale de Justice et à la résolution 1244. « Une grossière erreur », a commenté Borislav Stefanović.


=== 3 ===

http://www.balcanicaucaso.org/aree/Kosovo/Kosovo-settentrionale-barricata-di-no-contro-Pristina-112518


Kosovo settentrionale: barricata di "no" contro Pristina

Il referendum organizzato dalle municipalità serbe del Nord del Kosovo ha confermato il rifiuto ad accettare le autorità di Pristina. Il voto, dichiarato nullo da governo kosovaro e autorità internazionali, segna però soprattutto un momento di rottura della comunità serba del nord con Belgrado, che temendo ripercussioni sul percorso di integrazione UE ha osteggiato il voto

Secondo dati ancora preliminari, il 99.74% dei votanti ha detto “no” nel referendum organizzato in quattro municipalità del Nord del Kosovo. Il quesito su cui dovevano esprimersi era così formulato: “accettate le istituzioni della cosiddetta Repubblica del Kosovo?”
Nonostante il maltempo e la contrarietà di Belgrado, l’alta affluenza alle urne è stata evidente, ed ha raggiunto il 75.28% degli aventi diritto. Proprio nel giorno in cui si festeggiavano l’amore e il vino [San Valentino e Sveti Trifun], le strade deserte e da giorni piene di neve, sono state irraggiate dal sole, e la gente è andata a votare di buon mattino.
Tuttavia, i voti dei circa 26.500 cittadini, che senza sorpresa hanno votato “no” alle istituzioni kosovare, sono stati dichiarati nulli sia dalle istituzioni del Kosovo che dai rappresentanti della comunità internazionale, ma anche dal governo serbo. Questi tre soggetti, dalla fine dello scorso anno, quando i leader del nord del Kosovo hanno indetto il referendum per il 14 e 15 febbraio, festa nazionale della Serbia, si sono sempre opposti alla sua organizzazione, dichiarandolo incostituzionale e minimizzandone l’importanza. “Il referendum è nullo”, hanno detto quasi all’unisono i tre soggetti di cui sopra.
Anche il giorno prima del referendum, i più severi sono stati il presidente Boris Tadić e il governo kosovaro. Ma, nonostante il presidente serbo sia stato deciso nel sottolineare il danno arrecato dal referendum agli interessi nazionali serbi, il governo del Kosovo ha accusato Belgrado di aver organizzato il referendum, dichiarando in un comunicato stampa che “questa presa di posizione indica chiaramente le ambizioni malate e le pretese territoriali della Serbia verso la repubblica del Kosovo”.


Un peso per la Serbia


Dopo il voto, ai rappresentanti internazionali che da anni tramite Belgrado cercano di influire sui serbi del Nord del Kosovo, è oramai chiaro che il nord si è de facto “sottratto” all’influenza politica delle autorità serbe.
“In questo momento la situazione al nord del Kosovo è tale che Belgrado non ha più molti mezzi efficaci per influire sulle decisioni che vengono prese laggiù, anche se ciò non significa che non abbia potuto farlo in passato. Credo che la Serbia non debba essere ostaggio dei serbi del nord Kosovo e che assegnarle lo status di paese candidato sia l’aiuto migliore non solo alla Serbia, ma anche ai paesi vicini, Kosovo compreso, e quindi anche ai serbi che vivono a sud e a nord del fiume Ibar”, ha dichiarato a Radio Free Europe alla vigilia del referendum il rapporteur per la Serbia al Parlamento europeo Jelko Kacin.
Le accuse che i serbi rimasti in Kosovo siano ormai da tempo la zavorra della Serbia nella sua controversa strada verso l’Unione europea sono diventate più frequenti dallo scorso autunno, quando si è surriscaldata la questione relativa all’ottenimento dello status di paese candidato. L'iniziale so

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https://www.cnj.it/INIZIATIVE/index.htm#anghiari040312
http://www.diecifebbraio.info/2012/02/anghiari-ar-432012-crimini-di-guerra-dellitalia-fascista/

 
Sala Audiovisivi, Piazza del Popolo, ANGHIARI (AR)
domenica 4 marzo 2012 ore 17.30

CRIMINI DI GUERRA DELL’ITALIA FASCISTA

ne parliamo con
DAVIDE CONTI
Storico della Fondazione Lelio Basso
Autore del libro: CRIMINALI DI GUERRA ITALIANI. ACCUSE, PROCESSI E IMPUNITA’ NEL SECONDO DOPOGUERRA

Durante l’iniziativa:
Esposizione della mostra “Testa per Dente”
https://www.cnj.it/INIZIATIVE/TESTA_PER_DENTE/testaperdente.htm
http://www.diecifebbraio.info/testa-per-dente/
Proiezione della mostra sul libro “Criminali di guerra italiani”
https://www.cnj.it/documentazione/bibliografia.htm#conti2011
http://www.diecifebbraio.info/2012/01/criminali-di-guerra-italiani-un-libro-di-davide-conti/


Promuovono:

ANPI AREZZO
COMUNE DI ANGHIARI
COORDINAMENTO NAZIONALE PER LA JUGOSLAVIA – ONLUS
COORDINAMENTO ANTIFASCISTA ANTIRAZZISTA ARETINO

http://www.facebook.com/events/119495101509686/

scarica la locandina:
https://www.cnj.it/INIZIATIVE/volantini/anghiari040312.jpg
http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2012/02/anghiari040312.jpg


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(To read the english version of this article: 
What do the killings of Milosevic, Saddam Hussein and Gaddafi have in common?
Hannes Hofbauer - Strategic culture foundation, 27. 10. 2011
http://www.nspm.rs/nspm-in-english/what-do-the-killings-of-milosevic-saddam-hussein-and-gaddafi-have-in-common-q.html
or http://www.en.beoforum.rs/comments-belgrade-forum-for-the-world-of-equals/230-who-decides-on-waging-wars.html
or http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7201 

Um die deutsche Fassung dieses Artikels zu lesen:
Milosevic, Saddam, Gaddafi: Lynchjustiz und Geopolitik
von Hannes Hofbauer - veroeffentlicht in Zeit-Fragen u. COMPACT
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7233 )


MILOSEVIC, SADDAM, GHEDDAFI: GIUSTIZIA DEL LINCIAGGIO E GEOPOLITICA

 

di Hannes Hofbauer

  

A partire dal crollo dell’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia nel 1991 tre capi di Stato e di governo sgraditi all’Occidente sono stati assassinati dalle istituzioni del triumvirato globale Usa – Unione Europea – Nato o sono morti sotto la loro responsabilità. Un tale sviluppo è inquietante. L’11 maggio 2006 l’ex Presidente jugoslavo Slobodan Milosevic venne trovato morto nella sua cella a Scheveningen, dopo che gli era stato negato dal tribunale dell’Aja  il richiesto aiuto medico. Il 30 dicembre 2006 è morto sul patibolo ad al-Kadhimija a nord-est di Baghdad il Presidente iracheno Saddam Hussein in precedenza abbattuto dalla guerra di bombardamento e dall’invasione militare. E il 20 ottobre 2011 ribelli libici colpirono e trascinarono a morte Gheddafi. Che cosa hanno in comune questi tre capi di stato morti? Anzi tutto e visibilmente la forma brutale della loro eliminazione. Nessun tribunale serio ha mai indagato sulle loro colpe, nessuna assise internazionale ha stabilito la loro responsabilità per eventuali crimini di guerra. Le condanne si ebbero senza eccezione ad opera dei media occidentali sulla base di corrispondenti istruzioni dei vertici di circoli politici e militari dell’ambito Nato. Al momento della loro eliminazione figuravano tutti e tre senz’altro come la personificazione del male; e come tali, nel caso di Gheddafi, di Saddam Hussein e dei figli di questo i loro cadaveri sfigurati sono stati esposti al pubblico. I fruitori dei media dovevano essere sicuri: qui giacciono diavoli, non uomini. L’assassinio politico con connessa ostensione del nemico addita a un lontano passato della civiltà.

Milosevic, Saddam Hussein e Gheddafi sono stati eliminati come nemici, non come criminali. E sicuramente hanno compiuto crimini, con responsabilità per una intera serie di misfatti. Ma questi loro misfatti, che andavano dallo schiacciamento di forze di opposizione sino alla repressione di minoranze etniche, hanno rappresentato solo il pretesto per gli interventi militari dell’Occidente. Qualunque altra interpretazione resta esclusa a fronte del fatto che oppressione politica ha luogo anche altrove in forme molteplici mentre nessuna “comunità internazionale” pensa ad intervenire militarmente a tal proposito. Dall’Arabia Saudita alla Spagna-terra dei Baschi, dalla Nigeria all’Indonesia la Nato avrebbe ben da fare per mandare in campo per i diritti dell’uomo la sua Armada.

Solo in casi ben precisi l’Alleanza occidentale entra in campo al fine – viene asserito – di  proteggere i civili. Quando e dove ciò viene fatto? E quali motivi vi si celano?

Gli alleati occidentali hanno dato la caccia fino alla morte a Milosevic, Saddam Hussein e Gheddafi non a causa della cattiva politica di questi, ma in ragione della loro buona politica. Tutti e tre erano simboli di forme diverse di “dittatura dello sviluppo”. Una tale consistente politica sociale per la massa del popolo, cure per un equilibrio regionale e sforzi in direzione di una modernizzazione economica. Ciò li differenziava da coloro che in prima linea si consideravano e si considerano come rappresentanti di investitori stranieri o di interessi geopolitici estranei. In Jugoslavia, Iraq e Libia gli investitori stranieri avevano accesso solo limitato ai mercati nazionali, basi militari estranee erano indesiderate. Questo è stato uno dei motivi principali per cui Milosevic, Saddam Hussein e Gheddafi apparivano sospetti alla troika costituita da Nato, Usa ed Unione Europea.

Ma anche la situazione geopolitica dei loro paesi rendeva questi oggetto di cupidigia occidentale. Tutti e tre giacciono alla periferia della zona di influenza occidentale, sia storicamente che attualmente. Durante la guerra fredda Jugoslavia, Iraq e Libia erano paesi cerniera fra i due blocchi, che in base alla propria forza politica ed economica non vedevano ragione alcuna per consegnare la loro indipendenza agli accaparramenti occidentali o alle ambizioni orientali. Mosca e Washington garantivano ciascuna la metà di quell’indipendenza, ciò che fece anche accrescere il sentimento nazionale. Dopo la fine dell’Unione Sovietica questo restò sospeso nell’aria e in mancanza di copertura da parte di Mosca condusse direttamente alla catastrofe. Sembra che i Paesi collocati fra i blocchi siano quelli che avessero ed abbiano più da soffrire davanti all’avanzata della nuova strategia imperiale. È ciò accaduto perché essi potenzialmente erano nella situazione di effettuare un’integrazione nel mercato globale diversa da quella dettata da Unione Europea, usa e Nato? La troika imperiale si è sentita minacciata da tutto ciò?

Jugoslavia, Iraq e Libia potevano rimandare a una lunga storia di partnership con il Consiglio di Cooperazione economica, il corrispondente sovietico dell’Unione europea. Fino ai tardi anni ’80 è fiorito il commercio di beni di investimento, di consumo e armi. Tale commercio veniva sviluppato tanto attraverso valute forti quanto anche nella forma del baratto, e cioè attraverso scambio diretto di beni: ciò che era proibito nel mondo dell’egemonia del dollaro. Triangolazioni con Stati africani o con l’India erano all’ordine del giorno. All’inizio degli anni ’90, gli Usa e l’Unione Europea hanno profittato della debolezza della dirigenza post-sovietica per imporre contro questi tre Stati di relativa potenza e operanti in spirito di indipendenza gli embarghi economici. Uno di questi colpì nell’agosto 1990 l’Iraq, le cui truppe avevano invaso in precedenza in Kuwait. Due anni dopo, nel 1992, il Consiglio di sicurezza delle NU irrogò sanzioni contro la Jugoslavia (30 maggio) e la Libia (31 maggio). Nel caso di Belgrado queste vennero motivate con la presa di posizione “sbagliata” nella guerra civile jugoslava, nel caso di Tripoli con l’asserita responsabilità per l’esplosione di un aereo Pan-Am nei cieli di Lockerbie, che era avvenuta anni prima. L’Iraq, la Jugoslavia e la Libia sono stati gli unici Paesi paralizzati da blocchi economici annosi. Ciò che non colpì solo loro, ma anche i loro partner commerciali tradizionali dell’Est: Russia, Bulgaria, Romania… Questo proprio in un momento in cui le economie post-comunista in sfacelo dovevano assumere nuovi orientamenti. Esse avrebbero avuto urgentemente bisogno di partner forti che potessero scambiare con loro prodotti su base diversa dal dollaro. Gli embarghi contro l’Iraq, la Jugoslavia e la Libia lo hanno impedito. All’inizio si irritarono quadri non epurati dell’epoca sovietica di fronte alle perdite imposte: “nei primi sei mesi dall’inizio dell’embargo commerciale contro l’Iraq l’Unione Sovietica ha perduto quattro miliardi di dollari Usa”, dichiarò Igor Mordvinov, portavoce del Ministero per il Commercio estero. Oggi sappiamo che la successiva Federazione russa ha perduto molto di più: la possibilità di un’integrazione economica alternativa rispetto al mercato mondiale dominato dagli Usa.

Milosevic e Saddam Hussein erano stati già abbattuti quando la Libia di Gheddafi scorse una piccola occasione di sopravvivere alla grossa svolta epocale senza doversi arrendere ai diktat di Washington e di Bruxelles. Dopo che Tripoli nel 2004 ebbe pagato somme di risarcimento agli eredi delle vittime di Lockerbie senza con ciò riconoscere una propria colpa, il Consiglio di sicurezza delle NU abrogò l’embargo. Sino ad allora Gheddafi è stato l’unico fra i tre paria ad esser sopravvissuto fisicamente alle sanzioni economiche. Vennero sottoscritti accordi internazionali con la Gran Bretagna, la Francia e l’Italia. Ma Gheddafi si ricordò anche delle buone relazioni tradizionali con Mosca e cominciò a riattivarle. All’ombra dei contatti con l’Occidente, Mosca e Tripoli cercarono di annodare stretti legami economici. Nel 2007 il Ministro degli Esteri Sergej Lavrov ha visitato la Libia, poco dopo è arrivato personalmente Vladimir Putin per perfezionare il trattato relativo alla costruzione di una linea ferroviaria di 550 chilometri fra Bengasi e Sirte. Ancor più interessanti sono stati i colloqui sulla costruzione di un metanodotto che avrebbe dovuto arrivare in europa attraverso il Mediterraneo e ciò sotto la direzione tecnica di Gazprom. Allorché anche il più potente uomo di Russia, il capo di Gazprom Alexej Miller arrivò nell’aprile 2008 da Gheddafi, in Occidente suonò l’allarme. La sua offerta a Tripoli fu equivalente ad una bomba geopolitica. Gazprom avrebbe in futuro acquistato dalla Libia “l’intero gas naturale estratto come pure quello liquefatto ai prezzi del mercato mondiale”, come annunciato dall’agenzia Interfax il 9 luglio 2008. L’Occidente si sentì minacciato. Se si fosse arrivati al trattato, Gazprom avrebbe portato ampiamente sotto il proprio controllo il mercato del gas dell’Europa occidentale attraverso la pipeline “North Strem” del Mar Baltico inaugurata nel novembre 2011 e quella da costruirsi nel Mediterraneo. Oggi sappiamo che le cose sono andate diversamente. Da settimane le direzioni dei monopoli occidentali del petrolio, del gas e dell’acqua fanno la caccia alla Libia per concludere accordi di sfruttamento e di estrazione con un cosiddetto “governo di transizione” nelle condizioni di uno Stato inesistente, ciò che rende la questione estremamente appetibile. Dopo una guerra di otto mesi la coalizione dei volenterosi, in prima linea monopoli francesi, britannici e degli Usa, possono servirsi a buon prezzo. Il presidente in servizio del Consiglio di transizione, Abdel Rahim el-Kib, adempirà i suoi doveri amministrativi nei confronti degli investitori occidentali assolutamente senza contrasto proprio come i suoi colleghi Boris Tadic e Nuri al-Maliki fanno ciò a Belgrado e Baghdad.


Zeit-Fragen, 3.1.2012

Fonte: COMPACT 12/2011.

(trad. di AB, che ringraziamo)


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INTELEKTUALIRIJAT
Nakon što je Parlament odobrio zakon Gelmini (ime tadašnje talijanskeministarke obrazovanja) o Univerzitetima, ova se analiza bavi stanjem i sasjecanjem procesa obrazovanja i znanstvenog istraživanja.

piše: Andrea Martocchia - 14/1/2011
Skraćena verzija ovog eseja je na broju 3/2010 online-časopisa MenodiZero: http://www.menodizero.eu/
Prijevod: Jasna Tkalec za Novi Plamen (http://noviplamen.net/). Originalni tekst na talijanskom: http://digilander.libero.it/andreamartocchia/intellettuariato.pdf .

PDF: https://www.cnj.it/CULTURA/intelektualirijat.pdf

[L'articolo originale: 
INTELLETTUARIATO. 
Dopo l'approvazione della Legge “Gelmini” sull'Università, il punto sullo stato dell'analisi attorno ai tagli a Formazione e Ricerca.
di Andrea Martocchia - 14/1/2011
Una sintesi di questo saggio appare sul numero 3/2010 della rivista online MenodiZero: http://www.menodizero.eu/
per scaricare il PDF: http://digilander.libero.it/andreamartocchia/intellettuariato.pdf ]

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http://www.diecifebbraio.info/2012/02/revisione-storiografica-e-uso-politico-della-questione-delle-foibe/

http://www.marx21.it/storia-teoria-e-scienza/storia/984-revisione-storiografica-e-uso-politico-della-questione-delle-foibe.html


Revisione storiografica e uso politico della questione delle foibe*

di Marco Delle Rose**

fonte: Marx21


Introduzione


L’altopiano calcareo compreso tra Slovenia e Italia (chiamato Kras in sloveno e Carso in Italiano) è denominato dagli studiosi di scienze della Terra “Classic Karst” per aver dato il nome ai “paesaggi carsici”. Doline, caverne, acquitrini, sprofondamenti, dirupi, forre, voragini, abissi sono gli ambienti principali del territorio carsico e ne hanno condizionato le forme di antropizzazione. In merito a strategie belliche, i paesaggi carsici si rivelano particolarmente adatti per operazioni di guerriglia. Attraversamenti obbligati e angusti, cavità quasi inaccessibili, offrono infatti singolari vantaggi a piccole e mobili unità locali, mentre pongono problemi tattici e logistici a truppe allogene non adeguatamente addestrate ed equipaggiate. Gli usi difensivi delle grotte da parte della guerriglia comprendono, tra gli altri, rifugio per combattenti e civili in fuga e posizionamento di postazioni armate. Vari usi offensivi sono altresì favoriti, ossia: intrappolamento, agguato, nascondiglio, spazio per addestramento e schieramento, deposito di munizioni, luogo per detenzioni ed esecuzioni(Day e Kuney, 2004).


Nel corso della seconda guerra mondiale, il Carso e altri territori carsici dei Balcani settentrionali sono stati teatro di battaglie tra nazi-fascisti e partigiani, il cui epilogo è riferito dall’attuale storiografia “ufficiale” italiana alla cosiddetta tragedia delle “foibe”. Di pochi episodi bellici relativi a siti ipogei si conserva però una certa memoria. Tra questi, l’acquartieramento di truppe jugoslave nelle grotte bosniache di Drvar e la distruzione di munizioni germaniche nelle grotte slovene di Postojna (Kempe, 1988). Eserciti convenzionali e partigiani, soprattutto questi ultimi, sono ritenuti responsabili di aver trucidato migliaia di nemici negli abissi carsici. In Slovenia, come in Croazia e nella Venezia Giulia, l’immediato dopoguerra fu “particolarmente cruento, giacché vi giunsero molte formazioni militari avversarie del Movimento di Liberazione Nazionale” sospinte dalle avanzate partigiane e senza possibilità di fuga (Ferenc, 2005). Esplorazioni speleologiche eseguite dagli anni ‘80, al fine di censire le cavità usate come “cimiteri di massa”, hanno fornito riscontri parziali (Mihevc, 1995). Del resto, il numero di persone uccise o occultate nelle cavità è realisticamente impossibile da stabilire e, dunque, materia di interminabili controversie storiche e politiche. Le forme carsiche a sviluppo verticale dell’area nord-balcanica si contano a migliaia e ciascuna di esse potrebbe essere stata utilizzata più volte per “infoibare”, con inversioni dei ruoli vittime-esecutori in relazione alle alterne vicende della guerra.


In Italia, il termine friulano “foibe”, che significa doline, abissi, è impiegato per indicare “violenze di massa a danno di militari e civili, in larga prevalenza italiani, scatenatesi nell’autunno del 1943 e nella primavera del 1945 in diverse aree della Venezia Giulia e che nel loro insieme procurarono alcune migliaia di vittime”. Un doppio mutamento semantico è intercorso rispetto all’originario significato geomorfologico di “foibe”, che ha perduto anche il legame con l’azione di “infoibamento”, ossia di uccisione per mezzo di armi o per caduta violentemente indotta dai bordi delle cavità, oppure di “semplice” occultamento di cadaveri nelle medesime. Secondo la tendenza storiografica “ufficializzata” dallo stato, è “questo un uso del termine consolidatosi ormai, oltre che nel linguaggio comune, anche in quello storiografico, e che quindi va accolto, purché si tenga conto del suo significato simbolico e non letterale” (Pupo e Spazzali, 2003). Tale assunto costituisce però una gabbia epistemologica che limita e condiziona l’analisi storiografica. Scorporate dalla complessità reale del contesto bellico, le “violenze di massa” richiedono una pianificazione strategica dell’Osvobodilna Frontadi tipo ideologico. Ingabbiata da questa matrice disciplinare, la ricerca storiografica è vincolata al banale dualismo interpretativo tra l’ipotesi di “pulizia etnica” e quella di “eliminazione sistematica” degli avversari politici. Il presente scritto vuole essere un contributo per il superamento di questo paradigma.


Cenni storici


Dopo il primo conflitto mondiale, l’Italia attuò un programma di “snazionalizzazione” dell’Istria appena annessa, chiudendo le scuole slovene e croate e italianizzando i cognomi “stranieri”. Tra il 1919 e il 1922 le camicie nere compirono sistematicamente azioni squadriste, incendiando e distruggendo sedi di associazioni, redazioni di giornali, seviziando e uccidendo avversari politici. Contemporaneamente i dipendenti sloveni, croati e tedeschi furono licenziati o trasferiti di forza in altre parti del Regno d’Italia. Negli anni ‘30, l’immigrazione in massa di contadini “regnicoli” provenienti soprattutto dal Friuli e dal Veneto, costrinse gli istriani non italiani ad abbandonare le proprie terre. Molti contadini ingrossarono le fila del proletariato che si andava sviluppando nelle aree industriali di Pola e Arsia, come pure a Trieste e Monfalcone. In questi luoghi le idee marxiste trovarono terreno fertile e forgiarono quella cultura di lotta di classe che si rivelò poi un baluardo nella guerra contro il nazi-fascismo (Di Gianantonio, 2006).


Con la feroce invasione subita nell’aprile 1941 da Italia, Germania, Ungheria e Bulgaria, il Regno di Jugoslavia venne smembrato. La Croazia fu posta sotto la dittatura di Ante Pavelic, imposto da Mussolini con la benedizione del Vaticano; la Dalmazia e il Montenegro divennero governatorati italiani; la Slovenia fu ripartita tra Italia e Germania. In questi territori gli italiani si resero responsabili dei crimini più efferati: bombardamenti e incendi di villaggi; sevizie, torture, prelevamento e uccisione di civili per rappresaglia; esecuzione indiscriminata di partigiani; deportazione in massa in campi di concentramento e di sterminio (Conti, 2008). Non si trattò di episodi isolati o eccessi di singoli, ma di comportamenti sistematici, funzionali alla strategia di dominio imperialista dell’Italia monarchica e fascista applicata anche in Libia, Etiopia, Grecia.


Già nel settembre 1941, le autorità italiane di occupazione in Jugoslavia, riportarono episodi di “infoibamento” perpetrati da Ustaša ai danni di cristiano-ortodossi a Livno (Bosnia). Le stesse autorità, per fronteggiare la Resistenza jugoslava che si organizzava sotto la guida del partito comunista, assoldarono collaborazionisti “rispondendo con una serie di operazioni di guerra […] Nella provincia di Ljubljana durante i 29 mesi di occupazione, su 340.000 persone, 25.000 furono internate e 13.000 uccise. Un cittadino su cinque fu imprigionato” (Pirjevec, 2009). Voragini e abissi carsici vennero usati come “cimiteri a cielo aperto” per seppellire rapidamente le vittime di battaglie, rappresaglie e bombardamenti, specie nella necessità di prevenire il diffondersi di epidemie.


L’Armistizio dell’8 settembre 1943 causò un vuoto di potere nella Venezia Giulia mentre, quasi in ogni centro abitato, insurrezioni spontanee determinavano la formazione di comitati di governo locale. Il potere popolare fu stroncato all’inizio di ottobre dall’occupazione nazista e la costituzione della Operationszone Adriatisches Küstenland, aggregata al III Reich. Secondo la predominante storiografia italiana, durante questo periodo di trapasso di potere furono commesse, dagli insorti slavi, numerose uccisioni di massa di italiani (le “foibe istriane”). Tuttavia, un numero non precisato di salme esumate era stato inumato in voragini e abissi carsici dopo decessi causati da conflitti armati o incursioni aeree, con fini antiepidemici. Altre salme esumate appartenevano a vittime di rappresaglie nazi-fasciste, mentre altre ancora a persone uccise per fatti di criminalità comune o vendette personali non-politiche.


Anche i partigiani usavano infoibare i propri nemici; è noto un documento con il quale Luigi Frausin, segretario del PCd’I di Trieste, pur raccomandando un’azione politica piuttosto che repressiva, disponeva di non rinunciare “alla tattica delle foibe, quando si scovano fuori fascisti responsabili di azioni contro la popolazione [...] collaboratori aperti, decisi e attivi dei tedeschi, spie” (cit. in Pirjevec, 2009). Questa tattica terroristica di eliminazione dei nemici in circostanze favorevoli per la guerriglia era conforme a quella attuata dalla Resistenza in ogni parte d’Europa (Michel, 1973) e agevolata, nel territorio carsico, dalla possibilità di rapido occultamento dei cadaveri in anfratti sotterranei inaccessibili e sconosciuti agli occupanti.


Con l’approssimarsi della fine della guerra, nel complesso e mutevole contesto di giochi di potere del confine orientale italiano, il Comitato di Liberazione Nazionale di Trieste rifiutò l’alleanza con i partigiani jugoslavi, provocando la fuoriuscita della componente comunista. Lo stesso CLN (considerato semplicisticamente soggetto “democratico” dall’odierna storiografia) tramò con la X MAS di Julio Valerio Borghese in chiave anticomunista (Novak, 1973). Ciò è confermato da archivi angloamericani, dai quali è emerso che le formazioni partigiane della Osoppo idearono un fronte unico con la X MAS contro l’ Osvobodilna Fronta(Bajc, 2006). Altre trame antijugoslave erano state già approntante sia dal Governo del Sud (il “piano De Courten”) che dagli angloamericani (il progetto “antiscorch”), anche al fine di prevenire disordini sociali che avrebbero avvantaggiato i comunisti alla fine del conflitto.


Il 30 aprile 1945, il giorno dell’insurrezione di Trieste e dell’arrivo dei partigiani jugoslavi, scontri armati, fortuiti o intenzionali, si verificarono tra unità del CLN e dell’ Osvobodilna Fronta. Significativo fu il contributo delle unità armate di operai italiani e slavi, organizzate dalle formazioni marxiste “Delavska Enotnost – Unità Operaia”, per il contenimento di truppe naziste. Gli jugoslavi liberarono Trieste, spingendosi poi nelle provincie di Gorizia e Udine. Questo territorio, in cui cercavano scampo centinaia o migliaia di fascisti e collaborazionisti sloveni e croati, fu investito da un’ondata di esecuzioni sommarie, sanguinose vendette e crimini comuni. Tali vicende sono inquadrate dalla storiografia italiana in un secondo periodo di uccisioni di massa di italiani (le c.d. “foibe triestine”). Dopo 40 giorni di occupazione jugoslava, il controllo civile e militare della Venezia Giulia occidentale passò all’ Allied Military Government.


Esumazioni e mancati processi


Gran parte degli esumati dalle foibe della Venezia Giulia non sono stati identificati, né si hanno informazioni essenziali quali le loro attività sociali e politiche, le circostanze dei decessi o l’identità degli esecutori. Solo una parte delle salme riconosciute – peraltro quantificabile mediante analisi dei documenti – si può attribuire a esecuzioni sommarie compiute da partigiani. Il maggior numero appartiene invece a soldati (soprattutto tedeschi) uccisi durante la guerra, come nel caso del monumento nazionaledella Foiba di Basovizza. Una frazione significativa delle salme doveva appartenere a civili di varie nazionalità uccisi dai nazi-fascisti negli eccidi, e “deposti” nelle voragini dai sopravvissuti (parenti, amici, compagni) per fronteggiare la diffusione di epidemie. Altre vittime sono da ascrivere alla criminalità comune e a varie vicende quali vendette personali.


Le esumazioni dalle foibe avvennero principalmente durante due distinte operazioni di recupero. La prima subito dopo la costituzione dellaOperationszone Adriatisches Küstenland, riguardò le “foibe istriane” e venne riportata nella cosiddetta “Relazione Harzarich”. La seconda riguardò le “foibe triestine”, fu svolta sotto l’amministrazione angloamericana e descritta nella cosiddetta “Relazione De Giorgi”. Purtroppo tali relazioni, ampiamente citate nella letteratura storica e pubblicistica, non sono disponibili nella loro forma originale (Cernigoi, 2005), a detrimento delle potenzialità della ricerca.


Nella zona di Trieste, una cifra non precisabile di “infoibamenti” avvenne, durante il periodo bellico, per mano di poliziotti dell’Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza di Trieste; si trattava di persone morte a causa di sevizie e torture. Emblematica è poi la vicenda dell’Abisso Plutone presso Trieste, dove gli infoibatori furono fascisti della X Mas infiltrati nelle file partigiane (Cernigoi, 2005). Rilevante ai fini delle metodologie storiografiche è invece la vicenda di un presunto sopravvissuto ad un episodio di infoibamento in Istria, presso Plomin (Croazia) che ebbe, pochi anni or sono, grande clamore mediatico. Recenti ricerche hanno dimostrato infatti la sua inattendibilità al fine del processo di revisione storiografica (Pol Vice, 2008). Un elenco delle “foibe” completo e attendibile per la ricostruzione delle vicende storiche è quindi problematico da realizzare. Per fini comparativisti si consideri che in Slovenia sono stati censiti, per mezzo di esplorazioni speleologiche, circa 100 abissi carsici contenenti resti umani (Ferenc, 2005).


Quasi nessun criminale di guerra italiano venne giudicato dai tribunali internazionali. Molti furono riciclati, già a partire dall’Armistizio, negli apparati statali del Governo del Sud, e poi in quelli della nascente Repubblica Italiana, almeno sino al 1948. Lo stesso Badoglio era accusato, a giusta ragione, di crimini in Libia e soprattutto in Etiopia. Tra i casi eclatanti si può ricordare quello del generale dei carabinieri Taddeo Orlando, artefice del grande rastrellamento di Ljubljana che provocò migliaia di vittime. Egli compariva al numero 149 della lista dei criminali di guerra delle Nazioni Unite ma venne nominato segretario generale del Ministero della Difesa da De Gasperi nel 1947. Lo stato italiano favorì l’impunità dei criminali di guerra anche proteggendone la clandestinità. E’ questo il caso del generale Mario Roatta, responsabile dei massacri avvenuti in Slovenia e Dalmazia. Arrestato a Roma nel novembre 1944, fu poi fatto fuggire in Spagna dove visse agiatamente per un ventennio, per tornare infine indisturbato in Italia (Di Sante, 2005).


L’omertà degli apparati dello stato in cui si riciclavano i fascisti vanificò le richieste di estradizione dei criminali di guerra che il governo jugoslavo preparò dal 1944. Si trattò di una vera e propria “azione di salvataggio” organizzata dalle massime cariche della nascente repubblica. Le mancate estradizioni fecero aumentare il livore che gli slavi nutrivano nei confronti degli italiani. La tensione tra le popolazioni continuò a crescere per tutto il 1946 e anche dopo la firma del Trattato di Pace di Parigi. Vi furono vendette e uccisioni sommarie, nelle quali alle questioni ideologiche e nazionalistiche si sovrapponevano vecchi e nuovi rancori personali e familiari, nelle generali condizioni di miseria e nella lotta per la sopravvivenza generate dalla guerra. Altre cause geo-politiche contribuirono a oscurare la questione dell’ esodogiuliano-dalmata. In particolare la rottura tra i regimi comunisti di Jugoslavia e Unione Sovietica, e di conseguenza tra il PCI e il PCJ, nonché il contestuale consolidarsi dei rapporti tra Jugoslavia e Stati Uniti d’America.


Giorno della Memoria Vs . Giorno del Ricordo


Il calendario delle celebrazioni ufficiali della Repubblica Italiana si è arricchito negli ultimi anni di due nuove date: il Giorno della Memoria (27 gennaio) e il Giorno del Ricordo (10 febbraio). Le commemorazioni avvengono in tutto il territorio nazionale con cerimonie ufficiali, dibattiti pubblici, convegni di studio e altre iniziative. Molto frequenti sono i viaggi di scolaresche presso i rispettivi luoghi simbolo. L’impatto delle due ricorrenze sulla collettività è differente: mentre il Giorno della Memoria si svolge, forse troppo artificiosamente, nel commosso ricordo della Shoah, il Giorno del Ricordo è sistematicamente “turbato” da manifestazioni e contestazioni.


La legge n. 32 del 30 marzo 2004 “Istituzione del Giorno del Ricordo in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati”, è apparsa subito come la risposta politica alla legge n. 211 del 20 luglio 2000, che aveva istituito il Giorno della Memoria in ricordo “dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti”. Si tratta di due leggi promulgate da governi di segno politico opposto: il Giorno della Memoria dal governo Amato II (centrosinistra – XIII legislatura) quello del Ricordo dal Berlusconi II (centrodestra – XIV legislatura).


Le date scelte per le commemorazioni hanno un differente valore simbolico. Il 27 gennaio 1945 l’Armata Rossa entrò ad Auschwitz, liberando gli internati sopravvissuti allo sterminio nazista. Il regime comunista sovietico fu percepito dal mondo intero come il liberatore dei popoli oppressi dal nazi-fascismo. Nel promulgare la 211/2000, il legislatore italiano si era adeguato a una volontà sovranazionale. Era stata la Germania, nel 1996, ad adottare per prima questa data per commemorare le vittime del nazismo, seguita poi anche da Regno Unito e Polonia. L’assemblea generale dell’ONU ha quindi ratificato questa data per “ the international holocaust remembrance day”. La 211/2000 ha introdotto una serie di questioni, a partire dalla discriminazione degli altri gruppi umani deportati e sterminati, quali rom, omosessuali e (si direbbe oggi) diversamente abili. Considera solo i campi nazisti, dimenticando quelli fascisti che pur erano disseminati in Italia (19 dei quali riservarti alla deportazione di slavi) e nella Penisola Balcanica (dove morirono decine di migliaia di deportati). Conduce alla rimozione delle vittime del fascismo e alla selezione memonica di quelle del nazismo, pur riguardando formalmente anche deportati militari e politici. La maggior parte di questi ultimi erano però comunisti. Pertanto, la commemorazione avrebbe potuto trasformarsi in una sorta di “giornata dell’orgoglio comunista”, dieci anni dopo la fine dell’Unione Sovietica e la “demolizione” del Muro di Berlino. Infatti, nonostante le abiure di molti ex-comunisti con ripudio della vecchia fede politica, i partiti comunisti sorti dopo la dissoluzione del PCI, godevano ancora di ampio credito ed erano rappresentati in parlamento. Oggi, quindi, appare non casuale il sostanziale monopolio del ricordo della Shoahnelle celebrazioni del 27 gennaio, bensì approdo di un processo decennale di rimozione selettiva.


La promulgazione della legge 32/2004 ha avuto ben altre premesse. Negli anni ‘90 le questioni delle “foibe” e del cosiddetto esodogiuliano-dalmata, erano riemerse dopo decenni di generale disinteresse, con lo smembramento della Jugoslavia. Le foibe di Monrupino e di Basovizza furono contestualmente elevate a luoghi simbolo e designati “monumenti nazionali”. Episodi di giustizia sommaria partigiana e riesumazioni di salme dagli abissi carsici erano stati, già dagli anni ‘40, strumentalmente legati alla migrazione in massa degli italiani dai territori jugoslavi riconquistati dall’Armata Popolare di Liberazione. Negli anni delle contese territoriali con la Jugoslavia, l’inizio della diasporafu fatto coincidere “ufficialmente” con il Trattato di Pace di Parigi del 10 febbraio 1947. Successivamente però lo stato, per nascondere le proprie inconfessabili colpe e in virtù dei nuovi equilibri geo-politici, contribuì all’oblio della questione. La data del 10 febbraio fu scelta anche dal legislatore della 32/2004, che avallò così rivendicazioni patriottarde sostenute dall’irredentismo più irriducibile. Tra l’altro occorre rilevare che, con sospetta coincidenza temporale, erano in corso i lavori della “commissione parlamentare d’inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazisti”. Più grevi sono le ripercussioni socio-politiche di questa legge. L’accostamento di “foibe” ed esodo, indica subdolamente gli episodi di “infoibamento” quale causa, unica e diretta, della diaspora. È questo un malcelato modo di condizionare la ricerca storica. Nondimeno, pur celebrando la ricorrenza di un atto di pace, il 10 febbraio è usato per seminare rancore tra italiani, sloveni e croati, riattizzare odi etnici faticosamente sopiti e praticare scellerate politiche razziste. Si descrivono le genti balcaniche come popoli rozzi, primitivi, assetati di sangue e di vendetta, invasati da odio etnico e dall’ideologia comunista (cfr., ad es., articolo di M. Sacchi su Il Giornale del 13 maggio 2010). Si rimarca una sedicente superiorità etica e morale degli italiani, preparando così la strada per nuove guerre. Il significato e la potenza di questo apparato ideologico sono espressi dalla sintesi: “ evocations of the ‘Slav other’ and of the terrors of the foibe made by state institutions, academics, amateur historians, journalists and the memorial landscape of everyday life [are] the backdrop to the post-war renegotiation of Italian national identity” (Sluga, 1999).


Un esempio di uso politico


L’uso politico della questione delle foibe può essere trattato analiticamente. L’esempio riguarda la comunicazione politica di “un viaggio di studio sui luoghi dell’oppressione comunista”, organizzato nel 2011 dalla Provincia di Lecce. La stampa locale, ricalcando i comunicati dell’ente amministrativo, ha sottolineato la necessità di sensibilizzare i “giovani sui crimini di guerra, che i regimi del Novecento perpetrarono in Italia nei confronti dell’Umanità”. La “spedizione didattica [era diretta] nelle terre del Friuli Venezia Giulia e della Dalmazia, dove vennero torturati e uccisi quasi 11mila italiani, per mano dei partigiani jugoslavi di Tito. […] Gli studenti [hanno visitato] la Foiba di Basovizza e la risiera di San Sabba, unico campo di concentramento[corsivo nostro, MdR] in Italia. Nello stesso periodo delle vicende di Basovizza – hanno spiegato gli organizzatori – il regime nazista individuò in quella risiera un campo di torture, dove persero la vita 5mila persone.” ( Corriere del Mezzogiorno, 15 gennaio 2011, pag. 7).


Bisogna rilevare varie manipolazioni e inesattezze, come l’assenza di riferimenti diretti al fascismo, al cui operato risalgono le cause remote delle “foibe” e dell’ esodo. L’inesattezza più grave è l’indicazione di San Sabba come “unico campo di concentramento”; in realtà esso fu un campo di sterminio, mentre in Italia operarono decine di campi di concentramento (Capogreco, 2006). Falsa e fuorviante è la contestualizzazione geografica e storica degli episodi richiamati. Pretestuosa la comparazione della stima massima delle vittime di nazionalità italiana nella Venezia Giulia con quelle assassinate nel Lager della Risiera di San Sabba. Il risultato numerico è funzionale alla strumentalizzazione politica: le vittime del regime comunista jugoslavo appaiono più del doppio di quelle del regime nazista. Con amara ironia si può immaginare che il passo propagandistico successivo, descriverà l’occupazione della Jugoslavia come una guerra preventiva e umanitaria per salvare le genti slave (oppure l’umanità intera) dal comunismo. Più concretamente, la comunicazione politica ha giocato sordidamente coi numeri: le quasi 11mila vittime per mano jugoslava comprendono le salme recuperate dalle foibe (circa un migliaio), i morti nei campi di concentramento jugoslavi (qualche migliaio) e un’altra frazione di presunti “infoibati”. Le 5mila vittime perite nel lager della risiera di San Sabba rappresentano, per contro, solo una parte infinitesima di quelle causate dall’occupazione nazi-fascista del Regno di Jugoslavia.


Occorre altresì evidenziare come il paradigma del totalitarismo costituisca un elemento portante della comunicazione. Le potenziali conseguenze ideologiche sono evidenti, a cominciare “dalla possibilità di scagionare le popolazioni civili da ogni corresponsabilità con le politiche seguite dalle istituzioni che le hanno governate” (Cfr. AA.VV, 2002). L’impatto socio-culturale dell’uso reale di questo paradigma sarà ovviamente determinato dalle forze culturalmente egemoni. È appena il caso di accennare che per il regime di Tito potrebbe essere più efficace la verifica del concetto di autoritarismo (cfr. Linz, 2000).


Due ulteriori appunti. Le salme riesumate dalla Foiba di Basovizza appartenevano a soldati tedeschi uccisi durante bombardamenti alleati. Sarebbe quindi opportuno che gli studenti accompagnati presso i luoghi della memoria apprendessero la reale identità dei poveri resti in essa rinvenuti. Così pure, che dai processi fatti nel dopoguerra, solo un italiano risulterebbe “infoibato” a Basovizza, il triestino Mario Fabian, volontario del citato Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza (Cernigoi, 2005).


Politica e riscrittura della storia


Citando Jaques de La Palice, la storia contemporanea è oggetto di revisioni condizionate dall’inevitabile uso politico. Emblematica è la riscrittura della Resistenza che inizia dagli anni ‘90 con la fine del primo regime partitocratico repubblicano e lo “sdoganamento” delle forze politiche eredi del fascismo. Per tale processo, la Destra ha riproposto proprie vecchie argomentazioni, tra cui il genocidio degli italiani della Venezia Giulia programmato dal regime comunista jugoslavo. La gabbia epistemologica del corrente significato di “foibe” ne è un risultato.


Ciò tuttavia non sarebbe bastato per far diventare senso comune (inteso come accettazione di posizioni pregiudiziali non meditate e assunzione acritica di opinioni e saperi che hanno solo il merito di essere diffusi) tale propaganda. È stato necessario il pentimento strumentale della Sinistra, peraltro costellato da una lunga serie di episodi di autocommiserazione. Così W. Veltroni ha affermato che “fu un odio alimentato dall’ideologia comunista a determinare la tragedia delle foibe”. Posizione “politicamente corretta” nell’ottica dei transfughi dal PCI. O W. Bordon, già sindaco comunista di Muggia e quindi deputato della Margherita, che usando il frasario neo-irredentista ha parlato di “15.000 italiani morti nelle foibe” nel corso di lavori parlamentari.


Si deve quindi rilevare la congruenza tra esternazioni politiche e limiti imposti dal paradigma delle “foibe”. Nel suo spazio ristretto, gli studiosi poi si dividono sulle motivazioni delle “violenze di massa” perpetrate dagli slavi sugli italiani, ammettendo comunque, con poche eccezioni, la pianificazione strategica di un genocidio. La tesi è sostenuta dalla constatazione “logica” che la riduzione della popolazione italiana e l’eliminazione degli avversari politici (compresi gli appartenenti a organizzazioni non comuniste o “democratiche”), avrebbero agevolato i piani politici della nascente Repubblica Socialista Federale. In tale prospettiva, e superando persino la questione della pianificazione, il senatore di Rifondazione Comunista L. Malabarba ha sostenuto che “i comunisti jugoslavi avevano assimilato a fondo il recupero del nazionalismo che stava dietro al Socialismo in un Solo Paese e tutta l’impostazione dei fronti popolari. […] La guerra, iniziata come antifascista, divenne antigermanica e antiitaliana, analogamente a quanto avveniva su scala maggiore con la Grande Guerra Patriottica” (Senato della Repubblica, 11 marzo 2004, p. 52). Tale assunto costituiva un’elaborazione del pensiero del segretario F. Bertinotti che, attingendo dal lessico marxista, aveva dichiarato che accanto al “furore popolare non si riesce a non vedere anche una volontà politica organizzata, legata ad una storica idea di conquista del potere, di costruzione dello stato attraverso l’annientamento dei nemici” (PRC, 2003). Questa linea di pensiero è sostanzialmente condivisa dall’attuale storiografia “ufficiale” slovena (cfr. Pirjevec, 2009, pag. XII).


Considerazioni conclusive


L’accettazione in ambito storiografico del significato comune di “foibe” vincola le analisi possibili del “fenomeno”, predeterminandone gli esiti. Si conferma quindi una necessità “scientifica” di rifiutare tale assunto (cfr. Cernigoi, 2005). Oltre alla verifica delle fonti dell’apparato interpretativo esposto, il processo di revisione storiografica della tragedia delle “foibe” richiede l’analisi di ciascun episodio documentato, o comunque “testimoniato”, di uccisione per mezzo di armi o per caduta violentemente indotta dai bordi delle cavità, e di occultamento di cadaveri nelle medesime. Studi di strategia militare appaiono quindi necessari, meglio se eseguiti in relazione alle caratteristiche geomorfologiche dei luoghi (cfr. Pol Vice, 2008). Nell’ambito di questo approccio, occorre indagare sia le cause generali che quelle contestuali degli eccidi. Plausibili appaiono l’odio etnico e la vendetta bellica. La cattura di prigionieri seguita dal trasferimento e dall’uccisione in massa comportano tuttavia non poche difficoltà operative per unità guerrigliere. Rispetto a tale questione tattica, le situazioni materiali delle “foibe istriane” erano senz’altro diverse da quelle delle “foibe triestine”.


L’analisi marxista può avere un ruolo determinate per il superamento del paradigma. La funzione della lotta di classe nelle vicende del confine italiano nord-orientale, la presa di coscienza del proletariato quale soggetto storico, i processi di formazione e trasformazione dei partiti comunisti, le sintesi operate tra nazionalismi e internazionalismo, sono alcuni dei possibili spunti per questo lavoro. Non ultima l’analisi del soggetto politico “democratico” (in cui viene inserito il CLN triestino) che nelle revisioni storiografiche e negli usi politici della tragedia delle “foibe” è in genere privo di ambiguità e contraddizioni e quindi strumentalmente adeguato e conforme alla rinegoziazione dell’identità nazionale.


Bibliografia


AA.VV., 2002, Totalitarismo, lager e modernità, Bruno Mondadori, Milano.

Bajc G., 2006, Operacija Julijska Krajina, Zolozba Annales, Koper.

Capogreco C.S., 2006, I campi del Duce, Einaudi, Torino.

Cernigoi C., 2005, Operazione “Foibe” tra storia e mito, Kappavu, Trieste.

Conti D., 2008, L’occupazione italiana dei Balcani, Odradek, Roma.

Day M.J., Kueny J.A., 2004, Military uses of caves. In: The Encyclopedia of Caves and Karst Science, Taylor and Francis.

Di Gianantonio A., 2006, L’arco lungo della Resistenza. Formazione, attese e pratiche politiche di una generazione tra guerra e dopoguerra. Il caso di Monfalcone. In: (a cura di Celletti D., Novelli E.) La Memoria che resiste, Memorie, 1, Cierre edizioni.

Di Sante C., Italiani senza onore, i crimini in Jugoslavia e i processi negati, Ombre corte, Verona.

Ferenc M., 2005, Absent from Public Memory. Hidden grave sites in Slovenia 60 years after the end of the World War Two. In: 1945 – A break with the past, Institute for Contemporary History, Ljubljana.

Kempe D.R., 1988, Living underground: A History of cave and cliff dwelling, Herbert Press, London.

Linz J., 2000, Totalitarian and Authoritarian Regimes, Boulder, Rienner.

Michel H., 1973, La guerra dell’ombra, Mursia, Milano.

Mihevc A., 1995, Caves as mass-graveyards in Slovenia. In: Acta Carsologica, n. 24.

Novak B., 1973, Trieste 1941-1954, Mursia, Milano.

Pirjevec C., 2009, Foibe. Una storia Italiana, Einaudi, Torino.

Pol Vice, 2008, La foiba dei miracoli, Kappavu, Trieste.

PRC, 2003, Atti del convegno sul problema storico e politico delle foibe, Venezia.

Pupo R., Spazzali R., 2003, Foibe, Bruno Mondadori, Milano.

Sluga G., 1999, Italian National Memory, National Identity and Fascism. In: Bosworth R.J.B. & Dogliani P. (ed.), Italian fascism: history, memory and representation, Palgrave, New York.

 


 

* Relazione esposta all’incontro pubblico promosso dall’ANPI “Il Giorno del Ricordo per la pace tra i popoli”, Lecce, 10 febbraio 2011. Ricerca presentata nella sessione “La Geografia e la Geologia Militare: una nuova prospettiva per gli studi storico-militari” di Geoitalia 2011, Torino, 22 settembre 2011.

 

** Consiglio Nazionale delle Ricerche – marco.dellerose@...

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[Il presidente designato della Germania, Joachim Gauck, si è reso noto alle cronache in anni recenti per alcune sue posizioni esplicite: l'apprezzamento per le dichiarazioni pubbliche di Thilo Sarrazin contro gli immigrati musulmani; la retorica pietista sugli esuli tedeschi della Slesia, e viceversa la relativizzazione dell'Olocausto commesso dai nazisti; la messa sullo stesso piano dei sistemi fascisti da una parte e socialisti dall'altra - d'altronde per un periodo è stato proprio Gauck a sovraintendere all'uso degli archivi della Stasi; la messa in discussione dell'attuale confine orientale con la Polonia; l'incitamento ai tedeschi a ritornare dai sensi di colpa al patriottismo... Costui può adesso contare sull'accordo di tutte le forze politiche parlamentari per la sua elezione, ma, in particolare, delle lodi entusiastiche dei quotidiani della destra estrema.]

http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/58273

Der Konsenspräsident
 
21.02.2012

BERLIN
 
(Eigener Bericht) - Eine Zeitung der äußersten Rechten feiert die Einigung auf Joachim Gauck als nächsten Bundespräsidenten. Während der bisherige Amtsinhaber Christian Wulff mit "Worthülsen von der 'bunten Republik'" Schlagzeilen gemacht habe, seien von Gauck "nüchterne Äußerungen" unter anderem zum Thema "Migration" bekannt, heißt es lobend in der ultrarechten Wochenzeitung Junge Freiheit. In der Tat hat Gauck durchaus positiv zu dem SPD-Politiker Thilo Sarrazin Stellung bezogen, der für rassistische Äußerungen über "Türken und Araber" bekannt ist. Der zukünftige Bundespräsident hat außerdem mit Aussagen über die deutsch-polnische Grenze, über die Umsiedlung der Deutschen und über die Shoah von sich reden gemacht. So vertritt er die Auffassung, die "Überhöhung" des "deutschen Judenmordes in eine Einzigartigkeit" nehme zuweilen eine quasireligiöse "Dimension der Absolutheit" an, die abzulehnen sei. Joachim Gauck soll in gut vier Wochen von den Abgeordneten beinahe sämtlicher Bundestagsparteien zum elften Präsidenten der Bundesrepublik Deutschland gewählt werden - in parteiübergreifendem Konsens.

Parteiübergreifend

Nach dem Rücktritt von Bundespräsident Christian Wulff haben sich fast sämtliche Parteien, die im Deutschen Bundestag vertreten sind, darauf geeinigt, den evangelischen Pastor und ehemaligen Leiter der Stasi-Unterlagen-Behörde Joachim Gauck zu seinem Nachfolger zu wählen. Gauck kann damit auf 90 Prozent der Stimmen zählen, wenn die Bundesversammlung am 18. März im Berliner Reichstag zusammenkommen wird, um über den künftigen Bundespräsidenten zu entscheiden. Das künftige deutsche Staatsoberhaupt unterscheidet sich dabei in mancherlei Hinsicht von dem letzte Woche zurückgetretenen Amtsinhaber.

Political Correctness: "Unbeliebt"

In direkten Gegensatz zu seinem Amtsvorgänger Christian Wulff stellte sich Gauck in der Debatte um rassistische Thesen des Sozialdemokraten Thilo Sarrazin. Dieser hatte im Herbst 2010 in einer Buchpublikation lautstark gegen "Türken und Araber" gewettert: Migrantische Teile der deutschen Unterschichten, behauptete er, kosteten den deutschen Staat viel Geld, brächten ihm aber zu wenig Nutzen. Der antimuslimischen Agitation, die daraufhin Wellen schlug, widersprach Wulff in seiner Rede zum 3. Oktober 2010 mit der Feststellung, der Islam gehöre zu Deutschland. Noch seine Rücktrittserklärung leitete Wulff mit dem Bekenntnis ein, ihm sei es "ein Herzensanliegen", dass sich alle, "die hier bei uns in Deutschland leben", der Republik "zugehörig" fühlten - "ganz gleich, welche Wurzeln sie haben".[1] Gauck hingegen hatte Sarrazin attestiert, "Mut bewiesen" zu haben: "Er hat über ein Problem, das in der Gesellschaft besteht, offener gesprochen als die Politik." "Die politische Klasse" könne aus seinem Erfolg lernen, dass "ihre Sprache der politischen Korrektheit" bei der Mehrheit der Bevölkerung keine Zustimmung finde.[2]

Die Schuld ad acta legen

Bekannt geworden ist Gauck vor allem als Kämpfer gegen "totalitäre Systeme". Unter diesem Begriff fasst der künftige Bundespräsident sowohl rassistisch fundierte Politikansätze der extremen Rechten als auch kommunistische Gleichheitsvorstellungen der Linken zusammen und setzt den Nationalsozialismus mit seinen Menschheitsverbrechen und die realsozialistischen Staaten, darunter die DDR, weitgehend in eins. So wird er mit der Aussage zitiert, es gebe Ähnlichkeiten bei den "Folgen staatsterroristischer Herrschaft auf die Bürger".[3] In einer "Prager Erklärung" vom 3. Juni 2008, zu deren Erstunterzeichnern Gauck gehörte, heißt es, es gebe "substanzielle Ähnlichkeiten zwischen dem Nazismus und dem Kommunismus" mit Blick auf ihre "Verbrechen gegen die Menschheit".[4] Die "Prager Erklärung" ist von jüdischen Verbänden entschieden kritisiert worden, weil sie die Menschheitsverbrechen der Shoah relativiere. Es gebe "gewisse osteuropäische Kreise, die eine Art 'Holocaust-Neid' entwickelt" hätten, wird der Direktor des Jerusalemer Simon Wiesenthal Centers, Efraim Zuroff, zitiert: "Sie sähen es gerne, wenn kommunistische Verbrechen ebenso scharf geahndet würden wie die Verbrechen der Nazis." Damit aber werde eine gänzlich unangemessene Parallele hergestellt, die letztlich nur dazu führen werde, die Deutschen zu entlasten: "Denn wenn jeder schuldig ist, dann ist eben auch keiner schuldig."[5] Dann könne man "das Ganze ad acta legen".

Die "Holocaust-Religion"

Tatsächlich ist der zukünftige Bundespräsident bereits im Jahr 2006 mit einer bemerkenswerten Stellungnahme zur Shoah an die Öffentlichkeit getreten. Demnach gebe es "eine Tendenz der Entweltlichung des Holocausts", die sich zeige, "wenn das Geschehen des deutschen Judenmordes in eine Einzigartigkeit überhöht wird, die letztlich dem Verstehen und der Analyse entzogen ist".[6] Offenkundig suchten "bestimmte Milieus postreligiöser Gesellschaften nach der Dimension der Absolutheit, nach dem Element des Erschauerns vor dem Unsagbaren"; dieses "Erschauern" jedoch könne auch durch "das absolute Böse" ausgelöst werden und sei "paradoxerweise ein psychischer Gewinn". An die Behauptung, das Gedenken an die Shoah enthalte religiöse Elemente, knüpft auch die äußerste deutsche Rechte an. Als Anfang 2009 ein Bischof der katholischen Piusbruderschaft in der öffentlichen Debatte heftig kritisiert wurde, weil er den Holocaust in Frage stellte, da hieß es in der ultrarechten Wochenzeitung Junge Freiheit, "der mächtigste Dämon der Gegenwart" sei "die Zivilreligion, in der Auschwitz an die Stelle Gottes" trete; der Holocaust werde "seiner Konkretheit und seines Kontextes entkleidet" und "auf die Höhe eines Mysteriums gestemmt, das priesterlicher Vermittlung" bedürfe.[7] Wenig später erklärte es der Autor eines anderen ultrarechten Mediums im Hinblick auf Kritik an antisemitischen Tendenzen in der katholischen Kirche [8] für "bedenklich", wenn "vom Oberhaupt der katholischen Kirche ein Kniefall vor dem negativen Heiligtum des Holocaust erwartet wird".[9] Der Autor gehört heute der Redaktion einer Zeitschrift an, die in offiziellem Auftrag an der Münchener Bundeswehr-Universität herausgegeben wird (german-foreign-policy.com berichtete [10]).

Wannseekonferenz und Stasizentrale

Öffentlich exponiert hat sich Gauck nicht zuletzt mit Äußerungen, die geeignet sind, das Verhältnis zwischen Deutschland und Polen beträchtlich zu belasten. So schrieb Gauck über die Anerkennung der polnischen Westgrenze durch die DDR im Jahr 1950, "die Kommunisten" hätten, indem sie die "Westverschiebung Polens und damit den Verlust der deutschen Ostgebiete guthießen", nur "Stalins Territorialforderungen" nachgegeben: "Einheimischen wie Vertriebenen galt der Verlust der Heimat als grobes Unrecht, das die Kommunisten noch zementierten, als sie 1950 die Oder-Neiße-Grenze als neue deutsch-polnische Staatsgrenze anerkannten."[11] Noch vor wenigen Jahren hat Gauck im Streit um die Präsidentin des Bundes der Vertriebenen (BdV), Erika Steinbach, und ihre Planungen für ein "Zentrum gegen Vertreibungen", die in Polen auf heftigen Protest stießen, sich ganz offiziell auf Steinbachs Seite geschlagen. Ein "Zentrum gegen Vertreibungen" sei in Berlin, "am Ort verschiedener 'Topografien des Terrors', dem Ort der Wannseekonferenz und der Stasizentrale, dem einstigen Regierungssitz brauner und roter Despoten", am richtigen Ort.[12]

Reifes Deutschland

Gauck hat mehrfach erklärt, "die Deutschen" täten gut daran, ihren Umgang mit der Vergangenheit ihres Landes zu ändern. "Ich frage mich, wie lange wir Deutschen unsere Kultur des Verdrusses noch pflegen wollen", urteilte er im Herbst 2010.[13] Bereits zuvor hatte er auf die Interviewfrage, ob "die Mehrheit der Deutschen" heute "reif" sei für eine "Hinwendung zu den eigenen Opfern, die Hinwendung zum Patriotischen": "So sehe ich das."[14] Tatsächlich findet der Konsenskandidat, der in Kürze ins Amt des Bundespräsidenten gewählt werden wird, auch Zustimmung in Kreisen der äußersten Rechten. "Im Gegensatz zu den Worthülsen von der 'bunten Republik', mit denen Wulff die drängenden Probleme der Zuwanderung und Integration von Ausländern verharmloste, sind von Gauck nüchterne Äußerungen bekannt" [15], heißt es zum Beispiel in der Wochenzeitung Junge Freiheit: "Der überfällige Rücktritt Wulffs und die Nominierung von Gauck als neuer Bundespräsident" seien "zwei gute politische Entscheidungen".

[1] Rücktrittserklärung. Schloss Bellevue, 17. Februar 2012
[2] Gauck attestiert Sarrazin "Mut"; www.tagesspiegel.de 30.12.2010. S. auch Herrschaftsreserve
[3] Daniela Dahn: Gespalten statt versöhnt; www.sueddeutsche.de 10.06.2010
[4] Prague Declaration on European Conscience and Communism. June 3, 2008
[5] Vergangenheitsbewältigung - nein danke; WDR 5, 21.08.2011
[6] Joachim Gauck: Welche Erinnerungen braucht Europa? www.robert-bosch-stiftung.de
[7] Thorsten Hinz: Der Super-Vatikan; www.jungefreiheit.de 13.02.2009
[8] s. dazu Der Papst und die AntisemitenDie Antithese zur Moderne (I) und Die Antithese zur Moderne (II)
[9] Larsen Kempf: Holocaust-Religion? www.blauenarzisse.de 12.05.2009
[10] s. dazu Eingeschränkte Demokratie
[11] Stéphane Courtois et al.: Das Schwarzbuch des Kommunismus. Unterdrückung, Verbrechen und Terror, München 1998
[12] www.z-g-v.de
[13] "Mutige Politiker ziehe ich vor"; www.sueddeutsche.de 30.09.2010
[14] Gauck: Erinnerung an Vertreibung leugnet nicht den Nazi-Terror; www.dradio.de 31.08.2006
[15] Dieter Stein: Joachim Gauck wird ein guter Bundespräsident; www.jungefreiheit.de 19.02.2012

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