Informazione

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La SRP al 13mo Meeting dei Partiti Comunisti e Operai


1) Atene 9-11/12/2011: Dichiarazione finale

2) Contribution of Socialist Workers Party of Croatia 
(SRP na 13-tom međunarodnom susretu radničkih i komunističkih partija: Socijalizam je budućnost /
Intervento di V. Kapuralin per la SRP alla 13.ma conferenza internazionale dei partiti operai e comunisti)

3) Intervju / Intervista a V. Kapuralin (SRP) sulle elezioni politiche tenutesi in Croazia il 5 dicembre 2011 


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http://www.resistenze.org/sito/te/pe/mc/pemcbn13-010159.htm
www.resistenze.org - pensiero resistente - movimento comunista internazionale - 13-12-11 - n. 389

da http://www.solidnet.org/13-international-meeting/2289-13-imcwp-final-statement-en
Traduzione dall'inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
13° Incontro Internazionale dei Partiti Comunisti e Operai (IMWCP)
9-11/12/2011 - Atene - Grecia
 
[foto
 
Dichiarazione finale
 
12/11/2011
 
Il 9-11 dicembre 2011, si è svolto ad Atene il 13° Incontro Internazionale dei Partiti Comunisti e Operai (IMWCP) sul tema:
 
Il socialismo è il futuro!
La situazione internazionale e l'esperienza dei comunisti 20 anni dopo la controrivoluzione in URSS. I compiti per lo sviluppo della lotta di classe in condizioni di crisi del capitalismo, guerre imperialiste, delle lotte e rivolte popolari in corso, per i diritti popolari e della classe operaia, il rafforzamento dell'internazionalismo proletario e del fronte antimperialista, per il rovesciamento del capitalismo e la costruzione del socialismo.
 
Alla riunione hanno partecipato i delegati di 78 partiti da 59 paesi. Quei partiti che non sono riusciti a partecipare per motivi indipendenti dalla loro volontà hanno inviato messaggi scritti. Salutiamo da Atene le crescenti lotte popolari che stanno liberando un enorme potenziale di emancipazione contro l'imperialismo, contro lo sfruttamento e l'oppressione capitalistica, per i diritti di lavoro e di sicurezza sociale dei lavoratori di tutto il mondo.
 
L'incontro si è svolto sotto le condizioni critiche di una profonda e prolungata crisi capitalistica che domina la scena internazionale, accompagnata dall'intensificarsi dell'aggressività dell'imperialismo espressa nelle decisioni del Vertice di Lisbona sulla nuova strategia della NATO. Questa realtà conferma le analisi tracciate nelle risoluzioni del 10°, 11° e 12° Incontro Internazionale che hanno avuto luogo rispettivamente in Brasile (San Paolo) nel 2008India (New Delhi) nel 2009 e in Sudafrica (Tshwane) nel 2010.
 
Diventa sempre più evidente per milioni di lavoratori che questa è una crisi di sistema. Non si tratta di anomalie all'interno del sistema ma del fatto che è il sistema stesso ad essere sbagliato, generando crisi regolari e periodiche. E' il risultato dell'acuirsi della contraddizione principale del capitalismo tra il carattere sociale della produzione e l'appropriazione privata capitalistica e non di una qualche versione della gestione politica del sistema o dell'aberrazione provocata dall'avidità di alcuni banchieri o capitalisti oppure dalla mancanza di meccanismi di regolamentazione efficaci. Sono i limiti storici del capitalismo ad essere messi in evidenza, insieme con la necessità di rafforzare le lotte per una rottura antimonopolista e anticapitalista, per il rovesciamento rivoluzionario del capitalismo.
 
L'impasse delle differenti versioni della gestione borghese trova dimostrazione negli Stati Uniti, Giappone, Unione europea e nelle altre economie capitalistiche. Da un lato, una linea politica restrittiva porta ad una recessione prolungata e profonda, dall'altro, la gestione politica espansiva, con grandi pacchetti di sostegno statale ai gruppi monopolistici, al capitale finanziario e alle banche, aumenta l'inflazione e conduce alla dilatazione del debito pubblico. Il capitalismo converte le insolvenze aziendali in debiti sovrani. Il capitalismo non ha altra risposta alla crisi che la distruzione di massa delle forze produttive e delle risorse, i licenziamenti di massa, la chiusura di fabbriche e l'attacco totale ai diritti lavorativi e sindacali, ai salari, alle pensioni, alla sicurezza sociale, con la riduzione dei redditi popolari e l'enorme aumento della disoccupazione e della povertà.
 
L'offensiva antipopolare va rafforzandosi e si manifesta con particolare intensità in alcune regioni. La concentrazione e la centralizzazione del capitale monopolistico sta intensificando il carattere reazionario del potere economico e politico. La ristrutturazione capitalistica e le privatizzazioni vengono sostenute con fini di competitività e di massimizzazione dei profitti del capitale, per garantire una forza lavoro più economica e la regressione di decenni in termini di diritti sociali e del lavoro.
 
L'intensità della crisi, la sua sincronizzazione globale, la prospettiva di una lenta e debole ripresa accentuano le difficoltà delle forze borghesi nella gestione della crisi, determinando l'accrescersi delle contraddizioni e delle rivalità interimperialiste, con un conseguente aumento del pericolo di guerre.
 
Gli attacchi ai diritti democratici e alla sovranità si stanno moltiplicando in molti paesi. I sistemi politici divengono sempre più reazionari. L'anticomunismo viene potenziato. Ci sono provvedimenti generalizzati contro l'attività dei partiti comunisti e operai, contro le libertà sindacali, politiche e democratiche. Le classi dominanti stanno producendo un tentativo articolato di intercettare il malcontento popolare attraverso i cambiamenti nei sistemi politici, attraverso l'utilizzo di una serie di Ong e di altre organizzazioni filo-imperialiste, attraverso i tentativi di incanalare l'inquietudine del popolo in movimenti dalle caratteristiche per quanto possibile non politiche o addirittura reazionarie.
 
Salutiamo le grandi lotte e rivolte per i diritti democratici, sociali e politici contro i regimi antipopolari in Medio Oriente e Nord Africa, in particolare in Tunisia ed Egitto. Nonostante le contraddizioni della situazione attuale, esse costituiscono un'esperienza rilevante che il movimento comunista dovrebbe studiare e utilizzare. Allo stesso tempo, condanniamo con forza la guerra imperialista della NATO e dell'Unione europea contro il popolo libico e le minacce e le interferenze negli affari interni di Siria e Iran. Riteniamo che ogni intervento straniero contro l'Iran, sotto qualsiasi pretesto, rappresenti un attacco agli interessi dei lavoratori iraniani e alle loro lotte per le libertà democratiche e i diritti sociali.
 
Questi sviluppi confermano la necessità di rafforzare i Partiti Comunisti e Operai in modo che possano svolgere il loro compito storico, rendere più forti le lotte dei lavoratori e dei popoli in difesa dei loro diritti e aspirazioni, sfruttare le contraddizioni del sistema e quelle interimperialistiche per un rovesciamento in termini economici e di potere, per la soddisfazione dei bisogni popolari. Senza il ruolo guida dei partiti comunisti e operai e della classe d'avanguardia, la classe operaia, i popoli saranno vulnerabili alla confusione, assimilazione e manipolazione da parte delle forze politiche che rappresentano i monopoli, il capitale finanziario e l'imperialismo.
 
Sono in corso significativi riallineamenti nella correlazione di forze internazionali. Vi è il relativo indebolimento della posizione degli Stati Uniti, la stagnazione produttiva generale della più avanzata tra le economie capitaliste e l'emergere di nuove potenze economiche globali, in particolare la Cina. Sono in crescita le contraddizioni tra i centri imperialisti e fra questi e le cosiddette economie emergenti.
 
L'aggressività imperialista sta aumentando. Ci sono già diverse aree regionali in cui si stanno intensificando tensioni e guerre: in Asia, Africa e Medio Oriente, con la crescente aggressività di Israele soprattutto contro il popolo palestinese. Allo stesso tempo notiamo l'emergere in Europa di forze neonaziste e xenofobe, di molteplici azioni, minacce e attacchi contro i movimenti popolari e le forze politiche progressiste in America Latina. La militarizzazione è stata rafforzata. Il rischio di una conflagrazione generale a livello regionale diventa ancora più grande. In questo senso, sono fondamentali l'espansione e il rafforzamento del fronte sociale e politico antimperialista e le lotte per la pace al fine di sradicare le cause delle guerre imperialiste.
 
Esistono due percorsi di sviluppo:
 
- La via capitalista, quella dello sfruttamento dei popoli che crea grandi pericoli di guerre imperialiste e per i diritti democratici dei lavoratori e dei popoli;
 
- E la via della liberazione, con immense possibilità per la promozione degli interessi dei lavoratori e dei popoli, per il conseguimento della giustizia sociale, della sovranità popolare, della pace e del progresso. La via delle lotte operaie e popolari, la via del socialismo e del comunismo, che sono storicamente necessari.
 
Grazie al contributo decisivo dei comunisti e dei movimenti sindacali di classe, in Europa e in tutto il mondo le lotte operaie sono state ulteriormente rafforzate. L'aggressività imperialista continua a incontrare la risoluta resistenza popolare in Medio Oriente, Asia, Africa e America Latina. Questo fatto, insieme con l'esperienza accumulata fino ad ora soprattutto in America Latina, le lotte e i processi che hanno luogo dimostrano la possibilità di resistenza, della lotta di classe, affinché i popoli facciano passi in avanti e guadagnino terreno infliggendo colpi all'imperialismo con l'obiettivo dell'eliminazione della sua barbarie.
 
Salutiamo le lotte operaie e popolari e segnaliamo la necessità di rafforzarle ulteriormente. Le condizioni richiedono una intensificazione della lotta di classe, della lotta ideologica, politica e di massa al fine di impedire le misure antipopolari e di promuovere gli obiettivi di lotta che soddisfino le attuali esigenze del popolo. Richiedono anche un contrattacco operaio organizzato per una rottura antimonopolista e antimperialista, per un rovesciamento del capitalismo che ponga fine allo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo.
 
Oggi le condizioni sono mature per la costruzione di larghe alleanze sociali antimonopoliste e antimperialiste, in grado di sconfiggere la multiforme offensiva e aggressione imperialista, e lottare per il potere e per l'attuazione di profondi e radicali cambiamenti rivoluzionari. L'unità della classe operaia, l'organizzazione e l'orientamento di classe del movimento operaio sono fattori fondamentali per garantire la costruzione di alleanze sociali efficaci con i contadini, i settori della classe media urbana, il movimento delle donne e quello della gioventù.
 
In questa lotta il ruolo dei Partiti comunisti e operai a livello nazionale, regionale e internazionale e il rafforzamento della loro cooperazione, sono indispensabili. L'attività congiunta e coordinata dei Partiti comunisti e operai, delle organizzazioni comuniste giovanili e delle organizzazioni antimperialiste di cui i comunisti sono un elemento importante, costituisce uno degli elementi più sicuri per l'espansione della lotta e il rafforzamento del fronte antimperialista.
 
La lotta ideologica del movimento comunista è di vitale importanza al fine di difendere e sviluppare il socialismo scientifico, respingere l'anticomunismo contemporaneo, affrontare l'ideologia borghese, le teorie anti-scientifiche e le correnti opportuniste che rifiutano la lotta di classe. Per combattere in conseguenza di ciò il ruolo delle forze socialdemocratiche che difendono e attuano politiche antipopolari e filo-imperialiste sostenendo la strategia del capitale e dell'imperialismo. La comprensione del carattere unitario dei compiti delle lotte per l'emancipazione sociale, nazionale e di classe, per la promozione dell'alternativa socialista, richiede la controffensiva ideologica del movimento comunista.
 
Il rovesciamento del capitalismo e la costruzione del socialismo, costituiscono una necessità imperativa per i popoli. In considerazione della crisi capitalista e delle sue conseguenze, le esperienze e le pratiche internazionali dell'edificazione socialista dimostrano la superiorità del socialismo. Sottolineiamo la nostra solidarietà con i popoli in lotta per il socialismo e che sono impegnati nella costruzione del socialismo.
 
Soltanto il socialismo può creare le condizioni per eliminare la guerra, la disoccupazione, la fame, la miseria, l'analfabetismo, l'insicurezza di centinaia di milioni di persone, la distruzione dell'ambiente. Solo il socialismo crea le condizioni per lo sviluppo in accordo con gli attuali bisogni dei lavoratori.
 
Operai, contadini, lavoratori di città e campagna, donne, gioventù, vi chiediamo di lottare insieme per porre fine a questa barbarie capitalista. C'è una speranza, c'è una prospettiva. Il futuro appartiene al socialismo.
 
IL SOCIALISMO E' IL FUTURO!
 
Atene, 11 dicembre 2011


=== 2 ===

(intervento di V. Kapuralin per la SRP alla 13ma conferenza internazionale dei partiti operai e comunisti, Atene 9-11 dicembre 2011)



SRP na 13-tom međunarodnom susretu radničkih i komunističkih partija: Socijalizam je budućnost

Contribution of Socialist Workers Party of Croatia 

Dear Comrades
I greet you on behalf of the Socialist Workers’ Party of Croatia, as well in my own name, And I thank the organizers of this important conference to the invitation and an opportunity to address you.
The escalation of violence in the world, which is ongoing, from tectonic geopolitical changes 90-ies of last century, carried out by the most reactionary forces of rampant capitalism, is different from the intervention and aggression that occurred after the W 2. The first one were carried out mainly by the USA, while the UN tried to respond as much as the role for which they were established.
By the collapse of socialism in Eastern Europe, the 90-ies of last century, interventions are performed according to the new doctrines, use of new technologies, and assume on new forms.
It began in 1991. with the first Gulf War, with the brutal aggression by the United States and its allies in Iraq. Continued in 1999. aggression on an unprecedented proportions on the territory of the Federal Republic of Yugoslavia, which resulted in abducting a part of territory belonging to Republic of Serbia.
In 2001th was subsequent aggression in Afghanistan, which lasts to this day, In 2003. year, followed the second Gulf War, or the repetition of the aggression on Iraq, and finally an epilogue the recent events in Libya. For all of them is significant indiscriminate selection of live targets, and a growing proportion of civilian casualties in relation to the military with large infrastructural destruction.
The parameters according to which intervention and aggression after the 90-ies of the last century, differs from those before this period, are more than obvious.
Although the U.S. still determined: where, against whom, when and why intervene to and in these interventions have a major role, they are no longer alone. Their goal is to share the burden of war and human sacrifice, switch to your allies and local marionettes. A new dimension is the inclusion subjects such as NATO and the EU. Throughout this period is depreciated the role of the UN and it was gradually substituted with the NATO. The last brutal intervention in Libya, are formally and allow by the UN, thereby are from subject of peace, became the subject of aggression, classified with the aggressor.
The new wave of intervention in question is different also by an absurd use of weapons, Which contaminate the area for a very long time. This additionally supports the definition of capitalism as a destructive order.
Technology of evil, that imperialism is applied, except by abolishing the sovereignty of states and peoples, made it possible to chosen to make decisions about life and death of individuals and entire populations.
The essence of today’s methods of use of force is to determine who may and who may not kill. Of course the only regimes that have a right to kill were so called regimes of Western democracies. Because they do that based on procedures that draw from the deep roots of their concept of freedom in using the argument of force. So we witnessed that people can be killed in the bedroom in pajamas, and to be passed down to all the video link, for strictly selected audience. Thus is in real world, derived the former imaginary film story in which the agent 007, that time only had a license to kill.
It is evident that capitalism, which has fulfill his historical mission offers no longer respond to the needs, nor capitalism itself, let alone humanity. It creates a deeper and deeper social, political, and ecological crisis thereby is further defined as a destructive order. The analysis of these destruction imposing necessity of expanding the focus from the essential spheres of action in an existential.
If mankind fails to abolish capitalism, it will terminate humanity.

Atens, 9.-11. December

Vladimir Kapuralin


=== 3 ===

Intervju sa Vladimirom Kapuralinom u Puli, dan poslije izbora

P. Sta su pokazali jucerasnji, 5. decembra, izbori u Hrvatskoj?

O. Izbori u Hrvatskoj su pokazali ono što se dalo naslutiti u vremenu koje im je prethodilo. Veliko nezadovoljstvo gradjana, na način kako je dosadašnja garnitura na vlasti vodila zemlju, dovelo je do oštre polarizacije birackog tijela , na frustriranu većinu koja je na svaki način tražila poraz HDZ-a i priklonila se koaliciji tzv. ljevog centra i na manjinu koja je ostala vijerna destruktivnom HDZ-u.
Za ostale je tu bilo malo prostora. Osim spomenuta dva pola uspjeh je postigla i lokalna stranka ekstremnih nacionalista ciji osnivac i predsjednik Branimir Glavaš izdržava višegodišnju zatvorsku kaznu zbog pocinjenih ratnih zločina prema civilima.
Nije mi poznato da igdje u svijetu izbornu kampanju vode pravomocno osudjeni ratni zlocinci.
Zatim valja istaknuti i uspijeh stranke imenom Laburisti, koja se ne odrice kapitalizma. Ocito da su glasači pokušali u njima vidit ono što oni nisu.

P. Kako je prošao SRP, jedina stranka autentičke ljevice.

O. SRP, kao stranka autentičke ljevice, opterećena je sa dva hendikepa. Kao jedina stranka u Hrvatskoj, koja se zalaže za ukidanje kapitalizma i za uvodjenje socijalizma, je po toj osnovi u potpunosti ignorirana od strane pisanih i elektroničkih medija, permanentno. Ono malo medijskog prostora kojeg smo na osnovi cenzusa dobili u kampanji nije bilo dovoljno, za snažnije prepoznavanje od strane birača.
Drugo je kronicni nedostatak materijalnih sredstava, Primjera radi dvije vodeče stranke u izborima HDZ i koalicija tzv. ljevog centra su prvog dana kampanje, koja je trajala dva tijedna, potrošile svaka po 140.000 eura, dok smo mi u cijeloj kampanji potrošili cca 5000 eura. Pa smo i pored toga odradili kampanju bolje nego dosada, ali stereotip o potrebi davanja glasa favoritima prevagnuo je kod glasača.

P. Što bi trebalo poduzet da se to promijeni.

O. Mogu reci da je SRP jedina stranka autenticne ljevice koja se pojavljuje na prostorima bivse Jugoslavije, neprekidno na svim politickim i administrativnim izborima.
Za stranke poput naše, koje žive i rade u uvjetima žestoke stigmatizacije iluzorno je očekivati veći uspijeh u situaciji potpunog izostanka me?unarodne solidarne pomoći, koja je bila itekako prisutna u vrijeme postojanja socijalističkog bloka u Evropi. Snažne komunističke i radničke partije u svijetu morat i će prestati okretati glavu od tog problema i odrediti se dali je i u njihovom interesu da subjekti nosioci socijalističke ideje i dalje slabe, umjesto da jačaju.

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Intervista a Vladimir Kapuralin, Pola 6 dicembre

D. Vlado, cosa hanno dimostrato le elezioni di ieri, 5 dicembre?

R. Le ultime elezioni in Croazia hanno dimostrato quello che già ci si poteva aspettare. Il grande scontento dei cittadini su come i governanti hanno condotto il paese finora ha provocato una polarizzazione dell'elettorato, con la frustrazione della maggioranza, che in tutti i modi cercava di abbattere l' HDZ e che si è rivolta alla coalizione del cosiddetto centrosinistra, e la minoranza rimasta fedele al distruttivo HDZ.
Per gli altri è rimasto ben poco spazio. Oltre ai due Poli, un certo successo lo ha ottenuto il partito locale del nazionalismo estremo il cui fondatore Branislav Glavas si trova detenuto in carcere con una pena pluriennale, accusato per i crimini commessi contro i civili durante la guerra civile.
Non mi risulta che in nessuno Stato al mondo un condannato per i crimini commessi possa condurre una campagna elettorale. Poi bisogna ricordare il successo dei Laburisti, i quali non rinunciano al capitalismo. E' evidente che gli elettori hanno cercato di trovare in essi quello che loro non sono.

D. Come è andata per il SRP (Partito Socialista dei Lavoratori), unico partito di autentica sinistra?

O. Il SRP, quale autentico partito di sinistra, è stato gravato da due handicap. Il primo: è l' unico partito in Croazia che si batte per l'abolizione del capitalismo e l'avvio del socialismo, ed è per questo che è stato ignorato permanentamente dai media sia cartacei che elettronici. Quel poco spazio consentitoci in base alla percentuale acquisita durante la campagna elettorale non è stato sufficiente per un più forte riconoscimento da parte degli elettori.
Il secondo handicap è la mancanza cronica di fondi. Per esempio, i due maggiori partiti alle elezioni - l' HDZ e la coalizione di Sinistra - il primo giorno della campagna elettorale, durata per 2 settimane, hanno speso ciascuno 140.000 euro, mentre noi circa 5000 euro in tutta la campagna elettorale.
Malgrado ciò abbiamo fatto un lavoro migliore rispetto agli anni passati - con volantinaggi ecc. Ma lo stereotipo della necessità di dare i voti ai favoriti per abbattere l' HDZ ha prevalso presso gli elettori.

D. Che si dovrebbe fare per cambiare questo?

R. Hm, non abbattersi! Bisogna andare avanti! Per i partiti come il nostro, che vivono e lavorano in condizione fortemente svantaggiate è illusorio attendersi un maggiore successo senza un aiuto solidale internazionale, quale era fortemente praticato nel periodo del campo socialista europeo.
I più forti partiti comunisti e operai di tutto il mondo dovranno smettere di distogliere lo sguardo da questo problema e decidere se è anche loro interesse che questi soggetti e portatori dell' idea socialista si indeboliscano ulteriormente, invece di rafforzarsi.

(a cura di CNJ-onlus)


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(srpskohrvatski/italiano)

GIUSTIZIA INTERNAZIONALE


Al vertice UE del 7-8 dicembre 2011 la Croazia ha firmato ufficialmente per diventare membro della UE: nessuna condizione è stata posta in merito ai diritti delle centinaia di migliaia di Serbi cacciati dalle loro case, né su quelli che sono tuttora desaparecidos.
La Croazia non riconobbe la secessione etnica delle province della Slavonia e delle Krajine e fu aiutata dai paesi UE a ripulire etnicamente tutta l'area, IMPEDENDO quella secessione manu militari.

Allo stesso vertice UE alla Serbia è stato negato di nuovo lo status di candidato: la nuova condizione posta (dopo quelle sulla cattura dei "criminali di guerra") è che la Serbia riconosca ufficialmente la secessione etnica della provincia del Kosovo-Metohija.
La Serbia non riconosce la secessione etnica della sua provincia e per questo i paesi della UE le hanno fatto la guerra ed hanno occupato militarmente il territorio, IMPONENDO questa secessione manu militari.

Si noti che l'ingresso della Croazia nella UE viene sancito nel ventennale del riconoscimento, da parte dei paesi della UE, della secessione della Croazia dalla RFS di Jugoslavia (deciso a Maastricht nel dicembre 1991): la UE premia così simbolicamente venti anni di politiche ustascia. 

(a cura di Italo Slavo)


LINKOVI:
 
Ivica Dačić - Prihvatanje nezavisnosti Kosova i Metohije je uslov za EU kandidaturu
http://www.youtube.com/watch?v=B3hNVNZxIYM

Z. Jovanovic - Potez Brisela pokazuje da Srbiju tretiraju kao "poseban slucaj"
http://www.beoforum.rs/komentari-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/275-zivadin-jovanovic-potez-brisela-pokazuje-da-srbiju-tretiraju-kao-poseban-slucaj.html

Spisak poginulih i nestalih
http://www.veritas.org.rs/srpski/spiskovi1a.htm
Listings of missing/ killed persons
http://www.veritas.org.rs/engleski/listings1a.htm

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Parlamento UE vota sì a ingresso Croazia
(fonte AnsaMed 1° dicembre 2011)

La Croazia sarà il ventottesimo Stato membro dell’Ue: a dare il via libera finale è stato il Parlamento europeo oggi a Bruxelles, con un voto a larga maggioranza. Gli eurodeputati hanno poi rivolto un lungo applauso al presidente del Parlamento croato, Luka Bebic, presente nell’aula della plenaria. La prossima tappa del processo è la firma del trattato, fissata il 7 dicembre prossimo, a cui seguiranno le ratifiche da parte degli Stati membri dell’Ue e l’ingresso ufficiale di Zagabria, previsto il primo luglio del 2013. A sottolineare l’importanza del voto di oggi è stato il presidente del Parlamento europeo, Jerzy Buzek, aprendo i lavori dell’assemblea. «Durante questo viaggio verso l’adesione - ha detto Buzek - il nostro dialogo con il Parlamento croato è stato un motore importante delle riforme». «Non vediamo l’ora - ha aggiunto il presidente dell’Europarlamento - di salutare i parlamentari croati, prima come osservatori e poi come membri a pieno titolo» della stessa assemblea.
«Questo voto non è solo un segnale per la Croazia, ma per il futuro dell’Ue»’ ha detto l’eurodeputato socialdemocratico Hannes Swoboda, relatore della proposta di risoluzione, chiedendo una forte maggioranza alla vigilia del voto.
Gli eurodeputati seguiranno il monitoraggio pre-adesione della Commissione Ue e nella risoluzione invitano Zagabria ad affrontare importanti sfide, fra le quali la lotta contro il crimine organizzato, l’aumento degli sforzi sul fronte dei crimini di guerra e le riforme economiche strutturali.


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Libye et putréfaction morale


Dove sono i "pacifisti" e gli "anti-razzisti" italiani ?
Inviato da: "momotombo @ libero.it"  - Mar 8 Nov 2011 6:31 pm
Continuano praticamente indisturbati veri e propri pogrom contro i "neri" in Libia (siano essi libici o immigrati da altri paesi africani). I taglia-gole di Al Cia-ida agiscono indisturbati sotto la super-visione dei loro nuovi padroni coloniali e nel silenzio dei loro sostenitori "indignados" nostrani: intellettuali, giornalisti, gruppuscoli della galassia trotzkista, la cosìdetta "società civile" dell'alternativa Vendoliana/disobbediente. Qualcuno aveva definito questi taglia-gole "rivoluzionari" e perfino fatto paragoni con la Comune di Parigi. Uno dei motivi del linciaggio mediatico e fisico di Gheddafi è stata la sua amicizia nei confronti dei "neri" africani e la volontà irrinunciabile per difendere i diritti della donna in Libia. Che aspettano ora i nostri democratici a organizzare un bel convegno sui diritti a Tripoli?


1) La reconquête de la Libye et la putréfaction morale de l’extrême-gauche européenne
par Bahar Kimyongur

2) Libia: Imperialismo e la Sinistra
di Stephen Gowans


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Autres liens en langue francaise:

L'Etat Major russe dément que kadhafi a bombardé sa population (Russia Today)
http://www.youtube.com/watch?v=BpG1xgWxjwQ

<< Etes-vous révisionniste ? >> BHL nous explique la vérité
VIDEO: http://www.youtube.com/watch?v=TAQpv_EEjUc
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=== 1 ===

http://www.michelcollon.info/La-reconquete-de-la-Libye-et-la.html?lang=fr

La reconquête de la Libye et la putréfaction morale de l’extrême-gauche européenne

Bahar Kimyongur

5 décembre 2011

Comment le mouvement anti-guerre a-t-il laissé faire ? Comment des militants avertis en sont-ils parvenus à gober tout ce que Sarkozy, TF1, Le Monde, France 24 et le Figaro leur balançaient sur Kadhafi ? Comment se peut-il que des êtres doués d’une conscience et d’une intelligence aigues n’aient pas tiré les leçons de la tragédie afghane ou irakienne qui se déroule encore sous leurs yeux ? Comment l’extrême gauche européenne en a pu arriver à applaudir la coalition militaire la plus prédatrice du monde ? Comment se fait-il que le lynchage d’un chef d’Etat tiers-mondiste, torturé à coups de pieds, de poings et de crosses de fusil, sodomisé avec un tournevis, le supplice d’un grand-père de 69 ans qui a vu quasi toute sa famille anéantie, bébés compris, ait réuni dans une même chorale les « Allah ou Akbar » de djihadistes voyous, les « Mazel Tov » du philosophe légionnaire franco-israélien Bernard-Henri Lévy, les tchin-tchin des Messieurs de l’OTAN, l’explosion de joie cynique d’Hillary Clinton diffusée sur la chaîne CBS et les hourras des pacifistes européens ?



On se rappellera que pour empêcher l’invasion de l’Irak dont le régime était bien plus despotique que celui de Mouammar Kadhafi, nous étions parfois dix millions à travers le monde. De Djakarta à New York, d’Istanbul à Madrid, de Caracas à New Delhi, de Londres à Pretoria, nous avons mis notre hostilité envers la dictature baathiste en sourdine pour arrêter l’acte le plus irréparable, le plus destructeur, le plus lâche, le plus terroriste et le plus barbare qui soit, à savoir la guerre.


En dehors des nombreuses manifestations de soutien à la Jamahiriya libyenne organisées sur le continent africain et dans une moindre mesure en Amérique latine et en Asie, la solidarité avec le peuple libyen, a été quasi inexistante. Ce peuple composé d’une myriade de tribus, de coutumes et de visages, ce peuple qui a commis le crime d’aimer son dirigeant et dictateur, d’appartenir au mauvais camp, à la mauvaise tribu, à la mauvaise région ou au mauvais quartier, n’a eu droit à aucune compassion. Les médias aux ordres ont ignoré l’existence de ce peuple qui, le 1er juillet encore, était un million dans les rues de Tripoli à défendre sa souveraineté nationale, sa révolution authentique et ce, au nez et à la barbe des chasseurs bombardiers de l’OTAN. Au même moment, un autre peuple, quasi identique à celui de Tripoli, un peuple tout aussi innocent qui pourtant n’a jamais mobilisé plus de quelques dizaines de milliers de manifestants même avec l’appui massif des commandos qataris [1], des propagandistes du djihad venus d’Egypte, de Syrie ou de Jordanie [2], même avec les techniques de cadrage trompeuses des caméras d’Al Jazeera amplifiant l'effet de foule, fut désigné « peuple à lui tout seul ». Ce peuple-là bénéficia de toutes les faveurs et de toutes les attentions. De toutes les armes et de toute l’impunité aussi. L’humanisme paternaliste et intéressé de l’OTAN à l’égard de ce pauvre peuple a ému nos gauchistes au point de leur faire dire : « Pour une fois, l’OTAN avait raison d’intervenir ».


Sans doute que le mirage des bouleversements sociaux que l’on appelle abusivement « printemps arabe » a contribué à brouiller les pistes, sans doute que la volte-face (coïncidant avec la démission de nombreux journalistes indépendants) des chaînes satellitaires arabes comme Al Jazeera qui sont désormais le joujou des pétromonarchies du Golfe et des stratèges américains ont semé la confusion, sans doute que la propagande de guerre était cette fois mieux préparée, sans doute que les rodomontades de Mouammar Kadhafi et de son fils Saïf Al Islam sciemment mal traduites par les agences de presse internationales ont aidé la propagande occidentale à rendre ces hommes détestables. Tout cela ne peut cependant expliquer l’incroyable silence approbateur des mouvements alternatifs européens prônant le changement social.


 
Défendre le faible contre le puissant


Depuis l’aube de l’humanité, s’il est une vertu qui a toujours élevé l’homme, c’est le sens de la justice. Quand la justice vient à manquer, parfois, les hommes sont pris d’une soif inextinguible et se battent pour elle au prix de leur vie. Dans l’histoire, divers courants philosophiques et mouvements sociaux ont un jour pris fait et cause pour la justice.


De nos jours et dans nos contrées, les femmes et les hommes qui brûlent pour Dame Thémis se disent souvent de gauche. Ils ont fait de la défense du faible contre le puissant leur combat, parfois leur raison d’être. Ils rejettent catégoriquement la loi du plus fort. Scrutant l’histoire, ces amoureux de la justice se placent quasi par réflexe du côté des Spartiates face aux troupes perses du roi Xerxès, du côté des Gaulois ou des Daces face aux légions romaines, du côté des Aztèques ou des Incas face aux Conquistadores de Pizarro ou de Cortes ou encore du côté des Cheyennes face à la cavalerie étasunienne du colonel Chivington ou du général Custer [3]. Le Juste n’est pas dupe. Il sait que c’est au nom de nobles causes comme la civilisation, la modernité ou les droits de l’homme que le colonisateur a réduit les « Barbares » en esclavage et exterminé près de 80 millions d’Indiens d’Amérique. Il sait aussi qu’en défendant le droit à la vie des Amérindiens par exemple, il cautionne indirectement des sociétés qui menaient des luttes fratricides ou des guerres d’annexion, qui pratiquaient le sacrifice humain ou le scalp. Le Juste est conscient que si l’on s’oppose à la guerre en Irak, on reconnaît implicitement la souveraineté nationale de l’Irak et donc, le maintien au pouvoir du régime de Saddam Hussein. Ce paradoxe n'a pas empêché le Juste de s'indigner du traitement réservé par le régime baathiste irakien ou par la Jamahiriya libyenne à leurs opposants. Il a légitimement dénoncé les abus de pouvoir de certains privilégiés du système Kadhafi, à commencer par le Guide lui-même, sa famille et son clan, les tortures et les exécutions sommaires perpétrées par les services de sécurité libyens, les opérations de séduction que le régime a lancées vers les puissances impérialistes dont il a graissé la patte des chefs d’Etat. Mais lorsque les opposants libyens se sont compromis aux pires ennemis de l’humanité, lorsqu’ils sont devenus de vulgaires agents de l’Empire et se sont à leur tour livrés à des actes de barbarie notamment contre les loyalistes, leurs familles, les Libyens noirs et les émigrés subsahariens, nos Justes n’ont pas bronché. Ils n’ont pas dénoncé l’imposture. Ils auraient pu dire : « plutôt que de faire la guerre en Libye, sauvons la Corne de l’Afrique sacrifiée par les marchés financiers ». En détruisant le pays le plus prospère et le plus solidaire d’Afrique pendant que la Corne de l’Afrique agonisait par la famine et la sécheresse, l’Empire nous a offert une occasion unique de lui porter un coup en pleine figure. Mais au lieu de rappeler cette cruelle réalité aussi intelligible et concrète qu’un slogan de lutte, nos Justes se sont terrés dans leur silence, se contentant de rabâcher les mêmes vieux clichés sur le régime libyen pour se donner bonne conscience et justifier leur couardise. 


Pourtant, le Juste ne se tait jamais avec les lâches comme il ne hurle jamais avec les loups. Il ne renvoie jamais dos à dos le petit et le grand tyran. Non pas qu’il apprécie le petit tyran mais il estime que dans un monde où le Léviathan atlantiste est caractérisé par une voracité, une violence et une félonie sans égal, il est indigne de s’allier à lui pour écraser le petit tyran, en l’occurrence Kadhafi.


Si la résistance anti-régime qui s’est déclarée en Cyrénaïque, fief des monarchistes, des salafistes et autres agents pro-occidentaux, avait repris à son compte le moindre slogan anti-impérialiste, si elle avait été un tant soi peu patriotique, progressiste, intègre, conséquente et organisée, dès lors, la question de soutenir celle-ci ne se serait pas posée étant donné qu’avec un tel programme et un tel profil, à défaut de pouvoir la corrompre, l’OTAN aurait au moins tenté de soutenir le camp adverse, à savoir celui de Kadhafi. Or, dès le début de l’insurrection, il paraissait évident que la présence en son sein de quelques intellectuels et cyber-dissidents potiches bénéficiant d’un appui médiatique exceptionnel (alors que visiblement ils ne représentaient qu’eux-mêmes et leurs protecteurs occidentaux) ne faisait pas d’elle un mouvement démocratique et révolutionnaire.


Par conséquent, en Libye, le Juste devait défendre Kadhafi malgré Kadhafi. Il devait le défendre non pas par sympathie pour son idéologie ou ses pratiques mais par réalisme. Parce que malgré certains aspects douteux de ses manœuvres diplomatiques et de son mode de gouvernance, pour la Libye, l’Afrique et le Tiers-monde, Kadhafi représentait avec ses investissements économiques, ses programmes sociaux, son système laïc, ses tentatives (certes ratées) d’instauration d’une démocratie directe garantie par la Charte verte de 1988, sa politique monétaire bravant la dictature du franc CFA et finalement, ses forces armées, la seule alternative réelle et concrète à la domination coloniale à défaut d’avoir mieux dans une région dominée par des courants obscurantistes et serviles.


[PHOTO: Silvio Berlusconi reçoit Muammar Kadhafi arborant la photo d’Omar Mukhtar, le héros de la résistance libyenne à la colonisation italienne. L’image montre la pendaison du héros libyen après son arrestation par les fascistes italiens, en 1931. Kadhafi obtient de l'Italie des excuses et une indemnité de 5 milliards de dollars pour le crime de colonialisme.]


 
La niaiserie des « ni-ni »


Ni l’OTAN ni Slobodan. Ni Sam ni Saddam. Ni les USA, ni les Talibans. A chaque guerre, ils nous servent la même recette. Face à un prédateur comme jamais l’humanité n’en a connu auparavant qui désormais maîtrise terre, mer et ciel, un ennemi sans foi ni loi qui s’est juré de mettre l’humanité à genoux et de faire régner le siècle américain, leur devise est un vibrant « ni-ni ». Alors que le pot de fer a atomisé le pot de terre, tout ce qu’ils trouvent à dire, c’est un simple « ni-ni ». Cette posture d’apparence innocente a pour seul effet de décourager et de démobiliser les forces démocratiques et pacifistes. Elle offre donc un chèque en blanc aux forces qui dirigent les opérations de conquête de la Libye.


Parmi les « ni-ni », certains intellectuels se réclamant du trotskisme comme Gilbert Achcar ont hélas applaudi la guerre de conquête de l’OTAN [4]. D’autres comme le Nouveau Parti anticapitaliste (NPA) ont adopté une posture schizophrénique, oscillant entre critique « protocolaire » de l’OTAN (faut quand-même pas qu’on passe pour des pro-impérialistes tout de même) et approbation de sa mission d’élimination de Kadhafi [5]. D’autres militants proche de la même mouvance [6], ont été jusqu’à lancer des appels à l’armement des mercenaires djihadistes à la solde de l’OTAN, ces mêmes fanatiques qui veulent en découdre avec le nationalisme de Kadhafi considéré comme une menace à leur projet panislamique, qui brûlent son Livre vert taxé d’ « œuvre perverse », « communiste et athée » destinée à « remplacer le Coran ». D’après certains membres d’une 4e Internationale aussi hypothétique qu’inoffensive, le CNT serait malgré tout une « force révolutionnaire ». Peu importe que le CNT soit composé de tortionnaires anciennement kadhafistes, de maffieux et d’islamistes équarrisseurs de « mécréants laïcs », peu importe que le CNT soit nostalgique du fascisme et du colonialisme italien [7] et veuille offrir la Libye aux Empires sur un plateau d’argent, peu importe que le CNT soit financé et armé par la CIA, les commandos SAS britanniques, les royaumes du Qatar et d’Arabie saoudite et même par le président soudanais Omar El-Béchir lui-même poursuivi par la CPI pour crimes contre l’humanité, peu importe que l’OTAN commette des crimes contre la population civile libyenne, nos amis trotskistes ont tranché : le CNT, c’est l’avant-garde révolutionnaire... Nostalgiques de la guerre d’Espagne comme toujours, certains d’entre eux me disaient qu’il fallait offrir aux rebelles libyens de nouvelles brigades internationales. Sans doute se sont-ils réjoui que le matamore des beaux salons grand amateur de tirades antifranquistes, le bien nommé BHL les ait écoutés. Brandissant le glaive de la liberté qui reflète sa sainte image et la bannière frappée de l’invincible rose des vents, le Durruti milliardaire a dérouté les troupes de Kadhafi en bombant son torse glabre. Il est entré dans Tripoli sans se presser à la tête de sa Brigade internationale, à cheval sur un missile Tomahawk…


N’est-il pas piètrement ridicule pour des gauchistes qui n’ont jamais touché à une arme de leur vie et qui crachent sur toutes les guérillas marxistes du monde parce qu’elles seraient staliniennes, de faire campagne pour l’acheminement d’armes fabriquées à l’usine d’armement belge, la FN de Herstal, à destination de mercenaires indigènes à la solde des nos élites ? Camarades trotskistes, dites-nous donc combien d’armes vous avez fait parvenir à « vos » libérateurs ? Combien de brigadistes avez-vous envoyé sur le champ de bataille ? Combien de porteurs de valises avez-vous recrutés ? Honnêtement, qui des barbus supplétifs de l’OTAN ou des combattants enrôlés dans l’armée de Kadhafi sous la bannière du panafricanisme ressemblent plus aux Brigades internationales ? Comment un tel aveuglement, un tel pourrissement idéologique et moral a pu se produire parmi des forces qui se disent radicales et progressistes ?


Après nous avoir sidéré et parfois écœuré par ses frasques, son orgueil et ses excentricités, Mouammar Kadhafi aura à la fin de sa vie au moins eu le mérite de renouer avec son passé révolutionnaire. Au moment le plus critique de son existence, il a résisté à l’OTAN. Il est resté dans son pays en sachant que l’issue du combat lui serait fatale. Il a vu ses enfants et petits-enfants se faire massacrer et pourtant, il n’a trahi ni ses convictions ni son peuple. Peut-on en espérer de voir un jour le tiers du quart de la bravoure, de l’humilité et de la sincérité de Kadhafi parmi nos camarades de l’extrême-gauche européenne dans leur lutte contre l’ennemi commun de l’humanité ?
 


Bahar Kimyongür
Le 4 décembre 2011



Notes


[1] De l’aveu même du général Hamad ben Ali al-Attiya, chef d’état-major qatari. Source : Libération, 26 octobre 2011
[2] Des rebelles « libyens » parlant des dialectes issus de différents pays arabes étaient régulièrement montrés sur les chaînes satellitaires arabes.
[3] Dans tous ces cas, des tribus en lutte avec leurs frères ennemis ont fait appel ou se sont alliées aux envahisseurs. L’alliance OTAN/CNT libyen n’est que l’ultime épisode de la longue histoire des guerres de conquête appuyées par des populations indigènes.
[4] Interview de Gilbert Achcar réalisée par Tom Mills du site britannique New Left Project, 26 août 2011. Version française de l’interview disponible sur le sitewww.alencontre.org
[5] Communiqués NPA des 21 août et 21 octobre 2011.
[6] Ligue internationale des travailleurs – Quatrième Internationale (4e Internationale), Parti ouvrier argentin…
[7] Le 8 octobre 2011, le président du Conseil national de transition libyen (CNT) Mustafa Abdel Jalil a célébré le centenaire de la colonisation de la Libye par l’Italie aux côtés du ministre italien de la défense, Ignazio de la Russa, issu du Mouvement social italien (MSI), un parti néofasciste. Cette période de déportations, d’exécutions et de pillages fut d’après Abdel Jalil une « ère de développement ». Source : Manlio Dinucci, Il Manifesto, 11 octobre 2011



[PHOTO: Le président du CNT Moustafa Abdeljalil célèbre le centenaire de l'occupation italienne à l'occasion de la venue en Libye du ministre de la Défense italien, Ignazio La Russa (Peuple de la Liberté, ancien sénateur néofasciste du MST).]


Source : michelcollon.info



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Libia: Imperialismo e la Sinistra


di Stephen Gowans


Stephen Gowans è uno scrittore e attivista politico che vive ad Ottawa, Canada. I suoi articoli di fondo sono apparsi con regolarità su Canadian Content ed è un collaboratore assiduo di Media Monitors Network.

In passato, Gowans gestiva direttamente un proprio sito web, What’s Left in Suburbia?. Attualmente, dal febbraio 2007, Gowans ha messo in diffusione il suo lavoro su un blog dal titolo What's Left.


(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)


per concessione di what's left
fonte: http://gowans.wordpress.com/2011/08/28/libya-imperialism-and-the-left/
data dell’articolo originale: 28/08/2011

URL dell’articolo: http://www.tlaxcala-int.org/article.asp?reference=6099


Mentre nelle analisi sugli interventi imperialisti viene spesso indagato il carattere di classe dei regimi sotto assedio delle potenze occidentali, ed è spesso invocato per giustificarli, questo non spiega i veri motivi per cui le potenze imperialiste capitaliste intervengono, nemmeno si pone come giustificazione per le loro azioni.


La considerazione relativa alla spiegazione del perché gli interventi si verificano non risiede nell’orientamento politico del governo sotto assedio, nemmeno interessa le relazioni con i suoi cittadini, ma attiene agli interessi della classe dominante, di ricavare profitto nei paesi oggetto dell’intervento.

Questi, fanno buona accoglienza agli investimenti stranieri, permettono il rimpatrio dei profitti, esigono poco in termini di imposta sul reddito delle società, aprono i loro mercati, e mettono a disposizione abbondanti forniture di manodopera a basso costo e materie prime?

Oppure, impongono alte tariffe sulle importazioni, sovvenzionano la produzione nazionale, consentono le attività di imprese di proprietà statale (limitando le opportunità per le imprese straniere di proprietà privata), costringono gli investitori a trattare con partner locali, e insistono sul fatto che i lavoratori siano protetti da salari di disperazione e da condizioni di lavoro intollerabili?

Per quanto si potrebbe supporre che gli interventi imperialisti abbiano come obiettivo solo governi che operano in favore della classe operaia e contadina, questo non è il caso.  

Anche regimi che promuovono gli interessi della loro borghesia nazionale, negando o limitando nel proprio paese gli interessi a scopo di lucro della classe dominante di altri paesi, sono regolarmente presi di mira per un cambio di regime, soprattutto se sono deboli militarmente o presentano sistemi politici pluralisti che offrono spazio alla destabilizzazione e ad interferenze politiche.

Per i paesi imperialisti, gli effetti prodotti da un regime locale contano nella stessa maniera: ad esempio, considerando l’espropriazione di una compagnia petrolifera di proprietà privata straniera, non importa se questa compagnia venga consegnata ad uomini d’affari locali, allo Stato, o agli impiegati della società; per i paesi imperialisti è una questione di suprema indifferenza che l’espropriazione avvenga per mano di comunisti, socialisti o nazionalisti radicali.

Che voi siate ispirati da Marx e Lenin, dal socialismo del 21 ° secolo, o dalle politiche capitaliste già messe in atto dagli Stati Uniti, Germania e Giappone a sfidare il monopolio industriale della Gran Bretagna, se state andando a mettere i bastoni fra le ruote del carro delle opportunità di fare profitti da parte di una classe capitalista di un paese imperialista, per voi saranno pasticci!

Gheddafi è stato demonizzato dal Dipartimento di Stato degli USA per le sue “politiche sempre più nazionaliste nel settore energetico”, e per aver cercato di “libianizzare” l’economia. (1)

Ha “dimostrato di essere un partner problematico per le compagnie petrolifere internazionali, spesso aumentando tasse e balzelli, e sottoponendole a continue richieste.” (2)

E la sua politica commerciale e gli investimenti esteri tutti in favore della Libia avevano creato irritazione alle banche, alle compagnie e ai grandi investitori dell’Occidente nella loro continua ricerca di cogliere le opportunità di lucrosi profitti in tutto il mondo.

Hanno la stessa probabilità di essere bersaglio di disegni imperialisti anche i rivali capitalisti, che competono per l’accesso alle opportunità di investimento e commerciali nei paesi del terzo mondo. Anche loro possono diventare gli oggetti di destabilizzazione, di guerra economica, e di accerchiamento militare.

Ciò è evidenziato da uno dei ruoli della NATO: contendere sfere di sfruttamento.

Il segretario generale dell’organizzazione Anders Fogh Rasmussen, nello spiegare perché i paesi della NATO devono spendere di più per le loro forze armate, sottolineava che: “Se non siete in grado di schierare truppe oltre i vostri confini, allora non vi sarà possibile esercitare un’influenza a livello internazionale, e quindi questo vuoto sarà riempito da potenze emergenti che non necessariamente condividono i vostri valori e il vostro modo di pensare.” (3)

Da questo si può trarre la conclusione significativa che quando si tratta di Africa e Medio Oriente, che sono probabilmente le aree del mondo a cui Rasmussen allude, la ragion d’essere dell’Alleanza è quella di sostenere il gioco dei Nord-americani e degli Europei occidentali, di escludere i Russi, i Cinesi e i Brasiliani, e di mantenere sottomessi i nativi .

Ma comunque lo si interpreti, è chiaro che il segretario generale dell’Alleanza non vuole intendere che la NATO deve essere solo un’organizzazione di mutua difesa, ma uno strumento che deve essere utilizzato dai paesi sviluppati per competere con quelli emergenti.

L’interesse e la preoccupazione per la legittimità degli interventi dei paesi della NATO, pur in riferimento al carattere di classe dei governi presi di mira, non coglie il punto. Non è il carattere di classe di un regime, né il modo in cui vengono trattati i suoi cittadini, che spiegano le ragioni per un intervento contro di esso, ma il carattere di classe dei paesi che intervengono. Questo dunque illumina se l’intervento sia legittimo o meno!

I principali paesi della NATO sono tutte società incontestabilmente di classe, in cui grandi compagnie, banche e investitori ultra-ricchi esercitano una influenza gigantesca sulle loro società.

I loro rappresentanti e i loro leali servitori occupano posizioni chiave dello Stato, anche e soprattutto quelle che determinano gli affari militari e stranieri, e i ricchi sistemi societari hanno accesso a risorse che permettono loro di esercitare pressioni sui governi, molto più energicamente di quello che possa esercitare qualsiasi altra classe o gruppo di interesse.

Di conseguenza, la politica estera di questi paesi riflette gli interessi della classe che domina questi paesi. Sarebbe oltremodo strano se non fosse così.

Comunque, le ansietà di fare profitti non si dissolvono quando amministratori delegati delle corporation, giuristi societari e banchieri vengono assegnati a posti statali chiave per la politica estera, e nemmeno quando costoro elaborano le raccomandazioni di politica estera per i governi nell’ambito di organizzazioni delegate a costruire consenso élitario, come il Council on Foreign Relations; o quando esercitano pressioni in favore di presidenti, primi ministri e segretari e ministri di gabinetto. [Il Council on Foreign Relations (Consiglio sulle relazioni estere) è un’associazione privata statunitense, composta soprattutto da uomini d’affari e leader politici che studiano i problemi globali e giocano un ruolo chiave nella definizione della politica estera degli Usa.]

Evidentemente sono necessari interventi diretti!

Dunque, per questo motivo, gli interventi degli Stati Uniti e della NATO, spacciati come umanitari per ovvie ragioni di pubbliche relazioni, in buona sostanza sono pratiche per proteggere e promuovere gli interessi della classe che domina la politica estera. Questo risulta abbastanza chiaro dalle pagine economiche dei principali quotidiani.

Nei giorni scorsi, la sezione “affari e finanza” del New York Times annunciava che “Ha inizio la corsa per accedere alle ricchezze petrolifere della Libia.”

Eric Reguly, editorialista economico per The Globe& Mail, il giornale dell’élite finanziaria del Canada, riecheggiava la questione:

“I più importanti protagonisti dell’industria petrolifera, nel frattempo, stanno sbavando per reclamare le loro vecchie concessioni e per nuove ruberie, tanto più in quanto la loro produzione di petrolio è in declino. I grandi bacini petroliferi di Ghadames e Sirte, in gran parte off-limits per le compagnie petrolifere straniere da quando il colonnello Gheddafi è salito al potere 42 anni fa, sono particolarmente attraenti. E così sono i giacimenti petroliferi della Libia in mare aperto.

Chi otterrà il premio? Il Consiglio nazionale di transizione ha già detto che premierà quei paesi che hanno bombardato le forze del colonnello Gheddafi.

‘Non abbiamo problemi con i paesi occidentali e con le compagnie italiane, francesi e britanniche,”così la Reuters ha riportato le dichiarazioni di Abdeljalil Mayouf, un portavoce della compagnia petrolifera ribelle Agogco, sottolineando che ‘Invece, possiamo avere alcuni problemi politici con la Russia, la Cina e il Brasile.’”

L’editoriale di Reguly si sviluppava secondo il titolo “Hanno bombardato e quindi mieteranno.”

Per altro, queste nazioni raccoglieranno i frutti anche in altro modo:

“Colui che sta alla testa del Consiglio nazionale di transizione, Mustafa Abdel-Jalil, esplicitamente ha promesso di premiare con contratti nella ricostruzione post-bellica dello Stato quelle nazioni, che hanno sostenuto la rivolta della Libia” (4)

Questo è il cerchio incantato dell’imperialismo aggressivo!

Miliardi di dollari vengono pompati dalle tasche dei contribuenti e riversati in quelle dei produttori di armi per costruire l’apparato bellico. La macchina da guerra viene tenuta sotto pressione, pronta contro i paesi i cui governi hanno negato o limitato le opportunità di fare profitti alle compagnie, alle banche e ai grandi investitori del paese imperialista (molti dei quali hanno interessi nella produzione di armamenti), causando gravi danni alle infrastrutture dei paesi vittima.

Vengono imposti regimi “compradori”, che spalancano le porte del loro paese alle esportazioni e agli investimenti del paese che ha messo in atto l’aggressione, e invitano questo paese prevaricante a insediare basi militari sul loro territorio. Allo stesso tempo, i nuovi regimi incanalano contratti per la ricostruzione verso il paese aggressore, per ricostruire ciò che il suo apparato bellico ha distrutto.

Così, la classe capitalista del paese aggressore fa profitti secondo tre modalità: attraverso contratti per il sistema di difesa, attraverso la ricostruzione post-bellica, attraverso nuove opportunità di investimenti ed esportazioni.

Una risoluzione pacifica della guerra civile in Libia avrebbe interrotto questo cerchio magico. C’è da meravigliarsi, allora, che Washington, Parigi e Londra abbiano ignorato tutte le proposte per una soluzione negoziata?

Potrebbe essere offerta una spiegazione alternativa. Per quanto le più importanti compagnie petrolifere e le società di ingegneria dei paesi leader della NATO trarranno profitto dalla caduta di Gheddafi, le motivazioni per l’ intervento erano tuttavia indipendenti da grossolane preoccupazioni di natura commerciale, ed invece erano essenzialmente umanitarie.

Ma se così fosse, si dovrebbe spiegare come è stato che le preoccupazioni umanitarie della NATO venivano unicamente riversate su un paese, la Libia, in cui possono ottenersi ancora opportunità di fare profitti per l’industria petrolifera occidentale, mentre la NATO non è rimasta scossa da preoccupazioni umanitarie per la situazione degli Sciiti del Bahrein, le cui proteste pacifiche sono state represse violentemente da una monarchia assoluta - con l’aiuto dei carri armati e delle truppe di tre altre monarchie assolute.

Due sono l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti; la terza che ha contribuito alla violenta repressione della rivolta del Bahrein, il Qatar, merita una menzione speciale.

Magnificata dalla stampa occidentale per il suo contributo ai ribelli libici, ai quali ha fornito armi, aerei da guerra, addestramento, riconoscimento diplomatico, e strumenti propagandistici (Al Jazeera è di proprietà dello Stato del Qatar!), questa monarchia assoluta è stata portata alle stelle come una vera amica dei “democratici” nella loro lotta contro la dittatura e la repressione.

Il New York Times faveca riferimento ad Al Jazeera come un “canale di notizie indipendente” (5), anche se non è chiaro da chi Al Jazeera sia indipendente. Il Times non ha mai, a mia conoscenza, fatto riferimento ai mezzi di informazione di proprietà statale dei paesi sotto assedio imperialista come “indipendenti”, questo aggettivo elogiativo e impossibile (tutti i media sono dipendenti, che si tratti dello Stato o di investitori privati) è riservato ai mezzi di comunicazione che hanno adottato punti di vista conformi agli interessi del consiglio di amministrazione del New York Times e dei suoi più importanti proprietari.

Il Bahrein, una società modello esemplare per gli investitori occidentali, ha già riversato a piene mani le occasioni di fare profitti sulle compagnie petrolifere occidentali. È anche sede della Quinta Flotta degli Stati Uniti. Quindi, “de facto” costituisce una zona di espansione dell’economia degli Stati Uniti, ed inoltre del territorio degli Stati Uniti, e così il suo governo può fare ciò che gli pare, fintanto che continuerà a mantenere felice Wall Street.


Bombardamenti, sanzioni, destabilizzazione e rinvii a giudizio presso la Corte Penale Internazionale sono riservati a quei governi che “aumentano tariffe e tasse” per le imprese petrolifere statunitensi e tentano di nazionalizzare le loro economie, una chiara “linea rossa” in un’epoca di imperialismo.


Secondo il punto di vista di qualche settore della sinistra, interventi imperialisti sono sopportabili fintanto che producono il rovesciamento di un regime capitalista, a prescindere dal fatto che un altro regime capitalista gli possa succedere. Naturalmente, l’esito di ogni intervento imperialista di successo contro un regime nazionalista borghese si manifesta con la sostituzione di questo regime con uno “compradore”. Ad un intervento capitalista molto difficilmente corrisponde un avanzamento.


Per ancora un altro settore della sinistra, quello che conta decisamente è il carattere del governo sotto assedio. Il carattere dello Stato che aggredisce, al contrario, non importa per nulla - non che questo Stato sia sottoposto al dominio dettato dagli interessi corporativi, delle banche e degli investitori; non il suo operato nel perseguire guerre di conquista; nemmeno il suo continuo ricorso alla falsificazione per giustificare le sue aggressioni.

Per questi “membri della sinistra”, così come sono, ad essere riprovevole è il governo preso di mira, mentre il loro modo di considerare è angelico o ben intenzionato. In questo quadro, per loro, il tentativo di Gheddafi di schiacciare una rivolta deve intendersi collocato su un piano ben più barbaro rispetto, ad esempio, alla guerra in Iraq, che ha creato una catastrofe umanitaria su una dimensione che le repressioni di Gheddafi non avrebbero mai uguagliato.

Che sorta di illusione porta a credere che gli Stati Uniti e Gran Bretagna, gli architetti di rapacità e di macellazione su scala globale, siano (a) angelici e ben intenzionati, (b) motivati ​​nella loro politica estera da umanitarismo, e (c ) che stiano sostenendo un ruolo costruttivo in Libia?


I più pusillanimi fra quelli di sinistra sono coloro che condannano allo stesso modo i brutalizzati e i brutalizzatori. Assumono una posizione di tutta comodità, anche se moralmente vile, ma la loro condanna dei governi presi come bersaglio è non pertinente. Dato che la natura dei governi sotto assedio non ha nulla a che vedere con le ragioni dell’intervento, e interventi da parte del capitale imperialista non portano questa giustificazione, in questo contesto non può esistere che un’unica ragione per fare la scelta di condannare la vittima di questa aggressione e parimenti l’aggressore: il desiderio di rispettabilità e un’inclinazione ad adeguarsi all’opinione pubblica corrente, non contestandola e non offrendo una analisi alternativa, anti-egemonica.

Supponete di avere come vicina della porta accanto una donna dalle cattive maniere, completamente antipatica, che è riuscita ad allontanare tutti quelli che conoscete. Un giorno, il marito la picchia. Voi condannate il marito che picchia la moglie, e non dite nulla del carattere di questa donna. Perché dovreste fare così? Sottolineare il carattere della donna non scusa il comportamento del marito. Oppure, potreste condannare entrambi ugualmente, facendo notare quanto sia deplorevole chi picchia la moglie, ma stigmatizzate anche la vittima per le sue cattive maniere e i suoi modi fastidiosi. Questo secondo agire è insostenibile, e chi si comporta così dovrebbe giustamente essere rimproverato.

Tuttavia, questi che stanno seduti nel recinto della sinistra fanno lo stesso quando insistono nel condannare i governi dei paesi aggrediti dai paesi imperialisti capitalisti, per dimostrare che loro non appoggiano i crimini per cui vengono accusati quei governi.

Peggio ancora, si rifiutano di indagare sulla veridicità delle accuse, per poi perfino contestare se queste accuse non reggono ad un esame obiettivo, per paura di essere denunciati come apologeti. Invece, costoro molto semplicemente accettano come vere le accuse, anche se accuse simili contro altre vittime in occasioni simili si sono dimostrate pure e semplici invenzioni (le armi di distruzione di massa dell’Iraq, per esempio.)

Questa è apologia di un altro tipo, in nome della classe che controlla il recinto dove stanno tranquilli questi di sinistra. E lì vengono tenuti su un terreno sicuro. In seguito, costoro potranno affermare, come hanno fatto in tanti in concomitanza con la truffa delle armi di distruzione di massa degli Iracheni: “Non sapevamo. Sono sconvolto, sconvolto!, che il governo ci abbia ingannato.”

Tuttavia, l’analogia suggerisce che gli interventi avvengono solo nei paesi in cui i governi si comportano in modo riprovevole, e questo non è il caso.

Certo, l’impressione prodotta dagli assalti della propaganda che accompagnano gli interventi è che quei regimi presi di mira sono assolutamente detestabili e, di conseguenza, la loro scomparsa è da desiderarsi, anche se l’intervento prodotto è stato scatenato per ragioni sbagliate.

E dagli appartenenti alla sinistra, se costoro vogliono essere accettati alla corte dell’opinione corrente dei “rispettabili”, ci si aspetta la genuflessione davanti alla raffigurazione come criminali dei paesi fatti segno dell’aggressione, per tema di essere accusati di essere apologeti di dittatori, o utili idioti. Ma succede a volte che i crimini di cui sono accusati i regimi colpiti non esistono assolutamente, o si tratta di azioni sconsiderate non pesanti, nel peggiore dei casi.


La narrazione per spiegare la necessità di un intervento in Libia è che una rivolta pacifica di Libici fautori della democrazia contro la dittatura di Gheddafi stava sul punto di essere schiacciata nel sangue. Una narrazione che naviga più vicino alla verità è che l’insurrezione, scatenata dagli eventi che si stavano succedendo in Tunisia e in Egitto, traeva le sue origini dalla frattura in corso da lunga data tra un governo laico, nazionalista, da un lato, e Islamisti e elementi “compradori” dall’altro. Anche se questo non spiega del tutto la rivolta, spiega una buona parte delle sue cause.

La repressione delle forze reazionarie che minacciano lo Stato è un crimine? Se sei un Libico islamista, monarchico o un esule mantenuto dalla CIA, la risposta è “sì”, così come è “sì”, se sei un ideologo di questo particolare intervento imperialista. Ma se siete Gheddafi, e i suoi sostenitori laici e nazionalisti, la risposta è “no”.

È significativo il fatto che poche persone stiano lanciando seri appelli alla NATO perché l’Alleanza organizzi un’operazione a protezione dei civili del Bahrein dalla repressione violenta di una monarchia assoluta. Per quanto molto del giro di vite del regime di Khalifa contro i manifestanti del Bahrein sia considerato criminale, non è un crimine di dimensione abbastanza grande da giustificare un intervento della NATO.

Infatti, è difficile concepire una qualche giustificazione per un intervento NATO, poiché i paesi della NATO sono solo buoni a impegnarsi in interventi come investimenti.

Ci deve essere una promessa di una ricompensa lucrativa per una élite di padroni capitalisti, perché l’investimento in costi di sangue e di denaro possa essere ​​giustificato: concessioni petrolifere libere da imposizioni e tasse che riducono i profitti; nuove opportunità di investimenti ed esportazioni; contratti per la ricostruzione. L’umanitarismo non deve costituire il punto essenziale.

Ma ammettiamo pure per il momento, ed è ingenuo il farlo, che la NATO decida di intervenire per ragioni di altruismo: questo è tanto possibile quanto il leone accucciato con l’agnello.

Perché dovremmo invocare un intervento contro Gheddafi, ma non contro Khalifa? Le ragioni per cui banchieri, imprese e grandi investitori dominano la politica estera dei paesi della NATO dovrebbero rendere lampante tutto ciò. Che appartenenti alla sinistra agiscano nello stesso modo, fa sorgere l’immediata domanda su cosa si intende per “sinistra”.


Diana Johnstone e Jean Bricmont hanno accusato settori importanti della sinistra europea per non essersi opposti con forza all’intervento della NATO nella guerra civile della Libia, e in molti casi di averla sostenuta. (6) Ma questo è come biasimare le pecore perché pascolano sull’erba. Mentre, purtroppo, non vi è nulla di strano o senza precedenti, che persone che si considerano parte della sinistra politica, anche socialisti, vadano a schierarsi con le eruzioni imperialiste del loro governo.

Questo è accaduto almeno a partire dalla Prima guerra mondiale.

Lenin ha offerto una spiegazione - e che si trovi la sua spiegazione convincente o no, il fenomeno che si è proposto di spiegare non si può negare. Un settore della sinistra regolarmente si mette al fianco del proprio governo imperialista, mentre un altro settore trova il modo di sottilmente appoggiarlo, mentre professa opposizione.

L’unico settore della sinistra occidentale, con una o due eccezioni, che può essere considerato affidabile per una effettiva opposizione all’imperialismo, e in possesso di un qualche tipo di consapevolezza evoluta e sofisticata su questo, sono i Leninisti.


Max Elbaum puntualizza questo fenomeno nel suo libro sul Nuovo Movimento Comunista degli anni ’60, “Revolution in the Air”.

Egli scrive: “Gli attivisti degli ultimi anni sessanta hanno sentito un forte legame politico ed emozionale con l’ala leninista del movimento socialista. Durante la Prima guerra mondiale, quest’ala rompeva decisamente ‘con quei socialisti che avevano sostenuto la guerra, o almeno avevano fatto poco o nulla per opporvisi’.

Gli attivisti erano attratti dal leninismo perché, come i primi seguaci di Lenin, ‘anche loro avevano trascorso anni in lotte frustranti con le forze più autorevoli della sinistra che si erano trascinate stancamente, o peggio, nella campagna contro la guerra’.”

Elbaum attribuisce il rifiuto del socialismo democratico ad opporsi con vigore alla guerra degli Stati Uniti contro il Vietnam al sostegno che la costruzione del Nuovo Movimento Comunista riceveva.

“Anche se i socialisti democratici di oggi non parlano molto di questo”, scrive Elbaum, “i socialdemocratici degli Stati Uniti hanno avuto un ruolo di freno o addirittura trainante all’indietro nel movimento contro la guerra del Vietnam.”

L’affiliato ufficiale degli Stati Uniti all’Internazionale Socialista, il Partito Socialista, “in realtà sosteneva il conflitto” ed “era quasi del tutto assente dalle attività contro la guerra.”

Il direttore di Dissent, Irving Howe, tra i più influenti socialdemocratici degli Stati Uniti, “a lungo si oppose alla richiesta di immediato ritiro dal Vietnam.”

Michael Harrington, forse il più noto fra i socialdemocratici degli Stati Uniti, mai ha pronunciato senza mezzi termini una denuncia della guerra. Secondo il suo sodale biografo, Maurice Isserman, Harrington faceva riferimento alla guerra come una forza della natura piuttosto che un prodotto dell’azione umana (una tragedia, come un uragano o un terremoto, piuttosto che uno strumento dell’imperialismo statunitense), per paura di alienarsi “i suoi compagni politici più stretti e di lunga data, che sostenevano il massacro ...” Harrington considerava i suoi compagni socialdemocratici favorevoli alla guerra non come collaborazionisti reazionari ed arretrati ma come “buoni socialisti con i quali egli differiva solo su questioni marginali.” (7)

A livello internazionale, i socialisti democratici hanno agito in modo da provocare disgusto.

“I socialisti francesi, mentre stavano al governo hanno condotto la guerra coloniale in Algeria, completa di torture. Il governo del partito laburista in Gran Bretagna, guidato da Harold Wilson, ha sostenuto la politica americana in Vietnam, nonostante le sue perplessità.” E “i socialdemocratici in tutto il mondo sono stati tra i sostenitori del sionismo e gli oppositori più accesi dell’autodeterminazione palestinese.”


Musica familiare?!


Alla fine degli anni sessanta, scrive Elbaum, “sembrava del tutto naturale identificarsi con la tendenza che aveva combattuto contro simili arretratezze dei socialdemocratici durante il precedente bagno di sangue imperialista.”


Ed ora, ancor di più nel 2011!




(Message over 64 KB, truncated)


http://www.en.beoforum.rs/conference-in-sao-paolo-2011/217-human-rights-of-serbs-in-the-province-of-kosovo-and-metohija.html

Zivadin Jovanovic,

President of the  Belgrade  Forum for a World of Equals,  Serbia

 

 

 Human rights of Serbs in the  Province  of  Kosovo  and Metohija

 

- Theses for a case study -

 

(Paper presented at the International Conference “Human Rights with the view to building a Culture of Peace”, held in  Sao Paolo ,  Brazil , on 2nd and 3rd of December 2011)

 

It is true that the struggle for peace and the struggle for full respect of universal human rights, as defined by UN Declaration on protection of human rights, are interdependent and non-separable. Threats to peace, violations of sovereignty and territorial integrity, military interventions, aggressions and occupations go hand in hand with massive violations of the basic human rights.

It is clear that there are no humanitarian military interventions. 

NATO military aggression against  Yugoslavia  ( Serbia ) in the spring 1999 was launched to allegedly protect human rights of Kosovo Albanians. It was the first of that sort and without approval of UN Security Council. The precedent was used later in various other parts of the world whenever it suited the interests of  USA  and NATO:  Afghanistan ,  Iraq , and  Libya . There are threats that it may be used against  Syria ,  Iran  or any other country. 

NATO aggression against Yugoslavia (Serbia and Montenegro) in 1999 left close to 4000 dead and more tan 10.000 wounded,  two thirds of whom where civilians including close to 1 hundred children. NATO forces were using missiles with depleted uranium, causing massive cancer disease, deformation of newly-born babies unknown before polluting of soil, water and food production for unbelievable period of four billion years. Economic damage caused by aggression was estimated to an amount over one hundred billion dollars.

 

Immediately after the end of the aggression,  USA  constructed on Serbian soil in Kosovo and Metohija the biggest American base in the world known as Bondstill. This was the beginning of mushrooming of  USA  and NATO military basis all over the Balkans and  Eastern Europe .

 

Today there are more  USA  and NATO military basis in  Europe  than any time during the Cold War Era.

 

Why now?

 

Warsaw  military block has been disbanded. There are no adversary social-political systems, all apparently are democratic. Who to defend and where from by long range ballistic rockets carrying nuclear heads?

 

The overall economic, financial, political and moral crises of the leading countries of the West may lead to further spreading interventionism and total disregard of the basic principles of international relations. The crises have already caused the most massive violation of human rights such as the right to employment, education, health, information.


Shortly after NATO “humanitarian” aggression on  Yugoslavia  ( Serbia ), it became clear that intervention actually resulted in an unprecedented scale of violation of human rights of Serbs and non-Albanians of Kosovo and  Metohija   Province .  Alliance  between NATO and the Albanian terrorists and separatists during the military aggression (KLA), continued ever since and reached its peak in February 2008 by unilateral proclamation of illegal secession of the Province from  Serbia . This act would never be possible without NATO aggression and support. It violated the basic principles of the national and international laws, UN Charter and UN Security Council’s resolution 1244 (1999) which guaranties sovereignty and territorial integrity of Serbia .

The consequences are that Kosovo and Metohija after 12 years of being under UN mandate continues to be the source of instability, organized international crime and spring board of extremism and terrorism toward the rest of  Europe .

 

The  Province  of  Kosovo  and Metohija is birth place of Serbian nation, culture, religion and the state. Thousands of Serbian medieval monuments witness to this. There are two large communities living in the Province - Kosovo Serbs, who are Orthodox Christians, and Kosovo Albanians, great majority of whom are Moslems. Before the beginning of the Second World War Serbian population in the Province were majority. Today, Serbs make less than 10 percent of the total population of the Province.  The drastic change in national structure was due to the policy of ethnic cleansing of Serbs over decades if not centuries - first by Turkish Empire which occupied the Province for about 500 years, then by Tito’s anti-Serbian policy, by fascist-Nazi occupation forces (1941 – 1945) of Mussolini and Hitler and finally by NATO aggression and occupation which continues up to these days.

UN Security Council Resolution 1244, of June 10, 1999 put the end of the NATO aggression but introduced military occupation of the Province, formally by international UN mandated forces (KFOR), in reality by NATO forces. Ever since June 1999, we have been witnessing large scale of individual and even institutionally-sponsored violation of basic human rights and freedoms of Kosovo Serbs. This continued in spite of any new adopted legislation which endorsed and made applicable in Kosovo all international human rights instruments.

 

Here are examples of major human rights violations.

 

No free and safe return for 250,000 displaced Serbs from Kosovo and Metohija

After June 1999, International Red Cross noted some 250,000 Serbs and other non-Albanians who had been expelled by terror, intimidation and ethnic cleansing leave their birth places and homes in Kosovo and Metohija. Current UNHCR data show return of some 18,000 Serbs, but in reality this number is some 6,000, or 2.1%. UN Mission and other international stakeholders organized the process of the return, but no results. Therefore, Serbia  remains the country with the highest number of refugees and displaced persons in the whole of  Europe .


No justice for the victims

After June 1999, close to 1,000 Serbian and other non-Albanian civilians have been abducted and eventually killed. Many of them were abducted in their working places. In July 1999, 14 people, including children, in the  village  of  Staro Gracko  were killed while harvesting in the field. In the winter 2002, a bomb was planted and set-off under a passenger bus killing many Serb passengers. In August 2003 a group of Serbian children playing by the river in  village  of  Gorazdevac , were killed. Thousands of other crimes against Serbs in the Province have been committed and non of the culprits brought to justice although justice and police are directly managed by UN and EU missions (UNMIK, EULEX).


Human organs trafficking

In December 2010, Special Rapporteur of the Parliamentary assembly of the Council of Europe, Swiss MP  Dick Marty , published Report on trafficking of human organ of abducted Serbs in 1999. The Parliamentary Assembly adopted the Report and passed Resolution demanding independent international investigation. So far no results because the people involved in this organized crime are Kosovo Albanian top politicians, former leaders of the terrorist KLA (UCK). They enjoy support and protection from  Washington ,  London  and  Berlin .

There is great need to for public preasure that the investigation in the human organs trafficking in Kosovo and Metohija be conducted under auspices of UN Security Council without further delay.


Illegal occupation of Serbian-owned property

After June 1999, Kosovo Albanians simply occupied all immovable and movable possession of 250,000 Serbs who left Kosovo, but also of Serbs who remained. Often, owners were either killed or expelled by force from their properties. In September 1999, the UN founded a body that was supposed to facilitate return property to legal owners, the Housing and Property Directorate, but there are no results.

 

General insecurity

Since June 1999, there was almost no freedom of movement outside the so-called enclaves in which Serbs found their safety in numbers, except in military-guarded convoys. Today Serbs still cannot access their businesses and land without risk of being attacked end even killed. They still cannot go churches and cemeteries without KFOR military escort.

 

Rewriting history

Ever since NATO aggression in 1999, there has been systematic distraction of any traces of Serbian monuments and Christianity in Kosovo. Some 150 Serbian Orthodox churches and monasteries have been destroyed, originating from as early as 13th and 14th centuries, including some from the UNESCO List of World Heritage. In addition, there has been a wide-spread exercise to rename remaining churches and monasteries as “Byzantine” or “Albanian”, or “Albanian castles and towers”. There is a current diplomatic battle going on in UNESCO, where Kosovo Albanians try to present this cultural heritage as heritage of Kosovo what is absurd. 

 

Violation of right to health

Kosovo Albanian authorities have been stopping and seizing shipments of medical equipment and medical drugs intended for medical facilities in Serbian enclaves. In addition, they have been willfully and intentionally trying to worsen situation for Serbian populated areas, by cutting the electric power supply. For three years in the row, in winters of 2005, 2006 and 2007, they have been cutting power supply to Serbian enclaves on the pretext of payment etc. They have been rejecting offers of Serbian government for humanitarian and free-of-charge electric power supply, thus exposing population to health hazards. In 2009, they have stopped power supply to the Serbian enclave of Strpce in the southernmost part of Kosovo for three months, pressing local population to sign new contracts. Unfortunately, none of international stakeholders voiced any concerns over this act.

 

Violation of right to education

Since June 1999, all cities and towns in Kosovo except Mitrovica in the north were ethnically cleansed and became mono-ethnically Albanian. Serbs and other ethnic groups were driven to villages. School facilities were inaccessible for Serbian schoolchildren. They had to resort to inadequate premises for schools. However, most drastic situation is in Gorani community. The Goranis are local Serbian speaking ethnic group of Muslim belief, who have been exposed to incessant assimilation attempts and forced to accept Albanian language and Albanian curriculum. This pressure still goes on.

 

Let me sum up what has been said:

 

Struggle for peace and struggle for social, economic, political and cultural human rights are invisible tasks of peace movements and all peace loving forces.

Freedom, equality in rights and opportunities and independence of states and nations are preconditions for full respect of human rights as provided for in the UN GS Declaration on human rights.

Liberal corporate capitalism in its imperialistic stage is the chief source of massive violation of the basic human rights of the mankind.

Global economic, financial, political and moral crisis of the western societies is accompanied by the most massive violation of the basic human rights after the end of the Second World War.

Global interventionism, wars and violations of human rights, disrespect of the international law and abuse of United Nations are immanent features of corporate capitalism.

There are no humanitarian military interventions whatsoever.

NATO has become the most dangerous tool for massive violation of human rights in the second half of XX and first decade of XXI centuries. Therefore NATO as remnant of the cold war area should be dismantled, including all its military bases all over the world.

Abuse of human rights for spreading domination of imperialism is impermissible and should be stopped.

Territorial integrity and sovereignty of each country should be fully respected in the interest of peace and stability. Natural and economic resources are subject to the sovereign rights and sole control of concrete countries and can not be excuse for any intervention into internal affairs.

The role of the UN, respect of the UN Charter and UN GS Declaration on protection human rights should be reaffirmed and reinforced.

The sovereignty and territorial integrity of  Serbia  should be respected and  UN   SC  resolution 1244 (1999) fully implemented.

Unilateral secession of  Serbian   Province  of Kosovo and Metohija is not acceptable and should not be recognized. We call for peaceful solution of the issue of the status respecting  UN   SC  resolution 1244 and equal human rights of all inhabitants of the Province.

All Serbs and other non-Albanians expelled from the Province after NATO aggression should be given all necessary conditions for free and safe return to their homes in the Province.

The use of the missiles with depleted uranium should be formally banned by international convention.



=== * ===




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[L'importante documentario norvegese "Srebrenica: una città tradita", da noi a suo tempo segnalato, è oggetto di ire furibonde non solo da parte della lobby bosgnacca, ma persino da parte dei responsabili del "Tribunale ah hoc" dell'Aia. Questi ultimi si sono peritati di inviare una lettera di diffida alla Radiotelevisione svedese che oserebbe trasmettere il film... E' stata iniziata una petizione di protesta contro tale atteggiamento censorio ed intimidatorio, da inviare al presidente del "Tribunale" (per adesionI: davidepet@...).
Tra la documentazione importante segnaliamo in questo post anche lo studio sui fatti di Srebrenica dell'Istituto olandese per la documentazione bellica (NIOD).
Sulla disinformazione strategica a proposito dei fatti di Srebrenica si veda anche tutta la documentazione raccolta alla nostra pagina: 
https://www.cnj.it/documentazione/srebrenica.htm ]

Srebrenica Documentary Controversy and NIOD Report


1) On the Norwegian Documentary "Srebrenica A Town Betrayed": The Controversy Continues

2) Srebrenica Historical Project: Invitation to sign on to a letter of protest to ICTY President Meron

3) On the Netherlands Institute for War Documentation (NIOD) Report on Srebrenica


LINKS:

Film: Srebrenica - Izdani grad (A town betrayed - dir. Ola Flyum - David Hebditch / prod. Fenris Film - Tore Buvarp / 2009-2010 / 59min)
http://www.youtube.com/watch?v=RUuhSGnLvv8  or  http://www.youtube.com/watch?v=3_TxfVLSXmI

Response to the Norwegian Helsinki Committee Complaint and the Helsinki Committee’s rebuttal:
https://www.cnj.it/documentazione/Srebrenica/Responses_NHCcomplaint_ENG.pdf
Nerma Jelacic (ICTY) letter to Eva Hamilton (Swedish State TV):
https://www.cnj.it/documentazione/Srebrenica/JelacicLetter_toSwedishTV.pdf

Netherlands Institute for War Documentation (NIOD) Report on Srebrenica:
http://www.srebrenica-project.com/index.php?option=com_content&view=article&id=140:niod-report&catid=12:2009-01-25-02-01-02

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http://www.srebrenica-project.com

More documents and links on "Srebrenica":
https://www.cnj.it/documentazione/srebrenica.htm 


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----- Original Message -----
Sent: Monday, October 03, 2011 9:25 AM
Subject: Srebrenica Historical Project: Norwegian Srebrenica Documentary Controversy Continues

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RESPONSE OF OLA FLYUM AND DAVID HEBDITCH TO THE NORWEGIAN HELSINKI COMMITTEE COMPLAINT
 
Filmmakers and investigative journalists Ola Flyum and David Hebditch, authors of noted documentaries, “Srebrenica: A Town Betrayed” and “Sarajevo Ricochet,” have been subjected to vitriolic denunciations by interested parties in Bosnia and in the Bosniak diaspora for presenting evidence and raising issues that completely recast the nature and course of the war in Bosnia-Herzegovina during the nineties. Their local colleagues, Bosniak investigative journalists Esad Hećimović and Mirsad Fazlić, have been subjected to a rather worse treatment – physical and even death threats. To top it all off, the Norwegian Helsinki Committee has filed against them an official complaint to the Norwegian Press Complaints Commission and Broadcasting Council for allegedly making a number of untrue statements in their controversial documentaries. In Norway, that agency monitors compliance with journalistic standards.

 

The fact that the complainer is the Helsinki Committee gives a particularly surreal, and even ludicrous, twist to this controversy. Helsinki Committees were originally set up in the seventies throughout Europe at the height of the Cold War to observe compliance with basic human rights standards in OSCE signatory countries. Freedom of expression, particularly in the media, is one of the fundamental human rights on that list. The practical effect of the Norwegian Helsinki Committee’s politically correct Complaint in this particular case is to suppress the very rights the Committee was set up to safeguard and preserve, or at least to discourage their unfettered exercise. The possibility that the documentaries may contain errors, which is entirely conceivable since they were made by human beings, certainly should not disqualify them from being presented to the widest audience in the marketplace of ideas. Those who are able to identify such errors have ample opportunity to point them out in a civilized way, without resorting to vituperative language, insults, or threats. In anticipation of the formal hearing which will be convened in a couple of weeks, the filmmakers have prepared a detailed issue-by-issue 43-page Response to the derogatory allegations that have been made against them. We are happy to share with our readers that analysis of the merits of the Norwegian Helsinki Committee’s Complaint.

 

          In the attachments [ https://www.cnj.it/documentazione/Srebrenica/Responses_NHCcomplaint_ENG.pdf ] are Flyum and Hebditch’s Response to the Norwegian Helsinki Committee Complaint to the Norwegian Press Complaints Commission, and the Helsinki Committee’s rebuttal to that Response. We have the latter in Norwegian so we can only post it in that language. As for the filmmakers’ Response, which begins in English on p. 7 of the document, it quotes extensively from the original Complaint submitted by the NHC. Readers will therefore have no difficulty noting all the disputed issues and the parties’ position in regard to them.


Response to the Norwegian Helsinki Committee Complaint and the Helsinki Committee’s rebuttal:
https://www.cnj.it/documentazione/Srebrenica/Responses_NHCcomplaint_ENG.pdf

Nerma Jelacic (ICTY) letter to Eva Hamilton (Swedish State TV):
https://www.cnj.it/documentazione/Srebrenica/JelacicLetter_toSwedishTV.pdf


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----- Original Message -----
Sent: Thursday, December 01, 2011 10:19 AM
Subject: Srebrenica Historical Project: Invitation to sign on to a letter of protest to ICTY President Meron

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Dear colleagues,


If you have not received this material already from some other source, I urge you to read it and to give it your careful consideration. It is a letter to the President of the Hague Tribunal, Theodore Meron, in reaction to a disturbing letter sent out on ICTY stationery by their spokesperson Nerma Jelacic to Eva Hamilton, director of Swedish State Television. The letter was in reaction to the Norwegian documentary “Srebrenica: A Town Betrayed” and its thrust was to prevent future broadcasting of any programs, in particular dealing with Srebrenica, which do not take ICTY verdicts as their point of departure and which “contradict” the conclusions they contain. For a copy of the Jelacic letter sent out on behalf of the Tribunal, please go to http://nspm.rs/files/LetterTownBetrayed.pdf


This scandalous attempt by a judicial institution to influence the media, and in the process to extort respect for its verdicts, has provoked widespread disapproval. David Peterson, who co-authored a number of books with Edward Herman, has composed a protest letter to President Meron and he is asking that all who agree with the position taken in the letter sign on. You can do that by sending a brief note to David at davidepet@... and expressing your agreement for your name and country where you reside to be added to the list of signers. As soon as a substantial number of signatures is gathered, the letter will be forwarded to ICTY President Theodore Meron.


It goes without saying that you are encouraged to send this note and David’s letter to all your friends and acquaintances who might also be inclined to join.


If you have not seen the Norwegian documentary, you may access it here: 

https://www.youtube.com/watch?v=RUuhSGnLvv8&feature=player_embedded 


Many thanks for your kind attention.


Stephen Karganovic

Srebrenica Historical Project
---

Open Letter to the International Criminal Tribunal for the Former Yugoslavia


To Whom It May Concern: 


On November 24, Ms. Nerma Jelacic, acting in her official capacity as the International Criminal Tribunal for the Former Yugoslavia’s Head of Outreach, addressed a letter to Ms. Eva Hamilton, the Chief Executive and Editor-in-chief of Sveriges Television (Swedish Public Television, or SVT).   

Ms. Jelacic reprimanded SVT for having broadcast in August of this year the documentary film 
Staden som offrades (“Srebrenica: A Town Betrayed”), by the Norwegian filmmakersOla Flyum and David Hebditch.[1]   


 “[M]uch of the [film’s] content runs counter to rulings made by the ICTY,” Ms. Jelacic noted.  She also asked that, “should [SVT] decide to broadcast any further material which contradicts facts irrefutably established by the ICTY including those related to the Srebrenica genocide, that the ICTY be given the opportunity to present its findings.”[2]


Clearly, Ms. Jelacic’s request is designed to intimidate SVT, and to warn other media not to follow SVT’s example and broadcast Srebrenica: A Town Betrayed.   Space and time should not be provided to any other person whose work challenges the ICTY’s alleged facts.  It is unacceptable to discuss Srebrenica outside of what Ms. Jelacic called the ICTY's “definitive judgements.”


But Srebrenica: A Town Betrayed does an impressive job of portraying much of the largely ignored but important political background and context to the Srebrenica tragedy—material that receives little or no weight in the ICTY’s judgments.  Furthermore, many of the ICTY’s accepted facts are highly contestable.[3]  We fully support Swedish Public Television’sdecision to broadcast this documentary, and consider Jelacic’s effort to obtain equal time for the ICTY’s publicists an illicit form of pressure on SVT, wholly incompatible with Western principles of freedom of speech and of the press.


As the fate of the population in the Srebrenica “safe area” after July 11, 1995 is currently an issue before the ICTY in the trial of Radovan Karadzic, and will also be an issue in the trial of Ratko Mladic, Ms. Jelacic’s intervention at SVT also amounts to a denial of the fundamental rights of the accused to be presumed innocent.  It betrays the fact that at the ICTY, there never has been any real purpose to the Srebrenica-related trials, other than mechanisms of official guilt-assignment and propaganda.[4]  It is this truth that Ms. Jelacic appears intent on shielding from criticism.  


Nerma Jelacic has long displayed animosity towards ethnic Serbs, as well as towards the wartime political structures and figures of the Republic of Serbia and the Srpska Republika within Bosnia and Herzegovina (where her hometown is located[5]).  Her current attempt as the ICTY’s Head of Outreach to intimidate Swedish Public Television adds greater weight to the contention that the central task of the ICTY is not to render unbiased justice, but to impose the official NATO interpretation of the Yugoslav tragedy. 

 

[1] For one YouTube version of the documentary in question, see Ola Flyum and David Hebditch, SrebrenicaA Town Betrayed (Oslo: Fenris Film, 2010).  
[2] Nerma Jelacic, Head of Outreach, International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia, Letter Addressed to Ms. Eva Hamilton, Chief Executive and Editor-in-Chief, SVT (Swedish Television), November 24, 2011, p. 1; p. 4.  (For a copy of this letter, written on the official ICTY letterhead, see https://www.cnj.it/documentazione/Srebrenica/JelacicLetter_toSwedishTV.pdf .)
[3] For work that powerfully contests the ICTY’s accepted facts, see, e.g., 
Germinal Civikov, Srebrenica: The Star Witness, Trans. John Laughland (Belgrade: NGO Srebrenica Historical Project, 2010); and Edward S. Herman, Ed., The Srebrenica Massacre: Evidence, Context, Politics (Evergreen Park, IL: Alphabet Soup, 2011).
[4
On the ICTY as a mechanism of official guilt-assignment and a stager of show-trials, see Edward S. Herman and David Peterson,The New York Times on the Yugoslavia Tribunal: A Study in Total Propaganda ServiceColdType, 2004, p. 29. 
[5] See Nerma Jelacic, "'Milosevic shattered my life, caused all the pain',” The Observer, June 24, 2001. Also see Nerma Jelacic,Even in death, Milosevic wins again,” The Observer, March 12, 2006.



=== 3 ===

----- Original Message -----
Sent: Monday, November 14, 2011 10:50 PM
Subject: Srebrenica Historical Project: The NIOD Report posted on our site


SREBRENICA HISTORICAL PROJECT

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E-mail: srebrenica.historical.project@...
Web site: www.srebrenica-project.com


NIOD REPORT

Everyone involved in Srebrenica research is aware of the NIOD Report which was published in 2002 by the Nederlands Instituut voor Oorlogsdocumentatie [Netherlands Institute for War Documentation, http://www.niod.nl/] in 2002. The Report, which focuses on the tragic events in Srebrenica in July of 1995 is universally regarded as a first rate research and documentation tool. It has been relied on by historians, commentators, and legal experts.

The Report came about in a very interesting way. Soon after allegations of Dutch responsibility, and even complicity, in the Srebrenica massacre were made the matter became a controversial political topic in the Netherlands. The Dutch government were facing the prospect of a politically motivated parliamentary inquiry into the role and conduct of Dutch military personnel during their presence in the UN-protected Srebrenica enclave in 1994 and 1995. It is speculated that in order to avoid further politicisation of the issue the Dutch government assigned the task of sorting out what happened in Srebrenica and its background to a respected neutral scholarly institution, the Netherlands Institute for War Documentation, also known as NIOD. It should be noted that NIOD’s principal research and documentation focus before it received this task was the World War II occupation of the Netherlands and of the Dutch East Indies. Srebrenica was a somewhat out of character assignment and it was entrusted to a team of scholars headed by the distinguished Dutch historian, Professor Hans Blom.

However one chooses to assess the final product, known as the “NIOD Report on Srebrenica”, its depth and meticulous detail are undeniable. The motives of the Dutch cabinet may have been political in seeking to avoid a parliamentary commission on Srebrenica, but the end result certainly reflects a high level of scholarship and it is refreshingly non-political.

Oddly, it is precisely the objective, non-political character of the NIOD Report which has drawn criticism from those who expected something else from it. A case in point is the following reaction which appeared on the BBC website almost as soon as the Report was published:

Mrs Catic said the protesters would meet again with the NIOD director, Hans Blom, in an attempt to persuade him to revise the findings - especially an assertion that half of those killed had fought in the Bosnian Muslim army.

They also denounced the conclusions that there was no evidence to link former Yugoslav President Slobodan Milosevic to the massacre, and that the role of Bosnian Serb leader Radovan Karadzic was unclear.[1]

One is compelled to say that it is to Professor Blom’s credit that on that occasion he refused to modify his scholarly team’s findings to make it acceptable to parties in the Bosnian conflict or to “clarify” the role of targeted defendants, which is a task for judicial organs rather than for historians.

“Srebrenica Historical Project” continues to insist that the complex events in and around Srebrenica in July of 1995 should be studied from an objective and scholarly perspective and without political preconceptions. The NIOD Report is a document of great significance to a better understanding of Srebrenica which we recommend to our readers as a reference in their own research. We therefore take pleasure in making it available to them on our website.

Readers can download the entire NIOD Report from our website at:


http://www.srebrenica-project.com/index.php?option=com_content&view=article&id=140:niod-report&catid=12:2009-01-25-02-01-02 



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(The original text, in english:
The New Authoritarianism: From Decaying Democracies to Technocratic Dictatorships and Beyond
by Prof. James Petras - Global Research, November 28, 2011
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=27908 )

Il nuovo autoritarismo: dalle democrazie in decomposizione alle dittature tecnocratiche, e oltre


del prof. James Petras

Professore emerito di sociologia all’università Binghamton di New York. Ultimo libro pubblicato: The Arab Revolt and the Imperialist Counter Attack, (Clarity Press, March 2011). Recente libro tradotto in italiano : USA: padroni o servi del sionismo? I meccanismi di controllo del potere israeliano sulla politica degli USA (Libro Press, 2007).


(traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)



Global Research, 28 novembre 2011


Introduzione

Viviamo in un tempo di cambiamenti di regime, dinamici, regressivi. Un periodo in cui sono in piena accelerazione grandi trasformazioni politiche e l’arretramento drammatico di norme legislative di natura socio-economica introdotte un mezzo secolo fa; tutto questo provocato da una crisi economica prolungata e sempre più profonda e da un’offensiva portata avanti dalla grande finanza in tutto il mondo.

Questo articolo analizza come gli importanti cambiamenti di regime in corso hanno un profondo impatto sui modi di governare, sulle strutture di classe, sulle istituzioni economiche, sulla libertà politica e la sovranità nazionale.


Viene individuato un processo in due fasi di regressione politica.

La prima fase prevede il passaggio da una democrazia in disfacimento ad una democrazia oligarchica; la seconda fase, attualmente in atto in Europa, coinvolge il passaggio dalla democrazia oligarchica ad una dittatura colonial-tecnocratica.

Si individueranno le caratteristiche tipiche di ogni regime, concentrando l’attenzione sulle specifiche condizioni e sulle forze socio-economiche che stanno dietro ad ogni “transizione”.

Si procederà a chiarire i concetti chiave, il loro significato operativo: in particolare la natura e la dinamica delle “democrazie decadenti”, delle democrazie oligarchiche e della “dittatura colonial-tecnocratica”.

La seconda metà del saggio puntualizzerà le politiche della dittatura colonial-tecnocratica, il regime che più si è discostato dal principio di democrazia rappresentativa sovrana.  

Verranno chiarite le differenze e gli elementi simili tra le dittature tradizionali militar-civili e fasciste e le più aggiornate dittature colonial-tecnocratiche, mirando l’analisi sull’ideologia del “tecnicismo apolitico” e della gestione del potere tecnocratico, come preliminare per l’esplorazione della catena gerarchica profondamente colonialista del processo decisionale.

La penultima sezione metterà in evidenza il motivo per cui le classi dirigenti imperiali e i loro collaborazionisti nazionali hanno ribaltato la pre-esistente formula di gestione del potere oligarchico “democratico”, la ricetta del “governare indirettamente”, a favore di una presa di potere senza più paraventi.

Dalle principali classi dominanti finanziarie di Europa e degli Stati Uniti è stata consumata la svolta verso un diretto dominio coloniale (in buona sostanza, un colpo di stato, con un altro nome).

Verrà valutato l’impatto socio-economico del dominio di tecnocrati colonialisti designati di imperio, e la ragione del governare per decreto, prevaricando forzatamente il precedente processo di persuasione, manipolazione e cooptazione.

Nella sezione conclusiva valuteremo la polarizzazione della lotta di classe in un periodo di dittatura colonialista, nel contesto di istituzioni svuotate e delegittimate elettoralmente e di politiche sociali radicalmente regressive.

Il saggio affronterà le questioni parallele delle lotte per la libertà politica e la giustizia sociale a fronte di governi imposti da dominatori colonialisti tecnocratici, alla fine venuti alla ribalta.

La posta in gioco va oltre i cambi di regime in corso, per identificare le configurazioni istituzionali fondamentali che definiranno le opportunità di vita, le libertà personali e politiche delle generazioni future, per i decenni a venire.


Democrazie decadenti e la transizione verso democrazie oligarchiche.

Il decadimento della democrazia è evidente in ogni sfera della politica. La corruzione ha pervaso ogni settore, i partiti e i leader si contendono i contributi finanziari dei ricchi e dei potenti; posizioni all’interno dei poteri legislativo ed esecutivo hanno tutte un prezzo; ogni parte della legislazione è influenzata da potenti “lobbies” corporative che spendono milioni per la scrittura di leggi a loro profitto e per individuare le manovre più opportune alla loro approvazione.

Eminenti faccendieri che agiscono nei posti di influenza come il criminale statunitense Jack Abramoff si vantano del fatto che “ogni membro del congresso ha il suo prezzo”.

Il voto dei cittadini non conta per nulla: le promesse elettorali dei politici non hanno relazione alcuna con il loro comportamento quando sono in carica. Bugie e inganni sono considerati “normali” nel processo politico.

L’esercizio dei diritti politici è sempre più sottoposto alla sorveglianza della polizia e i cittadini attivi sono soggetti ad arresti arbitrari.

L’élite politica esaurisce il tesoro pubblico sovvenzionando guerre coloniali, e le spese per queste avventure militari eliminano i programmi sociali, gli enti pubblici e i servizi fondamentali.

I legislatori si impegnano con demagogia al vetriolo in conflitti da vere marionette, sul tipo dei burattini Punch (Pulcinella) e Judy (Colombina), in manifestazioni pubbliche di partigianeria, mentre in privato fanno festa insieme alla mangiatoia pubblica.

A fronte di istituzioni legislative ormai screditate, e del palese, volgare mercato di compravendita dei pubblici uffici, i funzionari dirigenti, eletti e nominati, sequestrano i poteri legislativo e giudiziario.

La democrazia in decomposizione si trasforma in una “democrazia oligarchica” come governo auto-imposto di funzionari dell’esecutivo; vengono scavalcate le norme democratiche e si ignorano gli interessi della maggioranza dei cittadini. Una giunta esecutiva di funzionari eletti e non eletti risolve questioni come quelle della guerra e della pace, alloca miliardi di dollari o di euro presso una oligarchia finanziaria, e mossa da pregiudizi di classe riduce il tenore di vita di milioni di cittadini tramite “pacchetti di austerità”.

L’assemblea legislativa abdica alle sue funzioni, legislativa e di controllo, e si inchina davanti ai “fatti compiuti” della giunta esecutiva (il governo di oligarchi) . Alla cittadinanza viene assegnato il ruolo di spettatore passivo - anche se si diffondono sempre più in profondità la rabbia, il disgusto e l’ostilità.

Le voci isolate dei rappresentanti il dissenso sono soffocate dalla cacofonia dei mass media che si limitano a dare la parola ai prestigiosi “esperti” e accademici, compari pagati dall’oligarchia finanziaria e consiglieri della giunta esecutiva.

I cittadini non faranno più riferimento ai parlamenti, alle assemble legislative, per trovare soccorso o riparazione per il sequestro e l’abuso di potere messo in atto dall’esecutivo.

Per fortificare il loro potere assoluto, le oligarchie castrano le costituzioni, adducendo catastrofi economiche e minacce assolutamente pervasive di “terroristi”.

Un mastodontico e crescente apparato statale di polizia, con poteri illimitati, impone vincoli all’opposizione civica e politica. Dato che i poteri legislativi sono fiaccati e le autorità esecutive allargano la loro sfera di azione, le libertà democratiche ancora presenti sono ridotte attraverso “limitazioni burocratiche” imposte al tempo, luogo e forme dell’azione politica. Lo scopo è quello di minimizzare l’azione della minoranza critica, che potrebbe mobilitare simpateticamente e divenire la maggioranza.

Come la crisi economica peggiora, e i detentori di titoli e gli investitori esigono tassi di interesse sempre più alti, l’oligarchia estende e approfondisce le misure di austerità. Si allargano le diseguaglianze, e viene messa in luce la natura oligarchica della giunta esecutiva. Le basi sociali del regime si restringono. I lavoratori qualificati e ben pagati, gli impiegati della classe media e i professionisti cominciano a sentire l’erosione acuta di stipendi, salari, pensioni, il peggioramento delle condizioni di lavoro e di prospettive di carriera futura.

Il restringersi del sostegno sociale mina le pretese di legittimità democratica da parte della giunta di governo. A fronte del malcontento e del discredito di massa, e con settori strategici della burocrazia civile in rivolta, scoppia la lotta tra fazioni, tra le cricche rivali all’interno dei “partiti ufficialmente al governo”.

L’“oligarchia democratica” è spinta e tirata nelle varie direzioni: si decretano tagli alla spesa sociale, ma questi possono trovare solo limitati appoggi alla loro applicazione. Si decretano imposte regressive, che non possono venire riscosse. Si scatenano guerre coloniali, che non si possono vincere. La giunta esecutiva si dibatte tra azioni di forza e di compromesso: robuste promesse per i banchieri internazionali e poi, sotto pressioni di massa, si tenta di ritornare sugli errori.

A lungo andare, la democrazia oligarchica non è più utile per l’élite finanziaria. Le sue pretese di rappresentanza democratica non possono più ingannare le masse. Il prolungarsi dello stato conflittuale tra le fazioni dell’élite erode la loro volontà di imporre a pieno l’agenda dell’oligarchia finanziaria.

A questo punto, la democrazia oligarchica come formula politica ha fatto il suo corso.

L’élite finanziaria è già pronta e decisa a scartare ogni pretesa di governo da parte di questi oligarchi democratici. Sono considerati sì volonterosi, ma troppo deboli; troppo soggetti a pressioni interne da fazioni rivali e non disposti a procedere a tagli selvaggi nei bilanci sociali, a ridurre ancora di più i livelli di vita e le condizioni di lavoro.

Arriva in primo piano il vero potere che muoveva le fila dietro le giunte esecutive. I banchieri internazionali scartano la “giunta indigena” e impongono al governo banchieri non-eletti – doppiando i loro banchieri privati ​​da tecnocrati.


La transizione verso la dittatura coloniale “tecnocratica”            

Il governo dei banchieri stranieri, alla fine venuto direttamente alla ribalta, è mascherato da un’ideologia che descrive questo come un governo condotto da tecnocrati esperti, apolitici e scevri da interessi privati. Dietro alla retorica tecnocratica, la realtà è che i funzionari designati hanno una carriera di operatori per- e- con i grandi interessi finanziari privati ​​e internazionali.

Lucas Papdemos, nominato Primo ministro greco, ha lavorato per la Federal Reserve Bank di Boston e, come capo della Banca centrale greca, è stato il responsabile della falsificazione dei libri contabili a copertura di quei bilanci fraudolenti che hanno portato la Grecia all’attuale disastro finanziario.

Mario Monti, designato Primo ministro dell’Italia, ha ricoperto incarichi per l’Unione europea e la Goldman Sachs.

Queste nomine da parte delle banche si basano sulla lealtà totale di questi signori e sul loro impegno senza riserve di imporre politiche regressive, le più inique sulle popolazioni di lavoratori di Grecia e Italia.

I cosiddetti tecnocrati non sono soggetti a fazioni di partito, nemmeno lontanamente sono sensibili a qualsiasi protesta sociale. Essi sono liberi da qualsiasi impegno politico ... tranne uno, quello di assicurare il pagamento del debito ai detentori stranieri dei titoli di Stato - in particolare di restituire i prestiti alle più importanti istituzioni finanziarie europee e nord americane.

I tecnocrati sono totalmente dipendenti dalle banche estere per le loro nomine e permanenze in carica. Non hanno alcuna infarinatura di base organizzativa politica nei paesi che governano. Costoro governano perché banchieri stranieri minacciavano di bancarotta i paesi, se non venivano accettate queste nomine. Hanno indipendenza zero, nel senso che i “tecnocrati” sono soltanto strumenti e rappresentanti diretti dei banchieri euro-americani.


I “tecnocrati”, per natura del loro mandato, sono funzionari coloniali esplicitamente designati su comando dei banchieri imperiali e godono del loro sostegno.

In secondo luogo, né loro né i loro mentori colonialisti sono stati eletti dal popolo su cui governano. Sono stati imposti dalla coercizione economica e dal ricatto politico.

In terzo luogo, le misure da loro adottate sono destinate ad infliggere la sofferenza massima per alterare completamente i rapporti di forza tra lavoro e capitale, massimizzando il potere di quest’ultimo di assumere, licenziare, fissare salari e condizioni di lavoro.

In altre parole, l’agenda tecnocratica impone una dittatura politica ed economica.

Le istituzioni sociali e i processi politici associati con il sistema di sicurezza sociale democratico-capitalista, corrotto da democrazie decadenti, eroso dalle democrazie oligarchiche, sono minacciati di demolizione totale dalle prevaricanti dittature coloniali tecnocratiche.

Il linguaggio di “sociale / regressione” è pieno di eufemismi, ma la sostanza è chiara. I programmi sociali in materia di sanità pubblica, istruzione, pensioni, e tutela dei disabili sono tagliati o eliminati e i “risparmi” trasferiti ai pagamenti tributari per i detentori di titoli esteri (banche).

I pubblici dipendenti vengono licenziati, allungata la loro età pensionabile, e i salari ridotti e il diritto di permanenza in ruolo eliminato. Le imprese pubbliche sono vendute a oligarchi capitalisti stranieri e domestici, con decurtamento dei servizi ed eliminazione brutale dei dipendenti. I datori di lavoro stracciano i contratti collettivi di lavoro. I lavoratori sono licenziati e assunti a capriccio dei padroni. Ferie, trattamento di fine rapporto, salari di ingresso e pagamento degli straordinari sono drasticamente ridotti.

Queste politiche regressive pro-capitalisti sono mascherate da “riforme strutturali”.

Processi consultativi sono sostituiti da poteri dittatoriali del capitale – poteri “legiferati” e messi in attuazione dai tecnocrati designati allo scopo.

Dai tempi del regime di dominio fascista di Mussolini e della giunta militare greca (1967 - 1973) non si era mai visto un tale assalto regressivo contro le organizzazioni popolari e contro i diritti democratici.


Raffronto fra dittatura fascista e dittatura tecnocratica

Le precedenti dittature fasciste e militari hanno molto in comune con gli attuali despoti tecnocratici per quanto concerne gli interessi capitalistici che loro difendono e le classi sociali che loro opprimono. Ma ci sono differenze importanti che mascherano le continuità.

La giunta militare in Grecia, e in Italia Mussolini, avevano preso il potere con la forza e la violenza, avevano messo al bando tutti i partiti dell’opposizione, avevano schiacciato i sindacati e chiuso i parlamenti eletti.

Alla attuale dittatura “tecnocratica” viene consegnato il potere dalle élites politiche della democrazia oligarchica - una transizione “pacifica”, almeno nella sua fase iniziale.

A differenza delle precedenti dittature, gli attuali regimi dispotici conservano le facciate elettorali, ma svuotate di contenuti e mutilate, come entità certificate senza obiezioni per offrire una sorta di “pseudo-legittimazione”, che seduce la stampa finanziaria, ma si fa beffe di solo pochi stolti cittadini. Infatti, dal primo giorno di governo tecnocratico gli slogan incisivi dei movimenti organizzati in Italia denunciavano: “No ad un governo di banchieri”, mentre in Grecia lo slogan che ha salutato il fantoccio pragmatista Papdemos è stato “Unione Europea, Fondo Monetario, fuori dai piedi!”

Le dittature in precedenza avevano iniziato il loro corso come stati di polizia del tutto vomitevoli, che arrestavano gli attivisti dei movimenti per la democrazia e i sindacalisti, prima di perseguire le loro politiche in favore del capitalismo. Gli attuali tecnocrati prima lanciano il loro malefico assalto a tutto campo contro le condizioni di vita e di lavoro, con il consenso parlamentare, e poi di fronte ad una resistenza intensa e determinata posta in essere dai “parlamenti della strada”, procedono per gradi ad aumentare la repressione caratteristica di uno stato di polizia... mettendo in pratica un governo da stato di polizia incrementale.


Politiche delle dittature tecnocratiche: campo di applicazione, intensità e metodo

L’organizzazione dittatoriale di un regime tecnocratico deriva dalle sue politiche e dalla missione politica. Al fine di imporre politiche che si traducono in massicci trasferimenti di ricchezza, di potere e di diritti giuridici, dal lavoro e dalle famiglie al capitale, soprattutto al capitale straniero, risulta essenziale un regime autoritario, soprattutto in previsione di un’accanita e determinata resistenza.

L’oligarchia finanziaria internazionale non può assicurare per tanto tempo una “stabile e sostenibile” sottrazione di ricchezza con una qualche parvenza di governance democratica, e tanto meno una democrazia oligarchica in decomposizione.

Da qui, l’ultima risorsa per i banchieri in Europa e negli Stati Uniti è di designare direttamente uno di loro a esercitare pressioni, a farsi largo e ad esigere una serie di cambiamenti di vasta portata, regressivi a lungo termine. La missione dei tecnocrati è di imporre un quadro istituzionale duraturo, che garantirà per il futuro il pagamento di interessi elevati, a spese di decenni di impoverimento e di esclusione popolare.

La missione della “dittatura tecnocratica” non è quella di porre in essere un’unica politica regressiva di breve durata, come il congelamento salariale o il licenziamento di qualche migliaio di insegnanti. L’intento dei dittatori tecnocrati è quello di convertire l’intero apparato statale in un torchio efficiente in grado di estrarre continuamente e di trasferire le entrate fiscali e i redditi, dai lavoratori e dai dipendenti in favore dei detentori dei titoli.

Per massimizzare il potere e i profitti del capitale a scapito dei lavoratori, i tecnocrati garantiscono ai capitalisti il ​​potere assoluto di fissare i termini dei contratti di lavoro, per quanto riguarda assunzioni, licenziamenti, longevità, orario e condizioni di lavoro.

Il “metodo di governo” dei tecnocrati è quello di avere orecchio solo per i banchieri stranieri, i detentori di titoli e gli investitori privati.

Il processo decisionale è chiuso e limitato alla cricca di banchieri e tecnocrati senza la minima trasparenza. Soprattutto, in base a regole colonialiste, i tecnocrati devono ignorare le proteste di manifestanti, se possibile, o, se necessario, rompere loro la testa.

Sotto la pressione delle banche, non c’è tempo per le mediazioni, i compromessi o le dilazioni, come avveniva sotto le democrazie decadenti e oligarchiche.


Dieci sono le trasformazioni storiche che dominano l’agenda delle dittature tecnocratiche e dei loro mentori colonialisti.


1)        Massicci spostamenti delle disponibilità di bilancio, dalle spese per i bisogni sociali ai pagamenti dei titoli di stato e alle rendite

2)      Cambiamenti su larga scala nelle politiche di reddito, dai salari ai profitti, ai pagamenti degli interessi e alla rendita.

3)      Politiche fiscali fortemente regressive, con l’aumento delle imposte sui consumi (aumento dell’IVA) e sui salari, e con la diminuzione della tassazione su detentori di titoli ed investitori.
4)      Eliminazione della sicurezza del lavoro (“flessibilità del lavoro”), con l’aumento di un esercito di riserva di disoccupati a salari più bassi, intensificando lo sfruttamento della manodopera impiegata (“maggiore produttività”).
5)      Riscrittura dei codici del lavoro, minando l’equilibrio di poteri tra capitale e lavoro organizzato. Salari, condizioni di lavoro e problemi di salute sono strappati dalle mani di coloro che militano nel sindacato e consegnati alle “commissioni aziendali” tecnocratiche.

6)      Lo smantellamento di mezzo secolo di imprese e di istituzioni pubbliche, e privatizzazione delle telecomunicazioni, delle fonti di energia, della sanità, dell’istruzione e dei fondi pensione. Privatizzazioni per migliaia di miliardi di dollari sono sopravvenienze attive su una dimensione storica mondiale. Monopoli privati ​​rimpiazzano i pubblici e forniscono un minor numero di posti di lavoro e servizi, senza l’aggiunta di nuova capacità produttiva.
7)      L’asse economico si sposta dalla produzione e dai servizi per il consumo di massa nel mercato interno alle esportazioni di beni e servizi particolarmente adatti sui mercati esteri. Questa nuova dinamica richiede salari più bassi per “competere” a livello internazionale, ma contrae il mercato interno. La nuova strategia si traduce in un aumento degli utili in moneta forte ricavati dalle esportazioni per pagare il debito ai detentori di titoli di stato, provocando così maggiore miseria e disoccupazione per il lavoro domestico. Secondo questo “modello” tecnocratico, la prosperità si accumula per quegli investitori avvoltoio che acquistano lucrativamente da produttori locali finanziariamente strozzati e speculano su immobili a buon mercato.
8)      La dittatura tecnocratica, per progettazione e politiche, mira ad una “struttura di classe bipolare”, in cui vengono impoverite le grandi masse dei lavoratori qualificati e la classe media, che soffrono la mobilità verso il basso, mentre si va arricchendo uno strato di detentori di titoli e di padroni di aziende locali che incassano pagamenti per interessi e per il basso costo della manodopera.
9)      La deregolamentazione del capitale, la privatizzazione e la centralità del capitale finanziario producono un più esteso possesso colonialista (straniero) della terra, delle banche, dei settori economici strategici e dei servizi “sociali”. La sovranità nazionale è sostituita dalla sovranità imperiale nell’economia e nella politica.
10)  Il potere unificato di tecnocrati colonialisti e di detentori imperialisti di titoli detta la politica che concentra il potere in una unica élite non-eletta.


Costoro governano, supportati da una base sociale ristretta e senza legittimità popolare. Sono politicamente vulnerabili, quindi, sempre dipendenti da minacce economiche e da situazioni di violenza fisica.


I tre stadi del governo dittatoriale tecnocratico

Il compito storico della dittatura tecnocratica è quello di far arretrare le conquiste politiche, sociali ed economiche guadagnate dalla classe operaia, dai dipendenti pubblici e dai pensionati dopo la sconfitta del capitalismo fascista nel 1945.

Il disfacimento di oltre sessanta anni di storia non è un compito facile, men che meno nel bel mezzo di una profonda crisi socio-economica in pieno sviluppo, in cui la classe operaia ha già sperimentato drastici tagli dei salari e dei profitti, e il numero dei disoccupati giovani (18 - 30 anni) in tutta l’Unione europea e nel Nord America varia tra il 25 e il 50 per cento.

L’ordine del giorno proposto dai “tecnocrati” - parafrasando i loro mentori colonialisti nelle banche – consiste in sempre più drastiche riduzioni delle condizioni di vita e di lavoro. Le proposte di “austerità” si verificano a fronte di crescenti disuguaglianze economiche tra il 5% dei ricchi e il 60 % degli appartenenti alle classi subalterne tra Sud Europa e Nord Europa.

Di fronte alla mobilità verso il basso e al pesante indebitamento, la classe media e soprattutto i suoi “figli ben educati”, sono indignati contro i tecnocrati che pretendono ancor di più tagli sociali. L’indignazione si estende dalla piccola borghesia agli uomini di affari e ai professionisti sull’orlo della bancarotta e della perdita di status.

I governanti tecnocratici giocano costantemente sulla insicurezza di massa e sulla paura di un “collasso catastrofico”, se la loro “medicina amara” non venisse trangugiata dalle classi medie angosciate, che temono la prospettiva di sprofondare nella condizione di classe operaia o peggio.

I tecnocrati lanciano appelli alla generazione presente per sacrifici, in realtà per un suicidio, per salvare le generazioni future. Con atteggiamenti dettati all’umiltà e alla gravità, parlano di “equi sacrifici”, un messaggio smentito dal licenziamento di decine di migliaia di dipendenti e dalla vendita per miliardi di euro / dollari del patrimonio nazionale a banchieri e investitori speculatori stranieri. L’abbassamento della spesa pubblica per pagare gli interessi ai detentori di titoli e per invogliare gli investitori privati ​​erode ogni richiamo all’“unità nazionale” e all’“equo sacrificio”.

Il regime tecnocratico si sforza di agire con decisione e rapidità per imporre la sua agenda brutale regressiva, l’arretramento di sessanta anni di storia, prima che le masse abbiano tempo di sollevarsi e di cacciarli.

Per precludere l’opposizione politica, i tecnocrati domandano “unità nazionale”, (l’unità di banchieri e oligarchi), l’appoggio dei partiti in disfacimento elettorale e dei loro leader e la loro sottomissione totale alle richieste dei banchieri colonialisti.

La traiettoria politica dei tecnocrati avrà vita breve alla luce dei cambiamenti sistemici draconiani e delle strutture repressive che propongono; il massimo che possono realizzare è quello di dettare e tentare di attuare le loro politiche, e poi tornarsene ai loro santuari lucrativi nelle banche estere.


Governo tecnocratico : prima fase

Con l’appoggio unanime dei mass-media e il pieno sostegno di banchieri potenti, i tecnocrati approfittano della caduta dei politici disprezzati e screditati dei regimi elettorali del passato.

Essi proiettano un’immagine pulita del governo, che parla di un regime efficiente e competente, capace di azioni decisive. Promettono di porre fine alle condizioni di vita progressivamente in deterioramento e alla paralisi politica dovuta allo scontro fra le fazioni dei partiti.

All’inizio della loro assunzione di potere, i dittatori tecnocratici sfruttano il disgusto popolare, giustificato, nei confronti dei politici privilegiati “nullafacenti” per assicurarsi una misura del consenso popolare, o almeno l’acquiescenza passiva da parte della maggioranza dei cittadini, che sta annegando nei debiti e alla ricerca di un “salvatore”.

Va notato che fra la minoranza politicamente più preparata e socialmente consapevole, che i banchieri ricorrano ad un “regime tecnocratico” da colonia, questo provoca poco effetto: gli appartenenti alle minoranze immediatamente identificano il regime tecnocratico come illegittimo, dato che fa derivare i suoi poteri da banchieri stranieri. Essi affermano i diritti dei cittadini e la sovranità nazionale. Fin dall’inizio, anche sotto la copertura dell’assunzione del potere in uno stato di emergenza, i tecnocrati devono affrontare un nucleo di opposizione di massa.

I banchieri realisticamente riconoscono che i tecnocrati devono muoversi con rapidità e decisione.


Politiche shock dei tecnocrati : seconda fase

I tecnocrati lanciano un “100 giorni” del più eclatante e grossolano conflitto di classe contro la classe operaia dai tempi dei regimi militare / fascista.

In nome del Libero Mercato, del Detentore di Titoli e dell’Empia Alleanza fra oligarchi politici e banchieri, i tecnocrati dettano editti e fanno passare leggi, immediatamente buttando sul lastrico decine di migliaia di dipendenti pubblici. Decine di imprese pubbliche sono mandate in blocco all’asta. Viene abolita la certezza del posto di lavoro e licenziare senza giusta causa diventa la legge del paese. Sono decretate imposte regressive e le famiglie vengono impoverite. La piramide del reddito complessivo viene capovolta. I tecnocrati allargano e approfondiscono le disuguaglianze e l’immiserimento.

L’euforia iniziale che salutava il governo tecnocratico viene sostituita da biasimi amari. La classe media inferiore, che ricercava una risoluzione dittatoriale paternalistica della propria condizione, riconosce “un altro raggiro politico”.

Come il regime tecnocratico corre a gran velocità a completare la sua missione per i banchieri stranieri, lo stato d’animo popolare inacidisce, l’amarezza si diffonde anche tra i “collaboratori passivi” dei tecnocrati. Non cadono briciole dal tavolo di un regime colonialista, imposto al potere per massimizzare il deflusso delle entrate statali a tutto vantaggio dei detentori del debito pubblico.

L’oligarchia politica compromessa cerca di far rivivere le sue fortune e “contesta” le peculiarità dello “tsunami” tecnocratico, che sta distruggendo il tessuto sociale della società.  

La dimensione e la portata del programma estremista della dittatura, e il continuo accumulo di frustrazioni di massa, spaventano i collaborazionisti appartenenti ai partiti politici, mentre i banchieri li incalzano per tagli alle garanzie sociali sempre più grandi e più profondi.

I tecnocrati di fronte alla tempesta popolare che sta montando cominciano a farsi piccoli e ritirarsi in buon ordine. I banchieri esigono da loro maggiore spina dorsale e offrono nuovi prestiti per “mantenerli in corsa”. I tecnocrati si dibattono in difficoltà - alternando richieste di tempo e sacrifici con promesse di prosperità “dietro l’angolo”.

Per lo più fanno assegnamento sulla mobilitazione costante della polizia e di fatto sulla militarizzazione della società civile.


Missione compiuta: guerra civile o il ritorno della democrazia oligarchica?

La riuscita dell’“esperimento” con un regime dittatoriale colonialista tecnocratico è difficile da prevedere. Una ragione è dovuta al fatto che le misure adottate sono così estreme ed estese, tali da unificare allo stesso tempo quasi tutte le classi sociali importanti (tranne la “crema” del 5%) contro di loro. La concentrazione del potere in una élite “designata” la isola ulteriormente e unifica la maggior parte dei cittadini a favore della democrazia, contro la sottomissione colonialista e governanti non eletti.

Le misure approvate dai tecnocrati devono far fronte alla prospettiva improbabile della loro piena attuazione, in particolare a causa di funzionari e impiegati pubblici a cui si impongono licenziamenti, tagli di stipendio e pensioni ridotte. I tagli a tutta l’amministrazione pubblica minano le tattiche del “divide et impera”.

Data la portata e la profondità del declassamento del settore pubblico, e l’umiliazione di servire un regime chiaramente sotto tutela colonialista, è possibile che incrinature e rotture si verificheranno negli apparati militari e di polizia, soprattutto se vengono provocate sollevazioni popolari che diventano violente.

A questo punto, le giunte tecnocratiche non possono assicurare che le loro politiche saranno attuate. In caso contrario, i ricavi vacilleranno, scioperi e proteste spaventeranno gli acquirenti predatori delle imprese pubbliche. La grande spremitura ed estorsione pregiudicherà le imprese locali, la produzione diminuirà, la recessione si approfondirà.

Il governo dei tecnocrati è per sua natura transitoria. Sotto la minaccia di rivolte di massa, i nuovi governanti fuggiranno all’estero presso i loro santuari finanziari. I collaborazionisti appartenenti alle oligarchie locali si affretteranno ad aggiungere miliardi di euro/dollari ai loro conti bancari all’estero, a Londra, New York e Zurigo.

La dittatura tecnocratica farà ogni sforzo per riportare al potere i politici democratici oligarchici, a condizione che siano mantenute le variazioni regressive poste in essere. Il governo tecnocratico vedrà la sua fine con “vittorie di carta”, a meno che i banchieri stranieri insistano che il “ritorno alla democrazia” operi all’interno del “nuovo ordine”.

L’applicazione della forza potrebbe rivelarsi un boomerang.

I tecnocrati e gli oligarchi democratici, rinnovando la minaccia di una catastrofe economica in caso di inosservanza, riceveranno un contrordine dalla realtà della miseria effettivamente esistente e dalla disoccupazione di massa.

Per milioni, la catastrofe che stanno vivendo, risultante dalle politiche tecnocratiche, prevale su qualsiasi minaccia futura. La maggioranza ribelle può scegliere di sollevarsi e rovesciare il vecchio ordine, e cogliere l’opportunità di istituire una repubblica socialista democratica indipendente.

Una delle conseguenze impreviste di imporre una dittatura di tecnocrati designati, radicalmente colonialista, è che viene cancellato il panorama politico delle oligarchie politiche parassite e si pongono le fondamenta per un taglio netto. Questo facilita il rigetto del debito e la ricostruzione del tessuto sociale per una repubblica democratica indipendente.

Il pericolo grave è quello che i politici screditati del vecchio ordine tenteranno con la demagogia di impadronirsi delle bandiere democratiche delle lotte “anti-dittatoriali anti-tecnocratiche”, per rimettere in piedi quello che Marx definiva “la vecchia merda dell’ordine precedente”.

Gli oligarchi politici riciclati si adatteranno al nuovo ordine “ristrutturato” dei pagamenti dell’eterno debito, come parte di un accordo per conservare il processo in corso di regressione sociale senza fine.

La lotta rivoluzionaria contro i dominatori tecnocratici colonialisti deve continuare e intensificarsi per bloccare la restaurazione degli oligarchi democratici.


James Petras è un collaboratore assiduo di Global Research.  

Global Research Articles by James Petras www.globalresearch.ca 

Per informazioni: media@...



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[Nella speranza di trovare tutela da uno Stato sovrano, in pochi giorni più di 50mila serbi-kosovari hanno presentato richiesta per l'ottenimento della cittadinanza della Federazione Russa...]

50.000 Kosovo Serbs applying for Russian citizenship

0) LINKS
1) >50.000 RUSSIAN PASSPORTS' REQUESTS
2) MORE NEWS
3) Kosovo Quietly Signs Up Top US Lobbyists


=== 0 : LINKS ===


Source of most following documents in english language is the Stop NATO e-mail list 
Archives and search engine:
http://groups.yahoo.com/group/stopnato/messages
Website and articles:
http://rickrozoff.wordpress.com

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TEXT: Serbia's Tadic Rejects Call for Kosovo Negotiations
Global Research, November 7, 2011 / Balkan Insight
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=27523

VIDEO: KFOR razbija barikadu kod Dudinog Krša - KFOR demolishing road barricades in province of Kosovo
23.11.2011 11:00 p.m.: KFOR počeo da razbija barikadu kod Dudinog Krša.
http://www.youtube.com/watch?v=37QDXi5ZKh8

VIDEO: NATO forces dismantle Serb barricade in Kosovo
RT - November 23, 2011
http://rt.com/news/nato-dismantle-barricade-kosovo-093/

PHOTO: NATO In Kosovo: German, Austrian Troops, Tanks Vs Serbian Woman
http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2011&mm=11&dd=30&nav_id=77573

JUGOINFO POSTS ON KOSOVO-SERBS DEMONSTRATIONS AGAINST NATO (2011):
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7119
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7151
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7157
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7175
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7196
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7199


=== 1 : >50.000 RUSSIAN PASSPORTS' REQUESTS ===


http://english.ruvr.ru/2011/11/14/60351111.html

Voice of Russia - November 14, 2011

20,000 Kosovo Serbs want Russian passports

Over 20,000 Kosovo Serbs have asked the Russian Parliament’s lower house, the State Duma, to help them obtain Russian citizenship, said the Russian Embassy Counsellor Oleg Bouldakov in Belgrade. 
They cite security guarantees against the Albanian authorities of the self-proclaimed Kosovo as the main reason for their request.

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http://en.rian.ru/russia/20111115/168720849.html

Russian Information Agency Novosti - November 15, 2011

Kosovo Serbs turn to Russia over Belgrade's negligence

BELGRADE: At least 20,000 Kosovo Serbs, who applied for Russian citizenship last week, were acting out of despair and disillusion in Belgrade’s ability to defend the ethnic minority, a Serbian leader in Kosovo, Marko Jaksic, said on Tuesday.
Last week, Kosovo Serbs handed over a petition with signatures to the Russian Embassy in Belgrade, asking for Russian citizenship.
“Those who turned in the petition live mostly in the southern enclaves in Kosovo, further away from the administrative border between Kosovo and Serbia,” Jaksic said. He added this showed how hard their lives were.
“As Russian citizens they would be more secure compared to their current status when Belgrade has turned its back on them,” Jaksic said.
Serbs constitute 5-10% of the 2-million population and Albanians make up the majority of Kosovo.
Albanian authorities proclaimed Kosovo’s independence from Belgrade with support from the United States and the European Union in 2008.
Both Serbia and Russia have refused to recognize Kosovo’s independence. Ethnic Serbs in Kosovo are bluntly opposed to the Albanian authorities in Pristina.
Tensions flared in Kosovo's ethnic Serbian enclave in October after Albanian Kosovars installed their customs officers at the Jarinje and Brnjak border crossings with Serbia.

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http://www.rbcnews.com/free/20111116170147.shtml

RosBusinessConsulting - November 16, 2011

Russian envoy pledges support for Kosovo Serbs

Moscow: Russia's ambassador to NATO Dmitry Rogozin called upon authorities to grant Russian citizenship to 20,000 Kosovo Serbs after this group filed a relevant petition, claiming that its security was in jeopardy in a region dominated by ethnic Albanians.
"This opportunity should be discussed, including with the Russian president, and we should assist them in relocating to Russia," Rogozin said, adding that Kosovo Serbs should be included in Russia's repatriation program.

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http://www.interfax.com/newsinf.asp?pg=6&id=288044

Interfax - November 17, 2011

Russia understands motives behind Kosovo Serbs' request - Lavrov 

MOSCOW: The Russian Foreign Ministry has familiarized itself with the request of several thousand Kosovo Serbs for Russian citizenship and it understands the reasons behind it, said Russian Foreign Minister Sergei Lavrov.
"We have read this request attentively, of course, and we will have to act guided by a number of factors," Lavrov said at a joint news conference with his Indian counterpart Somanahalli Krishna on Thursday.
Concerning the legal aspect of this problem, we have a law in Russia which regulates instances when Russian citizenship is granted to foreign nationals, he said.
"From the political point of view, we very well understand the motives behind the Kosovo Serbs' request of this kind," Lavrov said.
It was reported earlier that more than 20,000 Kosovo Serbs had applied for Russian citizenship.
"They have found themselves in a desperate situation and they have the feeling of hopelessness in conditions when they are being forced to obey the Pristina dictate in violation of UN Security Council Resolution 1244 and when they can even lose the right to local self-government. Too bad that all this is happening with connivance and direct support from the Kosovo Force, led by NATO, and the European Union's so-called Rule of Law Mission," Lavrov said.
These "international presences" are operating in violation of the "neutral-status mandate they have," he said.
"We will be firmly opposing this in the future and we think that no one should usurp the role of ruler of the destinies of nations, especially Kosovo Serbs, wherever they live, using opportunities provided by international or Russian law," he said.
Russia has been actively assisting the Kosovo Serbs for the past few years in humanitarian programs and in saving their culture, ethnic identity and traditions. This work will be continued," the Russian foreign minister said.

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http://english.ruvr.ru/2011/11/23/60927581.html

Russian Information Agency Novosti - November 23, 2011

Russia to find way to support Kosovo Serbs - Rogozin

The application of more than 20,000 of Kosovo Serbs for the Russian citizenship is an unprecedented and very alarming situation, Russia’s envoy in NATO Dmitri Rogozin said Wednesday.
“Russia will find a way to support the nation which is spiritually close to us and which found itself in such a difficult situation”,  Rogozin said.
Earlier this month 22,000 Kosovo Serbs put their signatures under collective application for the Russian citizenship as they find that Serbia is not providing them with the required support.

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http://en.rian.ru/russia/20111127/169067155.html

Russian Information Agency Novosti - November 27, 2011

Number of Kosovo Serbs seeking Russian citizenship tops 50,000

MOSCOW: Over 50,000 Kosovo Serbs have applied for Russian citizenship, Serbia’s B92 television reported citing Zlatibor Djordjevic, a spokesman for the Old Serbia movement.
The number of applications sent to the Russian Embassy in Belgrade has more than doubled since the beginning of November as more and more Kosovo Serbs 
become disillusioned with Belgrade’s ability to defend the ethnic minority.
“We are not satisfied with the progress in talks in Brussels [between Belgrade and Pristina], which, if they conclude with the same outcome as in the beginning, will mean the end of Kosovo Serbs,” Djordjevic said on Saturday.
...

Djordjevic said that Kosovo authorities applied pressure on elderly Serbs and Serbs living in poverty to swap their Serbian citizenship for the Kosovo one by promising them pensions and other social benefits.
He also stressed that most of Kosovo Serbs seeking Russian citizenship were not planning to relocate to Russia, but simply wanted political protection from Moscow.
Russian Foreign Minister Sergei Lavrov said on Tuesday that Russia intended to defend the rights of Serbs wherever they live, taking into account all options derived from international and Russian law.
He did not say, though, how Moscow was planning to respond specifically to Kosovo Serbs’ applications for Russian citizenship.
Kosovo, a landlocked region with a population of mainly ethnic Albanians, declared its independence from Serbia in February 2008. Up to 10 percent of Kosovo two-million-people population are ethnic Serbs.
Both Serbia and Russia have refused to recognize Kosovo’s independence.


=== 2 : MORE NEWS ===


http://www.stripes.com/news/europe/kosovo-disturbances-mimicked-in-training-scenario-1.161166

Stars and Stripes - November 18, 2011

Kosovo disturbances mimicked in training scenario

By Steven Beardsley 

HOHENFELS, Germany: The chaos arrived in the early afternoon, hours after negotiations failed.
As soldiers in riot gear approached a makeshift roadblock and the mob that erected it, they were met with taunts and jeers. “U.S. go home!” the crowd began to chant. Then someone hurled a rock.
The riot that ensued was a training simulation – the “rocks” were sandbags, the mob was a group of role-playing Germans, retired soldiers and an active-duty platoon.
Yet it was a mimic of real events in Kosovo, the newly independent Balkan state — and the destination of a National Guard unit that recently trained at the Joint Multinational Readiness Center in Hohenfels. This summer, ethnic Serbs erected barriers on roads in the country’s north, in a dispute over border crossings into Serbia, forcing violent confrontations with local police and a tense standoff with NATO peacekeepers.
Officials at JMRC, which regularly prepares U.S. and multinational soldiers for the NATO force known as KFOR, or Kosovo Force, decided to re-create the events as a training tool after a visit to the country last month.
Important tasks during a civil disturbance include holding formation in a line, minding flanks, responding with appropriate force and generally keeping composure at a time when emotions run high, said Lt. Col. Eric McFadden, a training leader at JMRC.
Judging by the action on Thursday, that’s easier said than done.
The Guard unit, a maneuver company from Georgia, arrived with a track vehicle posing as a tank and several Humvees.
The roadblock — an assemblage of plywood planks, stacked wooden pallets and old tires — was easy enough to handle. The tank pushed through, slowly advancing on the mob, which backed away. Soldiers then formed a line the width of the road, their shields held together to form a barrier.
That’s when the rioters emerged from the crowd, a dozen or so civilians played by a platoon with 1st Battalion, 4th Infantry Regiment, U.S. Army Europe’s opposition force. Harassment was their tactic, 1st Lt. Todd Pitt, the platoon leader, advised his men before the exercise began.
“Try to steal batons, try to steal shields,” he said. “Don’t go jumping into their lines.”
Platoon members taunted the soldiers. They grabbed at shields while dodging baton swipes, threw sandbags and rolled tires with smoke grenades inside. Someone suddenly hurled a smoking tire into the crowd.
In a pattern that repeated itself several times, the Guard line surged forward with abandon, an apparent effort to push the rioters back. Each time, the 1-4 took advantage of the resulting disorder in the line, gaining clean hits with sandbags and grabbing shields or batons.
...

Some soldiers seemed to take things personally. Several times, a soldier dropped his shield and baton to tackle one of the rioters. JMRC observer-controllers, referees in the exercise, broke each scuffle up to resume the scenario.
...

They also appeared to improve over the course of the exercise. Soldiers began to move in lock-step, counting out each step forward. They moved to protect their flanks, keeping shields up and preventing individual soldiers from lurching forward. They learned to hold their shields properly, preventing them from being pushed against them and causing injuries.
The rioters were eventually thinned out at the discretion of the observer-controllers, taken out by a range of nonlethal weapons — among them rubber bullets — that KFOR soldiers might actually use, but didn’t use in the exercise. The company eventually reached the boundary line that was its goal.
McFadden said the simulation achieved what trainers wanted, making the company adjust to the situation around them.
“It’s better to learn the hard lessons here than have to deal with the hard lessons once you deploy,” he said.

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http://ap.stripes.com/dynamic/stories/E/EU_KOSOVO_TENSE_NORTH?SITE=DCSAS&SECTION=HOME&TEMPLATE=DEFAULT

Associated Press - November 23, 2011

NATO in Kosovo moves to dismantle Serb barricade

RUDARE, Kosovo: NATO troops in Kosovo fired tear gas to disperse a crowd of Serbs resisting the dismantling of a concrete barricade put up to block Kosovo authorities from controlling the Serb-dominated area.
An AP reporter witnessed NATO soldiers in riot gear attempting to remove a concrete barrier late Wednesday and stretching barbed wire on the road. Tear gas was fired after several hundred Serb protesters removed the barbed wire. NATO did not immediately comment.
Serbs in Kosovo's north have been blocking roads since summer angered by Kosovo authorities' attempt to send ethnic Albanian customs and police officers into the Serb area.
Many Serbs that live there reject the country's 2008 secession from Serbia and say NATO is supports Kosovo institutions.

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http://rt.com/news/nato-dismantle-barricade-kosovo-093/

RT - November 24, 2011

Tear gas, barbed wire, isolation: NATO tools for Kosovo raid

Serbs protesters have thwarted attempts by NATO to dismantle a barricade in Northern Kosovo. And while NATO claims their decision to fire tear gas came as 21 of their soldiers were injured, Belgrade has warned Pristina against any further violence.
The Serbian Minister of Internal Affairs and Deputy Prime Minister Ivica Dacic has called on the Kosovo's Prime Minister Hashim Thaci to restrain his NATO-led forces from attacking Serbian civilians.
“The red line for Belgrade would be Hashim Thaci’s decision to initiate an armed attack on Serbs in Kosovo. Thaci must know that any attack against Kosovar Serbs means an attack on Belgrade,“ Dacic said in a statement aired on local television Thursday.
Dacic went on to warn Pristina it would be mistaken to think that fears of upsetting the current balance of power would exclude the possibility of war.
Dacic was quick to point out “historically, we’ve lost Kosovo several times, and then it’s returned to us.”
The Serbian minister’s strongly worded appeal is a response to overnight clashes in Northern Kosovo which NATO claims injured 21 of its soldiers.
NATO released a statement Thursday saying Serb protesters threw stones and drove trucks loaded with gravel into its troops. The alliance also claims one soldier was seriously injured, as the decision to fire tear gas and end the operation was taken...
Wednesday night’s disturbances came as Serbs thwarted attempts by a Kosovo Force (KFOR) contingent under NATO command from dismantling a barricade near the town of Zvecan in Northern Kosovo.
Late on Wednesday, KFOR forces stretched barbed wire across a road near Zvecan – a town located near the de facto Serbian capital of Kosovska Mitrovica -as they moved to dismantle the concrete barricade.
Shortly after NATO forces arrived, a siren went off which alerted local Serbs, who soon rushed to the area and began tearing down the barbed wire.
KFOR troops then deployed tear gas in a failed attempt to repel the hundreds of Serbs who had gathered to protect the barricades.
After the NATO troops withdrew from the area, the Serbs moved to further reinforce the concrete blocks.
According to RT's Aleksey Yaroshevksy, some sources have said NATO forces also used rubber bullets, though no injuries have been reported.  
Tensions in Northern Kosovo have been on the rise for months over disputed border crossings.
The government of the breakaway province wants to control the border with Serbia to enforce an import ban – a move resisted by ethnic Serbs in Kosovo.
In July, a policeman was shot dead whilst Kosovo police were trying to take control of the border posts.
At the time a temporary deal was reached between Pristina and Belgrade to allow the international peacekeepers to guard the border, but was rejected by local Serbs.
Kosovo proclaimed independence in 2008, though Serbia never recognized the breakaway move.
Political analyst Aleksandar Pavic told RT that NATO had destabilized the region by taking Pristina’s side in the conflict, a decision which overstepped their role as a peace keeping force under UN Security Resolution 1244.
“In 2008 Pristina unilaterally declared independence and NATO countries recognized that independence so the root of the problem is that we have Western Powers who are recognizing an illegally declared state and they are trying to make the Serbs down there live in this illegally declared state, and that's why practically every day now, especially over the past several months, they're overstepping their UN mandate,“ he said.

VIDEOS: http://rt.com/news/nato-dismantle-barricade-kosovo-093/

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http://english.ruvr.ru/2011/11/24/60962772.html

Russian Information Agency Novosti - November 24, 2011

Attack on Kosovo serbs is attack on Belgrade - Serbia's interior minister

Serbia’s Interior Minister and Deputy Prime Minister Ivica Dacic has said that an attack on ethnic Serbs in Kosovo would actually mean an attack on Belgrade.
In his statement broadcast on the B92 TV channel, he reminded Kosovo’s Prime Minister Hashim Thaci that throughout its history Serbia had lost and then regained Kosovo several times.
Earlier, Mr. Dacic called for dividing Kosovo into Albanian and Serb parts.
Tensions in the Serb-populated northern Kosovo have been running high since early September when Kosovo’s Albanian authorities deployed their policemen and customs officers at the Jarinje and Brniak border checkpoints on the border with Serbia, which led to armed clashes between police and local Serbs.

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http://www.monstersandcritics.com/news/europe/news/article_1677297.php/LEAD-NATO-soldiers-injured-in-attempt-to-clear-Serb-barricades

Deutsche Presse-Agentur - November 24, 2011

NATO soldiers injured in attempt to clear Serb barricades

Pristina/Belgrade - NATO peacekeepers in Kosovo (KFOR) said Thursday that 21 soldiers were injured in clashes with a crowd of ethnic Serbs when the soldiers tried to dismantle a roadblock in the northern Kosovo enclave.
The incident comes amid heightened tensions in the Serb-dominated north of Serbia's former province...
The soldiers took control over the roadblock and began dismantling it late Wednesday. But they withdrew under a hail of stones thrown by a crowd that continued to grow and approach ever closer, despite tear gas canisters lobbed their way.
KFOR command in Pristina said its soldiers withdrew...Nonetheless, KFOR reported 21 injuries sustained.
In recent months, Serbs have erected around 20 roadblocks in the north to prevent the government in Pristina from taking control over the borders to Serbia proper.

...Serbs fiercely resist any authority from Pristina and, nearly four years since Kosovo declared independence from Serbia, still consider Belgrade their capital.
In a tense cat-and-mouse game, KFOR has dismantled several roadblocks since the Serbs put them up at crossings in September. Each time the barricades were renewed.
...

Serbian leaders promised never to recognize Kosovo's independence and have backed their compatriots' resistance to Pristina's rule.
...

The most prominent turnaround was made by the Deputy Premier and Interior Minister Ivica Dacic, who told Thursday's edition of the daily Press that a new war over Kosovo 'cannot be excluded.'
...

Dacic leads the Socialist Party, a junior partner in President Boris Tadic's ruling coalition.

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http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2011&mm=11&dd=24&nav_id=77468

B92/Press - November 24, 2011

“We should go to war over Kosovo if necessary”

BELGRADE: Kosovo PM Hashim Thaci needs to know that by attacking Serbs in Kosovo he is also attacking Belgrade, Serbian Deputy PM Ivica Dačić told daily Press.
He added that Serbia could not stand by peacefully and watch that.
Dačić on Wednesday stated that nobody in Serbia must say that Kosovo was lost and that they would not go to war over it. 
“A red line for Belgrade is Hashim Thaci’s armed assault on Serbs in Kosovo and Metohija,” he was quoted as saying. 
“Thaci needs to know that by attacking Serbs in Kosovo he is attacking Belgrade as well. Serbia cannot and will not watch it peacefully,” the deputy PM pointed out. 
He stressed that if Turkey could say that an attack on Sarajevo was an attack on Istanbul, then there was no reason “the attack on Kosovska Mitrovica is not an attack on Belgrade”. 
Dačić assessed that rejection of a possibility of war would be a wrong message to Thaci because a “balance of fear” was necessary for the sake of security in the region. He explained that the “balance of fear” was the only reason why a war never broke out between the U.S. and the USSR. 
...

Military-political analyst Miroslav Lazanski believes that the use of force is a part of diplomacy and points out that “this is one in a scale of statements in which Dačić is expressing his position on the situation in Kosovo”. 
“Dačić’s position is hard, but right in my opinion. Not a single state diplomacy is successful if it is not supported by military force. It takes two to have a war and there is a question what we would do if someone attacked us. If NATO does not want to go over the barricades by force, what would happen if Serbia set a clear line regarding some other issues as well? If the Americans say ‘stick and carrot’, because the carrot itself is not enough, which in translation means that we need to show that we are ready to use the force we have at our disposal,” Lazanski was quoted as saying. 
...

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http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2011&mm=11&dd=24&nav_id=77469

Beta News Agency/Serbian Radio and Television/Tanjug News Agency - November 24, 2011

KFOR troops withdraw, Serbs at barricades

ZVEČAN: KFOR troops withdrew about an hour and a half after midnight from a barricade in the village of Dudin Krš which they attempted to remove on Wednesday night.
Serbs built a new barricade at Dudin Krš during the night (Tanjug)
The local Serbs additionally reinforced the barricade last night by adding new amounts of gravel.
KFOR troops withdrew toward southern Kosovska Mitrovica while the Serbs continued to reinforce the barricade. 
The barricades made of dirt, sand and large boulders are around two meters high and are blocking both lanes on a bridge near Zvečan. 
When the Serbs started unloading the large amounts of gravel and building new barricades KFOR troops used tear gas to disperse them. Some of the citizens had gasmasks on and ambulance arrived to the scene to treat those did not have them. 
Shots were heard in the area around 00:30 CET but it is still unknown who fired them. Majority of citizens left home around 02:00 and only a small number of them stayed at the barricade. 
The barricade in the village of Dudin Krš was built almost four months ago and it is blocking the road leading to the Jarinje administrative crossing. 
KFOR has already tried to remove the barricade near Dudin Krš twice, on October 18 and 22 but they were stopped by the citizens both times.
Explosion rocks Kosovska Mitrovica
A powerful explosion took place about 01:00 CET in northern Kosovska Mitrovica. Nobody was injured but two cars were damaged in the blast. 
The explosion took place near the Faculty of Economy and police immediately came to the scene. 
“So far we have neither motive nor suspects for the bomb attack,” Kosovo police regional Spokesman Besim Hoti has stated.

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http://rt.com/news/kosovo-serbs-barricades-kfor-267/

RT - November 26, 2011

Northern Kosovo: Serbs make their last stand

Tensions run high on Serbia's border with northern Kosovo, as neither of the conflicting sides is prepared to rule out a further escalation of violence.
Local Serbs say NATO forces are to blame, for breaking an agreement by trying to remove a barricade blocking the way to one of a number of disputed checkpoints. 
The move prompted violent clashes that left dozens injured on both sides.
Last night in Northern Kosovo passed without violence though this does not mean that the source of tensions has disappeared.
On November 23 the NATO’s KFOR forces attempted to remove a barricade put up by ethnic Serbian minority of the region. The resistance was tense so the soldiers used tear gas. More than 20 people were injured but the Serbs got it their way and the KFOR operation was ceased.
RT crew traveled around the area and saw the barricades that have been there for the last four months still up. They are constantly maintained and people there say they are not going to abandon them in any case and in fact are planning to build more of them.
To an untrained eye those barricades seem to be mere piles of rubble, amateurishly constructed. One would never say they could become a cause of armed conflict.
But in order to comprehend why the barricades appeared in the first place, the developments in July in Kosovo must be remembered.
The Serbian minority, that constitutes 10 per cent of the Kosovo population, lost any kind of legal status once Kosovo unilaterally proclaimed independence from Serbia in 2008. The Kosovo Serbs still consider themselves the citizens of Serbia. Needless to say that the Kosovo Albanians do not consider Northern Kosovo to be independent and expect Serbs to leave their homes and move to Serbia.
Until July the Serbs in northern Kosovo were allowed a measure of self-independence and an ability to be in free contact with mainland Serbia. But then the official Pristina (Kosovo capital) decided to take the border with Serbia under control, to install customs stations to administrate the goods flow and all the cars and trucks coming into the area.
The Serbs did not see that as a mere formality, but as an infringement of their remaining freedoms. They called it a slippery slope, first comes the customs control – then they become hostages of a political will of Albanian Pristina.
To prevent that from happening they erected barricades.
Then it appeared a compromise was found when it was announced that the customs stations will be controlled not by Albanians, but by KFOR forces.
The only matter is that the Serbs never trusted KFOR, seeing it as a force that conducts NATO policies in the region, making the separation of Kosovo from Serbia possible in the first place and protecting Albanian interests only.
And Serbs have every right to stick to their opinion since KFOR has never been evinced any sympathies with Serbs.
This time it was exactly the same. Once the tensions ran high and an attempt to remove the barricades was made, KFOR opened fire at protestors with live ammunition, later claiming they were using rubber bullets.
But doctors in the region who were treating the wounded have seen enough to tell the difference between a rubber bullet wound and a real one. Luckily enough, no one was killed.
In November KFOR started another operation to remove the barricades and again Serbs born in Kosovo made a stand, clearly understanding this might be their last one, saying firmly they will not leave their land.

VIDEO: http://rt.com/news/kosovo-serbs-barricades-kfor-267/

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http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2011&mm=11&dd=25&nav_id=77496

B92/Beta News Agency/KiM Radio - November 26, 2011

KFOR commander's statements "worrying"

ČAGLAVICA: A Serb mayor in northern Kosovo on Friday commented on a statement made by KFOR commander Erhard Drews, who warned about "a possible escalation of violence".
The German general who commands NATO's troops in Kosovo commented on the situation in the northern part of the province in an interview reported on Thursday.
Today, Zvečan Mayor Dragiša Mišović told KiM Radio in Čaglavica that "KFOR does as Priština (K. Albanian authorities) decide", while Serbs in the north - where they are a majority rejecting the authority of the government in Priština - "will not jeopardize security or aggravate the already difficult situation". 
For the past several months, local Serbs have been putting up barricades blocking the roads leading to the administrative line crossings between central Serbia and Kosovo, after the Priština authorities tried to install their customs and police at the checkpoints. Local Serbs and official Belgrade also reject the unilateral proclamation of independence of Kosovo, made by ethnic Albanians in early 2008. 
Mayor Milović said on Friday that he believed Drew's statement meant that "obviously these announcements are coming from Priština": 
"As he himself has said, Priština is getting increasingly nervous, but we expect him and all KFOR officials to act in line with their mandate and in line with (UNSC) Resolution 1244, in maintaining the stability and security of all people who live in Kosovo and Metohija." 
According to the mayor, claims that the barricades were limiting KFOR's ability to move freely were "not true". 
"KFOR enjoys full freedom of movement, and we have agreed with their representatives that there must not be any unilateral moves. On the other hand, we receive the answer in the form of an attempt to use force to remove the barricade in Dudin Krš," Milović said, referring to the incident at one of the road blocks, that took place earlier this week.

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http://blogs.voanews.com/breaking-news/2011/11/28/nato-soldiers-wounded-in-clash-with-serb-protesters/

Voice of America News - November 28, 2011

NATO Soldiers Wounded in Clash With Serb Protesters

A NATO spokesman says two soldiers serving with NATO's Kosovo Force were wounded Monday during a confrontation with Serb protesters in north Kosovo.
The violence erupted when NATO troops began removing several earthen roadblocks put in place by the Serbs who reject the authority of the Kosovo government. The ethnic Albanian-dominated Kosovo declared its independence from Serbia in 2008.
A KFOR spokesman said the wounded soldiers condition is not known.

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http://rt.com/news/kosovo-clashes-violence-victims-421/

RT - November 29, 2011

NATO troops shot, wounded in brutal Kosovo clashes 

At least two Kosovo Serbs and two NATO peacekeepers were injured in a fresh wave of violence in northern Kosovo, casting doubts on whether the conflict could be resolved in the near future.
The skirmishes occurred near the town of Zubin Potok, where Serbs were protesting NATO’s attempts to remove a barricade made of buses and trucks that was blocking a main road in the region. NATO peacekeeping troops responded by firing rubber bullets, tear gas and water cannons at the demonstrators. They also used pepper spray and batons against the protesters while the latter hit the NATO peacekeepers with clubs and pelted them with rocks.
NATO has been claiming the two injured peacekeepers were under fire from the Serb demonstrators and is now instructing its soldiers to fire live ammunition if they come under attack.
Violence between Kosovo Serbs and NATO troops and Kosovar police flared up this summer after the self-proclaimed Kosovo government sought set up customs and border posts in the north of the country, where the overall minority Serbs make up a majority.
The Serb population responded by burning one of the posts and attacking Kosovar police. NATO troops were then called in, but Serbs began setting up barricades made of mud, soil, rock and concrete barriers to block the main road arteries leading to the border. This led to several skirmishes over the past months involving NATO peacekeepers and Kosovo Serbs.
Just last week more than 20 Portuguese and Hungarian soldiers were injured in another operation to remove the barricades.
Kosovo declared its independence from Serbia in 2008 but it was only recognized by 85 countries, including the United States, the United Kingdom and France, but not most of the countries, including Russia and Serbia itself.
... 

VIDEO: http://rt.com/news/kosovo-clashes-violence-victims-421/

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http://english.ruvr.ru/2011/11/29/61193442.html

Itar-Tass - November 29, 2011

25 NATO servicemen injured in clashes with Kosovo Serbs
        
25 NATO servicemen have been injured in clashes with Serbs in Northern Kosovo, according to a statement that the KFOR international security force for Kosovo released earlier today. According to the Serbian mass media, up to 50 civilians were injured in the clashes.
NATO servicemen used rubber bullets, water cannons and tear gas to disperse the raging crowd, and also heavy military hardware to unblock the motorway that the protesters cut off with their buses and trucks in the area of the town of Zubin Potok.
The situation in Northern Kosovo was aggravated in the middle of September, when the Albanian authorities of the self-proclaimed state assumed control over the Jarinje and Brnjak checkpoints on the administrative border with Serbia. Kosovo Serbs have since started erecting barricades to protest the move.

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http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2011&mm=11&dd=29&nav_id=77551

Beta News Agency/Tanjug News Agency - November 29, 2011

KFOR: We'll shoot; Serbs start building new road

JAGNJENICA: KFOR members used loud speakers on Tuesday to warn local Serbs that they would "shoot" if they built a new barricade at Jagnjenica. 
KFOR at Jagnjenica on Tuesday (Tanjug)The locals ignored the warning and started hauling in earth and gravel, dumping it on the road, thus constructing a new barricade. KFOR reacted by throwing tear gas at the Serbs, who are also this Tuesday building a new road nearby.
This latest maneuver by the locals left KFOR troops "partially blocked", Tanjug is reporting. 
The vehicles the soldiers used on Monday to break up the old barricade are now located between two new road blocks, set up on both sides of the Zubin Potok-Zvečan road this afternoon. 
KFOR vehicles can at present only retreat to Čabra, an ethnic Albanian village where they had set up camp, according to this report. 
Earlier in the day, the talks between the NATO troops in Kosovo and local Serb leaders, held earlier in the day, did not produce any results. 
"If your trucks unload gravel here, we will shoot," it was heard from the KFOR loud speakers. 
The citizens gathered on the roads reacted with dissatisfaction, but no incidents were reported from the scene. 
During the meeting on Tuesday, KFOR again asked Serbs to leave the road, while Zubin Potok Mayor Slaviša Ristić said that the troops should return to the positions they held before they moved to remove the barricade at Jagnjenica, and added that KFOR enjoyed freedom of movement. 
A KFOR commander, who reports said "did not wish to introduce himself", accused Ristić of being "directly responsible for yesterday's violence against KFOR" - an accusation which the mayor rejected as false. 
Ristić also said he woud call on citizens to remain calm. 
After the meeting, KFOR again used lound speakers to warn the Serbs to disperse, and threaten that tear gas would be used against them.

New road
Meantime, local Serbs have decided to build a new road near Jagnjenica. 
On Tuesday afternoon, they brought machines to the location and started building an "alternative" road, in a bid to circumvent the barricade that is now held by KFOR. 
The aim is to make sure that the town of Zubin Potok, now cut off from other towns in the north of the province, is once again connected to Zvečan and Kosovska Mitrovica. 
The citizens are hauling in gravel and building the road, while KFOR troops are observing the developments.

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http://www.defense.gov/news/newsarticle.aspx?id=66279

U.S. Department of Defense - November 29, 2011

U.S. Commander Condemns Attacks on Kosovo Force

By Donna Miles

WASHINGTON: A senior U.S. military leader in Europe condemned recent violence against NATO troops in Kosovo just as a Wisconsin Army National Guard unit prepares to take command of the 15th rotation of peacekeeping forces there.
Navy Adm. Samuel J. Locklear III, commander of Allied Joint Force Command Naples, visited Pristina, Kosovo, today to assess the situation a day after attacks by Serb demonstrators wounded more than two dozen NATO Kosovo Force members. No U.S. troops were wounded in the clashes.
The attacks occurred after the KFOR troops removed blockades that had shut off a main road in northern Kosovo.
“The use of violence against KFOR troops is unacceptable,” Locklear said in a statement released today...
About 180 members of the Wisconsin National Guard’s 157th Maneuver Enhancement Brigade are now preparing to assume authority for the next KFOR rotation in December. They will serve as the brigade headquarters unit for Multinational Battle Group East, also known as Task Force Falcon. In that role, the 157th will oversee operations for the entire Multinational Battle Group East.
The group includes National Guard and Reserve soldiers from Wisconsin, Mississippi, Georgia, Nebraska, Vermont, North Dakota, New Jersey, Wyoming, Massachusetts and Puerto Rico. It also includes international forces from Armenia, Greece, Poland, Turkey, Romania and the Ukraine.
To prepare for the mission, the KFOR 15 troops trained in realistic scenarios at Camp Atterbury, Ind., and most recently, at U.S. Army Europe’s Joint Multinational Training Center in Hohenfels, Germany.
...

Observer-controllers at both training sites strived to make the training as realistic as possible, he said, based on tactics, techniques and procedures taking place on the ground.
“Early on in our training, the focus was on a relatively steady state and calm environment in Kosovo,” Liethen said earlier this month at Hohenfels.
“Things have drastically changed,” he said. “It’s very obvious that the training program here at Hohenfels has been modified to replicate what is actually going on in Kosovo right now so that will definitely be a help in us conducting our mission.” 

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http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2011&mm=11&dd=30&nav_id=77557

Tanjug News Agency - November 30, 2011

UN SC voices different views on Kosovo

NEW YORK: U.S., Great Britain, France and Germany’s representatives in the UN Security Council supported on Tuesday removal of the barricades in northern Kosovo.
Russia and China, on the other hand, backed Serbia’s integrity.
Serbia’s Foreign Minister Vuk Jeremić requested from the UN Security Council to prevent further unilateral actions. The UN Security Council permanent members strongly condemned violence but remained divided regarding who was responsible for it. 
...

Commenting on the recent incidents in northern Kosovo, the German representative said that violence against KFOR soldiers had to be fiercely condemned because attacks on KFOR...
Pointing out that putting up roadblocks was unacceptable, Wittig called on all sides to refrain from violence and asked Serbian authorities to use their influence to prevent violence. He also appealed to Priština officials to get involved in the search for a solution to the problems of organized crime and attacks on minorities. 
U.S. Ambassador to the UN Rosemary DiCarlo said that the violence in northern Kosovo had been caused by few extremists, adding that her country was still optimistic regarding solving of the issues between Belgrade and Priština. 
She called on the Serbian government to cooperate with KFOR and EULEX on removal of the barricades and arrest of suspected criminals in northern Kosovo. 
DiCarlo said that Kosovo was a unique customs market and that it therefore had the right to control its borders. She accused the Serbian security structures of being in northern Kosovo illegally. 
British Ambassador to the UN Michael Tatham strongly condemned the attacks on KFOR and called for an immediate removal of the barricades. 
He also called for continuation of the Belgrade-Priština dialogue, adding that Great Britain supported Serbia’s EU integration. 
French and German representatives voiced similar views. French Ambassador Gerard Araud said that the biggest victims of the barricades in the north were the people living there. 
The German ambassador said that the violence was organized by the Serbs who kept protesting and called for full freedom of movement in the entire Kosovo. 
He added that Serbia needed to implement the agreements that had been reached and that it was one of the conditions for the EU candidate status. 
Russian and Chinese ambassadors had completely different views regarding Kosovo, pointing out that Priština was responsible for the violence in the north. 
Russia's Ambassador Vitaly Churkin said the UN body had to send a clear message to everyone in Kosovo that they had to restrain from violence and continue the dialogue. 
Pointing out that Russia shared the concern of the Serbian foreign minister over the situation in Kosovo, Churkin reiterated that official Moscow did not recognize the unilaterally proclaimed independence of Kosovo and that this stance would not change. 
“The UNSC Resolution 1244 is in effect and represents an international and legal basis for the resolving of the Kosovo issue. We believe it is important that the dialogue is resumed, in order to find a solution to the problem,” the Russian ambassador said. 
“Unilateral actions by Priština are unacceptable,” he stressed. 
“Russia is concerned over the deterioration of the situation in northern Kosovo,” Churkin said, stressing that certain incidents were very brazen. 
When it comes to the clashes between KFOR and Kosovo Serbs, he stated it would be best if KFOR concentrated not on the removal of barricades but rather on what the concerns of the people living in that part of the province were. 
“KFOR and EULEX allegedly acted so as to ensure freedom of movement, but this is an shifting argument. According to the Resolution 1244, Kosovo is a special area within Serbia, and therefore we oppose the selective implementation of KFOR and EULEX's mandate,” Churkin said. 
“The use of force in order to establish the government of the so-called state of Kosovo is neither status neutral nor in keeping with their mandate,” Churkin pointed out, and added that Russia advocated a detailed investigation into developments from September 27, when KFOR used weapons and wounded civilians. 
“Russia also demands that a full and objective investigation into allegations on organ trafficking be launched, under the auspices of the UN Security Council,” he said. 
“Moreover, Moscow is concerned because the key witnesses in important proceedings have been eliminated and because the number of returnees in Kosovo is unsatisfactory,” the Russian representative concluded. 
The Chinese ambassador stressed that Serbia’s integrity and territorial sovereignty needed to be respected and said that a dialogue should be a solution to the crisis. 
He expressed concern over the human organ trafficking case in Kosovo, pointing out that Beijing requested a full and an unbiased investigation. 
Colombia, Brazil, South Africa and Bosnia-Herzegovina’s representatives also stressed that the Belgrade-Priština dialogue was the only possible solution.

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http://rt.com/politics/churkin-kosovo-serbs-security-537/

RT - November 30, 2011

Moscow slams NATO power games in Kosovo

Russia is concerned with the exacerbation of the situation in northern Kosovo, where NATO forces are pursuing their power politics targeted against Serbs, Russian envoy to the UN Vitaly Churkin is convinced.
Violence could have been prevented, the diplomat said during a Security Council meeting devoted to the Kosovo settlement, if “KFOR focused on providing security of the region’s residents, as stipulated in their mandate, rather than on eliminating Serbian barricades, which are a response to Pristina’s attempts to take under control the administrative border with Serbia.”
The Russian diplomat also said that Moscow has supported the Serbian government’s appeal to the UN secretary-general to thoroughly investigate an incident on September 27, when KFOR resorted to force, leading to a number of civilian casualties. 
Russia also insists on a full and objective probe into cases of human organ trafficking revealed by member of the Parliamentary Assembly of the Council of Europe Dick Marty.
The process of the return to Kosovo of displaced people, most of whom are Serbs, is unsatisfactory, Vitaly Churkin went on to say. And one of the main reasons for this is that those people are not confident of their security. In addition, “incidents of looting and theft of Kosovo Serbs’ property remain unpunished.”
He also demanded that all necessary measures be taken for the defense of Orthodox shrines and believers. 
“The UN mission to Kosovo should play a most active role in Kosovo settlement,” the Russian envoy to the UN stressed.
On November 29, at least two Kosovan Serbs and two NATO peacekeepers were injured in a fresh wave of violence near the town of Zubin Potok in the north of Kosovo. Serbs were protesting NATO’s attempts to remove a barricade made of buses and trucks that was blocking a main road in the region. NATO responded by firing rubber bullets, tear gas and water cannons at the demonstrators. Churkin called the incident “outrageous.”


=== 3 ===

http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=27495

Kosovo Quietly Signs Up Top US Lobbyists

Global Research, November 5, 2011 / Balkan Insight


Kosovo’s government has discretely engaged the lobbying services of one of Washington’s top firms for $50,000 a month, after having been forced to cancel an identical agreement with the firm last year for breaking public procurement laws.

Balkan Insight has obtained a copy of an official US document, which shows that Kosovo signed up the services of the lobbying firm Patton Boggs on August 31.

The document, logged at the Department of Justice, says Patton Boggs will offer Kosovo “advisory services on legal and advocacy issues to be used for expansion of bilateral and multilateral relations”.

The company will also be “fostering investments and trade opportunities for Kosovo, as well as gathering funds from foreign aid programs”.

Although the deal with the company was apparently signed on August 31, it has not been announced by the government, which last year was forced to cancel a similar contract.

Frank Wisner, Patton Bogg's foreign affairs advisor, met Thaci in the United States last July. According to a press release issed by the PM's office they discussed “current political developments in Kosovo and the achievements up to now of Kosovo’s institutions”.

Wisner is an old Kosovo hand. The former US Secretary of State under George Bush, Condoleezza Rice, appointed him the US’s special representative to the Kosovo Status Talks in 2005. Wisner played a crucial role in negotiating Kosovo’s independence.

In September 2010 the government then voted to employ Patton Boggs at a rate of 50,000 dollars a month [38,000 euro].

The cabinet was forced to cancel the decision in November after Balkan Insight revealed that the move appeared to break Kosovo's own law on public procurement.

This was because the cabinet had simply selected Patton Boggs instead of allowing a competitive bidding process to take place. The cabinet had also not justified to the Public Procurement Agency why it went ahead with a single-source tender.

Government officials said they annulled the deal on legal advice but denied having broken procurement rules.

The document recently seen by Balkan Insight showed that the annulled deal has since been quietly revived.

The Foreign Ministry said it had awarded the contract in coordination with the Procurement Agency.

Confusingly, the Agency first stated that it had no record of such a request from the ministry, but then later said it did.

Balkan Insight has now seen a copy of the request by the Foreign Ministry to the Procurement Agency to secretly award the contract to Patton Boggs with a single-source tender.

Seemingly unaware that all such contracts are required, by law, to be published online by the US Justice Department, Kosovo's Foreign Ministry argued that if the contract became public it could hinder Patton Boggs' lobbying work.

The Foreign Ministry's request was approved by the Procurement Agency.



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NUOVA GUERRA IMPERIALISTA IN CINQUE MOSSE


Da: a.marescotti @ peacelink.it
Data: 27/11/2011 23.09
Ogg: Scacco alla Siria in 5 mosse. Ecco le prove della malafede della Casa Bianca

Seguiamo con attenzione questa sequenza...


----- PRIMA MOSSA -----

1) I negoziati in Siria sembrano dare i primi frutti. Lo riferisce il Corriere della Sera del 2 novembre. Leggiamo qui...

MEDIO ORIENTE. Media e osservatori in Siria: Assad accetta il piano di pace della Lega araba. Road map in quattro punti. Ma l'opposizione è scettica

Il presidente siriano Bashar Assad ha accettato la road map della Lega araba per porre fine alle violenze. Ovvero un piano in quattro punti che prevede tra l'altro l'apertura del Paese a osservatori della Lega e ai media internazionali. Lo rende noto la Lega araba.
IL TESTO - L'accordo stabilisce anche la «fine immediata delle violenze» e il «ritiro dei carri» armati dalle strade per «rivolgere un messaggio rassicurante alla piazza siriana», prima dell'avvio di un «dialogo nazionale» con l'opposizione.

Fonte Corriere della Sera 2 novembre 2011
http://www.corriere.it/esteri/11_novembre_02/siria-road-map_d5b3336e-056f-11e1-bcb9-6319b650d0c8.shtml


----- SECONDA MOSSA -----

2) La Casa Bianca che fa? Due giorni dopo, il 4 novembre, Washington incita l'opposizione non alla trattativa ma alla rivolta armata. Leggiamo qui...

(AGI) Washington - Gli Usa gettano benzina sul fuoco della rivolta in Siria contro il regime di Bashar el Assad.

Washington ha chiesto agli insorti di non arrendersi ne' di accettare l'amnistia offerta da Damasco a chi consegnera' le armi in suo possesso entro il 12 novembre.

Fonte: http://it.notizie.yahoo.com/agi-siria-usa-siriani-non-arrendetevi-ne-accettate-182806192.html


----- TERZA MOSSA -----

3) Seguendo i consigli della Casa Bianca, gli insorti attaccano con mitragliatrici e lanciarazzi i palazzi governativi.

Vedi http://www.cdt.ch/mondo/cronaca/53903/disertori-contro-l-intelligence-di-assad.html


----- QUARTA MOSSA -----

4) Adesso Stati Uniti e Lega Araba parlano di indisponibilità della Siria alle trattative!

E quindi preparano scenari di guerra:
http://www.corriere.it/esteri/11_novembre_24/olimpio-scenario-siria_baea5e0a-166c-11e1-a1c0-69f6106d85c1.shtml


----- QUINTA MOSSA -----

5) E per rafforzare il clima di dialogo, l'opposizione armata continua il tentativo di insurrezione contro il governo siriano. "In 48 ore, secondo la conta degli attivisti e dei media di regime (bilanci che per una volta coincidono), ben 47 militari governativi sono stati uccisi da disertori".

Fonte: http://www.bluewin.ch/it/index.php/564,503544/Siria__ancora_attacchi_disertori_a_governativi,_18_morti/it/news/estero/sda/


Più chiaro di così...


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Alessandro Marescotti
http://www.peacelink.it


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Svim Jugoslavenima i prijateljima Jugoslavije srdačne čestitke povodom Dana Republike, 29.XI.!
Italijanska Koordinacija za Jugoslaviju

A tutti gli jugoslavi e gli amici della Jugoslavia i nostri auguri di cuore per la Giornata della Repubblica, 29 Novembre!
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - onlus


Sulla motivazione storica della ricorrenza del 29 Novembre vedi:
https://www.cnj.it/documentazione/danrepublike.htm

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Settanta anni fa: Kadinjaca e la Repubblica di Uzice


Oggi sono stati celebrati e commemorati i 70 anni dalla battaglia sul Monte Kadinjaca nei pressi di Uzice (Serbia).


Settant'anni fa, il territorio di Uzice e una vasta area intorno sono stati il centro del primo Territorio libero nell'Europa occupata, con più di un milione di abitanti; la Repubblica di Uzice durò dal 24 settembre fino al 29 novembre 1941. Dopo i brillanti successi dei combattenti partigiani e i molti danni causati alla soldatesca germanica, nel mese di ottobre iniziarono una serie di pesanti rappresaglie contro la popolazione civile, con svariate migliaia di fucilazioni di cittadini adulti e studenti, in base al criterio "cento per ogni tedesco".

Scopo della strenua difesa sul Monte Kadinjaca, a nord-est di Uzice, era di rallentare l'avanzata tedesca e dare tempo alla maggior parte dell'Esercito di Liberazione, e al suo Quartiere generale, di ritirarsi verso la Bosnia. Il Battaglione degli operai consisteva di lavoratori delle ferrovie, fornai, tessili e calzolai, mentre nei suoi ranghi era assente il plotone degli operai della fabbrica delle armi: erano 120, tutti vittime di un precedente sabotaggio nello stabilimento. In quel momento si trovavano davanti ai loro macchinari, mentre i fornai sfornavano il pane, i calzolai le scarpe e gli scarponi... Tutti facevano i partigiani al di fuori del loro orario di lavoro, oppure quando non prestavano servizio di guardia.

Durante la battaglia sul Monte Kadinjaca, il Battaglione degli operai si trovò circondato dai tedeschi che cercavano di neutralizzare e distruggere le postazioni delle mitragliatrici partigiane. Non ci ritireremo, combatteremo fino all'ultimo - disse dapprima Dusan Jerkovic: e così fecero. Combattendo fino all'ultimo sangue, presto gli operai-partigiani caddero; cadde il comandante del settore Dusan Jerkovic con la pistola stretta in pugno; vicino a lui Andrija Đurović, comandante del Battaglione degli operai; e poi tanti alti combattenti del Battaglione degli Operai. Verso le 14,30 la battaglia ebbe fine. 

Avevo cinque anni ed il mio ricordo mi si presenta come un sogno; mi ricordo come papà puliva le babbucce davanti all'ingresso di casa. Se ne andò sulla bicicletta, con un maglione bianco e una bandiera tricolore in mano. Non lo vidi mai più  - ricordava Ljubinka, la figlia del comandante del Battaglione degli operai, Andrija Djurovic.

Il ricordo di quegli eroici e tragici momenti fu mantenuto e curato nella Jugoslavia socialista. Ancora oggi, nel giorno del 29 Novembre, si rende onore ai caduti presso il Memoriale sul Monte di Kadinjača.


(a cura di DK. Fonti/izvori: 
https://www.cnj.it/VALORI/Kadinjaca.htm : sintesi storica e traduzione della struggente poesia di Slavko Vukosavljevic )


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(sulle complicità dei servizi segreti tedeschi con il terrorismo neonazista - si veda anche:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7205 )

http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/58209

V-Männer
 

28.11.2011

ERFURT/HANNOVER
 
(Eigener Bericht) - Neue Hinweise auf V-Leute im unmittelbaren Umfeld der Neonazi-Terrorgruppe NSU ("Nationalsozialistischer Untergrund") belasten die deutschen Inlandsgeheimdienste. Demnach könnten sich unter den Unterstützern, möglicherweise sogar im Kern der Mordbande Kontaktpersonen des Verfassungsschutzes befunden haben. Damit lasse sich erklären, heißt es, wieso die Terroristen nicht festgenommen worden seien, obwohl Polizeifahnder offenbar mehrfach Zugriffsmöglichkeiten hatten. Bereits des Öfteren in der Vergangenheit sind V-Männer der deutschen Inlandsgeheimdienste in Neonazi-Terrorgruppen oder auch als Lieferanten von Waffen und Sprengstoff tätig gewesen. Berichtet wird von Todeslisten, auf denen "Juden und Linke" verzeichnet gewesen seien. Inwiefern der Dutschke-Attentäter Josef Bachmann in solchen Zusammenhängen stand, ist trotz eindeutiger Indizien von den deutschen Behörden nie untersucht worden. Als V-Mann war unter anderem der Leiter einer Kampfsportschule aktiv, der drei der vier Täter trainierte, die am 29. Mai 1993 einen Brandanschlag auf ein Wohnhaus in Solingen verübten und dabei fünf Menschen türkischer Herkunft ermordeten. Seine Rolle ist bis heute 
nicht wirklich geklärt.

Direkte Verbindung

Neue Hinweise auf V-Leute im unmittelbaren Umfeld der Neonazi-Terrorgruppe NSU belasten die deutschen Inlandsgeheimdienste. Demnach sei möglicherweise ein V-Mann in der "Brigade Ost" tätig gewesen, einer Neonazi-Gruppe aus Johanngeorgenstadt, die den NSU aktiv unterstützt hat. Bereits zuvor war zu erfahren, der Justizminister Thüringens habe in einer Ausschusssitzung einen Aktenvermerk erwähnt, der eine direkte Verbindung zwischen dem Inlandsgeheimdienst und der Terrorgruppe nahelege; eventuell könne eins der drei Mitglieder sogar eine V-Person gewesen sein.[1] Damit lasse sich nicht nur erklären, heißt es, wieso einer der Terroristen von einer sächsischen Meldebehörde einen legalen Reisepass mit falschem Namen erhalten habe, sondern auch, wieso es nicht zur Festnahme der Bande gekommen sei. Berichten zufolge hatten Fahnder die Gruppe schon kurz nach ihrem Untertauchen, aber auch später wieder, etwa im Jahr 2001, aufgespürt; das zeigten Observationsfotos.[2] Im Jahr 2001 hatte der NSU seine Mordserie bereits gestartet. Noch 2008 sei das NSU-Mitglied Beate Zschäpe auf einer Neonazi-Demonstration in der sächsischen Kleinstadt Geithain fotografiert worden, ist zu erfahren. Auch von Auslandsaufenthalten der Terroristen ist die Rede.

Todeslisten

V-Männer des deutschen Inlandsgeheimdienstes waren in der Vergangenheit mehrfach in Neonazi-Terroranschläge involviert. Ein Beispiel bieten Gewalttaten der Neonazi-Szene in Niedersachsen in den 1960er und 1970er Jahren. In Peine unweit Hannover kamen in den 1960er Jahren regelmäßig örtliche NPD-Aktivisten und parteilose Rechte zusammen, um gemeinsam das Schießen zu üben - "mit Pistolen, Schnellfeuergewehren und Maschinenpistolen", wird berichtet.[3] An den Übungen beteiligt waren immer wieder auch Polizisten. Neonazis konnten sich damals öffentlich mit Pistole am Halfter zeigen: "Wir wurden von der Polizei in jeder Hinsicht gedeckt", sagt ein Beteiligter. Es kam immer wieder zu Gewalttaten. Diese richteten sich unter anderem gegen die Grenze zwischen BRD und DDR: Neonazis rissen Grenzzäune nieder und schossen auf DDR-Territorium, um damit Grenzbeamte anzulocken und sie töten zu können. Auch ein Anschlag auf den damaligen DDR-Staatsratsvorsitzenden Walter Ulbricht wurde geplant, kam aber nicht zur Ausführung, da Ulbricht einen geplanten Westbesuch absagte. Im Lauf der Jahre hätten Neonazis aus Peine, heißt es, ganze Todeslisten "mit den Namen von 600 Juden, Linken und prominenten Bundesbürgern" angelegt - um diese "durch Attentate auszuschalten".[4]

Sehr fürsorglich

Die Gruppe aus Peine flog auf, nachdem sie 1977 zwei Sprengstoffanschläge begangen hatte. Über die Anschlagspläne hatte bereits zuvor der Berliner Verfassungsschutz den niedersächsischen Verfassungsschutz informiert, der die Hinweise jedoch als "unbegründet" ad acta gelegt hatte. Vor Gericht stellte sich dann heraus, dass einer der Bombenbauer, Hans-Dieter Lepzien, als V-Mann für den niedersächsischen Verfassungsschutz tätig gewesen war. Beobachter hätten sich damals äußerst verwundert gezeigt, "auf welch fürsorgliche Weise" sich das niedersächsische Innenministerium im Anschluss an den Prozess um seinen V-Mann gekümmert habe. Es habe die Revision des Urteils beim Bundesgerichtshof betrieben, zu diesem Zweck einen Anwalt aus einer Münchner Starkanzlei engagiert, die Verfahrenskosten gezahlt sowie "sogar ein Gnadengesuch beim Bundespräsidenten" gestellt, heißt es in einem Bericht.[5] Bundespräsident Karl Carstens habe in der Tat nur zwei Tage vor dem Ende seiner Amtszeit verfügt, Lepzien vorzeitig aus der Haft zu entlassen. Welche Rolle der Inlandsgeheimdienst bei der ganzen Affäre gespielt habe, sei unklar, hieß es weiter. Einer der angeklagten Neonazis habe erklärt, der Verfassungsschutz habe durch Lepzien die "Aktivitäten (...) angeheizt". Diese Meinung habe, urteilte damals die Zeitschrift Der Spiegel, beileibe nicht nur der um seine Entlastung bemühte Neonazi vertreten.[6]

Im Sande verlaufen

Recherchen ergaben schließlich Ende 2009, dass aus der Neonazi-Szene in Peine auch ein gewisser Josef Bachmann stammte. Er hatte seit der ersten Hälfte der 1960er Jahre an den Schießübungen in Peine und an diversen Straftaten, darunter Überfälle auf die Grenze zur DDR, teilgenommen. Einer größeren Öffentlichkeit wurde Bachmann bekannt, als er am 11. April 1968 in Berlin den linken Aktivisten Rudi Dutschke niederschoss. Den Recherchen zufolge gab er im Verhör zu, bereits in Peine in den Besitz einer Waffe gelangt zu sein, die der Tatwaffe glich. Dennoch sei die Polizei den Hinweisen nie nachgegangen, wird berichtet: "Die Herkunft der Tatwaffe blieb für Gericht und Polizei ungeklärt.". Auch hätten "die Ermittler das gesamte braune Milieu Bachmanns" vollständig ausgeklammert: "Selbst als sich ein Zeuge meldete, der über Bachmanns Peiner Hintergrund aussagen wollte, verliefen die Bemühungen der Berliner Ermittler bei ihren niedersächsischen Kollegen im Sande".[7] Welche Rolle die jahrelange Tätigkeit des V-Mannes Lepzien für den niedersächsischen Verfassungsschutz dabei spielte, ist bis heute unbekannt.

Maschinenpistolen, Plastiksprengstoff...

Hans-Dieter Lepzien war keineswegs der einzige V-Mann der Verfassungsschutzbehörden, der mit Waffen und Sprengstoff hantierte oder anderweitig in terroristische Aktivitäten involviert war. Eine Reihe weiterer Fälle benannte bereits vor beinahe zehn Jahren der Journalist Burkhard Schröder. In einem Prozess im Jahr 1972 gab der V-Mann Helmut Krahberg an, führender Aktivist der Neonazi-Terrororganisation "Europäische Befreiungsfront" gewesen zu sein. 1983 teilte der V-Mann Werner Lock mit, 1977 an einem konspirativen Treffen teilgenommen zu haben, bei dem zwei berüchtigte Neonazi-Terrorgruppen Absprachen über Anschläge trafen.[8] "Ein Zehntel der anwesenden Nazis" seien V-Männer gewesen, hieß es dazu.[9] Für den niedersächsischen Verfassungsschutz war nicht nur Werner Gottwald tätig, der mit Wissen des Amts in den 1970er Jahren Neonazis Waffengeschäfte vermittelte - dabei sei es um "Faustfeuerwaffen, Maschinenpistolen, Handgranaten und Plastiksprengstoff im Wert von einer halben Million Mark" gegangen. Auch Joachim Apel, Aktivist der "Kampfgemeinschaft Nationaler Sozialisten" in Emden, war laut Berichten nicht nur als V-Mann in Niedersachsen aktiv, er beschaffte Neonazis Waffen und war an Brandanschlägen beteiligt.[10] Im November 1999 wurde bekannt, dass Michael Grube als V-Mann für den Dienst in Mecklenburg-Vorpommern gearbeitet hatte. Grube war nicht nur NPD-Kandidat, er hatte auch bei einem Brandanschlag auf eine Pizzeria in Grevesmühlen mitgemischt. Wie es heißt, hatte er vom Verfassungsschutz "Listen mit Namen vermeintlicher Linker" aus der Region erhalten.[11]

Kampfsportschule

Besonderes Aufsehen hat ein Fall aus dem Jahr 1993 erregt. Drei der vier Täter, die am 29. Mai 1993 ein Wohnhaus in Solingen in Brand gesteckt und fünf Menschen türkischer Abstammung ermordet hatten, hatten vor der Tat in einer Kampfsportschule trainiert, die von einem V-Mann des nordrhein-westfälischen Verfassungsschutzes geleitet wurde. Berichten zufolge hatte der V-Mann, Bernd Schmitt, seine Schule in Absprache mit dem Inlandsgeheimdienst gegründet; der damalige Innenminister Nordrhein-Westfalens bestritt dies allerdings. Tatsächlich wurden in den Unterlagen von Schmitt "Lageskizzen von Wohnungen ausländischer Bürger" und "Anleitungen zum Bau von Molotowcocktails" gefunden; von den bis zu 350 Personen, die bei ihm trainierten, sollen mindestens 100 der extremen Rechten zuzurechnen gewesen sein. Schmitt selbst war für zahlreiche bekannte Neonazis als Personenschützer und als Ausbilder tätig.[12] In seiner Schule trainierte er unter anderem eine "Deutsche Kampfsport-Initiative", einen Zusammenschluss von Neonazis, der für besondere Aufgaben - etwa für den Saalschutz bei Treffen der extremen Rechten - bereitstehen sollte.[13]

Informationen

Zu den Gewalttätern, die sich als V-Männer zur Verfügung stellten, gehörte nicht zuletzt Carsten Szczepanski. Er war wegen versuchten Mordes zu acht Jahren Haft verurteilt worden. Szczepanski tat, was man von ihm erwartete, und lieferte Informationen, etwa im September 1998 den Hinweis, dass ein sächsischer Neonazi dabei war, die untergetauchte Terrorgruppe mit Waffen zu versorgen. Der Hinweis wurde an die Verfassungsschutzbehörden des Bundes sowie der Länder Sachsen und Thüringen weitergeleitet. Dessen ungeachtet übernahm das Bundeskriminalamt am 4. März 1999 die Einschätzung der Staatsanwaltschaft im thüringischen Gera, bei der untergetauchten Bande handele es sich nur um "ein loses Geflecht von Einzeltätern"; ein Verfahren wegen Bildung einer terroristischen Vereinigung müsse deshalb nicht eingeleitet werden.[14] Ein Zugriff auf den NSU erfolgte - bei wirklichkeitsgetreuer Informationslage - tatsächlich nicht.

Weitere Informationen zur Verflechtung der Neonazi-Szene mit den deutschen Inlandsgeheimdiensten finden Sie hier:Staatliche Aufbauhilfe für NeonazisKleiner Adolf und Europa erwache!.

[1] Ein V-Mann in der Terrortruppe? www.taz.de 23.11.2011
[2] Nazi-Terroristen waren für Zschäpe ihre Familie; www.focus.de 26.11.2011
[3] "Er sollte sterben"; Der Spiegel 50/2009
[4] Schwarze Todeslisten; Der Spiegel 51/2009
[5], [6] Was dürfen die eigentlich; Der Spiegel 39/1984
[7] "Er sollte sterben"; Der Spiegel 50/2009
[8] Es handelte sich um die "Wehrsportgruppe Hoffmann", die bislang größte Neonazi-Terrorgruppe der Bundesrepublik, und die "Deutschen Aktionsgruppen" um Manfred Roeder, die bereits 1980 bei einem Brandanschlag auf ein Flüchtlingsheim zwei Migranten ermordeten.
[9] Burkhard Schröder: Ein System, das das Problem, über das es informieren will, selbst erschafft, ist absurd; www.heise.de 28.01.2002
[10], [11] Christoph Ellinghaus: Rechte Spitzel des Verfassungsschutzes; CILIP 66 (2/2000). Weitere Fälle listet auf: Johannes Radke: Waffen, Drogen, Nazi-Propaganda - das falsche Spiel rechtsextremer VS-Spitzel, blog.zeit.de 17.11.2011
[12] "Das wäre eine Bombe"; Der Spiegel 22/1994
[13] Politischer Gau; Der Spiegel 23/1994
[14] Neonazi soll schon 1998 Waffen für Terror-Trio besorgt haben; www.spiegel.de 27.11.2011

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Svuda Jugoslaveni

(Si è tenuta a Sarajevo lo scorso 30 ottobre la seconda parte della Tavola Rotonda iniziata nell'aprile 2011 a Spalato sul tema: "Jugoslavi: il riconoscimento del diritto alla nazionalità". 
Pochi giorni prima in Germania era stata creata la Lega degli Jugoslavi emigrati in quel paese.
Per altre informazioni sulla crescita impetuosa del movimento jugoslavista rimandiamo ai link accessibili dalla nostra pagina: 
https://www.cnj.it/amiCIZIA.htm#jugo_apatridi )

1) Jugoslaveni – rješenje, a ne problem! (30.10.2011.god. održan je u Sarajevu okrugli sto na temu: "Jugoslavenstvo-priznavanje prava na nacionalnost")
2) Održan je i SAVEZ JUGOSLAVENA ZA NJEMAČKU


=== 1 ===

Jugoslaveni – rješenje, a ne problem!


... zajednička je ocjena učesnika okruglog stola na temu „Jugoslavenstvo – priznavanje prava na nacionalnost“ održanog u nedelju, 30.10.2011. godine u Sarajevu. Tom prilikom izneseno je više aspekata vezanih za opšte stanje nacije danas i za njeno pojmovno određenje uz poseban osvrt na odnose među narodima i državama na prostorima nekadašnje SFRJ uopšte kao i posebno prema Jugoslavenima. Prisutnima su prezentovani pojmovi političke kulture, kulture dijaloga, tolerancije, političke religije i dominacije militantnog teizma, ksenofobije, nacionalizma, kao i u političkim i društvenim krugovima opšteprisutnog antiintelektualizma.


Problem današnjeg vremena je upravo težnja svih protivnika priznavanja prava na nacionalnost Jugoslavenima da dokažu naše nepostojanje, da nas žive sahrane ispod njihovih tmurnih naslaga prošlosti, pogotovo bliske prošlosti u poslednjih tridesetak godina. Proces razbijanja zajedničke države 90-ih godina prošlog veka nije izvršen sa uspehom do kraja, ako još uvek postoje Jugoslaveni, kao živi svedoci tih događaja.“

Ideja o postojanju Jugoslavenske nacije mnogo je starija od Jugoslavije kao državne zajednice. Treba, također, istaći da Jugoslaveni nikada nisu imali svoju državu niti su tome težili. Sve zajedničke države naših naroda na ovim prostorima bile su tvorevine u koje su ti narodi unosili dijelove svog suvereniteta, stvarajući i oblikujući ih na taj način. Jugoslaveni su se prilagođavali svakoj novoj situaciji dajući svakom društvu, čiji su bili sastavni dio, najbolje i najviše iz svojih redova. Nakon razbijanja SFRJ njima (Jugoslavenima) je naprasno oduzeto pravo na nacionalnost, čime im je oduzeta sloboda izjašnjavanja i ukinuto pravo na slobodan izbor nacionalnoj pripadnosti.“

Ako se zaista želi raditi na provođenju demokratskih promjena i primjenjivanju demokratskih principa, odnosno osigurati uvođenje demokratije u sve segmente društvenog života neophodno je prihvatiti postojanje jugoslavenske nacionalnosti kao nezaobilazne istorijske činjenice i Jugoslavena kao sastavnog dijela stanovništva i jednog od najznačajnijih kohezionih faktora u regiji. Stoga sa ovog današnjeg skupa šaljemo jednostavnu ali jasnu poruku – Jugoslavene shvatite i prihvatite kao rješenje, a ne kao problem!“


Sve naprijed rečeno moglo se čuti na ovom skupu, a za riječ su se javljali: Dr. Pavle Vukčević i Miodrag Cvjetičanin iz Splita, Slobodan Stajić, Jezdimir Milošević i Samir Arnautović iz Sarajeva, Frederik Goda iz Ulma (Njemačka), Zlatko Stojković iz Pule i Dalibor Tomić iz Kiseljaka.


Ovo je bio već drugi po redu okrugli sto organizovan na inicijativu i pod pokroviteljstvom Udruženja „Naša Jugoslavija“ i Saveza Jugoslavena, kao njegovog sastavnog dijela. O mjestu i datumu održavanja sljedećeg skupa ovakve vrste javnost će biti pravovremeno obavještena.


Za PRESS-SLUŽBU

Udruženja „Naša Jugoslavija“

Dalibor Tomić



=== 2 ===

SAVEZ JUGOSLAVENA ZA NJEMAČKU

Na inicijativu članova Udruženja „Naša Jugoslavija“ koji trenutno žive i rade na teritoriji Savezne Republike Njemačke u nedelju, 23. 10. 2011. godine, u njemačkom gradu Ulmu održan je osnivački skup podružnice Saveza Jugoslavena za Njemačku.
Nakon osnivanja Saveza Jugoslavena u Zagrebu (21.03.2010. godine), kao i Kluba Jugoslavena u Splitu nedugo iza toga, ovo je već treća po redu organizacija koja svoje djelatnosti konkretno usmjerava ka okupljanju Jugoslavena i aktivnostima na ostvarivanju njihovog prava na nacionalnost, te očuvanju kulturnog identiteta, istorijske, umjetničke i jezične baštine, tradicije i običaja – grubo i bespravno ukinutih nakon 1991. godine.
Vođeni plemenitim idejama međusobnog razumijevanja, tolerancije i poštovanja osnovnih ljudskih prava na slobodu, javno izjašnjavanje i opredjeljenje – pravima koja su zagarantovana ustavima svake demokratske države – skrećemo pažnju na neravnopravan odnos prema pripadnicima nacionalnosti Jugoslaven u svim novonastalim državama na teritoriji nekadašnje SFRJ.
Kao osnovnu karakteristiku Jugoslavenstva treba istaći njegovu heterogenost i otvorenost prema drugom i drugačijem. Jednakost nezavisna od boje kože, polne pripadnosti, religiozne opredjeljenosti ili svake druge orjentacije obogaćuje ovaj kompleksni fenomen, prikazuje ga u svjetlu izrazito pozitivne istorijske i socijalno-kulturne dinamike, a iznad nazadne i primitivne
ograničenosti nacionalizma, odnosno jednonacionalne samozadovoljnosti i besperpektivnosti.
Jugoslavenstvo znači otvoreno govoriti o ravnopravnosti svake vrste, istinito prikazivati istorijske činjenice, ponositi se zajedničkim jezikom i porijeklom... Jugoslaveni ne žive samo na teritoriji nekadašnje SFRJ, već širom Evrope i svijeta, imaju iste osjećaje nacionalne pripadnosti. Poručujemo i pozivamo sve njih, kao i sve druge koji se osjećaju nama bliski da nam se pridruže i daju svoj doprinos u ostvarenju zajedničkih ciljeva.

Inicijativni odbor osnivača
Saveza Jugoslavena za Njemačku
Ulm, 23.10.2011. godine


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