Informazione


Così non va. Chi ha paura a discutere liberamente sulle foibe?


Pubblicato il febbraio 10, 2011 da prctavagnacco
Scritto da Francesco Giliani
Giovedì 10 Febbraio 2011


Dal 2004, ovvero da quando è stato istituito, il giorno del ricordo in memoria delle vittime delle foibe
è diventato l’occasione per sviluppare un’opera di revisione dal punto di vista storico portata avanti non solo dalla destra, ma anche da intellettuali presuntamente progressisti. Pubblichiamo una riflessione a riguardo di Francesco Giliani, che è stato testimone di un tentativo di questo genere in una scuola superiore della provincia di Modena.

Comprendere un dibattito storiografico, distinguere le fonti storiche, contestualizzare i processi storici. Tanti “obiettivi” declamati fino alla nausea nelle circolari ministeriali e nelle programmazioni dei docenti. Nient’altro che una lista di belle intenzioni, viste da un’assemblea d’Istituto sulle foibe. In queste assemblee assistiamo da anni alla ripetizione ossessiva di un unico punto di vista, quello di “storici” come Marco Pirina (coinvolto nel golpe Borghese del 1970):  le foibe furono pulizia etnica praticata dai partigiani jugoslavi, ispirati dalla criminale ideologia comunista, contro l’inerme popolazione italiana infoibata a causa della sua nazionalità. I video giocano cinicamente sui sentimenti , gli storici di turno presentano la storia in modo “neutro” e non opinabile ed infine gli esuli – di solito membri o vicini alla neo-irredentista Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia – si mettono molto spesso a fare storia invocando il proprio status di esule come garanzia di attendibilità ed infallibilità. E’ talmente forte la pressione della Giornata del Ricordo che nelle scuole saltano anche le sempre più ossessive attenzioni al contraddittorio – spesso peraltro interpretato dalle presidenze in modo veramente desolante, come se dovessimo riprodurre una par condicio in stile “Porta a Porta”. Insomma, le istituzioni vogliono che niente rovini la festa. Tutti allineati.
Come docenti non credo che sia possibile voltarsi dall’altra parte e non prendere posizione. Professare ignoranza o scarsa conoscenza sull’argomento non è più scusabile. Perché non è scusabile stare zitti davanti ad una gigantesca iniezione di nazionalismo tra i giovanissimi per mezzo della scuola pubblica.
Nei dibattiti sulle foibe i fatti scompaiono. O meglio, chi interviene a sostegno della tesi dominante è di fatto legittimato a non portare fonti ed argomenti a supporto della propria tesi. Può semplicemente passare da un’affermazione all’altra. I numeri vengono gonfiati a dismisura. Gli scomparsi sono addizionati agli infoibati. Chi mette in discussione le cifre iperboliche dei foibologi (diecimila o anche più) interessati a creare un contraltare “rosso” ad Auschwitz è accusato di fare il ragioniere coi morti, di negare il “genocidio” (altro termine usato a vanvera) degli italiani, vittime innocenti di una pulizia etnica. Per capire un qualsiasi fenomeno è necessario – ripeterlo suona elementare – accertarne anche le dimensioni: se gli infoibati sono stati nell’ordine delle centinaia e per lo più appartenenti a formazioni armate fasciste o collaborazioniste, infatti, verrebbe a cadere anche la tesi della “pulizia etnica” contro italiani inermi e si dovrebbe ammettere che il sentimento dominante era antifascista e non anti-italiano. Per le foibe, però, tutto deve apparire già accertato col consenso unanime di tutti. Chi lo nega è un blasfemo.
Il copione non è stato diverso dal canovaccio solito all’ultima assemblea d’Istituto sulle foibe a cui ho assistito come docente il 4 febbraio 2011 a Carpi. Un’assemblea simile a tante altre in tutt’Italia. In meno di due ore di assemblea ho ascoltato buona parte di quelle falsità che storici come Claudia Cernigoi e Sandi Volk hanno smontato con diversi libri basati su ricerche a pettine in tutti gli archivi possibili e immaginabili, al di qua e al di là del confine. Ricerche che, biografie alla mano, mostrano che la grandissima parte delle centinaia di infoibati tra Istria ’43 e Trieste ’45 erano volontari della Milizia di Difesa Territoriale o della X Mas, massacratori vari, delatori e collaborazionisti al servizio dei nazisti che esercitavano un dominio diretto su quell’area con la formazione della Zona d’Operazioni Litorale Adriatico. Altri, alcune migliaia di criminali di guerra fascisti, furono arrestati nel maggio ’45 tra Trieste e Gorizia e vennero internati in Jugoslavia, dove molti di loro morirono di stenti e alcuni dopo condanne a morte pronunciate dal Tribunale di guerra jugoslavo. E’ bene ricordare che nessuno dei criminali di guerra italiani richiesti dalla Jugoslavia venne mai estradato dallo Stato italiano. E’ dunque senza fondamento sostenere che gli infoibati sarebbero stati diecimila o più, cifre fornite da autori come Pirina e Luigi Papo (ex rastrellature di partigiani). Le loro liste, in realtà comprensive di tutti i dispersi, hanno percentuali d’errore anche del 65%, come dimostrato dalla Cernigoi nel caso dei loro elenchi relativi alla provincia di Trieste.
Nel video dell’Istituto Luce proiettato a Carpi errori e rimozioni erano innumerevoli. Ne ricordo tre: [1] la foiba di Basovizza piena di 300 metri cubi di cadaveri di italiani, [2] la soppressione del CLN di Trieste per mano dei partigiani di Tito, spesso citata come esempio della politica fratricida tra i nemici del fascismo, e [3] l’idea che di foibe si sia iniziato a parlare dal maggio-giugno ’45, quando Trieste fu occupata dai partigiani jugoslavi.
La storia sulla foiba di Basovizza è una colossale costruzione mediatica basata sul nulla. La leggenda che vi siano 300 metri cubi di cadaveri è smentita platealmente da un telegramma confidenziale delle massime autorità Alleate del 19 febbraio 1946 nel quale si affermava che “la cessazione delle investigazioni [sui cadaveri nella foiba di Basovizza] è autorizzata. Per minimizzare qualsiasi effetto sull’opinione pubblica italiana e qualsiasi possibilità che gli jugoslavi interpretino la cessazione come un’ammissione che le accuse contro di loro erano infondate, siete autorizzati a rilasciare una dichiarazione pubblica che la cessazione delle investigazioni è dovuta a difficoltà fisiche sopravvenute, e che ciò non implicava che le asserzioni fatte dal CLNAI siano dimostrate essere infondate”. In una precedente relazione del 21 ottobre 1945 ad opera del Comando Generale delle Forze Armate statunitensi nel Mediterraneo si scrisse che nelle foiba di Basovizza erano stati rinvenuti solo alcune decine di cadaveri, appartenenti a soldati tedeschi della prima guerra mondiale, e carcasse di animali. Non ci furono nuove investigazioni ,ma in compenso a Basovizza abbiamo un monumento nazionale. Di questo non si deve sentire parlare: rovinerebbe una storia troppo ben costruita fatta di partigiani comunisti cattivi, e per di più slavi, e di italiani vittime innocenti di un’ideologia criminale.
Nel secondo caso si tace il fatto che a causa della repressione nazista in città si susseguirono tre differenti CLN e l’ultimo, molto diverso dai precedenti, era composto di loschi figuri che consideravano la nuova Jugoslavia come un paese nemico, provenienti anche dalla X Mas, i quali, col paravento dell’antifascismo, cercavano alleanze coi residui del regime fascista in funzione nazionalista ed anti-slava, giungendo persino a preparare attentati ed azioni armate contro i partigiani di Tito. Non è allora normale che questi ultimi abbiano pensato di arrestarli, portarli a Lubiana e processarli?
Sul terzo punto la verità storica è, se possibile, ancora più scabrosa. I primi a parlare di infoibamenti frutto di pulizia etnica anti-italiana perpetrata da partigiani slavi furono i nazisti dopo la loro tremenda ri-occupazione dell’Istria nell’ottobre ’43. Il libello nazista in questione venne divulgato nell’autunno ’43 col titolo “Ecco il conto!”. Qualcuno avverte come sgradevole far risalire l’origine della propria versione dei fatti ad un opuscolo di propaganda nazista? Poco importa ai “foibologi”, inoltre, che l’8 gennaio 1948 un giornale locale di destra quale era Trieste Sera scrisse che “se consideriamo che l’Istria era abitata da circa 500mila persone, delle quali oltre la metà di lingua italiana, i circa 500 uccisi ed infoibati non possono costituire un atto anti italiano ma un atto prettamente antifascista.” Chi commise un vero ed efferato massacro furono le SS assieme ai Repubblichini di Salò quando ripresero il controllo della penisola istriana e massacrarono 13mila persone. Difficilmente, però, ne sentirete parlare in una conferenza sulle foibe. Rovinerebbe il resto del racconto.
Non si tratta quindi soltanto di mettere a fuoco il contesto storico dell’occupazione italiana della Jugoslavia – e non sarebbe poco, considerato che la RAI si ostina a non mandare in onda Fascist Legacy, filmato della BBC sui crimini italiani in Jugoslavia – durante la quale il generale italiano Robotti si lamentò in un telegramma della scarsa crudeltà dei soldati italiani, scrivendo in modo macabro e criminale “si ammazza troppo poco”.  E’ senz’altro necessario ricordare le 300mila vittime jugoslave dell’occupazione nazi-fascista e l’opera di snazionalizzazione portata avanti nella Venezia Giulia, nell’Istria e nella Dalmazia dal fascismo fin dal 1923 con la riforma Gentile, che chiuse le scuole in cui si insegnava lo sloveno od il croato, e continuata con la confisca dei beni delle cooperative contadine “non italiane” o l’invio al Tribunale Speciale di centinaia di antifascisti slavi di nazionalità italiana.
Si tratta anche di mettere a nudo un mito storiografico che vuole rilanciare un senso comune nazionalista ed anticomunista. Un senso comune ben compendiato da affermazioni anti-slave violente ed aggressive, come quelle udite a Carpi da un esule, Antonio Zappador, sull’Istria italiana da 2000 anni – come asserirebbe un libro del 1924 che il suddetto ci ha mostrato senza citare titolo e autore – o sul non aver nulla da spartire con gli slavi, dopo che nell’assemblea precedente aveva minimizzato le tensioni tra italiani e slavi durante il fascismo paragonandole grottescamente al campanilismo tra Modena e Bologna.
Con l’istituzione della Giornata del Ricordo stiamo dando medaglie e onorificenze a incalliti criminali di guerra. Gli elenchi dei “medagliati” sono di difficile accesso. Addirittura nel 2007, in provincia di Udine, i parenti di coloro che sono stati insigniti in quanto “martiri dell’italianità” hanno chiesto l’anonimato. Gli storici Volk e Cernigoi sono riusciti ad avere un elenco incompleto per le annate 2006, 2007 e 2008. Risulta che ben il 73% dei “premiati” erano membri di forze armate fasciste o collaborazioniste. Ecco i “modelli” per i giovani. Sono persone come Vincenzo Serrentino, premiato nella Giornata del Ricordo 2007 come “ultimo prefetto italiano di Zara”, dirigente del fascio di combattimento di Zara sin dal 1920, tenente colonnello delle Camicie Nere e, dopo l’occupazione della Jugoslavia da parte dell’Asse, membro del Tribunale speciale per la Dalmazia, criminale di guerra processato dagli jugoslavi, condannato a morte e fucilato nel ’47 a Sebenico. Oppure Graziano Udovisi, recentemente scomparso, ufficiale della collaborazionista Milizia per la Difesa Territoriale condannato nella sentenza n. 165/46 della Corte d’Assise Straordinaria di Trieste per aver arrestato partigiani poi legati col fil di ferro. E si potrebbe continuare.
Per concludere, perché non è mai menzionata l’origine politica dell’istituzione della Giornata del Ricordo, fortemente voluta dagli ex di Alleanza Nazionale legati alla loro gioventù missina ma accettata supinamente anche a sinistra? Fu Maurizio Gasparri a premere perché la RAI producesse una fiction sulle foibe, “Il cuore nel pozzo”, mediocre opera di propaganda nazionalista ed anticomunista (per un’efficace critica cliccate su YouTube militant a cuore pozzo). Lo stesso Gasparri nel 2004 ipotizzò “forse milioni” di infoibati, ovvero più di tutti gli abitanti dell’Istria di allora…
Istituzioni scolastiche repressive o comunque molto diffidenti quando gli studenti si interessano o, peggio ancora, fanno politica al di fuori delle pratiche considerate “accettabili” da chi comanda, celebrano acriticamente la Giornata del Ricordo occultandone l’origine politica e la relazione col dibattito attuale e con ciò “fanno politica” in maniera tutt’altro che limpida.
Se non ci vogliamo arrendere ad una potente ventata di nazionalismo, dovremo iniziare a chiederci e a chiedere chi e cosa viene celebrato pomposamente ogni 10 febbraio. E magari a ricordarci anche che circa 40mila ex soldati italiani allo sbando dopo l’8 settembre 1943 scelsero coraggiosamente e con spirito internazionalista di unirsi alle formazioni partigiane jugoslave, albanesi e greche per distruggere il fascismo.

Francesco Giliani (insegnante di storia nelle scuole medie superiori)

Bibliografia: Claudia Cernigoi, Operazione “Foibe” tra storia e mito, KappaVu, Udine, 2005; AA.VV., Foibe. Revisionismo di Stato e amnesie della Repubblica, KappaVu, Udine, 2009 (Atti del convegno del 9 febbraio 2008 a Sesto san Giovanni [MI]); Sandi Volk, Esuli a Trieste. Bonifica nazionale e rafforzamento dell’italianità sul confine orientale, KappaVu, Udine, 2004; Pol Vice, Scampati o no. I racconti di chi “uscì vivo” dalle foibe, KappaVu, Udine, 2005; AA.VV., Revisionismo storico e terre di confine, KappaVu, Udine, 2007, (Atti del convegno del 13-14 marzo 2006 a Trieste).



Chi ha paura di Josip Broz Tito

(in ordine cronologico inverso)

1) Iniziativa del sindaco di Calalzo (Belluno), Luca De Carlo, per la rimozione di tutti i toponimi che ricordano il leader della Lotta Popolare di Liberazione dal nazifascismo, Josip Broz "Tito". Il sindaco di Parete (Caserta) dice no.
2) Tito cavaliere: Lacota chiede la revoca
3) Reggio Emilia: Respinta la mozione per cambiare nome a via Tito.
4) Nuoro: gruppo consiliare ''oscura'' Via Tito, chiede di rinominare la strada al "gladiatore" Cossiga.


=== 1 ===


Il sindaco di Parete dice no ai profughi istriani ed al suo collega di Calalzo (Belluno)

Scritto da sa.pi.   
lunedì 14 febbraio 2011

Dopo la lettera inviata al Presidente della repubblica Giorgio Napolitano dal sindaco di Calalzo (Belluno), Luca De Carlo che per rispetto di tutti gli innocenti italiani gettati nelle foibe dai partigiani comunisti della Jugoslavia governata da Tito, aveva chiesto che avvenisse la rimozione di tutti i toponimi che ricordano il defunto dittatore iugoslavo, ha risposto il sindaco di Parete, Luigi Aurelio Verrengia, il cui comune è nell’elenco delle località italiane che hanno una via dedicata a Tito. Dice Verrengia:
«Non sono favorevole a questa scelta, avendo già ricevuto un'istanza da un gruppo di profughi istriani, per evitare contrapposizioni ideologiche e politiche. Penso che sia orrenda la storia delle foibe, ma va inquadrata in un'epoca di follia storica, caratterizzata da opposte violenze, resta pur sempre la valutazione che Tito ebbe una funzione storica rispetto all'antinazismo ed all'antifascismo». Le parole di Verrengia mancano tuttavia del riferimento all’anticomunismo, sono molti gli istriani e i dalmati che vivono nell’Aversano, i quali dopo che cacciati dalle loro terre annesse alla Jugoslavia, vennero trasferiti anche in quello che divenne il Campo Profughi di Aversa.


=== 2 ===

Tito cavaliere: Lacota chiede la revoca

(ANSA, sabato 5 febbraio 2011)

Josip Broz, piu' noto come maresciallo Tito, a capo della Jugoslavia dalla fine della seconda guerra mondiale alla morte, nel 1980, e' ancora tra i cavalieri di Gran Croce della Repubblica Italiana. Lo denuncia l'Unione degli Istriani, chiedendo la revoca dell'onorificenza.
Il presidente dell'associazione, Massimiliano Lacota, ha scritto oggi al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, chiedendogli di ''voler procedere all'annullamento immediato del titolo di cavaliere di gran croce decorato di gran cordone dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana, cioe' l'onorificenza piu' alta prevista dagli ordinamenti di benemerenza internazionale''.
L'onorificenza fu conferita il 2 ottobre 1969, come si legge sul sito del Quirinale, dall'allora presidente Giuseppe Saragat. ''E' semplicemente orribile e disgustoso - ha spiegato Lacota - che lo Stato italiano riconosca il dramma delle Foibe e allo stesso tempo annoveri tra i suoi piu' illustri insigniti proprio chi ordino' i massacri e la pulizia etnica degli Italiani d'Istria, ovvero il dittatore comunista Tito''.
L'Unione degli Istriani, si legge in una nota, ''informa che senza il ritiro da parte del Presidente della Repubblica dell'onorificenza concessa a Tito, nessun rappresentante potra' partecipare alla Cerimonia del 10 febbraio, Giorno del ricordo per le vittime delle foibe, al Quirinale''.


=== 3 ===

Da:  Comitato antifascista e per la memoria storica - Parma <comitatoantifasc_pr @ alice.it>

Oggetto:  'via Tito' a Reggio Emilia resiste

Data:  26 gennaio 2011 19.20.10 GMT+01.00


A Reggio Emilia rimane la via intitolata a Tito, il Consiglio Comunale ha respinto la richiesta, (ri)formulata nell'approssimarsi del "giorno del ricordo delle vittime delle foibe", di PdL e Lega Nord di sostituire il nome della via dedicata a Tito con un altro toponimo. Leggendo la cronaca, sotto riportata, non possiamo, tuttavia, non rilevare una certa debolezza della posizione della maggioranza del Gruppo Consiliare del PD che pure è stata contraria alla cancellazione del nome di Tito. Non si tratta tanto di mantenere, "salvare", la vecchia toponomastica a testimonianza del tempo in cui fu decisa, la toponomastica in quanto «figlia del proprio tempo» dice il comunicato del Gruppo Consiliare PD - da questo p.d.v. allora  si sarebbe dovuto lasciare perfino vie dedicate al fascismo e a Mussolini! -  quanto di fare ricostruzioni corrette, fare un bilancio complessivo che tiene conto di tutti gli aspetti. Nella visione complessiva, il sistema jugoslavo creato da Tito ha avuto insieme pregi e meriti particolari e aspetti illiberali e autoritari, la politica estera e internazionale di Tito è stata largamente apprezzata, anche e a lungo dall'Occidente, soprattutto, Tito è stato l'artefice di una grande lotta popolare contro il nazifascismo. Non si cancella la Resistenza jugoslava, la più grande lotta popolare in Europa per la liberazione dal nazifascismo! Non dimentichiamo mai, anche a proposito dei morti delle foibe, la precedente aggressione e occupazione della Jugoslavia da parte della Germania nazista e dell'Italia fascista! «Oggi a nessuno verrebbe l’idea di istituire una via a Tito» dice ancora il comunicato del PD, però oggi, nel momento in cui più violento e mistificatorio si fa il "revisionismo storico" i democratici antifascisti devono difendere con convinzione la storia della Resistenza e i suoi valori di fondo, Resistenza jugoslava capeggiata da Tito compresa.
A proposito dell’ "ultimo testimone reggiano delle foibe Graziano Udovisi" leggere anche il libro di Pol Vice "La foiba dei miracoli" KappaVu ed., Udine 2008
 
 
 

Respinta la mozione per cambiare nome a via Tito


25 GENNAIO 2011 18 VISUALIZZAZIONI NESSUN COMMENTO

Eboli (Pdl) e Parenti (Lega): “Il Comune organizza iniziative a ricordo dei Martiri delle foibe e non cambia toponimo alla via intitolata al principale responsabile di quei massacri”La risposta: “polemica di basso cabotaggio”


REGGIO – I consiglieri comunali Marco Eboli, Cristian Immovilli, Claudio Bassi (Gruppo Pdl) e Andrea Parenti (Gruppo Lega nord) hanno commentato oggi nel corso di una conferenza stampa l’esito del voto che ieri in Sala Tricolore ha visto respingere una mozione promossa dallo stesso Eboli. La proposta era di sostituire, in occasione della Giornata del Ricordo, il nome della via dedicata al maresciallo Tito con un altro toponimo. Il nome suggerito con la mozione era  quello di Rolando Rivi, seminarista di Castellarano per il quale è avviato il processo di beatificazione. La mozione è stata respinta con 17 voti contrari (Gruppi Pd e SeL) e 9 favorevoli (Pdl e Lega nord).
Le polemiche più accese quelle con il capogruppo comunale del Pd Luca Vecchi, che “arrampicandosi sugli specchi” avrebbe motivato il voto contrario del gruppo con la constatazione che Tito, responsabile dei massacri delle foibe, “nonostante tutto, è stato un grande statista”. Anche la presidente del Consiglio comunale Emanuela Caselli, del Pd è stata oggetto di critiche per il suo voto contrario e lo stesso sindaco Graziano Delrio, che invece non ha partecipato al voto, le cui iniziative in ricordo dei Martiri delle foibe, tra le quali la recente visita prima della scomparsa all’ultimo testimone reggiano delle foibe Graziano Udovisi, sono state giudicate in contraddizione con l’atteggiamento tenuto ieri  dalla maggioranza che lo sostiene.
“Le motivazioni di Vecchi – hanno detto Eboli e Parenti – testimoniano l’arretratezza dei consiglieri, anche giovani, che provengono dall’ex partito comunista e fanno parte di una formazione politica che ha la pretesa di definirsi partito democratico”. Unico consigliere che si è distinto dalla maggioranza, il direttore di Istoreco Nando Rinaldi – che non ha partecipato al voto – al quale i consiglieri di Pdl e Lega hanno riconosciuto maggiore onestà intellettuale rispetto ai colleghi del Pd. Secondo Immovilli, l’atteggiamento dei consiglieri del Pd testimonia una deriva di sinistra e un’assenza dei cattolici che militano in quel partito. A sostegno della mozione Eboli ha anche ricordato che, nel 2005, il comune di Imola ha tolto l’intitolazione di un parco a Tito, mentre “a Reggio si mantiene un atteggiamento contraddittorio, che porta a partecipare e organizzare iniziative in ricordo dei Martiri delle foibe, ai quali è stata intitolata una via, e non si elimina un toponimo che ricorda il principale responsabile di quei tragici episodi”.

La risposta del Pd

In serata è arrivata la replica del gruppo consigliare del Pd in Comune. “Le accuse che arrivano dall’opposizione sulla decisione di non revocare l’intestazione di una strada a Tito, già presidente della Repubblica Jugoslava, sono impostate sulla solita oziosa demagogia e sono da rigettare. Una cosa è la storia, un’altra cosa è la toponomastica e più precisamente la storia della toponomastica cittadina”. Si legge tra le righe del comunicato: “a nessuno di noi sfugge il dramma della vicenda delle Foibe, ivi comprese le responsabilità che furono del presidente Tito in quel frangente della storia. Ma non ci sfuggono nemmeno la complessità e le contraddizioni del ruolo giocato dal maresciallo Tito nella vicenda politica mondiale del Novecento. Tito è stato infatti definito dal capogruppo Luca Vecchi dittatore e uomo di Stato che ha attraversato oltre 30 anni della storia internazionale. E’ indubbio che gli amministratori dell’inizio anni Ottanta, che decisero l’intestazione fossero certamente calati nel sentire comune del proprio tempo. Oggi a nessuno verrebbe l’idea di istituire una via a Tito. Ma il pregio della toponomastica è proprio questo: l’essere figlia del proprio tempo, contribuendo a stratificare l’evoluzione e i cambiamenti intervenuti nel sentire comune di ogni epoca, di una città, di un Paese, di un continente”.
Stoccata, in chiusura, all’opposizione. “Secondo la logica del centrodestra che dovremmo fare di via Adua, di via Makallè, o di tanti luoghi, anche in questa città, ancora oggi intestatari di fatti tragici che pesano ancora come gravi responsabilità storiche della storia del nostro Paese? Questo è il centrodestra della nostra città, che già aveva sollevato questa proposta nel 2003. Questa è la vacuità delle loro proposte e dell’iniziativa politica che li contraddistingue. Questo è lo spirito che ha scomposto la discussione consiliare. Ci è sembrata una discussione troppo strumentale e faziosa, politicamente poco seria, per un Consiglio comunale che avrebbe il compito di dedicarsi con assoluta attenzione a ben altri problemi”.



=== 4 ===

L'Unione Sarda, 19 novembre 2010

Nuoro: gruppo consiliare ''oscura'' Via Tito

Una piccola questione di Stato è scoppiata a Nuoro dopo che il Consiglio comunale ha respinto la proposta di intitolare una via cittadina al presidente emerito Francesco Cossiga. La protesta ha preso i contorni di una provocazione con il gruppo del Pdl in Consiglio comunale che, coprendo la targa intitolata a Tito, accusato di aver ucciso migliaia di italiani nelle foibe, ha sovrapposto un adesivo con l'intitolazione "Via F.Cossiga - Presidente della Repubblica".

"La nostra non è solo una provocazione - hanno spiegato consiglieri comunali, regionali e simpatizzanti del Pdl presenti alla manifestazione - è anche un modo per riparare il grande torto fatto in Aula ad un uomo che aveva fatto della sardità la sua bandiera. Come ha dimostrato anche dopo la sua morte: ha chiesto di essere sepolto in Sardegna e che la sua bara fosse avvolta dai Quattro Mori. Nuoro, che è la culla dell'identità sarda, avrebbe dovuto premiarlo". La città si è divisa tra favorevoli e contrari sull'intitolazione della strada a Cossiga, tanto che un quotidiano locale ha svolto anche un mini referendum che ha dato ragione alla maggioranza di centrosinistra.




http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=22909

Global Research - January 22, 2011 /  Politika Daily Monday, 10 January 2011 (page 1 and 7)

Fact and Propaganda: Yugoslavia and The "Politics of Genocide"

by Stanko Stojilkjovic 


Is it possible that the prevailing current usage of the word genocide is “an insult to the memory of the Nazi regime's victims”? 

This incisive thought of Noam Chomsky was taken from the preface he wrote to an astonishing book titled “The Politics of Genocide” by Edward Herman and David Peterson, published in Belgrade in 2010 by Vesna info.

Edward Herman is a professor emeritus teaching finance at the University of Pennsylvania and David Peterson is a free-lance journalist. What an unusual match, you might think at first. However, if you check the exhaustive list of references you will find out that they have worked on at least two more published books, both dedicated to the former Yugoslavia and its disintegration. David Peterson is author of another dozen published books, either alone or in cooperation with other authors.  

According to Noam Chomsky, the end of the Cold War “opened an era of Holocaust denial,” in which the humanitarian bombing of Yugoslavia (read: Serbia) is far from being the last piece of the puzzle.  

According to “Counter-Revolutionary Violence: Bloodbaths in Fact and Propaganda,” written by Edward Herman and Noam Chomsky, in the period between 1945 and 2009 the USA organized “major” military interventions in as many as 29 countries. “Thanks to its dominant position and its global counter-revolutionary efforts, the US has been the key single instigator, organizer and provider of moral and material support for some of the heaviest bloodshed that took place after the World War Two.  

"US officials, supported by the media and intellectuals close to the administration (“genocide intellectuals”), have mastered the skills of “crime management” used to draw the attention of the public away from the violence instigated and endorsed by the leading global super-power and direct the public eye towards the violence perpetrated by US enemies."

In line with this the authors [Herman and Peterson] have come up with an unusual classification of the bloodbaths into four categories: constructive, benign, criminal and mythical. 

“The largest genocidal act undertaken in the last thirty years was the economic sanctions imposed on Iraq following the invasion of Kuwait in 1990, both in respect of the number of victims and in respect of full awareness of the impact of this policy among its creators,” reads the introductory section of the book. 

The New York Times revealed that “in the long run, Iraq has been pushed back into pre-industrial times, though it still suffers from post-industrial dependence on energy and technology.” And the Washington Post, quoting a reliable source, stated that “the bombs… were targeted at everything that was vital for survival of the country.” Sounds familiar, doesn't it? 

Denis Halliday, the leading UN humanitarian coordinator in Iraq, resigned, issuing a statement that the overall effects of the sanctions were comparable to that of genocide. And Eleanor Robinson, lecturer at the Old Soul College in Oxford (England), added: ”You will have to go back in time as far as the Mongol invasion of Baghdad in 1258 to find an example of pillage of comparable magnitude.” You can guess who was doing the pillage! 

Edward Herman and David Peterson have exposed the ill doings of politicians, intellectuals and reporters who used the word genocide in their reports on the most deadly world crisis since the end of the World War Two (5.4 million dead between 1998 and 2007 in DR Congo) only 17 times, while the killing of 4,000 Albanians in Kosovo and Metohija was qualified as genocide as many as 323 times! 

George Robertson, British Defense Minister, admitted during a hearing before Parliament: “Before Račak this year (24 March 1999), the KLA was responsible for more deaths in Kosovo than the authorities of Yugoslavia”. The number of killings since 1998 was estimated at 2,000, and 500 of these killings were attributed to Serbian forces.  

“During the civil wars in the wake of the disintegration of the former SFR Yugoslavia in the nineties, the USA, Germany, NATO and EU supported national minorities which insisted on breaking away from the federal state and acted against the national group of Serbs who persisted in their efforts to save the former Yugoslavia. That is why the Western powers strongly supported first Croats and Slovenes, later Bosnian Muslims, and finally Kosovo Albanians,” explained Edward Herman and David Peterson, quoting a number of critically acclaimed works. 

We are also informed that the NATO forces supported, “even coordinated war operations, and as there were numerous cases of ethnic cleansing and ethnically motivated killings, it was only natural that expressions such as ethnic cleansing, massacre and genocide were applied primarily to the war acts of the Serbs.” Regarding the “Srebrenica massacre”, they say that there is no proof that Serbian forces killed anyone but “Muslim men capable of army service,” taking care to evacuate all children, women and the elderly by buses.  

“If Račak was a contrived crime, and we believe that it was, then the war sold to the world on the strength of this crime was based on a lie, and therefore any claims that the war was waged on humanitarian grounds must be disputed, if for no other reason then on account of this fact alone,” said Edward Herman and David Peterson, referring to their own article “CNN: Sale of a NATO War on a Global Scale” from 2009.  

“The Račak massacre” perfectly suited the needs of Bill Clinton's administration and NATO and provided them with an excuse to launch the air attacks against Yugoslavia (Serbia), which had been prepared for a long time, soon after the failure of the negotiations in Rambouillet, “one of the greatest staged deceptions in recent history.” 

When Madeleine Albright was first informed that the attacks had been launched, she commented with delight: “Spring has come early to Kosovo this year.” 

This valuable book meticulously reveals the double standards applied to war acts in Darfur (Sudan), Rwanda, Iraq, Lebanon, Afghanistan, Indonesia, Guatemala, El Salvador, and so on.                 



Kosovo and Albania: Dirty Work in the Balkans: NATO’s KLA Frankenstein
(francais / italiano)

Traffico d’organi: Parlamento Europeo approva Risoluzione di Dick Marty

0) Libri consigliati ed altri link
1) Trafic d’organes : le Conseil de l’Europe adopte le rapport de Dick Marty et réclame une nouvelle enquête
2) Traffico d’organi: Approvata dal Parlamento Europeo la Risoluzione di Dick Marty
3) Kosovo: Traffico di organi, l’UE teme per i testimoni
4) Kosovo : il faut un tribunal spécial de l’Onu pour enquêter sur le trafic d’organes


=== 0 ===

Sull'intreccio tra nazionalismo pan-albanese e criminalità internazionale ricordiamo e raccomandiamo la lettura dei volumi:

Giuseppe Ciulla e Vittorio Romano
Lupi nella nebbia
Jaca Book, 2010

Antonio Evangelista
LA TORRE DEI CRANI. Kosovo 2000-2004
Editori Riuniti, 2007

Uberto Tommasi e Mariella Cataldo
Kosovo Buco nero d’Europa
Edizioni Achab, 2004

Sandro Provvisionato
Uck: l'armata dell'ombra.
L'esercito di liberazione del Kosovo. Una guerra tra mafia, politica e terrorismo
Gamberetti, 2000

LINK:

Le rapport Marty devant le Conseil de l'Europe : « il faut une nouvelle enquête »
Le rapport de Dick Marty sur le trafic d’organes au Kosovo sera officiellement présenté ce mardi devant l’Assemblé parlementaire du Conseil de l’Europe. Le député Dragoljub Mićunović (DS), qui dirige la délégation serbe, récuse à l’avance toute utilisation politique du rapport. Pour lui, la Serbie ne doit insister que sur une exigence : le besoin de justice et de vérité, qui nécessite l’ouverture d’une nouvelle enquête.

Dick Marty : « la mission Eulex est incapable d’enquêter sur le trafic d’organes »
Dick Marty estime que la mission Eulex n’est pas en mesure de mener l’enquête sur le trafic d’organes. Après l’adoption de son rapport par l’Assemblée parlementaire du Conseil de l’Europe, le sénateur suisse réclame donc la création d’une structure judiciaire ad hoc, basée en dehors du Kosovo.

Kosovo : dans l'horreur des camps de l'UÇK
Le procès de Sabit Geci et Riza Alijaj, deux anciens commandants de l’UÇK, va s’ouvrir le 28 février. Également cités dans le rapport Marty sur le trafic d’organes, les deux hommes sont accusés d’avoir dirigé les camps de Kükes et Cahan, dans le nord de l’Albanie, où des « collaborateurs » supposés du régime serbe et des sympathisants de la LDK ont été détenus et torturés durant la guerre. Koha Ditore publie des témoignages accablants.


=== 1 ===


B92

Trafic d’organes : le Conseil de l’Europe adopte le rapport de Dick Marty et réclame une nouvelle enquête


Traduit par Jad
mardi 25 janvier 2011

L’Assemblée parlementaire du Conseil de l’Europe a adopté mercredi après-midi le rapport présenté par Dick Marty, et demande l’ouverture d’une nouvelle enquête « sérieuse et indépendante » sur les allégations de trafic d’organes. Le rapport a été adopté par 169 voix contre 8 et 14 abstentions. Les amendements présentés par les représentants de l’Albanie une députée macédonienne ont été rejetés.

« Il n’y a pas de justice sans vérité, et ce rapport ne crée pas un scandale, comme beaucoup l’affirment. Ce qui est un scandale, c’est l’opportunisme politique qui a permis de masquer la vérité », a déclaré Dick Marty, qui a pris la parole durant huit minutes pour présenter son rapport.

« Ce n’est pas un rapport sur le statut politique du Kosovo. Ce n’est pas un rapport contre les habitants du Kosovo. Le rapport ne concerne pas les relations entre la Serbie et le Kosovo, il ne relativise pas les crimes commis par Milošević et il n’est pas un plaidoyer pour la Serbie ».

Deux amendements présentés par Dick Marty lui-même ont été adoptés. Le premier concerne un élargissement des compétences de la mission Eulex ou d’une autre structure judiciaire européenne qui aura le mandat de mener l’enquête. Sa compétence territoriale et temporelle n’aura pas de limites pour enquêter sur tous les crimes liés au conflit au Kosovo.

L’autre amendement de Dick Marty précise les obligations des autorités de Tirana et de Pristina. La résolution appelle désormais explicitement les autorités albanaises à coopérer avec Eulex et à permettre l’enquête sur les camps de détention situés dans le nord de l’Albanie.

L’Assemblée a également adopté deux autres amendements, qui relativisent l’implication des dirigeants de l’UCK dans le crime organisé.

Au total, 21 amendements avaient été déposés, dont 19 présentés en commun par des députés d’Albanie, de Turquie, de Géorgie et de Macédoine.

Ces amendements, qui ont été rejetés, visaient à ôter du projet de résolution des mentions précises, comme l’évocation de la clinique de Fushë Kruja, en Albanie, où auraient été pratiquées les ablations d’organes, ainsi que le terme de « preuves » ou l’affirmation qu’il existe des « preuves des crimes commis »


=== 2 ===


Traffico d’organi: Approvata dal Parlamento Europeo la Risoluzione di Dick Marty


26 GENNAIO 2011


Il Parlamento Europeo ha approvato a maggioranza di voti la Risoluzione di Dick Marty. Invitando la comunità internazionale affinchè venga fatta piena luce sui crimini commessi in Kosovo prima, durante e dopo la guerra, con particolare attenzione al traffico di organi, che vedrebbe coinvolto il primo ministro Hasim Taci (v. foto).

L’inchiesta di Dick Marty, durata due anni, ha portato al rapporto del Consiglio d’Europa, secondo il quale il primo ministro Hasim Taci sarebbe a capo di un gruppo mafioso albanese accusato di contrabbando di armi, droga e organi umani in Europa orientale.

La delegazione albanese, nel corso del dibattimento ha provato a minimizzare l’importanza della relazione di Marty, attuando inoltre proteste dinanzi al parlamento europeo.
Marty, nel presentare la propria relazione, ha palesato il timore che la collusione tra la criminalità organizzata e la struttura politica in Kosovo, rappresentano una minaccia per l’Europa.

Oltre agli interventi dei rappresentanti parlamentari delle nazioni concordi nel chiedere chiarezza, nel corso del dibattito il rappresentante del Gruppo dei partiti nazionali europei, Holger Haibach, ha puntato il dito contro quanti pur essendo a conoscenza dei crimini in Kosovo, hanno deciso di tacere.
Proseguirà oggi la sessione del Parlamento Europeo, che oltre ai deputati parlamentari europei vedrà presente anche il presidente della Serbia, Boris Tadic.

All’ordine del giorno tre risoluzioni sull’ex Jugoslavia: “Protezione dei testimoni come la base della giustizia e della riappacificazione nei Balcani” dell’inviato Jean-Charles Garetto; “Riappacificazione e dialogo politico tra i paesi dell’ex Jugoslavia” dell’inviato Pietro Marcenara; “Obbligo dei membri del Consiglio d’Europa di collaborare nei processi per i crimini di guerra” dell’inviato Miljenko Doric.

L’inchiesta di Dick Marty, nata a seguito di un procedimento giudiziario iniziato da un tribunale distrettuale di Pristina, per un presunto caso di traffico di organi scoperto dalla polizia nel 2008, arriva al Parlamento Europeo in un periodo cruciale per il Kosovo, dove da poco si sono svolte le prime elezioni da quando è stata dichiarata l’indipendenza dalla Serbia nel 2008, che hanno consentito a Hasim Taci di assumere il governo della nazione.

L’organizzazione criminale della quale avrebbe fatto parte il Primo Ministro, secondo Dick Marty, opererebbe da oltre dieci anni, da quando i fedelissimi di Drenica, il gruppo che faceva capo a Hashim Thaci, divenne la fazione dominante all’interno del KLA, e prese il controllo della maggior parte di imprese criminali in cui i kosovari sono stati coinvolti a sud del confine in Albania.

Come affermato da Holger Haibach, è sconvolgente il fatto che in molti sapessero dei crimini commessi in Kosovo ancor prima della relazione dell’investigatore e nonostante ciò abbiano preferito tacere, ma ancor più sconvolgente ci sembra il fatto che nonostante le accuse mosse al capo di un governo di essersi reso responsabile di crimini gravissimi, i mass media – in particolare quelli italiani – stiano sottacendo ogni notizia.

Ancor prima della relazione di Dick Marty, Antonio Evangelista, che ha diretto le indagini sui crimini di guerra e guidato la polizia criminale, con il suo libro “La torre dei crani” (ed. Editori Riuniti), aveva testimoniato da un punto di vista neutrale quanto realmente avvenuto nel Kosovo, anticipando gli sviluppi a livello internazionale di una guerra che ha prodotto piú danni di quelli preesistenti, favorendo miseria e criminalità.
A seguito di quanto emerso dalla relazione Marty, c’è da chiedersi perché mai si sia legittimata in Kosovo una classe dirigente corrotta e legata a doppio filo con la mafia, lasciando che a governare il paese potesse essere un uomo coinvolto nel traffico di armi, di droga e di organi umani.

Gian J. Morici


=== 3 ===


Kosovo: Traffico di organi, l’UE teme per i testimoni


30 GENNAIO 2011


L’Eulex ha aperto un’indagine preliminare, sul traffico d’organi prelevati da prigionieri uccisi dall’Uck dopo la guerra del 1999 contro le forze serbe.

Dopo la relazione presentata dall’investigatore Dick Marty, che a accusato una fazione dell’UCK guidata dal Primo Ministro del Kosovo Hashim Thaci di coinvolgimento nella criminalità organizzata, compreso il traffico di organi, Thaci ha negato con forza le accuse.

L’Eulex ha però preso “molto sul serio” le accuse ed è pronta a “gestire il seguito giudiziario”, invitando nel contempo tutte le organizzazioni e anche singoli soggetti, tra cui Dick Marty, a produrre tutte le prove in loro possesso.
L’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha chiesto indagini internazionali e albanesi sui crimini commessi a seguito del conflitto in Kosovo.
Secondo la relazione del senatore svizzero Dick Marty, pubblicata il mese scorso, i testimoni sarebbero stati messi a tacere, pagati dai membri del Gruppo di Drenica, una fazione all’interno del KLA, i cui membri sarebbero coinvolti nel traffico di organi, negli omicidi e nel traffico di droga.
Il portavoce e Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la sicurezza ha confermato che il relatore del Consiglio d’Europa Dick Marty ha iniziato i negoziati in materia di garanzie per la protezione dei testimoni con l’EULEX.

Marty chiede maggiori garanzie per i testimoni.

Si teme infatti che questa inchiesta possa seguire la stessa sorte di quella del caso dell’ex leader del Kosovo Liberation Army Ramush Haradinaj.
Hashim Thaci attuale presidente del Kosovo, all’epoca dei fatti capo politico dell’UCK, nello smentire ogni suo possibile coinvolgimento nei fatti criminosi, in merito alla tutela dei testimoni taglia corto e dichiara: “Comprendiamo le preoccupazioni circa la protezione dei testimoni nella regione, ma abbiamo piena fiducia nella nostra unità di protezione dei testimoni”.

I timori per i testimoni comunque non sono infondati e visto che il mandato EULEX è flessibile, l’Unione europea sta considerando la possibilità di adattarsi alle nuove circostanze, ed è pronta ad inviare rinforzi per la missione in Kosovo.

L’EULEX, allo stato attuale dispone di circa 20 ricercatori e 40 giudici, ma sarebbe pronta a rinforzare l’organico.

Quante persone l’UE sia pronta a inviare in Kosovo e se Marty avrà un ruolo nelle indagini, verrà reso noto nei prossimi giorni.

Gian J. Morici


=== 4 ===

Kosovo : il faut un tribunal spécial de l’Onu pour enquêter sur le trafic d’organes



Blic, 2 février 2011
(Traduit par Stéphane Surprenant)

Le TPIY n’étant pas compétent pour enquêter sur le présumé trafic d’organes de l’UÇK, les Nations unies envisageraient la mise en place d’un Tribunal spécial sur le modèle de celui qui a été créé au Liban en 2007. Pour cela, le Conseil de sécurité doit adopter une résolution, basée sur le rapport de Dick Marty. La gravité des faits reprochés demande une justice exemplaire.

D’après les informations obtenues par Blic, la tâche de faire toute la lumière sur les allégations persistantes de trafic d’organes humains au Kosovo et en Albanie pourrait être confiée à une Cour spéciale internationale mise sur pied pour l’occasion par les Nations unies.

Cette cour aurait ainsi pour modèle le Tribunal spécial pour le Liban, formé le 10 juin 2007, dont le mandat était d’enquêter sur le rôle des organisations terroristes impliquées dans la série d’attentats qui avait secoué le pays. L’ancien Premier ministre libanais Rafik Hariri avait été assassiné lors de l’un de ces attentats.

Le Tribunal spécial pour le Liban avait été créé par la Résolution 1757 du Conseil de sécurité des Nations unies. Une résolution similaire pourrait donc être proposée par n’importe quel pays membre des Nations unies ou plusieurs d’entre eux, ou encore directement par l’un des membres du Conseil de sécurité.

Cette résolution concernerait cette fois le Kosovo et serait basée sur le rapport de Dick Marty, dans lequel de hauts responsables de l’Armée de libération du Kosovo (UÇK) - dont l’actuel Premier ministre Hashim Thaci - sont accusés d’exactions et de crimes contre l’humanité, de trafic de drogue et d’armes, mais aussi d’êtres humains.

Un Tribunal spécial formé par les Nations unies

Dick Marty, le rapporteur spécial du Conseil de l’Europe, réclame en effet la création d’une telle cour à l’extérieur du Kosovo en raison de la gravité des informations qu’il est parvenu à recueillir. Sans compter que de nombreuses sources issues de différents services de renseignement indiquent que la pègre kosovare serait dirigée et coordonnée par plusieurs personnes occupant des postes clés dans l’actuel appareil d’État du Kosovo. Ces personnes s’appuieraient sur des réseaux lourdement corrompus au sein de la police, du système judiciaire et même de... l’Eulex !

Ayant à l’esprit les meurtres de plusieurs témoins au cours du procès de Ramush Haradinaj, Dick Marty appelle par conséquent à la création d’un tribunal qui garantirait une sécurité maximale aux témoins. Bref, il ne compte absolument pas sur l’Eulex.

Bruno Vekarić, procureur adjoint spécialisé dans les crimes de guerre, explique : « Nous sommes prêts à coopérer avec tout le monde afin de découvrir la vérité. La proposition de Dick Marty est parfaitement rationnelle et, si un tribunal de ce type voit effectivement le jour, nous serons prêts à l’aider ».

L’expert en criminologie Dobrivoje Radovanović estime que l’idéal serait que le Conseil de sécurité des Nations unies institue un tribunal pour l’occasion, dans lequel tous les membres jouiraient d’une influence égale, avec des juges neutres et des équipes se consacrant exclusivement aux enquêtes. « Cela serait acceptable autant pour la partie albanaise que pour la partie serbe. La chose qui serait certainement la plus encourageante serait que les plus ardents défenseurs de l’indépendance kosovare apportent leur aide pour que l’enquête soit menée à bien... J’entretiens néanmoins de sérieux doutes à ce sujet... », ajoute-t-il.

Et le TPIY ?

Une question demeure par ailleurs en suspens : ne serait-il pas plus simple de confier cette enquête au Tribunal pénal international sur l’ancienne Yougoslavie (TPIY), à côté de ses autres tâches ? Il faudrait tout d’abord pour cela que les prérogatives judiciaires du TPIY soit étendues à la nouvelle cause.

Toutefois, étant donné que le mandat du TPIY prendra normalement fin dans deux ans et surtout que, comme le soutient Dick Marty dans son rapport, les preuves rassemblées par les enquêteurs de ce même Tribunal de La Haye en 2005 auraient été détruites, ce scénario ne semble ni crédible ni logique.

Quoi qu’il en soit, confier aux tribunaux locaux, dont des tribunaux albanais, la responsabilité d’enquêter dans cette affaire aussi sinistre que complexe serait vouer l’enquête à un échec certain. Car, à ce jour, les procureurs albanais n’ont démontré aucune volonté de coopérer et ont même refusé de fournir quelque matériel que ce soit au procureur suisse Dick Marty.

La Minuk était au courant de ces crimes

Selon un document de l’Onu, dès 2003, la Minuk avait en main des informations relatives à des meurtres commis au Kosovo dans le but de se livrer au trafic d’organes. La Minuk en avait informé le Tribunal de La Haye comme il se doit. Si l’on en croit le document de l’Onu, les dirigeants de l’UÇK auraient touché jusqu’à 45.000 dollars pour les organes d’un seul individu capturé.

Dans un rapport de trente pages, auquel l’agence Tanjug a eu accès, les enlèvements de Serbes auraient débuté au milieu de l’année 1999. À l’époque, entre cent et trois cents personnes auraient été faites prisonnières, puis transférées à l’aide de camions et de tracteurs dans des prisons improvisées à Kukës et à Tropoja, deux petites villes du Nord de l’Albanie.



TP: Nieren aus dem Kosovo

("Gli intoccabili del Kosovo" - articoli e commenti sullo scandalo della cricca-Thaci e del traffico di organi)

Die Unantastbaren vom Kosovo

1) Falsches Gelächter von NATO-Exponent (K.Trümpy, ICDSM Schweiz)

2) Das Kosovo, die Mafia und die Schweiz:
- Die Unantastbaren / Verwirrung um das gelbe Haus (K. Pelda, Weltwoche, 03.02.2011)
- Nachtrag zu: H.Thaci von Schweiz aufgepäppelt (K.Trümpy, N. Pavic)

3) Nieren aus dem Kosovo
(Harald Neuber 03.02.2011)

LINK:
Brisanter Bericht zur Thaci-Affäre
Ein Nato-Bericht kommt zum Schluss, dass der kosovarische Politiker Xhavit Haliti, der als einer von Hashim Thacis engsten Vertrauten gilt, ein Schwerverbrecher sei. Thaci, der selbst in das organisierte Verbrechen in Kosovo verstrickt sein soll, wies die Befunde zurück...
http://www.sendungen.sf.tv/10vor10/Sendungen/10vor10/Archiv/Sendung-vom-25.01.2011


=== 1 ===

Falsches Gelächter von NATO-Exponent

Bernhard Kouchner war nach dem NATO-Überfall auf Serbien-Montenegro von 1999 bis 2001 führender Administrator des Westens im Kosovo. Während dieser Zeit wüteten UCK-Banden am schlimmsten gegen alle, die nicht in das Konzept des ethnisch reinen Kosovo passten.
Auf untenstehendem Link ist zu sehen, wie Kouchner, auf die Frage eines Journalisten zu den Anschuldigungen bezüglich des damals von kosovarischer Seite betriebenen Organhandels, in schallendes Gelächter ausbricht :
 
Trafic d'organes: Kouchner rit
« J’ai une tête à vendre des organes, moi ? »
Regardez la vidéo de Bernard Kouchner tout en riant, démentant le trafic d’organes:
http://www.dailymotion.com/video/xg46z3_kosovo-kouchner-nie-le-trafic-d-organes_news
 
 
Nach der heutigen Behandlung des diesbezüglichen Berichts von Dick Marty im Europa-Parlament werden sich “Unantastbare“, wie der amtierende Kosovo-Präsident Hashim Thaci, weniger unantastbar fühlen. Auch NATO-Exponenten wie Kouchner könnte das Lachen zukünftig etwas schwerer fallen.
 
K.Trümpy, ICDSM Schweiz
www.free-slobo.de
www.pda-basel.ch


=== 2 ===

Das Kosovo, die Mafia und die Schweiz


(5/2/2011)


Im Bericht der Weltwoche vom 3.2.11 "Die Unantastbaren", siehe im Attachement, wird
ausführlich über die Protegierung der vom Westen geförderten zukünftigen kosovari-
schen Elite resp. Mafia in unserem Land berichtet. Wie die meisten europäischen Länder
hat sich auch die neutrale Schweiz nach dem Fall der Berliner-Mauer den Wünschen der
Westlichen-Wertegemeinschaft  resp. deren militärischem Arm, der NATO, nahtlos un-
tergeordnet. Im Weltwoche Bericht wird auch Adolf Ogi erwähnt, der seine schützende
Hand über Hashim Thaci hielt gegen den damals polizeiliche Ermittlungen eingeleitet
wurden. Ogi wurde für sein Wohlverhalten nach seinem Ausscheiden als Bundesrat im
Jahr 2000 mit dem Posten des UNO-Sonderberaters für Sport belohnt.
 
Die Weltwoche verfolgte bis zu den Ereignissen von Srebrenica im Jahr 1995 eine für
Schweizer-Verhältnisse ausgewogene Berichterstattung (Hanspeter Born) über die Jugos-
lawien Kriege. Im vorliegenden Bericht wird mehrmals die von Serbien ausgeübte Re
pression gegen Kosovo-Albaner angeführt. Damals im Kosovo lebende Serben haben
eher das Gegenteil in Erinnerung: Der Anteil der serbischen Bevölkerung schrumpfte von
1974 bis 1989 von 24% auf 10%. Immerhin werden im Bericht die "Ethnischen Säube-
rungen" der Serben in Anführungsstriche gesetzt. Bedenken sollte man, dass die Berichte
über das Ausmass der von Serbien begangenen Gräueltaten von den Kreisen stammen,
die im Kosovo einen Mafia-Staat errichtet haben, oder z.B. im arabischen Raum Folter-
Diktaturen am Leben erhalten. Generell erinnert im Fall Kosovo die Vorgehensweise, vor
allem der USA, stark an Sizilen, wo gegen Ende des Zweiten-Weltkrieges die siziliansche
Mafia zur Eindämmung des wachsenden kommunistischen Einflusses ausgebaut wurde.
 
Kaspar Trümpy, ICDSM Schweiz

---

Weltwoche, 03.02.2011


Die Unantastbaren


Der Bericht des Europarats über angeblich illegalen Organhandel im Kosovo beschäftigt die Politik in Bern. Die Behörden wussten von den kriminellen Verstrickungen der kosovarischen Führung um Hashim Thaci. Sie unternahmen nichts. Belastende Pichen verschwanden. Von Kurt Pelda


Die Vorwürfe waren gruselig. Dick Marty, der Schweizer Sonderberichterstatter des Europarats, schrieb in einem Bericht, Prominente im Dunstkreis des kosovarischen Premierministers Hashim Thaci hätten illegal mit Organen von serbischen Kriegsgefangenen gehandelt. Seither geistert der Verdacht durch die Weltmedien. Am Montag präsentierte Marty den kontroversen Bericht auch der Aussenpolitischen Kommission des Nationalrats.

Eine mutmasslich dunkle Vergangenheit drängt mit Macht auf die Agenda, betroffen ist zentral auch die Schweiz. Die Behörden sehen sich mit unangenehmen Fragen konfrontiert. Was wusste Bern von den Verwicklungen der Befreiungsarmee des Kosovos (UCK) mit der Drogenmafia und dem organisierten Verbrechen? Warum wurde so wenig dagegen unternommen? Wurden die Verdächtigen aus politischen Gründen geschont?

«Ich erkenne einen Terroristen, wenn ich ihn sehe. Und diese Leute sind Terroristen», sagte der amerikanische Sondergesandte fürs Kosovo, Robert Gelbard, Anfang 1998 über die UCK. Diese kämpfte damals nicht nur für die Unabhängigkeit des Kosovos von Belgrad, sondern für ein «Grossalbanien», das auch Gebiete in Mazedonien oder Griechenland umfassen sollte. In der Schweiz lebten schätzungsweise 200’000 Kosovaren. Viele von ihnen – darunter UCK-Anführer wie Thaci - kamen wegen der serbischen Repression in die Schweiz und erhielten Asyl. Die Spannungen zwischen Serben und Kosovaren nahmen schon in den achtziger Jahren zu, vor allem nachdem der jugoslawische Präsident Slobodan Milosevic den Autonomiestatus der damaligen Provinz Kosovo 1989 drastisch beschnitten hatte.

Hashim Thaci gehörte 1993 zusammen mit Xhavit Haliti, Ali Ahmed und Azem Syla zu den Gründervätern der UCK, wie die Kosovo Force (Kfor), die Schutztruppe unter Führung der Nato, 2004 in einem Bericht schrieb. Die vier Kosovaren lebten jahrelang in der Schweiz. Der 1968 geborene Thaci stellte ein Asylgesuch, dem 1996 stattgegeben wurde, er hielt sich aber schon vorher im Kanton Zürich auf. Seine rechte Hand und Mann fürs Grobe, Xhavit Haliti, kam in den achtziger Jahren in die Schweiz. Thaci und Haliti gehörten auch zur Führung der Volksbewegung des Kosovos (LPK), dem politischen Arm der UCK, der sich ursprünglich am albanischen Kommunismus von Enver Hoxha orientierte. Laut einem geheimen Bericht des deutschen Bundesnachrichtendiensts (BND) von 2005 begründete Haliti seinen Reichtum unter anderem damit, dass er Gelder von der UCK abgezweigt habe. Er sei Finanzchef und Logistik-Leiter der Guerilla gewesen und habe den Fonds «Vendlindja Therret» (Das Vaterland ruft) kontrolliert. Dieser Fonds sammelte Spenden der kosovarischen Diaspora, wobei das Geld auch auf Schweizer Bankkonten zwischengelagert wurde.


Drogengelder flossen in die Schweiz


Zuwendungen erhielt die UCK laut Interpol auch von albanischen Verbrechernetzwerken. Wegen des Konflikts im ehemaligen Jugoslawien hätten die Drogenschmuggler ihre ursprüngliche Balkan-Route modifizieren müssen. Sechzig Prozent des für Westeuropa bestimmten Heroins seien dann über Albanien und Italien umgeleitet worden. Damit ist klar, warum die Mafia am Kosovo interessiert war: Die ehemalige jugoslawische Provinz und die angrenzenden Gebiete in Mazedonien und Albanien wurden zu einer wichtigen Drehscheibe für Heroin aus Afghanistan.

Der Schweiz sei als Logistikstützpunkt und Finanzierungsbasis der UCK grosse Bedeutung zugekommen, hiess es 1998 im Staatsschutzbericht der Bundespolizei. Bereits damals sei ein grosser Teil des Drogenhandels in der Schweiz von Kosovo-Albanern abgewickelt worden. Es sei zudem nicht auszuschliessen, dass Einnahmen aus dem Drogenschmuggel «teilweise auch zur Finanzierung extremistischer Gruppen oder des Unterhalts der Vertreter dieser Gruppen in der Schweiz» dienten. War das ein verkappter Hinweis auf die Anführer der UCK?

Noch 1998 schätzte die Bundespolizei die UCK ähnlich ein, wie dies die Amerikaner taten: So sprach der erwähnte Staatsschutzbericht von «Terrorakten» der UCK. Diese Wertung fehlt jedoch in späteren Veröffentlichungen. So sucht man das Wort «Terror» im Zusammenhang mit der UCK schon ein Jahr später vergeblich im Rapport der Bundespolizei. Wie konnte die Schweiz ihre Meinung innerhalb so kurzer Zeit ändern?

Die Antwort liegt bei der abrupten Kehrtwende der Amerikaner. Im Juni 1998 reiste Clintons Gesandter Gelbard nach Genf, um sich mit UCK-Vertretern zu treffen. Ebenfalls in der Schweiz signalisierte der US-Sondergesandte für den Balkan, Richard Holbrooke, der UCK kurz darauf, dass die USA über eine allfällige Unabhängigkeit des Kosovos nachdenken könnten, falls sich die UCK korrekt verhalte. Für Thaci und seine Mitstreiter war das, wie wenn Manna vom Himmel fiele. Plötzlich wurde die UCK zum respektierten Gesprächspartner des mächtigsten Lands der Welt. Die Bewegung entledigte sich aller Symbole, die an ihre kommunistische Vergangenheit erinnerten. Auch die wilden Bärte, die viele ihrer Kämpfer anfänglich trugen, mussten entfernt werden. Schliesslich sollte nun in Vergessenheit geraten, dass die grösstenteils muslimische UCK Kontakte ins islamistische Milieu unterhalten hatte. Fortan bemühte sich die Guerilla um eine Fassade, die der Westen akzeptieren konnte. Als Gesicht nach ausser diente dabei Thaci, der dank eines Stipendium an der Universität Zürich gelernt hatte, wie man sich eloquent zu Werten wie Rechtsstaat, Demokratie, Menschenrechten und Minderheitenschutz bekennt. Seinen ersten fulminanten Auftritt hatte er bei den Friedensgesprächen im französischen Schloss Rambouillet im Februar 1999 zusammen mit der damaliger US-Aussenministerin Madeleine Albright.

Bern setzte schon bald zum «autonomer Nachvollzug» der amerikanischen Kehrtwendung an. Nachdem der Asylant Thaci zwischen der kosovarischen Kampfzone und der Schweiz gependelt hatte, erklärte der damalige Direktor des Bundesamts für Flüchtlinge, Jean-Daniel Gerber, dem Magazin Du, warum die Behörden ihm den Flüchtlingsstatus nicht entzogen: «Wir haben uns das zusammen mit dem Departement für auswärtige Angelegenheiten (EDA) genau überlegt. Thaci war als Verhandlungsleiter der kosovo-albanischen Seite durch die internationale Gemeinschaft legitimiert. Er galt zudem als politischer Führer, er war nicht der militärische Chef der UCK. Als De-facto-Ministerpräsident war er vielmehr ein Mittler zum Frieden. Wir wollten ihm also keinen Stein in den Weg legen.» Gerber habe sich damals mehr Sorgen gemacht über all die andern Kosovaren, die sich bewaffnet und dann einen kleinen Grenzverkehr zwischen der Schweiz und dem Kosovo eröffnet hätten. Dass Thacis rechte Hand Haliti und andere in der Schweiz lebende UCK-Kaderleute an vorderster Front an diesem «Grenzverkehr» beteiligt waren, wusste Gerber entweder nicht, oder er wollte es nicht wahrhaben.


Anklage politisch nicht opportun


Die UCK war keine einheitliche Bewegung mit zentraler Führung, sondern bestand aus Faktionen, die sich vor allem nach Clanzugehörigkeit gebildet hatten. Als mächtigste Fraktion sollte sich die von Thaci angeführte Drenica-Gruppe erweisen. Sie war nach dem hügeligen Drenica-Gebiet im Zentralkosovo benannt, aus dem auch Thaci stammte. In Geheimdienstberichten tauchte die Drenica-Gruppe immer wieder im Zusammenhang mit dem organisierten Verbrechen auf, wobei Thaci als «grosser Fisch» oder führender Kopf bezeichnet wurde. Neben Drogenschmuggel und Geldwäscherei warfen diese Berichte dem Netzwerk auch Prostitution und Menschenhandel vor.

Während sich Thaci an der Uni Zürich vor allem für politische und strategische Studien interessierte, studierte Haliti dort Psychologie. Wegen der kriegerischen Ereignisse im Kosovo Ende der neunziger Jahre brachten es beide UCK-Kader jedoch zu keinem Abschluss. Schon vorher hatte die Polizei Ermittlungen aufgenommen, denn die Kosovaren waren in der Schweiz nicht nur politisch tätig. Bereits 1990 filmten Drogenfahnder den Eingang des Zürcher Hauses, in dem Haliti wohnte. Der Zufall wollte es, dass zwei mutmassliche Angehörige des jugoslawischen Geheimdienstes eine Splitterbombe vor Halitis Wohnung zur Explosion brachten - beobachtet von der Zürcher Polizei. Haliti und Thaci waren den Be- hörden einschlägig bekannt, wie ein Ermittler erzählt, der sich an die Fälle erinnern kann, aber anonym bleiben will. Gegen die beiden UCK-Führungsleute seien Mitte der neunziger Jahre handfeste Indizien vorgelegen, die für eine Anklage wegen Drogen- und Eigentumsdelikten ausgereicht hätten. «Der Polizei sind damals Steine in den Weg gelegt worden, vor allem vom EDA aus Bern.» Eine Anklage erschien politisch nicht opportun, weil Thaci ein Lieblingskind der Amerikaner wurde. Heute gebe es Hinweise, dass die Polizeifichen von Thaci und Haliti gelöscht worden seien, sagt der Ermittler.


Die Bundesanwaltschaft sperrte Konten


Für belegt hielten die Behörden Aktivitäten von Kosovo-Albanern im Drogenhandel, Verwicklungen kosovarischer Reisebüros in die Geldwäscherei und Fälle von Waffenschmuggel, wie aus Akten des Bundesamts für Polizei hervorging. Tatsächlich zeigten Fotos UCK-Kämpfer in «Vierfrucht-Kampfanzügen» und

mit modernen Sturmgewehren 90 der Schweizer Armee. Das vermeintliche Basler Hilfswerk «Mutter Teresas Anhänger» versuchte, Nachschub für die UCK mit ehemaligen Schweizer Armeelastwagen nach Albanien zu bringen. Die italienische Polizei fing den Konvoi ab und entdeckte Waffen und Munition. Das Kriegsmaterial war in Holzkisten mit doppelten Böden versteckt, wobei Hilfsgüter als Tarnung dienten. Die Bundesanwaltschaft sperrte 1998 mehrere Bankkonten des Spendenfonds «Das Vaterland ruft», weil der Verdacht bestand, dass mit dem Geld illegal Waffen gekauft wurde.

Albanischstämmige Verbrechernetzwerke seien mit der UCK verknüpft und beeinträchtigten die innere Sicherheit der Schweiz, warnte das Bundesamt für Polizei in seinen Akten. Die UCK sei zudem auf die logistische und finanzielle Unterstützung der organisierten Kriminalität angewiesen. Im Bereich des Waffenhandels gebe es Drahtzieher in der Führungsschicht der UCK, und Haliti sei für die logistische Aufrüstung der Guerilla verantwortlich. Es sei davon auszugehen, dass in der Schweiz die gleichen Verflechtungen zwischen politischen Vereinigungen, bewaffneten Gruppen und organisierter Kriminalität bestünden wie im Kosovo. Rund jeder Fünfte in der Schweiz lebende UCK-Anhänger sei durch kriminelles Verhalten aufgefallen.

Nachdem die Friedensgespräche von Rambouillet keine Lösung des Kosovo-Problems gebracht hatten, bombardierte die Nato im Frühling 1999 serbische Ziele im Kosovo und in Serbien. In dieser Zeit liess Milosevic die brutalen «ethnischen Säuberungen» verstärken, wodurch nochmals Hunderttausende kosovarischer Zivilisten vertrieben wurden. Am Schluss zwangen die Nato-Bomben Milo- sevic, seine Soldaten und Schergen aus dem Kosovo abzuziehen. Die ehemalige jugoslawische Provinz wurde zu einem Protektorat der Uno, wo die von der Nato angeführte Schutztruppe Kfor für Frieden sorgen sollte. Die UCK löste sich pro forma auf, und manche ihrer Kämpfer traten den neugegründeten kosovarischen Sicherheitskräften bei. In einem Leitartikel verwies die Allgemeine Schweizerische Militärzeitschrift im Oktober 1999 auf die kriminellen Machenschaften der UCK und deren Verbindungen zur Drogenmafia und forderte die Ausweisung der Führungsleute. Der Autor, Albert Stahel, ist Dozent für strategische Studien an der Universität Zürich. Er kannte Thaci, dieser war ein fleissiger Besucher seiner Vorlesung «Kriege der Gegenwart» und interessierte sich für den in den achtziger Jahren geführten Kampf der afghanischen Mudschaheddin gegen die Sowjets, wie sich Stahel erinnert: «Von den Mudschaheddin hat Thaci viel gelernt.»


«Multifunktionale Personen»


Seine Studien beendete Thaci 1998 vorzeitig, um ins Kosovo zurückzukehren. Er besuchte seine Frau aber auch danach in der Schweiz. Gegen ihn und seine Mitstreiter vorzugehen war politisch auch deshalb nicht angebracht, weil der damalige SVP-Verteidigungsminister Adolf Ogi den Schweizer Beitritt zum Nato-Programm «Partnerschaft für den Frieden» und die Entsendung von Gelbmützen ins Kosovo betrieb. Vor diesem Hintergrund war es nicht hilfreich, wenn zu viel über die mafiosen und islamistischen Verbindungen von UCK-Führungsleuten geredet wurde.

Spätestens 2001 wussten die Schweizer Behörden von Geheimdienstberichten der Nato und der Kfor, in denen Thacis rechte Hand und Berater Haliti als Teil krimineller Netzwerke beschrieben wurde. Erst als die ehemalige UCK-Führungsriege ihren Krieg ins benachbarte Mazedonien exportieren wollte, hatte der Bundesrat genug: Im Juni 2001 verbot er unter anderem Haliti die Einreise in die Schweiz. In der Medienmitteilung des Justiz- und Polizeidepartements stand aber nicht, was das Bundesamt für Polizei in seiner entsprechenden Verfügung schrieb, nämlich, dass Haliti «gemäss zuverlässigen Quellen in das organisierte Verbrechen Albaniens involviert» sei. Bei diesen Quellen handelte es sich um die besagten Geheimdienstberichte.

Haliti und Thaci arbeiteten auch nach ihrem Aufenthalt in der Schweiz eng zusammen. In einem geheimen Kfor-Bericht von 2003 wird Haliti als Thacis Sprachrohr und Statthalter bezeichnet. Haliti gehört heute zum Präsidium des kosovarischen Parlaments und ist Mitglied in Thacis Demokratischer Partei. Die beiden Männer gaben sich grosse Mühe, nicht gemeinsam aufzutreten, heisst es in dem Bericht. In Diskussionen habe Thaci das letzte Wort, während sich Haliti um die praktische Umsetzung der Beschlüsse kümmere, was vor allem für die schmutzigeren Aufgaben gelte. Haliti, der viele Liegenschaften im Kosovo, in Albanien und in der Schweiz besitze, werde es nicht wagen, auf Thacis Füsse zu treten, denn dieser wisse zu viel über ihn.

Der erwähnte Geheimbericht des BND führt unter anderem Thaci und Haliti als Schlüsselfiguren des organisierten Verbrechens auf. Die kriminellen Netzwerke des Kosovos seien nicht am Aufbau einer funktionierenden staatlichen Ordnung nach westlichem Vorbild interessiert, weil dadurch der florierende Schmuggel beeinträchtigt würde. Der BND wirft Thaci und Haliti auch vor, Auftraggeber eines Profikillers gewesen zu sein. Es handle sich bei ihnen um «multifunktionale Personen» mit anscheinend politischer Ausrichtung, die sich selber nicht die Hände schmutzig machten. «Sie schaffen durch ihre Beziehungen in Politik, Wirtschaft und bei den Ordnungskräften [...] für die organisierte Kriminalität Freiräume und Zugänge für deren klassische Betätigungsfelder.»

Sowohl Thaci als auch Haliti haben Verwicklungen mit Verbrechern oder Menschenrechtsverletzungen immer bestritten. Die Vorwürfe in den Geheimdienstberichten seien ungenau, beruhten nicht auf Fakten und gingen zum Teil auf serbische Propaganda zurück. Bis heute hat kein ordentliches Gericht die Anschuldi- gungen geprüft. Die einst von der Schweiz aufgenommenen Asylanten sind unantastbar geblieben.



Verwirrung um das gelbe Haus


Was ist dran an den Vorwüfen illegalen Organhandels im Kosovo?

Von Kurt Pelda


Im Kosovo-Krieg und in der Zeit nach der Stationierung der Schutztruppe Kfor im Juni 1999 verschwanden schätzungsweise 4600 Personen im Kosovo und in den angrenzenden Gebieten. Von den Vermissten wurden später rund 2500 Leichen in Massengräbern gefunden, die meisten von ihnen Kosovaren, Opfer serbischer Gewalttaten. Schon früh gab es aber auch Berichte, dass die Befreiungsarmee des Kosovos (UCK) Angehörige der serbischen Minderheit sowie angebliche kosovarische Kollaborateure und Roma folterte oder ermordete, viele davon bei Racheakten auf die zuvor erfolgten «ethnischen Säuberungen» der Serben. Laut einem Bericht der amerikanischen Menschenrechtsorganisation Human Rights Watch aus dem Jahr 2001 waren für viele dieser Verbrechen eindeutig UCK Angehörige verantwortlich.

Nach der Ankunft der Kfor und der Uno-Interimsverwaltung im Kosovo (Unmik) tauchten zudem Berichte auf, laut denen die UCK gefangene Serben und angebliche kosovarische Kollaborateure über die Grenze nach Albanien brachte und in Gefangenenlagern festhielt, misshandelte und folterte. Albanien liegt nicht im Mandatsgebiet der Unmik oder des Uno-Tribunals in Den Haag, das die Kriegsverbrechen im ehemaligen Jugoslawien untersucht. Als José Pablo Baraybar, der Chefermittler des Unmik-Büros für vermisste Personen und Forensik, im Juni 2002 erstmals in Dossiers von Vorwürfen illegalen Organhandels an die Adresse der UCK las, sah er keine Handhabe, der Sache in Albanien auf den Grund zu gehen. Laut mehreren Zeugen soll die UCK serbische Gefangene ermordet haben, um deren Nieren auf dem Schwarzmarkt zu verkaufen.

Erst 2004 wurde Baraybar vom Uno-Tribunal beauftragt, ein von Zeugen erwähntes gelbes Haus in der Nähe der nordalbanischen Ortschaft Burrel zu suchen. Im nahe gelegenen Dorf Rribe wurde Baraybar fündig, auch wenn das besagte Haus inzwischen weiss gestrichen war. Im Innern stiessen die Ermittler auf Blutspuren, und nur wenige Schritte entfernt wurden Spritzen und leere Behälter von Medikamenten gefunden, wie man sie bei chirurgischen Eingriffen verwendet. Die vermuteten Gräber der Ermordeten konnte Baraybar wegen des Widerstands der Einheimischen aber nicht näher inspizieren. Die Schlussfolgerung des internen Unmik-Berichts lautete: «Auf der Grundlage unserer Untersuchungen gibt es unserer Meinung nach keine schlüssigen Beweise, dass Personen als Folge krimineller Handlungen in dem Haus südwestlich von Burrel in Albanien geblutet haben.» An die Öffentlichkeit gelangten die Berichte über den angeblichen Organhandel erst 2008 durch die Memoiren der Tessinerin Caria Del Ponte. Laut der Chefanklägerin des Uno-Tribunals für das ehemalige Jugoslawien wurden aus dem Kosovo entführte Personen in einer Baracke neben dem Haus festgehalten. Später hätten ihnen Ärzte in einem improvisierten Operationssaal im gelben Haus die Nieren entnommen, die dann über den Flughafen der albanischen Hauptstadt Tirana zu den Empfängern im Ausland spediert worden seien.


Marty ist glaubwürdiger als Del Ponte


Diese Vorwürfe wiederholte Sonderberichterstatter Dick Marty in seinem Bericht -

allerdings mit wichtigen Modifikationen. Weil offenbar viele Journalisten Martys Papier nur überflogen hatten, hiess es in zahlreichen Medien, die Organe seien den entführten Serben in besagtem gelben Haus entfernt worden. Marty betonte jedoch, dass das Haus wahrscheinlich nur als Durchgangslager benützt worden sei. Dort habe man den Unglücklichen unter anderem Blutproben entnommen, um die Übereinstimmung mit den potenziellen Empfängern der Organe zu testen. Gestützt auf Zeugenaussagen, schrieb Marty, man habe die dem Tod Geweihten später in eine Klinik in der Nähe der Ortschaft Fushe-Kruja gebracht. Dort seien sie mit Kopfschüssen ermordet worden, worauf Ärzte die Nieren herausoperiert hätten. Das ist prinzipiell möglich, wie der Chirurg und Chef von Swisstransplant, Franz Immer, erklärt. Die Nieren könnten in einer Kühlbox bei vier Grad bis zu 48 Stunden aufbewahrt werden.

Auch wenn Marty keine handfesten Beweise hat, klingt seine Version weniger unglaubwürdig als jene von Del Ponte: Das gelbe Haus von Rribe war kein idealer Standort für eine Organentnahme. Dass Ärzte Entführten dort erst eine Niere entfernten, die Opfer wieder zunähten und weiterleben liessen, bis die zweite Niere an der Reihe war, wie dies Del Ponte behauptet, wirkt angesichts der prekären Verhältnisse wenig wahrscheinlich. Ausserdem ist Rribe zu abgelegen. Fushe-Krujaliegt dagegen keine 20 Kilometer von Tiranas internationalem Flughafen entfernt.

Obwohl mehrere Standorte bekannt sind, wurden in Albanien bisher keine Gräber ausgehoben, um die Leichen angeblicher Opfer zu untersuchen. Es ist abzuwarten, ob die European Union Ruie of Law Mission (Eulex) im Kosovo bei diesem Vorhaben weiterkommt als die Unmik und das Uno- Tribunal für das ehemalige Jugoslawien.


---


(Siehe: Hashim Thaci von Schweiz aufgepäppelt - von K. Trümpy, ICDSM Schweiz 
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6947 )

Nachtrag zu: H.Thaci von Schweiz aufgepäppelt


(3/1/2011)


Betreff: Hashim Thaci von Schweiz aufgepäppelt

Die Unterstützung der  Schweiz für Herrn Thaci (UCK-Name: "die Schlange") fängt schon viel früher *1 an.  Alles mit Vorbehalt meiner Erinnerung,  d.h. ohne Gewähr/müsste überprüft werden!: Herr Thaci "studierte" in den 90er  Jahren in Zürich. Whs. hatte er den Status eines politischen Flüchtlings. Neben seinem "Studium" widmete er sich dem Kampf für die Sezession Kosovos. Hauptaktivitäten: Geldsammeln für die UCK (u.a. whs. Schutzgelderpressungen), Waffenschmuggel (u.a. ausrangiertes  Material der Swiss Army und der deutschen Wehrmacht), ziemlich sicher auch Geld aus  dem von Kosovo-Albanern  beherrschten Heroinhandel und anderen kriminellen Aktivitäten. Diese mit seinem Status und der Neutralität der CH  unvereinbaren Handlungen waren den Schweizer Behörden sehr wohl bekannt und wurden geduldet, wenn nicht sogar  gefördert ! Thaci wurde den Schweizern nämlich von seinen "Paten" bei CIA und BND sehr "ans Herz gelegt". Zürich *2  spielte überhaupt bei der Vorbereitung der Kosovosezession eine wichtige und unrühmliche Rolle. Wichtige  kosovarische Hetzblätter erschienen dort (u.a. finanziert vom gleichen kosovarischen im Tessin wohnhaften Multimillionär *3, der Jelzin bestochen (Affäre weisser Palast) und damit Russlands Passivität im Kosovo-Krieg bewirkt hatte. Auch Herr  Haradinaj, ein anderer  prominenter "Politiker" war in ZH (als "Türsteher" bzw. Schläger im  Rotlichtmilieu) tätig.  Inzwischen stand er in Den Haag wg. Kriegsverbrechen vor Gericht. Wurde 
"natürlich" freigesprochen. Ein anderes Zentrum der UCK war Genf mit seiner Kosovo-"Uni" (Herr Leuenberger *4 (nicht der Moritz) und Frau Calmy-Rey ?). 
Erstaunlich oder viel mehr nicht erstaunlich, dass kein Journalist diese interessante Geschichte aufnimmt !? Es käme sicher noch viel Interessantes heraus. Thaci ist natürlich nicht das erste "Monster" welches Helvetia im Laufe der Geschichte an ihrem Busen genährt oder dessen Geldbörse sie gehütet hat.

Grüsse: Nenad Pavic
  
*1 Schon in den 80er Jahten
*2 Tagesanzeiger, NZZ
*3 Behgjet Pacolli
*4 Ueli Leuenberger, Chef CH-Grüne
 
K.Trümpy


=== 3 ===


http://www.heise.de/tp/r4/artikel/34/34133/1.html

TELEPOLIS

Nieren aus dem Kosovo

Harald Neuber 03.02.2011

Führung der serbischen Ex-Provinz soll in Organhandel verstrickt sein. Beweise verschwanden. Nun ermitteln die EU-Verwalter – aber nur widerwillig

Nur unwillig und erst nach massiven Druck des Europarates hat die Rechtsstaatlichkeitsmissionen der Europäischen Union im Kosovo ( EULEX (1)) Ermittlungen gegen den Regierungschef und ehemaligen Kommandanten der paramilitärischen Organisation UÇK, Hashim Thaci, aufgenommen. Die EULEX folgte damit Ende vergangener Woche der expliziten Aufforderung der parlamentarischen Versammlung des Europarates wegen wieder aufgekommener Vorwürfe, Thaci sei in Organhandel verstrickt gewesen.

Das Gremium bestärkte mit der Entschließung den Bericht (2) seines Mitglieds, des Schweizer Abgeordneten und Juristen Dick Marty. Ob die Nachforschungen der EULEX-Staatsanwälte zu einem Ergebnis führen, ist jedoch fraglich. Zu Beginn des Verfahrens forderten die EU-Rechtshüter von Marty die Beweise an, ohne zunächst selbst investigativ tätig zu werden. Thaci lässt sich indes nicht allzu sehr beeindrucken. Er bildete Ende Januar eine Regierung unter Führung seiner Partei PDK (3).

Dabei hätte der Marty-Bericht für den 42-Jährigen zu keinem ungünstigeren Zeitpunkt kommen können. Nur fünf Tage nach den ersten Parlamentswahlen im Kosovo seit der Loslösung von Serbien war der Schweizer Europarat-Abgeordnete Mitte Dezember in Paris vor die Kameras getreten, um seinen knapp 30-seitigen Bericht vorzustellen. Und der hatte es in sich: Thaci sei während des Bürgerkrieges 1998 und 1999 an kriminellen Strukturen beteiligt gewesen, die unter anderem in Drogen- und Organhandel verstrickt waren. Serbischen Gefangenen der paramilitärischen Organisation UÇK und kosovo-albanischen Gegnern der Milizen seien Organe entnommen worden, um sie auf dem Schwarzmarkt zu verkaufen.

Schwere Vorwürfe erhob der liberale Politiker gleich auch gegen die Verantwortlichen in der EU. Sie hätten seit Jahren von den mutmaßlichen Verbrechen gewusst, unter Rücksicht auf die außenpolitischen Ziele auf dem Westbalkan aber geschwiegen. Entsprechend konterte Marty nun auch auf die Kritik aus der EU. "Die, die jetzt wie Ziegen auf ihre Stühle springen und 'Beweise, Beweise' blöken, die würde ich gerne fragen: Warum habt ihr das nicht schon früher getan?", zitiert (4) der ARD-Korrespondent Martin Durm den streitbaren Juristen und Politiker: "Warum war euch euer Opportunismus wichtiger als Gerechtigkeit und elementare Menschenrechte, die ihr doch in euren Reden immer wieder für euch reklamiert?"

Vorwürfe gegen "die Schlange" Thaci seit Jahren bekannt

Natürlich weiß in Brüssel und in den EULEX-Büros jeder von der obskuren und womöglich blutigen Vergangenheit des umstrittenen Regierungschefs. Der von Washington und Brüssel protegierte Thaci war in der ersten Hälfte der 1990er Jahre an der Gründung der UÇK beteiligt. Vor Beginn des Kosovo-Krieges waren seine Einheiten für Überfälle auf Polizeieinheiten in der damals südserbischen Provinz verantwortlich. Während des Separationskrieges 1998 stieg Thaci unter dem Decknamen "Gjarpni" (Die Schlange) in den Führungsstab der Milizen auf und befehligte mehrere hundert Paramilitärs in der heutigen Region Malisheva im Südwesten des Kosovos.

Die Vorwürfe, nach denen Thaciin dieser Zeit mafiöse Strukturen aufgebaut hat, sind nicht neu. Aber Marty - Mitglied der Liberalen Partei und ehemaliger Staatsanwalt des Kantons Tessin - führt eine Reihe neuer Spuren und Indizien an, die für den ersten Ministerpräsidenten des Balkanstaates gefährlich werden könnten. Unter Berufung auf Zeugenaussagen und ehemalige Mitstreiter zeichnet der Jurist Route und Methode des Organraubes nach. Thaci habe damals als führendes Mitglied der sogenannten Drenica-Gruppe Gefangene der Milizen in das benachbarte Albanien verschleppen lassen. In vier Häusern seien die Geiseln mit einem Kopfschuss hingerichtet worden, um ihnen umgehend die Organe, vor allem Nieren, zu entnehmen. Diese seien dann über den Airport der Hauptstadt Tirana ausgeflogen worden.

Neben Zeugenaussagen stützt sich Marty in seinem Bericht auf geheimdienstliche Erkenntnisse, zu denen er Zugang hatte. Der deutsche BND, der italienische SISMI, Großbritanniens MI5 und der griechische EYP hätten Thacis Aktivitäten beobachtet. Nachdem die NATO den Kosovo-Krieg mit massiven Luftschlägen zugunsten der Rebellen entschieden hatte, sei der heutige Regierungschef in den Geheimdienstberichten als einer der gefährlichsten Mafia-Bosse bezeichnet worden. Tatsächlich laufen gegen den Transportminister Fatmir Limaj derzeit ebenso strafrechtliche Ermittlungen wie gegen den Funktionär von Thacis PDK-Partei, Azam Syla.

Zuspruch von Ex-Chefanklägerin Carla del Ponte

Dennoch reagierten die EU-Verantwortlichen zunächst mit Vorbehalten auf die neuen Indizien zum Organhandel. Das erklärte Ziel in Brüssel ist, die Lage in dem Kleinstaat auf dem Balkan zu beruhigen, wenngleich die Widersprüche größer werden. Auch nach dem Votum der parlamentarischen Versammlung des Europarates zeigten sich die Verantwortlichen vor Ort reserviert. Die in dem Bericht aufgeführten Indizien reichten für die Eröffnung eines Ermittlungsverfahrens nicht aus, erklärte (5) EULEX-Sprecherin Karin Limdal Mitte Dezember. Gut einen Monat später eröffnete man das Verfahren zwar, forderte aber Beweise an, um es fortzuführen. Marty weist dies zurück. Nach dem Mord mehrerer Zeugen müsse er seine Informanten schützen.

Dabei drängt auch die Ex-Chefanklägerin am Internationalen Strafgerichtshof für die Kriegsverbrechen im ehemaligen Jugoslawien, Carla del Ponte, auf Nachforschungen. Diese Ermittlungen dürften jedoch nicht von Behörden im Kosovo oder in Albanien geleitet werden, sagte (6) die heutige Schweizer Botschafterin in Argentinien: "Die haben ja schon gesagt, dass alle unschuldig sind."

Tatsächlich waren Nachforschungen des Tribunals unter Del Pontes Führung auch daran gescheitert, dass Albanien die Zusammenarbeit verweigerte. Erst unter dem Druck der Öffentlichkeit sicherte Regierungschef Sali Berisha Mitte Dezember seine Kooperation zu. Damit könnte immerhin Bewegung in den Fall kommen, den einige ungeklärt lassen wollen. Am Ende ihrer Amtszeit am Jugoslawien-Tribunal sei sie "erschüttert" gewesen, so Del Ponte, dass Beweismittel aus den Ermittlungen gegen die mutmaßliche Organ-Mafia verschwunden sind. "Blutproben, Lappen und Fotos" aus einem der Häuser in Albanien seien verschwunden, mögliche Zeugen wurden ermordet.

Dass die Thaci-Anhänger nach wie vor nicht zimperlich sind, beschreibt ARD-Mann Durm aus Strasbourg in einer Szene über Proteste während der letzten Pressekonferenz Martys vergangene Woche. Rund 100 Personen hatten sich demnach vor dem Gebäude versammelt. "Dick Marty, dieser Hurensohn, den haben doch die Serben bezahlt. Wenn du Dick Marty siehst, sag ihm, ich warte hier auf ihn. Ich bring ihn um. Der so Geschmähte betrat das Gebäude wenig später durch einen Seiteneingang.

Links

(1) http://www.eulex-kosovo.eu/en/front/
(2) http://assembly.coe.int/ASP/APFeaturesManager/defaultArtSiteView.asp?ID=964
(3) http://www.pdk49.com/index.php?page=1,1
(4) http://www.tagesschau.de/ausland/organhandel106.html
(5) http://gazetashqiptareonline.com/kosovo-eu-probes-reports-of-black-market-kidneys.html
(6) http://www.europeonline-magazine.eu/del-ponte-fordert-ermittlungen-wegen-organhandelgespraech-jan-uwe-ronneburger-dpa_100603.html

Telepolis Artikel-URL: http://www.heise.de/tp/r4/artikel/34/34133/1.html


Copyright © Heise Zeitschriften Verlag




A proposito di "martiri delle foibe"

1) Dall'ANPI di Viterbo:
- Sulla pubblicazione dell’elenco dei viterbesi “infoibati”
- Estratto dal Resoconto del Congresso del Comitato provinciale

2) GIORNO DEL RICORDO 2011: A PROPOSITO DI “MARTIRI DELLE FOIBE” (C. Cernigoi)

3) Menzogne di regime (F. Guastarazze)

Sulla disinformazione strategica a proposito delle "foibe" e la campagna revanscista e neoirredentista in atto in Italia da alcuni anni rimandiamo anche a tutta la documentazione raccolta alla nostra pagina dedicata: https://www.cnj.it/documentazione/paginafoibe.htm . Lì si trovano anche molti riferimenti e testi riguardanti le questioni ("infoibati" viterbesi, Norma Cossetto, ecc.) affrontate di seguito.


=== 1 ===

Oggetto: su Conferenza stampa foibe

Data: 05 febbraio 2011 20.51.46 GMT+01.00


Sulla pubblicazione dell’elenco dei viterbesi “infoibati”

Nel 2001, l’Amministrazione comunale di Viterbo aveva intestato un cippo in largo Martiri delle foibe istriane a Carlo Celestini “sacrificato nelle foibe”. Due anni fa abbiamo redatto un comunicato stampa per dimostrare che, in base a documentazione inconfutabile, le circostanze dell’infoibamento non risultassero affatto. Il Comune di Viterbo non ha mai risposto. 
Durante le celebrazione del Giorno del ricordo 2010, però, il consigliere comunale di maggioranza Maurizio Federici aveva parlato di “dodici martiri, nati a Viterbo e provincia, che da alcune ricerche storiche risultano deceduti a seguito di deportazione, fucilazione o infoibamento”. Così avevamo inoltrato all’assessore una lettera per sapere circa i nomi di questi dodici, senza ottenere risposta. 
  Stamattina, con una conferenza stampa tenuta da Federici assieme ad altri esponenti del locale centrodestra, sono stati pubblicati questi nomi che, frattanto, sono diventati diciotto (http://tusciaweb.it/notizie/2011/febbraio/5_23foibe.htm ). Faremo al più presto ricerche a riguardo, in quanto la storiografia, come tutte le scienze, comporta rigore, serietà e scrupolosità che possono venir meno in un semplice scambio di battute.
Tralasciando ora il fatto che nella conferenza stampa, almeno da quanto riportano i giornali, non si sia fatto cenno delle politiche antislave del fascismo, né del martirio cui sono state sottoposte le popolazioni balcaniche occupate dai fascisti (deportazioni e fucilazioni di massa, distruzioni di interi villaggi etc.), veniamo ai dati forniti nell’elenco dei nomi. Nessuno di questi elencati - va da sé tutti soldati - risulta inoppugnabilmente infoibato e, “probabilmente infoibato” non necessariamente significa effettivamente infoibato. Per alcuni si dice esplicitamente che le cause della morte sono ancora in fase di accertamento, per altri si parla di fucilazione o decesso a seguito di internamento, mentre per qualche caso è notizia certa il solo avvenuto decesso, anche a distanza di anni dalla fine del conflitto! In sostanza, è sufficiente la sola circostanza di essere venuti a mancare nei Balcani per essere definiti “infoibati con la sola colpa di essere italiani”. Un infoibamento ormai esteso a tutte le possibili cause di morte. Senza contare che nei Balcani, dopo l’8 settembre 1943, i soldati italiani, a migliaia, sono stati fucilati, deportati nei campi di sterminio o sono deceduti nei campi di prigionia per mano dei nazifascisti. 
Proprio in merito a Celestini, la scheda, sospettosamente breve, riporta soltanto: “CELESTINI Carlo, di Crescenziano, nato a Viterbo nel 1922, scomparso, infoibato nel 1945 a Dyakovo”. Il Comune, in tutta evidenza, non intende rendere pubblica la documentazione su cui si basò l’intestazione del cippo, né motivare a riguardo. In compenso, Federici, parlando delle celebrazione del 10 febbraio, annuncia: “Deporremo un mazzo di fiori al monumento dedicato a Carlo Celestini, un martire delle foibe”. Come dire: alla faccia vostra! 
Fermo restando il rispetto e la pietà che si debbono a tutti i morti, siamo sempre più palesemente dinanzi ad un uso, quantomeno, scorretto delle fonti, privo anche dei più basilari criteri storiografici, sacrificati nel nome di opinioni e convinzioni personali, con l’obiettivo politico di diffamare la lotta partigiana.

Silvio Antonini
Segretario e Portabandiera
Anpi Cp Viterbo 
 


Estratto dal Resoconto del Congresso del Comitato provinciale Anpi di Viterbo: 

Sabato 29 gennaio 2011, presso la sede dell’associazione Viterbo con amore, via Cavour, 97, si è riunito il Congresso del Comitato provinciale (Cp) Anpi di Viterbo, in vista del 15° Congresso nazionale, che si terrà a Torino il 24-27 marzo. Hanno partecipato all’evento oltre trenta persone tra cui molti giovani e giovanissimi che mai si erano avvicinati all’Associazione. (...)
In merito al Giorno del ricordo, il documento del Cn denuncia il fatto che la ricorrenza si sia trasformata in celebrazione “dell’orgoglio fascista”. Come Cp Viterbo affermiamo che l’istituzione di questa ricorrenza sia già di per sé strumentale, poiché finalizzata a denigrare l‘Antifascismo, la lotta partigiana e le popolazioni slave: siamo l’unico paese europeo ad aver fatto assurgere ad evento luttuoso un trattato di pace dopo una guerra che aveva visto l’Italia come aggressore di popoli vicini e, per giunta, sconfitta. Ormai è palese come l’ “operazione foibe” non si basi affatto su criteri storiografici, anche quelli più basilari (abbiamo trattato più volte l’argomento, sia a livello locale sia nazionale), ma su faziosità ideologiche e etniche, un tempo appannaggio dell’estrema destra, divenute istituzionali per ragioni politiche. In base a ciò, chiediamo che il 10 febbraio diventi la Giornata dell’amicizia tra il popolo italiano e quelli balcanici, contro la xenofobia e le guerre.  (...)
Sulle questioni locali: il Cp intende fare una proposta circa la toponomastica del Comune di Viterbo, nello specifico sul largo Martiri delle foibe istriane e sul cippo che vi ricorda Carlo Celestini, viterbese “sacrificato nelle foibe”. Due anni fa siamo intervenuti pubblicamente denunciando il fatto che dalla documentazione dell’Archivio di Stato non risulta affatto che questi sia stato infoibato, chiedendo spiegazioni all’Amministrazione comunale, per un’intestazione fortemente sospetta di arbitrarietà, pure grossolana. Non abbiamo ottenuto risposta alcuna. È altresì inaccettabile, in termini di cifre e verità storica, quanto scritto sulla targa posta nel largo in questione, che riporta di “migliaia di italiani sacrificati con la sola colpa di essere italiani”. Chiediamo, quindi, che quel largo cambi intestazione per essere dedicato ai Viterbesi vittime del fascismo, a partire da quelli assassinati negli anni Venti (Antonio Prosperoni, Tommaso Pesci e Antonio Tavani) su cui si dispone di abbondante quanto inconfutabile documentazione. In questo largo, un cippo potrebbe ricordare proprio Tommaso Pesci, contadino ucciso, senza motivo, con un colpo dritto in faccia sparato da un fascista orvietano, mentre era inerme sull’uscio di casa, in via Lucchi, il 10 luglio 1921 (inaugurazione del gagliardetto fascista). Nel 90° anniversario dei fatti, Viterbo renderebbe omaggio a un suo cittadino, i cui familiari non ottennero giustizia.
Il Congresso ha rappresentato un’occasione per il ridefinire l’assetto del Consiglio direttivo. È riconfermato l’incarico di Presidente a Renato Busich. Con la morte di Rosa Mecarolo, era rimasto vacante l’incarico della Presidenza onoraria, ora affidato a Nello Marignoli, Partigiano viterbese combattente in Jugoslavia, iscritto Anpi dal 1947. Marignoli, assente per motivi di salute, ha ringraziato della nomina per telefono. È stato eletto consigliere Francesco Antonaroli che, ormai da anni attivo per l’Anpi, ha dato prova di serietà e impegno costante. L’iscritto Carlo Boccolini è stato, invece, eletto nel collegio revisori conti. 
Per il resto, è confermato l’organico emerso dal Congresso straordinario del 2009.

Il Direttivo del Comitato provinciale Anpi Viterbo


=== 2 ===


GIORNO DEL RICORDO 2011: A PROPOSITO DI “MARTIRI DELLE FOIBE”

Dopo tanti anni da quando ho iniziato a fare ricerca storica sulle foibe (cioè dal 1995), dopo tutta la documentazione che ho analizzato e tutte le cose che ho pubblicato (e che nessuno storico serio, finora, ha smentito), quando sento ancora parlare di diecimila “infoibati”, di migliaia di “martiri delle foibe”, non so se mi sento più arrabbiata o più demoralizzata. Perché, mi domando, una ricerca storica seria deve venire snobbata, ignorata, vilipesa, mentre si prosegue a parlare a sproposito di certi argomenti, solo per mantenere viva la propaganda anticomunista ed antijugoslava, sostanzialmente per rivalutare il fascismo?
Un esempio per stigmatizzare la situazione di disinformazione storica nella quale ci troviamo. A novembre, su segnalazione del Comitato antifascista e per la memoria storica di Parma, che ha elevato una protesta riguardo all’intitolazione in quella città di una via ai cosiddetti “martiri delle foibe” (termine che per la sua genericità e vaghezza di definizione necessiterebbe di un’analisi di svariate pagine, ma su cui tornerò più avanti), sono andata a vedere il forum di Alicenonlosa (http://www.alicenonlosa.it/aliceforum/) e di fronte a tanta (peraltro spocchiosa e saccente) ignoranza relativamente ai fatti storici di cui si pretende di parlare, mi sono davvero cadute le braccia.
Leggere di “almeno diecimila” infoibati, di “compagni del CLN” gettati nelle foibe, di paragoni tra Tito e Pol Pot, così come insulti al presidente Pertini, e citazioni fuori tema su Goli Otok (che fu campo di prigionia, orribile fin che si vuole, ma destinato ad oppositori interni e non c’entra per niente con le “foibe”), il tutto per rispondere all’equilibrata e documentata presa di posizione del Comitato antifascista e per la memoria storica mi ha fatto riflettere sul senso che ha cercare di fare ricerca storica circostanziata se poi quello che continua ad essere diffuso sono stereotipi di falsità e propaganda.
Uno dei vari anonimi polemisti, quello che cita i “compagni del CLN” infoibati, dopo avere parlato di “diecimila” vittime, fa i seguenti nomi: Norma Cossetto, i sacerdoti don Bonifacio e don Tarticchio, le tre sorelle Radecchi, i tre componenti della famiglia Adam. Nove persone. Punto. Dove don Tarticchio, Norma Cossetto e le tre sorelle Radecchi furono uccisi nel settembre 1943 in tre distinte località dell’Istria nel corso del conflitto; don Bonifacio scomparve nel 1946 e non si sa che fine abbia fatto, ma visto che è scomparso nel nulla, dice la propaganda, ovviamente è stato “infoibato”; la famiglia Adam, di Fiume, che faceva parte del CLN filo italiano che nell’estate del 1945, quando Fiume era passata sotto sovranità jugoslava operava per riannettere la città all’Italia, in barba a tutti gli accordi tra Alleati, fu arrestata appunto per questa attività eversiva, e non vi è prova che qualcuno dei tre sia stato “infoibato”.
Ed i “compagni” del CLN di cui parla l’Anonimo (diamogli una dignità di nome proprio con un’iniziale maiuscola) chi sarebbero? Non certo coloro (una ventina) che furono arrestati durante l’amministrazione jugoslava di Trieste perché organizzavano attentati dinamitardi contro l’autorità esistente, che amministrava Trieste in quanto potenza alleata; né i tre membri del CLN arrestati per essersi appropriati dei fondi della Marina militare della RSI pur di non lasciarli in mano agli jugoslavi, due dei quali furono rilasciati un paio di anni dopo, mentre il terzo, già malato al momento dell’arresto, morì in prigionia un anno dopo.
Si possono poi considerare “martiri” i membri dell’Ispettorato Speciale di PS che furono arrestati e condannati a morte dal tribunale di Lubiana, perché colpevoli di essersi macchiati di azioni criminali, come Alessio Mignacca, che picchiò una donna arrestata fino a farla abortire, ed uccise almeno tre persone che cercavano di sfuggire all’arresto, sparando contro di loro?
Si potrebbe continuare a lungo con questi esempi, ma il discorso da fare è, a mio parere, un altro, e ritorno sulla questione della definizione “martiri delle foibe”. Innanzitutto la maggior parte di coloro che vengono così indicati non furono veramente uccisi e poi gettati in una foiba: in parte si tratta di prigionieri di guerra morti durante la detenzione (così come accadde in altri campi di detenzione gestiti dagli Alleati, ad esempio in Africa), in parte di arrestati perché accusati di crimini di guerra o di violenze contro i prigionieri (vedi il caso di Mignacca sopra citato, ma anche quello di Vincenzo Serrentino, giudice del Tribunale speciale per la Dalmazia, che mandò a morte moltissimi innocenti) e condannati a morte dopo un processo. Coloro che finirono nelle foibe furono per lo più vittime di regolamenti di conti o di vendette personali, così come Norma Cossetto, così come don Tarticchio, sul quale gravava il sospetto che fosse un informatore dell’Ovra.
Intitolare strade a generici “martiri delle foibe” significa non rendere giustizia a nessuno, tantomeno alle vittime innocenti, serve solo ad eternare la polemica sulla “ferocia slava” che voleva operare una pulizia etnica contro gli italiani nella Venezia Giulia (teoria nazionalfascista che nessuno storico degno di questo nome ha mai avallato). 
L’analisi di cui sopra è stata inviata, sempre a novembre 2010, al Comitato antifascista e per la memoria storica di Parma, quale contributo di solidarietà al loro lavoro di informazione per la conoscenza della storia. Non so se l’intervento è stato pubblicato da qualche testata parmense, ma ritengo ora, a ridosso del Giorno del ricordo del 10 febbraio, di diffonderlo più ampiamente, in vista di quanto verrà detto e scritto sull’argomento.

Claudia Cernigoi 
gennaio 2011


=== 3 ===

Menzogne di regime


Fra pochi minuti (o forse è già in onda) Rai Uno trasmetterà un bello specialone sulle foibe [*]. Chissà come saranno contenti i destri che avranno modo di sbandierare l'odio comunista antitaliano.

Oggi la figura centrale della puntata sarà Norma Cossetto una giovane studentessa italiana uccisa, violentata e infoibata dai partigiani titini.

O almemo così dicono...

Chi era davvero Norma Cossetto? Era figlia di Giuseppe Cossetto dirgente del Partito Nazionale Fascista, membro della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, podesta di Visinaga e commissario del Fascio. Insomma una fascista ben inserito. Norma non era da meno: all'Università di Padova si era iscritta ai Gruppi Univesitari Fascisti, insomma in tutto e per tutto una fascista.

Quando gli storici parlano dell'odio antitaliano scatenato dai titini dopo l'8 settembre 1942 omettono di ricordare che la Jugoslavia veniva da anni di dominazione fascista, dallo stupro etnico della sue terre, dall'oppressione e dalla guerra.

Gli infoibati che ci furono in quel periodo non veniva uccisi in quanto italiani, ma in quanto "fascisti". Non a casao andarono a riempire le foibe carabieri, finanzieri e polizioti in genere, preti collaborazionisti e tutti coloro che avevano collaborato con il regime fascista. E naturalemente i fascisti come Norma e suo padre.

Fin qui quindi non ci sarebbe nulla di strano: sarebbe un veneto tremendo e doloroso ma giustificato dalla complessa fase bellica.

Molto più infamante e l'accusa dello stupro e della sevizie. Si dice che Norma fu violentata per più giorni e che prima di ucciderla e di gettarla nella foiba le abbiamo pugnalato i seni e conficcato un pezzo di legno nella vagina.

Però...c'è sempre un però...

Se leggete con attenzione la pagina che Wikipedia le dedica (http://it.wikipedia.org/wiki/Norma_Cossetto) noterete che questa versione fa acqua da tutte le parti.

Si dice che Norma venne violentata: di fatto non c'è nessuna testimonianza certa che avvalori questa ipotesi se non quella di una "signora di Antignana" rimasta anonima che abitando vicino alla scuola del paese trasformata in base partigiana avrebbe sentito le urla e l'agonia di Norma. Una signora rimasta per altro sempre anonima.

Le sevizie: quando Norma venne recuperata aveva "aveva ambedue i seni pugnalati ed altre parti del corpo sfregiate".  Qualche versione aggiunge che avesse un pezzo di legno conficcato nella vagina.

Ma ecco cosa dice la sorella Licia Cossetto del 10 dicembre 1943 giorno del ritrovamento:

"Ancora adesso la notte ho gli incubi, al ricordo di come l'abbiamo trovata: mani legate dietro alla schiena, tutto aperto sul seno il golfino di lana tirolese comperatoci da papà la volta che ci aveva portate sulle Dolomiti, tutti i vestiti tirati sopra all'addome.... Solo il viso mi sembrava abbastanza sereno. Ho cercato di guardare se aveva dei colpi di arma da fuoco, ma non aveva niente; sono convinta che l'abbiano gettata giù ancora viva". Nessun segno sul corpo.

Frediano Sessi ribadisce: "Frediano Sessi, Foibe rosse. Vita di Norma Cossetto uccisa in Istria nel '43, Gli specchi di Marsilio, 2007, pag 128: "un volo nel vuoto di oltre centotrentacinque metri, che tutti furono costretti a compiere da vivi. Sui loro corpi, in seguito, non si trovò traccia di fori di pallottole o di ferite da taglio mortali." 

A dare retta a queste versioni quindi Norma fu gettata viva nelle foibe ma non fu nè violentata nè tanto meno seviziata. Ma Arrigo Petacco scrive "L'esodo, Edizioni Mondadori, 1999, pag 61:"prima di precipitarla nella voragine, i giustizieri vollero ancora approfittare di lei. E dopo avere infierito su quel povero corpo ormaiinanimato, le recisero i seni e le conficcarono un legno nei genitali".

Dunque Norma era mortao viva al momento che fu gettata nella foiba? E perchè Pettacco ritorna sulle storia delle sevizie se Licia Cossetto e Frediano Sessi dicono che non c'erano segni?

A quanto pare anche la storia di Norma gettata viva nella foiba fa acqua.

Insomma, troppe incongruenze, troppe contraddizioni. L'unica cosa certa è che Norma venne giustiziata in quanto fascista dai partigiani.

Nulla di più e nulla di meno.

Inutile fare di lei una santa.


Francesco Guastarazze

[*] E' possibile vedere online lo Speciale Tg1 trasmesso da RaiUno domenica 6 febbraio, condotto da Monica Maggioni e dedicato al Giorno del ricordo, a questo link:
(parte sinistra della pagina che si apre).


(italiano / deutsch / english)

Da: peter_betscher @ freenet.de

Oggetto: A Vienna!

Data: 02 febbraio 2011 22.31.07 GMT+01.00


Carissimi,

l'11 marzo 2011 cade per la quinta volta l'anniversario della morte di Slobodan Milosevic. 
Per chiarire le circostanze della sua morte è stata avviata esclusivamente una "indagine interna" del Tribunale dell'Aia (ICTY), che nel cosiddetto "Rapporto Parker" scagiona l'ICTY ed attribuisce allo stesso presidente Milosevic la colpa della sua morte.
A Slobodan Milosevic non è stata solamente negata l'assistenza sanitaria adeguata che egli aveva ripetutamente reclamato, ma nemmeno le cause della sua morte sono state investigate in maniera trasparente e imparziale. Il confronto legale richiesto dalla vedova Mira Markovic e dall'ICDSM (*) per la chiarificazione delle circostanze della morte viene fortemente ostacolato attraverso ritardi e comportamenti incompetenti.

Su tutto questo, in occasione del quinto anniversario della morte, non possiamo tacere! Si tratta di individuare finalmente i responsabili per la morte del presidente Milosevic! Chiediamo la chiusura del Tribunale illegale e reclamiamo una consequenziale difesa del diritto internazionale!

In questo senso noi facciamo appello a partecipare a una azione internazionale di protesta a Vienna!

Venerdi 11 marzo 2011 verrà dapprima consegnata, al mattino, una nota di protesta alla rappresentanza delle Nazioni Unite a Vienna.
Di seguito, dalle ore 16:30 alle ore 19:00, sulla Stephansplatz nel centro di Vienna si terrà il presidio "Serbia: guerra della NATO e giustizia dei vincitori - difendere il diritto internazionale!" Oratori di vari paesi si alterneranno al microfono. Christopher Black, in qualità di avvocato della vedova, riferirà sullo scandalo riguardante la chiarificazione delle circostanze della morte di Slobodan Milosevic. Oltre al caso Milosevic si esporrà il comportamento criminoso  dei Tribunali voluti dalla NATO. Familiari e avvocati di altri imputati dell'ICTY sono invitati ad intervenire. Si parlerà anche della disastrosa situazione politica e sociale della Serbia post-Milosevic, dominata da UE e USA.

Il sabato 12 marzo 2011 tutti sono invitati ad una conferenza, che avrà inizio attorno alle ore 18:00, a proposito degli stessi temi. Il luogo e la lista dei relatori verranno comunicati in seguito.

Segnaliamo che per le nostre attività non è più utilizzato il Conto intestato al Verein für kulturelle Selbstbestimmung presso la banca Sparkasse Starkenburg, poiché di nuovo abbiamo potuto aprire un Conto dedicato. Le nuove coordinate per la Germania e i paesi UE sono le seguenti:

Vereinigung für Internationale Solidarität (VIS) e.V. 
banca: Sparkasse KölnBonn
numero conto: 1929920104
numero banca: 370 501 98
causale: Aufklärung 

Per i sottoscrittori dai paesi della UE:
BIC (SWIFT): COLSDE33
IBAN: DE74 3705 0198 1929 9201 04 

Facciamo affidamento sulle sottoscrizioni. Solamente così può proseguire il lavoro giuridico sulle circostanze della morte di Slobodan Milosevic. Anche per imprimere alla iniziativa di Vienna la forza necessaria, abbiamo bisogno di sostegno. Si dovranno sostenere costi per l'organizzazione e per il viaggio dei relatori internazionali. Peraltro a Vienna si deve trattare anche di altri casi del Tribunale dell'Aia. In particolare, i famigliari degli accusati non possono permettersi di sostenere le spese di viaggio per Vienna. Eppure riteniamo sia importante che si possa dare ascolto anche alla loro voce.

Ogni versamento è un contributo alla difesa del diritto internazionale!

Come sempre, la diffusione di questo annuncio è benvenuta!

Saluti fraterni,

Peter Betscher 
Unione per la Solidarietà Internazionale (VIS e.V.)

Cathrin Schütz
Comitato Internazionale Slobodan Milosevic – Sovranità nazionale e giustizia sociale

---

(*) Comitato Internazionale per la Difesa di Slobodan Milosevic

Altre informazioni utili:

volantino / flyer:

altri relatori annunciati a Vienna: 
Klaus Hartmann (Germania), Vladimir Krsljanin (Serbia)

contatti:
Vladimir Krsljanin (auroraplan @ gmail.com +381 62 423 915 - english, srpski)
and Cathrin Schuetz (cschuetz1 @ aol.com +49 1788 656 159 - english, deutsch)

siti internet del Comitato Internazionale Slobodan Milosevic: 

informazioni sull'assassinio di Milosevic nella galera dell'Aia:

archivio Milosevic:


****************************************************************************
INTERNATIONAL COMMITTEE "SLOBODAN MILOSEVIC"
****************************************************************************
National Sovereignty and Social Justice               www.icdsm.info
****************************************************************************
                Sofia * New York * Moscow * Belgrade
****************************************************************************
Co-Chairmen: Velko Valkanov, Ramsey Clark, Sergei Baburin
****************************************************************************

F i r s t   A n n o u n c e m e n t

PEOPLE AGAINST THE US/UK/NATO TRIBUNALS
5th ANNIVERSARY OF MURDER OF PRESIDENT MILOSEVIC

Vienna, 11 March 2011
Delivery of a protest note to UN; Press conference; Rally at
Stefansplatz; Panel discussion (12 March)


Dear ICDSM members and supporters, friends,

to commemorate the tragic and scandalous death of President Slobodan
Milosevic 5 years ago, we invite you to participate in the
international protest in Vienna on March 11, 2011.

President of Serbia and Yugoslavia Slobodan Milosevic died in his cell
before the end of the trial, after the tribunal declined the Russian
state guarantees and prevented President Milosevic to get necessary
medical treatment in Moscow. President of Republika Srpska Radovan
Karadzic is on trial now. Leader of Serbian patriotic opposition
Vojislav Seselj is eight years in detention in endless proceedings
with no outcome. President of Republika Srpska Krajina Milan Martic is
convicted on 35 years, serving his sentence in Estonia. They are all,
together with other 90 processed Serbs, subject of political, judicial
and medical manipulation in a body, formally linked to UN, but being
in fact an uncontrolled tool of imperialist aggression and crime. The
Hague tribunal took 16 Serbian lives already. At the same time, this
tribunal ignores or whitewashes crimes of NATO and the most horrible
terrorist acts, war crimes and drugs, arms and human organs
trafficking by the NATO proxies. People of Serbia and peoples of the
world should rise against imperial ad hoc tribunals and their
derivatives – “special courts" in Sarajevo, Zagreb and Belgrade.

A protest rally will take place in the center of Vienna in the
afternoon. Several speakers will appear, including Christopher Black
(Canada), Klaus Hartmann (Germany) and Vladimir Krsljanin (Serbia).
The list of speakers has not been concluded yet. A delegation will
deliver a protest note to the United Nations Vienna Office in the
morning of March 11. Our demands will also be presented at a press
conference.

On 12 March, we plan a ICDSM meeting around noon and the last of
public events – a panel discussion in the evening. It will focus not
only on President Milosevic, but shall include the Karadzic and Seselj
cases, the Kosovo decision of the ICJ, the Kosovo Albanian narco-mafia
issue and the role of the UCK and the present situation in former
Yugoslavia.

We invite all ICDSM members, all freedom and justice loving people and
their organizations, all Serbs, including families of the Hague
victims to support us and to join us in the dignified and peaceful
protest in Vienna on 11 March. We also call upon organization of
similar actions and delivery of protest letters to UN offices
worldwide. The precise time schedule of our Vienna events will be
communicated to you in our Second Announcement. To those coming from
other countries, we advice to plan staying in Vienna from 10-13 March.
Please inform us about your plans in advance.

On behalf of ICDSM Secretariat: 
Vladimir Krsljanin (auroraplan @ gmail.com +381 62 423 915)
and Cathrin Schuetz (cschuetz1 @ aol.com +49 1788 656 159)


****************************************************************************

Da: peter_betscher @ freenet.de

Oggetto: Auf nach Wien!

Data: 02 febbraio 2011 22.31.07 GMT+01.00


Liebe Leute,

am 11. März 2011 jährt sich der Todestag von Slobodan Milosevic zum 
fünften Mal.
Zur Klärung seiner Todesumstände wurde lediglich ein 
„interner Untersuchungsausschuss“ des Haager Tribunals (ICTY) 
eingesetzt, der im sogenannten „Parker-Report“ das ICTY entlastet 
und Präsident Milosevic die Schuld an seinem Tod zuschreibt. 
Slobodan Milosevic wurde nicht nur die adäquate medizinische 
Versorgung verwehrt, die er wiederholt beantragte, sondern auch die 
Ursache seines Todes wurde nicht transparent und unparteiisch 
untersucht. Die von der Witwe Mira Markovic und dem ICDSM angestrebte 
juristische Auseinandersetzung zur Aufklärung der Todesumstände wird 
durch Verzögerungen und Unzuständigkeiten erheblich behindert. 

Dazu dürfen wir angesichts des 5.Todestags nicht schweigen! Es gilt, 
die Verantwortlichen für den Tod von Präsident Milosevic endlich 
ausfindig zu machen! Wir fordern die Schließung des illegalen Tribunals 
und treten ein für die konsequente Verteidigung des Völkerrechts! 

In diesem Sinne rufen wir dazu auf, an einer internationalen 
Protestaktion in Wien teilzunehmen!

Am Freitag, den 11. März 2011 wird zunächst am Vormittag der 
Vertretung  der Vereinten Nationen in Wien eine Protestnote überreicht. 
Anschließend findet von 16.30 Uhr bis 19.00 Uhr auf dem Stephansplatz 
in der Wiener Innenstadt die Kundgebung „Serbien: NATO-Krieg und 
Siegerjustiz – das Völkerrecht verteidigen!“ statt. Internationale 
Redner werden auftreten. Christopher Black wird als Anwalt der Witwe 
vom Skandal um die Aufklärung der Todesstände von Slobodan Milosevic 
berichten. Über den Milosevic-Fall hinaus wird das verbrecherische 
Handeln der NATO-gesteuerten Tribunale dargelegt. Angehörige und 
Rechtsanwälte anderer vor dem ICTY Angeklagter sind eingeladen, einen 
Redebeitrag zu halten. Auch die desaströse politische und soziale Lage 
im von der EU und den USA  dominierten Serbien nach Milosevic wird
thematisiert werden.

Am Samstag, den 12. März 2011 laden wir dann um voraussichtlich 18:00 
zu einer Vortragsveranstaltung zum gleichen Themenkomplex ein. 
Den Ort und die Rednerliste werden wir noch bekannt geben. 

Bitte beachtet, dass wir nicht mehr das Konto beim Verein für 
kulturelle Selbstbestimmung bei der Sparkasse Starkenburg benutzen, 
da wir wieder ein eigenes Konto eröffnen konnten. Die neuen 
Kontoangaben für Deutschland und EU-Länder lauten: 

Vereinigung für Internationale
Solidarität (VIS) e.V. 
Sparkasse KölnBonn
Kto: 1929920104
BLZ: 370 501 98
Kennwort: Aufklärung 

Für Spender aus EU-Mitgliedsländern:
BIC (SWIFT): COLSDE33
IBAN: DE74 3705 0198 1929 9201 04 

Auf Spenden sind wir angewiesen. Nur so kann die juristische 
Aufklärung der Todesumstände von Slobodan Milosevic weitergehen. 
Auch um der Aktion in Wien die notwendige Schlagkraft zu verleihen 
sind wir auf Unterstützung angewiesen. Es werden Kosten für die 
Organisation und Reisekosten für internationale Redner anfallen. 
Darüber hinaus soll in Wien auch über andere Fälle am Haager 
Tribunal berichtet werden. Vor allem Angehörige von Angeklagten 
können sich die Reisekosten nach Wien nicht leisten. Wir finden es 
jedoch wichtig, dass auch ihnen endlich Gehör verschafft wird.

Jede Spende ist ein Beitrag zur
Verteidigung des Völkerrechts!

Weiterverbreitung wie immer erwünscht!

Mit solidarischen Grüßen

Peter Betscher 
Vereinigung für Internationale
Solidariät (VIS) e.V.

Cathrin Schütz
Internationales Komitee Slobodan Milosevic – 
Nationale Souveränität und Soziale Gerechtigkeit

www.free-slobo.de





Parma 10-12-13 febbraio 2011

iniziative sul "Giorno del Ricordo"


Giovedì 10 febbraio dalle 17
presidio in piazzale della Pace attorno al monumento al Partigiano

Sabato 12 febbraio pomeriggio dalle 16.30
al cinema 'Astra' (p.le Volta)
sesta edizione della manifestazione antifascista 'Foibe e fascismo'
- relazioni di Umberto Lorenzoni, partigiano e presidente dell'A.N.P.I. di Treviso, e Vladimir Kapuralin, resp. Relazioni Internaz. del SRP di Croazia
- filmato sul campo di concentramento fascista di Gonars (Udine)

Domenica 13 febbraio alle 11
presidio nel largo dedicato a Tito, simbolo della Resistenza jugoslava


---


Lecce 10 febbraio 2011

ore 18, presso Società Operaia, C.so Vittorio Emanuele 56

Il Giorno del Ricordo per la Pace tra i popoli

introduzione: M. Nocera (segr. prov. ANPI)
A. Isoni: "Memoria e ricordo nell'esperienza costituzionale italiana"
M. Delle Rose: "Sull'uso politico della questione delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata"
F. Primiceri: "Il Vaticano e la dittatura ustascia in Croazia, 1941-1945"


scarica la locandinahttps://www.cnj.it/INIZIATIVE/volantini/lecce100211.pdf




Greater Albania: NATO's Dirty Work in the Balkans

1) NEWS:
- Balkans: 'Most Kosovo Albanians favour unification with Albania' 
- Report reignites Kosovo organ trafficking claim 
- NATO saw Kosovo's Thaci as "big fish" in crime
- Report identifies Hashim Thaci as 'big fish' in organised crime
- NATO troops ‘should have probed organ claims in Kosovo’
- “Shot-down pilot” Hashim Thaci
- Daily: Marty requests answers from EULEX 

2) Kosovo and Albania: Dirty Work in the Balkans: NATO’s KLA Frankenstein
By Tom Burghardt (Global Research / Antifascist Calling)


=== 1 ===

http://www.adnkronos.com/AKI/English/Politics/?id=3.1.1274057015

ADN Kronos International - January 18, 2011

Balkans: 'Most Kosovo Albanians favour unification with Albania' 

Belgrade: An an overwhelming majority of Kosovo Albanians - 81 percent - favour unification with neighbouring Albania, according to an international survey published on Thursday.
A total of 48.8 per cent of Albanians in Kosovo and 41.8 in Macedonia believe unification could take place soon. 
In Albania, support for unification has fallen to 62.8 pe cent from 68 percent last year.
The survey findings came less than three years after Kosovo's ethnic Albanian majority declared independence from Serbia. 
The survey, conducted by Gallup Balkan Monitor, also showed that 51.9 percent of ethnic Albanians in Macedonia favoured unification within a so-called “Greater Albania” that would also contain Kosovo and Albania. 
Ethnic Albanians make 25 percent of Macedonia’s two million population and enjoy considerable autonomy in the western part of the country, bordering Albania. 
Kosovo's approximately two million Albanians make up 90 percent of the population, which comprises just 100,000 remaining Serbs.
Majority Albanians declared independence in February 2008, with the support of western powers, on the condition that Kosovo can’t form a union with any other country.
Serbia opposes Kosovo independence and 71.2 percent of Serbs would rather forsake European Union membership than renounce Kosovo, according to the survey. 

---

http://www.bbc.co.uk/news/world-europe-12269829

BBC News - January 24, 2011

Report reignites Kosovo organ trafficking claim 

By Mark Lowen


Silvana Marinkovic clasps the faded photograph of her husband, Goran; the contours of his face now barely visible. 
"He was 26 here," she says. "19 June 1999. The last time I saw him before he was taken."
For over a decade Ms Marinkovic has come twice weekly to a cramped office near the Kosovan capital Pristina.
There, she and other relatives of Kosovan Serbs who disappeared after the war discuss the hunt for their loved ones.
Almost 2,000 ethnic Serbs and Albanians are still missing from the conflict in Kosovo.
"He was kidnapped," she tells me. "It's so hard to think of it. I don't know where he was taken, but I still pray I'll find him alive."
The fate of some lay a few hours' drive away, according to the human rights watchdog, the Council of Europe.
Its rapporteur, the Swiss senator Dick Marty, published a report last month, alleging that members of the ethnic Albanian separatist group, the Kosovo Liberation Army (KLA), took prisoners to detention camps in Albania in the months following the war against the Serbs.

'Yellow house'

In a makeshift clinic in the town of Fushe-Kruje, near the Albanian capital, some are said to have been killed and their organs removed to be sold on the international market.
On Tuesday, the Parliamentary Assembly of the Council of Europe will debate the findings and vote on a resolution based on the draft report.
That could prompt calls for a fresh investigation.
Allegations of organ trafficking from the Kosovan war have been present for some years.
They previously centred on a building nicknamed the "yellow house" near the Albanian town of Burrel, where kidneys of captured Serbs were said to have been removed.
But after successive investigations ended without prosecutions, many believed the case would be dropped.
Now the Marty report has reawakened those claims, focusing for the first time on Fushe-Kruje.
The building mentioned in the report is described, though its exact location not disclosed.
I travelled to a crumbling house near the town that matches the description. 
Local media say it could be the building mentioned since Kosovan Albanian refugees lived here during the war.
Hidden up a stony track, the deserted shell is choked by thick brambles. The window frames are empty, doors removed and even the light fittings ripped out. Old shoes and empty bottles are strewn across the rotting floors.
There is nothing to suggest that it housed an operational organ clinic, but then it is totally derelict.
....
The Marty report claims that witnesses were silenced and paid off by members of the Drenica Group, a faction within the KLA, whose members allegedly carried out the organ trafficking, as well as heroin smuggling and assassinations.
Its leader is named as Hashim Thaci: then the KLA's political chief, now Kosovo's Prime Minister, described by intelligence sources as being "the most dangerous of the KLA's 'criminal bosses'". 
Mr Thaci was backed by western powers from the late 1990s, through Nato's bombing campaign to support the KLA and drive the Serbs out of Kosovo.
That support is heavily criticised in the report as fostering a one-sided view of the conflict, with Serbs seen as the aggressors and Kosovan Albanians as the victims. 
....
Just outside Pristina lies a gated cemetery to fallen members of the KLA, with each grave decorated by an Albanian flag.
Across Kosovo, the men are seen as heroes of the liberation struggle, martyrs for the Albanian cause.
But an uncomfortable light has now been shone of the other side of that fight and on what may have happened back in 1999 in the KLA's name.

---

http://in.reuters.com/article/idINIndia-54376220110125

Reuters - January 24, 2011

NATO saw Kosovo's Thaci as "big fish" in crime

LONDON: Western powers backing Kosovo's government considered its prime minister one of the country's "biggest fish" in organised crime, Britain's Guardian newspaper reported on Tuesday, citing leaked NATO military cables.
The newspaper said the documents, produced by NATO's peace-keeping force in Kosovo, also described Xhavit Haliti, a senior ruling politician and a close ally of Hashim Thaci, as having links to the Albanian mafia.
The newspaper quoted a Kosovo government spokesman as dismissing the allegations in the leaked documents.
"These are allegations that have circulated for over a decade... They are based on hearsay and intentional false Serbian intelligence," the spokesman said.
In the military reports, produced "around 2004," Haliti is described as "the power behind Hashim Thaci" and "highly involved in prostitution, weapons and drugs smuggling."
The newspaper did not say how the secret military cables had been leaked. Its report did not elaborate in detail on accusations against Thaci contained in the cables.
Allegations of Thaci's involvement in organised crime were contained in a report published last month by Dick Marty, a Council of Europe rapporteur.
The report by Marty, a Swiss senator, alleged that Thaci ran an organised crime ring during and after the Kosovo Albanian guerrilla war for independence from Serbia in the late 1990s.
Marty said Thaci's group killed opponents and trafficked in drugs and organs taken from murdered Serbs. The Kosovo government rejected that report as baseless and "slanderous."

---

http://www.guardian.co.uk/world/2011/jan/24/hashim-thaci-kosovo-organised-crime

The Guardian - January 24, 2011

Report identifies Hashim Thaci as 'big fish' in organised crime
Kosovo's prime minister accused of criminal connections in secret Nato documents leaked to the Guardian

Paul Lewis

Kosovo's prime minister, Hashim Thaçi, has been identified as one of the "biggest fish" in organised crime in his country, according to western military intelligence reports leaked to the Guardian.
The Nato documents, which are marked "Secret", indicate that the US and other western powers backing Kosovo's government have had extensive knowledge of its criminal connections for several years.
They also identify another senior ruling politician in Kosovo as having links to the Albanian mafia, stating that he exerts considerable control over Thaçi, a former guerrilla leader.
Marked "USA KFOR", they provide detailed information about organised criminal networks in Kosovo based on reports by western intelligence agencies and informants. The geographical spread of Kosovo's criminal gangs is set out, alongside details of alleged familial and business links.
The Council of Europe is tomorrow expected to formally demand an investigation into claims that Thaçi was the head of a "mafia-like" network responsible for smuggling weapons, drugs and human organs during and after the 1998-99 Kosovo war.
The organ trafficking allegations were contained in an official inquiry published last month by the human rights rapporteur Dick Marty.
His report accused Thaçi and several other senior figures who operated in the Kosovo Liberation Army (KLA) of links to organised crime, prompting a major diplomatic crisis when it was leaked to the Guardian last month.
The report also named Thaçi as having exerted "violent control" over the heroin trade, and appeared to confirm concerns that after the conflict with Serbia ended, his inner circle oversaw a gang that murdered Serb captives to sell their kidneys on the black market.
The Council's of Europe's parliamentary assembly in Strasbourg will debate Marty's findings and vote on a resolution calling for criminal investigations. The vote is widely expected to be passed.
Kosovo functioned as a UN protectorate from the end of the Kosovo war until 2008, when it formally declared independence from Serbia.
Thaçi, who was re-elected prime minister last month, has been strongly backed by Nato powers. His government has dismissed the Marty report as part of a Serbian and Russian conspiracy to destabilise the fledgling state.
However, the latest leaked documents were produced by KFOR, the Nato-led peacekeeping force responsible for security in Kosovo. It was KFOR military forces that intervened in the Kosovo war in 1999, helping to put an end to a campaign of ethnic cleansing by Slobodan Milosevic's Serbian forces.
Nato said in a statement tonight that it had instigated an "internal investigation" into the leaked documents, which are intelligence assessments produced around 2004, shortly before tensions with ethnic Serbs fuelled riots in Kosovo.
In the documents, Thaçi is identified as one of a triumvirate of "biggest fish" in organised criminal circles. So too is Xhavit Haliti, a former head of logistics for the KLA who is now a close ally of the prime minister and a senior parliamentarian in his ruling PDK party. Haliti is expected to be among Kosovo's official delegation to Strasbourg tomorrow and has played a leading role in seeking to undermine the Marty report in public.
However, the Nato intelligence reports suggest that behind his role as a prominent politician, Haliti is also a senior organised criminal who carries a Czech 9mm pistol and holds considerable sway over the prime minister.
Describing him as "the power behind Hashim Thaçi", one report states that Haliti has strong ties with the Albanian mafia and Kosovo's secret service, known as KShiK. It suggests that Haliti "more or less ran" a fund for the Kosovo war in the late 1990s, profiting from the fund personally before the money dried up. "As a result, Haliti turned to organised crime on a grand scale," the reports state.
They state that he is "highly involved in prostitution, weapons and drugs smuggling" and used a hotel in the capital, Pristina, as an operational base. Haliti also serves as a political and financial adviser to the prime minister but, according to the documents, is arguably "the real boss" in the relationship. Haliti uses a fake passport to travel abroad because he is black-listed in several countries, including the US, one report states.
Haliti is linked to the alleged intimidation of political opponents in Kosovo and two suspected murders dating back to the late 1990s, when KLA infighting is said to have resulted in numerous killings.
One was a political adversary who was found "dead by the Kosovo border", apparently following a dispute with Haliti. A description of the other suspected murder – of a young journalist in Tirana, the Albanian capital – also contains a reference to the prime minister by name, but does not ascribe blame.
Citing US and Nato intelligence, the entry states Haliti is "linked" the grisly murder, going on to state: "Ali Uka, a reporter in Tirana, who supported the independence movement but criticised it in print. Uka was brutally disfigured with a bottle and screwdriver in 1997. His roommate at the time was Hashim Thaçi."
Haliti is also named in the report by Marty, which is understood to have drawn on Nato intelligence assessments along with reports from the FBI and MI5.
Marty's report includes Haliti among a list of close allies of Thaçi said to have ordered – and in some cases personally overseen – "assassinations, detentions, beatings and interrogations" during and immediately after the war.
Haliti was unavailable for comment. However, in an interview with the media outlet Balkan Insight last week he dismissed the Marty report as "political" and designed to "discredit the KLA". "I was not surprised by the report. I have followed this issue for years and the content of the report is political," he said.
But he accepted that the Council of Europe was likely to pass a resolution triggering investigations by the EU-backed justice mission in the country, known as EULEX.
"I think it's a competent investigating body," he said, "It's a European investigation body. I think that there is no possibility that EULEX investigation unit to be affected by Kosovo or Albanian politics."
Responding to the allegations in the NATO intelligence reports tonight, a Kosovo government spokesman said: "These are allegations that have circulated for over a decade, most recently recycled in the Dick Marty report. They are based on hearsay and intentional false Serbian intelligence.
"Nevertheless, the prime minister has called for an investigation by EULEX and has repeatedly pledged his full cooperation to law enforcement authorities on these scandalous and slanderous allegations.
"The government of Kosovo continues to support the strengthening of the rule of law in Kosovo, and we look forward to the cooperation of our international partners in ensuring that criminality has no place in Kosovo's development."

Road to Strasbourg

It has taken more than two years for an inquiry into organ trafficking in Kosovo to reach the Palace of Europe, a grand building in Strasbourg that serves as the headquarters of the Council of Europe.
The formal inquiry into organ trafficking in Kosovo was prompted by revelations by the former chief war crimes prosecutor at The Hague, Carla Del Ponte, who said she had been prevented from properly investigating alleged atrocities committed by the Kosovo Liberation Army.
Her most shocking disclosure – unconfirmed reports the KLA killed captives for their organs – prompted the formal inquiry by human rights rapporteur Dick Marty.
His report, published last month, suggested there was evidence that KLA commanders smuggled captives across the border into Kosovo and harvested the organs of a "handful" of Serbs.
His findings, which will be subject to a parliamentary assembly vote tomorrow, went further, accusing Kosovo's prime minister and several other senior figures of involvement in organised crime over the last decade.

---

http://www.euronews.net/2011/01/25/nato-troops-should-have-probed-organ-claims-in-kosovo

euronews - January 25, 2011

Council of Europe
NATO troops ‘should have probed organ claims in Kosovo’

A yellow painted house in northern Albania has become linked with gruesome allegations of atrocities during Kosovo’s struggle for independence in the mid 1990s. It is alleged to be where the organs of murdered Kosovan Serbs were harvested before being sold on.
That is just one of the many allegations made in memoirs by the former war crimes prosecutor at The Hague, Carla del Ponte. Her claims along with others are at the centre of a Council of Europe report pointing the finger of blame at Kosovo’s current prime minister, Hashim Thaci.
It is estimated almost 500 people disappeared in Kosovo after NATO troops arrived to keep the peace in the war torn province.
The report cites evidence that a network of bases was maintained by the Kosovan Liberation Army to keep scores of captives before killing them. It said NATO troops should have investigated.
Several people have been implicated in the racket including Yusuf Sonmez, dubbed the “Frankenstein Turk” by the media. He was arrested but then released due to lack of evidence.
....

VIDEO: http://www.euronews.net/2011/01/25/nato-troops-should-have-probed-organ-claims-in-kosovo

---

http://english.ruvr.ru/2011/02/01/42383713.html

RT - February 1, 2011

“Shot-down pilot” Hashim Thaci

Timur Blokhin 

The notorious report on human organ trafficking and other atrocities committed by Kosovo’s leadership, which was recently submitted to the PACE by Swiss Senator Dick Marty, is shocking not only as far as its content is concerned. The fact is that two or three years ago it was hard to imagine that information to that effect may ever be proclaimed at such a high level to ultimately result in a large-scale investigation. 
Now we witness the gradual destruction of the black-and-white stereotype saying that the malicious Serbs were burning Albanian corpses in the furnaces of a mining-and-processing factory in the course of the late 90s’ conflict, while Kosovo Albanians were fiercely fighting for liberty and justice. 
Member of the Russian delegation to the PACE Nikolay Shaklein, who attended the discussion of Dick Marty’s report in Strasbourg, says the document reveals an entirely new picture: 
“The facts stated in Dick Marty’s report provide good reason for a searching inquiry. There is no doubt of the Swiss senator’s proficiency and impartiality. Many are obviously displeased with the report - especially those who tried to justify Kosovo Albanians and are now compelled to admit that they were wrong. 
"It is difficult to guarantee the credibility of the investigation, but we nevertheless hope that the process will involve various international structures, including the International Criminal Tribunal for the Former Yugoslavia, and members of the Council of Europe will be impersonal and accurate when responding to requests of investigation agencies.”
In general, the image of Kosovo’s authorities suffered much damage, Nikolay Shaklein believes.
“The political aftermath of the report is tangible even today. I think this report will find its way into the minds of all those who will set their hands to assess the situation in the Balkans, as well as relations within the region. I believe experts worldwide will less frequently take a unilateral approach to the Balkan issue.”
The main “victim” of Dick Marty’s report is certainly Kosovo Prime Minister Hashim Thaci himself. Extensive evidence shows that the bottom is falling out for him right now. Let’s see what accompanied the PACE session.
US Ambassador to Pristina Christopher Dell said the new Kosovo government should not comprise those convicted or under prosecution. Although the discreet diplomat did not mention the name of the prime minister, the country’s Democratic Party hastened to assure everyone that their leader will retain his post. 
A coincidence or not, Hashim Thaci almost immediately lost one of his pre-election trump cards. The prime minster pledged a nearly 50 percent pay raise for separate categories of citizens at the expense of another loan from the International Monetary Fund. But, according to Kosovo’s Zeri newspaper, Washington, which did not seem to be overwhelmed with enthusiasm over this decision, will probably allocate no funds this time. Thus, instead of the promised wage increase, the voters may face a hole in the budget, given Kosovo’s total dependence on foreign investments.
Europe is ready to welcome Hashim Thaci in the capacity of a criminal defendant, but all will depend on how influential the Kosovo prime minister’s patrons are, director of the Contemporary Balkan Crisis Studying Center Yelena Guskova said.
“The US has to adjust to the situation. It is interested in the enclave’s worldwide recognition, as well as the Bondsteel military base’s steady position and the region’s ongoing weapon and drug trafficking. Washington is not going to hold onto Hashim Thaci and will most probably agree to some changes on the Kosovo political Olympus and in the structure, provided that most of the international institutions recognize the region’s independence.”

---

http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2011&mm=02&dd=05&nav_id=72549

Politika - February 5, 2011

Daily: Marty requests answers from EULEX 

BELGRADE: Council of Europe Rapporteur Dick Marty has requested answers regarding preliminary investigation into organ trafficking from EULEX, daily Politika writes. 
“EULEX has a legal basis for the investigation, it is party based on the old and partly on new laws in Kosovo. A EULEX investigator was in Albania and he was told there that they would cooperate in the investigation,” daily’s source said. 
EULEX Spokeswoman Irina Gudeljević stressed that EULEX had already investigated the alleged crimes outside Kosovo. 
“An indictment has been confirmed for possible abuse of persons who were kept in KLA (Kosovo Liberation Army) facilities in northern Albania during conflict from 1998 until 1999 which was investigated and raised by EULEX prosecutors. Sabit Geci and Riza Alija are awaiting trial for alleged crimes committed in KLA facilities in Kukes and Cahan,” she told the daily. 
Ministry for Kosovo State Secretary Oliver Ivanović claims that EULEX cannot conduct the investigation in Albania and says that Geci and Alija are investigated for crimes that were committed in Kosovo.  


Kosovo and Albania: Dirty Work in the Balkans: NATO’s KLA Frankenstein

By Tom Burghardt

Global Research, January 30, 2011
Antfascist Calling - 2011-01-28

The U.S. and German-installed leadership of Kosovo finds itself under siege after the Council of Europe voted Tuesday to endorse a report charging senior members of the Kosovo Liberation Army (KLA) of controlling a brisk trade in human organs, sex slaves and narcotics.

Coming on the heels of a retrial later this year of KLA commander and former Prime Minister, Ramush Haradinaj, by the International Criminal Tribunal for the Former Yugoslavia (ICTY) in The Hague, an enormous can of worms is about to burst open.

Last month, Antifascist Calling reported that Hashim Thaçi, the current Prime Minister of the breakaway Serb province, and other members of the self-styled Drenica Group, were accused by Council of Europe investigators of running a virtual mafia state.

According to Swiss parliamentarian Dick Marty, the Council’s Special Rapporteur for Human Rights, Thaçi, Dr. Shaip Muja, and other leading members of the government directed–and profited from–an international criminal enterprise whose tentacles spread across Europe into Israel, Turkey and South Africa.

For his part, Thaçi has repudiated the allegations and has threatened to sue Marty for libel. Sali Berisha, Albania’s current Prime Minister and Thaçi’s close ally, dismissed the investigation as a “completely racist and defamatory report,” according to The New York Times.

That’s rather rich coming from a politician who held office during the systematic looting of Albania’s impoverished people during the “economic liberalization” of the 1990s.

At the time, Berisha’s Democratic Party government urged Albanians to invest in dodgy pyramid funds, massive Ponzi schemes that were little more than fronts for drug money laundering and arms trafficking.

More than a decade ago, Global Research analyst Michel Chossudovsky documented how the largest fund, “VEFA Holdings had been set up by the Guegue ‘families’ of Northern Albania with the support of Western banking interests,” even though the fund “was under investigation in Italy in 1997 for its ties to the Mafia which allegedly used VEFA to launder large amounts of dirty money.”

By 1997, two-thirds of the Albanian population who believed fairy tales of capitalist prosperity spun by their kleptocratic leaders and the IMF, lost some $1.2 billion to the well-connected fraudsters. When the full extent of the crisis reached critical mass, it sparked an armed revolt that was only suppressed after the UN Security Council deployed some 7,000 NATO troops that occupied the country; more than 2,000 people were killed.

Today the Berisha regime, like their junior partners in Pristina, face a new legitimacy crisis.

As the World Socialist Web Site reported, mass protests broke out in Tirana last week, with more than 20,000 demonstrators taking to the streets, after a nationally broadcast report showed a Deputy Prime Minister from Berisha’s party “in secretly taped talks, openly negotiating the level of bribes to back the construction of a new hydroelectric power station.”

As is the wont of gangster states everywhere, “police responded with extreme violence against the demonstrators; three people died and dozens were injured.”

While the charges against Thaçi and his confederates are shocking, evidence that these horrific crimes have been known for years, and suppressed, both by the United Nations Interim Administration in Kosovo (UNMIK) and by top American and German officials–the political mandarins pulling Balkan strings–lend weight to suspicions that a protective wall was built around their protégés; facts borne out by subsequent NATO investigations, also suppressed.

Leaked Military Intelligence Reports

On Monday, a series of NATO reports were leaked to The Guardian. Military intelligence officials, according to investigative journalist Paul Lewis, identified Kosovo Prime Minister Hashim Thaçi as one of the “‘biggest fish’ in organised crime in his country.”

Marked “Secret” by NATO spooks, Lewis disclosed that the 2004 reports also “indicate that the US and other western powers backing Kosovo’s government have had extensive knowledge of its criminal connections for several years.”

According to The Guardian, the files, tagged “‘USA KFOR’ … provide detailed information about organised criminal networks in Kosovo based on reports by western intelligence agencies and informants,” and also “identify another senior ruling politician in Kosovo as having links to the Albanian mafia, stating that he exerts considerable control over Thaçi, a former guerrilla leader.”

As noted above, with the Council of Europe demanding a formal investigation into charges that Thaçi’s criminal enterprise presided over a grisly traffic in human organs and exerted “violent control” over the heroin trade, it appears that the American and German-backed narco statelet is in for a very rough ride.

In the NATO reports, The Guardian revealed that Thaçi “is identified as one of a triumvirate of ‘biggest fish’ in organised criminal circles.”

“So too,” Lewis writes, “is Xhavit Haliti, a former head of logistics for the KLA who is now a close ally of the prime minister and a senior parliamentarian in his ruling PDK party.”

The reports suggest “that behind his role as a prominent politician, Haliti is also a senior organised criminal who carries a Czech 9mm pistol and holds considerable sway over the prime minister.”

Described as “‘the power behind Hashim Thaçi’, one report states that Haliti has strong ties with the Albanian mafia and Kosovo’s secret service, known as KShiK.”

The former KLA logistics specialist, according to The Guardian, suggest that Haliti “‘more or less ran’ a fund for the Kosovo war in the late 1990s, profiting from the fund personally before the money dried up. ‘As a result, Haliti turned to organised crime on a grand scale,’ the reports state’.”

Such information was long known in Western intelligence and political circles, especially amongst secret state agencies such as the American CIA, DEA and FBI, Germany’s Bundesnachrichtendienst, or BND, Britain’s MI6 and Italy’s military-intelligence service, SISMI, as Marty disclosed last month.

In 1994 for example, The New York Times reported that the Observatoire Géopolitique des Drogues released a report documenting that “Albanian groups in Macedonia and Kosovo Province in Serbia are trading heroin for large quantities of weapons for use in a brewing conflict in Kosovo.”

According to the Times, “Albanian traffickers were supplied with heroin and weapons by mafia-like groups in Georgia and Armenia. The Albanians then pay for the supplies by reselling the heroin in the West.”

A year later, Jane’s Intelligence Review reported that “if left unchecked … Albanian narco-terrorism could lead to a Colombian syndrome in the southern Balkans, or the emergence of a situation in which the Albanian mafia becomes powerful enough to control one or more states in the region.”

Following NATO’s 1999 bombing campaign that completed the sought-after break-up of Yugoslavia, that situation came to pass; Kosovo has since metastasized into a key link in the international narcotics supply chain.

NATO spooks averred that Haliti is “highly involved in prostitution, weapons and drugs smuggling” and that he serves as Thaçi’s chief “political and financial adviser,” and, according to the documents, he is arguably “the real boss” in the relationship.

Like Haradinaj, Haliti “is linked to the alleged intimidation of political opponents in Kosovo and two suspected murders dating back to the late 1990s, when KLA infighting is said to have resulted in numerous killings,” Lewis reports.

In 2008, Haradinaj and Idriz Balaj were acquitted by the U.S.-sponsored ICTY “victors tribunal” of charges of war crimes and crimes against humanity. Lahi Brahimaj, Haradinaj’s uncle, was sentenced to six years’ imprisonment for the torture of two people at KLA headquarters.

A retrial was ordered last summer after evidence emerged that Haradinaj, long-suspected of running a parallel organized crime ring to Thaçi’s that also trafficked arms, drugs and sexual slaves across Europe, a fact long-known–and similarly suppressed–by the mafia state’s closest allies, Germany and the United States, may have intimidated witnesses who had agreed to testify against his faction of the KLA leadership.

A former nightclub bouncer who morphed into a “freedom fighter” during the 1990s, Haradinaj has been accused by prosecutors of crimes committed between March and September 1998 in the Dukagjin area of western Kosovo.

According to The Guardian, “Haradinaj was a commander of the KLA in Dukagjin, Balaj was the commander of the Black Eagles unit within the KLA, and Brahimaj a KLA member stationed in the force’s headquarters in the town of Jablanica.”

The appeals court ruled that “in the context of the serious witness intimidation that formed the context of the trial, it was clear that the trial chamber seriously erred in failing to take adequate measures to secure the testimony of certain witnesses.”

The indictment charges that the KLA “persecuted and abducted civilians thought to be collaborating with Serbian forces in the Dukagjin area and that Haradinaj, Balaj, and Brahimaj were responsible for abduction, murder, torture and ethnic cleansing of Serbs, Roma and fellow Albanians through a joint criminal enterprise, including the murder of 39 people whose bodies were retrieved from a lake,” The Guardian disclosed.

But in a case that demonstrates the cosy relations amongst KLA leaders and their Western puppetmasters despite, or possibly because of their links to organized crime, German Foreign Policy revealed that “high ranking UN officials helped intimidate witnesses due to testify in The Hague against Haradinaj.”

This charge was echoed by Special Rapporteur Dick Marty. He told Center for Investigative Reporting journalists Michael Montgomery and Altin Raxhimi, who broke the Kosovo organ trafficking story two years ago, that his investigation “could be hindered by witness safety and other security concerns.”

“If, as a witness, you do not have complete assurance that your statements will be kept confidential, and that as a witness you are truly protected, clearly you won’t talk to these institutions,” Marty said.

Such problems are compounded when the leading lights overseeing Kosovo’s administration, Germany and the United States, have every reason to scuttle any credible investigation into the crimes of their clients, particularly when a serious probe would reveal their own complicity.

Eyes Wide Shut

The Haradinaj cover-up is just the tip of the proverbial iceberg.

According to German Foreign Policy, “the structures of organized crime in Kosovo, in which Haradinaj is said to play an important role, extend all the way to Germany. It is being reported that German government authorities prevented investigations of Kosovo Albanians residing in Germany.”

Investigative journalist Boris Kanzleiter told the left-leaning online magazine that the UN administration in Kosovo (UNMIK) and its newest iteration, the European Rule of Law Mission in Kosovo (EULEX) “maintains very close ties to Haradinaj.”

The former head of UNMIK, Sören Jessen-Petersen, referred to him as a “close partner and friend.” Kanzleiter said that “Jessen-Petersen’s successor, the German diplomat, Joachim Ruecker, also has a close relationship to him.”

Kanzleiter told the journal, “accusations were made that high-ranking UNMIK functionaries were directly involved in the intimidation of witnesses.”

These reports should be taken seriously, especially in light of allegations that even before Haradinaj’s first trial, a witness against the former Prime Minister was killed in what was then described as “an unsolved auto accident.”

“Back in 2002,” German Foreign Policy reported, “three witnesses and two investigating officials were assassinated in the context of the trial against Haradinaj’s clan.”

Similar to the modus operandi of Thaçi’s enterprise, the newsmagazine reported that the BND had concluded that Haradinaj’s “network of [drugs and arms] smugglers were operating ‘throughout the Balkans’, extending ‘into Greece, Italy, Switzerland and all the way to Germany’.”

Not that any of this mattered to Germany or the United States. German Foreign Policy also reported that despite overwhelming evidence of KLA links to the global drugs trade, political circles in Berlin vetoed official investigations into KLA narcotics trafficking.

In 2005 “the State Offices of Criminal Investigation of Bavaria and Lower Saxony tried to convince the Federal Office of Criminal Investigation to open a centralized investigation concerning the known [Kosovo-Albanian] clans and individuals in Germany” because “many criminal culprits from the entourage of the KLA have settled in Germany.”

The author noted “this demand was refused.” Indeed, “even though the Austrian Federal Office of Investigation and the Italian police strongly insisted that their German colleagues finally initiate these investigations, the rejection … according to a confidential source in the Austrian Federal Office of Criminal Investigation, came straight from the Interior Ministry in Berlin.”

As we have since learned, Haliti and other top KLA officials have also been linked to organized crime in Marty’s report. The human rights Rapporteur accused Haliti, like Haradinaj, of having ordered “assassinations, detentions, beatings and interrogations” of those who ran afoul of Thaçi’s underworld associates.

In 2009, German Foreign Policy reported yet another “new scandal” threatened to upset the apple cart. “A former agent of the Kosovo intelligence service explained that a close associate of Kosovo’s incumbent Prime Minister, Hashim Thaçi, had commissioned the assassinations of political opponents.”

“The newest mafia scandal involving Pristina’s secessionist regime was set in motion by the former secret agent Nazim Bllaca,” the magazine disclosed.

According to the publication, “Bllaca alleges that he had been in the employ of the secret service, SHIK, since the end of the war waged against Yugoslavia in 1999 by NATO and the troops of Kosovo’s terrorist UCK [KLA] militia.”

The former secret state agent claimed “he had personally committed 17 crimes in the course of his SHIK activities, including extortion, assassination, assaults, torture and serving as a contract killer.”

Marty told the Center for Investigative Reporting that “Bllaca’s experience did not bode well for other insiders who are considering cooperating with the authorities.” EULEX officials only placed Bllaca under protective custody a week after he went public with his allegations, in what could only be described as an open-ended invitation for an assassin’s bullet.

Despite such revelations, diplomatic cables unearthed by WikiLeaks show that the U.S. Embassy views their Frankenstein creations in an entirely favorable light.

A Cablegate file dated 02-17-10, “Kosovo Celebrates Second Anniversary with Successes and Challenges,” 10PRISTINA84, informs us that “two years have seen political stability that has allowed the country to create legitimate new institutions,” but that the narco state “must use its string of economic reforms and privatizations as a springboard to motivate private-sector growth.”

Such as auctioning-off the Trepca mining complex at fire-sale prices. As The New York Times reported back in 1998, the Trepca mines are “the most valuable piece of real estate in the Balkans, worth at least $5 billion.”

Summing up the reasons for NATO’s war, one mine director told Times’ reporter Chris Hedges: “The war in Kosovo is about the mines, nothing else. This is Serbia’s Kuwait–the heart of Kosovo. We export to France, Switzerland, Greece, Sweden, the Czech Republic, Russia and Belgium.

“We export to a firm in New York, but I would prefer not to name it. And in addition to all this Kosovo has 17 billion tons of coal reserves. Naturally, the Albanians want all this for themselves.”

Judging by the flood of heroin reaching European and North American “markets,” one can only conclude that if fleets of armored Mercedes and BMWs prowling Pristina streets are a growth metric then by all means, America and Germany’s “nation building” enterprise has been a real achievement!

In light of reports of widespread criminality that would make a Wall Street hedge fund manager blush, we’re told by the U.S. Embassy that the Thaçi government “must prioritize the rule of law and the fight against corruption.”

Laying it on thick, despite damning intelligence reports by their own secret services, the Embassy avers that “Kosovo’s independence has been a success story.” Indeed, “the international community and the Kosovars, themselves, can feel good about the positive steps that have occurred over the past two years.”

That is, if one closes one’s eyes when stepping over the corpses.


(Copyright Tom Burghardt, Antfascist Calling, 2011)




Walter Peruzzi e Gianluca Paciucci
SVASTICA VERDE. Il lato oscuro del Va’ pensiero leghista
Roma, Editori Riuniti 2011 (euro 15,00)

---


E’ in libreria SVASTICA VERDE. Il lato oscuro del Va’ pensiero leghista, di Walter Peruzzi e Gianluca Paciucci, Roma 2011, Editori Riuniti, euro 15,00.

Di questo libro, costruito partendo dalle puntate de Il catto-razzismo, antologia sulla Lega Nord, postate nei mesi scorsi su questo sito, riporto l’introduzione e l’indice.


Introduzione


Insieme alla Lega è cresciuta, in questi anni, la letteratura sull’argomento: il dibattito si è arricchito di analisi e saggi, spesso pregevoli, sulle origini del movimento leghista, sulla sua storia e le sue svolte. Sui fattori di disagio o di crisi che il Carroccio ha sfruttato per affermarsi. Inoltre gli esponenti leghisti, che fino ai primi anni Novanta erano stati piuttosto snobbati da stampa e televisione, sono diventati ospiti fissi di molte trasmissioni ben disposte e accomodanti, che hanno contribuito a dipingere la Lega sotto una luce migliore.

Viene accreditata come radicamento e attenzione ai problemi del  territorio la furbesca capacità della Lega di cavalcare le paure e di far leva sugli istinti per impossessarsi del potere e arraffare tutte le poltrone disponibili.

Vengono elogiati gli amministratori leghisti per la loro concretezza, nonostante qualche espressione o qualche comportamento ruvido, per usare un eufemismo, fatti passare come sano e ritrovato spirito popolare.

Vengono declassati a innocue e risibili sparate folcloristiche linguaggi, gesti triviali, gesti e comportamenti violenti, che ricordano le camicie nere e i cappucci bianchi del Ku Klux Klan, o altre camicie verdi di estrema destra, come le Croci frecciate ungheresi e la Guardia di ferro rumena.

Inoltre, mentre ad alcuni rappresentanti politici di altri movimenti o partiti viene applicata una censura immediata, a Bossi e ai suoi viene lasciata piena libertà di parola, o meglio, d’insulto: essere politicamente scorretti è stigmatizzato per chi fischia o contesta il potere, mentre per il senatùr e gli altri esponenti leghisti la regola non vale.

Lo strumento più semplice e più diretto per contestare il quadretto idilliaco cui è ridotta  la Lega Nord ci è parsa un’antologia. Ecco quindi “la Lega raccontata dalla Lega”, attraverso una raccolta sistematica e ampia, anche se ovviamente incompleta, di opinioni e dichiarazioni dei dirigenti leghisti, degli articoli de La Padania e delle proposte legislative, di iniziative nazionali e locali tratte dalla nuda cronaca, aggiornate ai primi giorni del dicembre 2010. Qualche volta si tratta di riflessioni e di ricostruzioni giornalistiche particolarmente efficaci.

Il risultato ci pare eloquente. La Lega si spiega da sé e il quadro complessivo smentisce tutte le sue tranquillizzanti rappresentazioni. Un movimento apparentemente pacifico, mosso da un onesto desiderio di garantire ai cittadini legalità, sicurezza, decentramento, federalismo e snellimento della macchina burocratica, cala la maschera, mostrando, invece, i lineamenti inconfondibili e brutali di un movimento eversivo, razzista e tendenzialmente totalitario, che ha come unico obiettivo la conquista e la gestione dispotica del potere. La Lega mira a una doppia occupazione: quella dell’immaginario, mediante una forte produzione simbolica, per ora vincente anche a causa del venir meno delle altre grandi narrazioni, e quella del territorio, mediante una lenta penetrazione per via elettorale o mediante alleanze e intese con lobby e centri di potere politico, economico e bancario.

Il carattere eversivo del movimento leghista è scritto nel suo stesso nome, che recita ancora oggi “Lega Nord per l’Indipendenza della Padania”. Un obiettivo riconfermato da Bossi appena qualche mese fa, nel settembre 2010, a Pontida. Il sovvertimento dell’ordine costituzionale, secondo cui la Repubblica è «una e indivisibile», resta lo scopo di un partito i cui massimi esponenti hanno giurato come ministri sulla Costituzione. Forse sarebbe più corretto dire spergiurato. Maroni, per esempio, è stato reclutatore nel 1996 della Guardia padana e per molto tempo è stato indagato insieme ad altri per banda armata: un ministro degli Interni che dovrebbe garantire, invece, la legalità e la sicurezza dello Stato.

Al secessionismo, proclamato in nome della Padania e dei padani, di una nazione e di un’etnia inesistenti (1), si accompagna un conclamato razzismo contro chi non è padano: che si tratti di romani, meridionali, immigrati, disabili e gay poco importa. Tutti diversi, quindi nemici. Tutti «fuori dalla Padania», oppure dentro quando e per quanto servano come mano d’opera da sfruttare in nero. Per poi magari essere tolti dalle graduatorie, se insegnanti o magistrati meridionali, come la Lega sogna. Peggio ancora se rom o migranti: espulsi, sgomberati ed esclusi dal diritto alla scuola, alla casa o alla salute. Meglio respingerli in mare, negando loro diritto all’asilo e mandandoli a sicura morte in paesi come la Libia, che non rispettano i diritti umani (negati del resto anche in Italia ai migranti rinchiusi in zone di non diritto come i Cie).

Si tratta di un razzismo su base etnica, come quello nazista che si richiama alla razza ariana (2). Ad esso si accompagna un sessismo becero, analogo a quello del loro alleato e amico Berlusconi, che si serve delle battute o delle immagini più logore e dei più biechi luoghi comuni per ribadire l’assoluta supremazia del maschio, bianco s’intende. Tale razzismo si riflette in un’idea proprietaria del territorio e del potere, in base alla quale chi ha la maggioranza dispone delle istituzioni come vuole. Marchiando, per esempio, la scuola pubblica, le strade e i ponti con i simboli di partito. Seguendo il modello dei regimi totalitari. Svastica verde, appunto: da Adro a Buguggiate, da San Martino di Lupari a Castronno.

Che l’unico obiettivo del ceto politico leghista sia il potere, tanto odiato quanto invidiato e conteso a «Roma ladrona», è documentato anche dall’opportunismo senza princìpi che portò la Lega prima ad agitare in Parlamento il cappio, chiedendo l’intervento della magistratura contro i corrotti o invocando i rigori della legge contro «il mafioso di Arcore», poi a solidarizzare proprio con Berlusconi e a votare tutte le leggi ad personam necessarie per tenerlo fuori dalla galera insieme ai suoi parlamentari e sodali indagati per mafia o altri reati. È la stessa disinvoltura di cui la Lega dà prova servendosi strumentalmente della religione a fini di potere, passando dai matrimoni celtici e dal culto pagano del Dio Po alla campagna in favore del crocefisso e del  presepio. Oppure dall’intesa con monsignor Fisichella e le solitamente compiacenti gerarchie vaticane in «difesa della vita» e contro la pillola Ru486 agli insulti contro l’«imam» Tettamanzi, troppo «accogliente» verso i musulmani. Doppia morale, dunque, in uno stile a metà strada tra le furbizie ingenue di una maschera popolare(quella bergamasca di Gioppino, nata in funzione antinapoleonica, come ricorda la saggista francese Lynda Dematteo) e il più puro berlusconismo, di chi si sente sopra la legge e intoccabile perché investito di alte missioni. Doppio linguaggio anche: giustizialista se ci si trova all’opposizione, autoassolvente se si è al potere. Lampante il caso delle campagne a suo tempo condotte dalla Lega contro l’uso delle auto blu o per la soppressione delle Provincie: oggi sono utilizzate le une e difese le altre.

Naturalmente non sono mancati, nel corso dei decenni, manifestazioni di dissenso, seguite  dall’espulsione o dall’uscita dal movimento di esponenti anche significativi, ora contrari alle svolte moderate (come i primi e più radicali dirigenti autonomisti), ora alle accelerazioni secessioniste (l’ex presidente della Camera Irene Pivetti o l’ex sindaco di Milano Mario Formentini), ora contrari alla deriva affaristica e poltronista, come l’ex parlamentare ed ex assessore alla sanità della Regione Lombardia, Alessandro Cè. Un dissenso sulla linea del partito è stato espresso, l’ottobre scorso, anche dal vice sindaco di Abbiategrasso, Flavio Lovati, che ha criticato una politica sull’immigrazione ridotta a parlare «alla pancia», definendo «fascista» la marchiatura della scuola di Adro, denunciando anche come la Lega si fosse «appiattita» sul berlusconismo e fosse diventata sempre più «romana». Ma né fuoriuscite, né manifestazioni di dissenso, peraltro duramente represse come quella di Lovati, subito rimosso dal suo incarico, sono valse finora a cambiare il volto di un partito secessionista, anticostituzionale, razzista, affamato di potere e di poltrone, illegale ed eversivo; sotto processo da quattordici anni per banda armata, ma autoassoltosi, avendo cancellato tale reato (3). In compenso, però, ha inventato quello d’immigrazione clandestina.

Tuttavia la Lega non sarebbe arrivata a prendere con il 10 per cento dei voti su scala nazionale il 90 per cento delle decisioni di governo, a infettare le istituzioni e a diffondere il razzismo dal Nord al Sud del paese, se non fosse stata coccolata a turno dalla destra e dalla sinistra. Se non fosse stata, dunque, legittimata a essere perno della politica italiana. È lo stesso Bossi a dire che la Lega «porta voti». Ma anche i media hanno la loro parte di responsabilità, avendo concesso agli esponenti della Lega uno spazio spropositato nei vari talk-show, tutti tesi a inseguire le dichiarazioni sopra le righe, il turpiloquio, le risse verbali e non che la Lega assicura, portando audience. È una grave responsabilità condivisa da politici, conduttori televisivi, intellettuali, se esponenti di un partito che vìola i principi della nostra Costituzione, attraverso la minaccia della secessione e l’incitamento all’odio razziale, siedono in Parlamento e se possono esibire perfino nel nome il loro scopo eversivo: “l’Indipendenza della Padania”.

L’augurio è che queste pagine aiutino a far comprendere meglio cosa sia la Lega e perché rappresenti, al pari degli altri partiti di estrema destra in ascesa in Europa, una minaccia mortale per la convivenza civile, da contrastare anche sul piano giudiziario, in Italia e davanti la Corte europea di Strasburgo, ma soprattutto su quello politico e culturale.


(1) I termini “Padania” e “padani” dovrebbero essere sempre scritti fra virgolette per non confonderli con regioni o popoli realmente esistenti. Ma, data la loro ricorrenza, ciò avrebbe appesantito la lettura. Si è quindi deciso di scriverli senza virgolette limitandoci ad avvertire qui che sono, come il Paese dei balocchi o il gatto con gli stivali, nomi di fantasia.
(2) Sui legami diretti dei leghisti col nazional-socialismo si veda la postfazione di Annamaria Rivera.
(3) E’ stato fatto l’8 maggio scorso infilando in un decreto sul “Codice dell’Ordinamento Militare” una norma con cui si abolisce il dl 14/2/1948 n. 43 che puniva «chiunque promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni di carattere militare», con scopi politici e compiendo o minacciando violenze.

—————————————————————————————–


Indice


9         Introduzione

19      La Lega inventa la Padania

Parla l’inventore della Padania, 23 – I valori padani, 30 – Un partito anticostituzionale, 33 – “Bruciare il Tricolore”, 34 – No all’inno nazionale, 35 – Armi contro “Roma ladrona”, 37 – Secessione (e le sue varianti) o morte, 40 – “Selezioneremo gli stranieri”, 49

47      “Föra di ball, terùni!”

La lombardità, 51 – Il Nord “si svena” per il Sud, 54 – Settentrionalizzare la scuola, 58 – L’esercito del Nord, 62 – Gli aiuti non puzzano, ma la spazzatura è diversa, 64 – Scene di ordinario antimeridionalismo, 68 – E i prepotenti giocano a fare le vittime, 74

77      Omofobia e sessismo

Il maschilismo originario, 80 – Nascita e morte del Los, 84 – La svolta antigay, 87 – Il linguaggio si inasprisce, 91

99      Razzismo e xenofobia

Sono inferiori, criminali e puzzano, 103 – Dichiarazioni di dirigenti leghisti, 107 – Treviso: il Vangelo secondo Gentilini, 111 – Verona: il modello Tosi, 119 – Le impronte della Lega, 121 – “Niente case agli extracomunitari”, 125 – “Sì ai bambini della Padania”, 131 – Ospiti, non cittadini, 134 – Gli sgomberi di rom e sinti, 138 – Effetto Sarkosy, 146 – Padania cristiana, mai musulmana, 147 – Sì a gelati e maiale, no al kebab, 155 – L’asilo negato, 157 – I respingimenti in mare, 165 – Berlusconi: da Dr Jekyll a Mr Hyde, 172 – Una catena interminabile di porcate, 174

187    Law & Order

Dalla Bossi-Fini al pacchetto Maroni, 190 – L’invasione, 199 – L’inferno dei Cie, 205 – La sanatoria truffa, 210 – Squadrismo che passione: le ronde, 217 – Non curare, ma denunciare, 225 – “Niente scuola per i figli dei clandestini”, 231 – No ai matrimoni degli irregolari, 235 – Caccia al clandestino. Taglie e spie, 237 – “Rimbalza il clandestino”, 242 – “Fucilare gli sciacalli”, 244 – Una digressione sull’ordine leghista, 246 – Quando la Lega getta il sasso e nasconde la mano, 250

257    Bossi e il “mafioso di Arcore”

Cosa si sono detti dal 1994 al 1998, 260 – La Fininvest è nata da Cosa nostra, 269 – Cosa hanno continuato a dirsi dal 1998 al 2000, 272 – Colpo di scena, 274 – E non ci lasceremo mai…, 274

277    Cattolicesimo in salsa celtica

Tra integralismo e arcaicità, 279 – Bossi, lo spaccone laico e anticlericale, 280 – Matrimoni celtici e pellegrinaggi cristiani, 284 – Padani contro il Concilio Vaticano II e contro i “perfidi giudei”, 287 – Guardiani dell’ortodossia, 290 – Bossi e gli altri di nuovo anticlericali. Ma per poco, 293 – Radici cristiane (o celtiche?) contro l’imam Tettamanzi, 298 – Con la benedizione del Vaticano, 299 – Per chiudere in bellezza birre, rutti e bestemmie, 302

307    Un movimento eversivo

Casellario giudiziario, 309 – Il processo alle Camicie verdi, 320 – Abuso di potere? Sì o forse no: il caso Ruby, 327

331    Lega poltrona, Lega ladrona

La Sacra famiglia, 335 – Né duri né puri: la tangente Enimont, 343 – Gli affari, con crac, in Croazia, 348 – Auto blu, 353 – Storie di ordinario malcostume, 357 – Bulimia di poltrone, 362 – Nascita e morte della Credinord, 366 – La truffa delle quote latte, 368 – Le banche? A noi!, 371 – ‘Ndrangheta padana, 374

383    Svastica verde

Le due facce della Lega, 387 – Amicizie pericolose, 397 – Le ascendenze delle Camicie verdi, 400 – Borghezio, il nazista identitario, 401 – Tosi, il nazista democristiano, 406 – Varese. Sangue, onore e Padania, 410 – Adro e non solo, 414

425    Postfazione

Le matrici neonaziste del leghismo di Annamaria Rivera




Memoria 2011 / 8

Lo sterminio, che continua, del popolo Rom

1) Lettera a Napolitano: nessuno ricorda lo sterminio dei Rom e dei Sinti (D. Pavlovic, 2009)
2) Roma 6 febbraio 2011: Rogo in campo rom, morti quattro fratellini (Repubblica / F. Casavola)
3) La persecuzione degli zingari da parte del Fascismo (G. Boursier, "Triangolo Rosso" n. 1/1998)


I LINK:

Dio era una zingaro (forse)
Pulizia etnica a Milano: raso al suolo l'insediamento di via Sesia a Rho (MI) 


Ricordiamo i pogrom scatenati in Italia nel 2008


Audio del documentario "Porrajmos. Parole in musica", con Santino Spinelli (http://www.alexian.it/), che i Magazzini Einstein hanno trasmesso il 27 gennaio su Rai 3 e su Rai Storia (registrazione a cura di Andrea Lawendel):


Una moderna canzone rom della Macedonia


La nostra pagina sulla questione Rom


=== 1 ===

Lettera a Napolitano: 
nessuno ricorda lo sterminio dei Rom e dei Sinti 
«Dalle baracche vedevamo gli ebrei 
 colonne incamminate diventare colonne verticali, di fumo. 
Erano lievi, andavano a gonfiare gli occhi del loro dio affacciato. 
Noi non fummo leggeri, la cenere degli zingari non riusciva ad alzarsi in cielo. 
Ci tratteneva in basso la musica suonata e stracantata intorno ai fuochi degli accampamenti.
Noi, zingari d'Europa, da nesun dio presi a sua testimonianza, 
bruciammo senza l'odore della santità, 
bruciammo tutti interi, 
chitarre con le corda di budella».

Illustrissimo signor Presidente, nel Giorno della Memoria le massime autorità dello Stato hanno ricordato la Shoah, lo sterminio del popolo ebraico. Ma anche il 27 gennaio di quest'anno per noi, Rom e Sinti d'Italia, nessun riconoscimento istituzionale per i nostri morti (più di un milione di cui, oltre 500.000 nei campi di concentramento nazisti). Come se non fosse successo, come se non fosse stato anche per loro, come per gli ebrei, la più grande vergogna della storia dell'uomo: lo sterminio su base razziale.
Una vergogna che riguarda anche l'Italia. Nella circolare del ministero degli Interni dell'11 settembre 1940 è scritto: «est indispensabile che tutti zingari nazionalità italiana certa aut presunta, siano controllati et rastrellati più breve tempo possibile et concentrati sotto rigorosa vigilanza in località meglio adatte ciascuna provincia».

Cominciarono retate e deportazioni negli oltre 50 campi di concentramento italiani, tra cui: Perdasdefogu in Sardegna, Bojano e il convento di San Bernardino ad Agnone, Gonars, provincia di Udine, Tossicìa, provincia di Teramo. E ancora: Viterbo, Montopoli Sabina, provincia di Rieti, Collefiorito provincia di Roma, le isole Tremiti, Ferramonti di Tarsia provincia di Cosenza, poi Gries a Bolzano, detta anche «l'anticamera di Auschwitz» dove sono morti oltre 20.000 Rom e Sinti.

Lo sterminio i rom lo chiamano Porrajmos: divoramento, distruzione. Un ricordo carico di paura e di dolore, ma anche qualcosa di più perché non ce lo riconoscono, perché ignorandolo è più facile aggirare la spinosa questione di tanti "piccoli porrajmos" quotidiani nella segregazione dei "campi nomadi", con le persone discriminate, aggredite con le bombe molotov,  buttate in strada in pieno inverno con i loro bambini, accusate, come succedeva nel ’38 di essere «delinquenti antropologici» ‑ tutti criminali. Ricordarlo vorrebbe dire fare in modo che non si ripeta mai neanche una minima parte di questi orrori.

Per questo ci rivolgiamo a Lei, signor Presidente, certi della Sua sensibilità e attenzione, per un gesto di riconoscimento. 

di Dijana Pavlovic
(2009 ma ancora attuale)


=== 2 ===

Roma: Rogo in campo rom, morti quattro fratellini. 6 febbraio 2011



... Quattro fratellini sono morti in un incendio di una baracca in un campo rom a Roma. Il rogo intorno alle 20:30 in un insediamento sulla via Appia Nuova, in prossimità del circolo golfistico dell'Acquasanta. Tre maschi  - Raul Mircea, il più piccolo di 4 anni, Fernando 5 e Sebastian 11 - e una bimba, Patrizia, di otto anni. È probabile che siano morti nel sonno. Il nucleo familiare che abitava nella baracca era composto da 7 persone. Tre adulti sono stati rintracciati due ore dopo la tragedia, in stato di shock. All'esterno della baracca c'erano i genitori, che non sono riusciti a intervenire contro le fiamme, forse sprigionatesi da un tizzone rimasto acceso nel braciere. Sul posto, polizia e carabinieri e ambulanze del 118. A quanto riferito da alcuni abitanti dell'insediamento, i bambini erano stati lasciati soli nella baracca. Una zia era andata a cercare dell'acqua, la madre era in un vicino fast food a comprare del cibo. Ora, davanti ai resti della baracca, piange disperata: "Voglio morire con loro". ...

---

Chi non ha memoria non ha futuro

di Fabrizio Casavola
(di "Mahalla", http://www.sivola.net/dblog/)

6 febbraio 2011, 23:11

Stavolta sono quattro (almeno quattro, forse di più), sappiamo solo la loro età, neanche i loro nomi. Se mi guardo indietro, forse di nomi ne ricordo due o tre.

Se non c'è memoria, cosa fare per lenire il peso sulla coscienza? Affidarsi alla retorica? Prendersela con una parte politica? Dire che si vuole non succeda più?

Eppure, sappiamo che tutto può succedere ancora, e che non è una maggioranza politica o l'altra che può evitarlo. Quanto alla retorica, prima o poi puzza sempre di bugia.

Il fuoco, io non riesco a disgiungere i Rom e i Sinti dal fuoco, che è un amico e un compagno indispensabile. Ma che può tornare ad essere una furia distruttrice, che termina con un cumulo di cenere. Poi, a cenere fredda, ecco emergere una scarpa, un quaderno che il fuoco ho inspiegabilmente risparmiato, un pezzo di vetro che forse era un bicchiere...

Il dopo, assomiglia ai poveri resti di uno sgombero.

Tra sgomberi ed incendi, un piccolo popolo tenace lascia dietro di sé poche tracce, che si cancellano presto.

Questa umanità perduta non la troveremo nei libri, e la nostra anima non si salverà solo perché abbiamo scritto MAI PIU'. Ci ho ragionato, e l'unica strada che ho trovato è scomoda e poco praticabile: sporcarsi le scarpe e spingersi a guardare e conoscere DI PERSONA questa gente. Anche in silenzio, anche (soprattutto) limitandosi ad ascoltare. Poi potremo parlare.

Ma è una via scomoda, so che lo faranno in pochissimi.



Un anno fa: http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=3709


=== 3 ===

Fonte: http://www.romacivica.net/anpiroma/deportazione/deportazionezingari1.htm
e: http://www.didaweb.net/mediatori/articolo.php?id_vol=45

La persecuzione degli zingari da parte del Fascismo


Scarsissime le fonti, basate soprattutto sulle testimonianze orali. 
Le disposizioni del settembre 1940 relativamente all'internamento dei rom presenti in Italia. Più che lacunosa la documentazione sui campi di concentramento nel nostro paese. Le vittime del nazismo furono almeno mezzo milione


"Mia figlia Lalla è nata in Sardegna a Perdasdefogu il 7 gennaio 1943, perché eravamo lì in un campo di concentramento". Quella di Rosa Raidic (Lacio Drom n.2/3, 1984) è una delle rarissime voci di zingari testimoni della seconda guerra mondiale, una delle poche testimonianze che riguardano l'internamento in Italia, sotto la dittatura fascista, di un popolo sempre perseguitato e, anche per questo, ignorato e dimenticato dalla memoria e dalla storia delle dittature nazifasciste.

"Dello sterminio degli zingari si sa infatti molto poco, troppo poco. Nonostante sia ormai appurato che, come gli ebrei, furono vittime della persecuzione e dello sterminio razziali praticati dai nazisti in Germania e nei paesi dell'Europa occupata, normalmente si tralascia la loro vicenda o, nel migliore dei casi, se ne accenna in lavori che si occupano del Terzo Reich o del sistema concentrazionario in generale includendoli tra le vittime per poi tralasciare cause e conseguenze della loro persecuzione. Questo anche a causa del fatto che per molto tempo dopo la guerra lo sterminio del popolo zingaro non è stato riconosciuto come razziale ma lo si è considerato conseguenza (quasi ovvia) di quelle misure di prevenzione della criminalità che ovviamente si acuiscono in caso di guerra. Una tesi che trova fondamento nella definizione di "asociali" con la quale inizialmente gli zingari furono deportati, ma che non considera il fatto che, secondo le teorie nazionalsocialiste, gli zingari erano tali perché le caratteristiche loro attribuite dai nazisti erano nei loro geni, nel loro sangue, che li rendeva "irrecuperabili" condannandoli quindi allo sterminio, alla cosiddetta "soluzione finale".

Va comunque tenuto presente che, almeno per ciò che riguarda il nazismo (e grazie soprattutto all'impegno della studiosa ebrea Miriam Novitch che dedicò gran parte della sua vita a raccogliere documenti sullo sterminio del popolo Rom), esiste oggi una documentazione sufficiente a dimostrare che gli zingari sono stati tra le vittime dello sterminio razziale e che almeno 500.000 di loro sono morti nei Lager, dopo esser stati imprigionati, torturati e violentati come tutti gli altri prigionieri. Altri sono stati uccisi nelle esecuzioni di massa nei paesi dell'est, ma su questo i dati sono davvero scarsissimi.
Non si può invece parlare di ricerca per quel che riguarda l'Italia dove le conoscenze sulla persecuzione degli zingari durante il fascismo sono poche e contraddittorie e si basano quasi esclusivamente sulle testimonianze raccolte nel dopoguerra dai pochi studiosi (tra i quali spicca la figura di Mirella Karpati, del Centro studi zingari, che ha raccolto quasi tutta la documentazione orale oggi disponibile) che si sono occupati della deportazione degli zingari, senza mai ricevere la dovuta attenzione. I dati storici raccolti a oltre cinquant'anni dai fatti sono scarsi, tanto da non permettere ancora di stabilire con certezza come e quanto gli zingari siano stati perseguitati nell'Italia fascista e per quali ragioni.
Eppure la documentazione d'archivio ci fornisce testimonianze orali, ci restituiscono un quadro ancora contraddittorio ma di grande interesse. Coloro che si sono occupati dell'argomento hanno finora generalmente affermato che la politica discriminatoria fascista era indirizzata in particolare contro gli zingari stranieri presenti in territorio italiano e dovuta a ragioni di ordine pubblico. Secondo questa ipotesi fu essenzialmente l'occupazione della Jugoslavia e la conseguente fuga degli zingari da quel paese a costringere le autorità italiane a internare gli zingari. In un certo senso è persino ovvio che le misure di internamento e deportazione degli zingari siano aumentate e divenute più intransigenti con l'occupazione della Jugoslavia, anche solo perché è da quel territorio che molti zingari scapparono in Italia dopo l'occupazione nazifascista. E' quindi possibile ipotizzare che le misure di deportazione per gli zingari, italiani e non, si siano acutizzate sul finire del 1941, ma questo non esclude atteggiamenti discriminatori anche in precedenza e non necessariamente indirizzati contro gli zingari stranieri.
L'11 settembre 1940 vengono emanate le prime disposizioni per l'internamento degli zingari italiani: una circolare telegrafica del Ministero degli Interni, firmata dal capo della polizia Bocchini e indirizzata a tutte le prefetture fa esplicito riferimento all'internamento degli zingari italiani, dando per scontato il fatto che, in base ad altre direttive quelli stranieri debbano essere respinti e allontanati dal territorio del regno. Nella circolare è scritto che "sia perché essi commettono talvolta delitti gravi per natura intrinseca et modalità organizzazione et esecuzione, sia per possibilità che tra medesimi vi siano elementi capaci di esplicare attività antinazionale... est indispensabile che tutti zingari siano controllati". Si dispone quindi "che quelli nazionalità italiana certa aut presunta ancora in circolazione vengano rastrellati più breve tempo possibile et concentrati sotto rigorosa vigilanza in località meglio adatte ciascuna provincia...".
Come si vede si tratta di un ordine importante anche perché, nei documenti d'archivio, è seguito da una fitta corrispondenza che indica come i prefetti eseguano gli ordini procedendo al rastrellamento degli zingari nelle loro provincie: esistono lettere e telegrammi delle autorità di Campobasso, Udine, Ferrara, Ascoli Piceno, Aosta, Bolzano, Trieste e Verona, che, rispondendo agli ordini, indicano come, rapidamente, gli zingari diventino una preoccupazione urgente e importante in tutto il Regno. Poi, il 27 aprile 1941, il Ministero dell'Interno emana un'altra circolare avente ancora per oggetto 'l"Internamento degli zingari italiani".
Purtroppo, finora, l'esistenza dei campi di concentramento per zingari è documentata quasi esclusivamente dalle testimonianze orali. I ricordi degli zingari sono frammentari, spezzati dalla riservatezza della memoria e dalla mancanza di una tradizione scritta che caratterizza la loro cultura, ma raccontano l'esistenza di luoghi di detenzione come Perdasdefogu, in Sardegna, il convento di San Bernardino ad Agnone, in provincia di Campobasso, Tossicia, in provincia di Teramo.
Mitzi Herzemberg (Lacio Drom n. 1, 1987) ricorda che ad Agnone, dove gli zingari erano rinchiusi nel convento di San Bernardino, talvolta gli uomini venivano portati fuori a scavare buchi per le mine che servivano a ritardare l'avanzata alleata. Le guardie fasciste inferivano con punizioni durissime sui prigionieri: lui, che allora aveva quattordici anni, lavorava in cucina e cercava di passare un po' di cibo ai suoi familiari, venne portato fuori per essere fucilato con alcuni altri. Si salvò perché all'ultimo momento la sua pena fu commutata in bstonature e segregazione.
Antonio Hudorovic è stato prigioniero a Tossicia: "Una volta, - dice - quando eravamo a Tossicia, è venuto un ufficiale tedesco. Ci ha preso tutte le misure, anche della testa. Ha detto che era per darci un vestito e un cappello". Tossicia è l'unico campo di concentramento sul quale si hanno dati abbastanza certi. Le carte e gli atti degli archivi comunali - sui quali ha lavorato in particolare Anna Maria Masserini (Storia dei nomadi, GB od., 1990) - dicono che risulta funzionante dal 21 ottobre 1940 e che dall'estate del 1942 ci sono anche prigionieri zingari, in condizioni miserevoli descritte dal direttore del campo e dall'ufficiale sanitario come invivibili.
Testimonianze sparse ricordano altri luoghi di detenzione: Viterbo, Montopoli Sabina, Collefiorito, le isole Tremiti. E' anche documentata la presenza di zingari a Ferramonti di Tarsia, uno dei più grandi campi di concentramento italiani, esistito dal luglio 1940 al settembre 1943.
Come è noto, dopo l'8 settembre e con l'inizio dell'occupazione tedesca, molti campi dell'Italia centro-meridionale vennero smantellati, anche per l'arrivo degli alleati, ma questo non significò la fine della deportazione in Italia, nemmeno per gli zingari. Il rom abruzzese Arcangelo Morelli racconta di esser stato rinchiuso e torturato nel manicomio dell'Aquila, trasformato in quartier generale della Gestapo e sappiamo anche che a Gries di Bolzano, anticamera dei Lager nazisti, erano detenuti anche gli zingari.
Giuseppe Levakovich, in un libro che è la sua memoria, ripercorre molte delle vicende degli zingari negli anni delle dittature e della guerra, prima in Jugoslavia poi in Italia e ricorda, con amarezza, lastoria di sua moglie, Wilma, e di altre due giovani zingare, Muja e Mitska, internate a Ravensbrück e poi a Dachau.


Giovanna Boursier

(da Triangolo Rosso,  n. 1/98 - gennaio 1998.

Della stessa autrice: La persecuzione degli zingari nell'Italia fascista, in «Studi Storici» n.37, ottobre-dicembre 1996)




(Stasera, 7/2/2011, a Belgrado alle ore 19,30, a Kolarceva zaduzbina, presentazione del libro di Giacomo Scotti OPERAZIONE TEMPESTA - https://www.cnj.it/documentazione/bibliografia.htm#scotti_optemp - tradotto in lingua serbocroata)

DANAS  u Kolarčevoj zadužbini (Beograd) govoriće autor knjige Đakomo Skoti, Savo Štrbac iz organizacije „Veritas”, dr Dušan Janjić i prevodilac knjige Predrag Delibašić


Sačuvano sećanje na prećutane zločine


Knjiga poznatog istarskog pisca i novinara Đakoma Skotija o operaciji „Oluja”, posle 15 godina prevedena sa italijasnkog na srpski jezik


Danas će u Kolarčevoj zadužbini biti predstavljena knjiga Đakoma Skotija „Hrvatska operacija Oluja”, čiji je podnaslov „’Oslobađanje’ Krajine i etničko čišćenje Srba”.

Objavljena 1996. godine na italijanskom jeziku, u Rimu, Skotijeva knjiga, iako ubrzo prevedena na srpski jezik, pojavljuje se u odličnom prevodu Predraga Delibašića tek posle 15 godina, zaslugom izdavača, beogradske izdavačke kuće „Otkrovenje” i Srpskog narodnog vijeća iz Zagreba.

Đakomo Skoti, autor knjige, poznati je novinar, pesnik, pripovedač, basnopisac, esejista, istoričar i književni prevodilac, koji od 1947. godine živi u Istri, u Puli i Rijeci, a od 1982. i u matičnoj domovini Italiji. Skotijeva dela, više od 160 knjiga pisanih na italijanskom i srpskohrvatskom (hrvatskom), prevedena su na 12 jezika, a on sam mnogo je prevodio na italijanski sa srpskohrvatskog (srpskog i hrvatskog), slovenačkog i makedonskog jezika.

Operaciju „Oluja” i ono što je sledilo potom, Skoti je opisao u formi dnevničkih zapisa nastalih između 4. avgusta 1995. i 9. februara 1996. godine, a u kojima je, kao suptilni posmatrač i pisac izraženog nerva za detalj, kombinovao navode iz javnosti malo poznatih izveštaja međunarodnih organizacija na terenima Republike Srpske Krajine, svedočanstva stradalnika, počinilaca zločina i političkih stratega tih zločina, kao i izvode iz medija, da bi nazigled kroz suvoparno nizanje činjenica ispisao istinsku, dramatičnu i tragičnu fresku zapanjujućeg zločina koji se odigravao pred licem sveta, za koji je taj isti svet dok je trajao egzodus Srba iz Krajine pokazivao interesovanje, da bi ono ubrzo prestalo, pošto „Krajina nije više vest”.

Operacija „Oluja”, započeta u 5 sati ujutro 4. avgusta, formalno je okončana u 18 sati 7. avgusta 1995. godine. Hrvatska je u njoj angažovala više od 150.000 vojnika, koji su za nešto više od 80 sati zaposeli teritoriju Republike Srpske Krajine, proterali sa nje 300.000 Srba, prema prethodno urađenom planu, oslonjenom na zločin i teror, pohare, pljačku, paljevine i sistematsko uništavanje imovine izbeglih Srba.

Vrlo brzo posle tog besprimernog egzodusa, ono što se dogodilo sa izbeglicama i samom Krajinom („oslobođenom ili ponovo okupiranom od strane Hrvata”, piše Skoti), nije više „toliko interesovalo zapadne novinske redakcije i radio-televizijske studije”.

„Stranice koje slede popunjavaju ovu prazninu”, napisaće Skoti u uvodu svoje knjige, u kojoj je „predstavljen dosije o onome o čemu su malo pisale ili o čemu su ćutale zapadne novine, o onome što se dešavalo posle 8. avgusta na 10.000 i više kvadratnih kilometara Krajine, koji čine 22 odsto teritorije Hrvatske, teritorije koju je opustošila operacija ’Oluja’ i druge ’nepogode’ što su se okomile na te krajeve iz kojih je iskorenjen jedan narod koji je tamo živeo pet vekova.”

Skoti je pisao svoj dnevnik „da bi sačuvao sećanje na zločine koji su prećutani ili za koje se nije znalo”, dok su „pod ugašenim refletorima besnele palikuće, pljačkaši, ubice”, motivisan potrebom da pribavi dokumente koji omogućuju da „vesti budu manje neodređene i apstraktne”, a „činjenice konkretnije” i „motivi razumljiviji”.

„Tako neki ljudi sutra neće moći da se prave da ne znaju, da ne poznaju istinu i neće moći da kažu kako se ne osećaju krivima zbog toga što nisu znali”, napisao je Đakomo Skoti, a njegova knjiga na izvanredno uverljiv način pokazuje kako je veliko pregnuće ovog pisca imalo svoj duboki, dalekosežni smisao, koji se potvrđuje i danas, petnaest godina pošto je knjiga objavljena u izvornom izdanju.

Suočen s poraznim detaljima koji su u njoj izneti, čitalac zaista zanemi, znajući da se operacija „Oluja” i danas u Hrvatskoj slavi i uznosi na pijedestal odlučujuće „pobede” u ratu za sticanje hrvatske nezavisnosti.

----------------------------------------------------------

Promocija

Na današnjoj promociji u Kolarčevoj zadužbini govoriće autor knjige Đakomo Skoti, Savo Štrbac iz organizacije „Veritas”, dr Dušan Janjić i prevodilac knjige Predrag Delibašić.

Sl. Kljakić
objavljeno: 07.02.2011