Informazione


Memoria 2011 / 9

Memoria a Trieste

Recenti articoli dal periodico triestino La Nuova Alabarda - http://www.nuovaalabarda.org/ :
1) ALESSIO MIGNACCA
2) TORTURE A TREBICIANO, DICEMBRE 1942
3) L’AVVOCATO GIANNINI

Sull' "Ispettorato Speciale di PS per la Venezia Giulia", in cui operava la famigerata “banda Collotti", torniamo a raccomandare la lettura dei seguenti articoli:

Sul recente sopralluogo di ex detenuti e torturati a Via Cologna:

Memoria, Trieste Via Cologna 6: ritorno all'inferno (dicembre 2010)
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-memoria%3A_trieste_via_cologna_6%2C_ritorno_all%27inferno..php
Il sopralluogo nella sede di detenzione e tortura dell'Ispettorato Speciale di PS di via Cologna a Trieste (2 dicembre 2010)
http://www.nuovaalabarda.org/foto-gallery/galleria19_pagina1.php )

Più in generale sull'Ispettorato Speciale di PS per la Venezia Giulia di Trieste:

Note sull'Ispettorato Speciale di PS (Banda Collotti) (ottobre 2006)
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-note_sull%27ispettorato_speciale_di_ps_%28banda_collotti%29.php
oppure http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5259
L'Ispettore De Marco E La Pubblica Sicurezza Sul Confine Orientale (maggio 2006)
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-l%27ispettore_de_marco_e_la_pubblica_sicurezza_sul_confine_orientale.php
oppure http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5259
Giornata della Memoria: il rastrellamento di Borst (gennaio 2009)
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-giornata_della_memoria_2009%3A_il_rastrellamento_di_bor%9At..php
oppure: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6291
La Storia Di Lojze Bratuž e Ljubka Šorli (gennaio 2009)
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-giornata_della_memoria_2009%3A_la_storia_di_lojze_bratu%9E_e_ljubka_%8Aorli..php
Metodi Repressivi dell'Ispettorato Speciale di PS (gennaio 2009)
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-giornata_della_memoria_2009%3A_metodi_repressivi_dell%27ispettorato_speciale_di_ps..php
L'ordine pubblico nella Venezia Giulia tra il 1942 ed il 1943 (gennaio 2009)
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-giornata_della_memoria_2009%3A_l%27ordine_pubblico_nella_venezia_giulia_tra_il_1942_ed_il_1943.php
L'Ispettorato Speciale di PS di Trieste Nella Sede di via Cologna (ottobre 2010)
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-l%27ispettorato_speciale_di_ps_di_trieste_nella_sede_di_via_cologna..php

Galleria fotografica: 
"Villa Triste" e la Banda Collotti
http://www.nuovaalabarda.org/foto-gallery/galleria6_pagina1.php


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GIORNATA DELLA MEMORIA E GIORNO DEL RICORDO 2011: ALESSIO MIGNACCA.

Seguendo il dibattito sui “crimini” dei partigiani, sugli arresti effettuati dalle autorità jugoslave nel maggio 1945 a Trieste, sugli “infoibamenti” e sulle cerimonie ufficiali che commemorano gli “infoibati” come “martiri” ed “uccisi solo perché italiani” o “perché si opponevano al disegno politico jugoslavo”, non si può fare a meno di pensare a tutti i membri dell’Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza per la Venezia Giulia, che vengono inseriti tra questi “martiri” perché sembra che siano stati fucilati a Lubiana. Tra essi l’agente dell’Ispettorato Alessio Mignacca del quale, dopo avere visto di quali azioni si era reso responsabile, certamente non giustifichiamo (parlando di storia non si dovrebbe fare del moralismo), però comprendiamo come possa essere stato condannato a morte da un Tribunale. 
Vediamo dunque il curriculum di Alessio Mignacca, così come appare dagli atti del processo contro Giuseppe Gueli, dirigente dell’Ispettorato ed altri funzionari della struttura (Carteggio processuale Gueli, in Archivio Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione di Trieste, n. 914).
Iniziamo dalla vicenda di Umberta Giacomini (nata Francescani), che quando fu arrestata il 9/3/44 era incinta di quattro mesi. Il 15 marzo venne “interrogata” da Collotti, che la picchiò selvaggiamente assieme agli agenti Brugnerotto, Sica e Mignacca. Nel dibattimento svoltosi nel 1947 la donna “precisò che mentre Mignacca la colpì con un calcio e gli altri con verghe, il Brugnerotto la colpì solo (sic) con schiaffi”. A causa di questo abortì ed ebbe una forte emorragia, perciò fu trasportata all’ospedale. Successivamente Mignacca e Ribaudo vennero per riportarla all’Ispettorato, ma date le sue condizioni fisiche (non riusciva neanche a tenersi in piedi), come testimoniò lei stessa “soprassedettero dal tradurmi dal Collotti ed il Ribaudo mi disse pensate che abbiamo avuto pietà di voi perché eravate madre…”. 
Leggiamo ora una nota della Questura di Trieste datata 26/3/44.
“Alle ore 15 circa di oggi 26/3/44 l’ispettorato speciale di PS telefonava a questo ufficio informando che un agente della squadra del vice-commissario dott. Collotti, portatosi in via Giulia 176 per procedere ad una perquisizione domiciliare aveva ucciso un individuo che era stato fermato, durante un tentativo di fuga. Mi sono recato sul posto assieme al magistrato di servizio dott. Santonastaso ed abbiamo constatato che il cadavere giaceva in un cortile adiacente all’abitazione di via Giulia 176/1 dove era stata operata la perquisizione dalla squadra Collotti.
Il morto è stato identificato per mezzo di una carta di identità in suo possesso in Potocnik Francesco n. Fiume 1914. Il suddetto, all’atto della perquisizione si era dato alla fuga, rompendo il vetro di una finestra e buttandosi nel cortile sottostante, da dove rapidamente aveva cercato di dileguarsi. Sennonché era stato raggiunto da quattro colpi di pistola sparatigli dall’agente di PS Mignacca Alessio >.
A questa nota della Questura seguì una denuncia del procuratore di Stato aggiunto.
“Richiesta di autorizzazione a procedere contro l’agente di PS Mignacca Alessio. Perquisizione nell’abitazione di certa Vites in Cobau Luigia (v. Giulia 176) fermati la Cobau, Giuseppe Bevilacqua, Francesco Potocnik. Il Potocnik, rotto un vetro della finestra saltava dal I piano nel cortile interno e cercava di fuggire. Fatto segno a vari colpi di pistola da parte dell’agente Mignacca e raggiunto da un proiettile cadeva ucciso”.
Non sappiamo se la denuncia ebbe seguito. Un paio di settimane dopo (11/4/44) il Procuratore di Stato aggiunto scrisse all’Ispettorato Speciale di PS in questi termini.
“Oggetto: Caprini Roberto. Il nominato Caprini ha lamentato di essere stato fatto segno a percosse ed altre violenze alla persona che gli produssero ecchimosi varie, da parte di alcuni agenti di codesto ufficio i quali lo raccolsero dopo che egli si fu gettato dalla finestra nel corso del suo tentativo di fuga. Si prega di voler riferire…”. Ecco la risposta dell’Ispettore Generale di Polizia Giuseppe Gueli, dirigente l’Ispettorato (20/4/44).
“In relazione alla Vs. lettera dell’11 corrente si comunica che le affermazioni del Caprini sono prive di qualsiasi fondamento di verità. Il Caprini venne accompagnato a questo Ispettorato per essere interrogato circa una lettera dattilografata dal titolo “Lettera aperta del conte Sforza ex ministro degli Esteri al Re d’Italia”, trovata in possesso a certo Musitelli Mario che a sua volta confessò di averla avuta dal Caprini.
Nell’attesa appunto di essere interrogato su tale circostanza il Caprini tentava di darsi alla fuga saltando da una finestra al primo piano nel sottostante giardino ove veniva raccolto dalla guardia di PS Mignacca Alessio e dai pari grado Romano Gaetano, Sica Giuseppe e da altri prontamente accorsi che hanno provveduto a farlo ricoverare all’ospedale”.

gennaio 2011


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GIORNATA DELLA MEMORIA 2011: TORTURE A TREBICIANO, DICEMBRE 1942.

In una lettera inviata dal Capo della Polizia di Roma al Prefetto di Trieste in data 13/8/43 risulta che furono concessi alcuni premi a favore di militari dei Carabinieri “per la viva parte presa nello svolgimento della operazione di polizia che culminò con la cattura di numerosi ribelli e con la scoperta di una organizzazione comunista a fondo irredentista sloveno”. I militari che ricevettero questi premi (corrisposti dal Ministero dell’Interno) furono i marescialli Luigi Viro, Pietro Satta e Gaetano Losito; il brigadiere Arturo Vinci ed i carabinieri Alessandro Vedelago e Guido Girotti (risulta anche come Girotto, n.d.r.). L’operazione viene descritta in un’allegata relazione di servizio della Legione Carabinieri di Trieste, indirizzata alla Direzione Generale della PS a Roma, nella quale si chiedono “ricompense” per i carabinieri che avevano partecipato all’azione.
Secondo la relazione, nel paese di Trebiciano sul Carso triestino “fin dal mese di giugno 1942 si stava organizzando l’arruolamento di giovani partigiani”. Tra gli esponenti del movimento venivano identificati Ermanno Malalan e suo padre Giovanni, “il quale, subito fermato, dopo alcuni giorni di abili e laboriosi interrogatori, finì col fornire dei semplici indizi” che portarono all’identificazione di altri due “ribelli”, Antonio Sibelia e Giuseppe Udovich, quest’ultimo definito “pericoloso comunista” che si sarebbe “suicidato” il 15/1/43 “nel momento in cui stava per essere arrestato da alcuni agenti della locale Regia Questura”. 
Apriamo una breve parentesi per inquadrare Anton Šibelja “Stjenka”, operaio metallurgico originario di Tomaževica, membro del Partito comunista, che viene così descritto da Rudi Ursini-Ursič: “aveva, fin dagli inizi di luglio ‘41, subito dopo l’aggressione all’URSS, costituito sul Carso triestino un gruppo di sabotatori della ferrovia e dei piloni dell’alta tensione (…) guerrigliero nato, di stampo messicano inizio secolo” (in “Attraverso Trieste”, op. cit. p. 177). Invece Giuseppe Udovič, nome di battaglia “Nino”, era nato a Trieste nel rione di San Giovanni il 18/3/10; partigiano EPLJ, segretario cittadino del Fronte di Liberazione di Trieste, secondo i dati raccolti dall’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, rimase ucciso il 14/1/43 in uno scontro a fuoco con i carabinieri.
Proseguendo nella lettura del rapporto sopra citato, vediamo che l’attività del gruppo sarebbe stata finalizzata a “costituire nella zona di Trieste e dintorni cellule tendenti a sviluppare tra l’elemento slavo l’odio contro l’Italia ed il Regime; di svolgere propaganda comunista (…); ingaggiare elementi partigiani ed istigare i nostri soldati alla rivolta ed alla diserzione; raccogliere armi, munizioni, viveri ed indumenti per il rifornimento delle bande”, ed ebbe come “primo risultato” il fatto che un gruppo di dieci giovani di Trebiciano si allontanarono dalle proprie case il 6/12/42 per unirsi ai partigiani. La sera del 12 dicembre 1942 questi dieci giovani sarebbero incappati nella pattuglia formata dal carabiniere ausiliario Guido Girotto e dal fante Dino Denti; dopo un conflitto a fuoco, uno dei “ribelli”, Giuseppe Calzi, ferito da una bomba a mano lanciata da Girotto, veniva arrestato. “Dall’interrogatorio del ribelle, deceduto dopo poche ore” (sempre secondo i dati raccolti dall’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione Calzi, già Kalc prima di avere il nome “ridotto in forma italiana dal fascismo”, classe 1925, sarebbe deceduto il 13/12/42 all’Ospedale Civile di Trieste per ferite procurate da forze militari italiane), prosegue la relazione, “si ebbero vaghi indizi” e le indagini “rese oltremodo difficili a causa dell’omertà della popolazione della zona (quasi tutta di origine e sentimenti slavi e solidale con le bande dei ribelli”, grazie a “molteplici appiattamenti, pedinamenti e perquisizioni domiciliari a Trieste e periferia” alla fine portarono all’arresto di “tre altri ribelli armati di pistola e bombe a mano (…) furono inoltre arrestate altre 25 persone, tra le quali tre studentesse ed una scrittrice e maestra di canto”. Complessivamente, leggiamo, furono 47 le persone denunciate al Tribunale Speciale per la difesa dello Stato per i reati di associazione sovversiva contro l’integrità dello Stato, assistenza ai partecipi delle bande armate e costituzione di bande armate.
L’operazione fu condotta dai Carabinieri della Compagnia Interna capitani Carmelo Capozza e Mario Romeo, dal sottotenente Federico De Feo (comandante la tenenza di via Hermet) che “ con slancio, fervore e spirito di sacrificio si prodigò in varie perquisizioni ed interrogatori”. I Carabinieri “si avvalsero inoltre dell’opera del nucleo corazzato antiribelli legionale al comando del tenente Morgera Vincenzo”; dei marescialli maggiori Luigi Viro (comandante della squadra investigativa antiribelli) e Pietro Satta (comandante la stazione dei Carabinieri di Opicina); del maresciallo d’alloggio Gaetano Losito. Nel documento ci sono anche altri nomi, ma sono cancellati con un tratto di penna. Diciamo qui che il tenente Morgera Vincenzo divenne, nel dopoguerra, un penalista piuttosto noto a Trieste e fu avvocato di parte civile, nell’immediato dopoguerra, di alcune vedove di “infoibati”.
Antonio Malalan, Caterina Ciuk e Cristina Ferluga furono tra gli arrestati di Trebiciano; incarcerati ai “Gesuiti” il 13/12/42, rimasero prigionieri per circa tre mesi e successivamente dichiararono (nel corso dell’istruttoria al processo contro i dirigenti dell’Ispettorato speciale di PS, celebrato nel 1947) di avere assistito a sevizie nei confronti di alcune donne e di avere sentito i loro racconti di violenze anche di tipo sessuale. Caterina Ciuk, ad esempio, riferì il racconto di una donna che nella deposizione venne identificata come “signorina Mariza Maslo”: “Altre cose immorali sono successe delle quali per vergogna non volle parlarmi”. Questa “Mariza Maslo” si può con molta probabilità identificare in Maria Maslo, sorella del comandante partigiano Karlo Maslo, che fu arrestata il 2/10/42 nel corso di un’operazione svoltasi nel “vallone boscoso ad est di Prelose S. Egidio, provincia di Fiume”, dal Nucleo Mobile di Polizia Centrale dell’Ispettorato Speciale di PS, con elementi del Nucleo Mobile di Polizia di Senosecchia, che, leggiamo in un rapporto del 13/1/43 firmato dal dirigente dell’Ispettorato, l’Ispettore generale Giuseppe Gueli, “al comando del V. Commissario Domenico Miano, veniva a contatto con un numero imprecisato di ribelli, comandato dal Maslo Carlo”. I “ribelli” riuscirono a fuggire tranne Maria Maslo “che indossava abiti maschili” e che “veniva raggiunta dal cane di polizia Frik in consegna all’agente di PS Casagrande Giovanni (…) che – addentandola ad una gamba – riusciva ad immobilizzarla (…)”. Nel rapporto leggiamo anche che la donna, interrogata, “dichiarò di essere venuta sul posto assieme al commissario politico della banda Maslo (…) per avere notizie dei fratelli Carlo e Cristina, che non vedeva più da mesi, di non essersi trovata assieme ad altri e di non avere mai svolto, fino a quel momento attività comunista”. Naturalmente gli uomini di Gueli non le credettero e “successivamente, a seguito di molti ed abili interrogatori si è riusciti a sapere dalla Maslo i nomi delle varie persone che le hanno fornito vitto e alloggio”. 
Vista la deposizione della signora Ciuk, possiamo ben capire come si svolsero realmente i “molti ed abili interrogatori”, così come gli “abili e laboriosi interrogatori” cui fu sottoposto Giovanni (Ivan) Malalan, ci vengono descritti dal figlio Lucijan, che aveva 11 anni quando fu arrestato, assieme ai suoi due fratelli ed al padre. Ecco il suo racconto.
“Il maresciallo Viro era quello che dirigeva le torture. Fece torturare noi ragazzi davanti ai nostri genitori ed i nostri genitori davanti a noi. La mattina del 13 (dicembre, n.d.a.) un giovane carabiniere entrò nella stanza dove ci avevano trattenuto per la notte nella stazione; faceva freddo e quindi accese una stufa perché provò compassione per noi. Dopo un poco entrò Viro e si mise a gridare contro di lui, perché sprecava del legno per dei ribelli, dei banditi, mentre i soldati al fronte morivano di freddo; andò a prendere un mastello d’acqua e lo rovesciò sulla stufa, per spegnere il fuoco. Quasi ci fece soffocare con quel vapore, e poi ci lasciò al freddo. Ci picchiavano senza pietà, bastoni, schiaffi, manganelli. Un mio fratello, quattordicenne, non voleva confessare di avere aiutato i partigiani, lo picchiarono riducendolo ad una maschera di sangue, poi lo lasciarono vicino al muro e fecero entrare altri ragazzini della sua età, che vedendolo ridotto in quelle condizioni, si spaventarono e raccontarono tutto: chi di avere portato del cibo, chi delle armi e così via.
Però in questo elenco manca un nome: c’era anche un altro brigadiere che si chiamava Calligaris, o qualcosa di simile: era una belva, fu lui ad appendere per il collo mio fratello”. 
Specifichiamo che i fratelli Malalan erano quattro: il maggiore, Herman (Ermanno) Roman, che aveva iniziato la lotta assieme al gruppo di Anton Šibelja, cadde il 25/9/43 a diciannove anni, combattendo con la Kosovelova brigada presso Komen; un altro fratello, Milan, quindicenne, dopo l’arresto del dicembre 1942, fu incarcerato a Forlì in attesa di giudizio dal Tribunale Speciale, e dopo l’8 settembre 1943 consegnato ai tedeschi e deportato in Germania. Lucijan e il fratello Livio, di un anno maggiore, dopo l’8 settembre 1943 fuggirono con il padre Ivan (che era già da tempo collegato col Movimento di liberazione sloveno) e la madre Cristina, e divennero così effettivi nell’Esercito di liberazione jugoslavo, assieme al quale rientrarono a Trieste nei primi giorni di maggio 1945.
Torniamo ai responsabili degli arresti. Del maresciallo Viro, che viene indicato da Cristina Ferluga come torturatore della partigiana Majda Dekleva (nome di battaglia “Vera”; nell’autunno del ’44 entrò a fare parte del Comitato della Zveza Slovenske Mladine, Unione della gioventù slovena), leggiamo nel rapporto che “durante gli interrogatori degli arrestati dimostrò sagacia, intuito ed abilità non comuni” (forse anche qualcos’altro di “non comune”, possiamo commentare). Viro, Satta e Losito furono proposti per un premio in denaro di 500 lire, Vinci di 300.
L’operazione tutta (gli arresti ed anche le torture cui furono sottoposti gli arrestati), fu quindi ufficialmente opera non di agenti di PS ma di carabinieri: questo particolare avrà la sua importanza quando, nel corso del processo Gueli, si discuterà anche di questi crimini. Infatti la Corte Straordinaria d’Assise decise che essendo le violenze denunciate da Caterina Malalan state commesse dai Carabinieri di Opicina, non se ne poteva attribuire la responsabilità all’Ispettorato.
A questo punto sorge spontanea questa osservazione: perché non furono assunti come prove i verbali che noi abbiamo reperito negli archivi e che all’epoca dovevano trovarsi ancora agli atti in Prefettura, e che attestavano che l’operazione in cui fu arrestata Maria Maslo e quella di Trebiciano erano state organizzate dall’Ispettorato Speciale?

gennaio 2011


Tra Ufficio Zone di Confine, Porzus, e Pasquinelli: l'avvocato Giannini di Trieste

MEMORIA: L’AVVOCATO GIANNINI DI TRIESTE.

In questi giorni dedicati alla memoria (dei crimini del nazifascismo) e del ricordo (delle “foibe” e dell’esodo dall’Istria) cade anche un altro anniversario, quello dell’eccidio di Porzûs, quando un gruppo di partigiani “bianchi” della Divisione Osoppo fu ucciso da partigiani della Garibaldi, comandati da Mario Toffanin “Giacca”. La vicenda, tuttora controversa nonostante (o, forse, anche per) il complicato iter giuridico svoltosi nel dopoguerra, mostra ancora tanti punti oscuri ed è impossibile parlarne in queste poche righe (vi rimandiamo per questo a due studi, “Porzûs, Dialoghi sopra un processo da rifare, di A. Kersevan, Kappa Vu 1995 e “Porzûs: la Resistenza lacerata”, di D. Franceschini, IRSML FVG 1996): diciamo soltanto che alle malghe di Porzûs si trovava, assieme agli osovani comandati da Francesco De Gregori “Bolla”, una donna denunciata come spia da Radio Londra (Elda Turchetto, che fu tra gli uccisi), e che si era diffusa la notizia che l’Osoppo aveva avuto dei contatti con la Decima Mas in funzione anticomunista ed antijugoslava. 
Tralasciando le possibili interpretazioni della vicenda vorremmo invece in questa sede parlare del ruolo avuto dall’avvocato di parte civile al processo iniziato a Lucca nel 1951, il triestino Luigi Giannini.
L’avvocato Giannini, medaglia d’argento al valore militare (ma non siamo riusciti a trovare le motivazioni di questa onorificenza), padre di Enrico Giannini (militare della “Legnano” rientrato a Trieste nel maggio 1945 ed arrestato dalle autorità jugoslave, poi scomparso in prigionia), aveva assunto, nel 1947, la difesa di Maria Pasquinelli. Ricordiamo chi era Maria Pasquinelli, ex insegnante di mistica fascista, che si recò come crocerossina in Africa e lì sì travestì da uomo per combattere con l’esercito italiano (e per questo motivo fu espulsa dalla CRI); dopo l’8 settembre si era recata in Istria e in Dalmazia, dove aveva condotto delle ricerche sulle “foibe” per conto della Decima Mas e successivamente aveva fatto da collegamento tra la Decima e la Osoppo (abbiamo trovato in rete questo riferimento al lavoro di Pasquinelli, ma il link non è più disponibile: “tentò verso la fine del 44 e gli inizi del 45, su mandato del comandante Borghese, di trovare un accordo fra la X Mas e la Brigata partigiana Osoppo in funzione anti slava, per preservare le popolazioni civili giuliane e dalmate dalle stragi delle bande titine”). Coincidenza: Maria Pasquinelli aveva avuto una parte negli eventi che portarono alla tragedia di Porzûs, del cui processo si occupò in seguito lo stesso avvocato che assunse la sua difesa quando l’ex maestra, dopo la firma del Trattato di pace del 1947, andò a Pola ed uccise a bruciapelo l’ufficiale britannico Robin de Winton, padre di famiglia, motivando il suo gesto criminale con queste parole:
“Mi ribello, con il proposito fermo, di colpire a morte chi ha la sventura di rappresentarli, ai Quattro Grandi, i quali, alla conferenza di Parigi, in oltraggio ai sensi di giustizia, di umanità e saggezza politica, hanno deciso di strappare ancora una volta dal grembo materno le terre più sacre d\'Italia”.
L’avvocato Luigi Giannini, dunque, difese Maria Pasquinelli, ed esordì davanti alla Corte alleata con queste parole:
“Prima di ogni altra cosa, signor presidente, io mi considero un italiano che difende un’italiana”.
Subito dopo lo svolgimento del processo Pasquinelli troviamo il nome dell’avvocato Giannini in una relazione “riservata”, datata 10/6/47 ed indirizzata dall’Ufficio staccato di Venezia al Prefetto Micali, responsabile per la Venezia Giulia del neo costituito provvisorio Ufficio per le Zone di Confine. Questo Ufficio, ricordiamo, aveva come scopo la “difesa dell’italianità” sia nell’Alto Adige, sia nella Venezia Giulia. Prendiamo alcuni stralci da questa relazione (che si trova citata nella sentenza ordinanza del Giudice Istruttore Carlo Mastelloni di Venezia n. 387/87 AGI “Argo 16”, p. 1.791), che tratta della necessità di trovare una persona adatta a gestire la situazione triestina, dove “è necessario che tutti gli italiani siano cementati in un sol blocco da opporre a quello slavo-comunista, compatto ed unitario, e trarre così quella forza di resistenza tanto necessaria al sostegno ed alla difesa dell\'Italianità della Venezia Giulia”, dove per arrivare a questa coesione non sono considerati adatti i partiti (che “dividono anziché unire i cittadini”) ma piuttosto la Lega Nazionale, che però dovrebbe avere come coordinatore un “fiduciario del governo”, con i requisiti “della popolarità, della conoscenza perfetta della situazione politica, della non appartenenza ai partiti politici, dell’unanime stima e fiducia della popolazione”. Questa persona, che “dovrebbe rappresentare la longa manus del governo, avere ampi poteri, indirizzare la vita politica nella lotta a sostegno dell’italianità della Venezia Giulia”, viene identificato nella persona dell’avvocato “Luigi Giannini, antifascista, colonnello dell\'esercito italiano al seguito delle forze alleate, professionista di alto valore, di vasta preparazione politica, carattere energico, unanimamente stimato e particolarmente popolare quale difensore della Pasquinelli”.
Se poi l’avvocato Giannini abbia rappresentato la longa manus del Governo italiano nella Venezia Giulia (in un momento in cui, ricordiamo, la Venezia Giulia era amministrata da un Governo militare alleato) non siamo riusciti a ricostruire dai dati in nostro possesso, quindi teniamo in sospeso la questione e facciamo un salto in avanti, all’epoca dell’istruttoria per il processo Porzûs.
Riprendiamo in mano la sentenza ordinanza di cui sopra, riportando una breve valutazione del magistrato (p. 1.807) sul comportamento dell’Ufficio Zone di Confine relativamente allo svolgimento dell’istruttoria per i fatti di Porzûs.
< Si trattò dunque di una necessità politica coerente al clima proprio del periodo degli anni dal 1950 al 1952: occorreva ribadire che l’episodio, anche se avvenuto durante la lotta di Liberazione, era da ricondurre esclusivamente alle minacce comuniste di occupazione di parte del territorio nazionale, quanto mai attuali nella Venezia Giulia ove ancora non si era intravista alcuna possibile e soddisfacente soluzione della questione di Trieste.
Si trattò anche di un’ingerenza criptica che passò attraverso i rituali schemi della sovrapposizione dell’Esecutivo al potere Giudiziario, prono alle direttive ricevute (…) >.
Successivamente troviamo inserite nella sentenza alcune comunicazioni intercorse nel 1951 tra il prefetto Innocenti (capo dell’Ufficio Zone di Confine) e l’onorevole friulano Carron “scelto come il canale attraverso cui la Presidenza del Consiglio gestiva anche il lato pratico di alcuni aspetti non trascurabili del processo affidandogli le sovvenzioni finanziarie dirette ad integrare, per così dire, le spese sostenute per le trasferte dai testi e dalle parti lese ritenute insufficienti”. Questo il testo della Nota n° 200/432 del 20/1/51: 
< “Egregio Onorevole, (Carron) l’Avv. Giannini mi informa da Trieste che l’affare “Porzûs” ha subito una battuta d’arresto, che non prelude a nulla di buono per i nostri interessi. 
Egli mi ha soggiunto, inoltre, che Lei avrebbe dovuto presentare alla Giustizia un appunto in proposito: ma fino a ieri, secondo quanto mi ha confermato il Cons. Olivieri Sangiacomo – Capo Gabinetto della Giustizia – nulla sarebbe giunto a quel Ministero. 
Poiché la questione riveste un carattere di particolare urgenza, Le sarò assai grato se vorrà cortesemente farmi conoscere se e quali passi Ella abbia inteso compiere al riguardo…”.

Annesso al telex è stato rinvenuto un altrettanto eloquente manoscritto ove sono fissati alcuni concetti , da qualificarsi vere e proprie direttive, che prontamente riceveranno attuazione: con buona pace del principio di indipendenza della magistratura appena sancito nella carta Costituzionale: 
“Alla cassazione: pendenti ricorsi imputati (processo Porzûs…) intesi a ottenere:
1) revoca dei mandati di cattura in quanto i reati contestati sarebbero stati commessi per i fini politici considerati ai decreti,
2) il rinvio, la nuova istruttoria, la successiva eventuale unione dei giudizi sarebbe irrituale.
Convocare il P.G. di Venezia (quivi, però, è l’Avv. Gen. Tissà che si occupa del processo) e ordinargli che proceda subito contro coloro per cui abbiamo presentato denuncia.
Meglio se fosse incaricato di promuovere l’azione penale il procuratore di Udine (Franz), perché costoro si trovano sul luogo e conoscono i fatti” >.
Successivamente troviamo citato un 
< telex a firma del Prefetto INNOCENTI, che reca il “n° 200/2126/4.124” e datato “18 aprile 1950 ”, inviato all’Avvocato GIANNINI di Trieste rivela come il dirigente l’Ufficio Zone di Confine conoscesse in anticipo ciò che la Cassazione avrebbe deciso: l’assegnazione alla sede di Venezia della trattazione del processo di primo grado all’esito di un ricorso avviato dai difensori della Garibaldi per legittima suspicione in relazione al radicamento della causa a Udine.
Vi è un ulteriore manoscritto , attribuibile - vista la grafia - sicuramente all’avvocato GIANNINI , che evidenzia come il legale abbia chiesto un attivazione del Governo per un intervento presso il Ministero di Grazia e Giustizia i cui organi avrebbero dovuto convocare il Presidente della Corte di Appello ed eventualmente il Procuratore Generale per rappresentare ad essi “ciò che è giusto e necessario fare”:
Un ulteriore intervento finanziario della Presidenza, finalizzato al deposito nel processo di documenti comprovanti la responsabilità dei “Capi Garibaldini” nell’eccidio - documenti tenuti dall’Avv. GIANNINI di Trieste - viene richiesto da Don Aurelio DE LUCA (fondatore della Div. Osoppo) all’Ufficio Zone di Confine. In tal senso il Prefetto INNOCENTI, in data 17 gennaio 1951, stila un Appunto “per l’On. Sottosegretario di Stato” chiedendo l’autorizzazione per un ulteriore impegno finanziario della Presidenza del Consiglio a favore dell’Avvocato GIANNINI :
“Oggetto: processo Porzûs. (Richiesta di Don Aurelio De Luca)
In via riservata ma da fonte attendibilissima (procuratore Repubblica Udine) la Osoppo Friuli è stata avvertita che fra pochi giorni l’istruttoria per il processo Porzûs sarà chiusa.
Non essendosi presentati ancora i documenti definitivi comprovanti le responsabilità dei capi Garibaldini arrestati un mese fà questi verranno rilasciati a piede libero perchè assolti in istruttoria.
La documentazione comprovante la responsabilità degli stessi è nelle mani dell’Avv. Giannini di Trieste, il quale per altro non intende interessarsi ulteriormente del processo se non ha una assicurazione che verrà retribuito per l’opera prestata.
È necessario quindi che l’Avv. venga assicurato immediatamente che non mancheranno i mezzi per la ripresa del processo.
Si fa presente a V.E. che per tale questione la Presidenza ha già erogato la somma di L. 3.500.000, che tramite l’On. Carron sono già stati spesi nella prima fase del processo già svoltosi nel gennaio sc.a. a Brescia.
Per le immediate esigenze di cui sopra viene richiesto un contributo di almeno un milione e mezzo.
Roma, 17 gennaio 1951”.
In calce all’Appunto si rileva la decretazione dell’autorizzazione alla spesa da parte del Sottosegretario >. 

In sintesi, se abbiamo capito bene, l’avvocato Giannini sarebbe stato in possesso di documentazione tale da incriminare gli accusati dell’eccidio di Porzûs, ma per consegnarla agli inquirenti avrebbe chiesto “un contributo di almeno un milione e mezzo” di lire dell’epoca: contributo che gli fu prontamente versato dalla Presidenza del Consiglio, che finanziava l’Ufficio Zone di Confine (ricordiamo che il sottosegretario che si occupava di questo Ufficio era l’allora giovane Giulio Andreotti, all’inizio della sua carriera politica). 
A noi, persone di mentalità ristretta ed antiquata, un tale comportamento appare vagamente anomalo, dato che siamo del parere che un legale incaricato di seguire un’istruttoria dovrebbe, trovandosi in mano documentazione necessaria alle indagini, consegnarle senz’altro agli inquirenti, e non richiedere “contributi” economici.
Abbiamo comunque ritenuto utile rendere nota questa documentazione nei giorni in cui, nel corso delle cerimonie in ricordo dell’eccidio, abbiamo sentito chiedere che l’intera zona delle malghe venga dichiarata monumento nazionale e paragonare (dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Carlo Giovanardi, curiosamente la stessa carica che aveva ricoperto Andreotti all’epoca del processo) i “nostri militari impegnati in Afghanistan” ai partigiani della Osoppo, morti per “valori universali”.





Berlinska revolucija januara 1919.

Jasna Tkalec

3 februar 2011

U januaru 1919. oteti su, podvrgnuti torturi i mučki ubijeni osnivači Komunističke partije Njemačke i vođe pobune Saveza Spartakista Karl Liebknecht i Rosa Luxemburg. Izvršioci zločina bili su Freikörpsi i vojni streljački odredi, a okrutna ubojstva izvršena su po nalogu socijaldemokratske vlade s Friedrichom Ebertom na čelu. Tijelo Rose Luxebmurg bačeno je u kanal rijeke toliko iskasapljeno da ni kasnije, kada je nađeno, nikad nije točno utvrđeno da li se radi o autentičnim ostacima, čak ni kad su svečano sahranjeni i kad je žrtvama podignut spomenik. Ova mračna januarska katastrofa imala je tragične posljedice po historiju ne samo međunarodnog radničkog pokreta nego i po cijelu svjetsku historiju i na neki neizravan način ona je daleki uzrok teških dana koje i danas proživljavamo.

Lenjin i boljševici, kad su u jeku rata podigli Oktobarsku revoluciju, nisu ni jednog časa sumnjali da će se dići cijeli svjetski proletarijat i da će revolucija biti svjetska. Samo kao svjetska revolucija ona je imala nade u uspjeh. To su pokazivali mnogi znaci, jer je do pobuna došlo svugdje, od Kube i Španjolske i od Meksika do Austro-Ugarske. Svuda su se u bazi stvarali savjeti vojnika, radnika i seljaka i narod se odlučno bunio protiv krvave kasapnice Prvog svjetskog rata, bezdušnog izrabljivanja i mučnog života. U našim krajevima došlo je do ustanka mornara u Boki Kotorskoj, koji je ugušen u krvi strijeljanjem mornarskih vođa. Zemlja koja je bila najbliža Rusiji i s čijim su vođama ruski boljševici (pa i menjševici i socijalisti revolucionari) imali najprisnije veze, koja je bila industrijski razvijena i politički organizirana, a čija je radnička klasa bila teško pogođena ratnim gubicima, bila je Njemačka.

I zaista topovi s krstarice Aurora i pad Zimskog dvorca snažno su odjeknuli čitavom Njemačkom. Rat je naglo završen u novembru 1918. na zapadnom frontu, u Francuskoj, budući da je u Njemačkoj došlo do revolucije. Primirje je sklopljeno u željezničkom vagonu u Compiègnu, jer usprkos velikim gubicima Nijemci vojno nisu bili sasvim poraženi. To će izazvati osjećaj povrijeđenosti ponižavajuće teškim uvjetima Versailleskog mira, koji će zemlju baciti na koljena i kazniti je kao agresora, dok se masama u Njemačkoj činilo netočnim i jedno i drugo, a ujedno su doživjele kao veliku nepravdu oduzimanje prostranih pokrajina na istoku i na zapadu. Sve to bit će uzrokom druge, još veće i još krvavije katastrofe: izbijanjem II. svjetskog rata. No u novembru i decembru 1918 godine, nakon što je rat prekinut, a car poslan u umobolnicu, cijela se zemlja zatalasala pod crvenim revolucionarnim valom. Od sjevera do juga zemlje planule su bune. Prvo pobune mornara i vojnika u Kielu, pa u Berlinu i u Münchenu. Plamen je bio velik, ali kratkotrajan.

Njemačka je bila druga po redu zemlja u kojoj su revolucionarni mornari zavijorili zastavu sovjeta duž cijele zemlje i u kojoj je izvršni komitet berlinskih radnika i vojnika imenovao socijalističku vladu u zemlji. Na trenutak se učinilo da su se ruska Februarska i Oktobarska revolucija slile u jednu u toj zemlji, jer čim je imperator abdicirao, izgledalo je da je stvarna vlast u prijestolnici smjesta prešla u ruke najradikalnijih socijalista. Nažalost radilo se o iluziji, koju je izazvala trenutna, ali potpuna paraliza dotadašnje vojske i državnog aparata, dotučenih dotad najstrašnijim dvostrukim slomom kao i izbijanjem revolucije.

Historija nosi iznenadne bljeskove, kad revolucionarni plamen visoko sukne izazvavši skokove unaprijed, da bi potom pad bio još dublji. Ubrzo se prijašnji režim u republikanskom ruhu vratio na svoje staro mjesto i za njega socijalisti nisu više značili ozbiljnu opasnost, jer na izborima raspisanim smjesta nakon revolucije radikalno krilo socijalista nije dobilo većinu. Socijaldemokrati su dobili 38% glasova, dok su odcijepljeni revolucionarni socijalisti dobili svega 7,5% glasova. Još je manju prijetnju za njemačke kapitaliste predstavljala tek osnovana Komunistička partija, čiji su lideri smjesta ubijeni.

revolucija spala na jednu zemlju

Boljševička nada u svjetsku revoluciju i u pobjedu revolucionarnih snaga u Njemačkoj ostajala je žilava usprkos pogibiji Rose Luxemburg i Karla Liebknechta. Isto su takvo nepokolebljivo uvjerenje pokazali i njemački komunisti. U proljeće te nesretne 1919. godine bila je i u Bavarskoj proklamirana Sovjetska republika, koja je ugušena ubojstvom njenog vođe, nakon čega se pobunio München, središte kulture i umjetnosti zemlje s tradicionalno jakom opozicijom . Revolucionarno talasanje u Evropi time nije još bilo završeno i davalo je i dalje nade boljševicima: Nakon Njemačke podigla se Mađarska, u kojoj je revolucija trajala od mjeseca marta do jula 1919. godine, ali i ona je bila poražena i izazvala veliki emigrantski val.

Poraz revolucija u Evropi ostavio je Rusiju odnosno Sovjetski Savez izoliran i osamljen pa ga ni herojstvom izvojevana pobjeda u građanskom ratu ni poraz strane intervencije neće uspjeti spasiti od zastranjivanja. Nikad ni Marx ni itko drugi tko je pasionirano slijedio nauk Kapitala i Komunističkog Manifesta nije računao na pobjedu komune samo u jednoj zemlji i još tako užasno zaostaloj kao što je bila Rusija. Bila je to revolucija protiv Kapitala, kako ju je nazvao Antonio Gramsci, odnosno sve tragedije, svi neuspjesi i mrlje na crvenoj zastavi, sva sramoćenja revolucionarnog pokreta, koja su se dogodila u dvadesetom stoljeću prouzročio je neuspjeh svjetske revolucije, a njen prvi tragični poraz bilo je obezglavljivanje revolucionara u Njemačkoj, slom Spartakovaca i ubojstva revolucionarnih vođa Liebknechta i Luxemburg. Kažu da je i sam Lenjin toga bio itekako svjestan, a Trocki nikad nije prestao propovijedati i vidjeti pobjedu revolucije isključivo kao svjetski fenomen.

Makar i u jednoj jedinoj zemlji Oktobarska revolucija, prva pobjeda u historiji najbjednijih nad kapitalom, obilježila je cijelo XX. stoljeće oslobađanjem od životnih muka i robovskog rada ugnjetenih u vlastitoj zemlji te velikom nadom kojom je obasjala svijet i kroz cijeli vijek inspirirala porobljene. Zemlja sovjeta podnijela je lavovski dio u antifašističkoj borbi u II. svjetskom ratu, položivši za pobjedu nacifašizma dvadeset milijuna života svojih građana i omogućavala sve antiimperijalističke i antikolonijalne pokrete Trećeg svijeta uz udoban položaj radničke klase na Zapadu, jer se svjetski kapitalizam bojao bastiona radničke pobjede, koji je, usprkos svemu, predstavljao SSSR.

Ipak, razilaženja u shvaćanju revolucije i njenih institucija između boljševika i njemačkih lijevih socijalista ispoljila su se veoma rano – u poznatoj polemici između Lenjina i Luxemburg. Rosa Luxemburg bila je protiv diktature proletarijata u Lenjinovoj interpretaciji, protiv raspuštanja ustavotvorne skupštine i za striktno poštovanje prava zbora i dogovora kao i političkog organiziranja. Ona je bila za proširenje, a ne za sužavanje prava izborenih Francuskom revolucijom. Bez tih prava smatrala je da će radnička klasa biti sputana luđačkom košuljom i da je ukidanje demokracije i slobode parlamenta kobno i po samu radničku klasu. Ipak, čvrsto je stajala i ostajala na strani revolucije u burnim danima, koji su zahvatili Njemačku. Još i danas odjekuje i jednako je živ njen historijski poklič: "Revolucija ili barbarstvo!"

Nažalost, u Njemačkoj će konzervativne snage iznijeti pobjedu i 1919. i 1933. godine, a ta će pobjeda dovesti na svjetsku pozornicu barbarstvo. Dotad nezamisliva surovost te industrija rata i smrti krvlju će okupati svijet. Propast Spartakovaca bila je u neku ruku najava svih nadolazećih katastrofa dvadesetog stoljeća, njegovih ratova s neviđenim razaranjima, a indirektno i najava konačnog sloma Sovjetskog Saveza, kao i današnje svjetske tragedije ljevice. Da je pobijedila revolucija u Njemačkoj, historija dvadesetog stoljeća poprimila bi sasvim drugi tok.

Koncepcije za koje su se zalagali Spartakovci žive u radničkom pokretu i dan danas i predstavljaju ciljeve za koje se još uvijek vrijedi boriti. A ti su principi revolucionarna spontanost, demokracija koja polazi odozdo, iz baze, gdje se odluke donosi u savjetima. Revolucionarna tijela i organi imaju se povinovati demokratski donesenim odlukama baze, a ne rezolucijama partijskog aparata. Jednaka je i važnost proleterskog internacionalizma, koji lokalne manjine pretvara u ogromnu većinu. Oni koji nemaju, oni izrabljivani jučer kao i danas predstavljaju nesumnjivu većinu. Veliku važnost treba pridavati svijesti klase rada, jer bez nje nema pobjede u klasnoj borbi. Spartakovci su se također opredijelili protiv privatnog vlasništva nad sredstvima za proizvodnju, a smatrali su svojim glavnim zadatkom borbu za mir, protiv imperijalističkog rata, i gajili uvjerenje da opći štrajk svih radnika svijeta može dovesti do pobjede svjetske revolucije. Njihov je krajnji daleki cilj bilo ostvarenje komunističkog društva, a taj san završio je njihovom fizičkom likvidacijom i bacanjem njihovih posmrtnih ostataka u kanal. Tako je san o svjetskoj revoluciji završio jednog hladnog januarskog dana u Spreei, a nad svijet se nadvila buduća nesreća neslućenih razmjera.


Jorès i Luxemburg pozivali su na generalni štrajk protiv rata, što će ih oboje doći glave. Smrt Rose Luxemburg, osim sudbinskog gubitka za njemačku i poljsku revoluciju, značila je i gubitak izvanredne teoretičarke marksizma, koja je vrlo rano uvidjela golemu žilavost kapitalizma, što je ovaj crpi od imperijalizma, te nije predviđala, za razliku od Lenjina i boljševika, njegov skori i munjevit kraj. Ipak, argumentirano se i neštedimice obračunavala sa socijaldemokratskim revizionizmom Bernsteina, a uz naglašeno nepristajanje na privatno vlasništvo ima historijsku zaslugu što nikad nije posumnjala da je jedina alternativa socijalizmu barbarstvo. Kao poljska Židovka zazirala je od nacionalističkih pokreta pa je čak izrazila sumnju i u lenjinistički princip samoopredjeljenja naroda, dijelom jer je doživjela krvavi uspon poljskog nacionalizma, a dijelom jer je smatrala da treba u svakom slučaju dati prednost klasnoj borbi i internacionalizmu . Iza tragedije te rijetke žene ostala su pisma iz zatvora, djela Kapital i njegova akumulacija te Revolucija u Rusiji, polemika s Lenjinom i mnogobrojni napisi inspirativni i uvijek aktualni, pravi rudnik misli i stavova, a svojevrstan kuriozitet svakako predstavlja i činjenica što ju je dao ubiti njen vlastiti učenik, predsjednik socijaldemokratske vlade Ebert.Rosa Luxemburg, čije ime i danas inspirira komuniste, revolucionare i autentične ljevičare širom svijeta, rođena je u poljskom gradiću Zamošć 1871. kao peto dijete siromašne židovske porodice. Djevojčica se u školi isticala neobičnom umnošću i uspjela je, usprkos siromaštvu, studirati u Zürichu s cijelom plejadom ličnosti koje će odigrati važnu ulogu u radničkom pokretu, u revoluciji te u intelektualnim domašajima Evrope početkom dvadesetog stoljeća. Po završetku studija Luxemburg se bavila političkom agitacijom u Poljskoj, ali zbog progona mora pobjeći iz zemlje te je od 1907. do 1914. u Berlinu predavala političku ekonomiju. Kad je izbio rat čvrsto je stala na antiimperijalističke pozicije i organizirala niz pacifističkih manifestacija, zbog čega je uhapšena po nalogu cara Wilhelma II. Iako je osuđena na robiju, iz zatvora izlazi 1916. godine i s Karlom Liebknechtom nastavlja politički rad. Pacifistička djelatnost Rose Luxemburg, Karla Liebknechta, Clare Zetkin i Franza Mehringa predstavlja uz glas Jeana Jaurèsa u Francuskoj, kojeg su morali ubiti da bi počeli rat, jedine svijetle trenutke u općem pomračenju razuma cijelih nacija, što je dovelo do sveopćeg pokolja u interesu imperijalista i njihovih slugu.

Suosnivač Spartakovaca ubijen zajedno s Rosom, Karl Liebknecht, bio je sin osnivača Njemačke socijaldemokratske partije, Wilhelma Liebknechta iz Leipziga. Pošto je završio pravo i političku ekonomiju te doktorirao, otvorio je s bratom Theodorom advokatsku kancelariju u kojoj je branio osuđivane socijaliste. Kao član socijaldemokratske partije bio je predsjednik Socijalističke internacionale, a zbog djela Militarizam i antimilitarizam prvi put je uhapšen 1910. Potom postaje zastupnikReichstaga, a 1914. osnovao je s Franzom Mehringom, Klarom Zetkin, Paulom Levijem te Leom Jogichesom Savez Spartakovaca. Uskoro je uhapšen i upućen na front.

Oslobođen zbog bolesti, ponovo je uhapšen 1916. i osuđen za veleizdaju. Po izbijanju revolucionarnog pokreta u Berlinu 1918. pušten je iz zatvora i nastavio je revolucionarni rad. Ekspresionistički pisac Döblin posvetio je najljepše stranice svog djela liku narodnog vođe i Liebknechtovim riječima na pogrebu žrtava revolucije 1918. Spartakovci izdaju novine Crvena zastava, a u novembru 1918. Liebknecht proglašava Slobodnu Socijalističku Republiku s balkona Berlinskog dvorca, svega dva sata nakon što je Philipp Schleidemann proglasio Njemačku Republiku s balkona Reichstaga 31. decembra 1918. Prvog januara osnovana je Komunistička partija Njemačke. Dana 6. januara Spartakovci su u Berlinu podigli ustanak na čelu kojeg su bili Karl Liebknecht, Klara Zetkin, Rosa Luxemburg i Leo Jogiches. Ustanak nije uspio - vojska ga je okrutno ugušila, bilo je mnogo žrtava. Luxemburg i Liebknecht oteti su 13. januara, a ubijeni vjerojatno 15. te bačeni u kanal rijeke Spree.

Tog hladnog siječnja nisu samo prestala kucati dva revolucionarna srca njemačkog naroda. Uništena su i dva sjajna uma, koja su umjela razumjeti i predvidjeti historiju.



(english / italiano / deutsch)

Memoria 2011 / 7

Il Vaticano, la svastica e gli ustascia

1) OPERAZIONE ODESSA. Mi manda il Cupolone (G. De Luna, 2003)
Sulla fuga dei criminali nazisti e ustascia verso l'Argentina di Peron
2) Il Führer e il prelato, cattolici con la svastica (M. Patti, 2006)
Sull'apertura degli archivi del vescovo nazista Alois Hudal
3) Silence Implies Approval (G. Wilensky, 2011)
You’d think the Catholic Church would (...) repudiate the actions of the Ustasha and its leader Pavelić, but you’d be wrong.


--- LINKS: ---

Über die Netzwerke des Bundesnachrichtendienstes
von Klaus Eichner und Gotthold Schramm, Tageszeitung junge Welt

Teil I: Braunes Sammelbecken (03.02.2011 / Thema / Seite 10)
http://www.jungewelt.de/2011/02-03/015.php

Teil II und Schluß: »Im Dienste alter Kameraden« (04.02.2011 / Thema / Seite 10)

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“Far more than shameless.” A Survivor Talks About Croatia’s ‘Museum’ at Jasenovac

Interview with Smilja Tišma (Belgrade), President, Organization of Survivors
Interviewer and translator: Jovan Skendžic [5 February 2007]


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LA NOSTRA PAGINA DEDICATA A RATLINES E ODESSA
https://www.cnj.it/documentazione/ratlines2.htm

Ratlines. La guerra della Chiesa contro il comunismo: le reti di fuga dei criminali di guerra nazisti e ustascia nel secondo dopoguerra, con la copertura del Vaticano (sintesi dal libro di Mark Aarons e John Loftus)
https://www.cnj.it/documentazione/ratlines.htm

La nostra pagina sui crimini degli ustascia nella Croazia "indipendente" (1941-1945)

La nostra pagina sui crimini degli ustascia, al servizio della NATO nel corso della Guerra Fredda


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LA STAMPA, 3/11/2003
Sezione: Cultura Pag. 16

LA FUGA DEI CRIMINALI NAZISTI VERSO L'ARGENTINA DI PERÓN:
UNA METICOLOSA E DOCUMENTATA RICOSTRUZIONE DELLO STORICO UKI GOÑI 

OPERAZIONE ODESSA
Mi manda il Cupolone

Giovanni De Luna

Lo chiamavano il «Mengele danese», Carl Vaernet era un medico delle SS che sosteneva di aver scoperto una «cura» per l'omosessualità; nel 1944 Himmler mise a disposizione delle sue folli ricerche la popolazione del «triangolo rosa», gli omosessuali internati a Buchenwald. I malcapitati furono castrati e gli fu impiantato un «glande sessuale artificiale», un tubo metallico che rilasciava testosterone nell'inguine. Secondo i racconti dei sopravvissuti, i medici delle SS a Buchenwald raccontavano barzellette raccapriccianti su quel tipo di esperimenti. Vaernet era un pazzo sadico; inserito nella lista dei criminali di guerra, alla fine del conflitto riuscì a scappare sano e salvo in Argentina. E come lui migliaia di aguzzini nazisti tedeschi, fascisti italiani, ustascia croati, rexisti belgi, collaborazionisti francesi ecc.; tutti se la cavarono grazie a una rete di complicità mostruosamente efficiente e all'aperta connivenza del governo di Juan Domingo Perón. Un romanzo (Dossier Odessa) di Frederick Forsyth, raccontava di un gruppo di membri delle SS che dopo la sconfitta si erano raccolti in un'organizzazione segreta (Odessa, acronimo di Organisation der Ehemaligen SS-Angehorigen) che aveva il duplice scopo di salvare i commilitoni dalle forche degli Alleati e creare un Quarto Reich che completasse l'opera di Hitler. Per quanto romanzesca fosse la trama «inventata» da Forsyth, il suo racconto si avvicinava in modo inquietante alla realtà. Odessa esisteva davvero. Solo era difficilissimo ricostruirne la storia: i fascicoli del suo archivio erano stati distrutti in gran parte nel 1955, nel marasma degli ultimi giorni del governo di Perón; quelli che rimasero furono definitivamente buttati via nel 1996. Ma le tracce della sua attività erano troppo evidenti per essere cancellate del tutto. Così ora, finalmente, grazie alla pazienza e all'abilità dello storico e giornalista argentino Uki Goñi (Operazione Odessa. La fuga dei gerarchi nazisti verso l'Argentina di Perón, Garzanti, pp. 480, e.24) e lunghe ricerche in Belgio, Svizzera, Londra, Stati Uniti, Argentina, disponiamo di una storia completa della più incredibile operazione di salvataggio di migliaia di criminali mai progettata e mai realizzata in tutto il Novecento.
Diciamolo subito. Se l'Argentina di Perón era la «terra promessa», l'asilo già generosamente predisposto ancor prima che la guerra finisse, il cuore e il cervello dell'intera operazione Odessa era a Roma (dove Perón soggiornò dal 1939 al 1941), nel cuore del Vaticano. In quel turbinoso dopoguerra italiano era veramente difficile distinguere tra vincitori e vinti. Nazisti e fascisti avevano perso la guerra; eppure mai ai vinti mancò il soccorso dei vincitori, il sostegno di quelle istituzioni che sarebbero dovute nascere all'insegna dell'antifascismo e della democrazia e che invece erano ricostruite nel segno della più rigorosa continuità con i vecchi apparati del regime fascista. Fu l'anticomunismo, furono le prime avvisaglie della «guerra fredda» a spingere i vincitori a salvare i vinti.
Il Vaticano fu il motore di questa scelta. Ma veramente monsignor Montini fu il protagonista di questo intervento che garantì l'incolumità a criminali come Erich Priebke, Josef Mengele, Adolf Eichmann ecc.? E veramente il Vaticano fu il crocevia di tutta una serie di iniziative che puntavano a rimettere in piedi il movimento ustascia di Ante Pavelic per organizzare una guerriglia anticomunista contro la Jugoslavia di Tito? Sì, veramente. Già nel 1947 i servizi segreti americani avevano stabilito che «una disamina dei registri di Ginevra inerenti tutti i passaporti concessi dalla Croce Rossa internazionale rivelerebbe fatti sorprendenti e incredibili». Oggi la disamina di quei registri è possibile e Goñi l'ha fatta. E le sue conclusioni sono nette: la Chiesa cattolica non fu solo un complice dell'«operazione Odessa» ma la sua protagonista indiscussa: oltre a monsignor Montini i suoi vertici furono i cardinali Eugène Tisserant e Antonio Caggiano (quest'ultimo, argentino, nel 1960 espresse pubblicamente - «bisogna perdonarlo» -, il suo rincrescimento per la cattura di Eichmann da parte degli israeliani), mentre la dimensione operativa fu curata da una pattuglia di alti prelati, il futuro cardinale genovese Siri, il vescovo austriaco Alois Hudal, parroco della chiesa di Santa Maria dell'Anima in via della Pace a Roma e guida spirituale della comunità tedesca in Italia, il sacerdote croato Krunoslav Draganovic, il vescovo argentino Augustín Barrère. 
I documenti citati da Goñi sono molti e molto convincenti, da una lettera del 31 agosto 1946 del vescovo Hudal a Perón che chiedeva di consentire l'ingresso in Argentina a «5 mila combattenti anticomunisti» (la richiesta numericamente più imponente emersa dagli archivi) all'intervento di Montini per esprimere all'ambasciatore argentino presso la Santa Sede l'interesse di Pio XII all'emigrazione «non solo di italiani» (giugno 1946). Non si tratta di iniziative estemporanee e certamente la loro rilevanza storiografica non può esaurirsi in una lettura puramente «spionistica».
Un versante della seconda guerra mondiale trascurato dagli storici è quello che vede gli Stati latini, cattolici e neutrali, europei e sudamericani, protagonisti di vicende diplomatiche segnate però da un particolare contesto culturale e ideologico: nella cattolicissima Argentina (la Vergine Maria fu nominata generale dell'esercito nel 1943, dopo il golpe dei militari) ci si cullò nell'illusione di poter formare insieme con la Spagna e il Vaticano una sorta di «triangolo della pace», per preservare «i valori spirituali della civiltà» fino a quando la guerra in Europa continuava. Un progetto più ambizioso puntava a unire, con la leadership del Vaticano, i paesi dell'Europa cattolica, Ungheria, Romania, Slovenia, Italia, Spagna, Portogallo e Francia di Vichy per integrarli nel «nuovo ordine europeo» voluto dai nazisti; in quel periodo (1942-1943), in Sud America governi filonazisti esistevano già in Argentina, Cile, Bolivia e Paraguay: il disegno era di conquistare a un'alleanza in chiave antiamericana anche il piccolo e democratico Uruguay e il grande e cattolico Brasile. Questi disegni naufragarono tutti sotto il peso delle rovinose sconfitte militari dell'Asse ma furono l'humus ideologica da cui nacque nel dopoguerra la rete di «Odessa».
La centrale italiana operò soprattutto per il salvataggio degli ustascia di Ante Pavelic. Alla fine della guerra ce n'erano migliaia, sparsi nei vari campi a Jesi, Fermo, Eboli, Salerno, Trani, Barletta, Riccione, Rimini ecc. Una poderosa ricerca ora avviata dal giovane storico Costantino Di Sante sta facendo luce su una delle pagine più oscure di quel periodo. Si trattava di criminali macchiatisi di delitti che avevano suscitato orrore perfino nei loro alleati nazisti (che biasimarono «gli istinti animaleschi» dei croati): fucilazioni di massa, bastonature a morte, decapitazioni, per conseguire il risultato di uno Stato (la Croazia) razzialmente puro e cattolico al 100%. Alla fine della guerra circa 700 mila persone erano morte nei campi di sterminio ustascia a Jasenovac e altrove: le vittime appartenevano soprattutto alla popolazione serba ortodossa ma nell'elenco figuravano anche moltissimi ebrei e zingari. Il principale teorico del regime croato, Ivo Gubernina, era un sacerdote cattolico romano che coniugava le nozioni di «purificazione» religiosa e «igiene razziale» con un appello affinché la Croazia «fosse ripulita da elementi estranei».
Gran parte di questi criminali si salvò passando da Roma verso l'Argentina: la via di fuga portava a San Girolamo, un monastero croato sito in via Tomacelli 132. Parlando del loro capo, Ante Pavelic, un rapporto dei servizi segreti americani concludeva: «Oggi, agli occhi del Vaticano, Pavelic è un cattolico militante, un uomo che ha sbagliato, ma che ha sbagliato lottando per il cattolicesimo. È per questo motivo che il Soggetto gode ora della protezione del Vaticano». Alla fine, tra il 1947 e il 1951, secondo i dati raccolti da Di Sante, furono 13 mila gli ustascia che riuscirono a salvarsi usando il canale italoargentino.

Copyright © La Stampa


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Il Führer e il prelato, cattolici con la svastica

di Martino Patti

su Il Manifesto del 06/10/2006 - http://www.ilmanifesto.it

L'apertura degli archivi del vescovo filonazista Alois Hudal, rettore per decenni del Collegio pangermanico di Santa Maria dell'Anima a Roma ripropone la necessità di una analisi in profondità dei rapporti tra la gerarchia cattolica tedesca e l'ideologia hitleriana


Da tempo, ormai, il dibattito storiografico sui rapporti tra chiesa cattolica e Germania nazista sembra essersi impantanato sull'enigmatica figura di Pio XII. Ben sapendo che una porzione consistente delle carte resta ancora sotto chiave negli archivi vaticani (ognuno ha i suoi tempi, per carità) si continuano a costruire le ipotesi più fantasiose sui presunti silenzi del pontefice, sul suo presunto antisemitismo, sulle sue presunte responsabilità nelle vicende legate al secondo conflitto mondiale e all'Olocausto, quasi fosse questa la sola cosa essenziale. Certo il reality - vero o falso che sia - vende discretamente bene e a molti, in fondo, imbastire polemiche conviene.
Ma sul serio non c'è dell'altro? Sul serio, per comprendere in che modo - tanto per iniziare - il cattolicesimo tedesco reagì alla virulenta ondata hitleriana e alla demolizione definitiva della Repubblica, non possiamo prescindere dal povero Pacelli, e provare a ritagliare un numero esauriente di casi empirici, da cui dedurre - come richiederebbero le leggi più elementari della storiografia - situazioni, convergenze ricorrenti e eventualmente una prima interpretazione? «Guré, guré behet kalaja» recita un antico proverbio albanese: pietra su pietra, si fa il castello.

Un prelato arrivista

Gli spazi di lavoro, del resto, sono ampi e variegati. Talvolta, persino al di qua del Brennero: come ci dimostra il Collegio Pangermanico di Santa Maria dell'Anima in Roma, che con un doveroso gesto di coraggio (tardivo anch'esso, ma comunque ammirevole) inaugura oggi l'apertura agli studiosi degli archivi personali di monsignor Alois Hudal. Il passaggio è di notevole importanza, anche se forse sull'infame Netzwerk Odessa saranno poche le sorprese. I novantasei faldoni hudaliani, infatti, oltre a gettare luce sulla personalità (contorta e arrivista) dell'autorevole prelato austriaco, a confermare in maniera non più discutibile le tristi immagini affrescate da Ernst Klee nei suoi brillanti reportage (tradotti in italiano in Chiesa e nazismo, Einaudi 1993) e a suggerire nuove piste di ricerca, mettono bene in risalto l'ingombranza fastidiosa dell'enorme piattaforma mentale e culturale offerta da ampi settori del cattolicesimo di ambientazione germanica alla presunta «rivoluzione nazionale» ventilata dal Führer e dal suo movimento.
Le simpatie di monsignor Hudal per il nazismo non sono una novità per nessuno né si dimentica che, ancora nei primi anni '60, fu lo stesso rettore emerito del prestigioso istituto pontificio a ribadire con superbia, dall'esilio forzato di Grottaferrata, tra le righe dei Römische Tagebücher (i «Diari romani»), la sua tesi ributtante: sempre meglio Hitler che la paccottiglia giudeo-bolscevica, la democrazia socialdemocratica o per contro il capitalismo americano. E ai forni polacchi neanche un accenno, una allusione di pietà.
Trent'anni addietro, inoltre - al chiaro scopo di convincere le gerarchie ecclesiastiche e i cattolici più «illuminati», e tuttavia ancora timorosi, circa l'intrinseca bontà o recuperabilità in chiave cristiana del nazismo - Hudal aveva dato alle stampe il ponderoso trattato Die Grundlagen des Nationalsozialismus («I fondamenti spirituali del nazionalsocialismo», Lipsia-Vienna, 1936).

Condanne in contumacia

Nessuno sgomento, dunque, nel ritrovare, tra i forzieri rinascimentali dell'Anima, obbrobri clamorosi quali la dedica del volume al dittatore tedesco («Al Führer del Risorgimento tedesco. Al novello Sigfriedo della grandezza e della speranza della Germania - Adolf Hitler») o la copia del telegramma datato 15 luglio 1937, con cui Hudal, ormai vescovo titolare di Ela, esprimeva alla dirigenza del Reich le proprie cordiali congratulazioni per la buona riuscita dell'Anschluß. Di fronte a simili sbottate lo sdegno è sacrosanto. E tuttavia, condannare in contumacia i monsignori - com'è d'uso da almeno mezzo secolo - basta davvero a far progredire la ricerca? Evidentemente no. Quel che serve, semmai, è afferrare le radici nel profondo, stabilire legami verosimili tra il presente e il passato - e poi, è ovvio, agire e contestare se necessario. È una questione anche di strategia: per poterlo sconfiggere, prima bisogna conoscerlo, il nemico. Ma da questo punto di vista è desolante constatare quanto superficiale sia stato finora, in generale, l'approccio analitico al fenomeno del consenso cattolico nei confronti dei regimi autoritari fioriti in mezza Europa tra le due guerre mondiali. Che non si sia compreso come il sostegno di Hudal al nazismo, lungi dal rappresentare il singolare esito patologico di una qualche deviazione individuale, riassuma in miniatura una intera stagione teologico-intellettuale, e forse persino magistrale, precisamente questo è grave.
Ma cosa dicono le fonti? In realtà, le più recenti acquisizioni documentarie, e segnatamente gli scritti di monsignor Hudal, suggeriscono la netta impressione che, specie nei primi ventiquattro mesi di dittatura - sullo sfondo della modernità illuminista e liberale, della secolarizzazione, del Kulturkampf «d'infausta memoria» e della minacciosa rivoluzione d'Ottobre - sia scattata una sciagurata interferenza tra la profezia ideologica divulgata, e in parte poi inverata, dalla Nsdap (il partito nazista) e le correnti teologiche più avanzate dell'epoca. Nella congiuntura di sofferta transizione scaturita da Versailles, contrassegnata dalla depressione economica e dal radicalizzarsi del conflitto sociale, la lezione aristotelico-tomista e agostiniana (mediata tra Otto e Novecento da pensatori neoscolastici del calibro di Josef Kleutgen, di Martin Grabmann, di Erich Przywara) sembra infatti aver fornito ai genî più volenterosi - tra cui Hudal in prima fila - il presupposto logico necessario per tradurre in certe istanze restaurative della condizione di Ordine la riproposizione del primato, tutto medievale, del dato oggettivo su quello soggettivo, dello stato (civitas) e dell'auctoritas sul contrattualismo illuminista, dell'unità responsabile sugli egoismi frammentari e particolaristici. In tal modo, la collaborazione con il nuovo stato avrebbe potuto concretizzarsi (e si concretizzò, sovente) intorno a quattro poli fondamentali.

La coscienza tedesca

Prima di tutto l'impero, perché l'unico schema politico-istituzionale in grado di salvaguardare l'ordine cristiano della creazione, l'ordine buono vero e giusto del reale (natürliche Weltordnung), era quello in cui l'autorità derivava da Dio e non dall'uomo, cioè dalla repubblica democratica: come del resto esigeva la migliore tradizione nazional-germanica che, a prescindere dalla volgare retorica hitleriana, contemplava già per conto suo il Führerprinzip autoritario. Al riguardo, basti pensare al caso paradigmatico di Otto von Bismarck. In secondo luogo l'unità, perché del Kulturkampf, almeno una conseguenza non potrà mai esser posta in discussione dagli storici: aver approfondito l'infausta spaccatura ereditata da Lutero, frantumando ulteriormente la coscienza nazionale dei tedeschi e generando, nei cattolici, la sgradevole sensazione di essere, in fondo, una minorità ingiustamente perseguitata dallo Stato. Ma cosa sventolava il buon Ottone redivivo, sotto il naso dei tedeschi, se non proprio la solenne immagine programmatica della Volksgemeinschaft, della Volkswerdung ossia dell'agognata riunificazione di tutti i Volksgenossen (termine che non si traduce in italiano con «cittadini», ma piuttosto con «membri» cioè «fratelli nel sangue, nella lingua e nella terra condivisa») nella ritrovata comunità nazionale ed ecclesiale? Terzo punto, la totalità: sin dai tempi di Pio IX, il magistero ufficiale aveva adottato l'antica visione teologica, anche questa di chiara matrice patristica e aristotelico-tomista, secondo la quale, nei limiti della Creazione divina, la sfera politico-civile si vedrebbe destinata, secondo natura, ad armonizzarsi alla dimensione religiosa e sovrannaturale, pur restando entrambe ermeticamente separate. Ed ecco, se da un lato la politica religiosa del regime in via di normalizzazione a nient'altro mirava che alla spoliticizzazione coatta delle chiese in quanto associazioni tra le tante, dall'altro lato larghi settori del cattolicesimo tedesco non disdegnarono affatto la formula del «cristianesimo positivo», che avrebbe permesso loro di affossare, insieme agli altri partiti d'epoca liberale, il Zentrum scellerato, riducendo la chiesa al suo più genuino ufficio spirituale. Infine, il corporativismo organicista: con rara fermezza, nell'enciclica Quadragesimo anno, Pio XI aveva preso posizione contro «la lotta di classe fratricida fomentata dal bolscevismo marxista», invitando i cristiani a ristrutturare il corpo sociale in direzione sia della definitiva redemptio proletariorum sia, soprattutto, della berufsständische Volksordung. Questa espressione - legata per definizione ai concetti di natura (Natur), di ordine cosmico naturale (natürliche Ordnung) e di ordine stabilito da Dio (gottgewollte Ordnung) - non gode di una traduzione immediata in italiano ma è densa di significato perché sottende una forte valenza non solo metafisica, ma anche etica. Stando alla lettera, infatti, essa raffigura per un verso quell'Ordine ideale, quell'articolazione «ontologica» che il Volk (che non vuol dire «popolo» quanto piuttosto «nazione», anch'essa creata nel sangue dalla mano paterna di Dio) tenderebbe ad assumere in ragione dell'attuazione da parte di ogni suo membro delle proprie doti naturali (natürliche Fahigkeiten) ma per un altro verso, anche, quella realtà comunitaria (Gemeinschaft, non Gesellschaft) che, strutturandosi per ceti o corporazioni professionali (Berufstände, berufsständische Körperschaften), esclude o congela la possibilità stessa della mobilità sociale: giacché, in quella prospettiva, «professione» significa né più né meno «risposta a una vocazione naturale» (si pensi a Max Weber). Ma, quantomeno sul piano delle similitudini formali, non è possibile rilevare una certa contiguità tra questa visione ideale e l'impianto classista della riforma giuslavorista varata dai ministeri Schmitt-Mansfeld il 20 gennaio 1934 nel quadro più o meno emergenziale della nuova economia di guerra? Inoltre, se è vero che il dottor Angelico aveva sentenziato «Bonum commune melius est et divinius bono unius», non è altrettanto vero che Hitler e i suoi scherani inneggiavano nei discorsi ufficiali e negli scritti programmatici al primato del bene comune sull'interesse privato («Gemeinnutz vor Eigennutz!»)?
Sebbene sia ancora troppo presto per lanciarsi in categoriche asserzioni positive, alla luce di queste osservazioni si è comunque tentati di stabilire un paio di conclusioni. In primo luogo, dal punto di vista metodologico (come amava insegnare Edward Hallett Carr), colui che vuol spiegare la storia in tutta la sua complessità materiale deve non solo introdurre una gerarchia tra diverse cause in inter-relazione, ma anche rivivere interiormente ciò che avvenne nelle menti delle sue dramatis personae, ascoltando prima di giudicare. Ma nel nostro caso specifico questo può significare una cosa soltanto: abbandonare quell'ottica forzatamente laicizzante che da decenni ormai ci impedisce di discutere in maniera adeguata questioni le cui radici affondano anche in un humus palesemente storico-religioso e teologico.

Oltre le versioni ufficiali

In secondo luogo, premesso che in effetti sarebbe rischioso «anche solo supporre un atteggiamento univoco o unitario di tutta la Chiesa cattolica o di tutta la Curia romana nei confronti del nazionalsocialismo» (Hubert Wolf), e che certo vi è una differenza sostanziale tra la fase della Machtergreifung (30 gennaio 1933) e quella successiva - inaugurata il 30 giugno 1934 con la liquidazione del fronte conservativo: la cosidetta «notte dei lunghi coltelli» - viene da chiedersi se alla fine dei conti non sia ingenuo accettare la versione ufficiale dei fatti e credere che la «grande conciliazione» (Günter Lewy) dischiusa alle relazioni tra stato e chiesa cattolica in Germania dalla storica conferenza di Fulda (30 maggio-1 giugno 1933), con l'abolizione del divieto episcopale di adesione alla Nsdap ad esempio, sia stato il semplice risultato di una serie di circostanze accidentali e di eventi contingenti. Non è forse arrischiato ridurre il concordato, siglato con il Reich nel luglio '33, al provvidenziale strumento giuridico intessuto dall'astuta diplomazia pacelliana per attuare una improbabile opposizione al regime oppure per salvare il salvabile ed evitare il collasso letale - e niente più? Smettiamo di fare apologia, da una parte e dall'altra, e affrontiamo la realtà.
Molto probabilmente, nella misura in cui il nuovo Stato totale avesse conformato anche solo in via preliminare la propria politica interna a un modello rigido di tipo etico e organicista, lasciando intravedere la restaurazione, da operarsi anche manu militari, della Weltanschauung dell'Ordine naturale, il ripristino dell'Ordine della Creazione, la Chiesa avrebbe sostenuto senza troppo tergiversare e anzi con viva sollecitudine l'opera del Führer. E del resto, dato quel passato, dato quel presente, data quella mentalità, data quella sensibilità morale, non è verosimile pensare che, quantomeno a livello gerarchico e organizzativo, difficilmente sarebbe potuto accadere altrimenti?



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Often, religious people cling to their religion because it provides them with solace and succor during times of despair or hardship. Many times religious people go to their priests, rabbis or imams for advice on matters related to morals and ethics. Given this background, anyone studying religion might conclude religion and its institutions are good things, and religion is a force for good in the world.

But, is that really so? Has religion in general been a force for good in the world? Has it made people more compassionate, more respectful of others, more tolerant of their beliefs? Has the advice given by the authorities of the various world religions been good and made people behave any better?

I would argue the opposite is true, and that any study of the effects of religion throughout human history would show for the most part a direct correlation between religiosity and intolerance, brutality, ignorance, discrimination, lack of compassion and immorality.

As one example out of many, we may look at the role religion played during what was likely the most horrific time in human history, the Second World War. At that time, we find man’s worst behavior toward man, at a level and scope unprecedented until that point. It will be interesting to see what role religion played during this cataclysmic event.

Unfortunately for religion, organized or otherwise, it doesn’t look very good. Clearly the Nazis went on their genocidal rampage motivated by secular reasons, but both the Germans and the vast numbers of helpers they easily recruited in the countries they occupied had all been brought up in the Christian tradition. What this meant is that when the Nazis began their anti-Jewish campaign they found that—like themselves—the population already felt deep antisemitism and already believed the Jews to be evil and enemies of everything that was good. Therefore the Nazis had very little to invent in their campaign against Jews and had no difficulty in persuading anyone to denounce, hunt down and murder their Jewish neighbors.

If the Nazis were not driven by religious zeal in the execution of the Holocaust, we must then ask the obvious question of what role religion played during that watershed event. Given that the perpetrators had been instructed by their Christian tradition to feel compassion and love for their neighbors, do we have any evidence the majority felt any moral qualms or refrained from murder when asked to kill Jews? Or did the perpetrators willingly and eagerly behave toward Jews in a way that was consistent with what they had been taught for almost two millennia, that is, with contempt and even hatred for them? The answer is also obvious.

For the sake of brevity, it will be interesting to focus on an aspect of the Holocaust that rarely gets the attention it deserves, and that is what happened in Croatia. In that country a puppet Nazi state was established in 1941, led by the terrorist group the Ustasha with its Poglavnik (leader) Ante Pavelić at its helm. From its inception until its demise in 1945 the Ustasha were responsible for the most barbaric acts of the war, making even the German SS pale in comparison. During the rule of the Ustasha regime, more than half a million innocent civilians were slaughtered, many of them using medieval methods: eyes were gouged out, limbs severed, intestines and other internal organs ripped from the bodies of the living. Some were slaughtered like beasts, their throats cut from ear to ear with special knives or saws. Others died from blows to their heads with sledgehammers. Many more were simply burned alive. Some Ustasha perpetrators wore necklaces made from the eyes or ears of their victims.

The actions of the Ustasha are important and relevant in this discussion because the Ustasha were ultra-Catholic and they killed in large part in an effort to rid Croatia of its non-Catholic elements, that is, the largely Orthodox Serbs, the Gypsies, and of course the Jews. Many of the perpetrators were actually Catholic priests. One of them was a Franciscan friar who continued to act as a member of his order as commandant of the notorious Croat concentration camp Jasenovac, where he committed the most heinous atrocities. Sometimes he even wore his Franciscan robes while perpetrating his crimes.

Did the perpetrators consult with their religious leaders before committing these crimes? Did their religious upbringing play any role in making them act the way they did? During the Croatian genocide the Vatican had compiled a list of Croatian priests who had participated in massacres of Orthodox Serbs and Jews with the intention of disciplining them after the war. They never did. Not only that, many perpetrators were protected and given passage to safe havens around the world by members of the Vatican who housed them in Vatican properties, clothed and fed them, and eventually helped them evade justice so they could regroup to fight Communism.

You’d think that during the war the Catholic Church would very publicly and loudly object to the genocide taking place in Croatia, given that the impetus behind the genocide was ultimately the propagation of Catholicism, but it didn’t. You’d think that the Catholic Church would attempt to stop the perpetrators, given that they were Catholics strongly loyal to the pope, but it didn’t. You’d think the Catholic Church would give advice and guidance to the Croatian Catholic faithful in an effort to rein them in, but it didn’t. You’d think the pope, Pius XII, would feel shame and embarrassment and distance himself from the Croat Catholics and their leader, but he didn’t.

Indeed, the leader of the Ustasha, Ante Pavelić was a mass murderer who revered Pope Pius XII, and was aware that Pius XII and his senior advisers thought highly of his militant Catholicism. In April 1941 Pavelić was received by the Pope, creating an uproar at the British Foreign Office who was dismayed that the Pope would even consider meeting with such a notorious mass murderer. They thus described the Pope as “the greatest moral coward of our age.” As the Foreign Office later told the British ambassador to the Holy See, the Pope’s reception of Pavelić “has done more to damage his reputation in this country than any other act since the war began.”

Maybe we should excuse the Pope and the Church for not acting during the war because of the fog of war, lack of communications, the desire to remain neutral, etcetera. But these are all hollow excuses. Moreover, even if we were willing to accept them, what could possibly explain the lack of acts of repudiation after the war for the genocide in Croatia?

In May 1945, after having learned of Hitler’s death, Cardinal Bertram of Breslau ordered that “a solemn requiem mass be held in commemoration of the Führer. . .” so that the Almighty’s son, Hitler, be admitted to paradise. A solemn requiem mass is celebrated only for a believing member of the Church and if it is in the public interest of the Church. Hitler was not a believing member of the Church and only a Church deeply steeped in their own anti-Jewish teachings and the grotesque twist to them that Hitler gave them could think that a solemn requiem for Hitler was a good, moral thing to do and that it was in the Church’s public interest. Did the Pope or the Catholic Church rebuke Cardinal Bertram, then or any time after that? No, it did not.

Given this background, we should not be too surprised to learn that just as the year 2010 was coming to a close a mass was celebrated in a Zagreb church honoring the 49th anniversary of the death of the Ustasha mass murderer Ante Pavelić. The mass was held by priests Vjekoslav Lasić and Stanislav Kos, who referred to Pavelić as a respectable man who made sacrifices for all of Croatia. You’d think the Catholic Church would take advantage of this opportunity to very loudly and publicly repudiate the actions of the Ustasha and its leader Pavelić, but you’d be wrong. What was the official reaction of the Catholic Church to this outrageous mass? So far their reaction is consistent with their reaction during the Holocaust: a deafening silence.


Gabriel Wilensky

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Author
Six Million Crucifixions:
How Christian Teachings About Jews Paved the Road to the Holocaust
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TP: Eichmann, der BND und die Expertenkommission
(italiano / srpskohrvatski / francais / english)

Memoria 2011 / 5

Nazi criminals employed by CIA

1) Newest revelations on nazi criminals who were employed by CIA:
* E gli Usa divennero il rifugio dei nazisti (E. Caretto 14.11.2010)
* Secret papers reveal Nazis given 'safe haven' in US (telegraph.co.uk 14.11.2010)
* CIA dala „utočište“ nacistima posle rata (Blic.rs 15.11.2010)
* Pred Kongresom izveštaj o saradnji nacista i CIA (Beta 11.12.2010)

2) Vukcevic: la Serbia chiederà agli USA l’estradizione di Peter Egner (2009) / La Serbie demande aux USA d’extrader le nazi Peter Egner (CdB 8 décembre 2010)

3) Flashback 2006: CIA NAZI FILES RELEASED / Documents Shed Light on CIA's Use of Ex-Nazis (NYT 6 June 2006)


LINKS:

LA NOSTRA PAGINA DEDICATA A RATLINES E ODESSA

Ratlines. La guerra della Chiesa contro il comunismo: le reti di fuga dei criminali di guerra nazisti e ustascia nel secondo dopoguerra, con la copertura del Vaticano (sintesi dal libro di Mark Aarons e John Loftus)

RATLINES: Il Vaticano nascose gli ustascia (rassegna di articoli)

L'alliance du Pentagone avec les nazis

DOSSIER: Le camp allemand du Parc des expositions de Belgrade, 1941-1944 (Vecernje Novosti)


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Il Corriere della Sera

E gli Usa divennero il rifugio dei nazisti


Rivelazione del New York Times: dopo la guerra molti criminali di guerra furono impiegati da Cia e Nasa


WASHINGTON – Dopo la sconfitta del Terzo Reich gli Stati Uniti ospitarono più criminali di guerra nazisti di quanto si sospettasse e lo nascosero agli alleati. Ne fecero uso in particolare la Cia, lo spionaggio, e in secondo luogo la Nasa, l’ente spaziale. Lo svela un rapporto del Ministero della giustizia, più precisamente del suo Office of special investigation (Osi) istituito nel ’79, rapporto venuto in possesso del New York Times. Il rapporto, di cui il Ministero della giustizia aveva già consegnato una parte, pesantemente censurata, agli Archivi della sicurezza nazionale, consta di 600 pagine e racconta molte storie. Per esempio, quella di Josef Mengele, «l’angelo della morte», il medico che condusse atroci esperimenti sugli ebrei internati ad Auschwitz. Per anni l’Osi tenne in laboratorio frammenti della pelle del cranio e capelli di Mengele. Li diede al Brasile attorno al 1985, tramite essi fu possibile stabilire che il medico aveva trovato rifugio nel grande stato sudamericano e vi era morto nel ’79.

CASI CLAMOROSI - Ma I casi più clamorosi di cui parla il rapporto sono quelli di Otto Von Bolschwing e di Arthur Rudolph. Bolschwing era il braccio destro di Adolph Eichmann, uno dei massimi architetti dello sterminio degli ebrei, che venne poi catturato dal servizio segreto israeliano in Argentina e processato e condannato a morte in Israele. Bolschwing si stabilì negli Stati uniti nel ’54 e fu assunto dalla Cia, che preparò un dossier a suo discarico nell’eventualità che venisse scoperto. L’Osi, che aveva il compito di fare giustizia dei criminali di guerra nazisti, avviò la procedura di estradizione in Germania nell’81. Bolschwing morì quell’anno.

IL PADRE DEL «SATURNO» - Rudolph era l’ex direttore della Mittelwerk, la fabbrica del Terzo Reich responsabile della produzione dei razzi V2. Fu portato negli Stati uniti nel ’45 nel quadro dellaOperation paperclip, il programma di trasferimento negli Usa degli scienziati nazisti, per lavorare alla produzione di missili. Più tardi fu assunto dalla Nasa, che si era già affidata a un suo collega, Von Braun, per il programma spaziale. Anni dopo, la Nasa lo onorò come «il padre del missile Saturno» per le esplorazioni spaziali. L’Osi accertò che Rudolph aveva impiegato manodopera schiava e cercò di deportarlo. Come Bolschwing, lo scienziato morì prima che vi riuscisse.

L'ATTENTATO MISTERIOSO - Un terzo caso fu quello di Tscherim Soobzokov, un ex SS che prese la residenza nel New Jersey, e che per motivi mai precisati fu protetto dal Ministero della giustizia. I suoi trascorsi divennero pubblici nell’80 ma non fu processato nonostante le proteste delle comunità ebraiche. Soobzokov venne ucciso in un attentato – una bomba in casa – nell’85 e i suoi assassini non furono mai scoperti. L’Osi commise un grosso errore quando identificò in John Demjanjuk, un lettone, altro rifugiato nazista, il boia di Treblinka, detto Ivan il terribile. Demjanuk venne discolpato da vari connazionali, ma venne poi mandato in Germania a rispondere di altri crimini di guerra.

L'ORO NAZISTA - Secondo il New York Times, il rapporto e la condotta del Ministero della giustizia dovrebbero essere oggetto di una inchiesta. Il giornale afferma che nei documenti si trovano anche le prove che durante le seconda guerra mondiale la Svizzera comprò dai nazisti oro di ebrei vittime dell’Olocausto. Questa circostanza fu sempre tenuta nascosta, ma di essa sarebbe stato al corrente il Dipartimento di stato.

Ennio Caretto

14 novembre 2010 (ultima modifica: 15 novembre 2010)

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World War 2

Secret papers reveal Nazis given 'safe haven' in US

A secret United States government report has offered fresh evidence that the CIA granted Nazi war criminals a "safe haven" in the US after the Second World War.


By Toby Harnden in Washington 5:45PM GMT 14 Nov 2010

The 600-page report, written in 2006 and which the US Justice Department has tried to keep secret ever since, describes what it calls Washington's "collaboration with persecutors".
Agents from the Justice Department's Nazi-hunting Office of Special Investigations (OSI) found that war criminals "were indeed knowingly granted entry" to the US, even though government officials were aware of their pasts, the report concluded.
"America, which prided itself on being a safe haven for the persecuted, became – in some small measure – a safe haven for persecutors as well."
The report, obtained by the New York Times, details cases of Nazis being helped by American intelligence officials.
In 1954, the CIA assisted Otto Von Bolschwing, an associate of Adolf Eichmann who had helped develop plans "to purge Germany of the Jews".
In a series of CIA memos, officials pondered what to do if Von Bolschwing was confronted about his past, debating whether to deny any Nazi affiliation or "explain it away on the basis of extenuating circumstances", according to the report.
The Justice Department sought to deport Von Bolschwing after it learned in 1981of his Nazi past but he died the same year.
Another case involved Arthur L. Rudolph, a Nazi scientist who ran the Mittelwerk munitions factory. He was brought to the US in 1945 for his rocket-making prowess as part of Operation Paperclip, an American initiative to recruit scientists who had worked in Nazi Germany.
The report highlights a 1949 note from a very senior Justice Department official urging immigration officers to let Rudolph back into the US after visiting Mexico because excluding him would be "to the detriment of the national interest".
Justice Department investigators later discovered that Rudolph was much more implicated in using Jewish slave labour at Mittelwerk than he or the CIA had admitted. Some intelligence officials objected when the Justice Department tried to deport him in 1983.
The report states that prosecutors filed a motion in 1980 that "misstated the facts" in insisting that CIA and FBI records revealed no information on the Nazi past of Tscherim Soobzokov, a former Waffen SS soldier.
Instead, the Justice Department "knew that Soobzokov had advised the CIA of his SS connection after he arrived in the United States", the report found.
The report details the government’s posthumous pursuit of Dr Josef Mengele, the German SS officer and physician known as the “Angel of Death”. A piece of Mengele’s scalp was kept in the drawer of an OSI director in the hope that it would establish whether he was still alive.
Investigators used diaries and letters supposedly written by Mengele and German dental records to follow his trail. After the development of DNA, the piece of scalp, which had been handed over to Brazil, helped to establish that Mengele had died in Brazil in 1979, without ever entering the US, the report stated.
The US government has resisted making the report public ever since it was written four years ago. Under the threat of legal action, it provided an expurgated version last month to the National Security Archive, a private research group. The New York Times then obtained a complete version.
The US Justice Department told the newspaper that the report, which was the product of six years of research, was never formally completed, did not represent official findings and claimed there were "numerous factual errors and omissions" though it declined to detail these.
Since the creation of the OSI in 1979, several hundred Nazis have been deported, stripped of their American citizenship or excluded from entering the United States. The OSI was merged with another unit this year.


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IZVEŠTAJ MINISTARSTVA PRAVDE SAD

CIA dala „utočište“ nacistima posle rata

CDC/IB  | 15. 11. 2010. - 00:05h | Foto: AFP  | Komentara: 38 

Tajna istorija ratnih operacija američke vlade nakon Drugog svetskog rata pokazuje da su američke tajne službe obezbedile „utočište“ u SAD za nemačke naciste i njihove saradnike, tvrdi „Njujork tajms“ na osnovu uvida u izveštaj Ministarstva pravde SAD, koji je četiri godine skrivan od očiju jasnosti.

U dokumentu se na 600 strana opisuju decenijski sukobi SAD sa drugim zemljama zbog toga što su primale i štitile naciste u zemlji i inostranstvu. Izveštaj pruža nove činjenice o više od 20 najozloglašenijih nacista u poslednje tri decenije. Govori se o pomoći koju je CIA 1954. godine pružala Otu fon Bolšvingu, saradniku Adolfa Ajhmana, koji je pomogao u pravljenju početnih planova „da se Nemačka očisti od Jevreja“, a kasnije je radio za CIA u SAD.

U nizu dokumenata, zvaničnici Centralne obaveštajne službe raspravljali su o tome šta treba činiti ukoliko Fon Bolšving bude suočen sa svojom prošlošću: da li da poriče bilo kakvu povezanost sa nacistima ili da „to objasni u svetlu olakšavajućih okolnosti“, navodi list.

Kada se saznalo za veze Fon Bolšvinga sa nacistima, ministarstvo pravde je 1981. godine zahtevalo njegovu deportaciju, ali je on preminuo u 72. godini, piše „Njujork tajms“.

U celom slučaju najviše kompromituje činjenica da je CIA bila povezana sa nacistima emigrantima. U izveštajima prethodnih vlada već su priznali da je CIA koristila naciste u obaveštajne svrhe posle rata. Međutim, pomenuti izveštaj ide dalje i otkriva dublju upletenost službe u slične operacije. U njemu se pominje i slučaj Artura Rudolfa, nacističkog naučnika koji je rukovodio fabrikom municije Mitelverk u Nemačkoj. Doveden je u SAD 1945. godine zbog svoje stručnosti u pravljenju raketa, operaciji „Spajalica“, što je bilo ime američkog programa koji je regrutovao naučnike iz nacističke Nemačke. NASA je čak odlikovala Rudolfa i proglasila ga tvorcem američke rakete „saturn pet“. Dokumentacija otkriva činjenice i nivo američke um ešanosti i obmanjivanja javnosti.

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Čuvali deo skalpa Mengelea u fioci
Izveštaj opisuje posthumnu potragu američke vlade za dr Jozefom Mengeleom, koga su u Aušvicu zvali “Anđeo smrti”. Deo njegovog skalpa držao je jedan zvaničnik ministarstva pravde u svojoj fioci. Takođe, opisano je ubistvo bivšeg esesovca u Nju Džerziju, a u jednom delu govori se o pogrešnoj identifikaciji stražara koncetracionog logora Treblinka poznatog kao Ivan Grozni.


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http://www.e-novine.com/svet/svet-vesti/43056-Pred-Kongresom-izvetaj-saradnji-nacista-CIA.html

Vašington

Pred Kongresom izveštaj o saradnji nacista i CIA

11.12.2010
Beta

U izveštaju istoričara dostavljenom u petak američkom Kongresu otkrivaju se detalji kako je američka obaveštajna služba (CIA) koristila i štitila neke agente nacističkog Gestapoa posle Drugog svetskog rata i kako je tražila glavnog izvršioca holokausta Adolfa Ajhmana.
Izveštaj pod nazivom "Hitlerova senka: nacistički ratni zločinci, američka obaveštajna služba i hladni rat" napisali su istoričari iz američke Nacionalne arhive. U izveštaju se nalaze oko 1.000 dokumenata - snimaka, pisanih izjava, ekspertiza i analiza o tajnim operacijama CIA i vojne obaveštajne službe.

"Podaci CIA su nam omogućili da steknemo bolju sliku o kretanju nacističkih ratnih zločinaca u posleratnom periodu. Podaci iz vojske su obimni i biće potrebno nekoliko godina da se sve to pročita", rekao je koautor studije Ričard Brajtman sa Univerziteta u Vašingtonu.

Portparol CIA Džordž Litl izjavio je da ta agencija nije u to vreme imala politiku ili program zaštite nacističkih ratnih zločinaca, niti je pomagala da oni izbegnu pravdu. Litl je rekao da je CIA decenijama sarađivala s ministarstvom pravde o tome, kao i sa odsekom za specijalne istrage.

U izveštaju se navodi detalji kako su Amerikanci koristili oficire Gestapoa, uključujući Rudolfa Mildnera, posle Drugog svetskog rata. Vojska je držala Mildnera i vodila računa da ne dođe u ruke istražitelja za ratne zločine, jer joj je bio potreban zbog svojih saznanja o komunistima.

"Namera vojske da koristi oficire Gestapoa protiv komunista mnogo je veća od onog što smo do sada mislili, iako nije bilo velikih slučajeva kao što je bio slučaj Klausa Barbija", rekao je Brajtman, aludirajući na ozloglašenog "Kasapina iz Liona", koji je radio za američke obaveštajce posle rata.

Mildner je kasnio pobegao u Argentinu, gde se sastao sa Ajhmanom, koji je iz Evrope pobegao u Južnu Ameriku. Izveštaj navodi detalje o Ajhmanovom kretanju pre nego što ga je 1960. godine otela izraelska obaveštajna služba.

"Oni (dokumenti) pokazuju da je Zapad znao o Ajamanovim zločinima i njegovom posleratnom kretanju. Niko iz američke obaveštajne agencije nije pomogao Ajhmanu da pobegne, već su mu jednostavno dozvolili da se bezbedno sakrije i ode u Argentinu", rekao je Brajtman.

U izveštaju se navode i detalji saradnje CIA i nacističkih saradnika za vreme hladnog rata. U pokušaju da razbiju Sovjetski Savez preko Ukrajine, agencija se obratila pronacističkim ukrajinskim nacionalistima, među kojima je bio Mikola Lebed, koji je vodio paravojnu organizaciju koja je tokom rata sprovodila politiku etničkog čišćenja. Lebed je otišao u Njujork 1948. godina, a njegova saradnja sa agencijom je "trajala koliko i ceo hladni rat", navodi se u izveštaju.

"CIA je navodila tada da Lebed nema veze s nacistima i da je on ukrajinski borac za slobodu", dodaje se u izveštaju i navodi da je Lebed imao kontakte s agencijom do smrti, 1998. godine.


=== 2 ===

Vukcevic: la Serbia chiederà agli USA l’estradizione di Peter Egner

Glassrbije.org 13. aprile 2009.

Il procuratore serbo per i crimini di guerra Vladimir Vukcevic, ha avvisato i rappresentanti della comunità ebraica a Belgrado che la Serbia chiederà l’estradizione agli Stati Uniti del criminale nazista Peter Egner, per il sospetto di aver eseguito il genocidio e i crimini di guerra contro la popolazione civile, in genere ebraica, a Belgrado durante la Seconda guerra mondiale. I rappresentanti della comunità ebraica sono stati informati che la Procura serba per i crimini di guerra ha consegnato, verso la fine dell’agosto 2008, la richiesta per l’inchiesta contro Egner, e che il giudice istruttore della Corte per i crimini di guerra nel settembre scorso ha approvato l’inchiesta. Egner è sospettato di aver partecipato verso la fine del 1941 alla deportazione di moltissimi civili a Janjice, che dopo sono stati fucilati, e che dalla fine del 1941 alla metà del 1942, come guardia, aveva assicurato il deporto di gruppi di ebrei nel campo di concentramento Staro sajmiste.

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La Serbie demande aux USA d’extrader le nazi Peter Egner


Mise en ligne : mercredi 8 décembre 2010
Les autorités serbes ont officiellement demandé aux Etats-Unis, le 26 novembre dernier, d’extrader Peter Egner, ancien membre de la Gestapo allemande en Serbie, naturalisé américain. L’homme est soupçonné de crimes de guerre et de génocide durant la Seconde Guerre mondiale.

(Avec AFP et Reuters) - Peter Egner, Allemand de souche né en Yougoslavie, est arrivé aux Etats-Unis en 1960 et a acquis la citoyenneté américaine en 1966.

Âgé de 88 ans, il réside actuellement à Seattle.

Selon l’acte d’accusation, il est mis en cause dans l’exécution de milliers de civils, en majorité des Juifs (parmi lesquels des femmes et des enfants), des Rroms et des opposants politiques, durant la Seconde Guerre mondiale.

Peter Egner aurait reconnu avoir été actif en tant que membre de la Gestapo, la police secrète du régime nazi, dans des camps de concentration à Belgrade entre 1941 et 1942.

La Serbie avait lancé un mandat d’arrêt international contre lui en avril dernier. La demande d’extradition le concernant a été déposée vendredi 26 novembre.

« La demande d’extradition a été différée de quelques mois pour des raisons techniques et à cause de la réforme de l’appareil judiciaire qui a un peu ralenti les choses », a dit Bruno Vekarić, procureur adjoint de Serbie pour les crimes de guerre.

Le département américain de la Justice a demandé en 2008 à un tribunal fédéral de radier Peter Egner de sa citoyenneté américaine sur la base d’éléments de preuve sur son rôle dans un Einsatzgruppe (une unité d’exécution mobile nazie) impliquée les massacres de de civils lors de l’occupation allemande de la Serbie.

Peter Egner ne pourra être extradé que s’il est déchu de sa citoyenneté américaine.

Retrouvez notre dossier :
« Le camp allemand du Parc des expositions de Belgrade, 1941–1944 


=== 3 ===

-------- Original-Nachricht --------
Datum: Fri, 9 Jun 2006 20:38:19 +0200
Von: Reinhard Helmers 
Betreff: CIA  and  NAZI  FILES

CIA NAZI FILES RELEASED

Some 27,000 pages of Central Intelligence Agency records regarding operational relationships between the CIA and former Nazis following World War II were disclosed yesterday at the National Archives.

The release was announced by the Interagency Working Group (IWG)on Nazi War Crimes, which was created by a 1998 law.  The IWG, which has previously overseen the declassification of eight million war crimes-related records, is chaired by former Information Security Oversight Office Director Steven Garfinkel.

The latest release almost failed to occur due to CIA recalcitrance.

"In 2002, the CIA declared that it was no longer going to follow the criteria observed since 1999 for all the participating agencies in the IWG declassification project [and that] henceforth it would produce files relating only to individuals whom we could prove had personally engaged in war crimes," recalled IWG memberRichard Ben-Veniste.

"For 18 months the IWG tried to persuade CIA that its unilateral redefinition of its obligation was erroneous and unacceptable," he said.

This obstacle was eventually overcome thanks to the intervention of the sponsors of the original legislation -- Senators Mike DeWine (R-OH) and Dianne Feinstein (D-CA) and Rep. Carolyn Maloney (D-NY) -- and the effective support of Porter Goss, who had just become the new CIA Director.

CIA spokesman Stanley Moskowitz said the Agency was now committed to full disclosure regarding the historical record of CIA's connections to Nazis.

He said that when the declassification process is completed at the end of this year, "we will have withheld nothing of substance."

(Mr. Moskowitz himself was once the object of unwanted disclosure when, to the dismay of Agency officials, he was publicly identified as the CIA station chief in Tel Aviv.  See "CIA StationChief in Israel Unmasked," Secrecy & Government Bulletin, Issue 75, November 1998.)

"The relevance of today's disclosures [on Nazi war crimes] to the issues this Nation faces today is striking," suggested IWG member Thomas H. Baer.

The question the documents raise, he said, is: "To what extent, and under what circumstances, can our Government rely upon intelligence supplied by mass murderers and those complicit in their crimes?"

Initial assessments of the new disclosures were prepared by four historians for the Interagency Working Group, each of which includes several of the newly declassified documents.  See:

"New Information on Cold War CIA Stay-Behind Operations in Germany and on the Adolf Eichmann Case" by Timothy Naftali, University of Virginia:


"Gustav Hilger: From Hitler's Foreign Office to CIA Consultant" by Robert Wolfe, former archivist at the U.S. National Archives:


"Tscherim Soobzokov" by Richard Breitman, AmericanUniversity:


"CIA Files Relating to Heinz Felfe, SS Officer and KGB Spy" by Norman J.W. Goda, Ohio University:


For more information on the Interagency Working Group on Nazi War Crimes see:



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Documents Shed Light on CIA's Use of Ex-Nazis

    By Scott Shane
    The New York Times

    Tuesday 06 June 2006


    Washington - The Central Intelligence Agency took no action after learning the pseudonym and whereabouts of the fugitive Holocaust overseer Adolf Eichmann in 1958, according to CIA documents that shed new light on the spy agency's use of former Nazis as informers after World War II.

    The CIA was told by West German intelligence that Eichmann was living in Argentina under the name "Clemens" - a slight variation on his actual alias, Klement - but kept the information from Israel because of German concerns about exposure of former Nazis in the Bonn government, according to Timothy Naftali, a historian who examined the documents. Two years later, Israeli agents abducted Eichmann in Argentina and took him to Israel, where he was tried and executed in 1962.

    The Eichmann papers are among 27,000 newly declassified pages released by the CIA to the National Archives under Congressional pressure to make public files about former officials of Hitler's regime later used as American agents. The material reinforces the view that most former Nazis gave American intelligence little of value and in some cases proved to be damaging double agents for the Soviet KGB, according to historians and members of the government panel that has worked to open the long-secret files.

    Elizabeth Holtzman, a former congresswoman from New York and member of the panel, the Interagency Working Group on records concerning Nazi and Japanese war crimes, said at a press briefing at the National Archives today that the documents show the CIA "failed to lift a finger" to hunt Eichmann and "forced us to confront not only the moral harm but the practical harm" of relying on intelligence from ex-Nazis.

    She said information from the former Nazis was often tainted both by their "personal agendas" and their vulnerability to blackmail. "Using bad people can have very bad consequences," Ms. Holtzman said. She and other group members suggested that the findings should be a cautionary tale for intelligence agencies today.

    As head of the Gestapo's Jewish affairs office during the war, Eichmann implemented the policy of extermination of European Jewry, promoting the use of gas chambers and having a hand in the murder of millions of Jews. Captured by the United States Army at the end of the war, he gave a false name and went unrecognized, hiding in Germany and Italy before fleeing to Argentina in 1950.

    Israeli agents hunting for Eichmann came to suspect in the 1950's that he was in Argentina but they did not know his alias. They temporarily abandoned their search at about the time, in March 1958, that West German intelligence told the CIA that Eichmann had been living in Argentina as "Clemens," said Mr. Naftali, who is now at the University of Virginia but will become director of the Richard M. Nixon Presidential Library in October.

    The United States government, preoccupied with the cold war, had no policy at the time of pursuing Nazi war criminals. The West German government was wary of exposing Eichmann because officials feared what he might reveal about such figures as Hans Globke, a former Nazi then serving as a key national security adviser to Chancellor Konrad Adenauer, Mr. Naftali said.

    In 1960, also at the request of West Germany, the CIA persuaded Life magazine, which had purchased Eichmann's memoir from his family, to delete a reference to Globke before publication, the documents show.

    Since Congress passed the Nazi War Crimes Disclosure Act in 1998, the Interagency Working Group has persuaded the government to declassify more than 8 million pages of documents. But the group ran into resistance starting in 2002 from the CIA, which sought to withhold operational files from the 1940's and 50's.

    After Congress extended the working group's term to 2007, and after the intervention of Senator Mike DeWine, Republican of Ohio; Senator Dianne Feinstein, Democrat of California; and Representative Carolyn B. Maloney, Democrat of New York, Porter J. Goss, who was the CIA director, ordered the release of the records with very few deletions.

    Stanley Moskowitz, a CIA official who assisted the working group for the last year, said the delicate question of releasing operational files has long been a "nettlesome problem" but that "the passage of time has shifted the balance" toward release. He said the new CIA director, Gen. Michael V. Hayden, has agreed to continue releasing the records.

    Norman J.W. Goda, an Ohio University historian who reviewed the CIA material, said it showed in greater detail than previously known how the KGB aggressively targeted former Nazi intelligence officers for recruitment after the war. In particular, he said, the documents fill in the story of the "catastrophic" Soviet penetration of the Gehlen Organization, the post-war West German intelligence service sponsored by the United States Army and then the CIA.

    Mr. Goda described the case of Heinz Felfe, a former SS officer who was bitter over the Allied firebombing of his native city, Dresden, and secretly worked for the KGB Felfe rose in the Gehlen Organization to oversee counterintelligence - placing a Soviet agent in charge of combating Soviet espionage in West Germany.

    The CIA shared much sensitive information with Felfe, who visited the agency in 1956 to lobby for West German involvement in CIA operations, Mr. Goda found. A newly released 1963 CIA damage assessment, written after Felfe was arrested as a Soviet agent in 1961, found that he had exposed "over 100 CIA staffers" and seen that many eavesdropping operations ended with "complete failure or a worthless product."

    The documents show that the CIA ignored "clear evidence of a war crimes record" in recruiting another former SS officer, Tscherim Soobzokov, said another historian at the briefing, Richard Breitman of American University. Because it valued Soobzokov for his language skills and ties to fellow ethnic Circassians living in the Soviet Caucasus region, the CIA deliberately hid his Nazi record from the Immigration and Naturalization Service after he moved to the United States in 1955, Mr. Breitman said.

    But Soobzokov would not ultimately escape his past. He died in 1985 of injuries suffered three weeks earlier when a pipe bomb exploded outside his house in Paterson, NJ. The murder case has never been solved.




Telepolis knews: USA: Unliebsame Recherchen unterbunden
(italiano / francais / english / deutsch)

Memoria 2011 / 6

Nazi-Kriegsverbrecher auf NATO-Dienst

1) Eichmann-Akte:
* Flashbacks
* Unscrupulous. << The files, made public in Washington, shed a light on the cooperation between the post war elite of West Germany and the surviving Nazi personnel, who were integrated into the new state structures or enjoyed their secret protection. The BND served as one of the centers for this cooperation. "Now we know that at least a dozen veterans of Eichmann's 'Jewish Affairs Section' (...) worked as secret agents for the CIA and the BND (...) in the aftermath of 1945" >> (GFP / Christopher Simpson 11.06.2006)
* Eichmann, der BND und die Expertenkommission (Gaby Weber 21.01.2011)

2) Eichmann, le spie Usa sapevano ma tacquero / Eichmann, Globke, Gehlen furono salvati dagli americani in nome della guerra fredda e della ricostruzione di una Germania occidentale fedelmente alleata agli Stati Uniti (il manifesto, 2006)

3) Klaus-Barbie-Akte:
* Nazi “Butcher of Lyon” was a German intelligence agent (wsws.org 22.1.2011)


LINKS:

Neue Legitimität
27.01.2011 - HAMBURG/MÜNCHEN/PARIS (Eigener Bericht) - Die wegen der NS-Vergangenheit ihres Namensgebers schwer belastete Alfred Toepfer Stiftung (Hamburg) tritt als Bewahrerin des Erbes der von den Nazis ermordeten Geschwister Scholl auf und kündigt eine Scholl-Gedenk-Ausstellung in den Hamburger Toepfer-Räumen an. Sie soll Ende Januar beginnen. Alfred Toepfers Betriebe lieferten an die SS-Verwaltung des Ghettos Lodz (Litzmannstadt) Löschkalk für die rückstandslose Beseitigung der Leichen von Juden. Die Geschwister Scholl starben etwa zur selben Zeit unter der Guillotine der NS-Führung, die von Toepfer hofiert wurde und mit der er persönlich bekannt war. Die Ausstellung in den Räumen eines prominenten NS-Täters wird von der Münchner Weiße Rose Stiftung e.V. ausdrücklich begrüßt. Auch deutsche Historiker nehmen an den Toepfer-Aktivitäten teil, so der Leiter der KZ-Gedenkstätte Neuengamme und der im Auftrag der Toepfer-Stiftung mehrfach tätige Hans Mommsen. Proteste kommen fast ausschließlich aus dem Ausland, wo seit Jahrzehnten darauf hingewiesen wird, dass die Stiftung einer eindeutigen Abkehr von der Politik ihres Namensgebers noch immer auszuweichen suche. Die millionenschwere Stiftung, deren Vorstandsvorsitzender ein früherer Bertelsmann-Projektleiter ist, lehnt eine Entschuldigung für die Taten Toepfers ab. Toepfer beschäftigte in der Nachkriegszeit mehrere hochrangige NS-Verbrecher, darunter der Beauftragte des Deutschen Reichs in Ungarn, Edmund Veesenmayer. Veesenmayer ist für die Deportation von 430.000 ungarischen Juden zur Ermordung nach Auschwitz persönlich verantwortlich...

LA NOSTRA PAGINA DEDICATA A RATLINES E ODESSA
https://www.cnj.it/documentazione/ratlines2.htm

Ratlines. La guerra della Chiesa contro il comunismo: le reti di fuga dei criminali di guerra nazisti e ustascia nel secondo dopoguerra, con la copertura del Vaticano (sintesi dal libro di Mark Aarons e John Loftus)
https://www.cnj.it/documentazione/ratlines.htm


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FLASHBACKS:

Eichmann schwieg über Adenauers rechte Hand Hans Globke
Der Arm des BND reichte bis in Eichmanns Jerusalemer Todeszelle (Ulrich Sander 01.07.06)

Bundeskanzleramt sperrt Eichmann-Akte des BND
Die 50 Jahre zurückliegenden Geheimdienstoperationen bezüglich des Massenmörders Adolf Eichmann bleiben ein Staatsgeheimnis (Markus Kompa 23.09.2009)
http://www.heise.de/tp/r4/artikel/32/32886/1.html

Nazivergangenheit unter Verschluss
Berliner Kanzleramt verweigert Freigabe von Eichmann-Akten. Ehemalige Fluchthelfer im BND werden geschützt. Kritik von Bundesverwaltungsgericht (Harald Neuber 01.07.2010)
http://www.heise.de/tp/r4/artikel/32/32886/1.html

USA: Unliebsame Recherchen unterbunden
Deutsche Journalistin abgeschoben. Gaby Weber wollte unter anderem Akten über Nazi-Kriegsverbrecher recherchieren (Harald Neuber, 19.08.2010)
http://www.heise.de/tp/blogs/6/148232


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AUF DEUTSCH: Skrupellos
11.06.2006 - WASHINGTON/MÜNCHEN/BERLIN (Eigener Bericht) - (...) Die in Washington veröffentlichten Erkenntnisse beleuchten das Zusammenspiel zwischen den westdeutschen Nachkriegseliten und dem überlebenden NS-Personal, das in die neuen Staatsstrukturen eingemeindet wurde oder unter deren heimlichem Schutz stand. Eines der staatlichen Kooperationszentren war der Bundesnachrichtendienst (BND). "Wir wissen jetzt, dass wenigstens ein Dutzend Veteranen aus Eichmanns Judenreferat (...) nach 1945 als Geheimagenten für die CIA und den BND (...) arbeiteten", schreibt Prof. Christopher Simpson von der American University (Washington D.C.) in einem Beitrag für german-foreign-policy.com.
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/56393

EN FRANCAIS: Sans scrupules
11/06/2006 - WASHINGTON/MUNICH/BERLIN (Compte-rendu de la rédaction) - (...) Ces révélations publiées à Washington mettent en lumière la coopération entre les élites ouest-allemandes de l'après-guerre et les personnalités nazies survivantes qui ont été intégrées dans les structures du nouvel état ou qui se trouvaient sous sa protection secrète. Un de ces lieux de coopération était le BND. "On sait maintenant qu'au moins une dizaine de vétérans du 'bureau des juifs' d'Eichmann (...) travaillaient comme agents secrets pour la CIA et le BND après 1945" écrit le professeur Christopher Simpson de l'American University (située à Washington D.C.) dans un article pour german-foreign-policy.com.
http://www.german-foreign-policy.com/fr/fulltext/55885



Unscrupulous
 

2006/06/11 - 
WASHINGTON/MUNICH/BERLIN
 
(Own report) - The German government's connivance in the escape of the Nazi mass murderer, Adolf Eichmann, has caused little public indignation in Germany, nor has it become a theme for the media. As head of the of the Third Reich's Section IV D4 of the Central Security Office (handling Jewish affairs and evacuation), Eichmann was responsible for the deportations to the gas chambers. He fled Germany after 1945. According to recently declassified archive files, the German Federal Intelligence Service (BND) knew, at the latest, in 1958 that this mass murderer was living in South America under an assumed name. The German government did not initiate Eichmann's prosecution but rather informed the US Central Intelligence Agency (CIA) of his whereabouts. But the CIA also remained inactive, because it feared incriminating evidence, against prominent cabinet members of the West German government, could be brought to light, if a trial were opened against Eichmann. The files, made public in Washington, shed a light on the cooperation between the post war elite of West Germany and the surviving Nazi personnel, who were integrated into the new state structures or enjoyed their secret protection. The BND served as one of the centers for this cooperation. "Now we know that at least a dozen veterans of Eichmann's 'Jewish Affairs Section' (...) worked as secret agents for the CIA and the BND (...) in the aftermath of 1945", writes Professor Christopher Simpson of the American University (Washington D.C.) in an article for german-foreign-policy.com.
After a long legal battle with the US government, the files at the US-National Archives and Record Administration (NARA) were declassified, and are causing a sensation in the USA. The German press relegated these news items to their back pages or merely laconicly quoted press agency reports out of Washington. Exposure of the BND's inactivity in the pursuit of the mass murderer, Eichmann, comes at an unfavorable moment. The BND stands under suspicion of having engaged in numerous illegal activities [1] and is seen as being out of control.[2] With its more than 10.000 employees in Munich and Berlin, this secret service organization is one of the most powerful state apparatuses of Germany. It is seen as capable of steering subversive movements both abroad and at home.

Leadership Trio

As critics have repeatedly stated, the internal situation of the German secret services cannot be explained without knowledge of their early links to the surviving Nazi personnel. The BND's predecessor, the "Organization Gehlen", (named after its founder and long time director, Reinhard Gehlen), which was established under direct supervision of the US intelligence services, beginning in 1946, had already integrated personnel from the Nazi espionage structures. After its crossover to become the BND (April 1, 1956), Reinhard Gehlen became chief of BND operations. During World War II, he was head of the General Staff's Division "Fremde Heere Ost" (Foreign Forces - East), that was responsible for carrying out espionage against the Soviet Union. Gerhard Wessel, appointed by Gehlen in the summer of 1942 to the post of director of "Group I" of the "Fremde Heere Ost", and thus responsible for the daily reports on operations, became, in 1946, the director of the analysis department of the new secret service organization. In 1968, he succeeded his former boss, to become President of the BND. Hermann Baun, in charge of procurement in the "Organization Gehlen" since 1946, had already been in the espionage trade during the war, as head of the Central Office of Front Line Intelligence - I East. He boasted of supervising an extensive espionage network inside the USSR.

Old Job

As Gehlen frankly admitted in his memoirs, the respective US agencies had given him the explicit "go ahead" to establish the new secret service "using the existing potential" and to continue with "the old job toward the same objectives".[3] According to more recent estimates, approximately ten per cent of the 4,000 agents, working for Gehlen in the summer of 1949, had previously been members of the SS, the SD and the Gestapo, in addition to a large number of former Wehrmacht soldiers. Among "Organization Gehlen's" Nazi personnel, were several war criminals e.g. Wilhelm Krichbaum, a former SS Standartenfuehrer and Gestapo Southeast Border inspector. Krichbaum was in charge of a BND network of "sleeping agents", who, in the case of a Soviet attack, would remain behind the advancing Soviet lines and subsequently carry out sabotage behind the front. Former SS Obersturmfuehrer Hans Sommer became Gehlen's employee in 1950. Sommer was responsible for the demolition of seven synagogues in Paris and was promoted in Nice to SD chief.[4]

Eichmann's Aide-de-Camp

Among the Nazi criminals taken in by the organization Gehlen was also Adolf Eichmann's former Aide-de-Camp, Alois Brunner. In France; Brunner was found guilty of the mass murder of more than 120,000 European Jews and was sentenced to death in absentia. In the 1950s Brunner was the resident in Damascus for the German secret service.[5] Secret service operations in favor of Egyptian security forces, involving 100 German "advisors," fell within the range of his Middle East activities in the 1950s. Numerous Nazi functionaries were among the assistants from Germany, whose recruitment had been directed by Otto Skorzeny. As an SS expert for sabotage and covert actions inside states under Nazi occupation, Skorzeny was active in Germany's subjugation of Europe.[6]

Updated

One of the first western scholars, who had assembled reliable information on the postwar German Nazi secret service network, was the US historian Christopher Simpson. His book "Blowback" published in 1988 named the names of several dozen German war criminals and mass murderers, who had made successful postwar careers with the CIA and the BND.[7] According to Christopher Simpson, Wilfried Strik-Strikfeldt, was also in this circle. Strik-Strikfeldt was the ex-BND chief's liaison officer to Eastern European Nazi collaborators. He maintained these contacts in the post-war period and placed them at the disposal of revisionist exile organizations, planning terrorist attacks and maintaining contacts to the German "Expellees" scene. In this criminal environment, the German Reich's hegemonic concepts of Europe were updated - it is now garbed in an allegedly people-uniting European "Integration".[8]

Myth

As Christopher Simpson writes, in his article for german-foreign-policy.com, "brutality, stupidity and lawlessness" characterizes the commissioning into service of well-known Nazi criminals for the postwar political interests of the US and their German allies. To keep the Nazi race theoretician Hans Globke, in his position as undersecretary of state in the Federal Chancellor's Office, in Bonn, "the CIA initiated a campaign with the objective of suppressing information about Globke's affiliations with Eichmann." Globke had been helpful as West German liaison to NATO. This service was more important than Globkes responsibility for anti-Semitic persecution. "The recent scandal", which lays bare the passivity and aid furnished by both German and US prosecution authorities, puts into question a transparent post-war "myth", writes Christopher Simpson: Instead of "Freedom and Democracy" - unscrupulous cooperation between the BND, the CIA and globally wanted mass murderers, such as Adolf Eichmann.

Please read also Christopher Simpson's article here
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/56392

[1] see also In Accordance With the LawLapse into BarbarismErpressbar and Größte Gefährdungen
[2] see also Außer Kontrolle
[3] Reinhard Gehlen: Der Dienst. Erinnerungen 1942-1971, Mainz-Wiesbaden 1971
[4] Peter F. Müller, Michael Mueller (unter Mitarbeit von Erich Schmidt-Eenboom): Gegen Freund und Feind. Der BND: Geheime Politik und schmutzige Geschäfte, Hamburg 2002
[5] Georg Hafner, Esther Schapira: Die Akte Alois Brunner, Frankfurt am Main 2000. See also The Results Were Deadly
[6] Peter F. Müller, Michael Mueller (unter Mitarbeit von Erich Schmidt-Eenboom): Gegen Freund und Feind. Der BND: Geheime Politik und schmutzige Geschäfte, Hamburg 2002
[7] Christopher Simpson: Blowback. The first full account of America's recruitment of Nazis and its disastrous effect on our domestic and foreign policy, New York (USA) 1988
[8] John Laughland: The Tainted Source. The Undemocratic Origins of the European Idea, London 1997

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Beitrag von Prof. Christopher Simpson
 

11.06.2006 - 
WASHINGTON
 
Christopher Simpson ist Professor an der American University in Washington (D.C.) und Autor einer umfassenden Studie über die Indienststellung deutscher Nazis für die Geheimdienste der Bundesrepublik und der USA. Simpson nimmt in einem Beitrag für diese Redaktion zu den jüngsten Enthüllungen über die staatlichen Beihilfen zur Flucht von Adolf Eichmann Stellung. Wir veröffentlichen den Text im englischen Original.

The recent news from Washington DC is that the CIA has been forced to release a 1958 document demonstrating that the Agency declined to investigate or capture Adolf Eichmann in order to protect Konrad Adenauer's Kanzleramt chief Hans Globke, who had worked with Eichmann during the Nazi years, as well as a number of lesser-known Nazi agents who had been enlisted by western intelligence agencies in the wake of World War II. The CIA has been forced to open these and other records, including new documentation about the Gehlen organization, by an eight-year-long legal and archival investigation under the Nazi War Crimes Disclosure Act.

The brutality, stupidity and lawlessness characteristic of post-World War II recruitment of Nazi criminals remains front page news at least in part because of the similarities between that era and our own. Today our propaganda continues to conjure up a world in which any violence perpetrated on the enemy is and must be authorized. Our new, total-war-with-a-human-face requires torture of others and a form of self-inflicted psychological war upon ourselves that grows all the more painful as its effectiveness wears off. Our latest conflict – like the others before it – is once again one in which the strong must rule because the stakes are supposedly the survival of 'civilization' itself.

The most recent round of scandal again chips away at the official myths upon the postwar alliance was built between the Federal Republic of Germany and the United States. Those myths, in their simplest form, have long been that the crimes of Nazi Germany were the responsibility of a quite small number of people, mainly psychopaths, found exclusively in the higher ranks of the NSDAP and the SS, plus a handful of concentration camp guards.

These myths have long been transparently untrue for any student, soldier, or news reporter who has examined the history of either country. But the myths have remarkable resilience, in part because they underpinned the power structures of both countries, especially during the Cold War years.

The document that has received the most attention in the media is rather routine: In March 1958, the CIA's bureau chief in Munich wrote to headquarters noting that the BND had provided a list of wanted Nazi criminals to the CIA. Number three on the list was Eichmann, who was reported to be in Jerusalem or, alternately, hiding in Buenos Aires, Argentina, under the name of 'Clemens.' The latter claim had been circulated for some years by the Simon Wiesenthal organization, though that was not acknowledged in the memo. Wiesenthal (and the BND and CIA) misspelled Eichmann's cover name of 'Klement,' but the report concerning Argentina otherwise eventually proved to be accurate. Neither the BND nor the CIA took action on the Eichmann information in the 1958 memo.

The reason for the failure to act became clear in the wake of Israel's kidnapping and eventual trial of Eichmann: Washington worried that Eichmann would publicly confirm the accounts of Nazi-era activities of Hans Globke, who was at that time the chief national security advisor to Konrad Adenauer as well as Germany's most senior contact with the CIA and with NATO. The East Germans had for years been hammering away at the theme that Globke had played a pivotal role in writing the Nuremburg race laws during the Nazi years, and had in that capacity cooperated with Eichmann in the Nazi Party's Jewish Affairs Office during opening years of Nazi attempts to exterminate Jews, Romani and many others. On this point the DDR had been quite right.

Perhaps the most interesting revelation of the new documentation is that once Eichmann was arrested, the CIA undertook a concerted campaign to suppress information concerning Eichmann's links to Globke. They intervened with the major weekly newsmagazine Life, for example, to suppress sections of Eichmann's memoirs (which had been purchased by Life) that mentioned Globke. This silence concerning Globke's association with Eichmann is also found throughout other major US media of the period.

We also know in retrospect that at least a dozen veterans of Eichmann's Jewish Affairs office alone, not to mention other SS and SD recruits, were recruited as clandestine agents after 1945 by the CIA, the BND and predecessor groups such as the Gehlen Org.

Turn now for a moment to the modern context of the recent round of disclosures. For the present US government, the Eichmann/Globke scandal is not in any sense a reason to strengthen democratic accountability of intelligence agencies. Quite the contrary.

In Bush world, the solution to the Eichmann/Globke scandal is not more democracy; it is, rather, keeping fewer records in the first place, and destroying those records before they get into the hands of the public, even 50 years later. The clumsy strongmen of the Bush administration are using this and other examples of intelligence abuses as further opportunity to radicalize intelligence and military bureaucracies in Washington. Through a series of administrative maneuvers, the administration is disassembling or sidestepping many of the laws that led to the disclosure of intelligence abuses. He is promoting new, rival covert operations agencies and intelligence analysis groups inside the Pentagon that he hopes will never become publicly known in the first place.

So, too, with the next generation's version of the Eichmann/Globke scandal. There is a genuine danger that not only will the relevant records be secret; they may not exist in the first place.

Christopher Simpson


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TELEPOLIS
 

Eichmann, der BND und die Expertenkommission


Gaby Weber 21.01.2011


Wie der Geheimdienst und das Bundeskanzleramt mit einem von der Autorin erwirkten Urteil zur Herausgabe von Akten umgehen


Man hatte ihn abkommandiert, zu seinem ersten "Fronteinsatz": Bodo Hechelhammer, Leiter der Forschungsgruppe Geschichte des Bundesnachrichtendienstes, promovierter Historiker mit Spezialgebiet Kreuzzüge (1). Das erste Mal, dass er in der Öffentlichkeit sein Gesicht zeigt, gestand er. Am vergangenen Montag saß er im Berliner Institut für Medien und Kommunikationspolitik (2) auf dem Podium und musste, da der eingeladene Kanzleramtschef Ronald Pofalla gekniffen hatte, den versammelten Journalisten und Historikern Rede und Antwort zum "Fall Adolf Eichmann und die Bundesregierung" stehen. Und natürlich ging es um die gerade gegründete BND-Historikerkommission - die Antwort der in die Defensive geratenen Bundesregierung unter dem Motto: die beste Methode, einen Skandal zu verdecken, ist die Gründung einer Expertenkommission. Denn nachdem Angela Merkel vergeblich das Thema aussitzen wollte, muss am Ende und nach heftigem Widerstand nun doch auch der BND seine braunen Wurzeln aufarbeiten.


Als "Experten" wurden vier Historiker handverlesen: Jost Dülffer (3) (Köln), Wolfgang Krieger (4) (Marburg), Klaus-Dietmar Henke (5) (Dresden) und Rolf-Dieter Müller (6) (Potsdam). Henke wollte darin gleich einen "Kulturwandel" im Kanzleramt sehen. Worin der genau besteht, ist bisher nicht klar. Auch der BND-Kenner Erich Schmidt-Eenboom, der über die Organisation Gehlen promoviert, sieht keine grundlegende Kursänderung sondern "eher eine Nebelkerze".

Nicht einer der angeblichen Experten hat sich durch Werke über die Zeit des Nationalsozialismus hervorgetan. "Müller vom Militärgeschichtlichen Forschungsamt der Bundeswehr hat als Gutachter bei der Rehabilitierung der sogenannten Kriegsverräter in mindestens zwei Fällen gelogen", behauptete Jan Korte (7) (MbB Die Linke), "und ausgerechnet so einer soll die Nazi-Vergangenheit des BND erhellen"? Hechelhammer, der Kreuzzugsexperte, schwieg dazu.

Im Prinzip, sagt der BND, sollen die vier Historiker alles sehen dürfen. Ob und wann dieses Material auch der Öffentlichkeit zugänglich gemacht werden wird? Ja, das sei noch unklar. Wahrscheinlich werden die zitierten Unterlagen irgendwann im Bundesarchiv landen, hieß es. Und die nicht-zitierten Dokumente und die Papiere, gegen deren Veröffentlichung der Dienst sein Veto einlegen kann? Hmmm. Und ob sich an der bisherigen Auskunftsunwilligkeit etwas ändert? "An der Praxis ändert sich an dem bisherigen Verfahren erst mal nichts durch die Kommission", so der Kreuzzügler, "es gibt weiter die Möglichkeit, zu Sachthemen und Personen, Akteneinsicht zu beantragen, und über die wird dann entsprechend entschieden. Positiv oder negativ".

Gegründet wurde der BND an einem Ersten April 1956, hervorgegangen aus der Organisation Gehlen, einer CIA-Gründung unter dem Kommando des Nazi-Generals Reinhard Gehlen. Er rekrutierte seine alten Kameraden für den Kalten Krieg, dort zählte nur der Antikommunismus. Ob jemand sein Handwerk bei der SS oder der Gestapo gelernt hatte, interessierte nicht. Auch nach dem Ende des Kalten Kriegs änderte sich in Pullach wenig. Während nordamerikanische Geheimdienste seit den siebziger Jahren - meist nach Gerichtsurteilen - ihre Unterlagen herausgeben müssen, wurde in der Bundesrepublik erst 2005 das Informationsfreiheitsgesetz verabschiedet, das die Geheimdienste ausdrücklich ausnimmt. Sie wähnten sich in der Sicherheit, daß ihnen niemals jemand in die Karten beziehungsweise ins Archiv gucken würde! Böse Zungen behaupten übrigens, das Archiv des BND sei ein Saustall, in dem nicht einmal die eigenen Leute etwas finden. Das Koblenzer Bundesarchiv stellt deshalb seit Jahren - um schlimmeres für die Zukunft zu vermeiden - eine eigene Beamtin ab.

Über Jahrzehnte gab Pullach überhaupt nichts preis, nicht einmal den Parlamentariern. Der Bundesrechnungshof darf bis heute operative Vorgänge nicht einsehen, etwa beurteilen, ob die Ausgaben in einem akzeptablen Verhältnis zu den Ergebnissen stehen. Der Geheimschutz verhindert eine Qualitätskontrolle, und das Ergebnis ist unvermeidbar: Erfolge hat der Dienst nicht vorzuweisen, die Ausgaben sind astronomisch. Kritiker werden als "Verschwörungstheoretiker" abgetan und das Material wird vorenthalten. Und das ging viele Jahre gut. Freiwillig gab man so gut wie nichts heraus: peinlich unbedeutende Wochen- und Tagesmeldungen, die im Bundesarchiv lagern, dann einige Aufklärungsergebnisse über die militärische und wirtschaftliche Situation in der DDR. Das, was kritische Geister wissen wollten, wird zurückgehalten - die Politik spielt ja mit, und die Öffentlichkeit hat sich dran gewöhnt.

Da war die Überraschung groß, als Ende April 2010 das Bundesverwaltungsgericht in Leipzig meiner Klage auf Herausgabe der BND-Akten zu Adolf Eichmann stattgab. Die Richter erklärten die Sperrerklärung des Bundeskanzleramtes für rechtswidrig. Nach 30 Jahren, so besagt es das Bundesarchivgesetz, seien amtliche Unterlagen grundsätzlich offen. Daß sie irgendwann einmal als "Geheim" gestempelt worden seien, reiche alleine nicht aus. Doch statt das Urteil zu respektieren und die Akten nunmehr komplett vorzulegen, schaltete das Bundeskanzleramt auf stur und präsentierte erneut eine Sperrerklärung. Sie benutzt dieselben, vom Gericht für rechtswidrig erklärten Argumenten, um diese Papiere aus den fünfziger Jahren bis 1961 weiterhin der Öffentlichkeit vorzuenthalten. Soviel zum Thema "Kulturwandel".

Die Klage auf Herausgabe der kompletten Akten ist anhängig, womit sich der BND-Historiker Hechelhammer am Montag für sein Schweigen entschuldigte.

(Noch) kein Verfahren ist anhängig wegen der verweigerten Auskunft zur Colonia Dignidad - jener deutschen Siedlung in Südchile, in der über Jahrzehnte gefoltert wurde und in der man Kinder sexuell missbrauchte. Der BND-Waffenhändler Gerhard Mertins von der Firma Merex AG leitete den "Freundeskreis der Colonia Dignidad" in Deutschland. Zu diesem Thema verweigert der BND komplett die Auskunft. Zunächst verschanzte er sich hinter der generellen Geheimhaltung, dann bat er um Aussetzung des Auskunftsverfahrens bis zur Entscheidung in Leipzip über die Eichmann-Akten, und jetzt hat Pullach dem Bundesarchiv statt Akten ein Dokument über eine "Notvernichtungshandlung" vorgelegt. Warum die Akten vernichtet worden seien? Schweigen von Hechelhammer. Das Bundeskanzleramt wird demnächst auf eine parlamentarische Anfrage antworten müssen, warum sie nicht nur den barmherzigen Mantel der Geheimhaltung über einen nationalsozialistischen Massenmörder legen will sondern auch über die deutschen Päderasten in Chile.

Auf ihre Partei und den Koalititonspartner kann sich Frau Merkel verlassen. Bei einer aktuellen Debatte im Bundestag zum Thema Eichmann meinte am Mittwoch der parlamentarische Geschäftsführer der CDU, Manfred Grund, "ein Nachrichtendienst wäre kein Nachrichtendienst, wenn er alle seine Unterlagen auf den Marktplätzen der Welt ausbreiten würde". Die Redner der FDP beschränkten sich darauf, über die Stasi-Vergangenheit der Linkspartei herzuziehen. Die SPD hüllte sich in schöne Worte und legte sich, wie immer, nicht fest. Bei wem es sich um den SS-Obersturmbannführer Adolf Eichmann eigentlich gehandelt hatte - darüber ging es im Bundestag ebensowenig wie um seine Opfer. Seit 65 Jahre entweicht aus den Schornsteinen der NS-Vernichtungsmaschinerie kein Rauch mehr, und die heutigen, sich "demokratisch" nennenden Politiker nehmen sich das Recht heraus, Akten über die Täter geheim zu halten und uns die Wahrheit zu verschweigen. Sie verkünden es und gehen zur Tagesordnung über. Das ist unerträglich.


Links

(1) http://www.thorbecke.de/kreuzzug-und-herrschaft-unter-friedrich-ii-p-852.html
(2) http://medienpolitik.eu/cms/index.php?idcatside=62
(3) http://histsem1.phil-fak.uni-koeln.de/duelffer0.html
(4) http://www.staff.uni-marburg.de/~kriegerw/publikationen.htm
(5) http://rcswww.urz.tu-dresden.de/~zge/Mitarbeiter/mitarbeiter%20henke.htm
(6) http://www.mgfa.de/html/institut_mitarbeiter_2005.php?do=display&ident=3997ed6485ff2
(7) http://www.jankorte.de/

Telepolis Artikel-URL: http://www.heise.de/tp/r4/artikel/34/34056/1.html


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il manifesto, 08 Giugno 2006

Eichmann, le spie Usa sapevano ma tacquero

Dai documenti dei National Archives americani: nel '58 la Cia sapeva dove si nascondeva il criminale nazista ma non disse nulla agli israeliani

Em. Gio.*

Ci sono personaggi il cui passato continua a riaffiorare dai buchi neri della storia. Quello di Adolf Eichmann ad esempio. Ma anche quello di chi protesse, semplicemente tacendo, la sua fuga in Argentina dopo la caduta del Reich. Da una settimana aiNational Archives americani, qualcosa come 27mila pagine di documenti desecretati e relativi al lavoro dei servizi segreti sui dossier che riguardavano i crimini di guerra di nazisti e giapponesi, sono adesso a disposizione degli storici. E parecchie cose sono già saltate fuori. Ad esempio che la Cia sapeva che Eichmann, uno dei pianificatori della «soluzione finale», fuggito nelle Americhe dopo cinque anni di clandestinità nella campagne tedesche, viveva libero e felice in Argentina. Sapeva che l'uomo per il quale Hannah Harendt coniò l'espressione «la banalità delmale», viveva sotto il falso nome di Ricardo Klement a Buenos Aires, per dove era salpato, con la complicità di ecclesiastici di rango, agli inizi degli anni '50. Ma ignorò l'informazione. L'intelligence americana riteneva infatti che una cattura di Eichmann avrebbe potuto danneggiare il lavoro di altri dirigenti nazisti che erano considerati alleati importanti degli americani. Tra questiHans Globke, consigliere di Adenauer che dopo il nazismo si era rifatto un nome. La Cia fece il possibile perché il suo passato ingombrante (con non poche responsabilità nella persecuzione degli ebrei) non venisse a galla e quando gli israeliani catturarono Eichmann, la Cia fece pressioni suimedia americani perché non saltasse fuori il nome di Globke. La cosa era nota ma adesso un memo di Allen Dulles, direttore dell'intelligence spiega bene come, nel settembre del '60, la Cia ritenesse un successo il fatto che Life avesse omesso di menzionare Globke dopo che la prestigiosa rivista aveva acquistato le memorie di Eichmann ormai sotto processo in Israele. Dove fu condannato amorte e giustiziato nel '62 nel carcere Ramleh di Tel Aviv. La sua cattura era stata rocambolesca: nel 1957 un ebreo ceco di nome Lothar Hermann aveva scoperto che l'Obersturmbannfuhrer delle Ss, il «logista» dello sterminio, viveva nella capitale argentina. Ne informò unmagistrato tedesco che a sua volta lo fece sapere al Mossad. I servizi israeliani preparano le cose con cura durante tre anni e nel '60 lo rapirono e lo trasferirono segretamente in Israele, evitando le procedure regolari che avrebbero impedito la sua cattura visto che l'Argentina era stata scelta dai nazisti proprio perché non prevedeva l'estradizione. E' lecito supporre che in questa operazione non furono aiutati dai colleghi americani.  *Lettera22

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il manifesto, 20 Agosto 2006

I gerarchi nazisti al fronte occidentale

Archivi americani. Eichmann, Globke, Gehlen furono salvati dagli americani in nome della guerra fredda e della ricostruzione di una Germania occidentale fedelmente alleata agli Stati Uniti

Fabrizio Tonello

Nel mondo compiutamente orwelliano del Corriere della sera del 12 agosto solo pochi centimetri di piombo, in prima pagina, separavano l'editoralista alla moda che predicava il ritorno alla tortura dallo sprezzante critico di Günter Grass che irrideva alla pretesa di quest'ultimo di esercitare un qualunque magistero morale. In altre parole, chi a 17 anni ha fatto parte di un'unità militare SS senza mai aver compiuto alcun crimine, e nemmeno essere stato impegnato in combattimento, dovrebbe astenersi dal dare lezioni di etica pubblica ai governi, lezioni che ci dovrebbero essere impartite, invece, dai sostenitori della tortura i quali, né a 17 anni né in età più matura, hanno mai letto (o compreso) Cesare Beccaria.
C'è qualcosa di leggermente disgustoso, maleodorante, nell'orgia di ipocrisia seguita alle dichiarazioni di Günter Grass del 12 agosto. Ignoranti della storia, giornalisti senza pudore, scribacchini invidiosi e storici improvvisati si sono lanciati sulla ghiotta preda senza darsi la pena di verificare le informazioni, reperibili in qualsiasi buon manuale di storia della seconda guerra mondiale.
Cominciamo dal capire cos'era la divisione SS a cui è appartenuto lo scrittore tra il 10 novembre 1944 e l'8 maggio 1945, quando fu catturato dagli americani in Cecoslovacchia. La 10° Panzer-Division delle SS «Frundsberg» era una unità di costituzione recente, che dopo aver subito durissime perdite in Russia, venne trasferita in Normandia, in seguito allo sbarco delle truppe alleate il 6 giugno 1944. Dopo aspri combattimenti nella sacca di Falaise e altre operazioni difensive venne trasferita in Olanda, dove subì altre gravi perdite e solo il 18 novembre '44 arrivò ad Aquisgrana per un periodo di riposo e ricostituzione dei ranghi. La cartolina precetto arrivò a Grass in questa fase, quando gran parte della forza della divisione era costituita da giovanissimi soldati che avevano bisogno di addestramento. Infatti, lo scrittore afferma che non fu mai impegnato in combattimento. Nel gennaio '45 la «Frundsberg» fu trasferita nell'alto corso del Reno, destinata a forza di riserva, e il 10 febbraio fece ritorno sul Fronte Orientale, dove, dopo un durissimo mese di combattimenti venne costretta a ritirarsi al di là dell'Oder, presso Stettino. A metà aprile era nell'area di Dresda, dove il comandante Harmel, per il suo rifiuto di eseguire gli ordini di Hitler, venne destituito. I resti della «Frundsberg» si consegnarono agli americani, l'8 maggio '45.
Grass, dunque, non fu veramente volontario nelle SS (a 15 anni aveva chiesto di prestare servizio nella più romantica ed esotica delle unità militari, i sottomarini) e quando gli arrivò la convocazione non dovette sottoporsi ad alcun esame di fedeltà al nazismo: le Waffen SS, a partire dal '44, reclutavano tutto ciò che potevano, compresi i giovanissimi, per ricostituire i loro ranghi decimati. Lo stesso Joachim Fest, uno dei più aspri critici di Grass in Germania, sottolinea di essersi arruolato nell'esercito per «sfuggire alla coscrizione obbligatoria nelle SS». Grass non prestò servizio come guardia in un lager, non fece carriera nell'esercito, men che meno nel partito nazista. Il suo unico peccato fu quello di subire il fascino delle uniformi, come milioni dei suoi coetanei.
Esaminiamo, invece, il caso di tre tedeschi la cui sorte fu ben diversa dalla sua: altissimi funzionari del partito nazista, direttamente coinvolti nello sterminio, furono salvati dagli americani in nome della guerra fredda e della ricostruzione di una Germania occidentale fedele alleata agli Usa. Il primo è quello di Adolf Eichmann, uno degli architetti della «soluzione finale del problema ebraico», i cui documenti sono depositati nei National Archives Usa (numero di identificazione XE004471). I documenti dimostrano che la Cia aveva individuato Eichmann in Argentina almeno dal '58 ma si guardò dal fornire le informazioni sul criminale di guerra a Israele, che lo avrebbe rintracciato, portato a Gerusalemme, processato e condannato a morte nel 1962.
Perché la Cia protesse Eichmann? Sembra che lo abbia fatto per proteggere Hans Globke, il consigliere per la sicurezza nazionale del cancelliere tedesco Adenauer. E chi era Globke? Un nazista che aveva lavorato nel dipartimento Affari Ebraici e che era stato forse coinvolto nella stessa elaborazione delle leggi razziali. Lungi dall'assere processato, o escluso da incarichi pubblici, Globke era stato integrato in una posizione di altissima responsablità nel governo della Repubblica Federale. Günter Grass, del resto, ricorda nella sua intervista che il giudice che condannò alla fucilazione sommaria suo zio Franz, arrestato a Danzica, continuò la sua carriera nella magistratura tedesca dopo la guerra. E infine c'è il caso del general Reinhard Gehlen, il capo dei servizi segreti nazisti, che alla fine della guerra venne semplicemente assunto dagli americani per continuare ciò che sapeva fare meglio: lo spionaggio all'Est. Per decenni Gehlen lavorò indisturbato per i nuovi padroni e per la Germania Federale malgrado le sue responsabilità durante la II guerra mondiale. Le informazioni su di lui sono state tenute segrete per 50 anni e solo dal maggio 2004 sono diventate consultabili nei National Archives (Record Group 319, Entry 134A, Boxes 144A-147). Si trattava di tre onesti patrioti, tre persone costrette a collaborare per sfamare la famiglia? Questo è lo specioso argomento invocato da Fest nell'intervista a Repubblica. Al contrario, Eichmann, Globke e Gehlen avrebbero meritato di essere processati a Norimberga assieme a quelle altre centinaia di gerarchi nazisti di livello inferiore che sfuggirono alla cattura grazie al Vaticano e agli Stati Uniti, spesso partendo dal porto di Genova. Gli ammiratori dell'amministrazione Bush, gli scribi e i farisei che si stracciano le vesti al sentire la parola «SS» hanno mai sentito il detto biblico sulla pagliuzza nell'occhio dell'altro, da confrontare con la trave nel proprio?


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Nazi “Butcher of Lyon” was a German intelligence agent


By Dietmar Henning 
22 January 2011


Klaus Barbie, the Nazi war criminal infamously known as the “Butcher of Lyon”, was an agent of the German Federal Intelligence Service (BND) in the 1960s. This was revealed recently by the news magazine Der Spiegel.

Adopting the name Klaus Altmann at the time, Barbie operated under the code name “Eagle” (agent number V-43118) and provided the BND with at least 35 political reports in 1966. His payment for this—up to DM 500 (deutschmarks)—was transferred to him via a branch of the Chartered Bank of London in San Francisco. BND files praised the “quintessentially German attitude” of this “decisive enemy of communists”. At the turn of 1966-67, the BND terminated contact with its source, Barbie alias Altmann, paying him a final cash settlement of DM 1,000.

This last point was discovered by a history student at the University of Mainz, Peter Hammerschmidt. He is currently working on a degree thesis entitled “‘The Butcher of Lyon’ in the pay of the United States: Concerning the relations between Klaus Barbie and the American secret service”. In September, Hammerschmidt was able to view Barbie’s BND file as part of his scientific work and released his findings about Barbie’s BND past earlier this year.

As a captain in the SS (Hitler’s elite force) from 1940 to 1942, Klaus Barbie tortured and murdered people in the German occupied Netherlands and Belgium. During this time, he was “head of Jewish affairs in the main office of the Reich (empire) Security Department” in The Hague.

From November 1942, he was chief of the Gestapo (Nazi secret police) in Lyon in the area of southern France administered by the pro-fascist Vichy regime of General Petain. His horrifically cruel crimes committed there earned him the title “Butcher of Lyon”. His victims were workers, peasants and members of the resistance—including Jean Moulin, whose arms, legs and ribs were broken in the course of daily interrogations. Women were beaten unconscious, raped and sodomised. Thousands of men and women were tortured, sent to extermination camps or killed by Barbie. These included 41 Jewish children from Izieu, France, aged 3 to 13, whose deportations were arranged by Barbie on April 6, 1944. They died in the gas chambers at Auschwitz.

Towards the end of 1944, Barbie suddenly disappeared, going into hiding somewhere in Germany shortly before the end of war. Accused of numerous crimes, he was sentenced to death in absentia by the French authorities for the first time in 1947, and again in 1952 and 1954 following the discovery of further crimes.

However, the wanted war criminal was protected by both the intelligence service of the US army, its Counter Intelligence Corps (CIC), and the German authorities. Hammerschmidt claims that Barbie’s name appeared on the CIC’s payroll in April 1947, although it had been on the allies’ wanted list in the spring of 1946. This saved him from extradition to France and he was able to live in Germany undisturbed.

As an agent of the CIA from 1950, Barbie recruited members for the far-right League of German Youth (BDJ) that was later to be banned. The BDJ was the German vanguard organisation of the infamous Gladio NATO (North Atlantic Treaty Organisation) troops in Europe. This paramilitary organisation with close ties to extreme right-wing terrorists was set up to carry out sabotage and assassinations behind enemy lines in the event of an attack from the Soviet Union. Aided by the US in 1951, Barbie emigrated to Bolivia under the name of Klaus Altmann via the so-called “rat lines”.

Unlike many other war criminals in South America, Barbie did not simply disappear from the scene, but rose to the position of official adviser to Bolivia’s right-wing military dictatorships. Operating from the army’s headquarters, he passed on experience acquired in Lyon that was useful to members of the military secret service in their suppression of political opposition: “interrogation techniques”, “torture methods” and “anti-guerrilla tactics”. Under René Barrientos Ortuno’s military junta, Barbie rose to the post of military advisor for counterinsurgency in 1964-65, receiving a diplomatic passport in 1966.

At the same time, Barbie managed a sawmill under the name of Altmann. He became rich owing to the Vietnam War, when he sold vast quantities of cinchona plant—the raw material for the antimalarial analgesic quinine—to the German chemical company Böhringer in Mannheim.

He was simultaneously involved in the arms and drug trades. From the mid- to late 1960s, the Butcher of Lyon travelled to South American countries and to Spain and Portugal, supplying their respective dictatorships with weapons. After Colonel Hugo Banzer Suárez’s bloody CIA-backed coup in 1971, Barbie was promoted to a paid consultant to the interior ministry and counter-espionage division of the Bolivian army. In addition, he established his own paramilitary force, which he used to support the military coup by General Luis García Meza in 1980.

During the rule of President Hernán Siles Zuazo two-and-a-half years later, the Bolivian police arrested Barbie on January 19, 1983. In the same year, he was extradited to France and brought to court in Lyon. According to Hammerschmidt, who was also able to carry out research in the US National Archives (NARA) in Washington, a CIA document from December 1983 mentions that the prevailing French government of Francois Mitterrand—for domestic political reasons—had purchased Barbie’s sudden extradition from Bolivia with weapons: small arms, machine guns, antitank weapons and ammunition.

Barbie was accused of crimes against humanity and sentenced to life imprisonment on July 4, 1987. He died in prison in 1991.




Jugoslavenski glas - Voce jugoslava

 

Od Triglava do Vardara... Dal monte Triglav al fiume Vardar...

Svakog drugog utorka, od 14,00 do 14,30, na Radio Città Aperta, i valu FM 88.9 za regiju Lazio, emisija:
JUGOSLAVENSKI GLAS
Moze se pratiti i preko Interneta: http://www.radiocittaperta.it/stream.htm 
Pisite nam na jugocoord@...  Citajte nas na www.cnj.it

 

Ogni due martedì dalle ore 14,00 alle 14,30, su Radio Città Aperta, FM 88.9 per il Lazio:
VOCE JUGOSLAVA
La trasmissione, che si può seguire via Internet - http://www.radiocittaperta.it/stream.htm -,
è bilingue (a seconda del tempo disponibile e della necessità).
Scriveteci all'indirizzo email: jugocoord@...  Leggeteci al nostro sito www.cnj.it.

 

                                Program       1.II. 2011     Programma 

- 1. februara 1918. u Boki Kotorskoj izbila pobuna mornara, koji su na brodove zuto crne carevine (austrougarske) istakli crvene zastave. Pobuna je skrsena, 800 mornara uhapseno. Pred prijeki vojni sud privedeno 40. Strijeljani su Ceh Frantisek Ras i Hrvati Antun Grabar, Jerko Sizgoric i Mate Baricevic.
- Situacija u Fiat Srbiji nakon masovnih otpustanja radnika. Razgovaramo telefonski sa Rajkom Veljovic
- Ostale obavjesti

 

- Il 1. febbraio 1918 scoppia la rivolta dei marinai nelle Bocche di Cattaro, contro l'Impero austroungarico. I marinai al posto della bandiera imperiale innalzano la bandiera rossa. In 800 sono arrestati. 40 sono processati. 
Vengono fucilati il ceco Frantisek Ras ed i croati Antun Grabar, Jerko Sizgoric e Mate Baricevic.
Il monumento al marinaio della rivolta, posto a Pola nel parco davanti l' Arena, è stato abbattuto per 2 volte: la prima 
volta nel 1991 sotto Tudjman, e per anni non si è saputo dove era stato gettato. L'anno scorso, dopo mesi di incertezza, è
 stato di nuovo rimesso al suo posto.

- A che punto è... la "Puntoalla Fiat-Serbia di Kragujevac. E gli altri investimenti italiani in Serbia.

Ne parliamo telefonicamente con Rajka Veljovic.
- Altre notizie e comunicazioni.

 

In studio Eleonora e Ivan


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JEDINSTVENA SINDIKALNA ORGANIZACIJA ZASTAVA


SAVEZ SINDIKATA SRBIJE - SINDIKAT METALACA SRBIJE

Adresa : Тrg Тopolivaca 4, 34000 Kragujevac
Тelefon/Faks : 034/335 367 & 335 762 - lokal : 22 69
Elektronska pošta : jsozastava@...

SINDACATO ZASTAVA RESISTE


Cari amici,

Stimate associazioni,


Con la decisione del governo serbo marchio ZASTAVA non esiste piu dal 5. gennaio 2011. Fabbrica ZASTAVA e andata nella storia.

Rimangono altri reparti dell’ex Gruppo ZASTAVA (in totale 15 fabbriche ZASTAVA) che rimangono unite nelle attivita sindacali con riferimento al Sindacato ZASTAVA (la struttura con la quale avete rapporti diretti). Questa struttura continuera a svolgere tutte le attivita precedenti pur essendo ridotto lo staff sindacale per le persone che erano lavoratori della Fabbrica Auto (Radoslav Delic – segretario generale, Dragan Corbic – informatico dell’ Ufficio adozioni e relazioni estere e Rajka Veljovic).

Per quanto riguarda segretario generale, le elezioni sindacali saranno il 18.marzo ed e gia concordato all’ Assemblea sindacale che segretario generale sara Rajko Blagojevic (ex vicesegretario). Per quanto riguarda l’Ufficio relazioni estere e adozioni a distanza tutte le attivita finora svolte saranno continuate fino a quando le associazioni italiane ci saranno vicine.

Nella Fabbrica Auto Serbia e nelle fabbriche ZASTAVA dell’ex Gruppo 85% sono le iscrizioni al nostro sindacato ma cio nonostante il sindacato si trova nella situazione economica molto difficile come pure tutti i lavoratori, innanzitutto quelli licenziati.

Per tutto cio vi invitiamo di non far cessare la vostra solidarieta tra i lavoratori e di contribuire alla lotta comune nella difesa dei diritti acquisiti nel passato.

Ed infine, vi ringraziamo per la solidarieta finora espressa e della quale purtroppo abbiamo bisogno ancora.



Vicesegretario

Rajko Blagojevic



Kosovo criminale

1) Kosovo Criminale: il regalo degli USA all’Europa (Diana Johnstone)
2) Kosovo: crimini orribili nascosti dall'Occidente (Avante)

Altri articoli segnalati:

Kosovo: il Rapporto Marty è stato censurato da Israele?
Kosovo: l'Ufficio della Del Ponte distrusse i documenti sui crimini contro i serbi
http://sitoaurora.altervista.org/Eurasia/Balkanija75.htm


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Kosovo Criminale: il regalo degli USA all’Europa


Diana Johnstone, 10 gennaio 2011

(Traduzione di Alessandro Lattanzio)

I media degli USA hanno dato maggiore attenzione alle vaghe accuse di incontri sessuali di Julian Assange con due loquaci donne svedesi, che a un rapporto ufficiale che accusa il Primo Ministro del Kosovo Hashim Thaci di gestire una impresa criminale che, tra i vari crimini contestati, l’aver ucciso dei prigionieri per venderne gli organi vitali sul mercato mondiale.
La relazione del liberale svizzero Dick Marty fu richiesta due anni fa dall’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE). Da non confondere con l’Unione europea, il Consiglio d’Europa è stato fondato nel 1949 per promuovere i diritti umani, lo stato di diritto e la democrazia, ed ha 47 stati membri (rispetto ai 27 dell’UE).
Mentre gli esperti giuridici statunitensi tentano febbrilmente di giocare le accuse che possono utilizzare per richiedere l’estradizione di Assange negli Stati Uniti, per essere debitamente punito aver sconcertato l’impero, il portavoce del Dipartimento di Stato americano Philip Crowley ha piamente reagito alle accuse del Consiglio d’Europa, dichiarando che gli Stati Uniti continueranno a lavorare con Thaci in quanto, “qualsiasi persona in qualsiasi parte del mondo, è innocente fino a prova contraria”.
Tutti, cioè, ad eccezione, tra gli altri, di Bradley Manning che è in isolamento, anche se non è stato trovato colpevole di nulla. Tutti i prigionieri di Guantanamo sono stati considerati colpevoli, punto. Gli Stati Uniti stanno quotidianamente applicando la pena di morte a uomini, donne e bambini in Afghanistan e Pakistan, che sono innocenti fino alla morte.
Gli imbarazzati sostenitori dell’auto-proclamato piccolo stato di Thaci respingono le accuse, dicendo che il rapporto Marty non prova la colpa di Thaci. Naturalmente non è così. Non può. Si tratta di una relazione, non di un processo. Il rapporto è stato ordinato dalla PACE proprio perché le autorità giudiziarie hanno ignorato le prove dei gravi crimini. Nel suo libro di memorie del 2008 ‘La caccia. Io e i criminali di guerra’, l’ex procuratrice presso il Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia (ICTY) dell’Aja, Carla del Ponte, ha denunciato che le è stato impedito di svolgere un’indagine approfondita sui rapporti sull’estrazione di organi da serbi e altri prigionieri, effettuata dall’”Esercito di liberazione del Kosovo (UCK)” in Albania. Infatti, le voci e le relazioni di tali atrocità, diffuse nei mesi successivi l’occupazione del Kosovo da parte delle forze di occupazione NATO, sono state diligentemente ignorate da tutte le autorità giudiziarie interessate.
La relazione di Marty afferma di aver scoperto prove corroboranti, comprese le deposizioni di testimoni la cui vita sarebbe in pericolo, se i loro nomi venissero rivelati. La conclusione della relazione non è e non potrebbe essere un verdetto, ma una domanda alle autorità competenti di intraprendere un procedimento giudiziario in grado di vagliare tutte le prove ed emettere un verdetto.


Scetticismo sulle atrocità

E’ sempre prudente essere scettici riguardo storie di atrocità circolanti in tempo di guerra. La storia mostra molti esempi di racconti di atrocità totalmente inventate, che servono a fomentare l’odio del nemico in tempo di guerra, come la larga diffusione, durante la prima guerra mondiale, di rapporti di tedeschi che “tagliano le mani ai bambini belgi”. Giornalisti e politici occidentali hanno abbandonato ogni scetticismo prudente riguardo la diffusione di truculenti racconti di atrocità serbe, usate per giustificare i bombardamenti NATO sulla Serbia nel 1999. Personalmente, il mio scetticismo si estende a tutte queste storie, a prescindere dall’identità dei presunti colpevoli, e ho evitato per anni di scrivere le storie albanesi di trapianto di organi, proprio per questo motivo. Non ho mai considerato Carla del Ponte una fonte affidabile, ma piuttosto una donna ingenua e arrogante che era stata scelta dagli sponsor statunitense del TPIY, perché pensavano di poterla manipolare. Non c’è dubbio per chi gli sponsor del Tribunale stavano lavorando, dato che è stata impostata da e per gli Stati Uniti e la NATO, al fine di giustificare la loro scelta di campo nelle guerre civili jugoslave, che avrebbero imposto una battuta d’arresto prima che potesse allontanarsi dal  percorso assegnatoli, prima di ficcare il naso neii crimini commessi dagli albanesi protetti dagli USA. Ma questo non prova che i presunti reati siano stati effettivamente commessi.
Tuttavia, il rapporto Marty va al di là delle vaghe voci facendo accuse specifiche nei confronti del “Gruppo di Drenica” dell’UCK, guidato da Hashim Thaci. Nonostante il rifiuto delle autorità albanesi a cooperare, vi è un’ampia dimostrazione che il KLA abbia gestito una catena di “case sicure” in territorio albanese, durante e dopo la guerra della NATO contro la Serbia del 1999, utilizzandole per trattenere, interrogare, torturare e, talvolta, uccidere i prigionieri. Una di queste case sicure, appartenente ad una famiglia individuata dall’iniziale “K”, è stata citata da Carla del Ponte e dai media, come “la casa gialla” (sebbene dipinta di bianco). Per citare il Rapporto Marty (paragrafo 147):
Ci sono sostanziali elementi di prova che un piccolo numero di prigionieri fatti dall’UCK, tra cui alcuni serbi rapiti, trovarono la morte a Rripe, in corrispondenza o in prossimità della casa dei K.. Abbiamo appreso di queste morti non solo attraverso le testimonianze di ex soldati dell’UCK che hanno dichiarato di aver partecipato alla detenzione e trasporto dei prigionieri, mentre erano in vita, ma anche attraverso le testimonianze di persone che hanno assistito indipendentemente alla sepoltura, disseppellimento, spostamento e risepoltura cadaveri dei prigionieri’(…)”
Un numero imprecisato, ma apparentemente piccolo, di prigionieri è stato trasferiti su furgoni e autocarri in un sito che operava nei pressi dell’aeroporto internazionale di Tirana, dal quale gli organi potevano essere recapitati rapidamente ai destinatari.
Gli autisti di questi furgoni e camion – molti dei quali sarebbero testimoni cruciali degli abusi descritti – hanno visto e sentito i prigionieri soffrire molto durante i trasporti, in particolare a causa della mancanza di una corretta alimentazione aerea del loro scompartimento nel veicolo, o a causa del tormento psicologico del destino che si suppone li aspettava“. (paragrafo 155).
I prigionieri descritti nella relazione come “vittime della criminalità organizzata” includevano “persone che abbiamo scoperto esser state prese in Albania centrale per essere assassinate immediatamente prima di avere i loro reni rimossi in una clinica di fortuna.” (paragrafo 156).
Questi prigionieri “indubbiamente subirono la prova più terribile, sotto la custodia dei loro rapitori dell’UCK. Secondo le testimonianze originarie, i prigionieri ‘filtrati’ in questo sottoinsieme, venivano inizialmente mantenuti vivi, alimentati bene e con il permesso di dormire, trattati con relativa moderazione da parte delle guardie dell’UCK e dagli aguzzini, che altrimenti li picchiavano indiscriminatamente” (paragrafo 157).
Le testimonianze su cui abbiamo basato le nostre scoperte, parlano in maniera credibile e coerente di una metodologia con la quale sono stati uccisi tutti i prigionieri, di solito con un colpo di pistola alla testa, prima di essere operati per rimuovere uno o più dei loro organi. Abbiamo appreso che questo era principalmente un traffico di ‘reni dai cadaveri’, cioè i reni estratti postumi, non si trattava di un insieme di procedure chirurgiche avanzate che richiedono studi clinici controllati e, per esempio, un ampio uso di anestetici” (paragrafo 162).


Scetticismo sulla “liberazione

Il rapporto Marty ricorda, inoltre, ciò che è noto comunemente in Europa, vale a dire che Hashim Thaci e il suo “Gruppo di Drenica” sono notori criminali. Mentre il Kosovo “liberato” affonda sempre più nella povertà, hanno accumulato fortune in vari tipi di commerci illegale, in particolare la riduzione in schiavitù delle donne per la prostituzione e il controllo dei narcotici illegali in tutta Europa.
In particolare, in rapporti confidenziali che coprono più di un decennio, le agenzie dedicate alla lotta contro il contrabbando di droga, in almeno cinque paesi, hanno definito Hashim Thaci e gli altri membri del suo “Gruppo di Drenica”, esercitanti il controllo violento del traffico di sostanze stupefacenti, di eroina e altro” (paragrafo 66).
Allo stesso modo, gli analisti d’intelligence che  lavorano per la NATO, come pure quelli in servizio in almeno quattro governi stranieri indipendenti, hanno tratto risultati interessanti dalla loro raccolta di informazioni relative al periodo immediatamente successivo al conflitto nel 1999. Thaci è stato comunemente identificato e citato, nei rapporti di servizi segreti, come il più pericoloso dei ‘boss criminali’ dell’UCK” (paragrafo 67).
La sinistra, che aveva abboccato all’esca, lenza e piombo della propaganda per la “guerra per salvare i kosovari dal genocidio“, che giustificava l’assalto, i  bombardamenti e l’invasione della NATO, nel 1999, aveva accettato prontamente l’identificazione del “Kosovo Liberation Army” in un movimento di liberazione nazionale che meritava il suo sostegno. Non fa parte della leggenda romantica i rivoluzionari che rapinano le banche per la loro causa? La sinistra assume che tali attività criminali siano semplicemente un mezzo per il fine dell’indipendenza politica. Ma cosa succede se l’indipendenza politica è in realtà il mezzo per proteggere le attività criminali?
L’assassinio di poliziotti, la specialità dell’UCK prima di essere avere in dote il Kosovo dalla NATO, è un’attività ambigua. L’obiettivo è dell’”oppressione politica“, come sostiene, o semplicemente l’applicazione della legge?
Che cosa hanno fatto Thaci e compagnia con la loro “liberazione”? Prima di tutto, hanno permesso ai loro sponsor statunitensi di costruire una grande base militare, Camp Bondsteel, sul territorio del Kosovo, senza chiedere permesso a nessuno. Poi, dietro una cortina di chiacchiere sulla costruzione della democrazia, hanno terrorizzato le minoranze etniche, eliminato i loro rivali politici, favorito la criminalità e la corruzione dilagante, applicato brogli elettorali e si sono ostentatamente arricchiti grazie alle attività criminali che costituiscono l’economia reale.
Il Rapporto Marty ricorda cosa è successo quando il presidente jugoslavo, Slobodan Milosevic, sotto la minaccia NATO di spazzare via il suo paese, ha deciso di ritirarsi dal Kosovo e permettere a una forza delle Nazioni Unite, denominata KFOR (subito acquisita dalla NATO) di occupare il Kosovo.
“In primo luogo, il ritiro delle forze di sicurezza serbe dal Kosovo aveva ceduto nelle mani di diversi gruppi scissionisti dell’UCK, incluso il “Gruppo di Drenica” di Thaci, l’efficace controllo, senza restrizioni, di uno ampio spazio territoriale in cui effettuare le varie forme di contrabbando e di traffici” (paragrafo 84).
KFOR e UNMIK sono stati incapaci di attuare la legge in Kosovo, controllare i movimenti delle persone o di controllare le frontiere dopo i bombardamenti della NATO nel 1999. Le fazioni e frange dell’UCK avevano il controllo di aree distinte del Kosovo (villaggi, tratti di strada, a volte anche singoli edifici) e sono stati in grado di attuare imprese criminali organizzate quasi a volontà, anche nello smaltimento dei trofei della loro vittoria percepita sui serbi” (paragrafo 85).
In secondo luogo, l’acquisizione di Thaci di un maggior livello di autorità politica (Thaci dopo aver nominato se stesso Primo Ministro del governo provvisorio del Kosovo) aveva apparentemente incoraggiato il “Gruppo di Drenica” a cancellare tutti i loro più aggressivi rivali, presunti traditori e persone sospettate di essere “collaboratrici” dei serbi” (paragrafo 86).
In breve, la NATO ha esautorato la polizia già esistente, consegnando la provincia del Kosovo a dei gangster violenti. Ma questo non è stato un caso. Hashim Thaci non era solo un gangster che ha approfittato della situazione. E’ stato accolto a braccia aperte dalla segretario di Stato USA Madeleine Albright e dal suo braccio destro, James Rubin, per il suo lavoro.


“Vi ho visto nei film…”

Fino al febbraio 1999, la sola rivendicazione di Hashim Thaci alla fama si trovava negli archivi della polizia serba, dove era ricercato per vari crimini violenti. Poi, all’improvviso, nel castello francese di Rambouillet fu chiamato, spintoo sotto i riflettori del mondo dai suoi gestori statunitensi. Fu uno dei colpi di scena più bizzarri di tutta la saga tragicomica del Kosovo.
La signora Albright era impaziente di usare il conflitto etnico in Kosovo per dare una dimostrazione della potenza militare degli Stati Uniti bombardando i serbi, al fine di riaffermare il predominio degli Stati Uniti sull’Europa tramite la NATO. Ma i leader europei di alcuni paesi della NATO pensavano che fosse politicamente necessario dare almeno un pretesto per cercare una soluzione negoziata al problema del Kosovo, prima dei bombardamenti. E così una falsa “trattativa” venne allestita presso Rambouillet, progettato dagli Stati Uniti per spingere i serbi a dire di no a un ultimatum impossibile, al fine di sostenere che l’Occidente  umanitario non aveva altra scelta che bombardare.
Per questo, avevano bisogno di un albanese del Kosovo, che avrebbe giocato al loro gioco.
Belgrado aveva inviato una folta delegazione multietnica a Rambouillet, pronta a proporre una soluzione dando ampia autonomia al Kosovo. Dall’altra parte c’era una delegazione puramente di etnia albanese del Kosovo, tra cui molti intellettuali di spicco locali con esperienza in tali negoziati, compreso il leader riconosciuto a livello internazionale del movimento separatista albanese in Kosovo, Ibrahim Rugova che, si riteneva, avrebbe guidato la delegazione “kosovara“.
Ma per la sorpresa generale degli osservatori, gli intellettuali erano stati messi da parte, e la leadership della delegazione era stata rilevata da un giovane, Hashim Thaci, conosciuto negli ambienti della polizia come “il serpente“.
Gli statunitensi promossero la scelta di Thaci per ovvie ragioni. Mentre i vecchi albanesi del Kosovo  rischiavano effettivamente di negoziare con i serbi, e quindi raggiungere un accordo che avrebbe impedito la guerra, Thaci doveva tutto agli Stati Uniti, e avrebbe fatto come gli era stato detto. Inoltre, mettere un “ricercato” criminale al vertice della delegazione, fu un affronto ai serbi contribuendo a fare naufragare i negoziati. E, infine, l’immagine di Thaci faceva appello all’idea degli statunitensi di cosa sia un “combattente per la libertà“, dovrebbe apparire.
Il più stretto collaboratore di Albright, James Rubin, ha agito come un talent scout, supervisionando la buona immagine di Thaci, dicendogli che era così bello che doveva stare a Hollywood. Infatti, Thaci non ha l’aspetto di un gangster di Hollywood, stile Edward G. Robinson, ma di un eroe pulito con una vaga somiglianza con l’attore Robert Stack. Joe Biden s’è lamentato che Madeleine Albright era “innamorata” di Thaci. L’immagine è tutto, dopo tutto, soprattutto, quando gli Stati Uniti stanno gettando la loro superproduzione del Pentagono, per “salvare i kosovari“, al fine di ridisegnare i Balcani, con il loro stato satellite  “indipendente“.
Il pretesto per la guerra del 1999 era quello di “salvare i kosovari” (il nome assunto dalla popolazione albanese della provincia serba, per dare l’impressione che si trattava di un paese e che ne erano i legittimi abitanti) dalla minaccia immaginaria di “genocidio”. La posizione ufficiale degli Stati Uniti era quella di rispettare l’integrità territoriale della Jugoslavia. Ma era sempre evidente che dietro le quinte, gli Stati Uniti avevano fatto un accordo con Thaci per dargli il Kosovo, come piano per la distruzione della Jugoslavia e la paralisi della Serbia. Il caos che seguì il ritiro delle forze di sicurezza jugoslave, permise alle bande dell’UCK di prendere il sopravvento e agli Stati Uniti di costruire Camp Bondsteel.
Acclamato da una virulenta lobby  albanese negli Stati Uniti, Washington ha sfidato il diritto internazionale, ha violato i propri impegni (l’accordo di porre fine alla guerra del 1999 richiedeva alla Serbia di inviare la polizia nel Kosovo, ma non le fu mai permesso), e ignorato obiezioni sordina da parte degli alleati europei di sponsorizzare la trasformazione della provincia serba in un povero di etnia albanese “stato indipendente“. Dall’indipendenza unilateralmente dichiarata nel febbraio 2008, lo staterello fallito è stato riconosciuta solo da 72 su 192 membri delle Nazioni Unite, tra cui 22 dei 27 Stati membri dell’Unione europea.


EULEX contro Fedeltà di Clan

Pochi mesi dopo, l’Unione europea aveva istituito uno “Stato di diritto dell’Unione europea in Kosovo” (EULEX), destinato ad assumere l’autorità giudiziaria nella provincia dalla Missione delle Nazioni Unite in Kosovo (UNMIK), che aveva apparentemente esercitato tali funzioni dopo che la NATO aveva cacciato i serbi. La creazione stessa dell’EULEX era la prova che il riconoscimento UE dell’indipendenza del Kosovo era ingiustificata e disonesta.  E’ stata una ammissione che il Kosovo, dopo essere stato consegnato alle bande dell’UCK (alcuni in guerra l’uno contro l’altro), non è stata in grado di fornire neanche una parvenza di legge e ordine, e quindi, in alcun modo preparato ad essere “uno stato indipendente“.
Naturalmente l’occidente non potrà mai ammetterlo, ma è stata la denuncia della minoranza serba, negli anni ‘80, che non potevano contare sulla protezione da parte dei tribunali o della polizia, allora gestiti dal partito comunista a maggioranza etnica albanese, che ha portato alla limitazione dell’autonomia del Kosovo da parte del governo serbo, mossa ritratta in Occidente come una persecuzione gratuita motivata da odio razziale di proporzioni hitleriane.
Le difficoltà nell’ottenere giustizia in Kosovo sono essenzialmente le stesse, ora come allora, – con la differenza che la polizia serba capiva la lingua albanese, mentre gli internazionali dell’UNMIK e dell’EULEX, sono quasi totalmente dipendenti dai locali interpreti albanesi, la cui veridicità non possono controllare.
Il Rapporto Marty descrive le difficoltà nelle indagini sulla criminalità in Kosovo:
La struttura della società kosovara albanese, ancora molto orientata al clan, e l’assenza di una vera società civile, hanno reso estremamente difficile stabilire i contatti con le fonti locali. La situazione è aggravata dalla paura, spesso fino al punto dell’autentico terrore, che abbiamo osservato in alcuni dei nostri informatori, immediatamente dopo la definizione del soggetto della nostra ricerca.
“Il senso radicato di fedeltà al proprio clan, e il concetto di onore … rendono i testimoni albanesi ancor più irraggiungibili, per noi. Dopo aver visto due importanti azioni penali intraprese dall’ICTY, che hanno causato la morte di tanti testimoni, e in ultima analisi, la mancata attuazione di justice16, un relatore dell’Assemblea parlamentare con misere risorse, è assai improbabile che muterà le probabilità di tali testimoni di parlarci direttamente.
“Numerose persone che hanno lavorato per molti anni in Kosovo, e che sono diventate tra i commentatori più autorevoli in materia di giustizia nella regione, ci hanno consigliato che le reti criminali organizzate di albanesi (‘la mafia albanese’) in Albania, nei territori limitrofi, compresi Kosovo e ‘l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia’ e nella diaspora, erano probabilmente più difficili da penetrare di Cosa Nostra, e anche gli operatori di basso livello, piuttosto si prendevano una pena detentiva di decenni, o una condanna per oltraggio, che abbandonare il loro clan
.”
Un secondo rapporto, presentato questo mese al Consiglio d’Europa dal relatore Jean-Charles Gardetto, sulla protezione dei testimoni nei processi per crimini di guerra nell’ex Jugoslavia, osserva che non esiste nessuna legge di protezione dei testimoni in Kosovo e, più seriamente, non c’è modo di proteggere i testimoni che possono testimoniare contro i compaesani di etnia albanese.
Nei casi più gravi, i testimoni sono in grado di testimoniare solo in modo anonimo. Tuttavia, ha precisato il relatore, queste misure sono inutili fintanto che il testimone è fisicamente in Kosovo, dove tutti conoscono tutti. La maggior parte dei testimoni sono subito riconosciuti dalla difesa quando consegnano la loro testimonianza, nonostante tutte le misure di anonimato.”
“Ci sono molte limitazioni al regime di protezione attualmente disponibili, anche perché il Kosovo ha una popolazione di meno di due milioni in una comunità molto affiatata. I testimoni sono spesso percepiti come traditori della loro comunità quando  testimoniano, inibendo i possibili testimoni a farsi avanti. Inoltre, molte persone non credono che abbiano il dovere morale o legale di deporre come testimoni nelle cause penali.
Inoltre, quando un testimone vuole farsi avanti, vi è una reale minaccia di ritorsioni. Questi non è necessariamente messo in pericolo diretto, perdendo il posto di lavoro per esempio, ma ci sono anche esempi di testimoni chiave assassinati. Il processo di Ramush Haradinaj, l’ex leader dell’UCK, illustra bene questo caso. Il signor Haradinaj è stato incriminato dal Tribunale dell’Aja per i crimini commessi durante la guerra in Kosovo, ma è stato successivamente assolto. Nella sua sentenza, il Tribunale ha evidenziato le difficoltà che essa aveva avuto nella raccolta delle prove dai 100 testimoni dell’accusa. A trentaquattro di loro sono state concesse misure di protezione e 18 dovevano essere rilasciati con atti di citazione. Un certo numero di testimoni che stavano andando a testimoniare al processo è stato assassinato. Tra queste, Sadik e Vesel Muriqi, entrambi i quali erano stati assoggettati ad un programma di protezione dall’ICTY.”


Il dilemma dell’Europa

Naturalmente, i complici europei nel mettere la banda Thaci alla guida del Kosovo, sono stati rapidi nel respingere il rapporto Marty. L’apologeta di Tony Blair ed ex ministro laburista Dennis MacShane, ha scritto sul The Independent (UK) che, “Non c’è un solo nome o un solo testimone, nelle accuse a Thaci di essere coinvolto nella raccolta di organi umani, da parte delle vittime assassinate.” Per chi non conosce le circostanze e la relazione, potrebbe sembrare un’obiezione. Ma Marty ha messo in chiaro che lui è in grado di fornire i nomi dei testimoni alle competenti autorità giudiziarie. Thaci ha riconosciuto che esistono, quando ha dichiarato che avrebbe pubblicato i nomi dei testimoni di Marty – una dichiarazione intesa come una minaccia di morte per coloro che hanno familiarità con la scena Pristina.
Uno degli europei di maggior spicco a sperare che il rapporto Marty sparisca, è l’umanitario mediatico francese Bernard Kouchner, fino a tempi recenti ministro degli Esteri di Sarkozy, che ufficialmente dirigeva il Kosovo, come  primo capo della UNMIK, dopo l’occupazione della NATO. Contrariamente alle proteste di ignoranza di Kouchner, il capo della polizia UNMIK nel 2000 e 2001, il capitano canadese Stu Kellock, ha definito “impossibile” che Kouchner non fosse a conoscenza della criminalità organizzata in Kosovo. La prima volta che un giornalista chiese a Kouchner delle accuse di trapianto l’organo, pochi mesi fa, Kouchner ha risposto con una forte risata da cavallo, prima di dire al giornalista di andare dallo psichiatra. Dopo la relazione di Marty, Kouchner si limitava a ripetere il suo “scetticismo“, e ha richiesto un’indagine… da EULEX.
Altri difensori della NATO hanno adottato la stessa linea. Una di queste inchieste ne chiama un’altra, e così via. Indagare le accuse contro l’UCK sta cominciando ad assomigliare al processo di pace in Medio Oriente.
Il Rapporto Marty si conclude con un chiaro invito a EULEX a “perseverare con il suo lavoro di indagine, senza tenere in alcun conto le cariche ricoperte da possibili sospetti o dall’origine delle vittime, facendo di tutto per far luce sulla scomparse criminali, sulle indicazioni di traffico di organi, corruzione e collusione, così spesso denunciate, tra gruppi criminali organizzati e circoli politici” e ad “adottare tutte le misure necessarie per garantire una protezione efficace ai testimoni e acquisirne la fiducia“.
Questo è un compito arduo, visto che l’EULEX in ultima analisi dipende dai governi dell’UE, profondamente coinvolti in Kosovo, e che hanno ignorato la criminalità albanese per oltre un decennio. Eppure, alcune delle personalità più implicate, come Kouchner, si stanno avvicinando alla fine della loro carriera, e ci sono molti europei che ritengono che le cose siano andate troppo oltre, e che il pozzo nero del Kosovo deve essere ripulito.
EULEX sta già indagando sul traffico di organi in Kosovo. Nel novembre 2008, un giovane turco che aveva appena avuto un rene rimosso, svenne all’aeroporto di Pristina, portando la polizia a effettuare un raid nella vicina clinica Medicus dove un 74enne israeliano era convalescente per il trapianto del rene del giovane. L’israeliano aveva presumibilmente pagato 90.000 euro per il trapianto illegale, mentre il giovane turco, come altri stranieri disperatamente poveri attirato a Pristina da false promesse, è stato defraudato dei soldi promessi.
Il processo è attualmente in corso a Pristina con sette imputati accusati di coinvolgimento nel traffico illegale di organi del racket Medicus, compresi i massimi membri albanesi della professione medica del Kosovo. Ancora in libertà sono il dottor Yusuf Sonmez, un noto trafficante di organi internazionale, e Moshe Harel, un israeliano di origine turca, accusati di aver organizzato il commercio internazionale illecito di organi umani. Israele è noto per essere il mercato privilegiato degli organi umani, a causa delle restrizioni religiose ebraiche che limitano fortemente il numero dei donatori israeliani.
La relazione di Marty osserva che le informazioni che ha ottenuto “sembrano rappresentare una più ampia, più complessa cospirazione criminale organizzata alla base dei trapianti illegali di organi umani, con la partecipazione di co-cospiratori in almeno tre diversi paesi stranieri, oltre al Kosovo, che dura oltre un decennio. In particolare, abbiamo trovato un certo numero di credibili indizi convergenti, che la componente del traffico d organi delle detenzioni post-conflitto, descritte nella nostra relazione, sia strettamente legata al caso contemporaneo della Clinica Medicus, anche attraverso importanti personalità kosovari albanesi e internazionali, che li caratterizza entrambi come co-cospiratori.”
Ma le indagini di EULEX sul caso Medicus, non significano automaticamente che le autorità giudiziarie europee in Kosovo porteranno avanti le indagini sull’ancora più criminale traffico di organi denunciato dal rapporto Marty. Un ostacolo è che i crimini imputati hanno avuto luogo sul territorio di Albania, e finora le autorità albanesi non sono state cooperativi, per non dire altro. Una seconda inibizione è la paura che il tentativo di perseguire importanti figure dell’UCK avrebbe portato a disordini. Infatti, il 9 gennaio, diverse centinaia di albanesi portando le bandiere albanesi (non la bandiera del Kosovo imposta dall’occidente), hanno dimostrato a Mitrovica contro la relazione Marty gridando “UCK, UCK“. Eppure, l’EULEX ha incriminato due ex comandanti dell’UCK per crimini di guerra commessi sul territorio albanese nel 1999, quando presumibilmente i prigionieri albanesi del Kosovo, furono torturati perché sospettati di “collaborare” con le legali autorità serbe o perché erano oppositori politici del KLA.
Un fatto politico sorprendente e significativo che emerge dal rapporto Marty è che:
La realtà è che le più significative attività operative intraprese dai membri del KLA – prima, durante e nel periodo immediatamente successivo al conflitto – ha avuto luogo sul territorio di Albania, dove le forze di sicurezza serbe non sono mai state schierate“. (Paragrafo 36).
Così, in misura molto grande, la provincia serba del Kosovo è stata oggetto di una invasione straniera attraverso la sua frontiera, da parte dei nazionalisti albanesi appassionati dalla creazione della “Grande Albania” aiutati, in questo sforzo, dalla lobby della diaspora e, decisamente, dai bombardamenti della NATO. Lungi dall’essere un “aggressore” nella sua stessa provincia storica, la Serbia è stata vittima di una grave invasione su due fronti.


Le marionette usa e getta degli USA

La NATO potrebbe non avrebbe condotto una guerra di terra contro le forze serbe, senza subire perdite. Così ha condotto una guerra aerea di 78 giorni, devastando le infrastrutture della Serbia. Per salvare il suo paese dalla distruzione minacciata, Milosevic ha ceduto. Facendo entrare le loro forza di terra, gli Stati Uniti scelsero l’UCK. L’UCK non poteva competere con le forze serbe di terra, ma fu aiutata dagli Stati Uniti e dalla peculiare guerra della NATO.
Gli Stati Uniti hanno fornito ai combattenti dell’UCK a terra. dispositivi GPS e telefoni satellitari, per consentire loro di individuare gli obiettivi serbi da bombardare (in modo molto inefficiente, con le bombe NATO che mancavano quasi tutti i loro obiettivi militari). L’UCK, in alcuni luoghi, aveva ordinato ai civili albanesi del Kosovo di fuggire attraverso il confine verso l’Albania o verso le parti di etnia albanese della Macedonia, dove i fotografi stavano aspettando per arricchire l’immaginario di un popolo perseguitato dalla “pulizia etnica” serba – un successo propagandistico enorme.
E soprattutto, prima dei bombardamenti della NATO, l’UCK ha perseguito una strategia di provocazione, uccidendo poliziotti e civili, tra cui albanesi disobbedienti, progettati per suscitare atti di repressione da poter essere usati come pretesto per un intervento della NATO. Thaci in seguito si era anche vantato del successo di questa strategia.
Thaci ha svolto il ruolo assegnatogli dall’impero. Eppure, considerando la storia dello smaltimento dei collaboratori degli USA, quando hanno esaurito la loro utilità (Ngo Dinh Diem, Noriega, Saddam Hussein …), ha motivi per essere inquieto. Il disagio di Thaci potrebbe essere acuito da un recente viaggio nella regione di William Walker, l’agente degli Stati Uniti che nel 1999 ha creato il pretesto principale per la campagna di bombardamenti NATO, gonfiando il numero delle vittime di una battaglia tra forze di polizia serbe e guerriglieri dell’UCK nel villaggio di Racak, in un massacro di civili, “un crimine contro l’umanità” perpetrato da “persone senza alcun valore per la vita umana“. Walker, la cui principale esperienza professionale fu in America Centrale, durante la lotta sanguinosa dell’amministrazione Reagan contro i movimenti rivoluzionari in Nicaragua e in El Salvador, era stato imposto dagli Stati Uniti come capo di una missione europea apparentemente col compito di monitorare un cessate il fuoco tra le forze serbe e l’UCK. Ma in realtà, lui e il suo vice britannico, usarono la missione per stabilire stretti contatti con l’UCK, in preparazione della guerra comune contro i serbi. Il regime dei gangster riconoscente gli ha dedicato una strada a Pristina;
Tra la ricezione di una decorazione del Kosovo e la cittadinanza onoraria in Albania, Walker ha preso posizioni politiche che potrebbe rendere Thaci e EULEX nervosi. Walker ha espresso sostegno per Albin Kurti, il giovane leader del movimento radicale nazionalista “autodeterminazione” (Vetëvendosje), che sta guadagnando il supporto dai governi dell’Unione europea al suo patrocinio in favore dell’indipendenza, nonché in favore di una “Albania naturale“, che significa una Grande Albania composta da Albania, Kosovo e parti della Serbia meridionale, gran parte della Macedonia, un pezzo di Montenegro e anche il nord della Grecia. Walker era in una missione di talent-scouting, in vista della sostituzione del sempre più in disgraziato Thaci? Se Kurti è il nuovo favorito, una sostituzione scelta dagli USA, potrebbe causare ancora più problemi nei travagliati Balcani.
L’Occidente, cioè, gli Stati Uniti, l’Unione Europea e la NATO, potrebbero di accordarsi su un approccio “in corso su entrambe le loro case”, concludendo che i serbi che hanno perseguitato e gli albanesi che hanno aiutato, sono tutti barbari, indegni del loro benevolo intervento. Quello che non si ammetterà mai è che hanno scelto, e in gran parte creato, la parte sbagliata in una guerra per la quale essi hanno la responsabilità criminale. E delle devastanti conseguenze continuano a farsi carico gli infelici abitanti della regione, qualunque sia la loro identità linguistica e culturale.


Diana Johnstone è autrice di Fools’ Crusade: Yugoslavia, NATO and Western Delusions.


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http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=20105

Kosovo: crimini orribili nascosti dall'Occidente

su Avante del 23/01/2011

Traduzione di l'Ernesto online

il senatore svizzero Dick Marty denuncia il silenzio complice di USA e UE

L'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa si confronterà, il prossimo 25 gennaio, su una relazione che coinvolge direttamente il primo ministro del Kosovo, Hashim Thaci, nell'estrazione e nel traffico di organi umani.

Il documento di 28 pagine, già approvato in Commissione a metà di dicembre, conferma che i principali responsabili del cosiddetto Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK) si sono dedicati al traffico di organi estratti a prigionieri serbi tra il 1998 e il 2000.

“Questa attività criminale che si è svolta beneficiando del caos regnante nella regione e per iniziativa di alcuni capi delle milizie dell'UCK, legati al crimine organizzato, è proseguita, sebbene sotto altre forme, fino ai giorni nostri”.

Tra le figure di spicco del mafioso “Gruppo di Drenica”, diretto dall'attuale primo ministro del Kosovo, Hashim Thaci, la relazione include anche il chirurgo Shaip Muja, oggi consigliere nel governo di Thaci, e in passato membro dell'elite dei “coordinatori” dell'UCK.

Come sottolinea l'autore del documento, il senatore svizzero Dick Marty, l'inchiesta è stata motivata dalle rivelazioni “pubblicate in un libro dall'ex procuratore del Tribunale Penale Internazionale per l'ex Jugoslavia” (TPJ) Carla Del Ponte.

Nell'opera, pubblicata nel 2008, già si denunciava l'esistenza del traffico di organi e si identificava persino una “casa gialla” che serviva da clinica clandestina. Tuttavia, quelle dichiarazioni sono state minimizzate e, dopo otto anni di attività, Del Ponte è stata allontanata dal TPJ, per essere inviata come ambasciatrice della Svizzera in Argentina nel 2008. Chiaramente, la sua voce era diventata scomoda.

“Le nostre indagini”, afferma la relazione del Consiglio d'Europa, “hanno permesso non solo di confermare queste rivelazioni [di Carla Del Ponte] ma anche di precisarle e di tracciare un quadro oscuro e inquietante di ciò che è accaduto e in parte continua ad accadere nel Kosovo”.

Atrocità impunite

Il relatore Dick Marty ha identificato alcune persone e una serie di locali nel nord dell'Albania da mettere in relazione con l'attività della rete, in particolare “un centro di ricezione moderno per il crimine organizzato di traffico di organi”.

“Questa struttura è stata concepita come una clinica chirurgica improvvisata (…) dove i detenuti (…) erano sottoposti alle estrazioni di reni contro la loro volontà. In seguito gli organizzatori trasportavano gli organi umani dall'Albania all'estero vendendoli a cliniche private straniere”.

La relazione ci presenta la seguente descrizione: “Le modalità concrete di questo traffico erano relativamente semplici. I prigionieri venivano condotti fino a Fushe-Kruje (…) dove venivano chiusi nel “rifugio” (…). Dopo la conferma che i chirurghi incaricati dell'espianto si trovavano nei locali ed erano pronti ad operare, i prigionieri erano condotti fuori dal “rifugio” e costretti a subire l'esecuzione con una pallottola da un agente dell'UCK. I loro corpi erano poi trasportati rapidamente nella clinica dove aveva luogo l'operazione”.

L'ipocrisia occidentale

Il contenuto dell'inchiesta realizzata, come anche il suo autore ci tiene a sottolineare, non è una novità: “Ciò che abbiamo scoperto non è certo totalmente inedito: rapporti di importanti servizi di informazione e di polizia avevano già denunciato e illustrato in dettaglio questi stessi fatti da molto tempo. Ma non hanno avuto continuità, dal momento che le istanze dirigenti hanno privilegiato sempre la discrezione, il silenzio per presunte considerazioni di “opportunità politica”. Ma quali interessi potrebbero giustificare un tale comportamento che disdegna tutti i valori che sono costantemente invocati in pubblico?”.

L'indignazione di Dick Marty, presidente della Commissione delle Questioni Giuridiche e dei Diritti dell'Uomo dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa, emerge soprattutto dal fatto, ugualmente rilevato nella sua relazione, che “l'insieme della comunità internazionale nel Kosovo – dai governi degli Stati Uniti e di altre potenze occidentali alleate fino alle autorità giudiziarie che esercitano la loro attività sotto la tutela dell'Unione Europea – senza ombra di dubbio sono in possesso delle stesse informazioni tenebrose sull'estensione dei crimini commessi dal “Gruppo di Drenica”, ma nessuno pare disposto a reagire di fronte a una tale situazione e a perseguire i responsabili”.

D'altro canto, dopo due anni di indagine, il relatore svizzero sembra avere oggi una visione della guerra che ha smembrato la Jugoslavia ben diversa da quella che abitualmente viene veicolata dagli organi di comunicazione dominante:

“L'emozione suscitata dai crimini orribili commessi dalle forze serbe aveva provocato, tra le altre conseguenze, un clima che possiamo constatare anche nell'atteggiamento di certe istanze internazionali, secondo il quale gli uni erano necessariamente considerati come carnefici e gli altri come vittime, e pertanto innocenti. La realtà è più sfumata e complessa”.



Incontro dei Partiti Comunisti e Operai nei Balcani 2011 - Dichiarazione congiunta


www.resistenze.org - pensiero resistente - movimento comunista internazionale - 24-01-11 - n. 348

Traduzione dall'inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
  
Incontro dei Partiti Comunisti e Operai nei Balcani 2011 - Dichiarazione congiunta
Sviluppo nella regione dei Balcani e del Mediterraneo orientale e i compiti dei Comunisti
  
Salonicco, 22 gennaio 2011
 
 
Il 22 gennaio a Salonicco, su iniziativa del KKE, si è svolto un Incontro di 10 Partiti Comunisti e Operai provenienti da 8 paesi balcanici: Albania, Bulgaria, Grecia, Croazia, Repubblica di Macedonia, Romania, Serbia e Turchia.
 
Questo incontro ha contribuito allo scambio di opinioni sulla situazione che si è sviluppata nei Balcani e nel Mediterraneo orientale, nel quadro della crisi economica capitalistica internazionale, dell'intensificazione delle aggressioni imperialiste e delle contraddizioni interimperialiste.
 
I Partiti Comunisti e Operai dei Balcani ritengono che la causa reale della crisi si trova nell'acuirsi della contraddizione fondamentale del capitalismo: quella tra il carattere sociale della produzione e l'appropriazione privata dei suoi risultati. Anche i problemi sociali nel loro complesso si stanno aggravando: l'indigenza è cresciuta e l'impoverimento, assoluto e relativo, colpisce una larga percentuale della popolazione nei paesi balcanici.
 
La scoperta di nuove fonti energetiche nel Mediterraneo orientale e nei Balcani e l'intensità del loro sfruttamento da parte del capitale, non solo non porteranno pace e stabilità alla regione, come sostenuto dagli imperialisti e dai loro governi, ma, al contrario, favoriranno nuove più aspre rivalità. Allo stesso tempo, i popoli pagheranno molto di più l'elettricità, la benzina, il gas naturale, perché i ricchi giacimenti di energia della nostra regione non sono proprietà del popolo, ma sono depredati dai monopoli e dai gruppi affaristici nazionali ed esteri.
 
In queste condizioni i Partiti Comunisti e Operai dei Balcani plaudono alle lotte che sono state ingaggiate in Grecia, Romania e altrove, perché sia la plutocrazia e non il popolo a pagare per la crisi del capitalismo. Acclamano anche le lotte contro l'imperialismo, per la difesa della classe operaia e dei diritti e le conquiste popolari, contro il nazionalismo e il razzismo, per i diritti degli immigrati che hanno avuto di recente luogo della nostra regione. I Partiti Comunisti e Operai devono porsi in prima linea nell'organizzazione di tutte queste lotte.
 
I partecipanti a questo Incontro hanno anche dichiarato la loro disponibilità a confrontarsi e lottare contro la propaganda su vasta scala e alle intimidazioni della NATO e dell'UE volti alla piena adesione e completa integrazione dei paesi balcanici ai piani imperialisti, sulla base del cosiddetto "Nuovo Concetto Strategico della NATO" recentemente approvato a Lisbona.
 
L'illusoria propaganda per l'ingresso nella NATO e nell'Unione europea è svolta sia da queste organizzazioni che dalle classi borghesi dei paesi aspiranti all'adesione, dalle ONG e dalle forze opportuniste, come il cosiddetto Partito della Sinistra europea.
 
L'adesione dei paesi dei Balcani nell'UE e nella NATO, l'allargamento di queste due organizzazioni imperialiste ai Balcani, non solo non porterà benefici ai popoli, né pace o prosperità, ma l'esatto contrario. Inoltre, i popoli dei paesi dei Balcani e di altri paesi europei già membri hanno maturato sufficienti esperienze negative per testimoniare come l'integrazione nella NATO e nell'UE porta la classe operaia e il popolo all'impoverimento, garantendo nel contempo privilegi e una redditività ancora maggiore al grande capitale.
 
Il sogno dell'adesione alla UE e alla NATO, promosso dalle classi borghesi, non può cancellare il ricordo e la nostalgia dei popoli balcanici per il socialismo che conoscevano. In effetti hanno sperimentato la prova innegabile che nonostante le carenze, i problemi e i bisogni popolari possono essere risolti con un'altra forma di potere statale, senza lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, il socialismo.
 
Nell'Incontro è stato espresso il desiderio comune di rafforzare e moltiplicare le attività congiunte e il coordinamento dei nostri partiti e di promuovere una più ampia attività antimperialista, nella seguente direzione:
 
- Solidarietà con la lotta di classe, sviluppo delle lotte per i diritti dei lavoratori, dei giovani e delle donne condotte nei Balcani;
 
- Rafforzamento e ampliamento dei movimenti per la pace, anti-NATO e antimperialisti nei Balcani.
 
- Rafforzamento della condanna popolare contro l'equiparazione del comunismo con il fascismo, promossa in spregio della verità storica dalla UE e dalle classi borghesi in funzione anticomunista.
 
- Sviluppo della solidarietà con i popoli in lotta, come quello palestinese, per la liberazione dei 5 rivoluzionari cubani dalle carceri statunitensi e per l'abolizione del blocco economico di Cuba.
 
Perché la lotta popolare contro la presenza militare imperialista nei Balcani ne esca rafforzata, contro il cosiddetto scudo antimissile, contro le basi e gli eserciti stranieri, contro la partecipazione delle forze militari dei paesi dei Balcani in missioni UE e NATO in altri paesi. Perché i nostri paesi si liberino dai piani imperialisti e dalle loro organizzazioni.
 
Chiediamo:
 
Che i nostri paesi non siano coinvolti nelle nuove guerre imperialiste in Medio Oriente, in Africa, nel Caucaso e nelle minacce pronunciate contro i popoli che lottano mettendo in discussione "l'ordine mondiale imperialista".
 
Partiti partecipanti:
 
Communist Party of Albania
Communist Party of Bulgaria
Party of Bulgarian Communists
Communist Party of Greece
Socialist Workers’ Party of Croatia
Communist Party of Macedonia (FYROM)
Communist Party of Romania
New Communist Party of Yugoslavia
Communist Party of Turkey
Labour Party (EMEP), Turkey

 


Risoluzione sul Kossovo
 
All'Incontro di Salonicco il 22 gennaio 2011, i seguenti Partiti Comunisti e Operai assumono la presente posizione:
 
- Contro la modifica violenta dei confini in Europa.
- Contro l'unilaterale dichiarazione di "indipendenza" del Kossovo, risultato della criminale aggressione della NATO contro Serbia e Montenegro.
 
- Che il Kossovo è parte integrante della Serbia.
- Che tutte le forze di occupazione lascino il Kossovo. Che tutti i perseguitati serbi sia consentito di far ritorno alle loro case.
- Che albanesi, serbi e il resto della popolazione possano vivere insieme nell'uguaglianza, fratellanza e libertà.
 
Communist Party of Bulgaria
Party of Bulgarian Communists
Communist Party of Greece
Socialist Workers Party of Croatia
Communist Party of Macedonia (FYROM)
Communist Party of Romania
New Communist Party of Yugoslavia
Communist Party of Turkey
 

Risoluzione sulla mobilitazione popolare in Tunisia
 
Noi Partiti Comunisti e Operai, incontrati a Salonicco il 22/1/2011, esprimiamo la nostra solidarietà con le forze popolari della Tunisia, che lottano per rovesciare il potere del regime reazionario e lo sfruttamento dei gruppi di affari transnazionali.
 
Communist Party of Albania
Communist Party of Bulgaria
Party of Bulgarian Communists
Communist Party of Greece
Socialist Workers Party of Croatia
Communist Party of Macedonia (FYROM)
Communist Party of Romania
New Communist Party of Yugoslavia
Communist Party of Turkey
Labour Party (EMEP) Turkey
 


Memoria 2011 / 4

(sulla strage di Kragujevac e sul classico della letteratura ad essa dedicato da D. Maksimovic si veda anche la nostra pagina:


Città fucilata


Presentazione del poema di Anna Santoliquido (Edizione Parco delle Rimembranze, 2010) dedicato alle 7.000 vittime dell’eccidio di Kragujevac. Appuntamento nell'ambio della Giornata della Memoria
29 gennaio 2011
BARI
Edizione bilingue italiano-serbo con traduzione di Dragan Mraović e illustrazioni del pittore Zoran Ignjatović e dello scultore Dragan Djordjević. Il poema è stato musicato dal compositore polacco Piotr A. Komorowski.
Intervengono: 
- Gaetano Bucci, critico letterario
- Mariano Bubbico, psicologo
- Nicola De Matteo, consigliere della Provincia di Bari
Lettura di versi a cura di Janet Mry Wing e Raffaella Pallamolla. Sarà trasmesso il filmato della manifestazione “La grande lezione scolastica di Šumarice” trasmesso in diretta da TV Serbia il 21 ottobre 2010, con la regia di Živorad Žika Ajdačić



Altre iniziative segnalate

1) TESTA PER DENTE anche a Bagnolo Cremasco (OGGI 28/1) e in Val Brembana (6/2)
2) I rapporti italo-sloveni 1880-1956 (San Vendemiano TV, 5/2)
3) Colle Val d'Elsa (SI), 10 febbraio 2011:
"Erano solo bambini" (mostra sul sistema concentrazionario di Jasenovac) e "L'occupazione italiana nei Balcani" (tavola rotonda)


=== 1 ===

La mostra TESTA PER DENTE 
https://www.cnj.it/INIZIATIVE/TESTA_PER_DENTE/testaperdente.htm

è esposta dal 28 gennaio 2011

a Bagnolo Cremasco (CR)
presso lo SPAZIO POPOLARE LA FORGIA - Via Mazzini, 24
spaziopopolarelaforgia@... http://www.autistici.org/laforgia/

venerdi 28 gennaio 2011 ore 21:30
INAUGURAZIONE
con Andrea Martocchia (segretario CNJ-onlus)

SCARICA LA LOCANDINAhttps://www.cnj.it/INIZIATIVE/TESTA_PER_DENTE/testaperdente_bagnolocremasco280111.pdf


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Dopo troppi anni di viscido revisionismo storico siamo a presentarvi, in occasione della Giornata della Memoria (27 gennaio) e del Giorno del Ricordo (10 febbraio) una interessante iniziativa che racchiude in se i significati storici di queste ricorrenze, organizzata da arcinvalle e Tavola della Pace Circolo Peppino Impastato.

 

Domenica 6 febbraio 2011

con inizio alle ore 9, presso lo Spazio Eventi dell’Ostello dei Tasso, in via Orbrembo 20 a CAMERATA CORNELLO (BG)

abbiamo il piacere di presentare:


# il libro “The Tower of Silence” (Storie di un campo di prigionia – Bergamo 1941/45) con la presenza degli autori Giorgio Marcandelli, Alberto Scanzi e Francesco Sonzogni in contemporanea alla Mostra “Il Campo del Silenzio” Campo di Concentramento P.G. N. 62 di Grumello al Piano - Bergamo;

# alle ore 11 “Testa per Dente” - Mostra Didattico-Culturale-Documentaria sui crimini fascisti in Jugoslavia 1941/45, presentata da Andrea Martocchia del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia.

 

Entriamo quindi a piene mani nel merito delle due ricorrenze citate, aggiungendo altra verità storica con documenti e filmati che ancora troppo pochi conoscono, abbagliati dalla propaganda riformista in atto.

 

T’invitiamo a partecipare a questa giornata storica e a pubblicizzarla il più possibile con E-mail, Facebook… ma soprattutto stampando e diffondendo l’allegato in una sorta di propaganda militante, da rinverdire, per tornare ad essere promotori, nell’attuale deserto civile, di culturamemoria e giustizia.

 

Ti aspettiamo… 

arcinvalle e Tavola della Pace Valle Brembana  

 

PS. – L’Ostello di Tasso è a disposizione per chi volesse pranzare dopo le presentazioni.





=== 2 ===
 
CIRCOLO CULTURALE ANPI 
“GIOVANNI SACCON E GIOVANNI FURLAN” 
San Vendemiano

ASSOCIAZIONE DEI COMBATTENTI
PER I VALORI DELLA LOTTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE SLOVENA
Nova Gorica

organizzano
in occasione del “giorno del ricordo”


Sabato 5 FEBBRAIO 2011
ore 15.00

presso il Centro Sociale “Fabbri”
SAN VENDEMIANO (TV)

incontro:

I rapporti italo-sloveni (1880-1956)
Relazione della commissione mista storico-culturale italo-slovena


interverranno:

Dott. Branko Marusic – Storico sloveno (componente della commissione mista)

Prof. Fulvio Salimbeni – docente di storia contemporanea all’Università di Udine
(componente della commissione mista)

Nel corso dell’incontro verrà presentata l’iniziativa, a cura del Circolo ANPI di San Vendemiano, di distribuzione all’interno degli istituti scolastici del Coneglianese, del testo della relazione della commissione mista storico-culturale italo-slovena.


=== 3 ===

Comune di Colle Val d'Elsa - Presidenza del Consiglio Comunale

Associazione ANPI


a COLLE DI VAL D’ELSA (SI)

NELL'AMBITO DELLE INIZIATIVE IN OCCASIONE DEL GIORNO DELLA MEMORIA E DEL GIORNO DEL RICORDO

Giovedì 10 febbraio - Giorno del ricordo -


Palazzo Pretorio ore 18 

Inaugurazione della Mostra Erano solo bambini 

a cura dell'Istituto Storico della Resistenza Senese, alla presenza dei relatori dell’iniziativa delle ore 21,30 al Teatro dei Varii

La mostra si incentra sul sistema concentrazionario di Jasenovac, in Croazia, il terzo in Europa dopo Auschwitz e Birkenau. Vengono descritte le vittime, la tipologia delle persecuzioni, le identità dei persecutori e la specificità del lager dei bambini.


Teatro dei Varii ore 21.30 

Incontro Pubblico: L'occupazione italiana nei Balcani” 

Saluto dell’Amministrazione Comunale. 

Intervengono: 

Davide CONTI (ricercatore, fondazione Lelio Basso, Roma), Andrea MARTOCCHIA (Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia), Pietro PELI (ANPI Colle Val d'Elsa) – Sergio TANZINI (Presidente ANPI)  






20/01/2011


Martedì alla Camera il voto sull'ennesimo rifinanziamento alla missione militare in Afghanistan: 410 milioni di euro per il primo semestre 2011

Martedì 25 gennaio la Camera dei Deputativota il diciannovesimo rifinanziamentosemestrale della missione italiana di guerra in Afghanistan
Per i 181 giorni di campagna militare che vanno dal 1° gennaio al 30 giugno 2011, è prevista una spesa complessiva di oltre 410 milioni di euro, vale a dire più di 68 milioni al mese (2,26 milioni al giorno).

Un ulteriore incremento rispetto ai 393 milioni (65 al mese) del secondo semestre 2010, causato dall'invio al fronte di nuovi rinforzi che a giugno porteranno il nostro contingente a 4.350 uomini883 mezzi terrestri (tra blindati leggeri e pesanti, carri armati, camion e ruspe) e 34 velivoli (tra caccia-bombardieri, elicotteri da combattimento e da trasporto e droni).

Vediamo i dettagli di spesa. 380,77 milioni di euro per il mantenimento del contingente militare schierato in Afghanistan, 12,17 milioni per il personale militare della missione (125 uomini e 6 mezzi) che opera nelle basi americane negli Emirati Arabi Uniti, in Bahrein e in Florida (Usa), 2,1 milioni per il personale della Guardia di Finanza (Isaf, Eupol e Jmous) e 5 milioni per le operazioni d'intelligence degli 007 dell'Aise (l'ex Sismi).

Ancora: 6,37 milioni per le operazioni militari 'Cimic' a favore della popolazione locale (aiuti in cambio di intelligence), 1,5 milioni per il sostegno e l'addestramento alle forze armate afgane tramite il fondo fiduciario Nato e 2,19 milioni per ''interventi operativi di emergenza e di sicurezza per la tutela dei cittadini e degli interessi italiani'' in Afghanistan motivati da ''l'ulteriore considerevole deterioramento della situazione di sicurezza nel Paese e dalla segnalazione di una specifica minaccia di sequestri di persona''.

Fuori dalle spese militari e 'paramilitari', troviamo il sempre più striminzito finanziamento alle iniziative di cooperazione allo sviluppo: 16,5 milioni di euro (contro i 18,7 del secondo semestre 2010) che serviranno a pagare progetti di ricostruzione e di assistenza umanitaria e anche a organizzare una conferenza regionale della società civile per l'Afghanistan, in collaborazione con la rete di organizzazioni non governative 'Afghana.org' (associazione promossa da Arci, Lunaria e Lettera22).

In nove anni e mezzo (compreso quindi il rifinanziamento attualmente in esame), questa inutile campagna militare ha risucchiato dalle esangui casse dello Stato più di 3 miliardi di euro
Merita ripercorrere la progressione annuale del costo della missione bellica afgana: 70milioni di euro nel 2002, 68 nel 2003, 109 nel 2004, 204 nel 2005, 279 nel 2006, 336 nel 2007, 349 nel 2008, 540 nel 2009, 773 nel 2010 e (di questo passo) almeno 820 milioni nel 2011.


Enrico Piovesana



Memoria 2011 / 3

Segnaliamo tre importanti pubblicazioni della casa editrice Zambon sul nazismo e sulla Resistenza in Unione Sovietica, a partire dalla più recente: BABIJ JAR.
Per maggiori informazioni: zambon@... - www.zambon.net


--- NOVITA' ---

Anatolij Kuznetsov

BABIJ JAR
1941: l’occupazione nazista di Kiev

A cura della redazione italiana della Casa editrice Zambon
Introduzione di Adriana Chiaia

Pagg. 240 - Prezzo: 12.00 euro - isbn 978-88-7826-65-4

Nel quadro dell’occupazione nazista di Kiev, durata più di due anni, la testimonianza dell’autore, a quei tempi un ragazzo di dodici anni, descrive il massacro di decine di migliaia di ebrei, di combattenti dell’Armata Rossa, di comunisti, di cittadini ucraini e di altre nazionalità, catturati nei rastrellamenti o presi in ostaggio, i cui corpi venivano gettati nell’enorme burrone di Babij Jar, nei pressi della città.
L’autore offre inoltre uno straordinario e contraddittorio panorama di personaggi positivi e negativi: partigiani e collaborazionisti, resistenti e delatori, solidali e profittatori, generosi e gretti, uomini, donne e bambini, strappati alla quotidianità del passato e costretti ad arrabattarsi per sopravvivere alla guerra con la sua sequela di atrocità, bombardamenti, distruzioni, saccheggi, fame e miseria materiale e morale.
Il libro è stato arricchito dalla sezione “Lineamenti di storia” composta di due schede. La prima tratta del diritto all’autodecisione dei popoli nella concezione del Partito comunista (b) e nella prassi del potere sovietico. La seconda ripercorre le vicissitudini dell’Ucraina, dalla rivendicazione dell’autonomia al patto costitutivo dell’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche, inserendole nel loro contesto storico.
In appendice uno scritto di Il’ja Erenburg e stralci di un documento della Commissione governativa sulle distruzioni e le atrocità commesse dagli invasori tedeschi nella città di Kiev. (Processo di Norimberga).


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Kurt Gossweiler

LA (IR)RESISTIBILE ASCESA AL POTERE DI HITLER
Chi furono i burattinai?
Chi gli spianò la strada?

A cura e con introduzione di Adriana Chiaia

L’autore documenta l’apporto determinante dei magnati dell’industria, dei grandi proprietari fondiari e dei banchieri tedeschi (nonché dei loro colleghi di Wall Street), alla caduta della Repubblica di Weimar e all’ascesa al potere di Hitler. Nel lungo elenco dei finanziatori del Partito nazista fin dall’inizio spicca, tra gli altri, il nome di Fritz Thyssen. Gossweiler denuncia inoltre la complicità dei dirigenti del Partito socialdemocratico che non si opposero, se non a parole, alla violenza sempre crescente delle truppe d’assalto naziste, ma, al contrario, sabotarono sistematicamente la formazione di un fronte unito antifascista e indirizzarono i loro attacchi contro il Partito comunista, animatore delle più risolute lotte di massa contro il nazismo. I collegamenti con la realtà attuale vengono messi in luce sia nella prefazione all’edizione francese di Annie Lacroix-Riz che nel saggio introduttivo di Adriana Chiaia.
Questo libro è dedicato agli operai della ThyssenKrupp arsi vivi sull’altare del profitto nell’incendio divampato nella fabbrica di Torino la notte del 6 dicembre 2007.

Brossura - 336 pagine - ISBN 978-88-87826-53-1 - 15,00 €


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AA. VV.

IL PREZZO DELLA VITTORIA

Traduzione e introduzione di Adriana Chiaia

Un'antologia di racconti dei più noti scrittori sovietici sulla “grande guerra patriottica” nella quale l'Armata Rossa e i popoli dell'URSS, pagando un elevatissimo prezzo umano e materiale, respinsero l'aggressione della Germania nazista fino a spezzare la formidabile macchina militare di Hitler e ad issare la bandiera rossa sul Reichstag di Berlino.
Un libro contro le menzogne e le falsificazioni, destinato alle giovani generazioni che vogliono conoscere la verità storica di cui sono stati privati.

Brossura - 368 pagine - ISBN 88-87826-16-1 - 15,00 €