Informazione


Nelle scuole della Toscana l'antifascismo è messo sullo stesso piano del fascismo in virtù di una proposta votata all'unanimità dal Consiglio Regionale.

ACCOSTAMENTO ABERRANTE
Nel 1976 il professor Giovanni Miccoli definiva limpidamente l'incommensurabilità tra il genocidio, operato programmaticamente dal nazifascismo, e momenti di violenza indiscriminata eventualmente da attribuire ad altre parti in conflitto nella II Guerra Mondiale. Tale distinzione storiografica ed etica in Italia è in corso di eliminazione, al fine di realizzare un "memoria condivisa" fondante per un nuovo sciovinismo nazionale. 
L'articolo di Miccoli ed altri sullo stesso tema: http://www.diecifebbraio.info/tag/accostamento-aberrante/

Chi racconta agli studenti che le #foibe sono come la Shoah? 5 domande al presidente della Toscana Enrico Rossi (N. Bourbaki / Giap, 27.4.2016)
... << SI IMPEGNA LA GIUNTA REGIONALE a promuovere l’inserimento del Monumento Nazionale e della Foiba di Basovizza all’interno dell’itinerario del Treno della Memoria per la motivazione sopra riportata; Rinominare l’iniziativa “Treno della Memoria” in “Treno della Memoria e del Ricordo” >> Treno della Memoria e del Ricordo. Foibe e Shoah sullo stesso piano...

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Regione Toscana:
TUTTI "ROSSI" DI VERGOGNA

21.4.2016

Sulle Foibe la Regione Toscana all'unanimità accoglie, a pochi giorni dell'anniversario della lotta partigiana al fascismo e al nazismo, una VERGOGNOSA proposta neofascista.

Di seguito: Comunicato stampa del Laboratorio politico perUnaltracittà

Dal prossimo anno la Regione Toscana promuoverà un viaggio studio rivolto agli studenti toscani presso il Monumento nazionale della Foiba di Basovizza (Trieste). Questo, nell'ambito delle iniziative del Giorno della Memoria, dedicato al ricordo delle vittime dello sterminio nazista, che d'ora in poi si chiamerà "Giorno della memoria e del ricordo" equiparando due fatti che la Storia ci insegna a distinguere molto bene.
Felici si dichiarano (ovviamente) Fratelli d'Italia che hanno presentato in Consiglio Regionale la proposta che è stata votata all'unanimità, con l'intento di "superare storiche contrapposizioni che ancora oggi... impediscono la creazione di una memoria nazionale condivisa".
Se il pd e l'opposizione di sinistra in Consiglio ignorassero, e già la cosa sarebbe imperdonabile per degli eletti in un Consiglio Regionale, cosa siano state le foibe, possono informarsi ad esempio qui:
http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=20327
Aggiungiamo qualche dato non revisionista:
il fenomeno delle foibe può essere compreso se lo si colloca nella sua reale dimensione storica, a partire da quando l'Italia, vincitrice nella Prima guerra mondiale, ingloba nel proprio territorio 327 mila sloveni e 152 mila croati, ed anziché scegliere la strada del rispetto per le minoranze, sceglie quella dell'assimilazione forzata e brutale basata sull’annientamento del popolo slavo. L'avvento di Mussolini inaugurò il cosiddetto “fascismo di frontiera”, vale a dire una serie di provvedimenti di italianizzazione forzata del confine orientale, che portarono alla chiusura di scuole croate e slovene, all'imposizione dell'italiano nei giornali e nei tribunali, fino all'italianizzazione dei cognomi e della toponomastica). Come se non bastasse, nell'aprile del '41 l'Italia partecipò all'occupazione nazista della Jugoslavia, rendendosi protagonista di omicidi, stupri e rastrellamenti, di incendi di interi villaggi e dell'internamento di migliaia di civili in campi di concentramento (come ordinava la “famosa” circolare 3c del gen. Mario Roatta).
E' in questo quadro esasperato che ebbe luogo l'episodio delle foibe. Questo va inoltre diviso in due episodi distinti. Quello del settembre '43, dopo la rotta dell’esercito italiano, con il fronte che mutava in continuazione, e riguardò per lo più le persone più compromesse con il regime fascista, e con numeri che non si avvicinano neanche lontanamente a quanto si cerca di raccontare nel tentativo revisionista.
L'altro episodio fu quello del maggio '45, dove gli scomparsi furono circa 500, regolarmente arrestati e giudicati da un Tribunale Militare (della maggior parte di essi, che furono fucilati, è accertata la loro passata appartenenza a forze militari o collaborazioniste del nazifascismo). Delle vendette personali (e ce ne furono in tutta Europa, nei mesi successivi alla fine della guerra) non possono essere resi responsabili un movimento di liberazione intero né, tanto meno, un popolo.
E’ così che nella retorica neofascista membri di milizie fasciste, civili collaborazionisti e delatori diventano “innocenti la cui unica colpa era quella di essere italiani e non vergognarsene”, così come i Repubblichini diventano “bravi ragazzi animati da un non comune amore per l'Italia”, da equiparare ai partigiani liberatori. La Giornata del Ricordo diventa così la giornata dell'orgoglio fascista.
Se poi i consiglieri che hanno votato la mozione di Donzelli fossero consapevoli di cosa siano state le Foibe, e dell'abominio di una equiparazione che mette sullo stesso piano fascisti e vittime del nazismo, allora lasciamo ogni commento a chi legge. 
Solo, non ci vengano a parlare fra tre giorni di antifascismo il 25 aprile. Questo non sarebbe tollerabile.




(english / francais / russkij / castellano / italiano)
 
 
2 Maggio 2014–2016 ricordiamo il pogrom di Odessa
 
1) INIZIATIVE: Milano, Bologna, Urgent IAC/UNAC Appeal
2) DOCUMENTAZIONE. I link più importanti
3) TESTIMONIANZE. Strage di Odessa: parla una sopravvissuta
4) LE PERSECUZIONI. I casi di Igor Astakhov e Vladimir Grubnik
5) Consiglio d’Europa boccia Kiev.“A Odessa polizia fu complice” (5.11.2015)
6) Altri aggiornamenti sulla situazione a Odessa

(italiano / english / srpskohrvatski)

Stepinac i Jasenovac

1) SUBNOR: ЗУСТАВИТИ ПОМАХНИТАЛЕ ФАШИСТЕ
2) "POPE FRANCIS PERSONALLY STOPPED CANONIZATION OF STEPINAC"
Le patriarche serbe Irinej écrit au pape François / Possibile visita di Papa Francesco in Serbia
3) JASENOVAC: TENTATIVI DI REVISIONISMO (DI F. ROLANDI)
SNV neće sudjelovati na komemoraciji u Jasenovcu / Povratak 1941.


=== 1 ===


Нема заборава – Објављено под Актуелно |  22. априла 2016.

ЗУСТАВИТИ ПОМАХНИТАЛЕ ФАШИСТЕ

У слободарском свету обележава се Дан сећања на жртве холокауста, геноцида и других фашистичких недела у Другом светском рату.
Београд, главни град наше отаџбине, сведок и страдалник, поклонио се пред Спомеником на обали Саве, на обрисима негдашњег ужасног логора који су фашисти, заједно са усташким насилницима из НДХ, користили на простору Старог сајмишта за масовно убијање Срба, Јевреја, Рома и других националности, вероисповести, идеолошких определења супротних нацистичким циљевима. Одвођени су и специјалним камионима у логор на Бањицу, Тополске шупе, Јајинце и на очи тадашње колаборантске власти Милана Недића ликвидирани.
Овај 22.април је и дан сећања на 1945.годину кад је група од 1075 измучених заточеника логора страве и мучких убистава у Јасеновцу потражила пут у слободу док су се усташе спремале на бекство пред партизанским јединицама. Само се 127 домогло спаситеља, остали су пали у рафалима побеснелих зликоваца из наказне хрватске државе савезника Хитлера у Другом светском рату, поглавника Анте Павелића коме су уз крило седели католички великодостојници попут Степинца.
Званични подаци о Јасеновцу, које је потврдио и Центар ”Симон Визентал”, сведоче да су усташе ликвидирали током Другог светског рата у том логору 500.000 Срба, 80 хиљада Рома, 32 хиљаде Јевреја и неколико десетина хиљада антифашиста разних националности.
Сви ти тешки дани ни један поштен народ не може и неће да заборави. Нарочито у ово време кад се у многим државама фашистистичке сумануте идеје повампирују и легално, понегде и под заштитом власти, дозвољавају покрети, марширања по улицама у црним униформама и са ознакама хитлеровских хорди позива на освету и враћање точка историје уназад.
Код Споменика на обали Саве, у Београду, поновљене су речи да Србија остаје верна антифашистичкој традицији и крупним корацима иде напред не прихватајући скарадну идеологију и реваншизам. О томе су говорили министри у Влади Србије, највиши представници градске власти.
Венце су положили и представници страдалника, међу њима и Милинко Чекић, чије је удружење преживелих и потомака Јасеновчана колективни члан СУБНОР-а Србије.


=== 2 ===

Leggi anche:

Affaire Stepinac : le patriarche serbe Irinej écrit au pape François (B 92, 5 janvier 2016)
L’Église orthodoxe serbe est inquiète. Le cardinal Stepinac, proche du dirigeant oustachi pro-nazi Ante Pavelić, responsable de l’extermination de Serbes, de Juifs et de Tsiganes pendant la Seconde Guerre mondiale, béatifié par Jean-Paul II en 1998, va-t-il être canonisé ?
http://www.courrierdesbalkans.fr/le-fil-de-l-info/le-patriarche-serbe-orthodoxe-irinej-ecrit-au-pape-francois.html

Possibile visita di Papa Francesco in Serbia (18/01/2016)
Sabato scorso Papa Francesco ha ospitato la delegazione della Chiesa ortodossa serba composta dal Metropolita del Montenegro Amfilohije, dal Vescovo della Backa Irinej e dall’ex ambasciatore presso la Santa Sede Darko Tanaskovic. I temi della riunione non annunciata a Roma erano la canonizzazione del controverso cardinale croato Alojzije Stepinac e la visita eventuale del Papa in Serbia questo o l’anno prossimo...

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"Pope Francis personally stopped canonization of Stepinac"

Pope Francis personally stopped the canonization of Croatian Cardinal Alojzije Stepinac after a letter sent to him by Serbian Orthodox Patriarch Irinej.

SOURCE: VECERNJE NOVOSTI, TANJUG MONDAY, APRIL 25, 2016

This has been stated by former Croatian Ambassador to the Vatican Filip Vuc ak.

According to him, a joint committee of the Catholic and Orthodox Churches will begin discussing the issue "before the summer" - but he said he could not predict when a decision might be made. 

Vucak told the Belgrade-based daily Vecernje Novosti that Patriarch Irinej in his letter clearly said he believed Stepinac was a high priest who supported the NDH - the WW2-era Nazi-allied Independent State of Croatia - who forcibly converted Orthodox believers (into Catholicism), and supported "racial" laws. 

This is the second such case in the Catholic Church, said Vucak, adding that Pope Francis would "certainly not make decisions about Stepinac until the commission finishes its work." 

Describing the events unfolding in April 2014, Vucak said they were "extremely dramatic" and that "some cardinals were sure Stepinac would be canonized" but that Patrijarch Irinej's letter was "a distress signal" for Pope Francis, who wanted the information coming from Belgrade checked. 

The Croatian diplomat added, "then came Serbian President Tomislav Nikolic's letter addressed to the Vatican, a nd then another from Patriarch Irinej." 

"The pope decided to propose the establishment of a mixed commission that will examine in detail the life and work of Cardinal Stepinac," said Vucak.

=== 3 ===

Isto pročitaj:

SNV neće sudjelovati na komemoraciji u Jasenovcu (08. travnja 2016. Piše R.I.)
Vrijeme je da se zaustavi opasna praksa u kojoj će se jedan dan formalno komemorirati u Jasenovcu, a 364 ostala dana u godini nesmetano relativizirati, umanjivati i negirati ustaški zločin genocida, poručuju iz Srpskog narodnog vijeća... 
http://www.portalnovosti.com/snv-nee-sudjelovati-na-komemoraciji-u-jasenovcu

Povratak 1941. (15. travnja 2016. Piše Nenad Jovanović)
Aktualna situacija u Hrvatskoj podsjeća nas na ono što je u Njemačkoj počelo 1933., a događalo u NDH od 1941. godine, kazao je nakon komemoracije u Jasenovcu Ognjen Kraus, predsjednik Koordinacije židovskih općina...
http://www.portalnovosti.com/povratak-1941

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Jasenovac: tentativi di revisionismo

di Francesca Rolandi – 27 aprile 2016

Mai come quest’anno le memorie divise sul campo di sterminio del regime ustascia sono state così evidenti. L’aria di revisionismo ha prodotto commemorazioni parallele
Le diverse commemorazioni tenutesi in Croazia nel mese di aprile per ricordare il campo di sterminio di Jasenovac hanno offerto un'immagine quanto mai chiara di come l'attuale polarizzazione dello scenario politico sia un frutto avvelenato delle memorie divise e conflittuali del passato e in particolare della Seconda guerra mondiale. Se in molti paesi la memoria dell'Olocausto rischia di essere monumentalizzata e pietrificata nella retorica, oggi in Croazia rappresenta tuttora un tema di violento scontro politico, essendo legata a doppio filo al giudizio storico sullo Stato indipendente croato (NDH) di Ante Pavelić.
Già nel 2015, la neoeletta presidente Kolinda Grabar Kitarović aveva fatto parlare di sé per non essersi recata personalmente alla commemorazione ufficiale a Jasenovac per farvi visita un altro giorno al di fuori dei riflettori, adducendo la giustificazione che la commemorazione non dovesse essere politicizzata. Nei mesi successivi, e con più forza dal gennaio 2016, con l'insediamento del nuovo governo HDZ-Most, è stato notato da più parti il proliferare di fenomeni di apologia dell'NDH, contro cui il governo non ha preso alcuna iniziativa. Anche la compagine stessa è stata nell'occhio del ciclone, in particolare per la nomina del nuovo ministro della cultura Zlatko Hasanbegović, conosciuto per le sue posizioni revisioniste e la sua militanza giovanile nell'estrema destra.
L'apice è stato raggiunto poco prima della metà di aprile, quando il Coordinamento delle comunità ebraiche, presto seguito dal Consiglio nazionale serbo e dalla Lega degli antifascisti, ha deciso di boicottare la commemorazione ufficiale del 22 aprile, la data in cui tentarono la fuga del campo di Jasenovac circa 600 prigionieri, dei quali meno di un centinaio furono in grado di raccontarlo. Motivo della protesta era il nuovo spazio espositivo del memoriale, che non rappresenterebbe l'orrore degli avvenimenti. Tuttavia, più che un fatto specifico emergeva la volontà di protestare contro il generale clima di riabilitazione del regime ustascia che si respirerebbe con sempre maggiore forza in Croazia, simboleggiato da almeno due episodi recenti: la protesta davanti all'Agenzia per i media elettronici, a cui aveva partecipato anche il vicepresidente del parlamento Ivan Tepeš, e la partita Croazia-Israele giocata a Osijek, entrambe accompagnate dall'esposizione di simboli e da canti ispirati al passato regime ustascia.

Aria di revisionismo

Inoltre, storiografia e pubblicistica si sono di recente confrontate sulla stessa natura del campo di Jasenovac. A far discutere è stata in particolare la proiezione del documentario “Jasenovac – istina” [Jasenovac – verità ] di Jakov Sedlar che vorrebbe dimostrare, sulla base di alcuni documenti con ogni probabilità falsi, che nello stesso campo il numero delle vittime dei comunisti dopo il 1945 sarebbe molto maggiore delle vittime dell'NDH. Infatti, da un paio d'anni ormai un fantomatico Društvo za istraživanje trostrukog logora Jasenovac [Società per la ricerca sul triplo campo di Jasenovac] diffonde una teoria secondo cui durante il regime ustascia il sito non sarebbe stato un campo di sterminio ma di smistamento, nel quale i detenuti avrebbero goduto dell'assistenza sanitaria e ricevuto pacchetti dai familiari. Invece, dopo il 1945, il nuovo regime vi avrebbero creato un campo nel quale sarebbero stati uccisi fino a 50.000 soldati croati prigionieri. Alla diffusione di queste idee, anche nelle scuole, lo storico Slavko Goldstein ha reagito con il libro "Jasenovac – tragika, mitomanija, istina" [Jasenovac – tragedia, mitomania, verità] dove si evidenzia come il film sia un insieme di falsità e di documenti falsificati ad arte. Al contrario il ministro Hasanbegović lo ha definito utile per aprire al dibattito temi tabù.
Il boicottaggio della commemorazione ufficiale ha fatto da cassa di risonanza alla memoria offesa delle associazioni rappresentanti le vittime, costringendo alcune voci del governo a puntualizzazioni sulla natura criminale dell'NDH e sui valori antifascisti alla base della costituzione croata. Inoltre, il premier Tihomir Orešković ha espresso disappunto per il fatto che Jasenovac sia ancora un tema divisivo, affermando che “tutti sappiamo quello che è successo”. Tuttavia, la maggior parte dei discorsi è stata basata sull'equazione tra i crimini commessi dall'NDH e quelli commessi dal comunismo, uniti nell'etichetta di totalitarismo: questa è la base retorica del discorso revisionista. Come ha affermato Tomislav Karamarko, “dove si presenta l'apologia del regime ustascia [ustaštvo] bisogna eliminarla, ma non vedete che intorno a noi è tutto un rimpianto del bolscevismo e della Jugoslavia?!”.
Appare difficile comprendere come si possano coniugare antifascismo e anticomunismo spinto in un paese come la Croazia in cui la lotta antifascista è stata nella quasi totalità rappresentata dalla componente comunista.
Inoltre, non è sfuggito a molti come la chiamata al boicottaggio abbia coinciso con la visita a Zagabria di Nicholas Dean, l'emissario statunitense per le questioni riguardanti l'Olocausto. Sebbene nell'incontro con la presidente si sia parlato della restituzione delle proprietà ebraiche, Dean ha dichiarato essere un dovere della presidente condannare il discorso dell'odio, una dichiarazione che è stata letta da molti come un monito pronunciato nel linguaggio diplomatico.

Commemorazioni divise

Ma forse il tratto più caratterizzante della primavera del 2016 di Jasenovac sono state le numerose iniziative nate per contrastare la commemorazione ufficiale. Il 15 aprile il Coordinamento delle comunità ebraiche ha organizzato una sua commemorazione alla quale hanno partecipato anche altri rappresentanti delle minoranze, l'ex presidente Ivo Josipović e diversi ambasciatori. Qui il presidente del Coordinamento Ognjen Kraus si è spinto ad affermare che il clima di oggi in Croazia  ricorderebbe sempre più quello dell'NDH e della Germania degli anni '30. Il 22 aprile una funzione religiosa in ricordo delle vittime serbe si è svolta nel villaggio di Mlaka, a poca distanza dal memoriale. Il 24 aprile, invece, una commemorazione organizzata dalla Lega dei combattenti antifascisti e degli antifascisti  ha portato  a Jasenovac 2000 persone, il numero più alto dal 1995. A parlare è stato anche l'ex presidente Stipe Mesić, uno dei depositari della memoria antifascista [ma in realtà corresponsabile dell'ascesa al potere dell'HDZ di Tudjman e dello scoppio della guerra fratricida, cfr. https://www.youtube.com/watch?v=qO-7R3zmWUs e https://www.youtube.com/watch?v=nYXwthkfk3M (ndCNJ)], che ha definito Jasenovac una delle più grandi macchie sulla coscienza croata e ha invitato a chiamare chi si fregia di simbologia ustascia con il suo vero nome.
Altre iniziative si sono svolte a Zagabria, dove il 22 aprile si è svolta una mobilitazione organizzata dalla Lega antifascista e supportata dal Coordinamento delle comunità ebraiche, dal Consiglio nazionale serbo e dal Consiglio nazionale rom, con la partecipazione di 500 persone. In questa occasione Zoran Pusić ha affermato che gli apologeti dell'NDH oggi occuperebbero dei seggi in parlamento. Contemporaneamente l'iniziativa Kulturnjaci 2016, che da mesi chiede le dimissioni del ministro Hasanbegović, ha proposto la lettura in 25 città croate di estratti tratti dal saggio di Umberto Eco “Il fascismo eterno”

La commemorazione ufficiale

Venerdì 22 si è comunque svolta la commemorazione ufficiale a Jasenovac, alla quale hanno partecipato diverse cariche politiche, tra cui lo stesso Hasanbegović, ma non la presidente, che al suo posto ha inviato il produttore cinematografico Branko Lustig che a Jasenovac perse il padre. Grabar Kitarović aveva nei giorni precedenti più volte criticato la politicizzazione della commemorazione, aggiungendo anche che oltre a coloro che minimizzavano le vittime esisterebbe anche chi le aumenta a dismisura. Presenti erano anche alcuni ex deportati e membri delle comunità ebraica e serba, ma non i loro rappresentanti, e il Consiglio delle associazioni rom.
Tra le corone di fiori se ne trovava anche una della Piattaforma nazionale croata, emanazione della Società per la ricerca sul triplo campo di Jasenovac, che portava la scritta “Alle vittime del campo di Jasenovac dal 1941 al 1951”, periodo che comprenderebbe anche le fantomatiche vittime “dei comunisti jugoslavi”. A deporla è stato Marko Jurić, il conduttore tv sospeso alcuni mesi fa per discorso dell'odio contro il patriarca serbo nella sua trasmissione sulla televisione privata Z1. E a permetterlo sarebbe stata la stessa Nataša Jovičić, direttrice del memoriale dal 2002, ora anche consulente della presidente per le questioni legate all'Olocausto e considerata particolarmente gradita al governo.
Il doppio binario della comparazione tra i crimini dell'NDH e quelli del regime jugoslavo nel 1945 nel nome del verbo del totalitarismo serve a sminuire e relativizzare i primi, ma anche a condannare senza appello il secondo, che, estrapolato da una prospettiva storica, viene considerato come un continuum dal 1945 alla sua fine. Inoltre, come ha dichiarato Alen Budaj dell'Istituto Margel di Zagabria al settimanale Novosti, sarebbe offensiva “la comparazione delle vere vittime di Jasenovac con quelle immaginarie di un altrettanto immaginario campo di concentramento comunista del dopoguerra”.
Nelle settimane centrali di aprile Jasenovac, il sito nel quale il grande architetto belgradese Bogdan Bogdanović scelse di rappresentare il male dello sterminio con un fiore, ha dimostrato di essere ancora oggi un elemento profondamente divisivo per la società croata, alimentatore di memorie opposte. Il livello di scontro, se da una parte diventa emblematico del tentativo di imporre una nuova lettura revisionista più o meno apertamente promosso dalla coalizione di governo, dall'altra mette in luce però una società che pare avere gli anticorpi per contrastarla.




(srpskohrvatski / italiano / english)

U.S. Presidential Election's Paradoxes

1) OBAMA a fine mandato rivela...
2) CLINTON: "Con lei andremo in guerra" (Oliver Stone, Diana Johnstone)
3) TRUMP: Велика је грешка што смо бомбардовали Србе / It was a great mistake to bomb the Serbs ... / Però vuole costruire un hotel di lusso sulle rovine degli edifici bombardati!
4) SANDERS zalagao se za bombardovanje Srbije / Sul "pacifismo" di Sanders...


=== 1: OBAMA ===

"GOVERNI CANAGLIA" (maal52tv, 12 mar 2016)

Barak Obama alla fine del suo mandato parla, vuota il sacco, e accusa rivelando ciò che avevamo intuito nell'agosto 2013: il mondo si è trovato sull'orlo di una guerra che da convenzionale avrebbe potuto degenerare in atomica.



=== 2: CLINTON ===

Raccomandiamo la lettura di

HILLARY CLINTON REGINA DEL CAOS 
di Diana Johnstone – Frankfurt: Zambon ed., 2016

(in eng.: QUEEN OF CHAOS. The Misadventures of Hillary Clinton
by Diana Johnstone  – CounterPunch, 2015

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The following article in english: 
IF HILLARY GETS ELECTED WE WILL HAVE WWIII. An Interview to Diana Johnstone



“Con Clinton presidente sarà guerra mondiale”. Intervista a Diana Johnstone

a cura di Matteo Carnieletto - 27 aprile 2016

Diana Johnstone ha scritto una pungente biografia di Hillary Clinton, pubblicata in Italia da Zambon.

Di questo testo abbiamo già avuto modo di parlare. Questa notte, però, nel Super martedì del Nordest , la Clinton ha vinto in altri quattro Stati mentre settimana scorsa ha vinto a New York. Hillary, insomma, corre spedita verso le elezioni.

Prima di arrivare all’attualità, ci piacerebbe capire chi è realmente Hillary Clinton. Come si è formata? Quali sono i suoi riferimenti culturali?

Hillary è nata nel 1947, in una famiglia repubblicana del ceto medio conservatore, dominata da un padre esigente che sembra averle trasmesso le sue ambizioni irrealizzate. La sua filosofia di base è sempre stata quella del lato aggressivo e individualistico del sogno americano: se si tenta con la forza, si va avanti. Questa visione implica uno scarso rispetto per coloro che non ce la fanno. Hillary si sente a proprio agio con i miliardari e loro si sentono a proprio agio con lei. Metodista, mostra la sua religiosità usandola come mezzo di auto-aiuto. Il suo primo impegno politico è stato con un accanito sostenitore dell’estrema destra repubblicana: il senatore Goldwater.

Mentre era Segretario di Stato, la Clinton ha aperto uno dei più feroci periodi della politica estera americana, a cominciare dalla Libia. Qual è stato il suo ruolo nella destabilizzazione del Medio Oriente?

Il suo ruolo è stato enorme. Se c’è un’opzione militare, lei la sostiene. Ha votato per l’invasione dell’Iraq nel 2003 ed è orgogliosa di rivendicare la propria responsabilità nella disastrosa guerra libica in quanto ha eliminato un dittatore: se le cose in Libia sono andate male è perché gli Stati Uniti avrebbero dovuto fare di più e non di meno. Ha sempre chiesto un intervento aggressivo contro Assad in Siria e la sua ostilità nei confronti dell’Iran è senza limiti. Tutto questo l’ha resa cara ai sostenitori di Israele, come il miliardario Haim Saban. In breve, ha completamente adottato la posizione dei “neocon”: qualsiasi nemico di Israele è un nemico degli Stati Uniti, e il suo regime deve essere o rovesciato o suddiviso in pezzi. La sua politica in Medio Oriente è di allineamento totale con Israele, che non impedisce un forte attaccamento all’Arabia Saudita, reso possibile grazie alla sua assistente Huma Abedin.

Hillary Clinton si distingue per la sua politica fortemente anti-russa. Da dove viene questa impostazione ideologica?

È la politica estera che nasce dal lato aggressivo del sogno americano. L’America è la migliore, la più forte ed è sicura di prevalere se usa la forza. La Clinton crede che se gli Usa agiscono sono destinati a vincere. Per quanto riguarda la Russia, Hillary ha completamente sottoscritto la visione dominante a Washington, ovvero che l’America “ha vinto la Guerra Fredda”. Ciò crea un’opinione arrogante: che gli Stati Uniti, dopo aver vinto la Prima Guerra Mondiale, la seconda e infine la Guerra Fredda, sono destinati a vincere. L’ideologia di Hillary serve perfettamente gli interessi del complesso militare-industriale e quelli finanziari che traggono profitto da esso. La sua ostilità nei confronti della Russia è in parte un residuo della Guerra Fredda, quando la forza militare degli Stati Uniti è stata costruita avendo Mosca come nemico. Ma penso che sia molto più un prodotto di ostilità innata nei confronti di ciò che non è americano o che non riconosce l’egemonia americana.  Nel 1990, il presidente russo Boris Eltsin era totalmente asservito al presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton. L’arrivo di un leader russo che guarda principalmente agli interessi della Russia è stato sentito a Washington come un tradimento della storia. Abbiamo vinto, oppure no? Hanno perso loro, vero? Allora chi è questa nullità che chiede un “mondo multipolare”?

Vladimir Putin è un chiaro ostacolo alla tacita politica (ma dimostrata sotto Eltsin) di acquisire il controllo economico di vaste risorse della Russia. E poi c’è una spiegazione strategica per l’ostilità nei confronti della Russia, enunciata da Zbigniew Brzezinski nel suo libro del 1997, La Grande Scacchiera: l’egemonia degli Stati Uniti dipende dall’evitare l’unità tra Europa occidentale e Russia. Se non  per portare a una guerra nucleare, l’attuale politica estera degli Stati Uniti è stata progettato per erigere una nuova “cortina di ferro” con lo scopo di isolare la Russia, in particolare dal suo partner commerciale naturale: la Germania. Motivazioni ideologiche, economiche, psicologiche e strategiche sono tutte unite per produrre una campagna di propaganda anti-russa che è tanto più spaventosa quanto più non ha basi reali. Dire che la Russia è una “minaccia” è fantasia pura. Ma la Nato che accerchia i confini russi è reale. E la Clinton si avvale sia della fantasia che della realtà.

Mentre mi trovavo a New York, alcuni americani che ho conosciuto mi hanno parlato della Clinton come di una “bugiarda”. Quali bugie ha detto agli americani?

Lei, ovviamente, è solamente una che dice quello che considera utile, a prescindere dalla verità. Penso che abbia sviluppato questa abitudine da piccola, cercando di compiacere il padre. Forse la sua bugia più nota è la quella che ha raccontato durante la sua prima campagna per la nomination del Partito Democratico nel 2008. Più volte, ha intrattenuto la platea raccontando di come sia dovuta “fuggire dal fuoco dei cecchini” quando è atterrata per una visita ufficiale in Bosnia alcuni mesi dopo la fine della guerra. In questo caso la bugia è stata smontata da alcuni testimoni e filmati che la mostrano pacifica, accolta da fiori e bambini. Messa all’angolo dai giornalisti si è scusata affermando che è naturale che chi pronuncia così tante parole possa commettere errori. Quella era una bugia gratuita, non una “gaffe”.

Spesso mente per omissione. O per evasività. È noto che i Clinton sono stati supportati da Goldman-Sachs nel corso della loro carriera, ricevendo milioni di dollari in varie forme. Tuttavia lei si difende, chiedendo retoricamente: “Dammi solo un esempio di come il sostegno di Wall Street abbia cambiato il voto su di me”. Questa risposta falsa distrae dal fatto che tutta la sua carriera è stata in sintonia con i desideri di Wall Street. Più frequentemente riguardo al suo passato politico. Per molto tempo, Clinton è stata contro il matrimonio gay. Ora invece è a favore. Qualsiasi insinuazione riguardo il suo “trasformismo” su questioni politiche è “completamente sbagliata”. Lei nega, nonostante sia stato provato, che abbia approvato l’Accordo nordamericano per il libero scambio (NAFTA). Spesso non risponde a domande particolarmente difficili ridendo o tossendo. Lo scandalo sull’uso illegale della sua mail privata mentre era segretario di Stato è stata l’occasione per svelare nuove bugie. Una piccola: lei ha affermato che gran parte delle mail erano comunicazioni private con suo marito Bill, mentre lui ha negato dicendo che non usa mai la posta elettronica. Una bugia enorme riguarda anche la versione ufficiale dell’11 settembre 2012, sull’omicidio dell’ambasciatore americano Chris Stevens a Bengasi. Hillary ha detto che l’omicidio è stato provocato da proteste musulmane spontanee contro un film a basso costo di Hollywood che insultava il Profeta. Tuttavia, in una mail recentemente pubblicata, scrive: “Sappiamo che l’attacco in Libia non aveva nulla a che fare con il film. È stato un attacco pianificato”. E così via. Ma sembra che i suoi sostenitori non usino Internet, dove tutto questo è chiaramente dimostrato.

Se Hillary Clinton dovesse vincere, quali scenari si aprirebbero per gli Stati Uniti?

Considerando quanto mente sul suo passato, non vi è alcun motivo di credere a ciò che sostiene che farà in futuro. Ma quello che dice è abbastanza allarmante: minaccia di far crescere l’intervento americano contro Assad in Siria, che provocherebbe un conflitto con la Russia. Minaccia l’interruzione di rapporti normali con l’Iran, il supporto totale ad Israele contro i palestinesi e l’ostilità senza compromessi verso la Russia. Il futuro è sempre pieno di sorprese. Il presidente degli Stati Uniti ha potere limitato e deve soddisfare l’oligarchia dominante. Tuttavia, Hillary è supportata proprio da quella oligarchia e sarà circondata da quei neoconservatori e da quegli interventisti liberali che hanno trovato Obama troppo prudente e potrebbero quindi incoraggiarla alla guerra. Ciò che bisognerà temere di più sarà l'”attivismo” di Hillary, la sua disponibilità a usare la forza militare al posto della diplomazia, la sua visione dualistica del mondo, diviso tra “amici” (quelli che sostengono gli Stati Uniti) e “nemici “(chiunque, a seconda delle circostanze). Continuerà la crescita militare della Nato contro la Russia fino al punto che qualche incidente potrà scatenare la Terza Guerra Mondiale. Non sto predicendo questo. Sto solo cercando di avvertire l’Europa. Solo il vostro rifiuto della politica di guerra degli Stati Uniti può fare la differenza.


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Oliver Stone: "Con la Clinton, e il suo lavaggio del cervello neo-con, andremo in guerra"


In un articolo su Huffington Post, Oliver Stone fa il suo ufficiale endorsement a Bernie Sanders. La Clinton, scrive il Premio Oscar, ha supportato “i bombardamenti Nato sulla ex Jugoslavia, la guerra di Bush in Iraq ancora in corso, la confusione in Afghanistan, e, come Segretario di Stato, la distruzione dello stato secolare della Libia, il golpe in Honduras e l’attuale tentativo di cambio di regime in Siria”.  Scrive ancora Stone: “Ognuna di queste situazioni ha portato a più estremismo, più caos nel mondo, e più pericolo per il nostro paese. I conflitti successivi saranno i confini della Russia, Cina e Iran. Guardate la malvagità del suo recente discorso all'AIPAC e non dite che non siete stati avvertiti). Possiamo davvero sopportare di vedere come Clinton "prende la nostra alleanza [con Israele] al livello successivo"? Dov'è il nostro senso delle proporzioni? Possono, se non i media, per lo meno noi chiamarci fuori da questo estremismo?”.
 
Stone lamenta anche il fatto che i media interni, definiti “Pravda”, dipingendo come impresentabile la controparte repubblicana, Donald Trump, indicano la Clinton come l’unica alternativa rispettabile e “normale”. Trump è ,sì, impresentabile, ma la ex first lady “ha subito un lavaggio del cervello ad opera dei neoconservatori”, afferma Stone.

“Credo che il fascismo sia ancora il nostro più grande nemico”, scrive Stone in chiusura, “e il suo volto è ovunque nelle nostre cosiddette democrazie. Esso è sempre stato legato a interessi economici che erano al potere. Questo è ciò che è il fascismo e il pericolo in cui ora ci troviamo. Sanders parla di denaro, ascoltatelo. Parla con chiarezza del denaro e del suo potere distorsivo. E' l'unico che ha protestato contro questa corruzione nella nostra politica. Clinton l'ha abbracciata questa corruzione”.
 
Meglio di Clinton, sicuramente, ma non nutriamo lo stesso entusiasmo di Stone per Sanders, come abbiamo scritto più volte. Colui che ha girato più di un documentario sulla straordinaria trasformazione dell'America Latina progressista che ha saputo spezzare le catene del Fondo Monetario Internazionale e di Washington, dovrebbe forse avere una remora in più verso colui che, rispondendo ad un Super Pac di Hillary Clinton, riferendosi ad Hugo Chavez dichiarava: “addirittura hanno cercato di creare un collegamento a un dittatore comunista morto"; e a colui che ha in programma di allargare la NATO. Il programma di politica estera di Sanders è quello di un socialista che odia i socialisti. 

La Redazione

Notizia del: 01/04/2016

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Intervista ASI. Diana Johnstone: "Se la Clinton diventasse presidente il mondo finirebbe nel caos" (di Fabrizio Di Ernesto, 9 Aprile 2016)
Abbiamo incontrato Diana Johnstone autrice del saggio “Queen of Chaos: The Misadventures of Hillary Clinton”, tradotto in italiano con il titolo “Hillary Clinton – Regina del caos” dalla casa editrice Zambon. Con lei abbiamo parlato della politica estera statunitense e della corsa alla nomination tra i Democratici per la successione al presidente Barack Obama...

Webster Tarpley: "E’ l’ora giusta per smascherare Hillary" (PandoraTV, 2 apr 2016)
Per Hillary Clinton è in arrivo una tegola giudiziaria. Lo scandalo delle sue e-mail di quando ricopriva la carica di Segretario di Stato rivela un suo ritratto spietato, una figura intenta a causare guerre nel mondo arabo perfino in contrasto con i militari che volevano frenare, fino al caos generato in Libia. L’FBI avrà in pugno il futuro politico di Hillary, molto esposta anche sul fronte della corruzione, assieme al marito ed ex presidente Bill Clinton e assieme alla figlia Chelsea: oltre a poter perdere la candidatura, di certo la famiglia Clinton finirà fra i barattieri delle Malebolge dell’Inferno di Dante. Bernie Sanders dovrà cogliere l’occasione. Sul fronte repubblicano Trump appare indebolito...

Il lato oscuro della Clinton (Di M. Carnieletto, 14.3.2016)
Da qualche settimana, Washington Post e New York Times stanno raccontando, con dovizia di particolari, le “imprese” libiche della candidata alla presidenza Usa Hillary Clinton. Ci sarebbe lei, infatti, dietro l’intervento in Libia del 2011...

Perché a noi conviene Hillary Clinton (di Angelo Panebianco, 7.3.2016)
Il vero problema non è se il futuro presidente sarà di sinistra o di destra, ma se sarà un isolazionista, pronto ad abbandonarci al nostro destino, o un attivo internazionalista
http://www.corriere.it/opinioni/16_marzo_08/perche-noi-conviene-hillary-clinton-ad168ebc-e498-11e5-9e78-e03cf324c1ba.shtml

The Hillary Clinton Emails: A Record of Imperialist Crimes (by Tom Hall / WSWS, 7 March 2016)
... Hundreds more emails deal with the US-led proxy war in Libya, in which Clinton played a leading role. As a recent series of articles in the New York Times confirmed, Clinton was the leading advocate in the White House for the clandestine arming of “rebel” militias comprised largely of Islamic fundamentalists, which comprised the main fighting force against the regime of Muammar Gaddafi...


=== 3: TRUMP ===




Доналд Трамп је код Ларија Кинга, а поводом годишњице бомбардовања Србије критиковао Била Клинтона и злочиначки напад на Србе савезнике Америке у оба рата.

– Клинтонови су направили хаос на Балкану и на Косову. Погледајте шта смо направили Србији ваздушним бомбардовањем са сигурне висине. Ти исти Срби су спасавали америчке пилоте у Другом светском рату.

Велика је грешка што смо бомбардовали народ који је био наш савезник у оба светска рата. Клинтонови сматрају то за успех, а мене је то срамота.

Упућујем извињење Србима за све грешке америчке политике, а пре свега Клитонових. Нама у борби против исламског тероризма требају савезници који имају ратно искуство борбе са овим злом – а то су у Европи Руси и Срби.

Ако а будем на челу Америке биће промењен спољнополитички курс који је до сада често био погрешан


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Donald Trump with Larry King on the occasion of the anniversary of the bombing of Serbia criticized Bill Clinton and criminal attack on Serbs, the ally of America in both wars.

- The Clintons have made a mess in the Balkans and Kosovo. Look what we did to Serbia in an aerial bombardment from a safe height. Those same Serbs rescued American pilots in World War II.
It is a mistake that we bombed a nation that has been our ally in two world wars. Clintons believe that was a success, and I find it shameful.
I extend an apology to all the Serbs for the error of American policy, primarily Clinton's. We need allies in fight against Islamic terrorism who have combat experience fighting this evil - and that in Europe are the Russians and the Serbs.

If I become the head of America the foreign policy will change the course that has until now often been wrong.

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Ogni maniera è buona per nascondere i crimini USA-NATO. Gli edifici colpiti dell'ex stato maggiore jugoslavo sono stati lasciati in rovina dal 1999 affinché si ricordino i barbari bombardamenti USA-NATO, ed è bene che non siano toccati. Sulle macerie del bombardato Gabinetto di Tito a Dedinje, invece, gli USA hanno già costruito un grandissimo edificio per l' Ambasciata USA con un alto muro di cinta... (a cura di Ivan)

da www.viedellest.eu
Serbia - 15 gennaio 2014

Belgrado, Trump vuole costruire un hotel di lusso sulle rovine degli edifici bombardati

L'organizzazione che fa capo all'imprenditore americano Donald Trump è interessata alla costruzione di un hotel di lusso a cinque stelle a Belgrado. Tra i siti possibili presi in considerazione vi è anche quello degli edifici dell'ex stato maggiore jugoslavo distrutti, nel centro della capitale, dai bombardamenti Nato della primavera 1999. Tale interesse è stato manifestato in un incontro che una delegazione dell'organizzazione americana ha avuto a Belgrado con il premier serbo Ivica Dacic. I due enormi edifici sono stati lasciati in rovine dalle autorità, che solo nelle scorse settimane hanno avviato i primi lavori di ripulitura e sistemazione, anche per il pericolo rappresentato da ulteriori crolli.


=== 4: SANDERS ===

"Pacifismo" di Sanders

Segnaliamo dall'articolo

TRKA ZA ŠEFA BELE KUĆE! Da li će socijalista Sanders naslediti Obamu?! (Informer 02. 02. 2016.)

http://www.informer.rs/print/53629/vesti/svet/53629/ANKETA-TRKA-SEFA-BELE-KUCE-socijalista-Sanders-naslediti-Obamu

il seguente paragrafo:

"Zalagao se za bombardovanje Srbije

Bernarda Sandersa stranački oponenti nazivaju lažnim socijalistom i kvazipacifistom. On je tokom kampanje kritikovao Hilari Klinton zbog njene podrške američkoj invaziji na Irak 2003, čemu se Sanders žestoko protivio. Stranačke kolege su ga, međutim, podsetile da on nije bolji od Hilari jer se zalagao za bombardovanje Srbije 1999.
- Treba zaustaviti etničko čišćenje na Kosovu, zaustaviti Slobodana Miloševića - govorio je tada Sanders.
Pored toga, on je glasao i za paket od milijardu dolara koji su SAD dale za krvavu smenu proruskog režima u Ukrajini."

Sanders sostenne dunque il bombardamento del 1999, ma anche l'autorizzazione dei fondi per le invasioni di Iraq e Afghanistan, e il miliardo di dollari di prestiti alla giunta di Kiev. Sul suo stesso sito web, il senatore espone le proprie posizioni sulla NATO e le sue guerre: http://feelthebern.org/bernie-sanders-on-nato/
Il tono è quello classico jingoista, replicando il mito degli USA come potenza tutto sommato benigna. L'interpretazione dei fatti storici è assurda, con Milošević e Gheddafi demonizzati come nel discorso standard imperialista. Spiccano le lodi per l'ambasciatore Stevens ucciso in Libia, che era in realtà il capo contrabbandiere di armi verso la Siria, e direttore dell'agenzia viaggi per jihadisti, con però una sola destinazione (Siria).

Non molto tempo fa Sanders incoraggiava appassionatamente l'Arabia Saudita a darsi da fare militarmente nella regione. Vedere per credere: https://m.youtube.com/watch?v=0jEW2DGrRvM

(a cura di Andrea D.)




[Cogliamo l'occasione di questa sintesi in lingua serbocroata sul revisionismo e revanscismo italiano in merito al confine orientale per fornire alcuni aggiornamenti sulla squallida "patacca" della non-foiba di Rosazzo:

FOSSA COMUNE, ESPOSTO DELL’ANPI CONTRO URIZIO (di Davide Vicedomini, 16.4.2016)
Il ricercatore accusato di aver diffuso notizie false. Attacchi al Messaggero Veneto, ma la Procura continua a indagare

SPECIALE AGGIORNAMENTI SULLA FOIBA PERDUTA DI ROCCA BERNARDA (Claudia Cernigoi, 29.3.2016)


FLASHBACKS: 
FOIBE: PROCURA UDINE APRE INDAGINE SU FOSSA COMUNE IN FRIULI (ANSA 18.2.2016)
(ANSA) - UDINE, 18 FEB - La Procura di Udine ha aperto un'indagine sulla possibile presenza di una fossa comune nella zona di Corno di Rosazzo (Udine) dove nel 1945, secondo alcuni documenti emersi nelle scorse settimane, potrebbero essere stati sepolti tra i 200 e gli 800 cadaveri. "Per ora non c'è certezza né che ci sia stato un reato né chi sia l'autore", spiega il Procuratore capo di Udine Antonio De Nicolo che ha avviato un'investigazione preliminare insieme con il Procuratore aggiunto Raffaele Tito "sulla base di alcune notizie di stampa". L'obiettivo della Procura è identificare il sito. Solo all'esito si valuteranno quali altri passi compiere, considerati i numerosi anni trascorsi dai fatti. ''Abbiamo recuperato un'informativa ministeriale, stiamo cercando di acquisire documentazione. C'è qualche accenno fumoso a una precedente indagine di una ventina d'anni fa che verificheremo''.
LA VERITA’ DOCUMENTALE SULLA FOIBA MOBILE DI ROSAZZO
AGGIORNAMENTI PRECEDENTI

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“Dobri Talijani” i fašizam za 21. stoljeće

Mladen Barbarić

Nakon polemika koje je potaknuo odnos tek formirane hrvatske vlade prema antifašizmu, novi su skandal izazvali nedavni parlamentarni izbori u Slovačkoj. U parlament je, uz tradicionalne predstavnike ekstremne desnice, ušla i stranka koja se otvoreno smatra nasljednicom slovačkih kolaboracionista iz Drugog svjetskog rata. No suprotno čestim interpretacijama, proces rehabilitacije povijesnog fašizma i pojava desnice “bez kompleksa antifašizma” nije rezerviran za bivše socijalističke zemlje. Dapače, paralelno se odvija i u Italiji, zemlji u kojoj je spomenuti pokret i nastao

Dok u Hrvatskoj traje polemika oko članova Vlade koji izražavaju simpatije prema poraženim fašističkim snagama iz Drugog svjetskog rata, u Italiji Camice Nere imaju vlastiti mauzolej Duceu kojega redovito pohode čitave obitelji, a fašisti u vladi su sjedili još prije desetljeća i pol. Sve se to događa u jednoj od osnivačica Europske unije, republici formalno zasnovanoj na radu i utemeljenoj na antifašizmu, zemlji koja s Hrvatskom dijeli i dobar i loš dio povijesti.

Pad Berlinskog zida potaknuo je redefiniciju nacionalnog identiteta u različitim stupnjevima diljem Europe. Od lustracija u Češkoj do ratova na jugoistoku kontinenta, kompletirajući proces ustoličenjem četničkih vojvoda i ustaških simpatizera na najviše funkcije u Srbiji i Hrvatskoj. No ovakva ili slična događanja nisu bila ekskluzivna za bivše socijalističke zemlje, već su vidljiva i u zapadnoeuropskim parlamentarnim demokracijama. Proces konsolidacije nakon pada socijalizma polagano je političke stranke, narode i ekonomije Europe premještao sve više “u desno” da bi danas, četvrt stoljeća nakon, nekadašnje komunističke partije u ekonomskim okvirima postale svoja suprotnost, a s političkim elitama na istom su se putovanju našli i narodi koji ih biraju. Pretvaranje socijalističkih republika u parlamentarne demokracije s fašističkim simpatizerima na vlasti proces je kojemu smo svjedoci. No kako se na istom putu našla i zemlja sa sedamdeset godina dugom parlamentarnom tradicijom, nekada najvećom parlamentarnom komunističkom partijom u zapadnoj Europi i republika formalno utemeljena na antifašizmu?

Ukratko, uz dosta revizije povijesti te uz pomoć oportunizma talijanske ljevice. Prije svega tamošnje Komunističke partije koja se, kao i kod nas, transformirala u Demokratsku stranku (Partito Democratico), učinivši korak dalje od svojih hrvatskih pandana pošteno odbacivši prefiks “socijal”. Važnu propagandnu ulogu u događanjima koji će u talijanskom društvu redefinirati fašizam i postaviti ga kao društveno prihvatljiv politički izričaj imali su upravo naši krajevi, točnije događanja nakon Drugog svjetskog rata, koja Talijani kratko zovu “foibe”.

Premda je talijansko-slovenska komisija povjesničara još 2007. godine utvrdila kako u periodu od 1943. godine do neposredno nakon rata na područjima koja je zauzela jugoslavenska vojska nije bilo više od četiri tisuće mrtvih, talijanski mediji svake godine prilikom obilježavanja Dana sjećanja (kojim se 10. veljače “čuva i obnavlja sjećanje na tragediju Talijana i sve žrtve fojbi te egzodus Istrana, Fiumana i Dalmata nakon Drugog svjetskog rata”1) još uvijek barataju brojkama od 10 do 30 tisuća Talijana ubijenih u odmazdi krvoločnih Slavena – komunista. Barbari Slavi tako su, po mainstream medijima, Talijane vezivali žicom i bacali u krške jame samo zbog toga što su Talijani. Od proglašenja Zakona o Danu sjećanja 2004. godine, škole, državne institucije i lokalna samouprava dužna je posvetiti 10. veljače izložbama, javnim tribinama i komemoracijama tijekom kojih se tragični događaji iz Drugog svjetskog rata nemilosrdno revidiraju i koriste za promociju i rehabilitaciju fašizma otprilike kako se i Bleiburg koristi u Hrvatskoj. Samo malo plastičnije.

Naime, Dan sjećanja nerijetko se u talijanskim medijima – od državne televizije RAI, preko najtiražnijih dnevnih listova, do službenih stranica talijanskog parlamenta – paradoksalno obilježava uz fotografije ubojstava Hrvata i Slovenaca od strane fašista.2 Poziv na obilježavanje Dana sjećanja na genocid nad desetinama tisuća ubijenih Talijana samo zato što su Talijani tako je u udarnom večernjem terminu na televiziji RAI ilustriran strijeljanjem petero slovenskih seljaka 1942. godine kod sela Dane pred streljačkim vodom divizije Sardegna.

“Ne radi se samo o jednoj fotografiji već o desetinama. Ova je tek simbol s obzirom na to da je riječ o fotografiji koja se najviše koristi. Tužnije od toga što se radi o nevjerojatnom paradoksu gdje se žrtve prikazuju kao ubojice, a ubojice kao žrtve, jest jedino to što nitko od povjesničara, novinara ili višemilijunskog auditorija nije primijetio da oni koji drže puške nose talijanske uniforme. Psiholozi to objašnjavaju terminom ‘redukcija pretpostavke’. To su duboko usađene ideje koje utječu na prosuđivanje. U Italiji je ta duboko usađena ideja da su zločine činili komunisti-Slaveni nad Talijanima”, objašnjava povjesničarka Alessandra Kersevan.

Premda je Wu Ming kolektiv3 razotkrio čitav niz sličnih primjera manipulacije fotografijama, ubojstva civila i partizana s područja čitave bivše Jugoslavije i dalje se koriste kao ilustracija “genocida” Slavena nad Talijanima. Treba pak napomenuti da ovako ilustrirani manifesti i pozivi na komemoracije uglavnom privlače esule ili optante te njihove obitelji.4 Na tim manifestacijama, od kojih je najveća u Bazovici pokraj Trsta, ne nedostaje ni obilježja fašističkih jedinica, ali ni odličja koje predsjednik Republike svake godine dijeli stradalima. Među odlikovanima se nalazi i tristotinjak fašista koji su poginuli u borbama s partizanima. Možda najeklatantniji primjer je onaj Vincenza Serrentina, osnivača Fašističke stranke u Zadru tijekom 1920-ih godina. Po kapitulaciji Italije, te okupaciji Zadra od strane nacističke Njemačke, Sarrentina novi gospodari nagrađuju mjestom prefekta. Na ovoj poziciji ostaje do kraja rata kada ga u Trstu partizani hapse pod optužbom za ratni zločin. Dvije godine kasnije strijeljan je u Šibeniku s obzirom na to da je kao član Izvanrednog suda za Dalmaciju bio direktno odgovoran za smrt 35 partizana. Lani je pak posthumno dobio odličje od predsjednika republike Sergia Mattarelle jer Zakon o sjećanju predviđa “priznanje za sve bačene u fojbe i nestale”.

Novi politički konsenzus

Fašizam se u Italiju nakon 50 godina možda nije vratio pod istim okolnostima kao u Hrvatskoj, ali barem dijelom jest zbog istih razloga. Naime, u sjeni ruševina Berlinskog zida, polako se urušavala čitava politička ostavština kontinenta. Pad komunizma na istoku Europe snažno je potresao i zapad. 

“Od Drugog svjetskog rata do 1990. godine temelj talijanske demokracije je antifašizam. Posljedice pada komunizma u određenom su smislu slične na prostoru bivše Jugoslavije i Italije te obje zemlje kreću u političku tranziciju. S padom komunizma, Komunistička partija u Italiji, kao i u Hrvatskoj, više ne može biti komunistička i ona se transformira u današnju Demokratsku stranku. Stvara se politička nestabilnost u kojoj u kratkom periodu 1990-ih godina nestaju sve stranke koje su do tada vladale Italijom više od pola stoljeća. Istovremeno, stvara se novi politički pokret – Sjeverna liga (Lega Nord)”, objašnjava sociolog Federico Tenca Montini koji je u knjizi Fenomenologija mučeništva u medijima (Fenomenologia di un martirologio mediatico, 2014.) proučavao kako su se fojbe prikazivale u javnom prostoru od 1990-ih godina.

Berlinski zid u svoj je svojoj monstruoznosti na ironičan način, i daleko od svojih mitraljeskih gnijezda, ipak opravdavao svoj službeni naziv “Antifašistički zaštitni zid”. Naime, do pada Zida u Italiji je bilo nezamislivo da se neka postfašistička stranka pojavi u vlasti. Rušenje tog zida otvorilo je prostor za reviziju povijesti, za što su kao jedan od glavnih alata poslužile fojbe. “One imaju važnu ulogu u velikom projektu redefiniranja kulturnog imaginarija talijanskog identiteta. Padom komunizma naši se neofašisti reorganiziraju, a krajem 1990-ih prvi puta nakon rata dolaze na vlast. Ako su dakle postfašisti na vlasti to znači da antifašizam više ne predstavlja garanciju ustavnosti te političke elite traže neki novi zajednički denominator koji ih ujedinjuje i tu ulogu tada preuzima patriotizam, odnosno nacionalizam”, pojašnjava Tenca Montini.

Riječ je o povijesnom trenutku u kojem se ljevica distancira od komunističke prošlosti priznajući moralni i ideološki poraz. Zajedno s umivenim fašistima traži novi politički balans udaljavajući se od svoje srži. Političke podjele postaju znak ružnih prošlih vremena i svi Talijani koji su se borili za domovinu postaju uvaženi članovi društva pri čemu ideološka pozicija u borbi postaje zanemariva. Ukratko, ideologija je postala suvišna, a glavnu ulogu preuzima Domovina. Ako nekoga ovaj razvoj događaja podsjeća na hrvatsku inačicu “povijesne pomirbe”, posve je u pravu. Umivanje fašizma imalo je mnoge dodirne točke s obje strane Jadrana. Naposljetku, slične fenomene proživjela je i Španjolska, a proživljavaju se u ovom ili onom obliku i u Srbiji, Sloveniji, Ukrajini…

Upravo zahvaljujući novoj konstelaciji snaga i odmaku od antifašizma prema nacionalizmu fojbe doživljavaju veliki preporod. Gotovo istovremeno na prostorima bivše Jugoslavije odvija se najkrvaviji rat od onog protiv nacifašizma i “Zapad guta slike koncentracijskih logora, masovnih ubojstava poput pornografije”, upozorava Tenca Montini na riječi Dubravke Ugrešić. “U Italiji se na sve to gleda patronizirajuće u stilu: ‘Gle tko radi te stvari, ti slavenski barbari, taj talog Europe. Kod nas se takvo nešto nikada ne bi moglo dogoditi.’ To je otprilike faza u kojoj se sve glasnije čuje glas esula. Oni pak slike iz 1990-ih koriste kao podsjetnik što su sve Slaveni radili njima 1945.”, tumači sociolog naglašavajući kako su mainstream mediji vrlo brzo preuzeli takav diskurs i počeli se razbacivati s brojevima ubijenih Talijana u fojbama.

Nakon inicijalne faze u kojoj se obnavlja fašistički mit o slavenskim barbarima i kada postfašisti prvi puta dolaze na vlast,5 Pandorina kutija je nepovratno otvorena. Nacionalizam prodire u javni diskurs i neofašisti, nakon dvije godine pauze, ponovo preuzimaju vlast te kreće nova faza institucionalizirane, političke rehabilitacije fašizma. “Zakon o sjećanju donesen je zajedničkim ‘naporom’ ljevice u oporbi i postfašista, skupa s Berlusconijem na vlasti. Ovaj Zakon izjednačava Holokaust i fojbe te egzodus Talijana pa ih čak i kalendarski postavlja jako blizu. S inauguracijom Dana sjećanja kreće i medijska kampanja kojoj je najdragocjeniji eksponent film Srce u jami (Il Cuore nel pozzo, Alberto Negrin, 2005.). Riječ je o filmu koji je pun povijesnih falsifikata, etničke mržnje, komunista koji su redom pijanci silovatelji, ubojice i mrzitelji svega talijanskog. No taj film postaje službena verzija povijesnih događaja na talijanskoj istočnoj granici”, tumači Tenca Montini.

Prešućena povijest, ekranizirana žrtva

Osim ovog dragulja talijanske kinematografije, u to je vrijeme snimljen čitav niz filmova kojima se naglašava drevni mit o “dobrim Talijanima” (Italiani brava gente) te se, kao i u nešto starijem Mediterraneu (1991.), talijanska vojska prikazuje poput miroljubivih turista. “Radi se o filmovima u kojima su Talijani uvijek dobri, čak i onda kada su fašisti. S obzirom na pedeset godina vladavine antifašizma, neofašistima je bilo teško ugurati se u kulturu, sveučilišta… čak i kada su konačno došli na vlast. Stoga se u okviru Vlade organizira debata o ulozi te etičkim i kulturološkim potencijalima igranog filma. Praktički vlast razmišlja o tome kako rekonstruirati javno mnijenje i kako to uraditi što brže. Korištenjem masovnih medija, dakako. Rezultat toga su potom i filmovi snimljeni u okviru nacionalne TV kuće RAI”, prepričava zaključke svoje studije Federico Tenca Montini naglašavajući kako to ne treba čuditi jer je Berlusconi upravo na krilima svog medijskog carstva i dobio izbore.

“Sjećanje na prisilnu talijanizaciju Slovenaca i Hrvata, fašističke koncentracijske logore i njihove ratne zločine u Italiji je u potpunosti izbačeno iz kolektivnog imaginarija. Ovo brisanje povijesti često se miješa s antislavizmom. Fašizam je dvadeset godina udarao u tu propagandu […] i u Italiji danas postoji problem rasizma prema narodima bivše Jugoslavije”, objašnjava Wu Ming 1, član bolonjskog kolektiva koji već dobru deceniju uspješno skriva identitet svojih članova od medija ne bi li se težište prebacilo na ono o čemu govore umjesto na trivijalije kojima su mediji skloni. Svi aspekti povijesti koji bi mogli podsjetiti narod da je Italija radila ratne zločine sustavno se brišu iz kolektivne svijesti. Napokon, u talijanskim školama povijest je donedavno završavala s Prvim svjetskim ratom.

Da fojbe nisu usamljen primjer dekontekstualizacije povijesti, gdje se povijest prikazuje od trenutka koji naratoru odgovara, svjedoči i primjer odnosa prema kolonijalnoj politici u Africi. Naime, posve isti principi po kojima se u Italiji kroji službena povijest fojbi vrijedi i za talijanske avanture u Etiopiji, Somaliji i Libiji.

“Postoji jako malo materijala na ovu temu s brojnim nepreciznostima. Čini se kao da je dio povijesti u potpunosti izuzet iz sjećanja ove zemlje. U školama se uči povijest Amerike, Francuske, Španjolske, ali onda se ne uči povijest Italije i njenih kolonija u Africi. Gotovo nitko ovdje ne zna tko je bio Rodolfo Graziani kojem je za 120 tisuća eura u ljeto 2012. godine podignut mauzolej u blizini Rima”,6 upozorava Yodit Berhane, politologinja eritrejskih korijena, podsjećajući na fašističkog ratnog zločinca koji nikada nije osuđen za pokolje u Africi. Baš kao ni general Mario Roatta koji je operirao na Balkanu te nekoliko stotina drugih talijanskih državljana koji su nakon fašističke epizode nastavili svoje vojne i činovničke karijere u institucijama republike, a političke u okviru Talijanskog socijalnog pokreta (MSI). Ova postfašistička stranka osnovana 1946. godine do 1960-ih postala je četvrta stranka po veličini da bi se 1990-ih reformirala i napokon ušla u vladu.

Složena politička situacija u kojoj je, nakon rata, trebao biti obuzdan komunizam dovela je do paradoksalnog ishoda gdje Italija postaje jedina zemlja u Europi koja u parlamentu ima kontinuitet poražene ideologije još od drugih poslijeratnih izbora 1948. godine. Za razliku od Njemačke, Italija nikada nije doživjela defašizaciju društva. Jedina je zemlja u Europi koja sve do 21. stoljeća nije sudila nacistima za brojne zločine tijekom okupacije od 1943. godine do oslobođenja. Suđenje nacistima značilo bi i reviziju uloge fašista koji su čitavo vrijeme sudjelovali u političkom i društvenom životu zemlje zaštićeni od strane zapadnih saveznika.

“Nema sumnje da je za današnje stanje u kojem je umiveni fašizam ponovo prihvaćena ideologija, osim domaće ljevice, kriv i oportunizam zapadnih saveznika. U jednom trenutku fašizam više nije bio opasnost u Europi i Italiji, a borba se polako prenijela u Hladni rat protiv komunizma. Stoga je u Italiji bilo oportuno reciklirati službenike starog režima kako bi ih se iskoristilo u antikomunističkoj funkciji”, tako Wu Ming 1 tumači okolnosti koje su udarile temelje fašizmu za 21. stoljeće.

Iako je Italija Drugi svjetski rat vodila uz bok Hitlerove Njemačke, u društvenom narativu ostao je tek mit o dobrom Talijanu i žrtvi. “Unatoč čitavoj povijesti fašizma, elite su narodu uspjele isplesti priču i snimati filmove u kojima su Talijani žrtve. BBC-jev film ‘Ostavština fašizma’ iz 1989. godine RAI je kupio samo kako bi ga držao u ‘bunkeru’. Napokon je prikazan 2004. godine na jednom privatnom kanalu, ali tek nakon što su istekla prava državne televizije. Zabranjen je film ‘Pustinjski lav’ koji opisuje otpor protiv talijanskog kolonijalizma gdje se talijanska vojska ne prikazuje u skladu s nacionalnim narativom”, objašnjava Wu Ming 1. Za spomenuti je film talijanski premijer Giulio Andreotti 1980-ih tvrdio da šteti časti talijanske vojske nakon čega je bio zabranjen sve do 2009. godine kada je prvi puta službeno prikazan.

Mit o “dobrom Talijanu” koji su gajile političke elite, kako lijeve tako i desne, uspješno je preživio pola stoljeća do pada komunizma kada se na Apeninima 1990-ih konačno otvorila mogućnost za rehabilitaciju fašizma. No da bi mit ostao čvrst i postojan nije bila dovoljna samo propaganda i sustavno prešućivanje povijesti. Kako bi se u masama “uhvatio” bilo je potrebno i obrazovanje koje je preslika javnog diskursa. Nažalost, kvalitetne studije posvećene analizi fojbi u povijesnim udžbenicima koji su se u Italiji koristili od kraja rata na ovamo još uvijek nema. Izuzetak je rad Giuliana Leonija i Andree Tappija koji analizira što se u školama u posljednjih 60 godina predavalo o talijanskom kolonijalizmu.

“Postoji očiti kontinuitet kada promatramo što se u školama učilo u doba fašizma i poslijeratnoj Italiji. Talijanska vojska okarakterizirana je kao herojska dok su autohtoni stanovnici barbari. Sve u svrhu konstrukcije identiteta Italije kao prestižne nacije. Do kraja 1980-ih zadržava se rasistički odnos prema talijanskom kolonijalizmu”, zaključuju Giuliano Leoni i Andrea Tappi u znanstvenom radu “Izgubljene stranice. Kolonijalizam u povijesnim udžbenicima od rata na ovamo”.7 Kolonijalna povijest Italije u školama više je upregnuta u očuvanje mitova nego u proučavanje povijesti. Ako povučemo paralelu s fojbama, možemo pretpostaviti kako se ne radi o značajno drugačijem pristupu.

Nove generacije Talijana emancipaciju od propagande morat će dakle potražiti u nekim alternativnim izvorima, izvan školskih klupa, službene televizije i javnog diskursa. “Ljudi ovdje uglavnom vrlo malo znaju o povijesnim činjenicama, no to ne znači da je riječ o naciji idiota. Kada bi to bilo tako, slobodno bih mogao prestati baviti se ovim što radim. Na žalost, ne možemo očekivati da ljudi znaju nešto što im nitko nije objasnio i propisno kontekstualizirao. Srećom, kada se to uradi onda je i rezultat tu. To je jedna gerilska borba. Duga i teška, ali na kraju krajeva, partizani su se goloruki borili protiv brojno nadmoćnijeg neprijatelja i pobijedili”, optimistično zaključuje Wu Ming 1.


1 Zakon br. 92, 30. ožujka 2004. godine.
2 Piero Purini, “Come si manipola la storia attraverso le immagini: il Giorno del Ricordo e i falsi fotografici sulle foibe”, Giap, Wu Ming, 11. ožujka 2015.
3 Lucie Geffroy, “Wu Ming – kulturna gerila”, Le Monde diplomatique, hrvatsko izdanje, lipanj 2015.
4 Termini esuli (egzilanti) i optanti (oni koji su odabrali preseljenje u Italiju), odnose se na etničke Talijane koji prije 1945. godine živjeli na istočnoj obali Jadrana da bi je napustili nakon što je područje pripalo Jugoslaviji.
5 Sjeverna liga i Nacionalni savez (sljednik fašističkog Talijanskog socijalnog pokreta) sudjelovali su u čak četiri vlade pod predsjedanjem Silvia Berlusconija (1994.-1995., 2001.-2005., 2005.-2006. i 2008.-2011.)
6 Erika Farris, “Colonialismo in Africa, ‘L’Italia non può dimenticare la sua storia'”, Il Fatto Quotidiano, 30. rujna 2013.
7 Copertina di Zapruder, br. 23, rujan-prosinac 2010.




Accompagniamo il nostro augurio a tutti gli antifascisti e le antifasciste, in occasione della Festa della Liberazione, con il ricordo di uno dei quarantamila italiani combattenti in Jugoslavia dalla parte giusta: quella dell'Esercito Popolare di Liberazione. 


Vittorio Mondazzi, eroe dimenticato

a cura di Riccardo Lolli

Solo di recente e con decenni di ritardo si inizia a ricordare che tra i principali protagonisti della lotta per la liberazione nazionale vi sono stati anche migliaia di soldati di leva provenienti da ogni parte del paese, protagonisti misconosciuti di episodi di coraggio e dignità morale travolti nel turbinio degli eventi bellici.

Vittorio Mondazzi fu uno di quegli eroi dimenticati che non temette di sacrificare la propria vita animato dalla ferma convinzione della indifferibilità della lotta per la solidarietà internazionale in una fase decisiva per la liberazione dal giogo nazifascista.

Il giovane decoratore di Pratola Peligna, paese della provincia aquilana, dopo una prima esperienza bellica maturata in un anno di leva prestato in Cirenaica[1], nel corso del quale venne addestrato nell’uso dell’artiglieria pesante, fu richiamato nel 1943 per essere impiegato sul fronte greco-albanese. Sbarcato a Rodi nell’agosto, partecipò alle convulse giornate seguite all’8 settembre sull’isola greca. Al termine dei combattimenti, il 12 settembre, iniziò il disarmo dei soldati italiani reclusi in centri di raccolta trasformati da subito in veri e propri campi di concentramento, mentre le richieste di adesione al rinato fascismo ed al suo fedele alleato divenivano «più pressanti e minacciose utilizzando a questo scopo la deportazione, le restrizioni alimentari, le minacce e le percosse specie verso coloro che propagandavano idee contrarie»[2]. Dagli atti della Commissione delle Nazioni Unite risulta che i prigionieri italiani erano sistematicamente maltrattati e torturati al punto che il responsabile dell’intero settore dell’Egeo Orientale, il generale Otto Wagener verrà condannato quale criminale di guerra dal Tribunale Militare Alleato a 18 anni di carcere. L’opposizione dei militari italiani ai tedeschi sull’isola era diffusa ma frammentata e legata alle iniziative dei singoli e anche Mondazzi, come suo cognato in Alsazia, fu tra coloro che non cedettero alle minacce ed alle pressioni materiali e psicologiche, disposto anche ad affrontare la prigionia ed i lavori forzati, senza essere però rassegnato ad un simile destino.

 Gradatamente cominciò il trasferimento dall’isola degli oltre 37.000 i militari "disarmati" sulla penisola greca con trasporti aerei e navali, a volte con esiti drammatici come nel caso dei naufragi delle imbarcazioni Donizetti ed Orion, dove fra gli altri trovò la morte un compaesano di Mondazzi, il fante Giovanni Di Cioccio.

 Al 31 dicembre 1943 la cifra degli internati sull’isola si attestava ancora a 26.500 unità, per poi scendere a 1.500 uomini il 15 febbraio dell’anno successivo.[3]

Le scarne notizie del foglio matricolare, nella loro freddezza burocratica, non consentono di fornire notizie più dettagliate sui luoghi di detenzione di Mondazzi una volta lasciato uno dei campi dell’isola che avevano ospitato, fra gli altri, anche Alessandro Natta, e su come, trasferito in Croazia, verosimilmente a piedi come altri suoi connazionali[4], egli riuscisse ad evadere dalla prigionia. Si trattò di una decisione  estremamente coraggiosa poichè già dal 20 settembre per ordine del Führer i soldati italiani non erano più considerati prigionieri di guerra ma classificati con il termine di ‘internati militari italiani’ e, conseguentemente, non più tutelati dagli accordi internazionali di Ginevra, quindi senza possibilità di fruire degli interventi della Croce Rossa e, soprattutto, senza poter godere del “diritto di fuga” che consentiva ai fuggiaschi di poter essere ricatturati incolumi e non giustiziati sul posto come di frequente accadeva agli evasi italiani dai campi.

Mondazzi, senza confluire nel centro di raccolta di militari e prigionieri italiani attrezzato dal Regio Stato Maggiore a Ragusa per organizzarne il rimpatrio, si unì dal 1 gennaio 1945 all’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia, potendo così partecipare alla fase finale delle operazioni nei Balcani. All'inizio di maggio, infatti, mentre l'avanzata dell'esercito popolare diveniva inarrestabile, lo Stato indipendente di Croazia era ormai in rovina; lo stesso Ante Pavelić, era fuggito da Zagabria per raggiungere l'Austria dove riuscì a far perdere le sue tracce.

Non è possibile stabilire in quale delle 50 formazioni di italiani della forza di compagnie, Battaglioni, Brigate e Divisioni che affiancavano l’EPLJ abbia combattuto Mondazzi, al quale è stata formalmente riconosciuta la “qualifica partigiana di gregario”.[5] Gli italiani per il loro numero, superarono la metà degli effettivi totali di tutte le formazioni volontarie composte da non jugoslavi e ventimila di loro persero la vita in terra jugoslava; fra questi Mondazzi che, per le ferite riportate in uno scontro, probabilmente nel tentativo di liberare a bordo di un automezzo alcuni suoi connazionali, fu tra gli ultimi a sacrificarsi per la liberazione della Jugoslavia[6]: il 6 maggio finiva i suoi giorni nell’ospedale di Lipik nella Slavonia ormai liberata. Appena tre giorni dopo i partigiani della 1ª Divisione proletaria entravano a Zagabria accolti festosamente dalla popolazione.

La decisione di quanti, come Mondazzi, dopo aver pagato con la prigionia il rifiuto all’adesione alle forze nazifasciste, hanno scelto di aggregarsi alle formazioni jugoslave impegnate nella lotta armata per Liberazione dei Balcani, aiuta a definire  i contorni del movimento resistenziale nella sua dimensione europea che, superando gli angusti confini nazionali, ha visto uomini e donne di etnie, credi religiosi, convinzioni politiche diverse, battersi da un capo all’altro del continente per una prospettiva di lotta e di liberazione capace di parlare un linguaggio di democrazia e di pace a tutti i popoli oppressi dal nazifascismo.

 



[1] Imbarcato a Siracusa il 14 marzo 1936 con il 2° Reggimento Artiglieria Coloniale verrà collocato in congedo illimitato il 4 aprile 1937.

[2] AUSSME, relazioni, b.2129, fs. A/2/5 e B/1/27 in P.Iuso, La resistenza dei militari italiani nelle isole dell’Egeo, Roma, Rivista Militare, 1994, p.286,

[3] G.Schreiber. I militari italiani internati nei campi di concentramento del terzo Reich 1943-1945, pagg.340 e seguenti, Roma 1992.

[4] Si veda in merito la testimonianza resa dal Dottor. Vittorio Vitali a Maria Teresa Giusti in E.Aga Rossi e M.T.Giusti, Una guerra a parte, Bologna, Il Mulino, 2011, p.595.

[5] Foglio matricolare n.2048. ASAq, Distretto Militare, Ruolo matricolare, classe 1913.

[6] Giacomo Scotti, nella sua infaticabile ricerca sui caduti italiani in terra jugoslava individua quale ultima vittima del conflitto nei Balcani, un aviere morto una settimana prima di Mondazzi: «Basti per tutti il caso del tenente pilota Luigi Rugi, l’unico italiano partigiano del cielo nella seconda guerra mondiale. Fuggito nel settembre 1943 dall’aeroporto di Gorizia a bordo di un aereo-scuola che era stato catturato dai tedeschi, fece un atterraggio di fortuna in Slovenia, di lì passò in Croazia e poi in Bosnia. A Livno, dove per ordine di Tito si costituì la Prima squadriglia aerea partigiana, Rugi ne fu uno dei fondatori. Quella squadriglia ebbe 7 Caduti fino alla fine della guerra; l’ultimo a sacrificare la vita fu proprio l’italiano. Cadde il 30 aprile 1945, nel giorno del suo ventiquattresimo compleanno, a pochi giorni dalla liberazione.» G.Scotti, Migliaia i soldati italiani morti per la libertà della Jugoslavia, Patria Indipendente, n. 4.2013.



(srpskohrvatski / italiano)


Iniziative segnalate... attorno alla Liberazione

1) PIOVENE ROCCHETTE (VI) 23/4: OPERAZIONE "FOIBE" TRA STORIA E MITO
2) ALICE CASTELLO (VC) 24/4: SUI PARTIGIANI SOVIETICI CADUTI IN PIEMONTE NELLA RESISTENZA
3) BOLOGNA 25/4: JUGOCOORD ONLUS A PRATELLO R'ESISTE
4) MONFALCONE (GO) 28/4: SOLDATI DELL'ARMATA ROSSA AL CONFINE ORIENTALE 1941-1945
5) ZAGREB 7.–8./5.: TRNJANSKI KRESOVI / 7. ANTIFA NIGHT za 71.e godišnjice oslobođenja Zagreba od fašizma
6) 26/4--5/5, le 
prossime presentazioni de “LA BATTAGLIA PARTIGIANA DI GORIZIA" in provincia di Udine e Gorizia
7) NEPI (VT) 8/5: DRUG GOJKO


*** Segnaliamo anche che per tutto il mese di aprile, a Doberdò del Lago (GO) presso la sede del Circolo Culturale Jezero, è visitabile dal pubblico la mostra “QUANDO MORÌ MIO PADRE. Disegni e testimonianze di bambini dai campi di concentramento italiani” ***


=== 1 ===

PIOVENE ROCCHETTE (VI), sabato 23 aprile 2016
alle ore 20.30 nella Sala della Biblioteca

Presentazione del libro
OPERAZIONE "FOIBE" TRA STORIA E MITO
di CLAUDIA CERNIGOI

Evento promosso dall'ANPI "mandamento Val Leogra" e inserito all'interno del programma per la Festa della Liberazione

Modererà Ugo De Grandis


=== 2 ===

ALICE CASTELLO (VC), domenica 24 aprile 2016
alle ore 16:30 presso la Casa degli Alicesi, Piazza Cagliano

Il gruppo ANPI "F.lli Savio" e RUSSKIJ MIR presentano:

Proiezione del documentario

NICOLA GROSA MODERNO ANTIGONE
indagine sui partigiani sovietici caduti in Piemonte durante la Resistenza
di Mario Garofalo

e presentazione del libro

DAL RECUPERO DEI CORPI AL RECUPERO DELLA MEMORIA
Nicola Grosa e i partigiani sovietici nel Sacrario della Resistenza di Torino
di Anna Roberti (Torino: Imprex — Edizioni Visual Grafika, 2015)



=== 3 ===

Bologna, lunedì 25 aprile 2016 
nell'ambito di Pratello R'esiste - https://www.facebook.com/events/1727619914174207/

Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS sarà presente con un proprio banchetto lunedì 25 Aprile 2016, Festa della Liberazione, in occasione del meeting antifascista Pratello R'Esiste a Bologna 

Presso il banchetto, allestito in Via del Pratello all'altezza del civico 23/2, sarà possibile conoscersi, scambiare informazioni e acquistare libri e bandiere. Se il meteo lo consente sarà esposta anche la mostra TESTA PER DENTE sui crimini di guerra italiani in Jugoslavia:
http://www.diecifebbraio.info/testa-per-dente/

Il nostro Coordinamento sostiene e collabora con il Comitato Ucraina Antifascista Bologna, impegnato a far conoscere le ragioni della opposizione al regime sciovinista-revanscista russofobo e filonazista instaurato in Ucraina a seguito del colpo di stato del febbraio 2014. In particolare, sarà possibile visitare il banchetto del Comitato Ucraina Antifascista Bologna vicino al nostro in Via del Pratello; il CCP di JUGOCOORD ONLUS è inoltre a disposizione per i versamenti in solidarietà delle vittime della guerra in Donbass: le somme saranno girate al Comitato di Bologna per le iniziative umanitarie descritte alla pagina:



=== 4 ===

Monfalcone (GO), 28 aprile 2016
alle ore 18 presso la Biblioteca, via Ceriani 10

SOLDATI DELL'ARMATA ROSSA AL CONFINE ORIENTALE 1941-1945

I battaglioni russi operarono in tutte le regioni italiane in cui si sviluppò un movimento di resistenza. Le loro vicende costituiscono un capitolo di storia europea noto per molto tempo solo ai protagonisti e ai compagni di lotta italiani, sloveni e croati, che lo conobbero o ne sentirono parlare. 
Quel lungo silenzio derivò dalla Guerra Fredda e dai problemi interni al mondo comunista. Il crollo di quel mondo ha riacceso l’interesse sul tema in Italia, Russia e Slovenia. Grazie a una competenza storica affinata nello studio del mondo slavo e della lotta partigiana, l’autrice può ora delineare un efficace e movimentato quadro di sintesi, che offre inedite chiavi di lettura su problemi di stringente interesse: il collaborazionismo, la propaganda nazista nei territori occupati, le lontane radici dei conflitti caucasici.

Marina Rossi, docente di Storia dei Paesi Slavi presso l’Università di Trieste e Venezia è autrice di numerosi saggi ed articoli riguardanti la storia del lavoro e del movimento operaio nelle provincie meridionali dell’impero asburgico e la lotta politica nel Nord-est, dal primo dopoguerra alla fine della seconda guerra mondiale. Tra i volumi più importanti, legati alle ricerche russe: I prigionieri dello zar e Le Streghe della notte.
Storia e testimonianze dell’aviazione femminile in URSS (1941-1945).

Presentazione a cura di Sandi Volk e Federico Tenca Montini con la partecipazione dell'autrice.

Presentazione in collaborazione con
Associazione Nazionale Partigiani d’Italia Provincia di Gorizia



=== 5 ===

Zagreb. 7.–8. Maja, 2016.
Od 3 PM do 6 AM na Trnjanski nasip bb, lijeva obala Save, ispred kluba Mochvara, pokraj mosta Slobode

Trnjanski kresovi / 7. Antifa night

✭✭✭ 71 godina oslobođenja Zagreba od fašizma ✭✭✭

Prošle je godine prvi puta nakon 26 godina zapaljen krijes u želji da se obnovi tradicija proslave jednog od najvažnijih događaja u povijesti grada Zagreba – dan njegova oslobođenja. Trnjanski kresovi ponovno gore! Na autentičnoj lokaciji ulaska narodnooslobodilačkih snaga u naš grad okupit ćemo se i ove godine - na 71. godišnjicu oslobođenja od fašističke okupacije. Naša motivacija za obnovu ove tradicije još je veća, a razloga za borbu nažalost sve je više. 
Prekrajanje povijesti, postrojavanja crnokošuljaša, medijski napadi na kritičku misao, fizički na one koji su drugačiji, podizanja šatora uz orkestrirana 'događanja naroda', obrušavanja na medije i kulturne institucije, te svakodnevni napadi na sva prava stečena upravo antifašističkom borbom i socijalističkom revolucijom – seksualna i reproduktivna prava žena, pravo na rad, obrazovanje i zdravstvenu zaštitu, stambeno zbrinjavanje – zahtijevaju naš otpor i stalnu borbu!
Antifašizam koji želimo živjeti danas jest onaj koji podrazumijeva i dosljednu borbu za političku, društvenu i ekonomsku jednakost, solidarnost sa svim grupama, svima onima koji su naizgled "drugačiji". Naše je zajedništvo tako ne samo prva, već i posljednja linija obrane onoga što je do sad izboreno, no i temelj onoga što će tek doći! Tako ćemo i ove godine simboličnom gestom odati počast borbi kojoj dugujemo mnogo, ali najviše da je nastavimo! Pridružite nam se, jer ovo nije puka obljetnica, već i podsjetnik na sve ono što je u borbu uloženo. A ono što nam slijedi je borba protiv fašizma koje se valja našim ulicama, jer će inače zavladati našim životima!

✭ Neće proći! ✭

Na oslobođenje Zagreba kontinuiramo ćemo vas podsjećati na ovoj stranici putem povijesnih fotografija i dokumenata, analiza i komentara, uključujući i živu antifašističku praksu i recentne borbe.



=== 6 ===

Dal Centro Isontino di Ricerca e Documentazione Storica e Sociale riceviamo e volentieri segnaliamo le prossime presentazioni del testo “La battaglia partigiana di Gorizia” di Luciano Patat:

Martedì 26 aprile alle 20.30 a Mariano del Friuli, nell’Aula Magna della scuola media
Giovedì 28 aprile alle 18.30 a Cervignano del Friuli, Casa della Musica 
Venerdì 29 aprile alle 18.30 a Pieris, presso la sede dell’Anpi, nei locali della ex scuola elementare.
Lunedì 2 maggio alle 20.30 a Campolongo nel Palazzo Municipale 
Giovedì 5 maggio alle 18.30 a Turriaco (GO), nella Sala Giovani della Biblioteca Comunale


=== 7 ===

NEPI (VT), venerdì 8 maggio 2016
alle 21.30 al teatro San Pellegrino, via Garibaldi 172

La sezione Anpi (Associazione nazionale partigiani d’Italia) “Emilio Sugoni” organizza 

PIETRO BENEDETTI

in

DRUG GOJKO

Storia di un partigiano


REGIA DI

ELENA MOZZETTA


TRATTO DAI RACCONTI 
DEL PARTIGIANO NELLO MARIGNOLI
IDEATO DA GIULIANO CALLISTI E SILVIO ANTONINI
TESTI TEATRALI - PIETRO BENEDETTI
CONSULENZA LETTERARIA - ANTONELLO RICCI
MUSICHE - BEVANO QUARTET E FIORE BENIGNI
FOTO - DANIELE VITA
UN RINGRAZIAMENTO PARTICOLARE A NELLO MARIGNOLI


Sullo spettacolo vedi anche: https://www.cnj.it/CULTURA/druggojko.htm

Lo spettacolo è ora anche un libro per i tipi di Davide Ghaleb Editore
ACQUISTA IL LIBRO: http://www.ghaleb.it/invioemail/emailform.php





Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS sarà presente con un proprio banchetto lunedì 25 Aprile 2016, Festa della Liberazione, in occasione del meeting antifascista Pratello R'Esiste a Bologna. Presso il banchetto, allestito in Via del Pratello all'altezza del civico 23/2, sarà possibile conoscersi, scambiare informazioni e acquistare libri e bandiere.

Il nostro Coordinamento (JUGOCOORD ONLUS) sostiene e collabora con il Comitato Ucraina Antifascista Bologna, impegnato a far conoscere le ragioni della opposizione al regime sciovinista-revanscista russofobo e filonazista instaurato in Ucraina a seguito del colpo di stato del febbraio 2014. In particolare, sarà possibile visitare il banchetto del Comitato Ucraina Antifascista Bologna vicino al nostro in Via del Pratello; il CCP di JUGOCOORD ONLUS è inoltre a disposizione per i versamenti in solidarietà delle vittime della guerra in Donbass: le somme saranno girate al Comitato di Bologna per le iniziative umanitarie descritte di seguito.


=== Inizio messaggio inoltrato:

Da: Comitato Ucraina Antifascista Bologna <ucraina.antifascista.bo @ outlook.it>
Data: 12 aprile 2016 08:49:10 CEST
Oggetto: Segnalazioni iniziative


Bologna, lunedì 25 Aprile 2016
dalle ore 15:15 alle ore 17:00
presso la Sala Benjamin, Via del Pratello 53

Gavarit Donbass / Parla Il Donbass

Presentazione del libro: "Non un passo indietro"
a cura della Rete Noi Saremo Tutto
prefazione di Valerio Evangelisti
Red Star Press edizioni, 2016

Proiezione di stralci dal video: “Gavarit Donbass, Parla il Donbass” (allegato al libro)

a cura di 
Noi Saremo Tutto
Comitato Ucraina Antifascista Bologna
Campagna Noi Restiamo Bologna

Con un intervento di Valerio Evangelisti 

Nell'ambito di Pratello R'Esiste 2016
https://www.facebook.com/Pratello-Resiste-427815000701363/


Contestualmente all'iniziativa sarà allestito per tutta la giornata un centro di raccolta aiuti umanitari per la popolazione colpita dalla guerra presso il nostro banchetto in via del Pratello all'altezza del civico 23/2 (vedi punto successivo).

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Come Comitato Ucraina Antifascista Bologna siamo ripartiti con la raccolta di aiuti per il Donbass
Dopo avere effettuato con successo in marzo due spedizioni "sperimentali", nel prossimo periodo e fino al 25 Aprile raccoglieremo farmaci e beni di prima necessità per la popolazione della cittadina di Pervomajsk vicina alla linea del fronte e duramente colpita dai bombardamenti, e per l'orfanotrofio/ricovero di Perevalsk, dove circa 200 fra adulti e bambini poveri hanno bisogno di assistenza.

E' necessario raccogliere: cibo in scatola, confezionato e non deperibile di qualsiasi genere; prodotti per l'igiene personale (shampoo, bagnoschiuma, assorbenti e pannoloni) e per i neonati (pappe, pannolini); materiale sanitario e medicine di cui riportiamo la  lista: 
Paracetamolo
Ambroxol
Acidum ascorbinicum
Ibuprofen
Kreon 10 000 (medico: è mezim forte, quindi Pancreatin)
Урсолизин (300 мг) Ursolin (300 mg)
Ламотрин (100 мг) Lamotrin (100 mg)
Diakarb (0,25 mg) Acetazolamide
Noofen (0,25 mg) Aminophenylbutyric acid
DepaKine sciroppo (150 ml ) valproic acid
Depakine Khrono (300 mg) Valproic acid
Troxerutin (300 mg)
Troxerutin (capsule 300 mg)
Acetylsalicilic acid+Magnesium hydroxide (75 mg)
Aspartic acid, magnesium and potassium salt
Trimetazidine 20 mg
Acetylsalicilic acid

Tutto ciò che potrete donare personalmente o attraverso la generosità di amici e parenti è bene accetto.
Come per i precedenti  invii gli aiuti saranno spediti tramite i compagni di Parma, arriveranno a Kharkov verranno prelevati da volontari che varcheranno il confine di guerra e li distribuiranno alle varie destinazioni.

Intitoliamo questa nuova spedizione di solidarietà alla memoria di Vadim Papura, giovane compagno ucciso dai fascisti il 2 maggio 2014, presso la Casa dei Sindacati ad Odessa.

Un punto di raccolta degli aiuti sarà allestito il giorno 25 Aprile a Bologna , nell'ambito del meeting Pratello R'Esiste, presso il nostro banchetto in via del Pratello all'altezza del civico 23/2.
Si può contribuire anche con versamenti in denaro, che convertiremo in materiale sanitario e per neonati. Per inviare contributi si può usare il CONTO BANCOPOSTA n. 88411681 intestato a JUGOCOORD ONLUS, Roma - IBAN: IT 40 U 07601 03200 000088411681 – Causale: Aiuti per il Donbass.

Le foto degli aiuti giunti a destinazione in marzo nella città di Rovenky (Regione di Luhansk): https://www.facebook.com/ucraina.antifascista.bo/posts/1081343705221519



(italiano / français)

Sur l'inutilité de la Cour Pénale Internationale

1) Tribunale de L’Aja: nessun massacro di civili nel Donbass (Contropiano 9.4.2016)
2) Robert Charvin: Evaluation critique de la Cour Pénale Internationale (1998 – 2002 – 2016)

In occasione del più recente, inutile pronunciamento (sul Donbass) della Corte Internazionale di Giustizia dell'Aia (detta anche talvolta "Tribunale dell'Aia" ma che non va confusa con il "Tribunale ad hoc per i crimini commessi sul territorio della ex Jugoslavia", sempre avente sede all'Aia) diffondiamo la dettagliata analisi di Robert Charvin. Su alcuni dei precedenti, altrettanto inutili, verdetti della Corte si veda ad esempio: "Diritto e ... rovescio internazionale nel caso jugoslavo", di Andrea Martocchia, gennaio 2015:


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Tribunale de L’Aja: nessun massacro di civili nel Donbass

di Redazione Contropiano, 9.4.2016

August Bebel, capo della socialdemocrazia tedesca non ancora trasformatasi in quel “cadavere imputridito” (Lenin) che nel 1914 avrebbe votato i crediti di guerra, diceva che i giudici sono la casta più reazionaria della società. Senza riferimento a un loro specifico settore, è difficile non concordare con quel giudizio, quando si giustappone qualche ultima deliberazione dei giudici de L’Aja.

Nessuna causa verrà avviata per il massacro di civili nel Donbass, perché “i delitti denunciati non rientrano nella giurisdizione del tribunale”, dato che “La Corte può esercitare giurisdizione sui crimini internazionali, se la sua competenza è riconosciuta (1) dallo Stato nel cui territorio è stato commesso il reato, (2) dallo Stato di cui è cittadino l’accusato, o (3) il caso è delegato dal Consiglio di sicurezza dell’ONU”. Nel caso sollevato dall’avvocato russo Igor Trunov, dicono i giudici de L’Aja, nessuna di queste condizioni è data. Trunov si riferiva a casi specifici, ponendo l’accento soprattutto su “l’uso di armi di distruzione di massa, con la morte in massa di civili. Bombardamento di edifici pubblici, abitazioni e infrastrutture. Una scuola è stata colpita, provocando quindici vittime; ucciso anche un collaboratore della Croce Rossa Internazionale, lo svizzero Laurent Etienne Du Pasquier “. Ma, secondo i giudici de L’Aja, avrebbero dovuto essere la junta golpista di Kiev a intentare causa contro le proprie truppe e i propri battaglioni neonazisti inviati a terrorizzare il Donbass!

Di contro, lo scorso 24 marzo, il Tribunale internazionale per l’ex Jugoslavia, nel 17° anniversario dell’inizio dei bombardamenti Nato sulla Jugoslavia, che causarono 2000 vittime civili, tra cui più di 400 bambini, aveva condannato il primo presidente della Repubblica serba di Bosnia, Radovan Karadžič, a 40 anni di reclusione, con l’accusa di genocidio. “Un atto di ipocrisia sfacciata”, hanno detto i comunisti russi, “un’altra pagina vergognosa nella storia della giustizia internazionale”, scritta dal Tribunale internazionale per l’ex Jugoslavia, creato su pressione USA, quale “degna conclusione dell’aggressione alla Jugoslavia nel 1999 e organo apertamente antiserbo, per coprire gli innumerevoli crimini dei terroristi albanesi, bosniaci e croati”.

Come in sede nazionale si amministra la “giustizia” della classe al potere, così, a livello internazionale, o “l’inquisizione Nato denominata Tribunale de L’Aja” ratifica i delitti della Nato stessa, oppure assolve in altra sede il genocidio nel Donbass. Si sanciscono gli interessi geopolitici di chi si regge o sui manganelli o sui bombardamenti; il risultato è in ogni caso la convalida della reazione.

E’ così che il PC russo, dopo il “no” all’associazione dell’Ucraina alla UE, ha invitato gli olandesi a dare una spallata anche al Tribunale internazionale de L’Aja.


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Evaluation critique de la Cour Pénale Internationale (1998 – 2002 – 2016)

par Robert Charvin
, 6 avril 2016

La Cour Pénale Internationale, « un pas de géant », selon l'éminent juriste Luigi Condorelli, qui porte un jugement positif dès 1999, un an à peine après l'adoption du Statut de Rome. La doctrine juridique occidentale, comme les forces politiques européennes, ont quasi-unanimement applaudi à la création de la CPI. Depuis 2002, date de son entrée en fonction, elles n'ont pas manifesté de critiques sur son fonctionnement (1).



Les motivations favorables à une justice criminelle internationale permanente sont de « nature éthique », affirme-t-on. Elle serait née d’une « prise de conscience » de l’horreur de certains conflits et de la volonté d’en finir avec l’impunité des responsables de crimes de masse. Cette brusque mutation est exprimée par le Docteur B. Kouchner et le juriste M. Bettati, suivis de nombreux juristes français (2), lorsqu’ils dénoncent « les assassins qui coulent des jours tranquilles à l’abri des souverainetés et à l’ombre du principe de non ingérence » : le « Bien », incarné par les puissances occidentales, doit triompher du « Mal » (espace « gris » du reste du monde) et la justice internationale devient un outil de paix, car « sans justice, pas de paix véritable » ! De nombreuses ONG occidentales, souvent nourries par les États eux-mêmes et des fondations privées, arguent du nécessaire respect du droit humanitaire (ce qui est incontestable) et de son rôle préventif (ce qui est très incertain). 

Un nouveau messianisme occidental s’est ainsi développé, succédant aux précédents (celui de la « mission civilisatrice » de la colonisation, par exemple) : « l’Occident traite les droits de l’homme, écrit A. Supiot (3), avec la Cour Pénale Internationale entre autres, comme un « Texte révélé par les sociétés « développées » aux sociétés « en voie de développement », comme s’il s’agissait pour ces dernières de « combler leur retard » et se convertir à la modernité ! 

Ce chœur quasi-unanime en faveur de la CPI, y compris à l’origine dans de nombreux pays africains, témoigne d’un idéalisme ne prenant pas en compte les réalités politiques et les rapports de force dans la société internationale. 

C’est l’évolution du contexte international des années 1990 qui est la clé explicative de l’apparition d’une justice universelle internationale permanente. En premier lieu, se produit la disparition de l’URSS, longtemps vigoureusement opposée à ce type de juridiction (4). Les puissances occidentales sont en position de force et ont pour objectif de conforter définitivement la société unipolaire qui leur est favorable. Les États socialistes survivants et la Russie post-communiste sont très affaiblis ; les guerres de décolonisation étant achevées, la question des droits de l’homme peut être « l’arme absolue » pour assurer une hégémonie légitimée. Le droit humanitaire apparaît comme un instrument de « déverrouillage » de ce qu’il y a de trop contraignant dans le droit international général « classique », notamment son noyau dur qui est la Charte des Nations Unies, (en particulier, les principes de l’égale souveraineté des États et de la non ingérence). 

La mondialisation libérale a besoin d’une société internationale sans frontière où peuvent s’épanouir les firmes transnationales. L’OTAN, en capacité de se constituer en substitut de l’ONU devient porteur des valeurs occidentales « humanistes », protectrices des droits humains (5). Les grandes puissances occidentales jouent un rôle d’États-pilotes avec l’assistance des organes de l’Union Européenne et de certains États du Sud comme la Tunisie de Ben Ali, en faveur d’une justice pénale internationale, couronnement du « nouvel » ordre, tout en prenant toutes les précautions pour ne pas faire courir de risque à leurs ressortissants (6). 

Ainsi, la relance de la question d’une Cour Permanente, au sein des Nations Unies, n’est pas le résultat d’un besoin subit d’humanité, mais d’un nouveau rapport de force permettant d’envisager une « gouvernance globale », et notamment une juridiction pénale suprême dans l’ordre international. 

C’est ainsi, qu’après une longue mise en sommeil du projet de juridiction pénale permanente depuis la fin de la Seconde Guerre mondiale, la Commission du droit international des Nations Unies se met au travail en axant ses préoccupations sur la répression du trafic de stupéfiants et du terrorisme, à partir de 1993-1994. Mais en 1998, le statut de Rome de la CPI est adopté à l’issue d’une négociation inter-étatique (alors que les tribunaux pour le Rwanda et l’ex-Yougoslavie avaient été créés par le Conseil de Sécurité) : il s’agit désormais de sanctionner les crimes de masse, plus de vingt ans après l’adoption des Protocoles de 1977 sur le droit de la guerre et sur la sanction des criminels de guerre par les tribunaux nationaux. 

En 1998, la voie conventionnelle (en lieu et place de la voie onusienne) s’explique par le fait que les Grandes Puissances n’avaient aucune volonté de créer une juridiction pouvant s’imposer à elles ! Il s’agissait de sanctionner les crimes des « autres », tout comme l’usage répétitif du chapitre VII de la Charte (axé sur la « punition ») et l’abandon du chapitre VI (sur la négociation) permettent aux Grandes Puissances de réprimer les « autres » États, sans que leur responsabilité soit effectivement engagée. 

Le monde occidental a gagné la « guerre froide ». Il s’agissait d’institutionnaliser cette victoire.

1. Contradictions et confusion du contexte international

L’évaluation de la CPI est impossible si on isole le phénomène de l’évolution générale des relations internationales. Il est nécessaire de prendre en considération le « temps long ». Il permet de comprendre, comme on l’a vu, la naissance de la juridiction. Il permet aussi de saisir la fonction réelle qu’elle prétend assurer depuis 2002 au cœur d’un processus général. 

La phase actuelle est celle de la déconstruction du droit international général, c’est aussi celle de la tentative d’imposition d’un néo-fédéralisme assimilant les États (toujours souverains en droit) à des « landers » ou à des régions, dotés de compétences limitées. Tout le processus de la construction européenne est basé sur cette pression progressive en faveur d’une fédéralisation des États membres. 

Dans le reste du monde, comme au XIX° siècle, l’approche occidentale est encore celle de la division d’un monde entre États « civilisés » (on dit aujourd’hui « développés »), plus ou moins organisés en « saintes alliances », et les autres États et peuples qu’il s’agit de contrôler d’une manière ou d’une autre. 

La Charte des Nations Unies, déjà pour les États-Unis surtout, ne compte plus vraiment. Il en est de même pour les États-Nations jugés archaïques. Le monde occidental fait l’impasse sur la fracture sociale abyssale qui sépare les peuples du Nord et du Sud, mais aussi les populations du Nord et la poignée d’hyper-privilégiés (les « 1.800 » milliardaires du monde) du Nord et du Sud. L’objectif prioritaire est le démantèlement de la souveraineté nationale, sans laquelle il n’est pas de souveraineté populaire (7). 

Pour l’Occident, en définitive, les institutions de la « globale gouvernance » doivent devenir l’échelon le plus élevé des pouvoirs et l’individu leur seul sujet de droit dont il convient d’assurer une promotion formelle. 

La CPI devient le symbole d’un monde garant des droits de l’homme et assurant la fin de l’impunité des criminels qui leur portent atteinte. Elle se présente même si les États-Unis n’ont pas adhéré au statut de 1998 comme le symbole d’un nouveau monde démocratique et humain. Néanmoins, cette CPI fonctionne dans un environnement radicalement contradictoire avec ses prétentions. Elle se veut compatible avec des phénomènes qui sont des sanctions collectives comme les embargos frappant la masse des gouvernés plutôt que les intérêts de quelques gouvernants, et particulièrement les populations les plus démunies. Les États-Unis, leurs alliés et leurs juristes valorisent la sanction par la CPI des violations individuelles des droits de l’homme, tout en manifestant la plus grande indifférence à l’égard des droits sociaux, économiques et culturels qui rendent impraticables les droits civils et politiques. Ce soutien à la CPI est contredit aussi par un phénomène aussi radicalement illicite que Guantanamo, qui malgré le discours officiel des autorités américaines, depuis bientôt huit ans, fonctionne toujours (8). 

Plus globalement, le droit fondamental qu’est le « droit au droit » n’est pas reconnu puisqu’il y a irrespect généralisé du droit international et du droit humanitaire, notamment à l’occasion des interventions armées. 

Avec les années 2000, la confusion s’est accrue : la Russie tend à redevenir une puissance qui compte, la Chine et les puissances émergentes pèsent d’un poids grandissant. A la société unipolaire « rêvée » par l’Occident, dont la CPI était un élément constitutif, succèdent les prémisses d’une société multipolaire. 

Mais comme dans toute phase séparant ce qui meurt et ce qui naît, le processus est chaotique : coexistent, en effet, des normes et des pratiques prétendument nouvelles de la première phase et le retour de normes et de pratiques de la période de la société bipolaire, complétées par des innovations de la société multipolaire en train de naître. 

Certaines forces occidentales s’efforcent d’inventer des normes, qualifiées dans le plus grand flou de « nouvelles coutumes », bien que non acceptées par l’ensemble de la société internationale. Les juristes le plus souvent tendent à les accepter comme telles, bien qu’avec une certaine réticence. C’est le cas avec, par exemple, « la responsabilité de protéger » les populations civiles contre leur propre État, sous prétexte de préoccupations humanitaires, en réalité pour justifier l’ingérence. On crée l’incertitude sur la juridicité des normes au mépris du principe de souveraineté. On favorise le développement d’un droit des affaires d’origine privée s’imposant dans les relations économiques transnationales. Quant à la CPI, elle-même, elle connaît des dysfonctionnements, sources d’un discrédit croissant dans le Sud.

2. Les pathologies de la CPI.

La CPI est une institution grevée de paradoxes et de contradictions de toutes natures. 

L’étrangeté la plus visible est que les États-Unis, qui n’ont pas ratifié le statut de 1998 sont partie prenante de facto du fonctionnement de la Cour : ils menacent de poursuites ou poussent à la poursuite de certaines personnalités et ressortissants de divers États qui n’ont pas leur faveur, tout en organisant systématiquement la protection de leurs propres nationaux (notamment par une série d’accords bilatéraux). 

Il en est de même pour la Russie et la Chine, qui ce représente 3 des 5 membres permanents du Conseil de Sécurité, dont le rôle est déterminant dans la procédure de la Cour (saisine ou dessaisissement) (9). 

Cela conduit nécessairement la CPI à ne s’en prendre jamais aux « vainqueurs » (comme à Nuremberg en 1945) ni aux alliés des « Grands », pour ne poursuivre que les ressortissants des « vaincus » et des États faibles ou isolés (10). 

Une seconde « curiosité » est le champ de compétence de la Cour. Conformément à l’idéologie néolibérale, les droits économiques et sociaux n’ont pas la même « qualité » que les droits civils et politiques. Selon cette logique, il est évident qu’il ne pouvait être question d’élargir la compétence de la Cour aux crimes économiques et sociaux dont le coût humain est plus massif, bien que plus diffus, que les crimes de guerre et autres commis contre l’Humanité. Rien ne devrait empêcher l’existence d’une Chambre sociale permettant de sanctionner les individus responsables d’un endettement sans retombée sociale, du chômage, de la violation des droits sociaux, et plus généralement de la misère. L’impact de la guerre sociale ne relève pas de la justice criminelle internationale. 

La compétence de la Cour comprend, dans le statut de 1998, le crime d’agression. Toutefois, cette disposition n’est pas entrée en vigueur et nul ne sait si, dans les prochaines années, elle entrera en vigueur. Un groupe de travail spécial explore le sujet, mais le fait que l’agression soit susceptible d’atteintes particulièrement aux capacités des grandes puissances qui réunissent tous les moyens pour être des « agresseurs privilégiés », conduit à penser que la question à toutes les chances de s’enliser. Si la CPI vise à combattre l’impunité de certains criminels, elle ne va pas, en droit, jusqu’à mettre en œuvre la répression des criminels qui sont de surcroît des « agresseurs » ! 

Un autre paradoxe est le mode de financement de la Cour. Le financement est assuré par les contributions des États occidentaux (surtout l’Allemagne et la Grande Bretagne), plus le Japon et par quelques fondations privées comme celle de G. Soros (11) et non pas l’ONU. L’indépendance financière de la juridiction n’est en rien garantie. On ne sait notamment pas quel est le degré d’indépendance du Parquet, en raison des liens s’établissant durant le mandat de ses membres avec divers intérêts. 

La promotion de la Cour dans les pays du Sud est aussi assurée par des organisations privées, comme par exemple, « Avocats sans frontières » ou l’Institut Arabe des droits de l’homme. Cette médiatisation de la CPI, très politisée, se confronte ainsi aux courants critiques qui se développent à son encontre. 

C’est le cas sur le continent africain depuis quelques décennies. L’Union Africaine estime que la CPI est avant tout un outil supplémentaire des Puissances mondialisatrices pratiquant la politique des « deux poids, deux mesures ». Le juge danois Harhoff (du Tribunal international pour l’ex-Yougoslavie) faisant écho à Juan Ping, ancien ministre du Gabon, au premier ministre éthiopien et à d’autres personnalités africaines en la matière, a énoncé le fait que des « pressions massives et assidues sont exercées sur les magistrats internes », ajoutant que ces « tribunaux ne sont pas neutres et obéissent aux ordres des grandes puissances, les USA et Israël en particulier » (12). L’Union Africaine se prononce pour le retrait du statut de Rome (art. 73) sans résultat. 

La Cour Africaine, créée à Arusha, est elle-même dans la dépendance du financement occidental. Seuls six États ont ratifié le Protocole de 2008, alors que quinze sont nécessaire. La lucidité critique africaine est ainsi plus collective qu’individuelle ! 

Plusieurs affaires, toutefois, peuvent déclencher un mouvement de retrait. Tout d’abord, le procès du vice-président kényan William Ruto. Lors de la XIV° Assemblée des États parties de la CPI (novembre 2015), l’Afrique du Sud et le Kenya ont menacé de se retirer, soutenus par divers autres États, malgré la défense de la Cour par des États de l’Union Européenne et de certaines ONG financées par l’Union Européenne. La Chambre d’appel de la CPI a annulé le 12 janvier 2016 la décision autorisant l’utilisation rétroactive de témoignages à charge, fragilisant fortement le dossier de la Procureure (13). Le recul du Parquet est survenu après le retrait des charges contre le Président Kenyata. Le Parquet, en effet, établit le plus souvent son dossier essentiellement sur des témoignages fortement contestables. 

Il en est de même pour le procès Gbagbo qui a débuté en février 2016. La règle de la primauté des juridictions nationales sur la compétence de la CPI fonctionne à ce propos de manière aléatoire. On peut s’interroger sur le fait que la justice ivoirienne s’est avérée régulièrement compétente pour juger et condamner à une lourde peine Madame Gbagbo, alors que L. Gbagbo a été déféré à la CPI, de même que Blé Goudé (sans doute pour alourdir les responsabilités de son ancien Président), comme s’il s’agissait de faciliter la tâche du régime Ouattara qui souhaitait se débarrasser d’un procès « encombrant ». On s’interroge sur les critères consistant en « l’absence de volonté » ou « l’incapacité » locale de mener à bien l’enquête et les poursuites ? Qu’en est-il, pour la Cour, de son appréciation de « l’impartialité » des tribunaux nationaux ? Ainsi, il apparaît que la Cour a une compétence plus ou moins large, plus ou moins « subsidiaire » selon des opportunités politiques confuses ! 

On constate aussi que la CPI tend à fonctionner quasi-exclusivement à charge à l’encontre des prévenus. C’est ainsi par exemple, que parmi les témoins ou les ONG sollicités, on s’abstient de prendre en considération ceux qui sont à priori « suspects », tandis que les autres sont appelés à fournir des éléments de « preuve » ! Le « tri » effectué entre les témoignages semblent parfaitement arbitraire dans l’affaire L. Gbagbo (14). Les moyens de la défense ne sont pas en mesure de rivaliser avec ceux de l’accusation : des dizaines de juristes, dont les avocats français, proches de F. Hollande, J.P. Benoit et J.P. Mignard et le Parquet (doté d’une trentaine de millions d’euros servant à rémunérer des enquêteurs, des consultants, etc. font face à la petite équipe de défenseurs bénéficiant d’un budget très limité (environ 76.000 euros) (15). 

Enfin, épreuve de vérité, la Palestine, 123° État membre du Statut de Rome (au 1er avril 2015) a saisi la Cour contre divers ressortissants israéliens pour leurs comportements criminels. Il est en effet difficile de contester les crimes de guerre et les crimes contre l’humanité de militaires et de leurs commanditaires israéliens commis par l’occupant israélien. Le doute est permis sur l’acceptation même par la CPI de sa compétence pour juger de la requête palestinienne (16) ! Les armes d’Israël sont nombreuses : la priorité de ses juridictions nationales, le recours au Conseil de Sécurité pour éventuellement suspendre la procédure sous prétexte de ne pas gêner les négociations de paix, etc. L’issue de l’affaire Gbagbo, mais surtout celle du recours palestinien, fera la démonstration de ce qu’il en est réellement de la CPI et du niveau de gravité des pathologies dont elle est atteinte.

3. Le fonction ambiguë de la justice politique

L’efficacité d’une justice politique internationale ne peut être évaluée seulement sur la base de ses qualités juridiques : une approche politique est essentielle. 

L’ordre interne des États n’a fourni nulle part un « modèle » de justice politique exemplaire. L’Histoire fait la démonstration que les tribunaux politiques d’exception comme la justice ordinaire lorsqu’elle statue en matière politique, servent les intérêts tactiques et stratégiques des gouvernements qui les administrent. La France a fait l’expérience de différentes juridictions (tribunaux militaire, Haute Cour de Justice, Cour de Sûreté de l’État, Cour de Justice de la République, etc.) Elles ont fait preuve soit d’un excès de rigueur soit d’un excès d’indulgence, dans les deux cas infondés. En Algérie, on se souvient du caractère expéditif des décisions des tribunaux militaires frappant les militants du FLN. En France, lorsque la justice ordinaire intervient contre des syndicalistes ou des militants anarchistes puis communistes sous la III°, la IV° et la V° République, elle participe davantage à la lutte des classes et à une politique d’intimidation qu’à l’application de la loi républicaine. En 2016, la condamnation à 9 mois de prison ferme de syndicalistes de la CGT pour « séquestration » non violente des directeurs des ressources humaines d’une entreprise (Goodyear) aux lendemains d’une vague de licenciements en est le plus récent témoignage. 

A la différence des justiciables de faible « surface sociale », les responsables de l’appareil économique échappent le plus souvent à des peines lourdes (ce fut le cas, en France par exemple, pour la collaboration des chefs d’entreprise, à quelques exceptions près, avec le nazisme). 

Quant aux tribunaux d’exception, à la Libération par exemple, il n’ont fait que servir les intérêts du nouveau pouvoir dans le « climat » du moment : pour des faits de collaboration avec les nazis, la peine de mort était prononcée en 1945 alors que quelques mois plus tard les condamnations étaient pour les mêmes délits très légères ! 

En bref, la justice politique sert avant tout à légitimer par une voie formellement légale l’élimination momentanée des adversaires du pouvoir établi. Elle n’a que très rarement décidé des grandes mutations de l’Histoire nationale (17). 

La justice criminelle internationale n’a donc pas de référence dans le droit interne. Son émergence dans l’ordre international est peut-être prématurée : il ne règne dans la société internationale que peu de valeurs communes et les intérêts contradictoires rendent impossible toute notion d’intérêt général clair. 

Les finalités communément admises que poursuit la CPI ne peuvent donc être qu’ambiguës : 

Selon certains, il ne pourrait y avoir de paix et de réconciliation sans justice. La réalité est plus complexe. La justice internationale rend ses jugements longtemps après les faits criminels : rien ne permet de démontrer que leur impact pacifie la société concernée. Les Cambodgiens, par exemple, de nombreuses années après les massacres pratiqués par les Khmers Rouges, étaient plus préoccupés d’élévation de leur niveau de vie, du maintien de la paix civile par une « réconciliation » plus ou moins boiteuse, que d’une justice ne frappant qu’un petit nombre de responsables très âgés alors qu’ils dirigeaient un système global (qui d’ailleurs en son temps était soutenu par les États-Unis et la Chine !). Le coût élevé de la procédure a pu même être considéré comme excessif au regard des problèmes sociaux du pays (18). 

Il faut ajouter que le processus de réconciliation après un conflit ne peut être le même d’une société à une autre : la voie juridictionnelle n’est qu’une voie modeste parmi d’autres. C’est ainsi, par exemple, qu’en Libye elle paraît à priori totalement inadaptée, y compris s’il advient que l’un des fils de M. Kadhafi est poursuivi devant la CPI. Le rapprochement entre les autorités de Tripoli et de Tobrouk, et plus globalement entre les factions qui émiettent le pouvoir dans l’ensemble du pays, ne peut être réalisé par des voies répressives contre les criminels de guerre qui, à l’évidence, ne manquent pas en Libye. Ce n’est d’ailleurs pas la voie choisie par l’ONU qui favorise des négociations politiques. 

Dans certains cas, l’extrême longueur des procédures devant la justice criminelle internationale peut finir par grandir celui qui est poursuivi et condamné. Ce pourrait être le cas de L. Gbagbo en Côte d’Ivoire et dans l’ensemble de l’Afrique subsaharienne. L’opinion peut se retourner contre les autorités à l’origine de la poursuite et contre la juridiction qui a prononcé la condamnation. A long terme, l’Histoire montre que les condamnations les plus lourdes peuvent auréoler les condamnés et fabriquer des martyrs. Il en a été ainsi, par exemple, pour les militants des mouvements de Libération nationale condamnés par les tribunaux des colonisateurs. Il peut en être ainsi demain pour les condamnés de la CPI. 

On répète aussi que l’existence d’une justice criminelle internationale jouerait un rôle préventif : par la menace qu’elle fait peser sur les responsables politiques et militaires, elle les dissuaderait des pratiques criminelles et génocidaires. On constate depuis 2002, date de l’entrée en vigueur de la CPI, qu’il n’y a aucun progrès humain dans les conflits qui se sont produits. Mais surtout, l’argument de la dissuasion peut se retourner en son contraire. Les responsables, pour éviter des poursuites qui sont toujours plus faciles contre des vaincus qu’à l’encontre des titulaires du pouvoir, sont amenés à s’y maintenir par tous les moyens et à prolonger au maximum leur fonction dirigeante (comme on le voit couramment en Afrique), ce qui favorise la répression des rivaux. De plus, cette « menace » est discriminatoire : elle ne joue pas pour les alliés des Puissances « protectrices », or les dictatures protégées ne manquent pas, ni les pseudo-démocraties comme Israël à l’ombre du « parapluie » étasunien ! 

La justice politique internationale pose aussi la question de sa capacité effective à juger des crimes de masse. On peut légitimement douter de l’unique responsabilité, voire de la responsabilité principale de quelques personnalités politiques ou militaires, fussent-elles des dirigeants suprêmes et des cadres supérieurs (voir les problèmes soulevés par le dirigeant serbe Milosevic, par exemple, négociateur des Accords de Dayton avec ceux qui allaient le faire traduire en justice). 

La controverse a déjà eu lieu avant Nuremberg lorsque les Soviétiques souhaitaient sanctionner un très grand nombre d’Allemands, co-responsables de l’avènement et des pratiques génocidaires du nazisme (19). Les Américains s’y sont opposés pour imposer exclusivement la poursuite d’un très petit nombre de dirigeants. Dans l’esprit des dirigeants occidentaux, l’Allemagne était déjà en Europe l’État-tampon nécessaire vis-à-vis de l’URSS. 

Devant le Tribunal de Tokyo, chargé à l’initiative des États-Unis de juger les criminels de guerre japonais, les prévenus et les condamnés ont été très peu nombreux. Les États-Unis avaient notamment pris soin de ne pas poursuivre l’Empereur Hiro-Hito, doté durant la Seconde Guerre mondiale d’une autorité « divine » sur tout le peuple japonais, afin de pouvoir utiliser son influence pour contrer le communisme. 

La justice politique, lorsqu’elle est « intelligente », prévoit toujours à l’avance les conséquences de ses sentences affectées d’un coefficient « utilitaire » pour la suite.... 

La justice criminelle internationale, à l’occasion de ses premières expérimentations, a fait la démonstration qu’elle ne pouvait être que sélective, c’est-à-dire arbitraire, son organisation et son fonctionnement ne pouvant être « hors sol » et dépendant nécessairement des rapports de force et des arrière-pensées du moment. 

C’est ainsi qu’aujourd’hui, il n’est pas concevable que la CPI puisse juger et condamner des ressortissants américains, russes ou chinois. Il ne semble pas même possible que les ressortissants des pays qui leur sont alliés soient poursuivis, sauf si les Puissances les considèrent désormais non fiables ou « inutiles » ! 

Or, les Puissances dominantes sont détentrices des moyens les plus susceptibles de réaliser des crimes de guerre : c’est le cas, par exemple, avec leur capacité de bombardements aériens, provoquant des morts civils en grand nombre. Il est vrai qu’un État en dépit de ses forces extérieures limitées est capable d’avoir une pratique criminelle dans l’ordre interne. Toutefois, le fait que ses ressortissants soient les seuls à pouvoir être poursuivis par la justice internationale assimile celle-ci à une forme « d’ingérence humanitaire », pratique illicite mais fréquente des Grandes Puissances à l’encontre de la souveraineté nationale des petits et moyens États, au nom d’un humanitarisme sélectif. 

Aussi, dans les conditions de notre époque, la question fondamentale et non résolue est celle de la souveraineté nationale et de son articulation avec la justice criminelle internationale. Le Tribunal Pénal international pour l’ex-Yougoslavie est une illustration de la confusion qui règne : le Conseil de Sécurité a exercé une fonction judiciaire incertaine en créant cette juridiction ad hoc, alors qu’il a renoncé à exercer sa fonction pacificatrice en la laissant à l’OTAN, qui est de plus intervenue en 1999 pour le Kosovo sans autorisation de ce même Conseil de Sécurité, au mépris de la Constitution de la Fédération Yougoslave ! 

La CPI, pour exister, a dû prendre des précautions vis-à-vis du principe de souveraineté. Elle n’est statutairement qu’une juridiction complémentaire et subsidiaire des tribunaux nationaux qui ont la primauté. Le Procureur de la Cour ne peut s’auto-saisir qu’à la condition qu’intervienne un organe collectif, la Chambre préliminaire (chambre d’accusation). 

Les États sont tenus de coopérer avec la Cour et en particulier de lui remettre les personnes poursuivies, mais à défaut aucune sanction n’est prévue. 

De nombreux États sont conscients que la justice criminelle internationale est instrumentalisée : elle tend à se constituer en outil de légitimation de l’ordre international existant, dans le cadre d’un « fondamentalisme occidentaliste » qui nourrit en retour les autres fondamentalismes (20). 

La Belgique en a fait l’expérience, lorsque l’un de ses tribunaux a été saisi en 2003 afin de juger des officiers supérieurs américains, le Général Franks et des adjoints, objet d’une plainte pour crimes de guerre contre des Irakiens et des Jordaniens. Sous les pressions américaines, la législation belge a été modifiée rendant impossibles ces poursuites (21). 

La France (juin 2015) a fait, pour sa part, un cadeau au Maroc. Le Parlement a voté (malgré l’opposition des Communistes et des Verts) un protocole judiciaire franco-marocain permettant à Paris d’abandonner sa « compétence universelle » si des ressortissants marocains ont commis des actes de torture pratiqués au Maroc ! 

Toutefois, la « compétence universelle » des tribunaux nationaux a permis la mise en cause de Pinochet. Sans que les résultats aient été sa condamnation, l’opinion a été sensibilisée à la répression dont il avait été responsable au Chili depuis 1973. 

Les tribunaux de Guantanamo, premiers tribunaux américains pour crimes de guerre depuis la Seconde Guerre mondiale, créés après les attentats du 11 septembre 2001, afin de juger les « ennemis combattants » non américains, ne bénéficient en rien des protections juridiques de droit commun accordées aux citoyens américains. Ils ne sont évidemment pas un « modèle » de justice politique nationale ! 

Néanmoins, les tribunaux nationaux, quelle que soit l’issue des procédures, offrent le spectacle édifiant de l’état réel de la justice politique. L’opinion, si elle est capable de s’approprier le droit, peut jouer un rôle afin de faire progresser une justice véritable. 

Au contraire, la CPI, très éloignée des citoyens (malgré les manifestations de solidarité avec certains prévenus comme L. Gbagbo) n’est susceptible de subir que de pressions étatiques. 

En conclusion, l’expérience de la CPI « sert à approcher, sans l’atteindre, une représentation juste du monde » par sa finalité officielle, la lutte contre l’impunité. Mais, en tout état de cause, la route de la justice internationale ne s’arrête pas à la CPI. Elle est encore très longue (22). 

Parmi les crimes de masse non encore pénalisés, il y a les multiples crimes économiques, comme par exemple, l’évasion fiscale (qui prive les États de possibilités d’investissement), la spéculation financière internationale (qui est source de « dettes odieuses », illicites mais que les peuples remboursent néanmoins), la surexploitation des matières premières et la maîtrise des prix du marché par les grandes firmes (du style Areva au Niger) etc. 

Ces crimes non encore juridicisés ont un coût humain qui va au-delà des massacres ponctuels se produisant dans les conflits armés. Dans un monde non consensuel où l’Occident et ses alliés « communient » exclusivement dans les valeurs du marché et les droits de l’homme » civils et politiques en oubliant toujours le social et aspirent à un fédéralisme universel (23), comme le dénonce Alain Supiot (24), une authentique justice criminelle internationale demeure une utopie difficilement accessible. 

Mars 2016

Robert Charvin

Agrégé des Facultés de Droit

Professeur Emérite à l’Université de Nice – Sophia-Antipolis (France)

Notes :

1) Cf. M. Perrin de Brichambaut, in Leçons de droit international. Presses de sciences politiques et Dalloz. 2002, p. 343 et s.

F. Bouchet-Saulnier. Dictionnaires pratique de droit humanitaire. La Découverte. 2013.

2) Très peu nombreux sont les juristes européens qui se sont manifestés à contre-courant, y compris dans les milieux progressistes (voir par exemple, les approbations de M. Chemillier-Gendreau dans Le Monde Diplomatique, 12 décembre 1998). On peut citer en revanche P.M. Martin, par exemple, de l’Université de Toulouse (Recueil Dalloz-Sirey, n°36, 1998), qui est très critique.

3) A. Supiot. Homo juridicus. Essai sur la fonction anthropologique du droit. Seuil. 2005)

4) Il faut noter cependant que sous la direction de M. Gorbatchev, la position soviétique avait évolué. Des juristes soviétiques, comme le professeur Blichenko, n’avait plus d’opposition radicale à la création d’une Cour pénale permanente.

5) Pourtant, dès sa naissance, l’OTAN et les États-Unis ont financé des opérations à l’intérieur des États se réclamant du socialisme et contre les Partis communistes occidentaux et divers syndicats (par exemple, avec le soutien direct des « Stay Behind », véritables groupes de combat « dormant » qui ont participé à des attentats et à des complots, comme ceux, par exemple, du « Gladio » en Italie, au financement d’une fraction de la CGT française à l’origine de la création de F.O.

6) Un argument-clé a été de considérer comme « injuste » des risques de poursuite pénale contre des militaires dont la cause humaniste serait fondamentalement « juste » (positions défendues par les États-Unis et la France).

7) Certains opposent souveraineté populaire, jugée « positive » dans une optique démocratique et souveraineté nationale, jugée nocive, parce que facteur de « nationalisme ». Or, sans l’indépendance nationale, grâce à la souveraineté étatique, quels que soient les risques pour les citoyens, il ne peut y avoir dans le monde contemporain de réelle souveraineté populaire : on le constate en Europe même, par exemple, avec la situation du peuple grec : la politique interne du gouvernement, choisie par les citoyens, n’a pas pu et ne peut toujours pas se développer car elle est soumise aux décisions des instances de l’Union Européenne. Il y a « souveraineté limitée » comme l’Occident ’y compris la doctrine dominante de l’époque) la dénonçait en 1968 lorsque l’URSS l’imposait à la Tchécoslovaquie.

8) Le Centre de détention de Guantanamo, combattu par B. Obama durant ses deux mandats, mais sans résultat jusqu’à ce jour, atteint les sommets de l’illicéité. Au nom de l’antiterrorisme, toute légalité est récusée. La règle est le combat du crime par le crime, expression d’une dégénérescence du droit très accentuée. Le camp, installé sur le territoire de Cuba, loué depuis 1905 à raison de 4.000 dollars par an, refusés par La Havane, est une prison « délocalisée » où sont incarcérés des nationaux de différents pays, arrêtés dans plusieurs pays avec la collaboration des polices locales et transférés clandestinement avec de multiples complicités « officielles ». La détention – sans jugement – est sans limite pour des « combattants ennemis », catégorie a-juridique inventée par les États-Unis unilatéralement. Les autorités de Washington ont récusé les demandes successives des Nations Unies, du Parlement européen et même de la Cour Suprême des États-Unis (verdict du 28 juin 2004). Amnesty International qualifie en 2005 Guantanamo de « Goulag moderne » (le rapport dénonce aussi les nombreuses prisons du même type installées par les États-Unis en Irak et en Afghanistan, notamment). Depuis le 11 septembre 2001, les États-Unis ont enseigné au monde entier que les droits de l’homme pouvaient s’interpréter « à la carte », avec de grandes variantes selon les cas. Divers États européens obéissent à ce modèle.

Cf. M.A. Combesque. « Violence et résistances à Guantanamo ». Le Monde Diplomatique. Février 2006.

9) Il faut mentionner Israël et l’Inde qui n’ont pas cru non plus devoir ratifier le statut de la CPI.

10) Dans le procès en cours contre L. Gbagbo et Blé Goudé (ce dernier « opportunément » transféré par Abidjan à La Haye), toute juridiction réellement impartiale devrait poursuivre aussi A. Ouattara et G. Soros actuellement en fonction.

Voir L. Gbagbo et F. Mattei. Pour la vérité et la justice. Côte d’Ivoire : révélations sur le scandale français. Éditions du Moment. 2014.

R. Charvin. Côte d’Ivoire 2011. La bataille de la seconde indépendance. L’Harmattan. 2011.

11) G. Soros affirme vouloir combattre les « sociétés fermées », autrement dit souveraines et cela sans la moindre légitimité.

12) Cité in L. Gbagbo et F. Mattei. Pour la vérité et la justice... op. cit. p. 255.

13) Voir la plaidoirie occidentale favorable à la CPI (E. Orenga – V. Rambolamanana. « Retour sur les travaux de la XIV° Assemblées des États parties de la C.P.I : qui sont les grands gagnants ? » In La Revue des droits de l’Homme. Mars 2016.

14) Cf. Mon témoignage personnel (R. Charvin) « écarté » par le Parquet, en tant que membre d’une Commission d’Enquête de deux mois sur les événements liés aux élections présidentielles de 2011 en Côte d’Ivoire, qui dénonçait notamment l’arbitraire complet régnant dans la partie Nord du pays, occupé par des forces rebelles (soutenues par le Burkina Faso de Compaoré – aujourd’hui réfugié en Côte d’Ivoire et naturalisé Ivoirien ! - et par la France).

C’est ainsi, par exemple, que plus de 1.000 civils ont été massacrés par ces « rebelles » pro-Ouattara au camp de réfugiés de Duékué lors de leur offensive qui devait se terminer par la prise d’Abidjan (avec la complicité de l’ONUCI et des troupes françaises).

15) Consulté par M° Altit, l’un des principaux défenseurs de L. Gbagbo, j’ai dû moi-même payer les frais d’un voyage à Paris pour le rencontrer, puis pour constituer le dossier rapportant les résultats de la Commission d’enquête à laquelle j’avais participé.

Demandeur d’une visite à la prison de La Haye pour établir le contact avec l’accusé, aucune réponse ne m’a été faite (le questionnaire à remplir pour la demande de visite exigeait notamment de préciser mon appartenance politique !).

16) Cf, par exemple John Aasu. Professeur à l’Université de Naja-Naplouse. La compétence territoriale de la Cour Pénale Internationale dans le cas de la Palestine, in Un Autre Monde, numéro spécial « Palestine : 70 ans ! » (revue de Nord-Sud XXI). 2016.

17) Cf. R. Charvin. Justice et politique (préface de R.J. Dupuy). LGDJ. 1968.

18) En France, le régime de Vichy n’a été remis en mémoire des Français que plusieurs dizaines d’années après la fin de la guerre. On s’est gardé durant cette longue période de rappeler l’histoire des années 1940-1945 : il s’agissait de « favoriser la réconciliation des Français » par l’amnésie.

19) Comment dissocier, par exemple, les dirigeants de l’industrie lourde, les cadres du parti du Centre Catholique, complices directs de l’accession à la Chancellerie de Hitler ? Comment la masse des citoyens ressortissants de l’un des pays les plus développés et les plus cultivés, l’Allemagne, ayant soutenu activement le régime nazi pratiquement jusqu’à sa défaite, peuvent-ils être considérés comme innocents ?

20) Voir A. Supiot. Homo Juridicus (voir notamment la Pologne, p. 7-30). Éditions du Seuil. 2005.

21) Cf. Nuri Albala. « La compétence universelle pour juger les crimes contre l’humanité : un principe inacceptable pour les plus puissants », in N. Anderson et autres. Justice internationale et impunité, le cas des États-Unis. L’Harmattan. 2007, p. 217 et s. Voir aussi J. Fermon. « Compétence universelle : le cas de la Belgique ou le droit du plus fort, quand les États-Unis font la loi en Belgique », in A. Anderson et autres. La justice internationale aujourd’hui. Vraie justice ou justice à sens unique. L’Harmattan. 2009.

22) En sens contraire, un philosophe africain, enseignant à l’Université Catholique de Lyon R. K. Koudé (« L’ingérence internationale : de l’intervention humanitaire à la dissuasion judiciaire » in Institut des Droits de l’Homme de Lyon. Vingt ans de l’IDHL. Parcours et réflexion. Université Catholique de Lyon. 2005, p. 116 et s.), applaudit à la fois à l’ingérence directe humanitaire et à l’action de la CPI, forme judiciaire de l’ingérence, contre les « forteresses de la souveraineté étatique ». L’article est significatif de l’occidentalisme des certains intellectuels non occidentaux.

23 ) On constate dans les structures semi-fédérales de l’Union Européenne que les atteintes concrètes aux valeurs démocratiques (racisme, xénophobie, interdictions de certains partis progressistes et réduction du pluralisme politique, comme c’est le cas en Hongrie, Pologne, Lettonie, etc.) ne suscitent aucune réaction de la part des instances européennes, ni l’utilisation de l’article 7 du Traité de Lisbonne permettant des sanctions et la suspension de l’État coupable des droits de participation au fonctionnement de l’Union Européenne, ni évidemment l’ouverture de poursuites pénales contre les dirigeants responsables. La justice politique ne semble concerner pour chaque État que les « autres » …...

24) A. Supiot. Homo juridicus. op. cit. 

Source : Investig’Action





Guerra alla Jugoslavia e strage della Moby Prince


Manlio Dinucci ci ricorda oggi, nell'anniversario della strage della Moby Prince, come le navi della Shi­fco presenti nel teatro della tragedia erano usate in quelle settimane per tra­spor­tare armi USA verso la Croa­zia, in preparazione della guerra con­tro la Jugoslavia – che (ricordiamolo!) ebbe effettivamente inizio solo il 25 giugno successivo, con la dichiarazione di "indipendenza".
In particolare una nave della Shi­fco, la 21 Oktoo­bar II, si tro­vava il 10 aprile 1991 nel porto di Livorno dove era in corso una ope­ra­zione segreta di tra­sbordo di armi sta­tu­ni­tensi rien­trate a Camp Darby dopo la guerra all’Iraq, quando si con­sumò la tra­ge­dia della Moby Prince in cui mori­rono 140 persone...

Sullo stesso tema si vedano anche:

Il blog di Luigi Grimaldi sul Moby Prince

La nostra pagina dedicata ai traffici di armi per lo squartamento della Jugoslavia

L'articolo che segue è disponibile anche in VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=KWCIQNMGNFE


Moby Prince, la pista Usa

di Manlio Dinucci – su Il Manifesto del 12.04.2016

L'arte della guerra. Da venticinque anni, i familiari chiedono invano la verità. Dopo tre inchieste e due processi

«Mayday Mayday, Moby Prince, siamo in collisione, prendiamo fuoco! Ci serve aiuto!»: questo il drammatico messaggio trasmesso venticinque anni fa, alle 22:25:27 del 10 aprile 1991, dal traghetto Moby Prince, entrato in collisione, nella rada del porto di Livorno, con la petroliera Agip Abruzzo. Richiesta di aiuto inascoltata: muoiono in 140, dopo aver atteso per ore invano i soccorsi. Richiesta di giustizia inascoltata: da venticinque anni, i familiari chiedono invano la verità. Dopo tre inchieste e due processi. Eppure essa emerge prepotentemente dai fatti. Quella sera nella rada di Livorno c’è un intenso traffico di navi militari e militarizzate degli Stati uniti, che riportano alla base Usa di Camp Darby (limitrofa al porto) parte delle armi usate nella prima guerra del Golfo. Ci sono anche altre misteriose navi. La Gallant II (nome in codice Theresa), nave militarizzata Usa che, subito dopo l’incidente, lascia precipitosamente la rada di Livorno.

La 21 Oktoobar II della società Shifco, la cui flotta, donata dalla Cooperazione italiana alla Somalia ufficialmente per la pesca, viene usata per trasportare armi Usa e rifiuti tossici anche radioattivi in Somalia e per rifornire di armi la Croazia in guerra contro la Jugoslavia. Per aver trovato le prove di tale traffico, la giornalista Ilaria Alpi e il suo operatore Miran Hrovatin vengono assassinati nel 1994 a Mogadiscio in un agguato organizzato dalla Cia con l’aiuto di Gladio e servizi segreti italiani. Con tutta probabilità, la sera del 10 aprile, è in corso nella rada di Livorno il trasbordo di armi Usa che, invece di rientrare a Camp Darby, vengono segretamente inviate in Somalia, Croazia e altre zone, non esclusi depositi di Gladio in Italia (vedi blog di Luigi Grimaldi sul Moby Prince http://grimaldimobyprince.blogspot.it/2009/04/moby-prince-dietro-il-naufragio.html ).

Quando avviene la collisione, chi dirige l’operazione – sicuramente il comando Usa di Camp Darby – cerca subito di cancellare qualsiasi prova. Ciò spiega una serie di «punti oscuri»: il segnale del Moby Prince, ad appena 2 miglia dal porto, che giunge fortemente disturbato; il silenzio di Livorno Radio, il gestore pubblico delle telecomunicazioni, che non chiama il Moby Prince; il comandante del porto Sergio Albanese, «impegnato in altre comunicazioni radio», che non guida i soccorsi e viene subito dopo promosso ammiraglio per i suoi meriti; la mancanza (o meglio sparizione) di tracciati radar e immagini satellitari, in particolare sulla posizione dell’Agip Abruzzo, appena arrivata a Livorno dall’Egitto stranamente in tempo record (4,5 giorni invece di 14); le manomissioni sul traghetto sotto sequestro, dove spariscono strumenti essenziali alle indagini. Così da far apparire quello del Moby Prince un banale incidente, anche per responsabilità del comandante. I familiari delle vittime sono riusciti ora a ottenere l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta, non solo per dare giustizia ai loro cari, ma per «chiudere un capitolo indegno della storia italiana». Capitolo che resterà aperto se la commissione limiterà come al solito l’inchiesta all’esterno di Camp Darby, la base Usa al centro della strage del Moby Prince. La stessa inquisita dai giudici Casson e Mastelloni nell’inchiesta sull’organizzazione golpista «Gladio».

Una delle basi Usa/Nato che – scrive Ferdinando Imposimato, presidente onorario della Suprema Corte di Cassazione – fornirono gli esplosivi per le stragi, da Piazza Fontana a Capaci e Via d’Amelio. Basi in cui «si riunivano terroristi neri, ufficiali della Nato, mafiosi, uomini politici italiani e massoni, alla vigilia di attentati». Il May Day del Moby Prince è il May Day della nostra democrazia.




(srpskohrvatski / deutsch.

Ricorre in questi giorni il 75.mo anniversario della istituzione dello "Stato Indipendente di Croazia" – in sigla: NDH – da parte dell'Asse nazifascista, che pose alla testa di questo Stato-fantoccio Ante Pavelić ed i suoi terroristi "ustascia", già addestrati ed armati in Italia. Su tale vicenda tragica, dalla quale l'Europa in anni recenti ha dimostrato di non avere imparato niente, tanto da riproporre soluzioni analoghe allo scopo di nuovamente squartare e ricolonizzare la Jugoslavia, si veda in lingua italiana tutta la documentazione sul nostro sito: https://www.cnj.it/documentazione/ustascia1941.htm )


Vor 75 Jahren »Unabhängiger Staat Kroatien«

1) NAZISTATTHALTER IN ZAGREB (junge Welt)
2) САМО  ОПРОСТИТИ, НИКАКО  ЗАБОРАВИТИ (SUBNOR)


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junge Welt (Berlin), aus: Ausgabe vom 09.04.2016, Seite 15 / Geschichte

Nazistatthalter in Zagreb

Vor 75 Jahren hievten die faschistischen Besatzer Ante Pavelic und seine Ustascha im »Unabhängigen Staat Kroatien« an die Macht

Von Roland Zschächner

Am vergangenen Montag ist in Zagreb ein Film gezeigt worden, der beansprucht, die Wahrheit über das von Ende 1941 bis April 1945 existierende kroatische Konzentrationslager Jasenovac zu zeigen. Der Vernichtungskomplex für Serben, Roma und Juden sei – so wird in dem Streifen von Jakov Sedlar kolportiert – lediglich ein Arbeits- bzw. Sammellager gewesen. Außerdem sei die Zahl der Opfer allerhöchstens halb so groß wie offiziell mit 80.000 beziffert. Kroatiens Kulturminister Zlatko Hasanbegovic erklärte im Anschluss an die Vorführung, der Film würde ein Tabuthema beleuchten und sei deswegen ideal geeignet für den Schulunterricht. Wie der frühere Präsident Franjo Tudjman schlagen sich immer wieder hochrangige Politiker der heutigen Republik Kroatien auf die Seite der kroatischen Faschisten und deren Anführers Ante Pavelic, der von den Nazis und ihren italienischen Verbündeten an die Macht des am 10. April 1941 ausgerufenen »Nezavisna Drzava Hrvatska« (NDH; dt.: Unabhängiger Staat Kroatien) gebracht worden war.

Der Gründung des NDH war der Überfall der Naziwehrmacht und ihrer italienischen Verbündeten am 6. April 1941 auf Jugoslawien vorausgegangen. Der Vielvölkerstaat war auf den Angriff kaum vorbereitet. Die Armee wurde innerhalb kürzester Zeit vernichtend geschlagen, das Königshaus und die Regierung setzten sich nach London ab. Das Land wurde unter den faschistischen Besatzern aufgeteilt: Italien okkupierte Istrien, Montenegro sowie Teile von Slowenien und der dalmatinischen Küste. Deutschland stellte Serbien ohne die Vojvodina unter Militärverwaltung. In Kroatien, Bosnien und der Herzegowina entstand auf Druck des italienischen Diktators Benito Mussolini der Marionettenstaat NDH unter Führung der Ustascha. Berlin favorisierte zwar die Kroatische Bauernpartei als Statthalter in Zagreb, Rom konnte sich aber durchsetzen. An die Spitze des NDH wurde der Ustascha-Chef Pavelic gesetzt, der sich zum »Poglavnik« (Führer) erklärte. Offizieller Gruß wurde die Parole »Za poglavnika i za dom spremni!« (Für Führer und Heimat bereit!). Auch die katholische Kirche gab dem Staatsgebilde ihren Segen. Viele Priester schlossen sich den Faschisten an und waren selbst an Massakern beteiligt.

Die Ustascha wurde 1929 gegründet, war aber in Jugoslawien nicht öffentlich aktiv. Ihre Stützpunkte unterhielt die Organisation in Ungarn und vor allem in Italien, wohin Pavelic im selben Jahr nach der Ausrufung der Königsdiktatur in Jugoslawien geflohen war und wo er enge Beziehungen zu den herrschenden Faschisten pflegte. Die wenige hundert Anhänger zählende Gruppe war immer wieder an Terroraktionen beteiligt, etwa der Ermordung des jugoslawischen Königs Alexander I. und des französischen Außenministers Louis Barthou in Marseille am 9. Oktober 1934.

Ziel: Großkroatien

An die Macht gekommen, ordneten sich die Ustasche (Plural für Mitglieder der Ustascha) den Nazis und deren Kriegsplänen unter. Soldaten wurden für den Überfall gegen die Sowjetunion bereitgestellt, die deutsche Wirtschaft mit Arbeitskräften und Rohstoffen versorgt. Das Sagen in Kroatien hatte in letzter Instanz das Oberkommando der Wehrmacht in Zagreb.

Immer wieder war die Ustascha-Herrschaft der Grund für Streit zwischen Nazideutschland und Italien. Berlin störte sich vor allem an der Brutalität der kroatischen Faschisten. Dabei waren den Nazis die Mittel egal, was sie verärgerte, war, dass durch die blutige Repression das anfängliche Wohlwollen der Kroaten zunehmend in Ablehnung umschlug und damit dem Widerstand in die Hände gespielt wurde. Doch im Verlauf des Krieges waren die Besatzer im Kampf gegen die Partisanen zunehmend auf die Ustascha angewiesen, so dass sie sie in alle großen Operationen gegen die antifaschistische Bewegung einbanden.

Die Ustasche wollten ein »ethnisch reines«, katholisches Großkroatien errichten. Zu ihren Feinden erklärten sie Juden, das »internationale Freimaurertum«, Serben und Kommunisten. Eine Sonderrolle nahmen die Muslime in Bosnien ein. Sie galten in der Ustascha-Ideologie als »reine Kroaten«, die nur durch die osmanische Herrschaft vom katholischen Glauben abgekommen waren.

Vor allem gegen die fast 1,7 Millionen Menschen mit serbisch-orthodoxem Glauben gingen die Faschisten brutal vor. Ausgegebenes Ziel war es, ein Drittel von ihnen zu vertreiben, ein weiteres unter Zwang zum Katholizismus konvertieren zu lassen und die übrigen zu ermorden. Bereits im Sommer 1941 kam es zu den ersten Massakern an Serben. Verantwortlich für derartige Bluttaten war nicht selten die »Schwarze Legion«, eine paramilitärische Einheit, die den Namen der Farbe ihrer Uniformen verdankte und Teil der 70.000 Milizionäre zählenden »Ustaska vojnica« (Ustascha-Armee) war. Daneben bestand die Kroatische Heimwehr als reguläre Streitkraft. Beide Gruppierungen konkurrierten nicht selten miteinander, weswegen sie 1944 unter Oberbefehl von Pavelic zu den »Kroatische Bewaffneten Kräften« (HOS) zusammengeschlossen wurden.

Vernichtungslager Jasenovac

Zur Durchsetzung der Vernichtungspolitik wurde ein Lagersystem nach deutschem Vorbild errichtet. Das größte Lager befand sich bei Jasenovac bzw. Stara Gradiska im Sumpfland am Zusammenfluss der Sava mit Una, Stuga und Lonja. Es war das einzige Vernichtungslager in Europa während des Zweiten Weltkrieges, das nicht von den Nazis betrieben worden war.

In Jasenovac wurden Roma, Juden, Serben und Partisanen unter menschenunwürdigen Bedingungen eingesperrt und auf bestialische Art und Weise ermordet. Berichte von Überlebenden zeugen davon, wie mit Äxten, Messern und anderen Werkzeugen die Gefangenen von den Ustascha wortwörtlich abgeschlachtet wurden. Eine der wenigen Möglichkeiten, Jasenovac lebendig zu verlassen, war, zur Zwangsarbeit nach Deutschland verschleppt zu werden. Wie viele Menschen in Jasenovac ums Leben kamen, ist umstritten: In Kroatien und der westlichen Geschichtswissenschaft wird die Zahl mit über 80.000 Opfern angegeben, in Serbien wird indes wie im ehemaligen Jugoslawien von 700.000 Toten ausgegangen.

Nach dem Sieg der Partisanen im Jahr 1945 wurde der NDH zerschlagen. Ustascha-Milizionäre, die den Krieg überlebt hatten und in jugoslawische Gefangenschaft kamen, wurden vor Gericht gestellt. Vielen kroatischen Faschisten gelang die Flucht, sie konnten sich in Westeuropa und in Nord- oder Südamerika verstecken. So auch Ante Pavelic, der mit Hilfe der katholischen Kirche über das von Großbritannien besetzte Österreich, mit Station in Italien, nach Argentinien fliehen konnte, wo er unter dem Decknamen Pablo Aranjos lebte. In Jugoslawien war er zwischenzeitlich zum Tode verurteilt wurden. Nach einem missglückten Attentat am 10. April 1957 auf ihn verließ der Faschist Buenos Aires und ging nach Madrid, wo er von Diktator Francisco Franco aufgenommen wurde. Am 28. Dezember 1959 starb Pavelic im Deutschen Krankenhaus der spanischen Hauptstadt.


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Der lange Schatten der Ustascha

Jedes Jahr am 28. Dezember wird in der Zagreber Herz-Jesu-Kirche zu Ehren von Ante Pavelic eine katholische Messe gefeiert. Der Anführer der faschistischen Ustascha und des »Unabhängigen Staates Kroatien« wird von katholischen Nationalisten weiterhin als »Poglavnik« (Führer) und Urvater der modernen staatlichen Unabhängigkeit verehrt.

Daran knüpfte auch Franjo Tudjman an. Tudjman war in den 90er Jahren Präsident in Zagreb und eine der treibenden Kräfte der Abspaltung Kroatiens von Jugoslawien. Dazu schrieb er die Geschichte des Zweiten Weltkrieges seit den 70er Jahren gezielt um: Die Verbrechen der Ustascha wurden relativiert und die Kroaten als Opfer einer aus Serbien gesteuerten kommunistischen Verschwörung dargestellt. Unter der Präsidentschaft von Tudjman wurde sich gezielt der Ustascha-Symbolik bedient. Unzählige Straßen wurden nach Faschisten umbenannt sowie antifaschistische Denkmäler geschliffen.

Jüngster Wiedergänger in dieser Tradition ist der derzeitige kroatische Kulturminister Zlatko Hasanbegovic von der von Tudjman gegründeten Kroatischen Demokratischen Union (HDZ). Die Zagreber Wochenzeitung Novosti veröffentlichte im Februar dieses Jahres Fotos mit Hasanbegovic, auf denen er eine Mütze mit dem Zeichen der Ustascha trägt. 1996 hatte er zudem in der Publikation Nezavisna Drzava Hrvatska (Unabhängiger Staat Kroatien) geschrieben, dem Organ der 1956 unter anderem von Ante Pavelic gegründeten faschistischen Partei »Kroatischen Befreiungsbewegung«. In den vergangenen Jahren fiel der promovierte Historiker damit auf, dass er kroatische Kriegsverbrechen und die Rolle der bosnischen SS-Division »Handzar« relativierte. (rz)



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Сећања – Објављено под Актуелно |  10. априла 2016.

САМО  ОПРОСТИТИ, НИКАКО  ЗАБОРАВИТИ

Само четири дана после мучког злочиначког хитлеровског уништавања и убијања Београда и више градова у Србији, нацистички савезници су у Загребу прогласили наказну државну творевину Хрвата коју су фашисти у Берлину већ 12.априла 1941. озваничили и признали покровитељство над будућим страдањима и истребљењу Срба и Јевреја и Рома уз све друге људе добре воље што не прихватају терор, протеривање и геноцид.

Суманути дани окупације никад и нигде не могу бити заборављени, још мање усташки злочини у низу логора попут оног у Јасеновцу и широм Хрватске где су Павелићеве трупе усташа и бојовника НДХ на најбестијалнији начин убили стотине хиљада логораша разне узрасти, од жена и стараца до деце и одраслих мушкараца, само због тога што су друге вере или националности. И жеље да Хрватска, у време Другог светског рата, постане етнички чиста територија.

У сећању на смутна времена у Београду је, у прелепом новомм простору Југословенске кинотеке, одржан комеморативни скуп на коме су приказани документарни филмови разних продукција и различитих годишта о стратиштима и сведочењима негдашњих логораша који су избегли страшну смрт од кама, маљева и сличних злочиначких оруђа Павелићевих усташа од почетка 1941. до дана слободе кад су партизанске јединице ослободиле заточенике и прогнале немилосрдне убице.

На скупу је говорио председник Републике Српске Милорад Додик: ”Кад је пре 75 година формирана НДХ то је био почетак огромног страдања Срба на овим просторима. Једини устанак против фашиста 1941. био је на српским националним подручјима, историјски факти говоре да су Срби носили антифашистичку борбу”.

Обележавање почетка Другог светског рата на просторима бивше Југославије и злочина нациста и њихових сарадника организовао је Одбор Владе Републике Србије за неговање традиција ослободилачких ратова Србије. Тим поводом се скупу обратио премијер Александар Вучић:
”Данас кад говоримо о том 10.априлу, кад је усташки пуковник Кватерник прогласио НДХ, то чудовиште од државе, број Срба у Хрватској је за 80 одсто мањи. Ми смо дали јасне одговоре на то кад смо осудили злочине, а сада треба да дају одговор и Хрватска и ЕУ. И то не само зато што Хрватску на то неко тера из Србије, него зато што је на то обавезује њена прошлост”.

Скупу су присуствовали и председница Народне скупштине Србије Маја Гојковић, министри у Влади, угледне личности из јавног и друштвеног живота, представници дипломатског кора.

Обележавању Дана почетка Другог светског рата, у години кад ће се се на свечан начин прославити и Седми јул кад је испаљена прва устаничка пушка пре 75 година, присуствовао је и председник СУБНОР-а Србије Душан Чукић. Такође и представници Удружења ”Јасеновац”, затим изасланици јеврејских, ромских и других организација чији су преци страдали у фашистичком оргијању које су осујетили антихитлеровска коалиција са великим доприносом у тој борби наших народнослободилачких партизанских јединица.




[I video di questi interventi, assieme a tutti gli altri materiali disponibili del Convegno tenuto il 23.3. u.s. a Belgrado, sono raccolti alla nostra pagina dedicata alle iniziative nel XVII Anniversario della aggressione NATO contro la RF di Jugoslavia: https://www.cnj.it/24MARZO99/2016/#okruglisto ]


Izlaganja na Tribini "Agresija NATO 1999. Godine..."

1) Живадин Јовановић: Агресија НАТО пакта 1999. 
2) Радован Радиновић: Балкан у новој геополитичкој реалности
 

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                             ПОЧЕТАК ГЛОБАЛИЗАЦИЈЕ НЕСТАБИЛНОСТИ

Inizio messaggio inoltrato:

Da: "Zivadin Jovanovic" 
Data: 30 marzo 2016 16:16:15 CEST
Oggetto: Emailing: 1999PocetakGlobalizacijeNestabilnosti


Живадин Јовановић                                                                                    28. матрт 2016.

 

Агресија НАТО пакта 1999. 

 

                             ПОЧЕТАК ГЛОБАЛИЗАЦИЈЕ НЕСТАБИЛНОСТИ[i]

 

Агресија НАТО пакта 1999. године против Србије (СРЈ), како је развој у међувремену јасно показао, била почетак ланца агресија и интервенционизма који је постао глобална  појава праћена великим проблемима као што су разарање суверених држава, масовно избеглиштво, ширење тероризма, милитаризација међународних односа. Ако се томе додају продужена економска криза, непрекидно продубљивање јаза између развијених и неразвијених делова света, између богатих и сиромашних делова друштва, растуће неповерење и конфронтација -резултат је глобална нестабилност или, како неки аналитичари закључују, нови хладни рат. 

После агресије на СРЈ, уследио је напад „коалиције вољних“, углавном, чланица НАТО, и окупација Авганистана 2001. године, а потом оружана агресија против Ирака. „Вољни“ су, под вођством САД, окупирали Авгнистан да би уништили Ал Каиду и одговорне за напад на Светски трговински центар у Њујорку и Пентагон у Вашингтону. Борба против тероризма, паралелно је проширивана на територије других држава, у првом реду на територију суседног Пакистана, затим, на Ирак, Јемен, Сомалију и друге земље. Колико је та борба била успешна сведочи досад незабележена експанзија тероризма, како на Блиском и Средњем Истоку, тако у Африци и, нарочито, његово преливање у Европу – од Турске, преко Француске и Белгије, до Шпаније и Велике Британије. Од напада „вољних“ у Авганистну су страдале хиљаде и хиљаде цивила, жена, деце, сватова, лекара и болничког особља, а производња хероина у тој земљи под окупацијом је порасла за преко 40 пута.  Што се тиче самог Пакистана, становништво је страдало како од терориста тако и од „вољних“ који су се борили против терориста.

Када је реч о Ираку, подсетимо се још, да је то била агресија, такође, без одобрења Савета безбедности, под лажним, измиошљеним изговором - трагања за оружјем за масовно уништење. Злочини у Абу Граибу, Басри и стотине хиљада убијених цивила, међу њима и огромног броја деце, хладно су проглашени као жртве „вредне циљева“! Ни Клинтон, ни Медлин Олбрајт, ни Тони Блер никада нису објаснили – који су то циљеви који се могу мерити стотинама хиљада убијених цивила, жена и деце! 

Затим су уследили напади појединих чланица НАТО на Либију, кршењем мандата Савета безбедности УН, који трају до данашњих дана. Током недавних напада оружаних снага САД на Либију убијено је и двоје службеника српске дипломатије. Наше мисли данас једнако су усмерене и према њима и њиховим породицама, према српској дипломатији јер су жртве глобализованог интервенционизма, као и жртве агресије НАТО 1999. године. Под овим или оним изговором, у овој или оној форми, спољне агресије и крвави пучеви незадрживо су се ширили - у Јемену, Малију, Сомалији, Сирији, све до преврата у Кијеву. Модел за то је успостављен 1999. и 2000. у Србији, односно, бившој СРЈ.

                                 Нови «демократски» стандард: сила изнад права

Војни интервенционизам НАТО, на челу са САД, постао је глобална појава. Циљ је, такође, глобални – успоставити силом пуну контролу над важнијим потенцијалима на Планети, од геополитичких, инфраструктурних и економских до природних и људских, кршењем свих норми међународних односа и разарањем међународних институција  на путу безобзирне похлепе и експанзије. 

Силу права замењује право силе - постало је гесло НАТО после агресије на Србију (СРЈ) 1999. „Сила треба да буде изнад права“ – пренео нам је Вили Вимер детаљ из стратегије САД изложене у кратком писму Канцелару Герхарду Шредеру, од 2. маја 2000. године.[1] Пут глобализације ауторитаризма је поплочан. Додуше, у одори демократије.

А шта су за собом остављали „борци“ за демократију, цивиле, људска права, права националних мањина, или штитоноше заштите самопрокламованих „националних интереса“? 

Најкраће речено – хаос; милионе убијених и рањених; десетине милиона избеглица и расељених; сукобљене нације, племена, религије; разорена друштва и растргане државне територије; Исламску државу и глобализовани тероризам; милитаризацију; трку у наоружању; глобално неповерење и конфронтацију.  

                                Равноправност без ратова?

Овде смо чули и од нашег пријатеља Захари Захаријева упозорење о опасности од  глобалног конфликта. Ми се надамо и, колико можемо, боримо да до тога не дође. Наша нада и очекивања заснивају се на дубоким променама у глобалном распореду снага у корист снага мира, равноправне сарадње, поштовања међународног права, посебно принципа суверене равноправности и на обнови улоге Уједињених нација како кровне организације светске заједнице народа. Епоха униполарнонг светског поретка и систем либералног корпоративног капитализма неповратно одлази у историју, а са њом, надамо се и верујемо, одлази и НАТО као њихова главна полуга и реликт хладног рата. Међутим, и поред тога, не смемо превидети да у главама идеолога „изузетности“ и „мисионарске улоге“ мисоани процеси не функционишу као код других људи. Судећи по њиховим класификацијама „добра“ и „зла“, „пријатеља“ и „непријатеља“, „правде“ и „неправде“, „терориста“ и „умерене опозиције“, или „бораца за слободу и демократију“ – још увек није мали број „стратега“ који сматрају да је у одбрани привилегија у међународним односима свако средство допуштено. 

Најопасније су структуре «из сенке» и моћници који сматрају да се историја, ако већ није добровољно прихватила свој крај, може уништити, казнити или бар зауставити. Не прихватају ништа и никога који представљају препреку безакоњу и слепом егоизму на који су се навикли током протеклаих деценија и векова. Постаје им јасно да на привилегије и „изузетност“ у светским односима даље не могу рачунати, добровољно их се не желе одрећи. Русија, Кина, друге земље БРИКС-а, већина земаља у светској заједници не прихвата туђу вољу као своју, још мање, туђе интересе као своје. Хоће ли заступници теорије „изузетности“ прихватити равноправност и партнерство у светским односима, или ће посегнути за оружјем, можда, чак и нуклеарним да сачувају старе и освајају нове привилегије? Хоће ли признати шта су стварни циљеви њихове континуиране војне експанзије на Исток од 1999. и „Бондстила“, до „ротирајућих команди“ и тзв. антиракетних штитова на руским границама? Од одговора на ова и слична питања зависе будући мир и стабилност. 

                                 Велике опасности милитаризације 

Ко дуго, без последица, гази основне принципе Повеље УН, ко  производи хаос и „сукобе ниског интензитета“, ко обара и поставља лидере других народа, ко нема обзира за легитимне интересе других народа и држава, ко је навикао да промашаје своје политике преваљује на плећа других, ко се саживео са праксом да његова увек буде последња па чак и онда када очигледно обмањује и свој народ и читави свет, тај свакако није имун ни на хазардерске потезе! И у томе је извор велике опасности.

Након НАТО агресије 1999. Изграђена је највећа америчка база у Европи, а према некима, највећа и у свету, изван територије САД, то је база „Бондстил“, на српској територији, код Урошевца. 

То је била прва у ланцу америчких војних база које су се потом множиле као печурке после кише. Прве три, после „Бондстила“, добила је суседна Бугарска а следеће четири  Румунија. И тако, све до такозваних анти-ракетних система у Пољској, Румунији, и низу других земаља, све ближе руским границама. 

Данас у Европи има више америчких и НАТО војних база него на врхунцу Хладног рата! Одавно већ нема ни Берлинског зида, ни Варшавског пакта, ни СССР-а, ни два супротстављена друштвена система, ни „осовине зла“. Шта је онда циљ енормног раста броја страних вопјних база у Европи, гомилања трупа и технике на њеном тлу, милитаризације процеса политичког одлучивања, милитаризације медија, раста војних буџета? Има ли уверљивог одговора? 

Будући да смо под доминацијом НАТО медија у читавом свету а посебно Европи, укључујући Србију, све мање имамо времена, нарочито опхрвани растућим социјално економским проблемима, размислимо да ли је све то баш тако као што гласе поруке са телевизија, из НАТО редакција и других места у којима доминира милитаризација. 

Шта значи успостављање контроле ваздушног простора од Балтичког мора до Анадолије, линије која подсећа на доба римске империје. То су неки нови моменти о којима треба размишљати.

Као последица агресије НАТОпротив Србије (СРЈ) 1999. дошло је до милитаризације не само у смислу физичког гомилања оружја и трупа, већ и до милитаризације процеса политичког одлучивања. Институције у Европи, националне и оне регионалне, све више, постају покриће за одлучивање у уским круговима о таквим питањима као што су - санкције, војни издаци, нове стране базама, привилегије и имунитети трупа НАТО, све до питања чланства у војним савезима и питања рата и мира. Својевремено је Споразум о транзиту НАТО трупа преко српске, односно југсловенске територије, јавно брањен као чисто технички споразум, који није од интереса за јавност, за народ! У уставу који је претходио садашњем, о чланству земље у међународним организацијама (на пример у НАТО) одлучивао је парламент (Скупштина). У важећем Уставу те одредбе више нема! Да ли је и то знак напретка демократије? Сваки помен референдума о најважнијим питањима од „демократских промена“ 2000. до данас извргава се руглу. Зашто? Одбојност према референдуму  о најважнијим питањима унутрашње и спољне политике тешко да се може објаснити одговорношћу институција, поверењем грађана добијеним на изборима, или бригом за напредак и бољи живот. Победа на изборима, па ни предстојећим, не може се третирати ка „карт бланш“ ни за тоталну распродају преосталих потенцијала јавног сектора, ни за потписивање „правно обавезујућег документа“ са Приштином, ни за потпуну предају у наручје НАТО-у, ни за федерализацију Србије под видом децентрализације.  

Издваја се на оружје а милиони људи напуштају своје домове са Блиског истока тражећи запослење у Европи. Нису то ленштине како се злонамерно приказују, који су у потрази за лагодним животом, или који желе да поремете благостање Европљана. То су људи силом Запада и њихових арапских савезника, протерани с својих огњишта, људи који чувају голи живот и егзистенцију, идући трбухом за крухом. За разлику од лидера Запада, ти људи једноставно, немају алтернативе да преживе. Зато се и не могу зауставити ни оградама, ни патролама, ни на копну, ни на мору. Кључеви су у рукама запада – нека зауставе агресије, ратове, интервенције. Пре свега, нека зауставе рат у Сирији прекидом финансирања, наоружавања и обучавања терориста, завртањем свих славина снабдевања ИДИЛ-а. Уместо «дилова» са Турском, нека се окрену инвестицијама и развоју земаља Блиског и Средњег Истока који ће младим нараштајима дати другу, бољу алтернативу ономе што нуде идеолози џихада. 

Треба констатовати да су Русија и Кина, већ постали глобални фактори међународних економских и политичких односа. Формирање Азијске банке за развој инфраструктуре са око 60 земаља чланица, Развојне банке БРИКС-а и других, потпуно нових институција и пројеката глобалног значаја (Нови Пут Свиле 21. века) говоре да је време монопола у уређивању светских односа завршено. 

Нема више озбиљнијих међународних проблема који се могу решавати без равноправног учешћа Русије и Кине. Верујем да је то предпоставка и за праведно и одрживо решење за питање статуса Косова и Метохије, у складу са резолуцијом Савета безбедности УН 1244.  «Дилови» које нуде бриселски и вашингтонски комесари по којима Србија, у име «реализма» и «европског пута» мора да се одрекне свог уставног поретка, своје постојбине, историјског идентитета и резолуције СБ УН 1244, тешко да могу бити нешто више од провидне симулације и привида тобожњег решења.

                                 НАТО верзија историје 

Ревизија историје не почиње агресијом НАТО, али од ње добија убрзање. У том процесу инволвирано је много интереса и учесника, али је посебна улога додељена Хашком трибуналу. То је механизам који поред осталог има за циљ да замени историчаре и да издиктира своју, уствари, НАТО верзију историје, посебно, оног дела који се односи на подручје бивше СФРЈ. За велику већину народа Србије Хашки трибунал је продужена рука НАТО пакта, који не дели правду, већ изриће пресуде и то, превасходно, припадницима српског народа.  

На сутрашњи дан, кад се навршава 17 година од почетка агресије, испланирано је изрицање казне Радовану Караџићу, бившем првом председнику Републике Српске. Нисмо присталице теорија завере, али сматрамо да није случајно што је изрицање пресуде Радовану Караџићу предвиђено на дан почетка агресије НАТО на Србију (СРЈ). Некоме одговара да се пажња јавности са НАТО злочина почињених пре 17 година против српског народа и грађана Србије, преусмери на изрицање пресуде Радовану Караџићу. Очекују да сутра и наредних дана, будемо заузети тумачењима и спорењима у региону око те пресуде, а да се не види и не чује одавање поштве хиљадама жртава у Србији и Црној гори, да се не чује шта народ мисли о разарању цивилних објеката, коришћењу оружја са осиромашеним уранијумом, касетних, графитних и свакојаких других бомби, да се не чује и не види каква је зла починио НАТО пакт, не само Србији и Региону, већ и целој Европи и систему међународних односа. 

Статистика говори да је, од 89 лица осуђених у судницама Хашког трибунала на укупно 1.380 година, 67 Срба, што је више од 2/3 укупног броја осуђених, са укупно 1.125 година затвора; четрнаесторица су Хрвати осуђени на 183 године, петорица су Бошњаци осуђени на 41 годину, двојица Албанци осуђени на 19 година, и један Македонац на 12 година затвора. Да ли је то одраз оне стварности у којој су започети и вођени грађански ратови и БиХ и Хрватској? Где је ту одраз злочина према српском народу у Сарајеву, Источној Босни, „Бљеску“, „Олуји“ и многим другим местима и атничким прогонима!? Злочине према српском народу у Хрватској, Босни и Херцеговини и на Косову и Метохији, њихове извршиоце Трибунал није нашао!

                                Реформа Војске по мери агресора

Посебна заслуга припада нашој војсци, њеним борцима и генералима који су професионално и патриотски бранили земљу и народ. У тој борби животе је изгубило 1.008 војника и полицајаца. Њима, као и преко 2.500 погинулих цивила, међу којима је и преко 80-торо деце, данас одајемо пошту и саосећамо са њиховим породицама. Само годину, две после агресије, током тзв. реформе војске, готово сви генерали, руководиоци одбраном од агресије НАТО послати су у пенѕију. А ко је спровео такву „реформу“? Били су то генерали НАТО, међу којима, британски генерал Бик и француски генерал Оланд, у својству саветника тадашњег министра одбране Бориса Тадића! 

И шта смо добили од реформе, то најбоље знају припадници Војске Србије. Тенкове, хаубице, тешко наоружање уопште, у Смедервској железари, претопила је америчка фирма УС Стил (US Steel) добивши тако најјевтинијио и најквалитетнији челик. Кад су то завршили, Американци су рекли да им се више не исплати да остану у Смедереву, запаковали се о напустили Србију! 

А шта је био циљ агресије? Распоређивање америчке војске на Балкану, односно, на територији Србије, као прва карика у ланцу, распоређивања америчких војних потенцијала ка руским границама. Скок на Исток. Ново издање познате доктрине“Drang nach Osten“. У име ширења демократије и људских права. НАТО је уједно обезбедио образац за нове војне походе у другим деловима света, не обазирући се на принципе међународних односа, Повељу УН, или Савет безбедности као најважнији орган за питања мира и безбедности. Међутим, статистичари и аналитичари су саопштили да је само у периоду од 2001. до 2011. године из Србије, такве каква је остала разорена током агресије НАТО, извучено 50 милијарди долара преко тзв. приватизације, посебно приватизацијом банкарског и финансијског сектора. Највредније компаније на Косову и Метохији, изграђене средствима Србије и бивше Југославије, пале су у руке америчких и компанија из земаља чланица НАТО. Првао првенства у приватизацији у Покрајини, гле чуда, имали су и неки истакнути функционери Администрације Била Клинтона.

Да ли је то случајно? 

Да се подсетимо: Силвио Берлускони је јавно рекао да му се француски председник поверио да је Француска војно интервенисала у Либији, јер и она има права да се домогне неког либијског извора нафте! Какав алтруизам у борби за заштиту цивила, што је био званично прокламовани циљ војне интервенције у Либији! Неко може рећи – Берлускони је свашта причао, био је овакав или онакав? У реду, али он је био демократски изабран премијер једне демократске земље. Један од њих. Макар у по нечему и нетипичан. 

Замислите цинизам којим политичари обмањују своје народе наводним праведним мотивима војних интервенција! У позадини су редовно голи егоизам,  грабеж, незаситост. 

Весли Кларк, главнокомандујући НАТО 1999., изјавио је једној америчкој телевизији да је у Пентагону добио списак земаља које ће САД бомбардовати у наредном периоду. На питање водитеља зна ли због чега, Кларк је одговорио да му то нису прецизирали, али да он претпоставља да је због нафте.                                        

                                                   Где је излаз?

Излаз је у прихватању нових реалности у светским односима где не може бити надређених и подређених, привилегованих и обесправљених, „изузетних“ и хендикипираних. Излаз је у враћању поштовању основних принципа међународних односа и међународног права, а пре свега, у поштовању принципа суверене равноправности. У ширем смислу, излаз је у јачању улоге Уједињених нација и поштовању Савета безбедности као најодговорнијег органа за мир и безбедност. У схватању да је мултиполаризација светских односа процес који се ничим не може зауставити, или прекинути, јер је у светлости нараслих моћи Русије, Кине и БРИКС-а, неминовност. У оријентацији на демократизацију међународних односа што у суштини значи – признавање права средњим и малим земљама на сопствене интересе. У одрицању од злоупотребе борбе против тероризма за ширење и наметање ужих геополитичких интереса великих сила, у прекиду финансирања, наоружавања, обучавања и слања терориста у кризна жаришта. 

Тренутно је за мир и безбедност најважније пронаћи мирно, политичко решење за рат у Сирији уз уважавање интереса свих унутрашњих политичких фактора, не рачунајући терористе било које феле у политичке факторе. 

Тероризам је постао глобални проблем због двоструких стандарда, злоупотреба и манипулација тероризмом. Ми то знамо од грађанског рата у Босни и Херцеговини када су западне силе, посебно СДАД, директно и индиректно помагала премештање терориста са Блиског Истока, из Чеченије и Магреба, њихову обуку, наоружавање и организовање у јединице које су се бориле на страни снага Алије Изетбеговића. Ко се још не сећа бригаде „Ел Муџахедин“ чији су припадници позирали на фотографијама са одсеченим главама Срба! Касније су се Муџахедини, поново, уз подршку одређених земаља чланица НАТО, из БиХ преместили на Косово и Метохију ојачавајући снаге терористичке ОВК. А сама тзв. ОВК била је савезник, пешадија НАТО током агресије 1999. 

Може ли онда бити изненађујуће што се дуже време из БиХ и са Косова и Метохије регрутује највећи број бораца ИДИЛ-а? Шта рећи за делове БиХ који нису под контролом званичних власти Федерације БиХ, већ под контролом вехабистичких вођа? Преко 60 исламских верских установа у Сарајеву и Федерацији БиХ такође је одметнуто од званичне исламске верске заједнице?

Предлажемо да се одржи светска конференција под окриљем Уједињених нација о борби против тероризма. Пошто је то комплексно питање које захтева пуно времена, деценије а можда и више, таква конференција треба да буде само инициајтор једног процеса стварања светске конвенције о борби против тероризма. Лидер и покровитељ борбе против тероризма морају да буду Уједињене нације ако хоћемо да се спасимо од нових убистава и даљег ширења тероризма у Европи и другим деловима света. 

За Србију је излаз у успопстављању и учвршћивању стварне, пуне неутралности и подизање тог опредељења на ниво једног од основних уставних принципа. По угледу на Аустрију и друге неутралне земље Европе које су чланице ЕУ. У вођењу уравнотежене спољне политике и отворености за равноправну сарадњу, без једностраних концесија или привилегија за било коју земљу, или групацију. То није само могуће већ је егзистенцијална потреба и дугорочни интерес Србије. У поштовању достојанства и историјских искустава Србије. У бржем ослобађању комплекса инфериорности према Западу чије руке и историја односа према Србији нису чисти. У моралној обнови, усправљању и самопоуздању. У окретању себи, својим људским, научним, културним, геополитичким, природним и економским ресурсима као предпоставци за равноправну сарадњу са другима.

  

Живадин Јовановић

Председник Београдског форума за свет равноправних

 


[1] Актуелна питања спољне политике, стр. 75, Београдски форум за свет равноправних, 2007.



[i] Реч на Трибини одржаној 23. марта 2016. Године, у Београду


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Балкан у новој геополитичкој реалности

Генерал Проф. Радован Радиновић

Зашто о овој теми треба говорити данас кад се обележава годишњица агресије НАТО на нашу земљу? Па напросто зато што је тај злочин Запада и изведен ради остваривања геополитичких циљева и интереса а не зато што је на Косову требало одбранити недужне Албанце од великосрпског насиља.

О геополитици Балкана данас треба говорити зато што се светски поредак мења тако да поступно нестаје униполарни а настаје вишеполарни свет и на помолу је нова равнотежа снага. У тим околностима веома је битно да сваки ентитет, држава, заједница држава, савези, региони итд. сагледају свој геополитички положај у том новом поретку моћи.

Да бисмо се разумели, на почетку је пожељно одредити појмове које садржи овај наслов а то су геополитика и појам Балкана, управо због тога што се ради о врло упитним појмовима а не о неупитним, како смо то некада мислили.

Шта ја под геополитиком подразумевам? Најједноставније говорећи, свака мисао, знање, теорија па и наука о узајамном деловању политике пре свега међународне политике и простора. Као таква, геополитика је синтеза теорије друштвених, пре свега политичких наука, али не само њих већ и бројних других на једној страни, и географије на другој страни.

Циљ геополитике је да одговори на питање о условљености политичког деловања државе или групе држава, савеза држава и слично, карактеристикама простора. У карактеристике простора спадају прво физичко-географске карактеристике, положај државе унутар других великих и значајних светских региона, однос главних центара моћи према том простору, како вреднује националне државне интересе, међусобни односи великих сила и свих утицајних регионалних чинилаца у контексту разматрања геополитике простора. Сплет тих силница тих утицаја и међузависних односа резултира такозваним геополитичким чвором на којем се утицаји укрштају, сукобљавају, међусобно допуњују и каква динамика се може очекивати у томе свему.

Данас је веома важно да схватимо и појам Балкана у новим геополитичким околностима. Да ли је то географски простор јужно од замишљене линије Тршћански залив - Делта Дунава, или је то нешто сасвим друго. На жалост, појам Балкана више се не односи на географски простор већ на геополитички простор и то онај део који је остао изван Европске уније и онај део који је остао изван потпуног огољеног диктата и доминације Сједињених Америчких Држава. Тако се може рећи да се под појмом Балкана дан�

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